Già nel testo unico n. 490/1999, che ha riorganizzato la legislazione vigente, era stata estesa la definizione di bene culturale a nuove categorie di beni. Si tratta delle collezioni demoetnoantropologiche, le fotografie, gli esemplari di opere cinematografiche la cui produzione risalga a oltre 25 anni. Nel D.Lgs. N. 42/2004 che regola la tutela dei beni culturali, i beni culturali sono divisi in tre aree: - La prima area è individuata al comma 1 e riguarda le cose immobili – che abbiano più di settant’anni e siano di autore defunto e le mobili con più di settant’anni per gli immobili e di cinquant per le opere mobili – di proprietà dello Stato, delle regioni e di altri enti pubblici territoriali (province e comuni), nonché di enti e istituti pubblici e persone giuridiche private senza fini di lucro comprendenti gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti purché presentino interesse culturale. Per questi beni trova applicazione la verifica dell’interesse culturale. - La seconda area è rappresentata al comma 2 dell’articolo 10 ed è costituita da una serie di beni che appartengono a soggetti pubblici (Stato, regioni e altri enti pubblici territoriali, ogni altro ente ed istituto pubblico) per i quali l’interesse culturale è ritenuto sussistere ex se, come nel caso di raccolte di musei, pinacoteche, gallerie ed altri luoghi espositivi, archivi, documenti e raccolte librarie. - La terza area (3 comma) riguarda tutti i beni appartenenti ai privati per i quali è prevista la procedura di cui all’art. 13 e ss. del D.Lgs. N. 42/2004. Nel Codice l’interesse è graduato, infatti al comma 1 dell’art. 10 di prevalente appartenenza pubblica, la disposizione richiama la semplice presenza di interesse. Il comma 3 lettera a, per le cose appartenenti a privati la norma richiede che presentino un interesse particolarmente importante. Al comma 10 dell’art. 11 vi è un’elencazione di beni che riprendono quelli già citati nel T.U. con alcune innovazioni come le pubbliche piazze, le vie, le strade ed altri spazi aperti di interesse artistico o storico e le architetture rurali aventi interesse storico od etnoantropologico quali testimonianze dell’economia rurale tradizionale. L’ultimo comma dell’art. 10 conferma il limite degli oltre 50 (ora 70) anni dall’esecuzione e il fatto di non essere opera di autore vivente, modificato con il D.L. n. 70/2011 Il comma 3 lettera d) riconosce come beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall’art. 13, quelle cose immobili o mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica e dell’industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose. L’art. 11 elenca una serie di categorie di beni esistenti assoggettati a specifiche disposizioni di tutela. a) Gli affreschi, gli stemmi, i graffiti, le lapidi, le iscrizioni, i tabernacoli ed altri elementi decorativi di edifici esposti o no alla pubblica via, per i quali è vietato senza l’autorizzazione del soprintendente disporre ed eseguire il loro distacco. b) Per gli studi d’artista all’art. 51 è disposto che è vietato modificare la destinazione d’uso, rimuovere il contenuto costituito da opere, documenti, cimeli e simili, qualora esso – considerato nel suo insieme e in relazione al contesto in cui è inserito – sia dichiarato di interesse particolarmente importante per il suo valore storico. Al comma 2 del medesimo articolo è vietato modificare la destinazione d’uso degli studi d’artista rispondenti alla tradizionale tipologia a lucernario. c) Per quanto riguarda le aree pubbliche il Codice dispone che i comuni, sentito il Soprintendente, possono individuare le aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico nelle quali vietare o sottoporre a condizioni particolari l’esercizio del commercio. d) Sono assoggettate a precise disposizioni di circolazione le opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d’arte di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre 50 anni. e) Nelle categorie sono citate le opere dell’architettura contemporanea di particolare valore artistico, ai fini dei contributi in conto interesse. f) Le fotografie con relativi negativi e matrici, gli esemplari di opere cinematografiche, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento, le documentazioni di manifestazioni sonore o verbali, comunque realizzate, la cui produzione risalga ad oltre 25 anni, la cui uscita dal territorio della Repubblica deve essere soggetta ad autorizzazione g) I mezzi di trasporto aventi più di 75 anni, sempre soggetti ad autorizzazione per l’uscita dal territorio della Repubblica h) i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica, aventi più di 50 anni, per i quali è prevista l’autorizzazione per l’uscita dallo Stato i) le vestigia individuate dalla vigente normativa in materia di tutela del patrimonio storico della prima guerra mondiale per le quali è vietato rimuovere cippi e monumenti. ART.12 Il meccanismo della verifica dell’interesse culturale di cui all’art. 12 del Codice è tra le novità più significative operate dalla riforma del 2004, tesa a correggere situazioni di incertezza che sul piano pratico erano state determinate dall’art. 4 della legge n. 1089/1939, che voleva tutelare il patrimonio pubblico e quello di enti o istituti legalmente riconosciuti. L’art. 4 (ripreso successivamente dall’art. 5 del T.U. n. 490/1999 prevedeva che i “rappresentanti delle province, dei comuni, degli enti e degli istituti legalmente riconosciuti dovessero presentare l’elenco descrittivo delle cose di interesse culturale di spettanza degli enti o istituti che essi rappresentavano”. Tuttavia le cose di interesse culturale restavano sottoposte alle disposizioni della legge anche se non risultavano comprese negli elenchi. La genericità del testo normativo e il fatto che gli enti non avessero provveduto a redigere gli elenchi fece sì che l’Amministrazione introducesse la prassi di emanare la cosiddetta declaratoria che costituiva una breve dichiarazione dell’interesse culturale. Con il D.P.R. n. 283/2000 (il cosiddetto regolamento Melandri) veniva ribadita la necessità di redigere i suddetti elenchi; questi dovevano essere compilati sulla base di un primo censimento del patrimonio immobiliare pubblico del demanio degli enti minori, sancendo l’inalienabilità (art. 6) di quelli che non vi fossero inseriti. Inoltre una volta ricevuti gli elenchi il ministero, su istruttoria delle Soprintendenze, avrebbe dovuto procedere all’individuazione di quelli privi di interesse. L’introduzione del Codice ha di fatto bloccato la procedura prevista dal D.P.R. n. 283, vanificando gli sforzi compiuti per la redazione degli elenchi inutilizzabili ai fini della nuova procedura prevista dal D.Lgs. N. 42/2004. Con l’art. 12 viene abbandonata definitivamente l’idea degli elenchi, visto il generalizzato inadempimento dell’obbligo di provvedervi . Tale procedura fu sostituita dall’idea che le cose appartenenti a soggetti pubblici e a privati non perseguenti scopi di lucro, compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, debbano essere sottoposte a verifica dell’interesse, rimanendo fino al suo esito assoggettate provvisoriamente e cautelativamente alle norme di tutela. Al procedimento di verifica devono essere sottoposte tutte le cose immobili e mobili, indicate al primo comma dell’art. 10, appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fini di lucro, come gli enti ecclesiastici e le associazioni onlus, purché siano opera di autore non più vivente, la cui esecuzione risalga ad oltre settant’anni per le cose immobili o cinquant’anni per le cose mobili. Questi due elementi (cioè la morte dell’autore e il requisito temporale) costituiscono le condizioni obbligatorie per la procedura di verifica. Nel caso che gli immobili abbiano meno di settant’anni e siano opera di autore vivente possono essere dichiarati di interesse artistico ai sensi della legge n. 633/1941 sul diritto d’autore. Oppure all’interno del Codice all’art. 11 comma e) e all’art. 37 c. 4, dove è previsto che il contributo può essere concesso anche per interventi conservativi su opere di architettura contemporanea di cui il Ministero abbia riconosciuto, su richiesta del proprietario, il particolare valore artistico. Inoltre una circolare ministeriale chiarisce che dal novero degli immobili da sottoporre a verifica devono essere esclusi i terreni agricoli. In previsione dell’entrata in vigore del Codice, fissata al primo maggio 2004, il Mibac e l’Agenzia del Demanio hanno redatto un decreto dirigenziale (6 febbraio 2004) che ha stabilito le modalità di verifica per gli immobili appartenenti allo Stato, regioni, province e comuni e ad ogni altro ente o istituto pubblico. Un precedente decreto-legge n. 269 del 30 settembre 2003, convertito nella legge n. 326 del 24 novembre 2003 all’art. 27 anticipava il testo del decreto dirigenziale 6 febbraio 2004. Quest’ultimo prevedeva per la prima volta l’ausilio del supporto informatico, con la creazione di un database destinato a raccogliere tutti i provvedimenti di tutela relativi al patrimonio immobiliare pubblico. L’inoltro dei dati da parte dei soggetti interessati è condizionato dalla preventiva stipula di un apposito accordo con le varie direzioni regionali competenti territorialmente, che deve anche definire il numero delle schede da inviare via web nell’arco di un determinato spazio temporale. Una volta ricevute dall’ente interessato le schede contenenti i dati relativi agli immobili, le direzioni regionali le inoltrano alle Soprintendenze di settore. Queste ultime compiono la fase istruttoria del procedimento diretta ad accertare la sussistenza dell’eventuale valore storico, artistico, etnoantropologico e archeologico. Prima della riforma operata dal D.Lgs. N. 156/2006 il procedimento di verifica doveva essere concluso con un provvedimento motivato entro 120 giorni dalla ricezione delle schede. In caso di silenzio si configurava come equivalente ad un esito negativo della verifica, a norma dell’art. 27 c. 10 del D.L. n. 269/2003. Successivamente con l’integrazione della legge n. 156/2006 viene precisato che il procedimento di verifica deve essere concluso entro 120 giorni dal ricevimento della richiesta. Nell’ipotesi che entro il termine di 120 giorni l’Amministrazione non abbia provveduto ad adottare il provvedimento, al richiedente è data la possibilità di diffidare il Ministero ad adempiere ed in caso di perdurante silenzio per i successivi trenta giorni, l’ente può agire di fronte al giudice per ottenere il provvedimento. Successivamente il D.M. 28 febbraio 2005 ha modificato le disposizioni del D.D. 6 febbraio 2004, prevedendo l’applicazione del termine di 120 giorni. A distanza di otto mesi dall’entrata in vigore del Codice, il Mibac ha adottato il decreto 25 gennaio 2005 riferito alla verifica dell’interesse culturale dei beni immobili di proprietà di persone private senza fini di lucro. Ricordiamo l’Accordo 8 marzo 2005 stipulato tra il Dipartimento per i beni culturali e paesaggistici del Mibac e l’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della CEI. In particolare è prevista la figura dell’incaricato regionale che assume compiti di responsabilità e di coordinamento nella immissione dei dati relativi agli immobili degli enti religiosi, di norma con un invio da eseguirsi mensilmente entro i primi sette giorni. Gli enti religiosi non hanno più contatti diretti con le direzioni regionali e le soprintendenze, ma si devono relazionare con l’incaricato regionale che funge da filtro tra struttura statale e ecclesiastica. Da segnalare che la Cei utilizza un proprio software da interfacciare con il sistema online del Ministero. Tra le persone giuridiche private senza fini di lucro rientrano tutti quei soggetti che sono dotati di personalità giuridica e non perseguono un fine di lucro, come ad esempio gli enti ecclesiastici legalmente riconosciuti, le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni private che abbiano acquistato la personalità giuridica mediante un formale riconoscimento. Al comma 9 dell’art. 12 è precisato che le disposizioni del presente articolo si applicano alle cose di cui al comma 1 anche qualora i soggetti cui esse appartengono mutino in qualunque modo la loro natura giuridica ad esempio con lo strumento della privatizzazione. Il 27 settembre 2006 a distanza di più di 2 anni dall’entrata in vigore del D.Lgs. N. 42/2004, il Ministero ha adottato un decreto con cui ha esteso il procedimento di informatizzazione anche alla verifica dell'interesse culturale del patrimonio mobiliare pubblico. Il decreto copia i precedenti decreti sul patrimonio immobiliare. All'art. 1 ribadisce la competenza del Ministero ad effettuare la verifica dell'interesse mobiliare sia d'Ufficio, sia su istanza di parte. L'art. 2 individua nelle Direzioni regionali gli organi deputati a definire, tramite accordi con i soggetti pubblici e assimilati, le modalità di utilizzo del modello informatico, i tempi di trasmissione delle richieste e la loro consistenza. Gli articoli successivi ribadiscono lo stesso iter procedimentale già previsto per il patrimonio immobiliare. Un ultimo provvedimento pubblico che deve essere segnalato è il D.M. 22 febbraio 2007 con cui si sono stabiliti i criteri e le modalità per la predisposizione e la trasmissione degli elenchi e delle schede descrittive dei beni immobili dello Stato in uso al Ministero della difesa, individuati tra quelli ove si svolgono attività relative ai circoli militari, ai magazzini di materiale vario non classificato, agli ospedali militari da tutelare ai fini della sicurezza militare. Bisogna ricordare che le cose sottoposte a verifica ex art. 12 sono solo quelle indicate all'art. 10 comma 1, mentre sono escluse altre categorie di beni di proprietà pubblica. In particolare non è prevista la verifica per le cose indicate all'art. 10 comma 2 (raccolte di musei, pinacoteche, gallerie, altri luoghi espositivi; archivi e singoli documenti, raccolte librarie di biblioteche dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente o istituto pubblico). Sono sottoposti a formale dichiarazione di interesse culturale ai sensi dell'art. 13 del Codice le cose di proprietà pubblica, mobili e immobili che rivestono interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose. Abbiamo visto che il legislatore ha graduato per le cose immobili l'interesse culturale a seconda della tipologia dell'ente intestatario del bene. I beni oggetto di verifica (proprietà pubblica o privata senza fini di lucro) vengono dichiarati di interesse, quando hanno un semplice interesse culturale, mentre per i beni di proprietà privata ci deve essere un importante interesse culturale. Lisa Mannu ha studiato gli ordinamenti di Francia, Germania e Spagna, dove sono previsti diversi criteri di valutazione e di tutela degli immobili a seconda della valenza dei caratteri storico-artistici. Il classement in Francia salvaguardia quegli edifici la cui conservazione presenta un interesse pubblico perché documenti essenziali della storia e dell'arte, l'inscription à inventaire supplémentaire interessa l'edilizia minore. Il riconoscimento del pregio in Germania è differenziato secondo tre sistemi diversi, mentre in Spagna sono definite distinte categorie di beni che vengono sottoposti a differenti gradi di protezione (Bienes de Interés Cultural e Inventario General). Nei suddetti paesi il parere sull'interesse culturale di un bene viene espresso da un istituto collegiale, le cosiddette commissioni composte da esperti e da rappresentanti di vari enti. Il Codice non ha tenuto conto di quanto si avvertiva da più parti cioè della modulazione dell'interesse a seconda della natura e dell'importanza dei beni culturali. Il legislatore ha prospettato nel Codice una chiara distinzione tra il procedimento di verifica e quello della dichiarazione dell'importante interesse culturale. Nel primo caso è stato creato ex novo il procedimento, nel secondo caso è stato mantenuto inalterato il modello procedimentale disegnato dalla precedente legislazione. La dichiarazione è disciplinata dagli articoli 13 e ss. del Codice e deve accertare nelle cose immobili e mobili appartenenti a privati la sussistenza di un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante ai sensi dell'art. 10 comma 3 lettera a); Oppure un interesse particolarmente importante delle cose immobili e mobili a chiunque appartenenti a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianza dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose a chiunque appartenenti. La valutazione di rilevante interesse del bene rappresenta il risultato di un giudizio tecnicodiscrezionale e che può essere sindacato dal giudice in caso di ricorso al Tar esclusivamente sotto il profilo della congruità e della logica motivazione. Anche se in realtà spesso i tribunali amministrativi regionali hanno espresso valutazioni di tipo estetico sui fabbricati vincolati dall'Amministrazione, ad esempio per il calzaturificio Rossi Godi in stradone Porta Palio il Tar del Veneto precisava che la motivazione del vincolo non poteva essere cercata in meri caratteri esteriori del bene nel caso specifico inesistenti, mentre lo stesso Tar per i magazzini generali precisava che la valutazione del pregio culturale era un'espressione di discrezionalità tecnica sindacabile solo sotto il profilo della congruità e della logicità della motivazione. L'Amministrazione cioè possiede tutte le conoscenze scientifiche e tecniche per poter esprimere le necessarie valutazioni e può utilizzare quei mezzi e quei modi che ritenga legittimi in piena libertà. Il provvedimento è costituito da un decreto, da una relazione storico-artistica e dall'estratto di mappa che individua catastalmente l'immobile. La relazione storico-artistica costituisce la parte essenziale del provvedimento perché contiene il ragionamento – logicamente coerente – effettuato nella dichiarazione di interesse, avvalendosi delle proprie cognizioni tecnico-scientifiche supportate da altri strumenti come pubblicazioni, documenti d'archivio, studi, indagini ecc., che possono essere state eseguite direttamente dalla stessa Amministrazione o da terzi qualificati. La dichiarazione dell'importante interesse (come la verifica peraltro) è il risultato di un giudizio che ha un grado notevole di soggettività. La giurisprudenza ha chiarito che l'Amministrazione ha il diritto di istruire un procedimento di vincolo per propria libera scelta. L'art. 14 del Codice precisa che il Soprintendente avvia il procedimento anche su motivata richiesta della regione o di ogni altro ente territoriale interessato e questo giustamente nell'ottica di una fattiva collaborazione tra istituti impegnati sul territorio. La formale richiesta degli organi territoriali impone alla Soprintendenza un'indagine e una valutazione che si deve concretare nell'avvio del procedimento o in un diniego motivato. Mentre l'amministrazione non è obbligata ad attivarsi su istanza dei privati, perché tali richieste non hanno valore cogente, ma devono essere considerate mere segnalazioni. L'elevato numero di sollecitazioni dei privati è motivato dai vantaggi fiscali (quali ad esempio la riduzione dell'ICI o dell'IRPEF ecc.), che il vincolo monumentale comporta su edifici spesso ad alta rendita catastale. Pertanto se in passato il diritto di proprietà si comprimeva coesistendo su un immobile due diritti dominicali (quello del privato e quello dello Stato), ora il sacrificio del privato è largamente compensato dai vantaggi economici. E questo è dimostrato dal fatto che i cittadini ricorrono ai Tar per far annullare eventuali provvedimenti di rettifica o di revoca dei vecchi provvedimenti. A Verona ad esempio negli anni successivi al secondo conflitto mondiale il Soprintendente vincolò molti edifici del centro storico, utilizzando il vincolo come unico strumento di controllo della ricostruzione del centro storico distrutto dai bombardamenti, in opposizione ai piani di ricostruzione e regolatore predisposti da Plinio Marconi nell'ottica di dare un nuovo assetto architettonico-urbanistico ad alcune aree della città. A distanza di mezzo secolo erano numerosi gli edifici veronesi ricostruiti negli anni cinquanta-sessanta sui quali erano ancora vigenti vecchi provvedimenti di vincolo. La campagna di correzione dei vecchi decreti avviata dalla Soprintendenza ha scatenato la reazione dei proprietari che hanno osteggiato in ambito giurisdizionale il riesame dell'amministrazione appellandosi a coerenze valutative e ravvisando negli atti amministrativi un eccesso di potere per non perdere appunto i privilegi economici. Tuttavia il Consiglio di Stato ha deliberato che la ragione del vincolo non è attribuire un beneficio fiscale, ma accertare il merito di un regime di tutela. L'attività tecnico-discrezionale dell'Amministrazione si esplicita in tre momenti: l'accertamento, la valutazione e la determinazione volitiva. Nell'ordinamento italiano fino al 1990, anno in cui entrò in vigore la legge n. 241 che ha normato la materia del procedimento amministrativo, l'attività della P.A. In materia vincolistica non era assoggettata ad obblighi nei confronti dei proprietari possessori o detentori degli immobili. La legge n. 1089/1939 non regolava il procedimento, lasciando libera l'Amministrazione sulle modalità dell'istruttoria salvo l'obbligo di notificare – tramite il messo comunale – agli interessati il provvedimento e trascriverlo presso i pubblici registri, cioè presso la Conservatoria, costituendo quest'ultima procedura una totale novità rispetto alla legge di tutela precedente (l. n. 364/1909). Le Soprintendenze lavoravano anche senza precisi indirizzi unitari. Fu solo con la circolare n. 14 del 11.1.1986 che l'Ufficio centrale per i beni A.A.A.A.S. Uniformò dal punto di vista formale i provvedimenti imponendo un modello esemplificativo che doveva essere composto dal decreto vero e proprio e dagli allegati quali parti integranti: la relazione storicoartistica, l'elenco dei proprietari destinatari di notifica e la planimetria con la perimetrazione grafica dell'immobile. Questa fu una novità di particolare importanza perché la visualizzazione anche grafica del catastale ha eliminato qualsiasi incertezza in merito all'estensione del vincolo, problema costante di tutti i provvedimenti antecedenti a tale data e privi di mappa. Un'ulteriore circolare del 1989 ha revisionato gli schemi di decreto, eliminando l'elenco dei destinatari di notifica allo scopo di rendere più celere la procedura e permettendo così di inoltrare la proposta di vincolo al superiore Ministero allora competente, indipendentemente dall’accertamento dei proprietari. La citata circolare dava anche indicazioni procedimentali per il reperimento dei dati dei proprietari, che avrebbero dovuto essere richiesti agli uffici tecnici erariali (ora Agenzie del territorio) alle Conservatorie dei registri immobiliari (ora Servizi di pubblicità immobiliare) e alle Anagrafi, interpellando in caso di grave urgenza il Nucleo del patrimonio artistico dei Carabinieri. Ora c’è la possibilità di reperire questi dati on-line. Dopo l’entrata in vigore della legge n. 241/1990 e in particolare dell’art. 7 che impone l’obbligo della comunicazione dell’avvio del procedimento è divenuta prioritaria la necessità di reperire prima dell’istruttoria i dati dei proprietari. L’applicazione dell’avviso dell’avvio del procedimento anche all’iter del vincolo storico-artistico non fu esente da discussioni, che vennero condotte in sede giurisdizionale. All’interno del Consiglio di Stato la sezione II si preoccupava giustamente che la preventiva comunicazione potesse compromettere l’efficacia dell’effetto sorpresa, poiché non erano previste dalla normativa della legge n. 1089/1939 misure cautelari (salvo la sospensione dei lavori ai sensi dell’art. 20) a salvaguardia del bene stesso, nelle more dell’istruttoria. La VI sezione del Consiglio di Stato riteneva obbligatoria la comunicazione anche nel procedimento di vincolo, a garanzia degli interesse coinvolti, salvo esigenze di particolare celerità che comunque andavano motivate. Fu incaricata di dirimere la questione una commissione speciale del Consiglio di Stato che con parere del 12 gennaio 1998 impose l’obbligo dell’avviso di avvio del procedimento anche alle dichiarazioni di interesse. La Soprintendenza – in assenza di istruzioni ministeriali – ricercò sempre l’appoggio delle amministrazioni comunali allo scopo di garantire l’incolumità dei beni da alterazioni che avrebbero vanificato l’azione pubblica dello Stato. La legge 241/90, caposaldo di una riforma amministrativa che venne realizzata dal 1997 in poi con una vera e propria valanga di leggi e di decreti legislativi, impone una nuova figura, il responsabile del procedimento e soprattutto obbliga l’amministrazione pubblica a valutare eventuali memorie scritte e documenti presentati da quanti hanno la facoltà di intervenire nel procedimento, ad esempio i portatori di pubblici interessi o di interessi privati o di interessi diffusi che si sono costituiti in associazioni o comitati, ai quali può derivare un pregiudizio dal provvedimento. Con decreto ministeriale n. 495/1994, rettificato recentemente con D. n. 231/2010, il Ministero ha individuato le unità organizzative responsabili dei procedimenti e la durata degli stessi. Il decreto citato individua quale responsabile del procedimento il dirigente dell’unità organizzativa della divisione III dell’Ufficio centrale, divenuto poi il dirigente regionale per i beni culturali e paesaggistici a seguito delle riforme del Ministero (n. 368/1998, n. 441/2000, n. 233/2007), mentre viene definita la durata del procedimento pari a 210 giorni, ora 120. L’esame di eventuali memorie, documenti ed osservazioni di quanti abbiano titolo e interesse deve avvenire in un periodo pari a 2/3 del periodo fissato per la durata del procedimento pari a 140 giorni, ora 80. L’adempimento della comunicazione dell’avvio del procedimento e dell’esame delle osservazioni dei privati da parte dell’Amministrazione è fondamentale, pena l’annullamento del provvedimento per vizi formali in caso di impugnativa. Il Codice negli articoli 13-14-15- ha disciplinato il procedimento amministrativo della dichiarazione dell’interesse. Viene confermata l’iniziativa d’ufficio ad opera delle Soprintendenze che sono competenti per quanto riguarda l’istruttoria, e prevista l’avvio su motivata richiesta degli enti territoriali interessati. La competenza per quanto riguarda l’emanazione del provvedimento è del direttore regionale a cui il D.P.R. n. 233/2007 ha attribuito appunto le materie di adozione dei provvedimenti di tutela diretta ed indiretta e di verifica dell’interesse culturale del patrimonio immobiliare e mobiliare. I destinatari del provvedimento non sono solo i proprietari ma anche i possessori e i detentori, questo per poter intervenire efficacemente anche nei confronti di chi essendo in contatto immediato con la cosa avrebbe potuto modificare la situazione materiale e giuridica del bene. La comunicazione di avvio del procedimento si adegua necessariamente alle prescrizioni dettate dalla normativa generale in tema di procedimento amministrativo, cioè alla legge n. 241/90 rettificato dalla legge n. 15. Il Codice da questo punto di vista non fa che riprodurre le indicazioni già contenute nel D.Lgs. N. 490/1999, differenziandosi per alcuni aspetti. L’art. 7 del T.U. adeguava il procedimento alla l. 241 allo scopo di rendere efficiente e trasparente il procedimento, consentendo la partecipazione dei soggetti interessati al provvedimento finale. Alcuni problemi interpretativi sono sorti sulla competenza all’avvio del procedimento in seguito alla riorganizzazione ministeriale avvenuta nel 2000 con l’istituzione delle Soprintendenze regionali (poi Direzioni regionali). L’art. 7 del T.U. stabiliva che doveva avviare il procedimento il Ministero, senza specificare quale ufficio, vista la particolare articolazione territoriale regionale, dove coesistono le Soprintendenze e le Direzioni regionali. L’Ufficio legislativo del Ministero in data 10 giugno 2002 ha provveduto a definire l’organo competente, che era individuato nelle Direzioni regionali, mentre il compito delle Soprintendenze era quello di formulare la proposta. L’art. 14 del Codice modifica tale situazione in riferimento al soggetto competente alla comunicazione dell’avvio, individuando tale figura nel Soprintendente di settore. L’avvio può essere d’ufficio, oppure su motivata richiesta della Regione e di ogni altro ente territoriale interessato. La comunicazione deve contenere gli elementi identificativi del bene e anche gli elementi valutativi che risultano dalle prime indagini. Da questo sembra di capire che la comunicazione costituisce un momento distinto che può precedere anche di un po’ di tempo l’istruttoria vera e propria. In realtà si fanno coesistere i due momenti per ovvie ragioni operative. La comunicazione deve contenere anche l’indicazione degli effetti cautelari e il termine per la presentazione di eventauli osservazioni. Per quanto riguarda la durata del termine entro cui l’interessato può inoltrare le sue memorie, il Codice all’art. 14 comma 2 precisa che non può essere inferiore ai trenta giorni, che è un termine minimo, in realtà nel decreto min. n. 495/1994 all’art. 5 comma 2 è stabilito che i soggetti ammessi a partecipare al procedimento possono presentare documenti e memorie entro un termine pari a 2/3 di quello fissato per la durata del procedimento, ora 80 giorni su 120, in passato 140 su 210. In questo senso si è espresso anche il Consiglio di stato che ha precisato che tale periodo non può essere assolutamente compresso dall’ufficio competente pur nel lodevole intento di accelerare la conclusione del procedimento. Se il procedimento di dichiarazione di interesse riguarda complessi immobiliari, la comunicazione di avvio va mandata anche al Comune e alla città metropolitana. La comunicazione comporta l’applicazione in via cautelare delle disposizioni in merito alla vigilanza ed ispezione (capo II del titolo I parte II del codice), alle misure di protezione (sezione I capo II), alle alienazioni ed altri modi di trasmissione (sezione I capo IV). Gli effetti cautelari cessano alla scadenza del termine del procedimento. In questo caso si possono verificare tre ipotesi: - Il provvedimento interviene prima della scadenza del termine finale con assorbimento integrale degli effetti cautelari del regime di tutela prevista; - Oppure l’Amministrazione non riesce a rispettare il termine finale del procedimento, per cui gli effetti cautelari vengono meno lasciando sprovvista la cosa di tutela. - L’Amministrazione conclude il procedimento con esito negativo determinando la cessazione del regime cautelare di tutela. In ogni caso il provvedimento da parte dell’A. può giungere anche oltre la scadenza del termine finale, determinandosi come conseguenza l’inapplicabilità del regime cautelare tra quel momento e l’adizione del provvedimento tardivo, Nella comunicazione dell’avvio deve essere indicato anche il responsabile del procedimento che è il direttore regionale. Il provvedimento finale assume forma scritta con una congrua motivazione che è contenuta nella relazione storico-artistica. Quando la dichiarazioni di interesse ha ad oggetto beni immobili o mobili registrati, dopo la notifica della dichiarazione con raccomandata con A.R. o tramite il messo comunale, che viene effettuata dalla Direzione regionale, il provvedimento viene trascritto ai sensi dell’art. 15 comma 2 per iniziativa del Soprintendente. La novella del 2008 (n. 62/2008) ha introdotto il comma 2 bis dell’articolo 15 che riconosce l’obbligo del ministero di formare e conservare un apposito elenco anche su supporto informatico. La disposizione è in collegamento con il comma 8 dell’art. 12 che dispone la costituzione di un archivio informatico dove confluiscono le schede descrittive degli immobili di proprietà dello Stato oggetto di verifica con esito positivo. L’archivio è stato costituito per finalità di monitoraggio e di programmazione degli interventi pubblici. Il ricorso amministrativo contro la dichiarazione è una delle novità di rilievo previste dal Codice e costituisce una forma di recupero della funzione di controllo di merito e di legittimità della stessa A. sui propri provvedimenti. Offre la possibilità ai ricorrenti di far rilevare sul piano tecnico eventuali vizi dell’atto. Il ricorso è presentato al ministero entro 30 giorni dalla notifica della dichiarazione sia per l’art. 12 che per l’art. 13. L’organo preposto alla materia del ricorso è il dirigente della Direzione competente. Il ricorso deve essere deciso entro 90 giorni dalla presentazione, sentito il competente organo consultivo che è il comitato tecnico-scientifico di riferimento. La proposizione del ricorso comporta la sospensione degli effetti del provvedimento e l’applicazione – in via cautelare – delle stesse disposizioni di tutela che si applicano nel momento d’avvio del procedimento. La decisione di accoglimento del ricorso comporta l’annullamento o la riforma dell’atto impugnato. Decorso il termine senza l’adozione della decisione è da intendersi come silenzio-rigetto come è disposto dal D.P.R. n. 199 del 1971. Contro il provvedimento è possibile effettuare in alternativa il ricorso straordinario al presidente della Repubblica o il ricorso giurisdizionale presso il Tar competente. La sezione III del capo III del Codice è dedicata ad una serie di norme di protezione dei beni culturali (tutela indiretta, autorizzazioni per mostre ed esposizioni, collocazione di manifesti e cartelli pubblicitari, distacco di beni culturali, studi d’artista, esercizio del commercio in aree di valore culturale). La tutela indiretta è regolata dagli articoli 45-46-47. Le norme non fanno altro che confermare la disciplina sostanziale contenuta nel T.U. 490/1999. Si tratta di limitazioni che l’A. dispone circa l’uso di beni immobili contigui, confinanti o prossimi ad un bene culturale oggetto di tutela diretta. La tutela indiretta deve necessariamente interessare beni immobili e trova giustificazione solo in relazione ad un altro provvedimento di vincolo diretto. Il Codice all’art. 45 stabilisce che il Ministero ha la facoltà di stabilire prescrizioni dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro. L’art. 46 precisa che avvia il procedimento il Soprintendente, anche su motivata richiesta della Regione o di altri enti pubblici territoriali interessati, dandone comunicazione al proprietario, possesore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile cui le prescrizioni si riferiscono. Nel caso in cui la comunicazione risulti particolarmente gravosa per il numero dei destinatari, essa potrà essere resa mediante idonee forme di pubblicità. La comunicazione dell’avvio del procedimento dovrà contenere l’individuazione dell’immobile per il quale si prevedono le prescrizioni e i contenuti delle stesse. Tra gli effetti della comunicazione vi è anche quello della temporanea immodificabilità limitatamente agli aspetti cui si riferiscono le prescrizioni. La proposta viene esaminata nell’ambito del Comitato regionale di coordinamento, che è un’assemblea cui partecipano i dirigenti degli istituti periferici del Ministero, ed è presieduto dal direttore regionale. Contro il provvedimento di tutela indiretta è ammesso il ricorso al Ministero, ma a differenza di quello di tutela diretta la proposizione del ricorso non comporta la sospensione degli effetti del provvedimento impugnato. Uno degli aspetti maggiormente discussi è quello relativo ai limiti del diritto di proprietà che viene inevitabilmente compresso dalle prescrizioni.