Sociologia dei processi culturali e
comunicativi
Corso di laurea triennale in
sociologia
a.a. 2012/13
1
Il concetto di cultura
Cultura termine polisemico.
In linea generale, ci si riferisce alle dimensioni
dell’agire umano che hanno carattere simbolico e
appreso (linguaggio, religione, usi e costumi…).
Spartiacque tra mondo umano e non umano.
2
Le diverse famiglie di significati del termine
1. Cultura in senso specializzato: oggetto
delle discipline umanistiche, regno della
dimensione spirituale e intellettuale
(‘coltivazione’ dello spirito)
• Ciò che di meglio è stato detto e scritto.
• La sociologia dell’arte
3
2. Cultura come modi di vita di un gruppo o
di una società (accezione descrittiva)
Vedi la tradizione antropologica.
Perché questa accezione può difficilmente
essere applicata oggi. La complessità
culturale
4
3. Cultura come rete di significati incontrati
e creati dagli esseri umani.
Il concetto semiotico di cultura (Geertz,
Interpretazione di culture). Semiotica:
scienza generale dei segni
5
• La cultura permette agli esseri umani non
solo di adattarsi all’ambiente, ma di
adattare l’ambiente a se stessi.
• Sulla relazione ‘natura’ versus ‘cultura’
Ciò che è ‘naturale è sempre interpretato
culturalmente dagli esseri umani
6
La diversità tra gli esseri umani è
legata alla cultura. Gli esseri umani
apprendono attraverso strumenti
culturali. Cultura come ciò che viene
appreso e ciò che consente di
apprendere.
7
• La cultura mette a disposizione significati e
sistemi di credenze
• * La cultura mette a disposizione regole per
l’azione sociale. Senza queste regole sarebbe
impossibile per gli esseri umani
comprendersi reciprocamente
8
• La falsa antitesi idealismo versus
materialismo
• Visione idealista: centralità delle norme e
dei valori (Parsons)
• Visione materialista: centralità degli
interessi materiali (Marx). La riflessione
sulle ideologie come ‘veli’ che coprono la
realtà.
9
M. Santoro e R. Sassatelli, Studiare la
cultura, il Mulino
• Passaggio dall’idea di cultura come
coltivazione dello spirito a cultura come
insieme dei valori, delle norme, delle
rappresentazioni all’interno di un contesto
culturale dato
10
• Visione della cultura come insieme di
pratiche e di atteggiamenti che diamo per
scontati nella nostra vita quotidiana.
Cultura come pratica: forma di azione
quotidiana. Alla sua base ci sono i significati
(e le norme, credenze, le visioni del
mondo, i valori… a cui essi rinviano)
11
• Ann Swidler (1986). “Cultura in azione:
simboli e strategie” (in Santoro e
Sassatelli, 2009)
• Cultura come ‘cassetta degli attrezzi’
(tool-kit): abitudini, stili, competenze. Non
contano i valori ultimi, ma queste
competenze nell’influenzare l’azione.
12
Domande generali:
• E’ possibile separare cultura e società?
• Come studiare la cultura?
13
• Lo stesso concetto di cultura è figlio di una
data ‘concezione culturale’ (vedi la
sociologia
della
conoscenza,
K.
Mannheim)
• La concezione illuministica di cultura.
Visione ottimista: la cultura si incarica di
disperdere le tenebre dell’ignoranza e
della superstizione. Equivalenza di cultura
e ragione.
14
• Cultura sinonimo, qui, di ‘civiltà’ e
‘civilizzazione’. Universalismo del
concetto di cultura.
• In seguito contrapposizione tra ‘cultura
alta’ (prodotti dell’élite intellettuale) e
‘cultura bassa’ (cultura popolare).
15
• Il romanticismo tedesco (fine Settecento,
Ottocento): legame tra cultura e nazione.
La centralità dell’idea di tradizione;
specificità, sotto questo profilo, di una
nazione. Nasce in questo contesto il
concetto di Kultur come unicità (contro
l’universalismo illuminista).
16
L’antitesi tedesca fra ‘cultura’ e ‘civilizzazione’.
L’ analisi di Norbert Elias (‘Il processo di
civilizzazione’, 1936). Cultura rimanda qui
all’unicità e specificità delle singole culture
contro la ‘civilizzazione’ che richiama la civiltà
di corte (aristocrazia).
• Cultura come strumento per prendere le
distanze dall’aristocrazia da parte della
borghesia tedesca.
17
La concezione antropologica di cultura
• La concezione antropologica di cultura
(fine Ottocento): cultura come specificità
di un popolo
• Dimensione descrittiva. Relazione con le
imprese coloniali, e i cosiddetti ‘grandi
viaggi’. I resoconti della vita delle
popolazioni ‘altre’.
18
• La cultura diventa dimensione collettiva.
La centralità dei costumi.
• La diversità tra le culture
19
• E. Tylor (1871): cultura come insieme di
conoscenze, credenze, arte, morale,
diritto, costume e “qualsiasi altra capacità
e abitudine acquisita dall’uomo come
membro di una società”.
Ogni cultura racchiude al proprio una
pluralità di dimensioni.
20
Tre dimensioni centrali dell’universo culturale
nella visione antropologica:
a) il mondo delle norme e credenze (pensiero)
b) il mondo delle azioni quotidiane (costumi)
c) i prodotti del lavoro umano (cultura materiale)
21
Quali sono i caratteri centrali della cultura
nella visione dell’antropologia?
1. La cultura è appresa.
2. La cultura rappresenta la totalità dell’ambiente
sociale e fisico. Cultura e società finiscono in
questo caso per sovrapporsi.
3. La cultura è condivisa. La cultura è
uniformemente distribuita all’interno della
società. I problemi posti da questa visione nella
società contemporanea.
22
• Il relativismo culturale al centro di questa
visione di cultura – rifiuto della
gerarchizzazione delle culture.
• Influenza di questa visione sulla sociologia
– ma la sociologia, in quanto ‘scienza della
società’ deve guardare ai processi di
mutamento e analizzarne le dinamiche.
23
• In che modo tre importanti scuole
sociologiche - la scuola americana (Scuola
di Chicago); la scuola francese
(Durkheim); la tradizione di pensiero
tedesca (Weber e Simmel) – interagiscono
con la visione della cultura ereditata
dall’antropologia.
24
1. La Scuola di Chicago
• Stati Uniti, prima metà del Novecento. Il
metodo etnografico applicato alle realtà
delle metropoli americane. Forti fenomeni
migratori, coesistenza di culture diverse;
comunità culturali che convivono, ma
separate territorialmente.
• Principali autori di riferimento:
Thomas e Znaniecki, Park, Robert e Helen
Lynd
25
• Perché conta la dimensione culturale in
questo scenario: quali sono le
interpretazioni soggettive che i nuovi
immigrati danno della situazione in cui si
trovano a vivere. La ‘definizione della
situazione’ di Thomas.
26
• A differenza dell’antropologia: centralità
della costruzione sociale delle visioni
culturali di cui i soggetti/i gruppi sono
portatori.
• Park e ‘l’uomo marginale’: a cavallo tra più
sistemi culturali. Rapporto tra definizione
dell’identità e dinamiche culturali
(specificità dello sguardo sociologico sul
tema)
27
• Park (The City) applica gli strumenti
dell’antropologia culturale allo studio
dell’organizzazione culturale complessa
della città. Coesistenza di diversi gruppi: si
base etnica, professionale, eccetera.
• Viene anticipato da Park il concetto di
‘subcultura’, che diventerà centrale per la
sociologia del Novecento. La “città dentro
la città”.
28
• Attraverso la complessità culturale della
metropoli si accentuano aspetti come la
differenziazione simbolica,
l’individualizzazione, la pluralità degli
stimoli e delle relazioni. Crescono le
relazioni secondarie rispetto a quelle
primarie. La lezione di Simmel (La
metropoli e la vita dello spirito, 1903) e la
sua influenza su Park.
29
2. La scuola francese (Durkheim)
Le analisi dell’antropologia culturale sono
utilizzate per formulare una teoria
generale (vedi Durkheim, Le forme
elementari della vita religiosa, 1912).
Obiettivo: formulare leggi generali di
funzionamento del mondo sociale.
30
• Per Durkheim: importante cogliere le dimensioni
stabili nel tempo delle forme religiose, non la
loro variabilità a seconda delle culture (diversità
rispetto al programma dell’antropologia
culturale).
• Carattere simbolico della vita sociale: la
dimensione simbolica è al centro della vita
sociale; consente la comunicazione; attiva forme
di solidarietà pre-contrattuali. La polemica con
l’utilitarismo di Spencer.
31
• Le rappresentazioni collettive (visioni del
mondo, credenze, miti, valori, norme):
dimensione istituzionale e oggettiva della
cultura. Rappresentazioni collettive come
fatti sociali.
• Cultura come dimensione cruciale per
garantire l’ordine e la coesione sociale.
32
3. La tradizione di pensiero tedesca
(Weber e Simmel)
• Il dibattito metodologico (Methodenstreit)
di fine Ottocento. La posizione di Max
Weber.
• Esseri umani come esseri culturali: la
centralità del significato che si annette
all’azione.
33
• La definizione weberiana di cultura (1922): “
sezione finita dell’infinità priva di senso del
divenire del mondo, alla quale è attribuito senso
e significato dal punto di vista dell’uomo”.
• Le ricadute metodologiche di questa visione.
• Il condizionamento reciproco tra economia e
cultura (Weber, L’etica protestante e lo spirito
del capitalismo).
34
• L’analisi di Simmel della ‘cultura oggettiva’
e l’impossibilità del soggetto, nel mondo
moderno, di appropriarsene,
traformandola in ‘cultura soggettiva’.
Nasce qui, per Simmel, la ‘tragedia della
cultura’ moderna. L’analisi di Simmel ne
‘La metropoli e la vita dello spirito’ (1903)
35
• I complessi problemi della relazione fra
società e cultura oggi: le diseguaglianze e
le differenze; la ‘deterritorializzazione’
della cultura; l’individuo ‘slegato’ dalle
appartenenze culturali nell’universo
globalizzato. Al tempo stesso, queste
appartenenze si trasformano e possono
generare identità non integrabili.
36
I valori
Nel linguaggio comune i valori sono intesi
come gli ideali verso i quali si tende.
Due significati specifici nel linguaggio
sociologico:
• Dimensioni ritenute soggettivamente/
oggettivamente rilevanti
• Criteri di valutazione dell’importanza di queste
dimensioni
37
Le diverse dimensioni dei valori
•
•
•
•
Affettiva
Cognitiva
Selettiva
Normativa
38
Nel discorso pubblico contemporaneo è
entrato fortemente il tema della ‘crisi dei
valori’. In realtà, non sono ‘i’ valori ad
essere in crisi, ma alcuni specifici valori.
La variabilità storica dei valori. Nuovi
valori possono via via orientare l’azione.
39
• Un esempio del mutamento dei valori:
un valore tradizionale: l’ʻonore’;
un valore contemporaneo:
l’autorealizzazione (Inglehart) e
l’emancipazione personale
Gli ‘indignati’ e la lotta intorno a nuovi
valori. Il ruolo dei movimenti collettivi.
40
Durkheim e i valori
• La distinzione fra morale – ideali
normativi e valori - e mores - condotte
abitudinarie, costumi. I valori non
possono essere ricondotti al
comportamento. La dimensione valoriale è
centrale per la vita sociale ( la coesione
sociale)
41
Parsons e i valori
• T. Parsons sviluppa la visione
durkheimiana dei valori: centralità del
concetto di interiorizzazione dei valori nel
corso del processo di socializzazione.
• I valori entrano a far parte della struttura
motivazionale della persona.
Importanza strategica dei valori per
l’integrazione sociale (ma i valori dividono
tanto quanto uniscono – v. Weber)
42
Il meccanismo di acquisizione dei valori
secondo questa prospettiva teorica:
il bambino/la bambina apprendendo i ruoli
si familiarizza e apprende i valori e le
norme sociali ad essi collegate.
43
Weber e i valori
• Comprendere significato e funzione dei
valori per comprendere l’azione sociale
(valori come guida e orientamento delle
scelte).
• Politeismo dei valori: non solo numerosità
dei sistemi di valore, ma loro
inconciliabilità. I conflitti che possono
nascere.
44
Marx e i valori
• Le idee e i valori dominanti in una società
sono i valori della classe dominante.
• Sono le ‘attività materiali’ ad ispirare i
valori, e non viceversa.
• I valori vanno compresi nel contesto di
un’analisi sull’ideologia.
45
• Falsità dell’universalismo di valori quali
libertà, uguaglianza, fraternità (i valori
dell’Illuminismo).
• Mascheramento, attraverso i valori, di
interessi particolari.
• Affinità fra la visione marxiana dei valori e
quella utilitarista (accettazione dei valori in
base all’interesse dell’attore sociale).
46
• I valori e l’azione sociale
in linea generale va sottolineato come l’azione
sociale risulti orientata non solo da valori, ma
anche da interessi, consuetudini e, più in
generale, aspirazioni.
• Una questione teorica (e empirica) aperta: in
che misura i valori influenzano effettivamente i
comportamenti?
47
Valori e norme sociali
• Importanza della distinzione fra valori e
norme (anche se i due termini vengono
talvolta usati in modo indifferente).
• Valori come principi generali, norme come
dimensione vincolante che dai valori
discende. Divieti e sanzioni come
espressione delle norme.
48
• I valori garantiscono riferimenti generali
per l’azione; le norme regolano l’agire in
contesti specifici (regole pratiche).
• Quando vengono apprese le norme? A
differenza dei valori, interiorizzati nel corso
della socializzazione primaria, le norme
hanno un orizzonte di apprendimento
aperto.
• Diffusione delle norme in tutti gli ambiti
della vita sociale
49
• La distinzione fra comportamenti
‘regolari’ (routine, tradizione, senso
comune) e comportamenti ‘regolati’,
cioè normati (se la norma è violata
esistono sanzioni).
50
• Weber e la legittimazione: relazione fra
legittimazione dell’agire e possibilità di
stabilire norme.
• Autorità di carattere carismatico,
tradizionale e legale razionale.
51
La classificazione delle norme:
• Costitutive e regolative
• Definite in base al contenuto (variabile in
relazione ai diversi ambiti sociali)
• Definite in base al diverso grado di
formalizzazione (norme consuetudinarie e
statuite). Il ruolo delle norme che
delimitano il ‘territorio del sé’ (Goffman)
52
• Importanza del diritto in relazione alle
norme: norme giuridiche come sistema di
norme autonomo rispetto al potere.
• La sfera del diritto si riferisce sia alla
produzione delle norme sia alla loro
interpretazione e applicazione.
53
I simboli
• Differenza tra segni e simboli
• Segno: qualsiasi oggetto o evento usato come
richiamo di altro oggetto o evento
• Dimensione affine a ciò che significa (fumo >
fuoco; orma > animale).
• Simbolo (‘mettere insieme’). Segno di ordine
superiore. Il simbolo come ricomposizione .
L’usanza dell’antica Grecia.
54
Simbolo: segno o contrassegno riferito a
dimensioni astratte. Espediente che ci
consente di operare astrazioni.
I simboli si riferiscono a concetti (corona >
regalità; buio > mistero; bandiera > patria).
Appartengono alla dimensione ‘nascosta’ della
cultura. Studiare i simboli per conoscere le
diverse culture. Dimensioni universali e
specifiche dei simboli. La dimensione mitologica.
55
• Non c’è nulla, nella natura delle cose, che
conferisca al simbolo il suo significato. I
significati sono prodotti umani, che i gruppi
umani assegnano a determinati oggetti o eventi,
• per accordo e convenzione.
• Carattere arbitrario, ma condiviso del simbolo.
56
Ruolo centrale della interazione sociale (e
della socializzazione) nell’interpretazione
comune dei simboli.
Una collettività si riconosce in una serie di
simboli condivisi. La scuola durkheimiana: la
dimensione simbolica come cemento della
società. Il ruolo dei simboli nel creare coesione
sociale.
57
Simboli sono qui anche le credenze e i
rituali condivisi (E. Durkeim, ‘Le forme
elementari della vita religiosa’, 1912).
Società come comunità simbolica. Simboli
comuni = identità comune. I simboli creano
identità.
Ruolo fondamentale, sotto questo profilo, delle
credenze religiose e delle forme rituali.
58
• Centralità dei simboli naturali nelle religioni
antiche. Dimensioni che appartengono alla
natura, all’ambiente esterno - ad esempio
rocce, alberi, fonti - possono trasformarsi
in altrettante dimensioni simboliche.
• Queste dimensioni non dipendono dalla
creazione umana (diverso il caso, ad
esempio, di una stele di pietra eretta –
vedi Stonehange, UK).
59
Diverse funzioni dei simboli:
• Strumenti di espressione artistica
• Strumenti di comunicazione. Linguaggio
come sistema simbolico. Ma attraverso le
azioni simboliche (ad esempio i rituali) si
ha la possibilità di condividere idee senza
fare uso di parole, o con una
verbalizzazione minima.
60
Relazione simboli & memoria.
I simboli aiutano a ricordare il passato. La
memoria collettiva e gli oggetti simbolici (es.:
l’orologio della strage di Bologna del 1980).
Gli oggetti simbolici generano significati in
modi molteplici: registri verbali, visuali,
olfattivi, e così via.
Gli oggetti simbolici creano ambienti memonici
che coinvolgono i partecipanti alla
commemorazione.
61
Ancora sulla relazione fra dimensione simbolica
e dimensione del senso. Il senso è prodotto
dall’interazione sociale .
La lezione weberiana e simmeliana.
La lezione etnometodologica (Garfinkel)
62
Le religioni
• Ruolo delle religioni nella produzione e
trasmissione del senso (dell’agire e, più in
generale, dell’esistenza).
Mentre le istituzioni economiche e politiche
(‘razionali rispetto allo scopo’) hanno
tradizionalmente messo a disposizione
significati funzionali e oggettivi, sono state le
istituzioni religiose (‘razionali rispetto al valore’)
a rendere disponibili riserve di senso per le più
ampie condotte di vita.
63
• Questi schemi di significato collegano il tempo
della vita ad un tempo che trascende (‘eternità’)
l’esistenza individuale. La biografia ricava luce
da questa connessione.
• Che cosa accade oggi, quando si diffonde la crisi
del tempo ‘lungo’: crisi non solo del
‘differimento delle gratificazioni’, e dunque del
progetto di vita, ma difficoltà anche nella
produzione del senso sul piano collettivo.
64
Oltre alla dimensione del tempo (aspetto socioculturale), quali sono le condizioni strutturali
che favoriscono crisi di senso:
Due tipi fondamentali di strutture sociali:
1. Società con un unico e vincolante sistema di
valori. Le istituzioni sociali sono i referenti
indiscussi della vita sociale (società aracaiche,
grandi culture antiche).
65
2. Società in cui non esistono più valori comuni e
vincolanti, a carattere prefissato; questa assenza
impedisce che i diversi ambiti di vita siano tra
loro interconnessi. Pluralismo degli orientamenti
di valore, coesistenza di diverse comunità di
senso (società moderne).
In queste società è la sfera privata di vita a
soddisfare l’esigenza di integrare l’esistenza
personale in un sistema di valori sovraordinati.
66
Da qui il significato di secolarizzazione:
non perdita del senso religioso
(interpretazione diffusa, ma erronea) ma,
nella modernità, ‘privatizzazione’ della
ricerca di senso nella sfera religiosa.
Individualizzazione delle credenze.
Più in generale va comunque rilevato che
l’influenza delle chiese in Europa è diminuita a
partire dal XVIII secolo.
67
• Il ruolo del ‘disincantamento del mondo’
(Weber) – la diffusione dell’idea che ogni
aspetto della vita può essere, in linea di
principio, controllato razionalmente – nel
ridimensionamento moderno della dimensione
pubblica della religione.
• Disincantamento come tendenza
all’eliminazione della dimensione magica
dall’esistenza. Oggi: tendenza al ‘reincantamento’ del mondo.
68
• Che cos’è invece il fondamentalismo:
il tentativo di ricondurre l’intera società a
valori e tradizioni antiche. Oggi legame
fra ricerca dell’affermazione del
fondamentalismo e rivendicazioni sociali e
politiche
69
• La visione di Durkheim della religione (‘Le
forme elementari della vita religiosa’, 1912).
• Secondo D., le società non possono sopravvivere
senza una morale generale. Questo ordinamento
morale-simbolico viene definito ‘religione’.
• Si tratta di un ordinamento capace di garantire
senso e, insieme coesione sociale.
70
• La differenza fondamentale fra mondo
‘sacro’ e ‘mondo profano’. Sacro come
dimensione trascendente, ma capace di
strutturare le vicende e le azioni umane.
• Contrapposizione fra spazi e tempi sacri e
spazi e tempi profani.
71
Come conseguenza, grazie alla religione, le
interpretazioni comuni della realtà
(‘rappresentazioni collettive’) sono ricondotte ad
una visione unificata.
Durkheim concentra la sua attenzione sulla
religione come dimensione simbolica e garante
dell’ordine sociale a partire dagli aspetti meno
elaborati dell’esperienza religiosa (vedi religioni
totemiche).
72
A differenza di quanto sottolineato da
Durkheim, nella modernità la religione diventa
un’’istituzione secondaria’, con funzioni più
limitate e specializzate (vedi Berger e Luckmann,
Lo smarrimento dell’uomo moderno).
•
73
• Weber si concentra, per contro, sulle grandi
religioni universali (cristianesimo, islam,
buddismo, induismo, ebraismo).
• Importanza, per Weber, delle immagini del
mondo e dei modi di ottenere la salvezza
per classificare le religioni universali
74
* Immagini teocentriche - cristianesimo,
islam, ebraismo - o cosmocentriche induismo, buddismo.
* Modi di ottenere la salvezza: differenze
fra ascetismo e misticismo. L’’ascetismo
intramondano’ dei primi imprenditori
protestanti (‘L’etica protestante e lo spirito
del capitalismo’).
75
L’ideologia
• Tema di riferimento per la sociologia della
cultura. Varietà dei significati attribuiti al
termine.
Il termine risale al XVIII secolo (Destutt de
Tracy) . Ideologia come forma di analisi
che riguardano le origini delle idee
76
La questione dell’ideologia e la
legittimazione del potere. L’ideologia
come sostituto della religione. E’
abolito il riferimento al trascendente,
e sostituito con il riferimento alla
scienza moderna.
77
Caratteri dell’ideologia:
• Elevato grado di coerenza interna delle
idee proposte
• Visione del mondo totalizzante
• Funzione di legittimazione del potere (un
esempio contemporaneo: l’ideologia di
genere)
• Richiamo all’autorità scientifica
78
• Le ideologie come sistemi culturali
sofisticati, dotati di coerenza razionale.
Ideologia come sistema di riduzione della
complessità, per nulla segnato
dall’irrazionale, funzionale alla “tecnica
sociale moderna” (Luhmann)
79
• Importanza della dimensione rituale
per il mantenimento e rafforzamento
delle ideologie (dal ‘rito dell’ampolla’
al rito del consumo)
80
Si può davvero parlare di fine delle
ideologie nella società
contemporanea?
• Variano le forme della loro
espressione, non viene meno la loro
presenza.
• Dagli ideologi agli esperti
81
Le diverse visioni critiche dell’ideologia
• 1) La visione illuminista e la centralità
della dimensione del pregiudizio (inteso
come distorsione della realtà prodotta ad
arte per difendere l’ancien régime) in
relazione all’ideologia.
• La ragione come antidoto alla
superstizione e al pregiudizio.
82
L’ideologia è uno strumento del
potere, e viene imposta attraverso la
menzogna e l’inganno.
E’ sufficiente ‘smascherare’
l’ideologia attraverso la ragione per
riconquistare la capacità di scorgere i
rapporti di potere e il loro uso
strumentale delle idee.
La visione ‘ottimista’ dell’Illuminismo
83
2) La visione marxiana e la centralità
della ‘falsa coscienza’
• Che cos’è la falsa coscienza. Il paragone
con la camera oscura (dispositivo ottico
alla base della tecniche fotografiche)
fotografici.
• Coscienza di sé come prodotto delle
relazioni sociali. L’autonomia della
coscienza è per Marx illusoria.
• Marx considera la propria visione come
‘oggettiva’ (‘scientifica’).
84
L’ideologia indica qui le rappresentazioni
illusorie della realtà che ne occultano i
fondamenti materiali (economici in primo
luogo).
La forza di un’ideologia è correlata
all’assenza di consapevolezza da parte di
chi la sperimenta.
L’I. legittima gli interessi del potere.
85
L’ideologia all’opera: religione, filosofia,
teorie economiche e politiche, ecc. come
forme ideologiche: forme di
giustificazione delle diseguaglianze sociali
esistenti.
Il rapporto fra ideologia e reificazione; fra
ideologia e de-storicizzazione.
86
3) L’ideologia come forma di
razionalizzazione
• La visione di Pareto (sociologo ed
economista italiano: 1848/1923).
• Che cosa sono le derivazioni:
razionalizzazioni a posteriori
dell’esistente. Per Pareto, tuttavia (a
differenza che per Marx), le cause non
sono sociali , ma psichiche.
87
• Che cosa viene razionalizzato? Impulsi e
istinti sono presentati con argomentazioni
razionali, ‘mascherati’ dalle forme
ideologiche (‘derivazioni’). Gli individui
non hanno coscienza di questo
meccanismo.
• I diversi livelli di analisi delle ideologie
proposti da Pareto.
88
4) La visione di Karl Mannheim e la
concezione ‘totale’ dell’ideologia
• Ideologia non come distorsione legata a
forme particolari di interesse, ma
concezione del mondo complessiva
(Weltanschauung).
• Differenza fra concezione particolare e
totale dell’ideologia.
89
A differenza della concezione particolare,
quella totale di ideologia non mira a
smascherare le affermazioni di un dato
gruppo sociale, ma a comprendere queste
affermazioni inquadrandole storicamente.
Legame fra studio dell’ideologia e
sociologia della conoscenza. Concezione
‘neutrale’ dell’ideologia (oltre la falsa
coscienza).
90
Il ‘senso comune’
Il senso comune (‘ciò che tutti sanno’,
Jedlowski) può essere definito come lo
specifico stile cognitivo, il modo di
pensiero proprio della vita quotidiana. E’ lo
‘sfondo’ entro il quale la nostra esperienza
personale si colloca.
91
In accordo a questo modo di pensiero
il mondo è, per così dire, dato per
scontato, è esente dal dubbio che le
cose possano stare diversamente da
come appaiono (Schutz, Saggi
sociologici)
Esso appare stabile sotto il profilo
cognitivo.
92
• Il senso comune comprende credenze,
visioni della realtà, modi di metterla a
tema, ‘massime’ con finalità pratiche,
riferite alla vita quotidiana. Tutte queste
dimensioni sono condivise all’interno di un
gruppo sociale dato. Il ruolo delle
interazioni sociali nella sua formazione.
93
• Sotto questo profilo il s.c. è un insieme di
certezze la cui verità non si lega a
ragionamenti, ma ad evidenze. E’ il regno
dell’ovvio, del non problematico, del
familiare (Jedlowski). E’ anche, al tempo
stesso, un sistema di aspettative
• Delimita, prima ancora che le risposte, le
domande che è lecito porsi.
94
Secondo la prospettiva della sociologia
fenomenologica questo atteggiamento
assume la realtà come non problematica.
Mette fra parentesi il dubbio che le cose
possano essere diverse da come
appaiono.
95
• Sul piano piano pratico questo atteggiamento
corrisponde alla formazione di routine e
abitudini.
• Il ruolo strategico della routine nel proteggerci
dalla minaccia dell’incertezza contemporanea
(vedi Berger, Berger e Kellner, The Homeless
Mind: Modernization and Consciousness, 1973).
96
Il senso comune può essere considerato anche
come una forma di memoria sociale - come un
insieme di regole, precetti, aspettative – legata
ad una tradizione (vedi articolo di Jedlowski,
Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 1994).
Dimensione normativa del senso comune: ciò
che ritenuto non solo ovvio, ma giusto.
Dimensione plurale del senso comune: non solo
ogni società, ma anche ogni gruppo sociale, ha e
riproduce un proprio senso comune.
97
• L’innovazione, sul piano cognitivo,
corrisponde precisamente ad una rimessa
in discussione del senso comune: ad una
sospensione, in altri termini,
dell’atteggiamento che dà il mondo per
scontato.
• Ne derivano apertura all’incertezza, ma
anche alla creatività.
98
Cultura e identità
• Non si può parlare di identità personale in modo
separato dall’identità sociale. Il ruolo delle
appartenenze sociali sotto questo profilo.
• L’identità, personale o collettiva, richiede forme
di autoriconoscimento per potere essere
considerata tale. Se si parla di identità non vi
può essere mancanza di consapevolezza (a
differenza di quel che può accadere per la
cultura).
99
L’identità personale
• L’identità si definisce al crocevia fra
uguaglianza e differenza (con altri); fra
continuità e discontinuità (con se stessi).
• Centralità della dimensione di unità (del
sé). Questa unità nasce dalla tensione fra
due processi: di identificazione e di
individuazione.
100
• La nozione di identità è in tal senso
indissolubile da quella di tempo:
rapporto con il passato (la memoria),
con il presente (l’azione) e con il
futuro (i progetti).
• Identità come continuità temporale
nonostante i cambiamenti
101
L’identità collettiva
• Si sente di ‘appartenere’ a un gruppo,
concepito come una dimensione unitaria e
coerente. Il gruppo, a sua volta, enfatizza
il mantenimento nel tempo della propria
cultura – memorie, valori, specificità.
• Centralità, di conseguenza, della
dimensione culturale (una cultura comune
è necessaria per fare riferimento ad
un’identità collettiva)
102
• Identità collettiva come baluardo contro
l’incertezza sociale contemporanea: l’I. ci
‘colloca’ nel mondo.
• Tutte le identità sono costruzioni sociali e
storiche. Contro l’essenzialismo (l’I. non è
una dimensione ‘naturale’, ‘eterna’). Per
definizione, le I. sono soggette a continue
trasformazioni.
103
• Ogni identità si definisce sulla base del
rapporto con le differenze.
• Le ‘politiche dell’identità’ nascono dallo
scarto fra dinamiche di autoriconoscimento e etero-riconoscimento (es:
gruppi etnici, gruppi femministi, ecc.).
Rifiuto delle identità imposte.
104
La negazione dell’identità
Le istituzioni totali (Goffman); i processi
migratori.
L’identità culturale
Centralità dell sentimento di appartenenza
sulla base di un’origine comune, della
condivisione di un territorio, di una lingua.
105
Relazione fra globalizzazione e crisi di
identità - identità sempre più
frammentate in un contesto di flussi
culturali transnazionali.
La risposta a questa condizione di
incertezza è sovente costitita dal revival
di identità etniche, culturali e religiose.
Nuovo riferimento alle identità ascritte
identificate come strumento di libertà.
106
Il multiculturalismo
Tre ordini di problemi diversi compresi nel termine:
• La presenza di differenze culturali (il contrario di
monoculturalismo)
• Il dibattito su ciò che è giusto o non è giusto fare quando
il particolarismo culturale chiede riconoscimento nello
spazio pubblico (rinvio alla filosofia politica)
• Le politiche che al multiculturalismo si richiamano (vedi,
negli anni Settanta del Novecento, le politiche del
Canada)
107
• Due strategie di fronte all’immigrazione:
assimilazione (precedente gli anni
Settanta: il melting pot come assimilazione
delle diverse culture in un’unica, grande
cultura – vedi USA) e riconoscimento delle
diversità culturali (dopo i Settanta: si
discute del diritto dei migranti a
mantenere la propria identità).
108
• Il multiculturalismo prende forma in questo
secondo quadro. Ma è necessario distinguere fra
l’aggettivo multiculturale (differenze culturali) e
il sostantivo multiculturalismo. Con questo
secondo termine ci si riferisce ad una forma di
politica governativa (con il Canada è l’Australia
a praticarla per prima negli anni Settanta) messa
a punto per fronteggiare le conseguenze di
processi migratori su larga scala.
109
• Multiculturalismo come approccio alternativo
all’assimilazione. Riconoscimento dei diritti
dei cittadini e delle identità culturali di gruppi
etnici minoritari.
• Nel discorso pubblico equivalenza di
multiculturale e multietnico.
• In chiave oppositiva, multiculturalismo è
inteso come quella prospettiva necessaria a
superare concezioni etnocentriche o razziste
della vita sociale.
110
Il multiculturalismo ‘forte’
• Riferimento al multiculturalismo in chiave
conservatrice. Unicità della ‘differenza’
culturale; le culture come entità autonome e non
comunicanti; omogeneità e stabilità interna di
ciascuna cultura. I diversi gruppi possono
coesistere solo perché si ignorano
reciprocamente. Il ‘multiculturalismo forte’
promuove la difesa delle differenze in una vera e
propria ‘guerra tra culture’
111
• Il concetto di M. resta dunque controverso. Oggi
viene spesso usato per evocare i dilemmi e le
difficoltà della politica della differenza (per
alcuni critici il M. promuove ad esempio un
approccio solo ‘estetico’ alla differenze,
celebrando la ‘diversità culturale’. Forma di
contenimento della resistenza). Vedi i numerosi
festival multiculturali organizzati a livello
locale.
112
• La critica degli studi postcoloniali e postmoderni:
il M. presuppone che i singoli gruppi etnici
‘possiedano’ una ‘cultura’, e che quest’ultima
costituisca una realtà fissa, statica.
• Il multiculturalismo critico (versus il M. liberale):
la diversità è un obiettivo, che va affermato nel
contesto di una politica di critica culturale e di
impegno a favore della giustizia sociale.
113
• Per i critici conservatori il M. incoraggerebbe il
separatismo e metterebbe in discussione l’unità
nazionale e la coesione sociale (‘culto
dell’etnicità’; ‘ossessione della differenza’)
• Il problema dell’oggi: come affrontare la
proliferazione delle differenze etniche e culturali
all’interno della nazione (porosità delle
frontiere).
114
• Per i critici conservatori il M. incoraggerebbe il
separatismo e metterebbe in discussione l’unità
nazionale e la coesione sociale (‘culto
dell’etnicità’; ‘ossessione della differenza’)
• Il problema dell’oggi: come affrontare la
proliferazione delle differenze etniche e culturali
all’interno della nazione (porosità delle
frontiere).
115
Il consumo
Il sostantivo ‘consumo’ deriva dal verbo latino
‘consumere’ – non solo usare le cose, ma anche
distruggerle, esaurirle, portarle a consunzione. E
‘consunzione’ è anche il termine utilizzato in
passato per designare l’ultimo stadio della tisi
polmonare. Acquisto e distruzione si intrecciano.
116
• Da qui anche la contrapposizione fra consumo
e produzione, tra consumatore e produttore.
• Per l’economia (nel XX secolo) il consumo
diventa la soddisfazione di bisogni umani
attraverso mezzi economici. Vedi il modello
economico neoclassico (consumatore: azione
razionale sulla base di informazioni acquisite,
calcolo, scelta).
117
Le teorie sociologiche sul consumo
L’economia è interessata alle preferenze di
consumo, non al modo in cui queste preferenze
si sono formate. Il valore simbolico dei beni.
Theodor Veblen (1899, La teoria della classe
agiata): Il consumo vistoso. Si riferisce alla
tendenza a definire il proprio status sociale
attraverso forme di consumo appariscente sul
piano sociale. Strategia di distinzione.
118
• La leisure class (classe agiata) usa forme di
consumo vistoso per distinguersi dalle altre
classi. Imitazione da parte delle classi inferiori.
• Il consumo è vistoso se è superfluo. Il consumo
come strumento di onorabilità e rispettabilità.
All’origine del consumo c’è il desiderio di
supremazia per quel che riguarda lo status.
Distanza dalla prospettiva economica ‘neutra’.
119
• Simmel e la moda (1911). Imitazione e
differenziazione agiscono congiuntamente.
• Innovazione nei consumi della classe superiore
per segnare la distanza dalle classi inferiori. Non
appena il modello viene raggiunto dalle classi
inferiori si svaluta e viene sostituito.
120
• Bourdieu (La distinzione): i consumi sono
un’espressione dell’habitus, che è sempre un
habitus di classe. L’insieme delle pratiche e delle
preferenze costituisce uno stile di vita. Gli stili di
vita, in quanto ‘schemi di percezione e
classificazione’ consentono una forma di
gerarchizzazione sociale. L’habitus trasforma i
beni materiali e gli oggetti di consumo in segni
• di valore simbolico.
121
• In analisi successive sui ‘gusti’ e gli stili di vita (a
partire soprattutto dagli anni Novanta) questi
ultimi tendono ad essere sganciati dalla
differenze di classe e ricondotti, piuttosto, a
dimensioni identitarie e scelte su base
culturale.
122
• Oggetti (e consumo) come sistema di
segni (Baudrillard, Il sistema degli oggetti,
1968).
• Oggetti come ‘accessori rituali’ attraverso
i quali viene costruita cultura (e identità)
(Douglas e Isherwood, Il mondo delle
cose, 1979)
123
• Per concludere. Al consumo possono
esere associate visioni sociali differenti
(valutazioni positive versus negative).
• La società dei consumi.
• Il ‘consumerismo politico’ e il consumo
critico.
124
I processi comunicativi
• Pensiamo il mondo attraverso il
linguaggio: coincidenza fra linguaggio e
pensiero.
• Relazione fra linguaggio e dimensione
simbolica
• Linguaggio verbale e non verbale. Le
possibili contraddizioni fra le due forme
di linguaggio
125
• Struttura sociale, cultura e forme
linguistiche. La variabilità del linguaggio.
Gli studi di Berstein (anni Settanta):
Classe sociale, linguaggio e
socializzazione.
• Linguaggio e forme dell’identità collettiva
126
Sul rapporto tra cultura e linguaggio.
Secondo una nota formulazione (‘ipotesi
Sapir-Whorf ‘, seconda metà del
Novecento), a seconda della lingua che
pratichiamo comprendiamo il mondo in
modo differente
127
• Storia della lingua e storia della cultura sono
parallele: il caso dell’Italia e dell’unificazione
linguistica del paese (vedi gli studi di Tullio De
Mauro). A metà Ottocento solo il 2,5% della
popolazione parla l’italiano.
• Il ruolo dell’istruzione di massa e della
televisione a partire dagli anni Cinquanta del
Novecento.
• La persistenza dei dialetti locali.
128
La comunicazione interpersonale
Non c’è interazione sociale senza comunicazione.
I suoi elementi:
•
•
•
•
•
•
Un/a emittente
Un/a ricevente
Un codice
Il messaggio
Il canale
Il contesto
129
• Le differenze fra ‘denotazione’ e
‘connotazione’ (la seconda dimensione ha
carattere valutativo). Il ruolo centrale dei
processi di interpretazione della
comunicazione (riferimento alle
dinamiche culturali)
130
La comunicazione di massa
• La comunicazione mediata: i mezzi di
comunicazione di massa (media).
• Gli emittenti sono comunicatori di
professione. Il contenuto simbolico
(messaggio) è standardizzato. Il rapporto
emittente/ricevente è senza obblighi
reciproci (‘amorale’)
131
• Diversi tipi di tecnologie comunicative
nella storia: la scrittura, la stampa, le
telecomunicazioni.
132
• La scrittura (prime forme: 4000 a.C.; prima
scrittura alfabetica fenicia 1300 a.C.).
• Differenze tra cultura orale e cultura
scritta (Ong) (diversi sensi coinvolti;
diverse forme di apprendimento; diversa
relazione con il tempo; diverse forme di
articolazione del discorso)
133
• Gli amanuensi (coloro che copiavano i
manoscritti). Prime forme di stampa nel
XIV secolo in Europa. L’invenzione della
stampa a caratteri mobili è del 1456, ad
opera di Gutenberg. Meccanizzazione di
un’attività tradizionalmente manuale. Il
libro come prima merce nella fase di
transizione dal medioevo al nascente
capitalismo.
134
• Stampa dei libri come attività economica
regolata dal mercato.
• Trasformazione delle forme di conoscenza
e del sistema culturale. Il caso della
relazione fra stampa della Bibbia (primo
testo stampato secondo la tradizione) e
Riforma protestante. Carattere individuale
e intimo della lettura.
135
• Rapporto fra individualizzazione e
diffusione della stampa. Nasce l’’autore’
come figura individuale. La proprietà
intellettuale.
136
• L’opposizioene della Chiesa cattolica alla
diffusione della stampa. Necessità di una
licenza per leggere i libri sacri in volgare
(escluse comunque le donne e chi non
sapeva leggere in latino). A metà del XVI
viene creato l’Indice dei libri proibiti
(sopravvissuto fino al 1966).
137
• Relazione fra nascita di un sistema dei
media, alla fine del Settecento, e la
nascita dell’opinione pubblica. Nasce il
concetto di ‘sfera pubblica’ (Habermas)
come ambito intermedio fra società civile e
stato.
138
• Le telecomunicazioni. Fino al 1800 le
informazioni si diffondono con il solo
supporto fisico. Le distanze (vincolo fisico)
richiedono tempi lunghissimi per essere
coperte (versus la simultaneità del nostro
tempo, garantita dai media elettronici).
139
• 1838: nasce in Inghilterra il telegrafo
(codice Morse). Un messaggio poteva
arrivare in poche ore da un continente
all’altro invece che in parecchi mesi. Il
pianeta diventa via via più piccolo.
• 1856: nasce il telefono (Meucci e Bell).
Con il tempo diffusione del telefono nelle
abitazioni private.
140
• A partire dall’Ottocento progressiva
riduzione delle distanze geografiche.
• Separazione di spazio e tempo nelle
telecomunicazioni. La simultaneità non
richiede più lo stesso tempo e lo stesso
spazio (Thompson).
141
• Inizio Novecento: nasce la radio (Marconi).
Primi utilizzi legati a finalità militari. Dopo
la prima guerra mondiale viene scoperta
l’importanza delle onde radio come
strumento di comunicazione
• 1920: nascono le prime emittenti
radiofoniche negli Usa e in Inghilterra. Si
trasmette senza sapere a chi ci si rivolge.
142
• La radio fa il suo ingresso nella vita quotidiana di
milioni di persone come primo medium di
massa.
• 1929: prime trasmissioni televisive negli Usa e in
Inghilterra nel 1929. Nel 1960 quasi il 90% delle
famiglie americane possiede un apparecchio
televisivo.In Italia la Rai trasmette i primi
programmi nel 1954.
143
Le principali prospettive teoriche nello
studio dei media di massa
1. La teoria dell’ago ipodermico
Primi decenni del Novecento
• Visione apocalittica: la società è
atomizzata (società di massa), il pubblico è
manipolato dai media (dallo stimolo alla
risposta, in modo automatico).
• Il caso dello sceneggiato radiofonico ‘La
guerra dei mondi’, 1938.
144
• Il modello delle cinque W di Laswell (anni
Trenta):
• WHO : chi comunica
• WHAT: che cosa comunica
• WHOM: a chi comunica
• WHERE: dove/come/con quale mezzo
comunica
• WHAT EFFECTS: con quali esiti
145
Il modello ripropone i limiti della teoria
ipodermica:
• La comunicazione non è una costruzione
collettiva, ma un processo unidirezionale;
• Il processo è asimmetrico;
• Prevedibilità delle finalità del messaggio e delle
forme della reazione del pubblico;
• Emittente e ricevente sono messi a tema come
slegati dal contesto sociale.
146
2. Il flusso di comunicazione a due
stadi
• Anni Quaranta. Si mette in discussione la
teoria dell’ago ipodermico. Gli esiti della
comunicazione variano a seconda dei tipi
di pubblico:
• Da stimolo > risposta a:
stimolo > variabili intervenienti > risposta.
147
• In sintesi, per comprendere gli effetti dei
media di massa occorre studiare i contesti
in cui essi agiscono, vale a dire le relazioni
sociali in cui il pubblico/i pubblici è/sono
inseriti.
148
• Il flusso di comunicazione a due stadi
(Lazarsfeld et. al. 1944): ripensamento
degli effetti mediatici. Il ruolo centrale
delle relazioni interpersonali e degli
opinion leaders nell’interpretazione dei
messaggi dei media.
• Messaggi mediali > opinion leaders >
pubblici.
149
• Inoltre, secondo questa teoria, i media
rafforzerebbero opinioni già presenti nel
pubblico piuttosto che influenzarlo ex
novo.
• In sintesi: con questa visione teorica si
passa dalla manipolazione (ago
ipodermico) alla persuasione,
all’influenza.
150
3. La teoria degli usi e gratificazioni
Seconda metà del xx secolo.
• Il problema si sposta: dall’influenza dei
media sulle persone a come le persone
‘usano’ i media per finalità proprie (per
ricevere una gratificazione).
• La centralità della prospettiva strutturalfunzionalista (Parsons) e del concetto di
‘funzione’.
151
• La fruizione mediale si presta alla
soddisfazione di diversi tipi di bisogni: di
informazione ma anche di identità, di
relazione, emozionali, di intrattenimento,
di evasione, eccetera.
• Contano, anche qui, i contesti
materiali/sociali della fruizione.
152
• Ruolo attivo del pubblico/dei pubblici dei
media nella costruzione dei messaggi
mediali. Il pubblico usa i media per
gratificare i propri bisogni sulla base di un
modello di influenza circolare: struttura
sociale, caratteristiche personali, modelli
di consumo mediali, comportamenti
sociali.
153
4. La teoria critica
Anni Venti-Sessanta
• La Scuola di Francoforte (Adorno, Horkheimer,
Marcuse, Benjamin,
Fromm): approccio interdisciplinare, marxismo
critico (contro l’ortodossia marxista).
Lo studio dei mass media si lega a quello
dell’industria culturale (cinema, radio, stampa,
poi televisione), considerata strumento della
classe dominante.
154
• Il consumo culturale di massa,
l’omologazione dei bisogni, la
manipolazione dei desideri.
• L’industria culturale produce merci
culturali, prodotti preconfezionati
destinati ai consumatori.
• Il ruolo della pubblicità in questa analisi.
155
• L’industria culturale è al servizio della
classe dominante e legittima l’ideologia
dominante.
• Visione fortemente critica dei media.
Vicinanza con la teoria dell’ago
ipodermico. La fruizione mediale
massificata anestetizza il pensiero.
156
• L’’uomo a una dimensione’ di Marcuse
(1964): falsa coscienza e manipolazione dei
bisogni. Il sistema dei media persegue il
consenso.
• Contro l’approccio funzionalista e la
ricerca statunitense sui media (media
communication research)
157
5. I Cultural Studies
• Anni Cinquanta-Settanta
• CCCS (Centre for Contemporary Cultural
Studies), Università di Birmingham.
• La cultura viene studiata a partire dalle
pratiche quotidiane dei soggetti e dalle
costruzioni di senso in tal modo prodotte.
158
• Approccio di impronta marxista, attento
alle diseguaglianze di classe e al confflitto,
ma plasmato dalla convinzione della
centralità delle pratiche di negoziazione
attiva dei significati da parte dei soggetti.
• Cultura come terreno di scontro tra
volontà di dominio (cultura dominante) e
forme di resistenza (classi subalterne).
159
• Analisi su produzione e consumo mediali,
considerati come terreni complessi di
studio e di analisi.
• Hall (1973) e il modello encodingdecoding: produzione come encoding,
consumo come decoding. Il possibile
esercizio di soggettività dei fruitori.
160
• Tre tipi di decoding (decodifica) del
prodotto mediale:
• 1. letterura egemonica-dominante
• 2. lettura negoziata
• 3. lettura oppositiva
• Importanza del ruolo potenzialmente attivo
dei fruitori
161
• Dal pubblico ai ‘pubblici’. Il ruolo delle
subculture (Hebdige 1979) nel costruire
significati diversi dei prodotti mediali.
• Gli audience studies: i pubblici come
comunità interpretative.
• Contro la prospettiva della Scuola di
Francoforte: il ruolo attivo della cultura
popolare nel mettere in discussione i
messaggi dell’industria culturale.
162
6. La Scuola di Toronto
Anni Sessanta-Novanta
• Riferimenti: McLuhan, de Kerckhove.
• Centralità della tecnologia della
comunicazione. Tecnologia come motore
del mutamento sociale.
163
• McLuhan fonda a Toronto, nel 1963, il
Center of Culture and Technology
• Analisi dell’impatto della stampa e dei
media elettrici sulla mente umana. Vere e
proprie mutazioni antropologiche si
producono attraverso l’uso dei diversi
media – dalla scrittura ai media di massa.
164
• Media come estensioni del sistema
nervoso, ma anche della onsapevolezza
umana. La metafora del ‘villaggio globale’
legata alle trasformazioni sociali e culturali
prodotte dai media di massa.
165
• Che cosa sono i ‘media caldi’ e i ‘media
freddi’? I primi, i ‘media caldi’, lasciano
poco spazio alla rielaborazione personale
del fruitore (cinema, radio). I secondi, i
‘media freddi’, richiedono un suo
intervento attivo (per McLuhan sono
‘media freddi’ il telefono e la televisione).
166
• La famosa espressione di McLuhan ‘il
medium è il messaggio’ rinvia
all’incessante processo di mutamento
prodotto dai diversi media. E’ questo il
‘messaggio’ mediale.
• I ‘modelli mentali’ (brain frames) stimolati
dai diversi media
167
• Forte determinismo tecnologico delle
elaborazioni della Scuola di Toronto
168
Nota conclusiva
Non ci sono slides relative alle lezioni sul
tema del tempo, della memoria e delle
generazioni. Per i testi di riferimento si
rimanda al sillabo.
169
Scarica

Sociologia dei processi cult. e com