Già nel testo unico n. 490/1999, che ha
riorganizzato la legislazione vigente, era
stata estesa la definizione di bene culturale
a nuove categorie di beni. Si tratta delle
collezioni demoetnoantropologiche, le
fotografie, gli esemplari di opere
cinematografiche la cui produzione risalga a
oltre 25 anni.
Nel D.Lgs. N. 42/2004 che regola la tutela
dei beni culturali, i beni culturali sono divisi
in tre aree:
- La prima area è individuata al comma 1 e
riguarda le cose immobili – che abbiano più
di settant’anni e siano di autore defunto e le
mobili con più di settant’anni per gli immobili
e di cinquant per le opere mobili – di
proprietà dello Stato, delle regioni e di altri
enti pubblici territoriali (province e comuni),
nonché di enti e istituti pubblici e persone
giuridiche private senza fini di lucro
comprendenti gli enti ecclesiastici civilmente
riconosciuti purché presentino interesse
culturale. Per questi beni trova applicazione
la verifica dell’interesse culturale.
- La seconda area è rappresentata al
comma 2 dell’articolo 10 ed è costituita da
una serie di beni che appartengono a
soggetti pubblici (Stato, regioni e altri enti
pubblici territoriali, ogni altro ente ed istituto
pubblico) per i quali l’interesse culturale è
ritenuto sussistere ex se, come nel caso di
raccolte di musei, pinacoteche, gallerie ed
altri luoghi espositivi, archivi, documenti e
raccolte librarie.
- La terza area (3 comma) riguarda tutti i
beni appartenenti ai privati per i quali è
prevista la procedura di cui all’art. 13 e ss.
del D.Lgs. N. 42/2004.
Nel Codice l’interesse è graduato, infatti al
comma 1 dell’art. 10 di prevalente
appartenenza pubblica, la disposizione
richiama la semplice presenza di interesse.
Il comma 3 lettera a, per le cose
appartenenti a privati la norma richiede che
presentino un interesse particolarmente
importante.
Al comma 10 dell’art. 11 vi è un’elencazione
di beni che riprendono quelli già citati nel
T.U. con alcune innovazioni come le
pubbliche piazze, le vie, le strade ed altri
spazi aperti di interesse artistico o storico e
le architetture rurali aventi interesse storico
od etnoantropologico quali testimonianze
dell’economia rurale tradizionale.
L’ultimo comma dell’art. 10 conferma il limite
degli oltre 50 (ora 70) anni dall’esecuzione e
il fatto di non essere opera di autore vivente,
modificato con il D.L. n. 70/2011
Il comma 3 lettera d) riconosce come beni
culturali, quando sia intervenuta la
dichiarazione prevista dall’art. 13, quelle
cose immobili o mobili, a chiunque
appartenenti, che rivestono interesse
particolarmente importante a causa del loro
riferimento con la storia politica, militare,
della letteratura, dell’arte, della scienza,
della tecnica e dell’industria e della cultura in
genere, ovvero quali testimonianze
dell’identità e della storia delle istituzioni
pubbliche, collettive o religiose.
L’art. 11 elenca una serie di categorie di beni
esistenti assoggettati a specifiche
disposizioni di tutela.
a) Gli affreschi, gli stemmi, i graffiti, le lapidi,
le iscrizioni, i tabernacoli ed altri elementi
decorativi di edifici esposti o no alla pubblica
via, per i quali è vietato senza
l’autorizzazione del soprintendente disporre
ed eseguire il loro distacco.
b) Per gli studi d’artista all’art. 51 è disposto
che è vietato modificare la destinazione
d’uso, rimuovere il contenuto costituito da
opere, documenti, cimeli e simili, qualora
esso – considerato nel suo insieme e in
relazione al contesto in cui è inserito – sia
dichiarato di interesse particolarmente
importante per il suo valore storico. Al
comma 2 del medesimo articolo è vietato
modificare la destinazione d’uso degli studi
d’artista rispondenti alla tradizionale
tipologia a lucernario.
c) Per quanto riguarda le aree pubbliche il
Codice dispone che i comuni, sentito il
Soprintendente, possono individuare le aree
pubbliche aventi valore archeologico,
storico, artistico e paesaggistico nelle quali
vietare o sottoporre a condizioni particolari
l’esercizio del commercio.
d) Sono assoggettate a precise
disposizioni di circolazione le opere di
pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi
oggetto d’arte di autore vivente o la cui
esecuzione non risalga ad oltre 50
anni.
e) Nelle categorie sono citate le opere
dell’architettura contemporanea di
particolare valore artistico, ai fini dei
contributi in conto interesse.
f) Le fotografie con relativi negativi e
matrici, gli esemplari di opere
cinematografiche, audiovisive o di
sequenze di immagini in movimento, le
documentazioni di manifestazioni
sonore o verbali, comunque realizzate,
la cui produzione risalga ad oltre 25
anni, la cui uscita dal territorio della
Repubblica deve essere soggetta ad
autorizzazione
g) I mezzi di trasporto aventi più di 75 anni,
sempre soggetti ad autorizzazione per
l’uscita dal territorio della Repubblica
h) i beni e gli strumenti di interesse per la
storia della scienza e della tecnica, aventi
più di 50 anni, per i quali è prevista
l’autorizzazione per l’uscita dallo Stato
i) le vestigia individuate dalla vigente
normativa in materia di tutela del patrimonio
storico della prima guerra mondiale per le
quali è vietato rimuovere cippi e monumenti.
ART.12
Il meccanismo della verifica dell’interesse
culturale di cui all’art. 12 del Codice è tra le
novità più significative operate dalla riforma
del 2004, tesa a correggere situazioni di
incertezza che sul piano pratico erano state
determinate dall’art. 4 della legge n.
1089/1939, che voleva tutelare il patrimonio
pubblico e quello di enti o istituti legalmente
riconosciuti.
L’art. 4 (ripreso successivamente dall’art. 5
del T.U. n. 490/1999 prevedeva che i
“rappresentanti delle province, dei comuni,
degli enti e degli istituti legalmente
riconosciuti dovessero presentare l’elenco
descrittivo delle cose di interesse culturale di
spettanza degli enti o istituti che essi
rappresentavano”.
Tuttavia le cose di interesse culturale
restavano sottoposte alle disposizioni della
legge anche se non risultavano comprese
negli elenchi. La genericità del testo
normativo e il fatto che gli enti non avessero
provveduto a redigere gli elenchi fece sì che
l’Amministrazione introducesse la prassi di
emanare la cosiddetta declaratoria che
costituiva una breve dichiarazione
dell’interesse culturale.
Con il D.P.R. n. 283/2000 (il cosiddetto
regolamento Melandri) veniva ribadita la
necessità di redigere i suddetti elenchi;
questi dovevano essere compilati sulla base
di un primo censimento del patrimonio
immobiliare pubblico del demanio degli enti
minori, sancendo l’inalienabilità (art. 6) di
quelli che non vi fossero inseriti. Inoltre una
volta ricevuti gli elenchi il ministero, su
istruttoria delle Soprintendenze, avrebbe
dovuto procedere all’individuazione di quelli
privi di interesse.
L’introduzione del Codice ha di fatto
bloccato la procedura prevista dal D.P.R. n.
283, vanificando gli sforzi compiuti per la
redazione degli elenchi inutilizzabili ai fini
della nuova procedura prevista dal D.Lgs. N.
42/2004.
Con l’art. 12 viene abbandonata
definitivamente l’idea degli elenchi, visto il
generalizzato inadempimento dell’obbligo di
provvedervi .
Tale procedura fu sostituita dall’idea che le
cose appartenenti a soggetti pubblici e a
privati non perseguenti scopi di lucro,
compresi gli enti ecclesiastici civilmente
riconosciuti, debbano essere sottoposte a
verifica dell’interesse, rimanendo fino al suo
esito assoggettate provvisoriamente e
cautelativamente alle norme di tutela.
Al procedimento di verifica devono essere
sottoposte tutte le cose immobili e mobili,
indicate al primo comma dell’art. 10,
appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri
enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro
ente ed istituto pubblico e a persone
giuridiche private senza fini di lucro, come
gli enti ecclesiastici e le associazioni onlus,
purché siano opera di autore non più
vivente, la cui esecuzione risalga ad oltre
settant’anni per le cose immobili o
cinquant’anni per le cose mobili.
Questi due elementi (cioè la morte
dell’autore e il requisito temporale)
costituiscono le condizioni obbligatorie per la
procedura di verifica. Nel caso che gli
immobili abbiano meno di settant’anni e
siano opera di autore vivente possono
essere dichiarati di interesse artistico ai
sensi della legge n. 633/1941 sul diritto
d’autore.
Oppure all’interno del Codice all’art. 11
comma e) e all’art. 37 c. 4, dove è previsto
che il contributo può essere concesso anche
per interventi conservativi su opere di
architettura contemporanea di cui il
Ministero abbia riconosciuto, su richiesta del
proprietario, il particolare valore artistico.
Inoltre una circolare ministeriale chiarisce
che dal novero degli immobili da sottoporre
a verifica devono essere esclusi i terreni
agricoli.
In previsione dell’entrata in vigore del
Codice, fissata al primo maggio 2004, il
Mibac e l’Agenzia del Demanio hanno
redatto un decreto dirigenziale (6 febbraio
2004) che ha stabilito le modalità di verifica
per gli immobili appartenenti allo Stato,
regioni, province e comuni e ad ogni altro
ente o istituto pubblico.
Un precedente decreto-legge n. 269 del 30
settembre 2003, convertito nella legge n.
326 del 24 novembre 2003 all’art. 27
anticipava il testo del decreto dirigenziale 6
febbraio 2004. Quest’ultimo prevedeva per
la prima volta l’ausilio del supporto
informatico, con la creazione di un database
destinato a raccogliere tutti i provvedimenti
di tutela relativi al patrimonio immobiliare
pubblico.
L’inoltro dei dati da parte dei soggetti
interessati è condizionato dalla preventiva
stipula di un apposito accordo con le varie
direzioni regionali competenti
territorialmente, che deve anche definire il
numero delle schede da inviare via web
nell’arco di un determinato spazio
temporale. Una volta ricevute dall’ente
interessato le schede contenenti i dati
relativi agli immobili, le direzioni regionali le
inoltrano alle Soprintendenze di settore.
Queste ultime compiono la fase istruttoria
del procedimento diretta ad accertare la
sussistenza dell’eventuale valore storico,
artistico, etnoantropologico e archeologico.
Prima della riforma operata dal D.Lgs. N.
156/2006 il procedimento di verifica doveva
essere concluso con un provvedimento
motivato entro 120 giorni dalla ricezione
delle schede.
In caso di silenzio si configurava come
equivalente ad un esito negativo della
verifica, a norma dell’art. 27 c. 10 del D.L. n.
269/2003. Successivamente con
l’integrazione della legge n. 156/2006 viene
precisato che il procedimento di verifica
deve essere concluso entro 120 giorni dal
ricevimento della richiesta.
Nell’ipotesi che entro il termine di 120 giorni
l’Amministrazione non abbia provveduto ad
adottare il provvedimento, al richiedente è
data la possibilità di diffidare il Ministero ad
adempiere ed in caso di perdurante silenzio
per i successivi trenta giorni, l’ente può agire
di fronte al giudice per ottenere il
provvedimento. Successivamente il D.M. 28
febbraio 2005 ha modificato le disposizioni
del D.D. 6 febbraio 2004, prevedendo
l’applicazione del termine di 120 giorni.
A distanza di otto mesi dall’entrata in vigore
del Codice, il Mibac ha adottato il decreto 25
gennaio 2005 riferito alla verifica
dell’interesse culturale dei beni immobili di
proprietà di persone private senza fini di
lucro.
Ricordiamo l’Accordo 8 marzo 2005
stipulato tra il Dipartimento per i beni
culturali e paesaggistici del Mibac e l’Ufficio
nazionale per i beni culturali ecclesiastici
della CEI.
In particolare è prevista la figura
dell’incaricato regionale che assume compiti
di responsabilità e di coordinamento nella
immissione dei dati relativi agli immobili
degli enti religiosi, di norma con un invio da
eseguirsi mensilmente entro i primi sette
giorni. Gli enti religiosi non hanno più
contatti diretti con le direzioni regionali e le
soprintendenze, ma si devono relazionare
con l’incaricato regionale che funge da filtro
tra struttura statale e ecclesiastica.
Da segnalare che la Cei utilizza un proprio
software da interfacciare con il sistema
online del Ministero. Tra le persone
giuridiche private senza fini di lucro rientrano
tutti quei soggetti che sono dotati di
personalità giuridica e non perseguono un
fine di lucro, come ad esempio gli enti
ecclesiastici legalmente riconosciuti, le
associazioni, le fondazioni e le altre
istituzioni private che abbiano acquistato la
personalità giuridica mediante un formale
riconoscimento.
Al comma 9 dell’art. 12 è precisato che le
disposizioni del presente articolo si
applicano alle cose di cui al comma 1 anche
qualora i soggetti cui esse appartengono
mutino in qualunque modo la loro natura
giuridica ad esempio con lo strumento della
privatizzazione.
Il 27 settembre 2006 a distanza di più di 2
anni dall’entrata in vigore del D.Lgs. N.
42/2004, il Ministero ha adottato un decreto
con cui ha esteso il procedimento di
informatizzazione anche alla verifica
dell'interesse culturale del patrimonio
mobiliare pubblico. Il decreto copia i
precedenti decreti sul patrimonio
immobiliare.
All'art. 1 ribadisce la competenza del
Ministero
ad
effettuare
la
verifica
dell'interesse mobiliare sia d'Ufficio, sia su
istanza di parte. L'art. 2 individua nelle
Direzioni regionali gli organi deputati a
definire, tramite accordi con i soggetti
pubblici e assimilati, le modalità di utilizzo
del modello informatico, i tempi di
trasmissione delle richieste e la loro
consistenza.
Gli articoli successivi ribadiscono lo stesso iter
procedimentale già previsto per il patrimonio
immobiliare.
Un ultimo provvedimento pubblico che deve essere
segnalato è il D.M. 22 febbraio 2007 con cui si sono
stabiliti i criteri e le modalità per la predisposizione e la
trasmissione degli elenchi e delle schede descrittive
dei beni immobili dello Stato in uso al Ministero della
difesa, individuati tra quelli ove si svolgono attività
relative ai circoli militari, ai magazzini di materiale vario
non classificato, agli ospedali militari da tutelare ai fini
della sicurezza militare.
Bisogna ricordare che le cose sottoposte a verifica ex
art. 12 sono solo quelle indicate all'art. 10 comma 1,
mentre sono escluse altre categorie di beni di
proprietà pubblica. In particolare non è prevista la
verifica per le cose indicate all'art. 10 comma 2
(raccolte di musei, pinacoteche, gallerie, altri luoghi
espositivi; archivi e singoli documenti, raccolte librarie
di biblioteche dello Stato, delle regioni, degli altri enti
pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente o istituto
pubblico).
Sono sottoposti a formale dichiarazione di interesse
culturale ai sensi dell'art. 13 del Codice le cose di
proprietà pubblica, mobili e immobili che rivestono
interesse particolarmente importante a causa del loro
riferimento con la storia politica, militare, della
letteratura, dell'arte, della scienza, della tecnica,
dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali
testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni
pubbliche, collettive o religiose.
Abbiamo visto che il legislatore ha graduato per le
cose immobili l'interesse culturale a seconda della
tipologia dell'ente intestatario del bene.
I beni oggetto di verifica (proprietà pubblica o privata
senza fini di lucro) vengono dichiarati di interesse,
quando hanno un semplice interesse culturale, mentre
per i beni di proprietà privata ci deve essere un
importante interesse culturale.
Lisa Mannu ha studiato gli ordinamenti di Francia,
Germania e Spagna, dove sono previsti diversi criteri
di valutazione e di tutela degli immobili a seconda
della valenza dei caratteri storico-artistici. Il
classement in Francia salvaguardia quegli edifici la cui
conservazione presenta un interesse pubblico perché
documenti essenziali della storia e dell'arte,
l'inscription à inventaire supplémentaire interessa
l'edilizia minore.
Il riconoscimento del pregio in Germania è
differenziato secondo tre sistemi diversi, mentre in
Spagna sono definite distinte categorie di beni che
vengono sottoposti a differenti gradi di protezione
(Bienes de Interés Cultural e Inventario General). Nei
suddetti paesi il parere sull'interesse culturale di un
bene viene espresso da un istituto collegiale, le
cosiddette commissioni composte da esperti e da
rappresentanti di vari enti. Il Codice non ha tenuto
conto di quanto si avvertiva da più parti cioè della
modulazione dell'interesse a seconda della natura e
dell'importanza dei beni culturali.
Il legislatore ha prospettato nel Codice una chiara
distinzione tra il procedimento di verifica e quello della
dichiarazione dell'importante interesse culturale. Nel
primo caso è stato creato ex novo il procedimento, nel
secondo caso è stato mantenuto inalterato il modello
procedimentale disegnato dalla precedente
legislazione. La dichiarazione è disciplinata dagli
articoli 13 e ss. del Codice e deve accertare nelle cose
immobili e mobili appartenenti a privati la sussistenza
di un interesse artistico, storico, archeologico o
etnoantropologico particolarmente importante ai sensi
dell'art. 10 comma 3 lettera a);
Oppure un interesse particolarmente importante delle
cose immobili e mobili a chiunque appartenenti a
causa del loro riferimento con la storia politica, militare,
della letteratura, dell'arte, della scienza, della tecnica,
dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali
testimonianza dell'identità e della storia delle istituzioni
pubbliche, collettive o religiose a chiunque
appartenenti. La valutazione di rilevante interesse del
bene rappresenta il risultato di un giudizio tecnicodiscrezionale e che può essere sindacato dal giudice
in caso di ricorso al Tar esclusivamente sotto il profilo
della congruità e della logica motivazione.
Anche se in realtà spesso i tribunali amministrativi regionali
hanno espresso valutazioni di tipo estetico sui fabbricati
vincolati dall'Amministrazione, ad esempio per il
calzaturificio Rossi Godi in stradone Porta Palio il Tar del
Veneto precisava che la motivazione del vincolo non poteva
essere cercata in meri caratteri esteriori del bene nel caso
specifico inesistenti, mentre lo stesso Tar per i magazzini
generali precisava che la valutazione del pregio culturale
era un'espressione di discrezionalità tecnica sindacabile
solo sotto il profilo della congruità e della logicità della
motivazione. L'Amministrazione cioè possiede tutte le
conoscenze scientifiche e tecniche per poter esprimere le
necessarie valutazioni e può utilizzare quei mezzi e quei
modi che ritenga legittimi in piena libertà.
Il provvedimento è costituito da un decreto, da una
relazione storico-artistica e dall'estratto di mappa che
individua catastalmente l'immobile. La relazione
storico-artistica costituisce la parte essenziale del
provvedimento perché contiene il ragionamento –
logicamente coerente – effettuato nella dichiarazione
di interesse, avvalendosi delle proprie cognizioni
tecnico-scientifiche supportate da altri strumenti come
pubblicazioni, documenti d'archivio, studi, indagini
ecc., che possono essere state eseguite direttamente
dalla stessa Amministrazione o da terzi qualificati. La
dichiarazione dell'importante interesse (come la
verifica peraltro) è il risultato di un giudizio che ha un
grado notevole di soggettività.
La giurisprudenza ha chiarito che l'Amministrazione ha
il diritto di istruire un procedimento di vincolo per
propria libera scelta. L'art. 14 del Codice precisa che il
Soprintendente avvia il procedimento anche su
motivata richiesta della regione o di ogni altro ente
territoriale interessato e questo giustamente nell'ottica
di una fattiva collaborazione tra istituti impegnati sul
territorio. La formale richiesta degli organi territoriali
impone alla Soprintendenza un'indagine e una
valutazione che si deve concretare nell'avvio del
procedimento o in un diniego motivato. Mentre
l'amministrazione non è obbligata ad attivarsi su
istanza dei privati, perché tali richieste non hanno
valore cogente, ma devono essere considerate mere
segnalazioni.
L'elevato numero di sollecitazioni dei privati è motivato
dai vantaggi fiscali (quali ad esempio la riduzione
dell'ICI o dell'IRPEF ecc.), che il vincolo monumentale
comporta su edifici spesso ad alta rendita catastale.
Pertanto se in passato il diritto di proprietà si
comprimeva coesistendo su un immobile due diritti
dominicali (quello del privato e quello dello Stato), ora
il sacrificio del privato è largamente compensato dai
vantaggi economici. E questo è dimostrato dal fatto
che i cittadini ricorrono ai Tar per far annullare
eventuali provvedimenti di rettifica o di revoca dei
vecchi provvedimenti.
A Verona ad esempio negli anni successivi al secondo
conflitto mondiale il Soprintendente vincolò molti edifici
del centro storico, utilizzando il vincolo come unico
strumento di controllo della ricostruzione del centro
storico distrutto dai bombardamenti, in opposizione ai
piani di ricostruzione e regolatore predisposti da Plinio
Marconi nell'ottica di dare un nuovo assetto
architettonico-urbanistico ad alcune aree della città. A
distanza di mezzo secolo erano numerosi gli edifici
veronesi ricostruiti negli anni cinquanta-sessanta sui
quali erano ancora vigenti vecchi provvedimenti di
vincolo.
La campagna di correzione dei vecchi decreti avviata
dalla Soprintendenza ha scatenato la reazione dei
proprietari che hanno osteggiato in ambito
giurisdizionale il riesame dell'amministrazione
appellandosi a coerenze valutative e ravvisando negli
atti amministrativi un eccesso di potere per non
perdere appunto i privilegi economici.
Tuttavia il Consiglio di Stato ha deliberato che la
ragione del vincolo non è attribuire un beneficio
fiscale, ma accertare il merito di un regime di tutela.
L'attività tecnico-discrezionale dell'Amministrazione si
esplicita in tre momenti: l'accertamento, la valutazione
e la determinazione volitiva. Nell'ordinamento italiano
fino al 1990, anno in cui entrò in vigore la legge n. 241
che ha normato la materia del procedimento
amministrativo, l'attività della P.A. In materia
vincolistica non era assoggettata ad obblighi nei
confronti dei proprietari possessori o detentori degli
immobili. La legge n. 1089/1939 non regolava il
procedimento, lasciando libera l'Amministrazione sulle
modalità dell'istruttoria salvo l'obbligo di notificare –
tramite il messo comunale – agli interessati il
provvedimento e trascriverlo presso i pubblici registri,
cioè presso la Conservatoria, costituendo quest'ultima
procedura una totale novità rispetto alla legge di tutela
precedente (l. n. 364/1909).
Le Soprintendenze lavoravano anche senza precisi
indirizzi unitari. Fu solo con la circolare n. 14 del
11.1.1986 che l'Ufficio centrale per i beni A.A.A.A.S.
Uniformò dal punto di vista formale i provvedimenti
imponendo un modello esemplificativo che doveva
essere composto dal decreto vero e proprio e dagli
allegati quali parti integranti: la relazione storicoartistica, l'elenco dei proprietari destinatari di notifica e
la planimetria con la perimetrazione grafica
dell'immobile. Questa fu una novità di particolare
importanza perché la visualizzazione anche grafica del
catastale ha eliminato qualsiasi incertezza in merito
all'estensione del vincolo, problema costante di tutti i
provvedimenti antecedenti a tale data e privi di mappa.
Un'ulteriore circolare del 1989 ha revisionato gli
schemi di decreto, eliminando l'elenco dei destinatari
di notifica allo scopo di rendere più celere la procedura
e permettendo così di inoltrare la proposta di vincolo al
superiore Ministero allora competente,
indipendentemente dall’accertamento dei proprietari.
La citata circolare dava anche indicazioni
procedimentali per il reperimento dei dati dei
proprietari, che avrebbero dovuto essere richiesti agli
uffici tecnici erariali (ora Agenzie del territorio) alle
Conservatorie dei registri immobiliari (ora Servizi di
pubblicità immobiliare) e alle Anagrafi, interpellando in
caso di grave urgenza il Nucleo del patrimonio artistico
dei Carabinieri. Ora c’è la possibilità di reperire questi
dati on-line.
Dopo l’entrata in vigore della legge n. 241/1990 e in
particolare dell’art. 7 che impone l’obbligo della
comunicazione dell’avvio del procedimento è divenuta
prioritaria la necessità di reperire prima dell’istruttoria i dati
dei proprietari. L’applicazione dell’avviso dell’avvio del
procedimento anche all’iter del vincolo storico-artistico non
fu esente da discussioni, che vennero condotte in sede
giurisdizionale. All’interno del Consiglio di Stato la sezione
II si preoccupava giustamente che la preventiva
comunicazione potesse compromettere l’efficacia
dell’effetto sorpresa, poiché non erano previste dalla
normativa della legge n. 1089/1939 misure cautelari (salvo
la sospensione dei lavori ai sensi dell’art. 20) a
salvaguardia del bene stesso, nelle more dell’istruttoria.
La VI sezione del Consiglio di Stato riteneva
obbligatoria la comunicazione anche nel
procedimento di vincolo, a garanzia degli interesse
coinvolti, salvo esigenze di particolare celerità che
comunque andavano motivate. Fu incaricata di
dirimere la questione una commissione speciale
del Consiglio di Stato che con parere del 12
gennaio 1998 impose l’obbligo dell’avviso di avvio
del procedimento anche alle dichiarazioni di
interesse. La Soprintendenza – in assenza di
istruzioni ministeriali – ricercò sempre l’appoggio
delle amministrazioni comunali allo scopo di
garantire l’incolumità dei beni da alterazioni che
avrebbero vanificato l’azione pubblica dello Stato.
La legge 241/90, caposaldo di una riforma amministrativa
che venne realizzata dal 1997 in poi con una vera e propria
valanga di leggi e di decreti legislativi, impone una nuova
figura, il responsabile del procedimento e soprattutto
obbliga l’amministrazione pubblica a valutare eventuali
memorie scritte e documenti presentati da quanti hanno la
facoltà di intervenire nel procedimento, ad esempio i
portatori di pubblici interessi o di interessi privati o di
interessi diffusi che si sono costituiti in associazioni o
comitati, ai quali può derivare un pregiudizio dal
provvedimento.
Con decreto ministeriale n. 495/1994, rettificato
recentemente con D. n. 231/2010, il Ministero ha
individuato le unità organizzative responsabili dei
procedimenti e la durata degli stessi.
Il decreto citato individua quale responsabile del
procedimento il dirigente dell’unità organizzativa della
divisione III dell’Ufficio centrale, divenuto poi il dirigente
regionale per i beni culturali e paesaggistici a seguito delle
riforme del Ministero (n. 368/1998, n. 441/2000, n.
233/2007), mentre viene definita la durata del
procedimento pari a 210 giorni, ora 120. L’esame di
eventuali memorie, documenti ed osservazioni di quanti
abbiano titolo e interesse deve avvenire in un periodo pari
a 2/3 del periodo fissato per la durata del procedimento
pari a 140 giorni, ora 80.
L’adempimento della comunicazione dell’avvio del
procedimento e dell’esame delle osservazioni dei privati da
parte dell’Amministrazione è fondamentale, pena
l’annullamento del provvedimento per vizi formali in caso di
impugnativa.
Il Codice negli articoli 13-14-15- ha disciplinato il
procedimento amministrativo della dichiarazione
dell’interesse. Viene confermata l’iniziativa d’ufficio ad
opera delle Soprintendenze che sono competenti per
quanto riguarda l’istruttoria, e prevista l’avvio su motivata
richiesta degli enti territoriali interessati. La competenza
per quanto riguarda l’emanazione del provvedimento è
del direttore regionale a cui il D.P.R. n. 233/2007 ha
attribuito appunto le materie di adozione dei
provvedimenti di tutela diretta ed indiretta e di verifica
dell’interesse culturale del patrimonio immobiliare e
mobiliare.
I destinatari del provvedimento non sono solo i proprietari
ma anche i possessori e i detentori, questo per poter
intervenire efficacemente anche nei confronti di chi
essendo in contatto immediato con la cosa avrebbe potuto
modificare la situazione materiale e giuridica del bene. La
comunicazione di avvio del procedimento si adegua
necessariamente alle prescrizioni dettate dalla normativa
generale in tema di procedimento amministrativo, cioè alla
legge n. 241/90 rettificato dalla legge n. 15. Il Codice da
questo punto di vista non fa che riprodurre le indicazioni già
contenute nel D.Lgs. N. 490/1999, differenziandosi per
alcuni aspetti. L’art. 7 del T.U. adeguava il procedimento
alla l. 241 allo scopo di rendere efficiente e trasparente il
procedimento, consentendo la partecipazione dei soggetti
interessati al provvedimento finale.
Alcuni problemi interpretativi sono sorti sulla competenza
all’avvio del procedimento in seguito alla
riorganizzazione ministeriale avvenuta nel 2000 con
l’istituzione delle Soprintendenze regionali (poi Direzioni
regionali). L’art. 7 del T.U. stabiliva che doveva avviare il
procedimento il Ministero, senza specificare quale
ufficio, vista la particolare articolazione territoriale
regionale, dove coesistono le Soprintendenze e le
Direzioni regionali. L’Ufficio legislativo del Ministero in
data 10 giugno 2002 ha provveduto a definire l’organo
competente, che era individuato nelle Direzioni regionali,
mentre il compito delle Soprintendenze era quello di
formulare la proposta.
L’art. 14 del Codice modifica tale situazione in riferimento al
soggetto competente alla comunicazione dell’avvio,
individuando tale figura nel Soprintendente di settore. L’avvio
può essere d’ufficio, oppure su motivata richiesta della
Regione e di ogni altro ente territoriale interessato. La
comunicazione deve contenere gli elementi identificativi del
bene e anche gli elementi valutativi che risultano dalle prime
indagini. Da questo sembra di capire che la comunicazione
costituisce un momento distinto che può precedere anche di
un po’ di tempo l’istruttoria vera e propria. In realtà si fanno
coesistere i due momenti per ovvie ragioni operative. La
comunicazione deve contenere anche l’indicazione degli
effetti cautelari e il termine per la presentazione di eventauli
osservazioni.
Per quanto riguarda la durata del termine entro cui
l’interessato può inoltrare le sue memorie, il Codice
all’art. 14 comma 2 precisa che non può essere inferiore
ai trenta giorni, che è un termine minimo, in realtà nel
decreto min. n. 495/1994 all’art. 5 comma 2 è stabilito
che i soggetti ammessi a partecipare al procedimento
possono presentare documenti e memorie entro un
termine pari a 2/3 di quello fissato per la durata del
procedimento, ora 80 giorni su 120, in passato 140 su
210. In questo senso si è espresso anche il Consiglio di
stato che ha precisato che tale periodo non può essere
assolutamente compresso dall’ufficio competente pur nel
lodevole intento di accelerare la conclusione del
procedimento.
Se il procedimento di dichiarazione di interesse riguarda
complessi immobiliari, la comunicazione di avvio va
mandata anche al Comune e alla città metropolitana. La
comunicazione comporta l’applicazione in via cautelare
delle disposizioni in merito alla vigilanza ed ispezione
(capo II del titolo I parte II del codice), alle misure di
protezione (sezione I capo II), alle alienazioni ed altri
modi di trasmissione (sezione I capo IV).
Gli effetti cautelari cessano alla scadenza del termine del
procedimento. In questo caso si possono verificare tre
ipotesi:
- Il provvedimento interviene prima della scadenza del
termine finale con assorbimento integrale degli effetti
cautelari del regime di tutela prevista;
- Oppure l’Amministrazione non riesce a rispettare il
termine finale del procedimento, per cui gli effetti
cautelari vengono meno lasciando sprovvista la cosa di
tutela.
- L’Amministrazione conclude il procedimento con esito
negativo determinando la cessazione del regime
cautelare di tutela.
In ogni caso il provvedimento da parte dell’A. può giungere
anche oltre la scadenza del termine finale,
determinandosi come conseguenza l’inapplicabilità del
regime cautelare tra quel momento e l’adizione del
provvedimento tardivo,
Nella comunicazione dell’avvio deve essere indicato anche
il responsabile del procedimento che è il direttore
regionale. Il provvedimento finale assume forma scritta
con una congrua motivazione che è contenuta nella
relazione storico-artistica. Quando la dichiarazioni di
interesse ha ad oggetto beni immobili o mobili registrati,
dopo la notifica della dichiarazione con raccomandata
con A.R. o tramite il messo comunale, che viene
effettuata dalla Direzione regionale, il provvedimento
viene trascritto ai sensi dell’art. 15 comma 2 per
iniziativa del Soprintendente.
La novella del 2008 (n. 62/2008) ha introdotto il comma 2
bis dell’articolo 15 che riconosce l’obbligo del ministero
di formare e conservare un apposito elenco anche su
supporto informatico. La disposizione è in collegamento
con il comma 8 dell’art. 12 che dispone la costituzione di
un archivio informatico dove confluiscono le schede
descrittive degli immobili di proprietà dello Stato oggetto
di verifica con esito positivo. L’archivio è stato costituito
per finalità di monitoraggio e di programmazione degli
interventi pubblici.
Il ricorso amministrativo contro la dichiarazione è una delle
novità di rilievo previste dal Codice e costituisce una
forma di recupero della funzione di controllo di merito e
di legittimità della stessa A. sui propri provvedimenti.
Offre la possibilità ai ricorrenti di far rilevare sul piano
tecnico eventuali vizi dell’atto. Il ricorso è presentato al
ministero entro 30 giorni dalla notifica della dichiarazione
sia per l’art. 12 che per l’art. 13. L’organo preposto alla
materia del ricorso è il dirigente della Direzione
competente. Il ricorso deve essere deciso entro 90 giorni
dalla presentazione, sentito il competente organo
consultivo che è il comitato tecnico-scientifico di
riferimento.
La proposizione del ricorso comporta la sospensione degli
effetti del provvedimento e l’applicazione – in via
cautelare – delle stesse disposizioni di tutela che si
applicano nel momento d’avvio del procedimento. La
decisione di accoglimento del ricorso comporta
l’annullamento o la riforma dell’atto impugnato. Decorso
il termine senza l’adozione della decisione è da
intendersi come silenzio-rigetto come è disposto dal
D.P.R. n. 199 del 1971. Contro il provvedimento è
possibile effettuare in alternativa il ricorso straordinario al
presidente della Repubblica o il ricorso giurisdizionale
presso il Tar competente.
La sezione III del capo III del Codice è dedicata ad una
serie di norme di protezione dei beni culturali (tutela
indiretta, autorizzazioni per mostre ed esposizioni,
collocazione di manifesti e cartelli pubblicitari, distacco di
beni culturali, studi d’artista, esercizio del commercio in
aree di valore culturale). La tutela indiretta è regolata
dagli articoli 45-46-47. Le norme non fanno altro che
confermare la disciplina sostanziale contenuta nel T.U.
490/1999. Si tratta di limitazioni che l’A. dispone circa
l’uso di beni immobili contigui, confinanti o prossimi ad
un bene culturale oggetto di tutela diretta.
La tutela indiretta deve necessariamente interessare beni
immobili e trova giustificazione solo in relazione ad un
altro provvedimento di vincolo diretto.
Il Codice all’art. 45 stabilisce che il Ministero ha la facoltà di
stabilire prescrizioni dirette ad evitare che sia messa in
pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, ne sia
danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate
le condizioni di ambiente e di decoro.
L’art. 46 precisa che avvia il procedimento il
Soprintendente, anche su motivata richiesta della
Regione o di altri enti pubblici territoriali interessati,
dandone comunicazione al proprietario, possesore o
detentore a qualsiasi titolo dell’immobile cui le
prescrizioni si riferiscono.
Nel caso in cui la comunicazione risulti particolarmente
gravosa per il numero dei destinatari, essa potrà essere
resa mediante idonee forme di pubblicità. La
comunicazione dell’avvio del procedimento dovrà
contenere l’individuazione dell’immobile per il quale si
prevedono le prescrizioni e i contenuti delle stesse.
Tra gli effetti della comunicazione vi è anche quello della
temporanea immodificabilità limitatamente agli aspetti
cui si riferiscono le prescrizioni. La proposta viene
esaminata nell’ambito del Comitato regionale di
coordinamento, che è un’assemblea cui partecipano i
dirigenti degli istituti periferici del Ministero, ed è
presieduto dal direttore regionale.
Contro il provvedimento di tutela indiretta è ammesso il
ricorso al Ministero, ma a differenza di quello di tutela
diretta la proposizione del ricorso non comporta la
sospensione degli effetti del provvedimento impugnato.
Uno degli aspetti maggiormente discussi è quello relativo
ai limiti del diritto di proprietà che viene inevitabilmente
compresso dalle prescrizioni.
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