Modelli di formazione
1) Il tema del lavoro e della formazione sono stati oggetto di
studio della sociologia, della psicologia, dell’economia e della
filosofia del diritto, estromettendo la pedagogia di un settore
di ricerca, di riflessione e di pratica che ha una lunga
tradizione.
2) Come è cambiato il lavoro e la formazione dagli
anni Trenta agli anni Ottanta.
Dalle Human Relations alle teorie motivazionali: E.
Mayo; K. Lewin; D. McGregor; A. Maslow; F.
Herzberg; R. Hackman; G. Oldhan; Tajchi Ohno
(Toyota).
3) Il lavoro e la formazione nella new economy.
4) L’appropriazione pedagogica del lavoro e della
formazione
dall’educazione
degli
adulti
(alfabetizzazione) all’apprendimento per tutto il
corso della vita.
1) Il lavoro nella riflessione pedagogica e nelle pratiche
educative.
Si rammenti solo il movimento delle scuole nuove e
dell’attivismo … Le diverse correnti (di matrice spiritualista/neo
idealista, di matrice positivista, di matrice sociliastiggiante o
filantropica) rinnovarono le pratiche educative nella scuola
introducendo il lavoro inteso come fattore di disciplina e di
socializzazione (in Italia cui fu l’introduzione del lavoro nelle
classi: i famosi campicelli di memoria baccelliana). Bruno Ciari
in Italia.
Il valore del lavoro nella riflessione pedagogica contemporanea:
da Pestalozzi a Kerschensteiner attraverso Fröebel poi Decroly,
Freinet (le tecniche), Makarenko (il collettivo), Dewey.
2) Come è cambiato il lavoro e la formazione dagli
anni Trenta agli anni Ottanta: il paradigma
fordita-tylorista.
Dalle Human Relations alle teorie motivazionali: Elton
Mayo (1927); K. Lewin (teoria del campo); D.
McGregor; A. Maslow (teoria dello sviluppo
sequenziale dei bisogni); F. Herzberg (teoria
bifattoriale); R. Hackman; G. Oldhan; Tajchi Ohno
(Toyota).
L’insolito caso di Elton Mayo (psicologia del lavoro).
1924: Officine Hawthorne di Chicago. Prendendo due
campioni in esame, ovvero due squadre di lavoro, e
fossero stati introdotti condizioni ambientali
migliorative nell’ambiente di lavoro del gruppo A,
aumento dell’illuminazione, la produzione raggiunse
livelli più che ottimali sia nel gruppo A sia nel gruppo
B. Perché?
1927: Determinante fu l’atteggiamento psicologico
introdotto dagli esperimenti stessi e dall’occasione di
socializzare nell’ambiente produttivo.
Vale a dire che l’attenzione dimostrata verso quelle persone, la
rilevanza assegnata alle loro indicazioni operative e alle loro
opinioni, l’avere a cuore il benessere fisico, insime alla
consapevolezza di sentirsi utili per l’intera compagine
lavorativa e alla possibilità concessa di instaurare con i
ricercatori e tra di loro un dialogo costruttivo, fanno sì che
quel gruppo si senta finalmente oggetto di reale interesse da
parte dell’azienda.
Questa scoperta sui fattori intangibili nella produzione in un
determinato ambiente di lavoro sarà poi confermata dalle
ulteriori ricerche sulle cause dell’assenteismo che si ridusse
drasticamente nel II dopoguerra.
Settant’anni dopo le ricerche di E. Mayo, F. Novara/G. Sarchielli
(Fondamenti di psicologia del lavoro, 1996) sperimentano
(nell’impresa di Adriano Olivetti; Poi nella Magneti Morelli) e
asseriscono che se l’uomo è più di ogni altra cosa motivato da
esigenze sociali e sviluppa il senso della propria identità
personale nell’incontro e nel confronto con l’altro, e se la
razionalizzazione ha privato l’attività lavorativa di un suo
significato intrinseco, allora quest’ultimo ha di essere ricercato
nei rapporti sociali che originano dentro il luogo di lavoro. E se il
lavoratore è maggiormente condizionato dal gruppo di cui fa
parte anziché dai possibili interventi della direzione, egli
accoglierà o si adeguerà di buon grado a tali interventi solo nel
momento in cui la direzione accetterà la sua appartenenza a quel
gruppo.
Noterelle e schermaglie: le Human Relations non
alterano la macchina organizzativa ideata da Taylor
e perfezionata da Ford, ma anzi la integrano.
Tuttavia non si può fare a meno di osservare che non
c’è produzione, e soprattutto miglioramento della
stessa, senza relazioni di gruppo significative e senza
considerare i luoghi di lavoro incontri tra e di
persone in grado di fare équipe.
Sempre nell’ambito delle Human Relations,
ricordando che registriamo in quegli anni l’ascesa
del paradigma sistemico desunto dalle scienze
biologiche di L. von Bertalnffy, il sociologo Kurt
Lewin elabora la sua “teoria del campo”: intendere
l’organizzazione lavorativa come una combinazione
di un sistema tecnologico con un sistema di rapporti
sociali. Per cui la modifica che interviene in una
parte del sistema può avere influenze nell’intero
sistema.
Douglas McGregor e la “Teoria y” …
La fatica psico-fisica correlata al lavoro è
naturale; che il lavoratore può raggiungere gli
obiettivi
fissati
dalla
direzione
autodisciplinadosi; che la persona matura la
motivazione all’impegno lavorativo; che
l’essere umano può accettare passivamente
interventi direttivi … ma può anche agire con
senso di responsabilità ed in modo autonomo;
che la creatività dovrebbe essere agevolata
nelle sue varie espressioni.
Insomma l’azienda deve essere in grado di saper
miscelare l’aspetto prescrittivo con ampi
margini di discrezionalità e libertà riservata ai
suoi dipendenti e che esorti persino la
leadership ad instaurare una atmosfera di
effettiva condivisione.
Abraham Maslow: teoria dello sviluppo
sequenziale dei bisogni; Frederik Herzberg:
teoria bifattoriale.
Distinzioni tra bisogni primari e motivazioni, tra
insoddisfazioni
primarie
e
soddisfazioni
lavorative: tanto più la forbice si allarga tra le
due dimensioni, quanto più la produzione cala in
modo vertiginoso.
Douglas Mc Gregor: autorealizzazione del singolo;
diffusione della leadership come condivisione e
compartecipazione decisionale nelle scelte delle
imprese.
Abraham Maslow: bisogno di auto-realizzazione della
persona.
Conclusioni sulle Human Relations.
Fattori intra ed extra aziendali nel processo
produttivo/formativo della persona.
La logica (tra esigenze dell’industrializzazione
capitalistica e quella del lavoratore) non viene
alterata ma anzi viene rafforzata.
Si scopre però quanto siano fondamentali la
“Conferma”, l“Accettazione sociale”, la
“motivazione” (non solo nel soddisfacimento
dei bisogni, ma quelli lavorativi).
Tajichi Ohno alla Toyota insieme a Sakichi Toyoda e
Kiichiro Toyoda elaborano un nuovo modello
organizzativo definito TPS Toyota Production System
i cui principi sono l’Abbattimento dei costi ed il totale
coinvolgimento dei lavoratori nell’impresa.
L’abbattimento dei costi si concretizza nella adozione
della lean production (produzione snella), centrata
sulla ricerca di equilibrio e collimazione tra la
domanda del cliente e la risposta ottenibile
dall’impresa, e della logica just in time (JIT) produrre
con il minimo dispendio soltanto ciò che incontra un
bisogno realmente esistente.
Il coinvolgimento dei lavoratori: necessità della
polivalenza e dell’integrazione delle funzioni
conseguentemente alla capacità di intervento
su macchine diverse;
richiesta direzionale di attivarsi in termini di
scambi comunicativi
cooperazione orizzontale e verticale.
Total Quality Control (controllo totale di qualità)
coniata nel 1961 da Armand Wallin
Feigenbaum.
Questa si avverava già nell’esperienza tojotista
degli anni Cinquanta, ma qui ora si applica alle
alte tecnologie impiegate nella produzione
tipica della società statunitense con i suoi
colossi automobilistici, informatici, telematici.
L’evoluzione del sistema impresa:
1) la “bottega artigiana”;
2) l’impresa centrata “sul prodotto”;
3) l’impresa centrata “sul processo produttivo”,
4) “l’impresa flessibile” (l’impresa che si
discosta dalla produzione di massa per
diversificare i prodotti, accogliendo meglio le
mutate necessità della clientela).
Possiamo ragionevolmente asserire che l’attuale
condizione è caratterizzata dalla compresenza tra
“fabbrica integrata” e “post-fordismo snello”.
All’impersonalità del sistema produttivo taylor-fordista
e al suo modello meccanico, o dell’orologio, secondo
la metafora coniata da Federico Butera (L’orologio e
l’organismo. Il cambiamento organizzativo nella
grande impresa in Italia: cultura industriale,
conflitto, adattamento e nuove tecnologie, Milano,
Franco
Angeli,
1984),
caratterizzato
dalla
parcellizzazione delle mansioni, dal predominio della
burocrazia gerarchica, dal criterio della dipendenza
esecutiva e dalla riduzione degli operai a ‘pezzi di
ricambio’ dell’organizzazione
L’impresa post fordista antepone l’implementazione di
un modello organico (C. Morgan, Images. Le
metafore dell’organizzazione; T. Burns, G. Stalker,
Direzione aziendale e organizzazione, tr. it. Milano,
Franco Angeli, 1984, poi aggiornato 1998), ovvero:
Le strutture e i ruoli sono sistemi aperti, funzionano in
base ad ambiti di autonomia e non per delega e
interagiscono fra di loro in base a regole che
continuamente concorrono a modificare. Gli uomini
sono considerati componenti fondamentali del
sistema, non risorse da utilizzare, e il rapporto fra
attore e sistema è definito non dalla dipendenza, ma
da una continua dialettica tra conflitto e
partecipazione
L’analisi storico-critica che finora abbiamo
condotto sulle caratteristiche dei processi
produttivi (e formativi) nel sistema post-fordista,
ci ha fatto comprendere quanto siano importanti
fondamentali nella vita del lavoro i cosiddetti
fattori “intra ed extra aziendali”, quali la
motivazione, il soddisfacimento dei bisogni
lavorativi, l’ambito delle “relazioni umani”.
Non si tratta più semplicemente di concepire e
ridurre l’apprendimento come un momento
‘secondario’ o come “addestramento al fare”
nella vita reale dell’impresa, ma come un fattore
strategico di fondamentale importanza.
L’apprendimento per tutto il corso della vita.
Si pone necessaria una competenza fondata su
una cultura della progettualità, capace di
ristabilire un equilibrio corretto tra senso della
realtà e delle possibilità, dinamicamente
connesso con i problemi reali del mondo nel
quale si vive.
G. Bocca (Cultura e lavoro, 2003); G. P. Quaglino (in Autoformazione):
l’opportunità morale di una tensione educativa in cui il percorso formativo non
si riduce solo ad un momento istruttivo, colto quasi come una trasmissione di
conoscenze;
l’apprendimento diretto all’autoformazione risponderebbe ad una domanda
della persona dettata dal desiderio di conoscersi meglio e di realizzarsi;
sanare quella divaricazione fra pensiero pedagogico e operatività addestrativoformativa;
scardinare la predominanza consolidata di retroterra culturali che fanno
riferimento alle dimensioni sociologiche; psicologiche; funzionaliste.
I teorici della formazione post-industriale sottolineano
l’esigenza di formare individui in grado di rapportarsi
alla complessità;
di avere quadri di riferimento organizzativo articolati in
cui inserire la propria attività specifica;
di vivere con “l’incertezza” e l’indeterminatezza delle
realtà organizzative e con la turbolenza dell’ambiente.
In pratica viene privilegiata la formazione come crescita
culturale del lavoratore cittadino e non solo la
formazione come addestramento al fare.
M. S. Knowels; J. Mezirow
G. Pineau
N.A. Tremblay – J.P. Theil
P. Jarvis
R. G. Brokett
P. Galvani
D. R. Garrison
R. Hiemstra
K. Kyung HI
M. C. Josso
S. B. Merrian
Lo spirito del libro di G. P. Quaglino (sociologo e
psicologo del lavoro che si è occupato della
formazione degli adulti nei contesti organizzativi ma
con una forte vocazione pedagogica, tanto da divenire
uno dei punti di riferimento della ricerca pedagogica
che si occupa dell’educazione degli adulti …
espressione generica).
In opposizione alla deriva “oggettivista” dei fatti
formativi (tipica della tradizione didattica che domina
la scuola odierna, ma anche nell’ambito del lavoro)
che ha sacrificato la Soggettività o in simulacri
inflazionati del sé (dell’Io) o nelle soffocanti
burocrazie degli accreditamenti dei piani formativi.
Autoformazione significa semplicemente la
motivazione del soggetto (per tutto il corso
della vita) di “continuare ad apprendere”, di
“imparare ad imparare” (M. Knowels) perché
solo la consapevolezza (meta-apprendimento)
del processo di acquisizione della conoscenza
e
del
cambiamento
prodotto
nella
interpretazione/trasformazione conduce alla
sua autonomia e autoformazione.
si tratterebbe di individuare un campo di
obiettivi formativi dichiaratamente centrati sul
Sé ovvero sul soggetto considerato nella sua
totalità e unicità al di là di ogni determinazione
professionale (di mestiere) o istituzionale (di
appartenenza organizzativa).
Il focus è sul Sé come finalità formativa
(apprendimento di Sé) piuttosto che sul Sé
inteso come una modalità dell’azione
formativa (apprendere da Sé) (le affinità
elettive con Duccio Demetrio).
L’autoformazione è “nel vestibolo dell’inutile” (D.
Demetrio, Autoformazione; Elogio dell’immaturità;
Raccontarsi) vale a dire il rifiuto di ogni pratica
che pretende di rinvigorire il soggetto, di
migliorane le prestazioni in una visione
efficientistica, tecnocratica o profittevole.
Il Sé come autos e come telos (Heidegger: la vita di
ogni uomo è ricevere forma e formarsi) … se
necessario anche come l’uomo in rivolta (di cui
parla A. Camus) che sa decidere di voler
appartenere o non appartenere… quando
l’appartenenza
si
traduce
spesso
nell’adeguamento del soggetto al contesto.
Il bisogno di conoscere: la ragione forte della
formazione sta nel bisogno di conoscere.
Il concetto di Sé come allievo che apprende.
Il ruolo dell’esperienza.
Importanza delle motivazioni: autostima,
soddisfazione personale, qualità della vita.
Il classico dell’autoformazione: la non direttività di Carl
Rogers (Libertà nell’apprendimento, 1969).
Gli esseri umani hanno la capacità naturale di
apprendere;
L’apprendimento significativo si realizza quando la
materia di studio è sentita dallo studente come rilevante
per i propri fini;
L’apprendimento è facilitato quando lo studente
partecipa responsabilmente al processo educativo;
L’apprendimento autonomo, che coinvolge l’intera
personalità del discente (sentimento e intelletto) è il
più penetrante e stabile apprendimento;
L’indipendenza, la creatività, la fiducia in sé sono
facilitate quando hanno un rilievo preminente
l’autocritica e l’autovalutazione (e non la valutazione
altrui);
L’apprendimento
socialmente
più
utile
è
l’apprendimento del processo di apprendimento,
una costante apertura all’esperienza, una costante
acquisizione del processo di mutamento.
L’attività e la produzione degli Autori scelti
nell’antologia si colloca tra la prima metà degli anni
Settanta e l’ultimo decennio del secolo scorso.
Tutti accomunati da un orizzonte di ricerca:
l’autoformazione.
Avvertenza: espressione che risente di quella
concezione evolutiva e lineare della persona
attraverso stadi: l’adultità corrisponderebbe
secondo questa concezione all’età non più
scolastica.
Il declino della “teoria programmatoria” degli interventi
formativi (e nell’ambito scolastico e nell’ambito del
lavoro) è corrisposta la messa a punto di ipotesi basate
sulla interazione fra la cosiddetta “polarità
organizzativa” (cioè il contesto in cui l’esperienza
formativa si svolge) e la “polarità individuale” (il
soggetto che agisce), intesa non solo come esperienza
personale ma soprattutto come relazione che gli
individui stabiliscono con la propria esperienza
professionale e personale.
Mentre “l’ottica degli obiettivi” (istruzione/formazione
programmata) era ed è legata all’idea di “armonia” e
“consonanza”, l’ottica dell’apprendimento come
intersezione delle due polarità include le tensioni, le
incompatibilità, le tesi contrapposte, da impiegare come
altrettanti fonti di apprendimento e di efficacia
nell’azione.
Ci limitiamo qui – sulla base delle riflessioni e delle
esperienze maturate – ad illustrare i tre principali
orizzonti concettuali entro cui si muovono e agiscono le
teorie della formazione post-industriale, con
l’avvertenza di non interpretarle in modo rigido, ma
considerando che la loro interazione è continua:
Le forme organizzative;
Le forme centrate sulla riflessione personale;
Le forme proprie del lifelong learning.
Sulle forme organizzative (ce ne occuperemo con F. Bochicchio)
quivi l’apprendimento si basa sul presupposto che la base
dell’apprendimento è la realtà organizzata nella quale agiamo.
L’obiettivo è quello della padronanza di complesse strategie di
autoposizionamento
costante
rispetto
alle
esigenze
dell’organizzazione e delle esperienze personali che andrebbero
continuamente reinterpretate secondo modalità flessibili.
Nell’orizzonte della lifelong learning (apprendimento
che dura tutta la vita) l’accento cade preferenzialmente
sulle esigenze della comunità che in quanto democratica
è capace di creare opportunità di apprendimento per
tutti, rilanciando in forme aggiornate il principio
dell’educazione permanente degli anni Settanta, ma non
più in chiave solo culturale e umanista, ma anche
economicistica: l’apprendimento continuo costituisce la
risposta allo sviluppo del potenziale umano come
risorsa per l’intera comunità contrastando la marginalità
(richiamo a B. Schwarz, ingegnere minerario,
Modernizzare senza esclusione, 1996).
Nell’orizzonte delle pratiche formative di tipo
riflessivo (action learning; reflective learning)
puntano soprattutto alla capacità di tenere aperta
la domanda, ad alimentarla, provarla, inseguirla,
provarla, tastarla,convalidarla, abbondonarla …
Più che alla competenza acquisita, esse sono
attente ai processi attraverso cui la competenza si
costruisce.
Dove si colloca Malcolm Knowels?
Gli interrogativi di fondo:
Cosa si intende innanzi tutto per “formazione”?
Come tentare un superamento della dicotomia tra
educazione e istruzione?
Ha senso ancora associare l’educazione con la giovinezza?
E’
possibile
porsi
il
problema
dell’autodeterminazione/autoformazione del soggetto ?
Cambiamento di paradigma nell’educazione
degli adulti.
per contrastare l’analfabetismo di ritorno;
per favorire lo sviluppo integrale;
per contrastare il decadimento fisico;
per le opportunità di socializzazione;
per mirare alla realizzazione personale;
per favorire la crescita culturale.
M. Knowles
a) Il bisogno di conoscere: la ragione forte per
gli adulti sta nel bisogno di conoscere;
b) Il concetto di sé come discente;
c) Il ruolo dell’esperienza;
d) Disponibilità ad apprendere in funzione dei
bisogni reali;
e) Importanza delle motivazioni
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