Una definizione universalmente accettata del
rapporto fra le amministrazioni pubbliche e le
politiche economiche non esiste.
Possiamo partire da una considerazione di
fondo:
una buona amministrazione pubblica
deve porsi quale strumento di sviluppo
nell’ambito della politica economica
di un Paese.
1
Quando in Italia si parla di politiche
economiche, si tende a suddividere la scienza
economica sottostante in due rami:
•un ramo positivo (l’economia politica)
•un ramo normativo (la politica economica)
L’economia politica studia il funzionamento
concreto del sistema economico o di uno
specifico operatore
La politica economica studia gli strumenti con
i quali l’azione pubblica può raggiungere
determinati obiettivi.
2
La storia reale del pensiero economico fornisce
ampie prove del condizionamento storico delle
amministrazioni pubbliche.
Poiché l’economia è una scienza applicata,
strettamente legata ai giudizi sui sistemi e
sulle politiche reali, la cosa non deve apparire
sorprendente; sarebbe piuttosto sorprendente
il contrario, ovvero la totale assenza di tracce
tra le teorie economiche, i condizionamenti
sociali e l’evoluzione delle amministrazioni
pubbliche.
3
Ai soggetti pubblici spetta il compito di
programmare,
organizzare,
attuare
gli
obiettivi della politica.
In una moderna economia di mercato, d’altra
parte,
i
soggetti
sistematicamente
pubblici
confrontarsi
devono
con
il
comportamento dei soggetti privati e con le
loro aspettative.
4
ADAM SMITH
Pone le basi dell’economia politica partendo
dalla considerazione che ogni ricchezza è
prodotta dal lavoro e che ogni individuo è il
miglior giudice del proprio interesse.
Elabora la teoria della mano invisibile,
secondo cui, attraverso il meccanismo degli
scambi, gli interessi dei differenti individui e
quindi della società in quanto somma di
individui, sono realizzati con la massima
efficienza.
5
Smith
Se ciascun soggetto è libero di decidere il
suo comportamento, se a ciascuna merce si
applica il medesimo prezzo (operando in un
mercato concorrenziale), ogni individuo
troverà l’impiego più vantaggioso per il
capitale di cui dispone e, pur perseguendo
esclusivamente il proprio interesse, egli,
spinto da una mano invisibile, accrescerà
contemporaneamente
il
benessere
collettivo.
6
Smith
Pertanto, se il mercato, lasciato libero da
impedimenti
e
costrizioni,
raggiungere
risultati
è
positivi
in
grado
per
di
l’intera
società, diviene compito dello Stato e quindi
delle
amministrazioni
pubbliche,
quello
di
giocare un ruolo il più possibile neutrale in
campo economico.
7
Smith
In Adam Smith, c’è la consapevolezza che lo
Stato ha il compito di assicurare i servizi
pubblici essenziali allo sviluppo della società
(giustizia, difesa, sanità, opere pubbliche)
che non potrebbero essere affidati ai privati
poiché questi non sarebbero in grado di porvi
mano o per mancanza di mezzi o perché il
profitto
previsto
alternativamente
e’
se
troppo
basso
troppo
o
alto
provocherebbe scompensi d’altro tipo.
8
Smith
Con Smith nasce il liberismo economico e vi
sono gli embrioni dei primi condizionamenti
tra teorie economiche e funzionamento della
pubblica amministrazione
9
DAVID RICARDO
Egli non ha mai concordato con quanti hanno
ritenuto che a causa degli interessi dovuti sul
capitale
da
all’indebitamento
rimborsare,
trasferisce
il
ricorso
l’onere
della
spesa pubblica sulle generazioni future.
10
Ricardo
Secondo le sue teorie, in caso di ricorso al
debito, solo il capitale viene sottratto alla
ricchezza produttiva della nazione e non gli
interessi; negli anni successivi all’emissione
del prestito, infatti, vi saranno da un lato
persone
tenute
interessi
e
a
pagare
dall’altro,
tributi
per
individui
gli
che
riceveranno il pagamento di tali interessi (i
detentori del debito pubblico).
11
Ricardo
In
definitiva,
future
non
aggiuntivo;
hanno
per
Ricardo
sopportano
indubbiamente,
influenzato
le
le
generazioni
alcun
le
sue
onere
teorie
amministrazioni
pubbliche del tempo.
12
Ricardo approfondisce per primo un tema che
sarebbe divenuto di grande attualità:
il problema della scelta tra finanziamento della
spesa pubblica con imposta straordinaria
o con debito pubblico.
Egli aggiunge inoltre che per la generazione
presente imposta straordinaria e debito
pubblico sono equivalenti perché nel primo
caso la collettività sopporta la spesa nel
momento in cui l’imposta è istituita; nel
secondo
caso,
invece,
la
pubblica
amministrazione dovrà aumentare le imposte
future per pagare gli interessi del debito.
13
JOHN STUART MILL
Mill, mitiga il rigore di Smith e le sue drastiche
concezioni
sulla
necessaria
neutralità
dell’attività finanziaria pubblica, ipotizzando la
possibilità di un intervento pubblico nei casi in
cui tale attività fosse in grado di migliorare le
condizioni sociali della collettività.
14
Mill
Con Mill si cominciano ad approfondire i
legami tra l’attività finanziaria e l’attività
economica.
Mill è stato anche il primo economista a dare
basi solide teoriche alla cosiddetta teoria del
“sacrificio uguale”, in base al quale il
sacrificio
che
ogni
contribuente
deve
affrontare per il pagamento delle imposte
deve risultare proporzionale per tutti.
15
Mill
Si ha così uguaglianza di carico tributario
quando
i
tributi
imposti
cagionano
ai
contribuenti un eguale sacrificio.
Il prelievo tributario, effettuato in relazione al
principio di decrescenza di utilità economica
della ricchezza, per Mill deve pesare sui più
abbienti. In tal modo, oltre a ripartire
equamente le imposte, si addossa alla
collettività il minor sacrificio possibile.
16
Alla
fine
pensiero
del
diciannovesimo
economico
letteralmente
secolo,
classico
ripudiato
e
il
viene
anche
se
“neoclassico” sembra indicare una certa
affinità, le teorie hanno ben poco a che
vedere con Smith e Ricardo.
17
Per i neoclassici, il nuovo principio di fondo è
semplice. Il valore di un prodotto non è
dovuto solo alla quantità di lavoro in esso
compreso, ma risiede anche nell’utilità
attribuita dal consumatore all’ultima unità
acquistata.
la teoria finanziaria neoclassica concentra la
propria attenzione prevalentemente su due
problemi:
> l’allocazione ottimale delle risorse
> la ripartizione del carico fiscale
18
In questo periodo storico appare senza veli e
per la prima volta la differente applicazione
delle
teorie
economiche
rispetto
ai
condizionamenti sociali, politici e istituzionali
dei differenti paesi e le diverse conseguenze
sui sistemi pubblici.
19
Mentre
la
scuola
neoclassica
inglese
concentra, alla fine del diciannovesimo secolo,
la propria attenzione sulla ripartizione delle
imposte, la stessa teoria neoclassica, in altri
paesi dell’Europa continentale (come Italia e
Francia), conserva un approccio più ampio non
scindendo mai il problema delle imposte e
quindi della determinazione delle entrate da
quello
delle
spese;
il
tutto
pesantemente
sulla
dell’amministrazione
pubblica
incidendo
struttura
e
sul
suo
funzionamento.
20
La causa di tale diversità va ricercata nelle
differenti condizioni di sviluppo sociale ed
economico dei vari paesi europei in questo
determinato periodo storico.
Mentre
in
Inghilterra
il
processo
di
industrializzazione della struttura economica
può considerarsi concluso agli inizi del ‘900,
con il ruolo di propulsione dello Stato ridotto
al minimo, ...
21
… in Italia lo Stato interviene nello stesso
periodo con vigore a difesa delle nascenti (e
molto deboli) industrie; tutto avviene con un
aumento considerevole della spesa pubblica e
con un processo di responsabilizzazione ai
vari livelli del settore pubblico.
22
Arriviamo così all’economia del benessere, a
quel filone della teoria economica che valuta
il gradimento sociale di situazioni economiche
alternative.
L’economia del benessere, trae origine da
un’opera dell’economista Pigou ma è l’italiano
Pareto che la rende organica definendone i
criteri fondamentali:
l’efficienza e l’equità
Criteri che oggi, a distanza di un secolo,
ritroviamo su due livelli differenti e con
maggiore sofisticazione, nell’analisi della
determinazione, per l’azienda pubblica, del
23
valore pubblico.
ARTHUR PIGOU
Ritiene che il benessere sociale coincida con
il reddito e pertanto con il benessere
economico, e il reddito così come ogni altro
bene economico, ha un’utilità marginale
decrescente. Per tale motivo egli dice che
una politica redistributiva, che sposta il
reddito dalle fasce più ricche a quelle più
povere
della
popolazione,
accresce
inevitabilmente il benessere sociale.
Tutto questo a patto di non ridurre il volume
complessivo del reddito.
24
VILFREDO PARETO
Per Pareto è stato sufficiente dimostrare
che
un
possibile
sistema
è
aumentare
efficiente
il
se
benessere
non
di
è
un
individuo senza diminuire il benessere di
qualcun altro.
25
Pareto
Egli fissa in tre condizioni l’efficienza:
• efficiente combinazione dei fattori produttivi,
• l’ottima combinazione del prodotto
• massima efficienza negli scambi.
Con queste tre condizioni, la società raggiunge
la frontiera della possibilità, costituita dalle
infinite
combinazioni
che
assicurano
l’efficiente allocazione delle risorse disponibili.
26
I tentativi di Pigou non hanno trovato, nel
contesto
storico
diciannovesimo
studiosi.
In
ed
economico
secolo,
particolar
il
di
inizio
favore
degli
modo
è
stato
contestata l’impossibilità di comparare le
variazioni di benessere tra persone diverse;
per tale motivo ogni giudizio su una politica
redistributiva non può essere frutto che di
un giudizio di valore
27
L’influenza maggiore sulla politica neoclassica
appartiene
senza
ombra
di
dubbio
all’economista Say.
La legge di Say afferma che l’offerta di beni
crea la domanda e pertanto non può esserci
sovrapproduzione rispetto alla domanda per
un lungo periodo di tempo.
Secondo Say, ogni spostamento da un
equilibrio di questo tipo determina un
riaggiustamento
ad opera delle forze di
mercato sino al raggiungimento di un reddito
nazionale di cosiddetta piena occupazione.
28
Secondo questa teoria, se su un mercato c’è
un’insufficienza
di
domanda,
è
necessario
ammettere che su qualche altro mercato c’è
un’insufficienza dell’offerta.
29
Se la legge di Say è considerata accettabile,
non si può non dedurre che tutto quello che
viene
prodotto
è
certamente
venduto,
a
qualsiasi livello complessivo di produzione.
S’intende pertanto che l’azienda ha sempre
interesse a produrre al massimo della capacità
del sistema economico; l’unico limite potrebbe
essere dato dalla forza lavoro disponibile.
30
CARLO MARX
Egli ha liquidato la legge di Say, affermando
che in un sistema capitalistico, la moneta non
è solo mezzo di scambio, ma anche capitale.
In un sistema di questo tipo, non tutta la
moneta riscossa viene spesa.
> coloro che hanno redditi appena sufficienti ai loro
bisogni, utilizzano tutta la moneta disponibile;
> coloro che invece hanno redditi elevati, non spendono
tutto subito ma risparmiano in attesa di situazioni
maggiormente vantaggiose.
Poiché gli imprenditori acquistano beni
strumentali
quando
ritengono
ci
sia
convenienza, ne consegue che non sempre si
verifica la legge di Say.
31
Marx
Marx,
tempo
variamente
stesso
rappresenta
il
giudicato,
osannato
primo
criticato,
e
grande
al
detestato,
esempio
di
quanto una teoria economica possa incidere
sulla costruzione di nuove politiche che a loro
volta caratterizzano l’intero funzionamento
del sistema economico, privato e pubblico.
32
Marx
L’analogia
tra
il
capitalismo
e
le
forme
precedenti di società, circa l’appropriazione
di un surplus da parte di persone che non
partecipano all’attività produttiva, è per Marx
un
dato
storico
derivante
dall’esperienza
sociale.
33
Marx
Egli
mostra
situazioni
l’analogia
in
cui
che
esiste
tra
l’appropriazione
di
plusvalore è sancita politicamente o in cui è
riconosciuta
di
fatto,
come
“nella
forma
capitalistica di sfruttamento”
34
Marx
Nel
diciannovesimo
problema
secolo,
economico
dimostrare
per
non
Marx,
consiste
l’appropriazione,
bensì
il
nel
nel
conciliarla con la legge del valore: nello
spiegare,
in
altri
termini,
come
essa
si
verifichi nel regno della concorrenza e della
“mano invisibile” di Adam Smith del secolo
precedente, sino a quel momento punto di
riferimento del liberismo economico
35
Marx
Marx ha avviato l’esposizione della teoria del
plusvalore
partendo
nel
dal
primo
libro
presupposto
del
che
Capitale,
le
merci
vengono scambiate secondo il loro valore,
quindi proporzionalmente.
36
Marx
Verso la fine del secondo libro del capitale,
prima di affrontare la questione del prezzo e
del valore, Marx sviluppa il concetto delle due
principali sezioni della produzione sociale e
l’analisi dei loro rapporti. L’attenzione si
concentra in questa fase nella connessione
con
i
rapporti
strutturali
dello
sviluppo
economico.
37
Com’è
noto,
Marx
non
ha
mai
portato
a
termine e tanto meno riveduto e corretto il
secondo e il terzo libro del Capitale.
E’ stato Engels a raccogliere e pubblicare, dopo
la morte di Marx (1883) le sue annotazioni,
definendole nella sua prefazione al secondo
libro
del
Capitale,
“un
insieme
di
studi
incompiuti e per lo più frammentari”.
38
TEORIA
ECONOMICA
DETERMINA
SISTEMA
POLITICO
NUOVE
POLITICHE
ECONOMICHE
SISTEMA
CONDIZIONANO
ECONOMICO
INCIDE SU
SISTEMA
I condizionamenti delle teorie economiche sulle politiche
AZIENDALE
39
JOHN MAYNARD KEYNES
Con Keynes si arriva ad un’unica soluzione:
“se il mercato si dimostra incapace di
raggiungere
autonomamente
l’equilibrio,
occorre che lo Stato svolga un ruolo più
attivo nella vita economica”.
In sostanza, per Keynes, la finanza pubblica
deve
agire
sul
sistema
economico
trasformandosi da semplice attività di
raccolta di denaro per affrontare la spesa, in
un’attività di direzione politica e sociale.
In quest’accezione (senza dubbio molto
forte) si è anche parlato di finanza funzionale
come strumento di programmazione e
sviluppo.
40
Keynes
Keynes ha pertanto ritenuto che la finanza
pubblica
potesse
eliminare
gli
squilibri
territoriali, correggere gli andamenti dei cicli
economici,
nazionale,
incrementare
mantenere
in
il
reddito
pieno
regime
occupazionale le varie forme di produzione e
infine
prevedere
le
esigenze
delle
generazioni future.
41
Keynes
In sostanza, per Keynes, la finanza pubblica
deve
agire
sul
sistema
economico
trasformandosi da semplice attività di raccolta
di denaro per affrontare la spesa, in un’attività
di
direzione
politica
e
sociale.
In
quest’accezione (senza dubbio molto forte) si
è anche parlato di finanza funzionale come
strumento di programmazione e sviluppo.
42
Keynes
La tesi dominante di Keynes è che un deficit di
bilancio
determina
espansionistici
per
comunque
il
sistema
effetti
economico,
anche se finanziato attraverso l’indebitamento
dello Stato (ovviamente senza l’emissione di
carta
moneta
addizionale
che
invece
provocherebbe effetti inflazionistici).
43
Keynes
Nella visione degli economisti classici, la
politica di bilancio era semplicemente un
mezzo straordinario d’intervento pubblico;
per i keynesiani, diventa lo strumento
permanente dell’attività finanziaria dello
Stato.
Il meccanismo che per Keynes, consente la
regolazione
dei
cicli
economici
è
il
moltiplicatore
che
stimola
il
sistema
economico in periodi di crisi e rallenta
l’espansione nelle fasi di boom.
44
Keynes
Nell’impostazione
investimenti
Keynesiana,
privati
in
l’assenza
periodi
di
di
crisi
economica può essere compensata da un
aumento della spesa pubblica, che grazie
all’effetto del moltiplicatore, può stimolare
una crescita dell’intero sistema economico del
Paese.
45
Keynes
Nel modello di Keynes il reddito nazionale è
dato
dalla
somma
di
tre
differenti
componenti:
•la domanda di consumi indispensabili
indicata con Co;
•la domanda per consumi strettamente
legata al reddito indicata con cY;
•gli investimenti, influenzati dal tasso
d’interesse (i) e dalle aspettative degli
imprenditori (a), sono indicati con I(i,a).
46
Keynes
Il
reddito
nazionale
per
Keynes
può
pertanto essere espresso con:
Y= Co + cY + I (i,a)
47
Keynes
Se si indica con A la parte della domanda non
legata al reddito e quindi Co e I (i,a), si
potrebbe scrivere la formula precedente con:
Y= cY + A,
anche invertendo l’equazione con
Y-cY= A
48
Keynes
Mettendo in evidenza il reddito nazionale si
ha un’espressione di questo tipo:
Y(1-C)= A
che può tranquillamente essere
rappresentata con
Y= 1 A
1-c
1
1-c
rappresenta il moltiplicatore del reddito che
indica, in seguito ad un incremento iniziale
della domanda aggregata di quanto può
aumentare il reddito nazionale.
49
Keynes
La spesa pubblica è una componente della
domanda
aggregata
prevalentemente
a
poiché
esigenze
di
risponde
carattere
politico; la conseguenza è che un incremento
della
spesa,
attraverso
il
moltiplicatore,
determina un aumento del reddito.
50
Keynes
Per Keynes, la spesa non deve pertanto
essere finanziata con l’emissione di carta
moneta, al fine di evitare effetti inflazionistici,
ma
solo
attraverso
deficit
spending,
convertendo i risparmi in investimenti;
oppure facendo ricorso al tradizionale sistema
della tassazione riducendo però gli effetti del
moltiplicatore.
51
Keynes
La formula finale del moltiplicatore in presenza
di un’imposta progressiva sul reddito è così
sintetizzata:
1
1 – c(1 – t)
Un incremento iniziale della domanda pubblica
conseguente ad un aumento della spesa
pubblica, determina un effetto minore, poiché
le imposte riducono la parte di reddito che i
privati potrebbero destinare al consumo.
52
Le teorie di Keynes hanno suscitato grandi
entusiasmi dopo il 1929 e soprattutto nel
periodo
di
ricostruzione
post-bellico
ed
hanno sicuramente contribuito a definire gli
aspetti centrali delle policies di alcuni Paesi
dell’Europa occidentale, tra i quali l’Italia.
53
Dopo lo shock petrolifero del 1973, anche le
teorie di Keynes sono apparse poco valide e in
alcuni casi assolutamente inadeguate.
La comparsa sullo scenario della stagflazione,
ovvero
della
inflazione
determinato
e
contemporanea
stagnazione
un
presenza
ha,
ripensamento
di
di
fatto,
delle
nuove
finalità dell’intervento pubblico.
54
La critica più dura alle teorie Keynesiane è
arrivata dalla cosiddetta scuola monetarista
nata a Chicago.
Per i monetaristi, le grandezze monetarie non
influenzano le grandezze reali ed il sistema
economico è sempre in grado di assicurare il
pieno impiego dei fattori produttivi.
55
Per molti, la teoria monetarista è una
riproposizione raffinata e meglio articolata
della teoria neoclassica.
L’esponente di maggior rilievo della scuola
monetarista è sicuramente Friedman, che a
chiare lettere dice che l’inflazione è sempre
un fenomeno monetario.
L’unico obiettivo raggiungibile attraverso
una politica monetaria è quello del controllo
dell’inflazione attraverso il controllo del
tasso di incremento annuo della quantità di
moneta.
56
Per
quanto
concerne
invece
le
politiche
fiscali, per i monetaristi, la spesa pubblica
aumenta
in
corrispondenza
delle
entrate
fiscali disponibili e pertanto, è opportuno
intervenire con tagli fiscali come mezzo di
riduzione della spesa pubblica.
57
Questo pensiero ha certamente influenzato
numerosi
soprattutto
interventi
negli
dell’amministrazione
di
politica
USA
nel
Reagan
economica
periodo
(che
ha
proceduto a una riduzione delle imposte ancor
prima di diminuire la spesa) e in Inghilterra
durante i governi Thatcher.
58
Anche il Fondo Monetario Internazionale ha
spesso imposto, negli anni ’80 un maggior
controllo della politica monetaria e fiscale.
Si può tranquillamente asserire che l’analisi
delle esperienze dimostra come la politica
monetaria riduca certamente l’inflazione,
producendo facilmente recessione. Infatti,
la riduzione dell’inflazione in Inghilterra nel
periodo 1980-1985 e quella degli USA tra il
1981 e il 1986, sono state seguite da
profondissime recessioni.
59
Negli
anni
’80
si
sviluppa
la
nuova
macroeconomia classica, che riprende le
tematiche portanti del pensiero economico
classico,
inserendolo
in
un
contesto
macroeconomico. Questa scuola che annovera
tra i maggiori esponenti Robert Lucas negli
Stati Uniti e Patrick Minford in Inghilterra,
porta alle estreme conseguenze le idee dei
monetaristi concentrando l’attenzione su due
aspetti particolari del sistema economico come
la flessibilità dei salari e dei prezzi e il ruolo
delle aspettative razionali nell’influenzare
l’operato dei soggetti economici.
60
Mentre
i
monetaristi
ammettono
che
la
flessibilità dei prezzi e dei salari c’è nel
lungo periodo ma nel breve è possibile avere
una situazione di squilibrio temporaneo, gli
economisti
negano
la
della
macroeconomia
possibilità
che
il
classica
sistema
economico possa essere in squilibrio anche
nel breve periodo; pertanto ogni livello di
disoccupazione che si realizza nel sistema
economico
rappresenta
disoccupazione
di
un
equilibrio
tasso
o
di
di
disoccupazione volontaria.
61
Sempre negli anni ottanta, c’è stata una scuola
di pensiero che ha vissuto un momento di
grande notorietà.
E’
la
scuola
che
ha
accomunato
diversi
economisti (Laffer e Boskin tra tutti), meglio
conosciuta come ECONOMIA DELL’OFFERTA.
62
Economia
dell’offerta
L’idea centrale è costituita dalla convinzione
che la crescita economica è determinata da
fattori reali e non monetari; la crescita è
pertanto
influenzata
da
fattori
propri
del
mercato come:
 la mobilità dei lavoratori,
 il tasso di crescita della popolazione,
 l’utilizzo di un’efficiente combinazione
produttiva che impattano sul settore reale.
63
La
supply
argomenti
side
ha
del
pertanto
ripreso
cosiddetto
gli
liberismo
economico, affermando che quando vi è il
perfetto funzionamento del mercato, c’è una
conseguente
piena
occupazione
ed
una
crescita del sistema.
64
Questa teoria è stata, come del resto è
accaduto anche alle altre, diffusamente e
variamente interpretata.
Ed allora ci si è ritrovati con casi differenziati:
da
un
lato
economica
casi
con
misure
caratterizzate
da
di
politica
immediata
riduzione del prelievo fiscale e vendita di
aziende dello stato, dall’altro interpretazioni
che hanno dimostrato che l’obiettivo della
crescita
non
implica
necessariamente
la
cessione delle imprese pubbliche.
65
L’azienda pubblica, può infatti raggiungere
l’obiettivo
di
una
economico
purché
crescita
la
sua
del
sistema
esistenza
sia
coerente con le trasformazioni del sistema e
con le esigenze del mercato.
66
 I sistemi economici condizionano le
determinanti
del
funzionamento
delle
amministrazioni pubbliche;
 Le teorie economiche vivono in simbiosi con
le altre determinanti caratterizzanti un
Sistema Paese e ne subiscono a loro volta i
condizionamenti;
 Sin dalla nascita delle prime teorie, l’oggetto
di analisi, valutazione e critica è comunque
stato il comportamento del soggetto pubblico.
67
Nei sistemi economici moderni, appaiono
sempre più uniformi le forme che l’intervento
pubblico assume.
Gli
obiettivi
economici
generali
che
l’operatore
pubblico
persegue
sono
solitamente caratterizzati da macrofiloni
d’intervento come:
• l’efficiente allocazione delle risorse
• un’equa distribuzione della ricchezza e del
reddito
• la stabilità della crescita economica
• l’equilibrio dei conti con l’estero
• lo sviluppo economico
68
Pur non mancando coloro che sottolineano
come
l’intervento
pubblico
comporti
necessariamente effetti negativi, è bene
evidenziare
che
invece
lo
scopo
dell’intervento pubblico nella vita economica
è semplicemente quello di accrescere il
benessere collettivo; ed è su questo che va
valutata l’azione pubblica e il funzionamento
delle amministrazioni.
69
E’ possibile riassumere le moderne teorie
politico-economiche
dello
principali
intervento
tipi
di
Stato
in
tre
pubblico
nell’economia:
• la redistribuzione dei prodotti;
• la stabilizzazione macroeconomica;
• la regolazione del mercato.
70
La
redistribuzione
include
tutti
i
trasferimenti di risorse da un gruppo di
individui, di imprese, di enti locali, regioni o
Paesi verso altri gruppi, altri territori, altri
Paesi; così come anche l’offerta di beni
cosiddetti
meritori,
quali
l’istruzione
primaria, le assicurazioni sociali, i servizi
sanitari e tanti altri beni simili, sono parte
integrante della redistribuzione.
71
La stabilizzazione macroeconomica tenta di
raggiungere e sostenere livelli soddisfacenti
di crescita economica e e di occupazione; gli
strumenti principali sono la politica fiscale e
quella monetaria, insieme con la politica del
mercato del lavoro e quella industriale.
72
Le politiche di regolazione del mercato sono
finalizzate alla correzione dei vari tipi di
“fallimento del mercato” come:
• gli effetti del monopolio,
• l’informazione incompleta,
• le esternalità negative,
• l’insufficiente offerta di beni pubblici e
così via.
73
Tutti gli Stati moderni svolgono in qualche
modo
tutte
e
tre
le
funzioni,
ma
l’importanza relativa di ciascuna varia da
Paese a Paese, da territorio a territorio e in
funzione di un determinato periodo storico
74
Pur non mancando coloro che sottolineano
come
l’intervento
pubblico
comporti
necessariamente effetti negativi, è bene
evidenziare
che
dell’intervento
economica
è
invece
pubblico
lo
scopo
nella
semplicemente
quello
vita
di
accrescere il benessere collettivo; ed è su
questo che va valutata l’azione pubblica e il
funzionamento delle amministrazioni.
75
Da questo punto di vista va sottolineata la
nascita e la crescita, nel mondo anglosassone,
della scuola delle cosiddette “scelte pubbliche”
conosciuta come PUBLIC CHOICE.
76
Il punto chiave della scuola di public choice è
la convinzione che tutti gli operatori politici
operano come dei soggetti economici
77
Per tale impostazione, l’elettore cerca sempre
di far fruttare al meglio la propria scelta
politica,
così
come
il
politico
tenta
di
massimizzare il consenso attraverso l’adozione
di specifiche policies.
78
L’obiettivo più importante delle analisi di
public choice è lo studio dei comportamenti
degli operatori coinvolti a vario titolo
nell’assunzione
di
determinate
scelte
politiche e della loro influenza sui diversi
livelli finanziari (entrate e spese) dello Stato.
I soggetti sono ovviamente
•i gruppi di pressione
•le imprese, i sindacati
•la burocrazia
•i politici
•gli stessi elettori
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Questa impostazione in qualche modo cambia
ancora l’impostazione di tipo Keynesiano che
vede lo Stato come soggetto che opera al fine
di massimizzare il benessere della collettività.
Per la public choice, non si configura un
fallimento del mercato ma un fallimento dello
Stato
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Lo Stato e quindi le amministrazioni pubbliche,
non possono garantire un efficace utilizzo delle
risorse
economiche
in
quanto
subiscono
condizionamenti che non possono permettere il
conseguimento
del
benessere
dell’intera
collettività.
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