Cd l. triennale in Sociologia Processi culturali e comunicativi a.a. 2011/12 Università di MilanoBicocca 1 4 ottobre 2011 Raymond Williams (1976) : ‘cultura’ è una delle due o tre parole più complicate con cui abbiamo a che fare Il concetto di cultura è centrale sia per la sociologia sia per l’antropologia (vedi oltre). 2 • La cultura si riferisce alle dimensioni dell’agire umano che hanno carattere simbolico e appreso (linguaggio, religione, costumi, eccetera). • Differenze fra dimensione innata e appresa. Mondo animale mondo umano. 3 • Le diversità fra gli esseri umani sono fondamentalmente legate alla cultura • a) La cultura mette a disposizione significati (e sistemi di credenze); • b) la cultura mette a disposizione regole per l’azione sociale 4 Due visioni contrapposte del mondo culturale: • 1. Centralità delle norme culturali (e dei valori) – la ‘dimensione ideale’ della cultura. Vedi T. Parsons • 2. centralità degli interessi materiali – la ‘dimensione ideologica’ della cultura. Vedi K. Marx 5 • Centrale è il passaggio dall’idea di cultura come ‘coltivazione dello spirito’ a cultura come insieme dei valori, delle norme, dei simboli, delle credenze, delle rappresentazioni e delle pratiche presenti in un dato contesto culturale quotidiano (Santoro e Sassatelli, 2009). • Importanza della dimensione del ‘dato per scontato’ 6 Gli esseri umani come esseri culturali (‘animali simbolici’, Cassirer). La cultura consente agli esseri umani non solo di adattarsi all’ambiente, ma di adattare l’ambiente a se stessi. La relazione ‘natura’ ‘cultura’ 7 • Il valore universale della cultura - XVIII secolo, la prospettiva illuminista • La specificità culturale - XIX secolo, la visione dei pensatori romantici tedeschi, relazione fra cultura e specificità nazionale, 8 Sull’antitesi fra ‘cultura’ e ‘civilizzazione’ La analisi di Norbert Elias (‘Il processo di civilizzazione’, 1936). Cultura rimanda qui all’unicità e specificità delle singole culture contro la ‘civilizzazione’ che richiama la visione illuminista della cultura 8aspetto universale) 9 • ‘Cultura’ diventa sinonimo di opposizione all’aristocrazia e alla società di corte (considerati mondi convenzionali, privi di autenticità – che rimandano ad un’idea superficiale e artificiale di ‘civiltà’) 10 • La visione antropologica della cultura • La cultura riguarda la dimensione collettiva • Tra Ottocento e Novecento: i grandi viaggi, le esplorazioni, le imprese coloniali. • Si affermano, e si documentano, le diversità fra culture 11 • E. Tylor (1871): cultura come insieme di conoscenze, credenze, arte, morale, diritto, costume e “qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società” • Le culture ‘primitive’ 12 Tre dimensioni centrali dell’universo culturale nella visione antropologica: a) il mondo delle credenze b) il mondo delle azioni quotidiane c) i prodotti del lavoro umano 13 Quali sono i caratteri centrali della cultura nella visione dell’antropologia? 1. La cultura è appresa 2. La cultura rappresenta la totalità dell’ambiente sociale e fisico. Cultura e società finiscono per sovrapporsi 3. La cultura è condivisa. La cultura è uniformemente distribuita all’interno della società 14 I simboli • Differenza tra segni e simboli • Segno: qualsiasi oggetto o evento usato come richiamo di altro oggetto o evento • Dimensione affine a ciò che significa (fumo > fuoco; orma > animale). • Simbolo (‘mettere insieme’). Segno di ordine superiore. Il simbolo come ricomposizione . L’usanza dell’antica Grecia. 15 Simbolo: segno o contrassegno riferito a dimensioni astratte. Espediente che ci consente di operare astrazioni. I simboli si riferiscono a concetti (corona > regalità; buio > mistero; bandiera > patria). Appartengono alla dimensione ‘nascosta’ della cultura. Studiare i simboli per conoscere le diverse culture. Dimensioni universali e specifiche dei simboli. La dimensione mitologica. 16 • Non c’è nulla, nella natura delle cose, che conferisca al simbolo il suo significato. I significati sono prodotti umani, che i gruppi umani assegnano a determinati oggetti o eventi, • per accordo e convenzione. • Carattere arbitrario, ma condiviso del simbolo. 17 Ruolo centrale della interazione sociale (e della socializzazione) nell’interpretazione comune dei simboli. Una collettività si riconosce in una serie di simboli condivisi. La scuola durkheimiana: la dimensione simbolica come cemento della società. Il ruolo dei simboli nel creare coesione sociale. 18 Simboli sono qui anche le credenze e i rituali condivisi (E. Durkeim, ‘Le forme elementari della vita religiosa’, 1912). Società come comunità simbolica. Simboli comuni = identità comune. I simboli creano identità. Ruolo fondamentale, sotto questo profilo, delle credenze religiose e delle forme rituali. 19 • Centralità dei simboli naturali nelle religioni antiche. Dimensioni che appartengono alla natura, all’ambiente esterno - ad esempio rocce, alberi, fonti - possono trasformarsi in altrettante dimensioni simboliche. • Queste dimensioni non dipendono dalla creazione umana (diverso il caso, ad esempio, di una stele di pietra eretta – vedi Stonehange, UK). 20 Diverse funzioni dei simboli: • Strumenti di espressione artistica • Strumenti di comunicazione. Linguaggio come sistema simbolico. Ma attraverso le azioni simboliche (ad esempio i rituali) si ha la possibilità di condividere idee senza fare uso di parole, o con una verbalizzazione minima. 21 Relazione simboli & memoria. I simboli aiutano a ricordare il passato. La memoria collettiva e gli oggetti simbolici (es.: l’orologio della strage di Bologna del 1980). Gli oggetti simbolici generano significati in modi molteplici: registri verbali, visuali, olfattivi, e così via. Gli oggetti simbolici creano ambienti memonici che coinvolgono i partecipanti alla commemorazione. 22 Ancora sulla relazione fra dimensione simbolica e dimensione del senso. Il senso è prodotto dall’interazione sociale . La lezione weberiana e simmeliana. La lezione etnometodologica (Garfinkel) 23 17/09/2011 Le religioni • Ruolo delle religioni nella produzione e trasmissione del senso (dell’agire e, più in generale, dell’esistenza). Mentre le istituzioni economiche e politiche (‘razionali rispetto allo scopo’) hanno tradizionalmente messo a disposizione significati funzionali e oggettivi, sono state le istituzioni religiose (‘razionali rispetto al valore’) a rendere disponibili riserve di senso per le più ampie condotte di vita. 24 • Questi schemi di significato collegano il tempo della vita ad un tempo che trascende (‘eternità’) l’esistenza individuale. La biografia ricava luce da questa connessione. • Che cosa accade oggi, quando si diffonde la crisi del tempo ‘lungo’: crisi non solo del ‘differimento delle gratificazioni’, e dunque del progetto di vita, ma difficoltà anche nella produzione del senso sul piano collettivo. 25 Oltre alla dimensione del tempo (aspetto socioculturale), quali sono le condizioni strutturali che favoriscono crisi di senso: Due tipi fondamentali di strutture sociali: 1. Società con un unico e vincolante sistema di valori. Le istituzioni sociali sono i referenti indiscussi della vita sociale (società aracaiche, grandi culture antiche) 26 2. Società in cui non esistono più valori comuni e vincolanti, a carattere prefissato; questa assenza impedisce che i diversi ambiti di vita siano tra loro interconnessi. Pluralismo degli orientamenti di valore, coesistenza di diverse comunità di senso (società moderne). In queste società è la sfera privata di vita a soddisfare l’esigenza di integrare l’esistenza personale in un sistema di valori sovraordinati. 27 Da qui il significato di secolarizzazione: non perdita del senso religioso (interpretazione diffusa, ma erronea) ma, nella modernità, ‘privatizzazione’ della ricerca di senso nella sfera religiosa. Individualizzazione delle credenze. Più in generale va comunque rilevato che l’influenza delle chiese in Europa è diminuita a partire dal XVIII secolo. 28 • Il ruolo del ‘disincantamento del mondo’ (Weber) – la diffusione dell’idea che ogni aspetto della vita può essere, in linea di principio, controllato razionalmente – nel ridimensionamento moderno della dimensione pubblica della religione. • Disincantamento come tendenza all’eliminazione della dimensione magica dall’esistenza. Oggi: tendenza al ‘reincantamento’ del mondo. 29 • Che cos’è invece il fondamentalismo: il tentativo di ricondurre l’intera società a valori e tradizioni antiche. Oggi legame fra ricerca dell’affermazione del fondamentalismo e rivendicazioni sociali e politiche (vedi, ad esempio, il gruppo dei ‘Fratelli Musulmani’ in Egitto). 30 • La visione di Durkheim della religione (‘Le forme elementari della vita religiosa’, 1912). • Secondo D., le società non possono sopravvivere senza una morale generale. Questo ordinamento morale-simbolico viene definito ‘religione’. • Si tratta di un ordinamento capace di garantire senso e, insieme coesione sociale. 31 • La differenza fondamentale fra mondo ‘sacro’ e ‘mondo profano’. Sacro come dimensione trascendente, ma capace di strutturare le vicende e le azioni umane. • Contrapposizione fra spazi e tempi sacri e spazi e tempi profani. 32 Come conseguenza, grazie alla religione, le interpretazioni comuni della realtà (‘rappresentazioni collettive’) sono ricondotte ad una visione unificata. Durkheim concentra la sua attenzione sulla religione come dimensione simbolica e garante dell’ordine sociale a partire dagli aspetti meno elaborati dell’esperienza religiosa (vedi religioni totemiche). 33 A differenza di quanto sottolineato da Durkheim, nella modernità la religione diventa un’’istituzione secondaria’, con funzioni più limitate e specializzate (vedi Berger e Luckmann, Lo smarrimento dell’uomo moderno). • 34 • Weber si concentra, per contro, sulle grandi religioni universali (cristianesimo, islam, buddismo, induismo, ebraismo). • Importanza, per Weber, delle immagini del mondo e dei modi di ottenere la salvezza per classificare le religioni universali * Immagini teocentriche - cristianesimo, islam, ebraismo - o cosmocentriche -induismo, buddismo). * Modi di ottenere la salvezza: differenze fra ascetismo e misticismo. L’’ascetismo intramondano’ dei primi imprenditori protestanti (‘L’etica protestante e lo spirito del capitalismo’). 35 * Immagini teocentriche - cristianesimo, islam, ebraismo - o cosmocentriche induismo, buddismo). * Modi di ottenere la salvezza: differenze fra ascetismo e misticismo. L’’ascetismo intramondano’ dei primi imprenditori protestanti (‘L’etica protestante e lo spirito del capitalismo’). 36 18/10/2011 Definizione di tempo sociale • Si intende con questo termine l’intreccio fra i tempi delle diverse istituzioni (lavoro, famiglia, scuola, chiesa…) esistenti in una società. In società storiche diverse esistono pertanto tempi sociali diversi. • All’interno del tempo sociale la dimensione temporale dominante è il tempo del lavoro remunerato. 37 19/10 2011 I valori Nel linguaggio comune i valori sono intesi come gli ideali verso i quali si tende. Due significati specifici nel linguaggio sociologico: • Dimensioni ritenute soggettivamente/ oggettivamente rilevanti • Criteri di valutazione dell’importanza di queste dimensioni 38 • Le diverse dimensioni dei valori: • • • • Affettiva Cognitiva Selettiva Normativa 39 Nel discorso pubblico contemporaneo è entrato fortemente il tema della ‘crisi dei valori’. In realtà, non sono ‘i’ valori ad essere in crisi, ma alcuni specifici valori. La variabilità storica dei valori. Nuovi valori possono via via orientare l’azione. 40 • Un esempio del mutamento dei valori: un valore tradizionale: l’ʻonore’; un valore contemporaneo: l’autorealizzazione (Inglehart) e l’emancipazione personale Gli ‘indignati’ e la lotta intorno a nuovi valori. Il ruolo dei movimenti collettivi. 41 Durkheim e i valori La distinzione fra morale – ideali normativi e valori - e mores - condotte abitudinarie, costumi. I valori non possono essere ricondotti al comportamento. La dimensione valoriale è centrale per la vita sociale ( la coesione sociale) 42 • T. Parsons sviluppa la visione durkheimiana dei valori: centralità del concetto di interiorizzazione dei valori nel corso del processo di socializzazione. • I valori entrano a far parte della struttura motivazionale della persona. Importanza strategica dei valori per l’integrazione sociale (ma i valori dividono tanto quanto uniscono – v. Weber) 43 Il meccanismo di acquisizione dei valori secondo questa prospettiva teorica: il bambino/la bambina, apprendendo i ruoli si familiarizza e apprende i valori e le norme sociali ad essi collegate 44 Le variabili strutturali di Parsons e gli orientamenti di valore. I dilemmi dell’azione. Scelta tra: • • • • Universalismo o particolarismo Prestazione o qualità Neutralità affettiva o affettività Specificità o diffusione 45 Weber e i valori • Comprendere significato e funzione dei valori per comprendere l’azione sociale (valori come guida e orientamento delle scelte). • Politeismo dei valori: non solo numerosità dei sistemi di valore, ma loro inconciliabilità. I conflitti che possono nascere. 46 Marx e i valori • Le idee e i valori dominanti in una società sono i valori della classe dominante. • Sono le ‘attività materiali’ ad ispirare i valori, e non viceversa. • I valori vanno compresi nel contesto di un’analisi sull’ideologia. 47 • Falsità dell’universalismo di valori quali libertà, uguaglianza, fraternità (i valori dell’Illuminismo). • Mascheramento, attraverso i valori, di interessi particolari. • Affinità fra la visione marxiana dei valori e quella utilitarista (accettazione dei valori in base all’interesse dell’attore sociale). 48 • I valori e l’azione sociale in linea generale va sottolineato come l’azione sociale risulti orientata non solo da valori, ma anche da interessi, consuetudini e, più in generale, aspirazioni. • Una questione teorica (e empirica) aperta: in che misura i valori influenzano effettivamente i comportamenti? (Weber e Pareto). 49 Valori e norme sociali • Importanza della distinzione fra valori e norme (anche se i due termini vengono talvolta usati in modo indifferente). • Valori come principi generali, norme come dimensione vincolante che dai valori discende. Divieti e sanzioni (negative) come espressione delle norme. 50 • I valori garantiscono riferimenti generali per l’azione; le norme regolano l’agire in contesti specifici (regole pratiche). • Quando vengono apprese le norme? A differenza dei valori, interiorizzati nel corso della socializzazione primaria, le norme hanno un orizzonte di apprendimento aperto. • Diffusione delle norme in tutti gli ambiti della vita sociale 51 • La distinzione fra comportamenti ‘regolari’ (routine, tradizione, senso comune) e comportamenti ‘regolati’, cioè normati (se la norma è violata esistono sanzioni). 52 • Weber e la legittimazione: relazione fra legittimazione dell’agire e possibilità di stabilire norme. • Auorità di carattere carismatico, ltradizionale e legale razionale. 53 La classificazione delle norme: • Costitutive e regolative • Definite in base al contenuto (variabile in relazione ai diversi ambiti sociali) • Definite in base al diverso grado di formalizzazione (norme consuetudinarie e statuite) 54 • Importanza del diritto in relazione alle norme: norme giuridiche come sistema di norme autonomo rispetto al potere. Rapporto fra l’idea di legalità e l’autonomizzazione del diritto. • La sfera del diritto si riferisce sia alla produzione delle norme sia alla loro interpretazione e applicazione. 55 25/10/2011 L’ideologia • Tema di riferimento per la sociologia della cultura. Varietà dei significati attribuiti al termine. Il termine risale al XVIII secolo (Destutt de Tracy) . Ideologia come forma di analisi che riguardano le origini delle idee 56 La questione dell’ideologia e la legittimazione del potere. L’ideologia come sostituto della religione. E’ abolito il riferimento al trascendente, e sostituito con il riferimento alla scienza moderna. 57 Caratteri dell’ideologia: • Elevato grado di coerenza interna delle idee proposte • Visione del mondo totalizzante • Funzione di legittimazione del potere (un esempio contemporaneo: l’ideologia di genere) • Richiamo all’autorità scientifica 58 • Le ideologie come sistemi culturali sofisticati, dotati di coerenza razionale. Ideologia come sistema di riduzione della complessità, per nulla segnato dall’irrazionale, funzionale alla “tecnica sociale moderna” (Luhmann) 59 • Importanza della dimensione rituale per il mantenimento e rafforzamento delle ideologie (dal ‘rito dell’ampolla’ al rito del consumo) 60 Si può davvero parlare di fine delle ideologie nella società contemporanea? • Variano le forme della loro espressione, non viene meno la loro presenza. • Dagli ideologi agli esperti 61 Le diverse visioni critiche dell’ideologia • 1) La visione illuminista e la centralità della dimensione del pregiudizio (inteso come distorsione della realtà prodotta ad arte per difendere l’ancien régime) in relazione all’ideologia. • La ragione come antidoto alla superstizione e al pregiudizio. 62 L’ideologia è uno strumento del potere, e viene imposta attraverso la menzogna e l’inganno. E’ sufficiente ‘smascherare’ l’ideologia attraverso la ragione per riconquistare la capacità di scorgere i rapporti di potere e il loro uso strumentale delle idee. La visione ‘ottimista’ dell’Illuminismo 63 2) La visione marxiana e la centralità della ‘falsa coscienza’ • Che cos’è la falsa coscienza. Il paragone con la camera oscura (dispositivo ottico alla base della tecniche fotografiche) fotografici. • Coscienza di sé come prodotto delle relazioni sociali. L’autonomia della coscienza è per Marx illusoria. • Marx considera la propria visione come ‘oggettiva’ (‘scientifica’). 64 L’ideologia indica qui le rappresentazioni illusorie della realtà che ne occultano i fondamenti materiali (economici in primo luogo). La forza di un’ideologia è correlata all’assenza di consapevolezza da parte di chi la sperimenta. L’I. legittima gli interessi del potere. 65 L’ideologia all’opera: religione, filosofia, teorie economiche e politiche, ecc. come forme ideologiche: forme di giustificazione delle diseguaglianze sociali esistenti. Il rapporto fra ideologia e reificazione; fra ideologia e de-storicizzazione. 66 3) L’ideologia come forma di razionalizzazione • La visione di Pareto (sociologo ed economista italiano: 1848/1923). • Che cosa sono le derivazioni: razionalizzazioni a posteriori dell’esistente. Per Pareto, tuttavia (a differenza che per Marx), le cause non sono sociali , ma psichiche. 67 • Che cosa viene razionalizzato? Impulsi e istinti sono presentati con argomentazioni razionali, ‘mascherati’ dalle forme ideologiche (‘derivazioni’). Gli individui non hanno coscienza di questo meccanismo. • I diversi livelli di analisi delle ideologie proposti da Pareto. 68 4) La visione di Karl Mannheim e la concezione ‘totale’ dell’ideologia • Ideologia non come distorsione legata a forme particolari di interesse, ma concezione del mondo complessiva (Weltanschauung). • Differenza fra concezione particolare e totale dell’ideologia. 69 A differenza della concezione particolare, quella totale di ideologia non mira a smascherare le affermazioni di un dato gruppo sociale, ma a comprendere queste affermazioni inquadrandole storicamente. Legame fra studio dell’ideologia e sociologia della conoscenza. Concezione ‘neutrale’ dell’ideologia (oltre la falsa coscienza). 70 Il senso comune • La vita quotidiana e il ‘senso comune’ Il senso comune può essere definito come lo specifico ‘stile cognitivo’, il modo di pensiero proprio della vita quotidiana. 71 In accordo a questo modo di pensiero il mondo è, per così dire, dato per scontato, è esente dal dubbio che le cose possano stare diversamente da come appaiono (Schutz, Saggi sociologici). Esso appare stabile dal punto di vista cognitivo. 72 • Senso comune come forma di precomprensione del mondo. Il senso è comune perché la struttura della vita è intersoggettiva. • Sotto il profilo sociologico, questa struttura è costruita storicamente. 73 • Già da questo primo approccio ricaviamo una serie di significati del s.c.: istruzioni pratiche, precetti morali, pre-giudizi e significati (conoscenze, regole,abitudini, convinzioni) condivisi e accettati come ovvi in una data comunità. • ‘Saper fare’, ‘saper riconoscere’; modo di interpretare abitualmente il mondo che ci circonda. 74 Per la scuola fenomenologica il senso comune rinvia a ciò che è dato per scontato. Senso comune come conoscenza ordinaria di cui i soggetti fanno uso nella loro vita quotidiana. Il s.c. è il tipo di conoscenza che sospende il dubbio circa la definizione della realtà. Ha finalità di carattere eminentemente pratico. 75 • Il s.c. consente di agire nel mondo come se il mondo fosse assolutamente certo. Il sapere che lo caratterizza consente di aggirare il dubbio che le cose possano stare diversamente da come appaiono. S.c. anche come atteggiamento quotidiano che consente l’azione. 76 • La tipizzazione. I tipi come forme di classificazione della realtà (Schutz). Utilità delle tipizzazioni in quanto condivise all’interno della comunità di appartenenza. • S.c. come routine cognitiva, forma di automatismo. Conoscenza più atteggiamento. 77 Per l’etnometodologia, il senso comune è una costruzione sociale Gli esperimenti di Garfinkel come rottura delle assunzioni di senso comune che sostengono la convivenza. Negli esperimenti si sospende la sospensione del dubbio. Carattere contingente di queste procedure (procedure ad hoc). 78 • Senso comune come ciò che ciascuno pensa che gli altri pensino (Jedlowski). • La relazione fra senso comune e routine. 79 • Tratti generali del senso comune: pragmatismo, carattere auto-evidente, ‘naturalezza’, ovvietà, ma anche ‘formazione di difesa’. Come si costruisce il senso comune. La socializzazione primaria. 80 La finalità ultima del senso comune: consentire a ciascuno di interagire con l’altro, sentendosi ‘a casa’ nel mondo; ma anche costruire un sistema realistico di aspettative circa la realtà sociale. 81 •Per capire il senso comune è utile considerare il suo contrario: la condizione di follia. 82 • Il senso comune come forma di credenza: si ‘sa’ qualcosa, ma non si è in grado di dimostrarlo. • In generale: è importante evitare di reificare il senso comune. Esso resta una costruzione sociale, in quanto tale modificabile. 83 Cultura e identità • Non si può parlare di identità personale in modo separato dall’identità sociale. Il ruolo delle appartenenze sociali sotto questo profilo. • L’identità, personale o collettiva, richiede forme di autoriconoscimento per potere essere considerata tale. Se si parla di identità non vi può essere mancanza di consapevolezza (a differenza di quel che può accadere per la cultura). 84 L’identità personale • L’identità si definisce al crocevia fra uguaglianza e differenza (con altri); fra continuità e discontinuità (con se stessi). • Centralità della dimensione di unità (del sé). Questa unità nasce dalla tensione fra due processi: di identificazione e di individuazione. 85 • La nozione di identità è in tal senso indissolubile da quella di tempo: rapporto con il passato (la memoria), con il presente (l’azione) e con il futuro (i progetti). • Identità come continuità temporale nonostante i cambiamenti 86 L’identità collettiva • Si sente di ‘appartenere’ a un gruppo, concepito come una dimensione unitaria e coerente. Il gruppo, a sua volta, enfatizza il mantenimento nel tempo della propria cultura – memorie, valori, specificità. • Centralità, di conseguenza, della dimensione culturale (una cultura comune è necessaria per fare riferimento ad un’identità collettiva) 87 • Identità collettiva come baluardo contro l’incertezza sociale contemporanea: l’I. ci ‘colloca’ nel mondo. • Tutte le identità sono costruzioni sociali e storiche. Contro l’essenzialismo (l’I. non è una dimensione ‘naturale’, ‘eterna’). Per definizione, le I. sono soggette a continue trasformazioni. 88 • Ogni identità si definisce sulla base del rapporto con le differenze. • Le ‘politiche dell’identità’ nascono dallo scarto fra dinamiche di autoriconoscimento e etero-riconoscimento (es: gruppi etnici, gruppi femministi, ecc.). Rifiuto delle identità imposte. 89 La negazione dell’identità Le istituzioni totali (Goffman); i processi migratori. L’identità culturale Centralità dell sentimento di appartenenza sulla base di un’origine comune, della condivisione di un territorio, di una lingua. 90 Relazione fra globalizzazione e crisi di identità - identità sempre più frammentate in un contesto di flussi culturali transnazionali. La risposta a questa condizione di incertezza è sovente costitita dal revival di identità etniche, culturali e religiose. Nuovo riferimento alle identità ascritte identificate come strumento di libertà. 91 Il multiculturalismo • Due strategie di fronte all’immigrazione: assimilazione (precedente gli anni Settanta: il melting pot come assimilazione delle diverse culture in un’unica, grande cultura – vedi USA) e riconoscimento delle diversità culturali (dopo i Settanta: si discute del diritto dei migranti a mantenere la propria identità). 92 • Il multiculturalismo prende forma in questo secondo quadro. Ma è necessario distinguere fra l’aggettivo multiculturale (differenze culturali) e il sostantivo multiculturalismo. Con questo secondo termine ci si riferisce ad una forma di politica governativa (Canada e Australia i primi a praticarla negli anni Settanta) messa a punto per fronteggiare le conseguenze di processi migratori su larga scala. 93 • Multiculturalismo come approccio alternativo all’assimilazione. Riconoscimento dei diritti dei cittadini e delle identità culturali di gruppi etnici minoritari. • Nel discorso pubblico equivalenza di multiculturale e multietnico. • In chiave oppositiva, multiculturalismo è inteso come quella prospettiva necessaria a superare concezioni etnocentriche o razziste della vita sociale. 94 • Il concetto di M. resta dunque controverso. Oggi viene spesso usato per evocare i dilemmi e le difficoltà della politica della differenza (per alcuni critici il M. promuove ad esempio un approccio solo ‘estetico’ alla differenze, celebrando la ‘diversità culturale’. Forma di contenimento della resistenza). Vedi i numerosi festival multiculturali organizzati a livello locale. 95 • La critica degli studi postcoloniali e postmoderni: il M. presuppone che i singoli gruppi etnici ‘possiedano’ una ‘cultura’, e che quest’ultima costituisca una realtà fissa, statica. • Il multiculturalismo critico (versus il M. liberale): la diversità è un obiettivo, che va affermato nel contesto di una politica di critica culturale e di impegno a favore della giustizia sociale. 96 • Per i critici conservatori il M. incoraggerebbe il separatismo e metterebbe in discussione l’unità nazionale e la coesione sociale (‘culto dell’etnicità’; ‘ossessione della differenza’) • Il problema dell’oggi: come affrontare la proliferazione delle differenze etniche e culturali all’interno della nazione (porosità delle frontiere). 97 Cultura alta, cultura popolare, cultura di massa Le diverse caratteristiche della cultura nelle società pre-moderne (cultura ‘alta’ versus cultura ‘bassa’) e nelle società moderne (solo qui esiste una ‘cultura di massa’, esito della presenza di un’industria culturale). Cultura di massa come cultura degradata. L’analisi della Scuola di Francoforte (Adorno, Horkheimer, Marcuse, Fromm, Benjamin). Il ruolo dei media e l’omologazione culturale. La ‘semicultura’. 98 • Perché la cultura di massa non può essere considerata semplicemente la forma moderna della ‘cultura popolare’. La cultura popolare come cultura diversificata al proprio interno. • Cultura alta e cultura popolare hanno in realtà confini molto meno netti di quanto comunemente si ritenga. 99 Cultura e classi sociali nella ricerca sociale contemporanea • La ricerca di Hoggart sulla cultura della classe operaia in Inghilterra (1958). Orientamenti culturali di classe ancora ben riconoscibili. • Due ricerche sulla relazione fra posizione di classe e orientamenti culturali: • Goody (1982) sulla cultura in tema di cibo; Bernstein (1971) sul linguaggio 100 • Goody (antropologo): che cosa mangiamo e come lo mangiamo è legato anche alla nostra collocazione di classe (ma l’espansione della classe media tende a rimettere in discussione anche le divisioni nette nel rapporto con il cibo). 101 La ricerca di Bernstein (sociolinguista): i codici linguistici sono differenziati per classi sociali. I codici linguistici ristretti e legati al contesto (classe operaia) e elaborati e slegati dal contesto (classe media) risultano contrapposti. Differenti abilità linguistiche dei bambini delle due classi sociali. 102 • Pierre Bourdieu (La distinzione. Critica sociale del gusto, 1979) affronta la relazione fra cultura e posizione di classe. Analisi empirica delle differenze di classe nelle pratiche di consumo e nelle scelte estetiche, che generano stili di vita differenti. La rielaborazione del concetto marxiano di capitale. I tre diversi tipi di capitale: economico, sociale e culturale. Come i tre tipi di capitale possono mescolarsi. 103 • I gusti estetici vanno messi in relazione alla posizione di classe e costituiscono vere e proprie pratiche culturali. Apprezzare un’opera d’arte richiede ad esempio la possibilità di padroneggiare, grazie al capitale culturale, un codice simbolico specifico. I modi per acquisire quel codice sono legati alla classe sociale. 104 • Diversificazione di classe dei consumi (consumi alimentari, cure personali, cultura, eccetera) e degli stili di vita e differenti relazioni con ogni sfera di consumo. La contrapposizione tra valorizzazione della forma (classi superiori) e della sostanza (classi popolari) • Il ruolo dell’habitus nella costruzione degli stili di vita. Che cos’è l’habitus: un insieme di disposizioni durevoli interiorizzate, legato alle posizioni di classe. L’habitus genera le pratiche. 105 Qual è lo spazio di libertà del soggetto in relazione all’habitus: un problema della sociologia di Bourdieu. Secondo alcuni autori (che scrivono dopo Bourdieu), le culture di classe sarebbero tuttavia progressivamente sostituite, nella società contemporanea, dalle culture di gusto, legate alle preferenze personali. Trovare un equilibrio, sul piano analitico, fra livelli di costrizione e livelli di libertà del soggetto. 106 Il consumo Il sostantivo ‘consumo’ deriva dal verbo latino ‘consumere’ – non solo usare le cose, ma anche distruggerle, esaurirle, portarle a consunzione. E ‘consunzione’ è anche il termine utilizzato in passato per designare l’ultimo stadio della tisi polmonare. Acquisto e distruzione si intrecciano. 107 • Da qui anche la contrapposizione fra consumo e produzione, tra consumatore e produttore. • Per l’economia (nel XX secolo) il consumo diventa la soddisfazione di bisogni umani attraverso mezzi economici. Vedi il modello economico neoclassico (consumatore: azione razionale sulla base di informazioni acquisite, calcolo, scelta). 108 Le teorie sociologiche sul consumo L’economia è interessata alle preferenze di consumo, non al modo in cui queste preferenze si sono formate. Il valore simbolico dei beni. Theodor Veblen (1899, La teoria della classe agiata): Il consumo vistoso. Si riferisce alla tendenza a definire il proprio status sociale attraverso forme di consumo appariscente sul piano sociale. Strategia di distinzione. 109 • La leisure class (classe agiata) usa forme di consumo vistoso per distinguersi dalle altre classi. Imitazione da parte delle classi inferiori. • Il consumo è vistoso se è superfluo. Il consumo come strumento di onorabilità e rispettabilità. All’origine del consumo c’è il desiderio di supremazia per quel che riguarda lo status. Distanza dalla prospettiva economica ‘neutra’. 110 • Simmel e la moda (1911). Imitazione e differenziazione agiscono congiuntamente. • Innovazione nei consumi della classe superiore per segnare la distanza dalle classi inferiori. Non appena il modello viene raggiunto dalle classi inferiori si svaluta e viene sostituito. 111 • Bourdieu (La distinzione): i consumi sono un’espressione dell’habitus, che è sempre un habitus di classe. L’insieme delle pratiche e delle preferenze costituisce uno stile di vita. Gli stili di vita, in quanto ‘schemi di percezione e classificazione’ consentono una forma di gerarchizzazione sociale. L’habitus trasforma i beni materiali e gli oggetti di consumo in segni • di valore simbolico. 112 • In analisi successive sui ‘gusti’ e gli stili di vita (a partire soprattutto dagli anni Novanta) questi ultimi tendono ad essere sganciati dalla differenze di classe e ricondotti, piuttosto, a dimensioni identitarie e scelte su base culturale. 113 • Oggetti (e consumo) come sistema di segni (Baudrillard, Il sistema degli oggetti, 1968). • Oggetti come ‘accessori rituali’ attraverso i quali viene costruita cultura (e identità) (Douglas e Isherwood, Il mondo delle cose, 1979) 114 • Per concludere. Al consumo possono esere associate visioni sociali differenti (valutazioni positive versus negative). • La società dei consumi. • Il ‘consumerismo politico’ e il consumo critico. 115 La comunicazione di massa • La comunicazione mediata: i mezzi di comunicazione di massa (media). • Gli emittenti sono comunicatori di professione. Il contenuto simbolico (messaggio) è standardizzato. Il rapporto emittente/ricevente è senza obblighi reciproci (‘amorale’) 116 • Diversi tipi di tecnologie comunicative nella storia: la scrittura, la stampa, le telecomunicazioni. 117 • La scrittura (prime forme: 4000 a.C.; prima scrittura alfabetica fenicia 1300 a.C.). • Differenze tra cultura orale e cultura scritta (Ong) (diversi sensi coinvolti; diverse forme di apprendimento; diversa relazione con il tempo; diverse forme di articolazione del discorso) 118 • Gli amanuensi (coloro che copiavano i manoscritti). Prime forme di stampa nel XIV secolo in Europa. L’invenzione della stampa a caratteri mobili è del 1456, ad opera di Gutenberg. Meccanizzazione di un’attività tradizionalmente manuale. Il libro come prima merce nella fase di transizione dal medioevo al nascente capitalismo. 119 • Stampa dei libri come attività economica regolata dal mercato. • Trasformazione delle forme di conoscenza e del sistema culturale. Il caso della relazione fra stampa della Bibbia (primo testo stampato secondo la tradizione) e Riforma protestante. Carattere individuale e intimo della lettura. 120 • Rapporto fra individualizzazione e diffusione della stampa. Nasce l’’autore’ come figura individuale. La proprietà intellettuale. 121 • L’opposizioene della Chiesa cattolica alla diffusione della stampa. Necessità di una licenza per leggere i libri sacri in volgare (escluse comunque le donne e chi non sapeva leggere in latino). A metà del XVI viene creato l’Indice dei libri proibiti (sopravvissuto fino al 1966). 122 • Relazione fra nascita di un sistema dei media, alla fine del Settecento, e la nascita dell’opinione pubblica. Nasce il concetto di ‘sfera pubblica’ (Habermas) come ambito intermedio fra società civile e stato. 123 • Le telecomunicazioni. Fino al 1800 le informazioni si diffondono con il solo supporto fisico. Le distanze (vincolo fisico) richiedono tempi lunghissimi per essere coperte (versus la simultaneità del nostro tempo, garantita dai media elettronici). 124 • 1838: nasce in Inghilterra il telegrafo (codice Morse). Un messaggio poteva arrivare in poche ore da un continente all’altro invece che in parecchi mesi. Il pianeta diventa via via più piccolo. • 1856: nasce il telefono (Meucci e Bell). Con il tempo diffusione del telefono nelle abitazioni private. 125 • A partire dall’Ottocento progressiva riduzione delle distanze geografiche. • Separazione di spazio e tempo nelle telecomunicazioni. La simultaneità non richiede più lo stesso tempo e lo stesso spazio (Thompson). 126 • Inizio Novecento: nasce la radio (Marconi). Primi utilizzi legati a finalità militari. Dopo la prima guerra mondiale viene scoperta l’importanza delle onde radio come strumento di comunicazione • 1920: nascono le prime emittenti radiofoniche negli Usa e in Inghilterra. Si trasmette senza sapere a chi ci si rivolge. 127 • La radio fa il suo ingresso nella vita quotidiana di milioni di persone come primo medium di massa. • 1929: prime trasmissioni televisive negli Usa e in Inghilterra nel 1929. Nel 1960 quasi il 90% delle famiglie americane possiede un apparecchio televisivo.In Italia la Rai trasmette i primi programmi nel 1954. 128