Etica dello sviluppo a.a. 2011/2012 Ecologia dello sviluppo per uno sviluppo sostenibile* *Breve delucidazione del titolo Con le slides che seguono si intende “aprire” l’idea dominante di sviluppo, di matrice prevalentemente economica, ad una dimensione ecologica1 ovvero ad una contestualizzazione ambientale che consenta di armonizzarla sia con la concezione “scientifica”, biologico-naturalistica dello sviluppo che con quella “filosofica”, etico-antropologica. Ecologia 1 L'ecologia (dal greco: οίκος, oikos, "casa" o anche "ambiente"; e λόγος, logos, "discorso" o “studio”) è la disciplina che studia l'ecosfera, ossia la porzione della Terra in cui è presente la vita in aggregati sistemici detti "ecosistemi", le cui caratteristiche sono determinate dall'interazione degli organismi tra loro e con l’ambiente circostante o ancora porzioni dell'ecosfera stessa. Urie Bronfenbrenner ha elaborato una teoria ecologica dello sviluppo umano nel volume: Ecologia dello sviluppo umano, tr. it. per il Mulino“, Bologna 2002 1 INDICE . MODULO I Lo sviluppo tra filosofia ed economia - Appendice I : Sviluppo ed economia . MODULO II L’allarme-sviluppo nella filosofia del XX sec. (F. Nietzsche, E. Husserl, M. Weber) . MODULO III Ripresa del fattore antropologico dello sviluppo (M. Scheler, R. Spaemann, M. Tomasello) . MODULO IV Verso un’ecologia dello sviluppo (A.-T. Tymieniecka) MODULO I Lo sviluppo tra filosofia ed economia Ristrettezza storico-disciplinare della nozione di sviluppo corrente Come la parola “sviluppo” compare solo nelle lingue moderne (développement, Entwicklung, development,desarrollo) al pari delle parole “lavoro” e “formazione”, relative ai principali fattori di sviluppo, così il tema dello “sviluppo” è oggi considerato di appannaggio prevalente dell’economia, che non di rado tenta anche di requisirlo nel proprio ambito disciplinare. Origine moderna dell’idea di sviluppo Va riconosciuto, d’altro canto, che l’idea di sviluppo, come oggi noi la utilizziamo, affonda le sue radici proprio nella riflessione economica, a partire dalla quale tale idea divenne sociopoliticamente rilevante, nel XVIII sec., quando si cominciò a pensare all’arricchimento delle nazioni in termini di dinamiche lavorative e di scambio, attuabili in vista di una «crescita» (growth), di un «perfezionamento» (improvement), di un «progresso» (progress). Ovvero: quando si cominciò a pensare che sullo sviluppo “naturale”, l’azione dell’uomo poteva produrre incremento e potenziamento “artificiali” (=dovuti all’arte) Archeologia dell’idea di sviluppo (1) Dal campo dell’economia, rientrava così nella cultura dell’Occidente, ancora tutta improntata al meccanicismo* della fisica dei grandi corpi celesti, appena costituitasi come sapere-guida (cfr.: H. Jonas), l’idea antica che nella natura si attuano mutamenti qualitativi e processuali di tipo organico, in cui cioè una certa identità iniziale di forma o di struttura formale mantiene legati, in una trasformazione, il punto di partenza con quello di arrivo, come è esemplificato dalla sequenza naturale attraverso la quale dal seme si passa al fiore e poi al frutto (cfr.: G. F. W. Hegel). * Cercare su Wikipedia! Archelogia dell’idea di sviluppo (2) Tale idea di sviluppo era già stata aristotelica, come sottolinea W. Windelband, che intitola: «Sistema dello sviluppo», il capitolo della sua Storia della filosofia dedicato ad Aristotele. In Metaph., IX, 8, Aristotele aveva dato una rappresentazione finalistico-genetica del movimento naturale, sintetizzabile nella dottrina della superiorità dell’atto sulla potenza. Tale dottrina comportava che ogni movimento di genesi naturale andasse inteso come di “attuazione” e trovasse perciò il suo termine finale inoltrepassabile, già per natura iscritto nel suo stato iniziale, del quale dettava i limiti dello sviluppo attuativo. Archeologia dell’idea di sviluppo (3) E’ nel XVIII sec. che, complici la crisi della metafisica e il diffondersi della sensibilità naturalistico-evoluzionistica, si assiste a una curiosa integrazione della rappresentazione antica dello sviluppo come genesi, che a quest’ultima fissava come fine/termine la corrispondente forma d’atto predeterminata nel suo stato germinale originario. Ora, infatti, sullo sviluppo naturale, metafisicamente codificato da Aristotele in chiave di “determinismo” finalistico-genetico, si applica, a potenziarlo illimitatamente e ad orientarlo in senso antropologicamente positivo, l’attività “morale” dell’uomo. L’economia politica al posto della metafisica Già in J. Bodin e negli economisti del mercantilismo* si può trovare all’opera la convinzione giusnaturalista,* che solo nel XVIII sec. verrà esplicitamente estesa all’economia dai Fisiocratici,* raccolti intorno al Quesnay,* secondo la quale nei fenomeni economici viene in luce un “ordine naturale” non deterministico, ma anzi affidato nel suo compimento all’umana iniziativa: esso può infatti essere conosciuto e perseguito con efficacia, istituendo appropriate regole per il comportamento delle società umane e instaurandovi un adeguato ordre positif.** **P. P. Mercier De La Riviere, L’ordre naturel et essentiel des sociétés politiques, P. Genthner, Paris 1910, p. 355. * Cercare su Wikipedia! L’economia politica al posto della metafisica (2) Si può perciò elaborare, secondo Dupont De Nemours* una “scienza dell’ordine naturale” come quella illustrata dal Tableau Economique di Quesnay (1758) o recepita dalle Refléxions sur la formation et la distribution des richesses di Turgot (1776) .* Se è vero, infatti, che gli uomini non possono penetrare nei disegni dell’Essere Supremo né comprendere per quali fini Egli ha istituito le regole immutabili che presiedono alla formazione e conservazione della sua opera (cfr. crisi volontaristica della verità metafisica del XIV sec.), è nondimeno verificabile che: * Cercare su Wikipedia! L’economia politica al posto della metafisica (3) “se esaminiamo queste regole con attenzione si nota almeno che le cause fisiche degli svantaggi fisici sono esse stesse le cause dei vantaggi fisici, che la pioggia che disturba il viaggiatore, rende fertile le terre; e se si procede ad un calcolo, liberi da ogni prevenzione, si vedrà che queste cause producono infinitamente più bene che male, e che esse sono istituite per il bene; che il male che esse causano incidentalmente risulta necessariamente dall’essenza stessa delle proprietà mediante le quali operano il bene […] Il bene fisico e il male fisico, il bene morale e il male morale hanno dunque evidentemente la loro origine nelle leggi naturali […] L’uomo dotato di intelligenza ha la prerogativa di poterle contemplare e conoscere per trarne il più grande vantaggio possibile, senza essere refrattario a queste leggi e a queste regole sovrane”. (F. Quesnay, Le droit naturel, in: François Quesnais et la physiocratie, INED, Paris 1958, p. 729 e ss.). L’economia politica al posto della metafisica (4) Dunque, pur rimanendo nell’ignoranza dei fini ultimi verso i quali la divina sapienza orienta il corso cosmico e storico, gli uomini possono elaborare ed esprimere una logica di ottimalità da imprimere alla vita, una volta che i comportamenti rivolti a procurarsi i beni per la sussistenza si sviluppano in conformità alle leggi naturali e morali volute da Dio e a partire da esse. E’ chiaro che la concezione naturalistico-finalistica dello sviluppo, in chiave metafisica, è considerata ormai vetusta e obsoleta, oltre che superata in quanto inadeguata a rispondere alle nuove esigenze socio-politiche di arricchimento delle nazioni, appena emerse. L’economia politica al posto della metafisica (5) Tuttavia, si ritiene inutile e superfluo applicarsi a re-impostare il quadro metafisico o di senso, a fronte dei successi pratici di sviluppo che si conseguono, semplicemente promuovendo la cultura e l’azione economica. Nella vita – sembrano ragionare gli uomini del XVIII sec. bisogna operare come nel caso di un terreno incolto: esso è di per sé privo di valore, ed è quindi inutile ogni indagine “metafisica” a suo riguardo; opportunamente trattato consente però al proprietario terriero di guadagnare un utile netto, formarsi un capitale e produrre investimenti finanziari, trainanti per l’intera comunità produttiva, che non a caso per i Fisiocratici si regge sulla classe dei proprietari terrieri. L’economia politica al posto della metafisica (6) E’ su tale logica pratica di coltivazione/lavoro per lo sviluppo del valore, che deve perciò costituirsi la nuova e vera scienza umana, l’economia politica, che ambisce a rimpiazzare la metafisica tradizionale. Essa, infatti, utilizzando le “leggi del valore”* o costanti esibite dall’agire economico e lavorativo, in modo autonomo rispetto ad ogni sapere metafisico, consente di avviare l’instaurazione di un ordine sociale da cui gli individui possano ragionevolmente attendersi di conseguire il massimo grado di benessere, compatibile con le risorse sempre limitate di cui dispongono. * Cfr.: W Letwin, The origins of scientific economics. English economic thought 1660-1776, Methuen, London 1963, pp. 171181. L’economia politica al posto della metafisica (7) Ciò che venne del tutto sottostimato in tale apertura di entusiasmanti scenari di trasformazione, dai quali gli uomini concreti potevano ragionevolmente attendersi effettivi e generalizzati miglioramenti della vita, è il fatto che, alla loro origine, c’era comunque un nuovo modo di essere che si faceva strada nell’essere, guadagnando un primo piano che fino ad allora non aveva mai avuto. La nuova scienza economico-politica e la conseguente promozione dello sviluppo in termini di delineazione delle vie di incremento della ricchezza delle nazioni, che essa comportava, presupponeva, infatti, l’avvenimento di una vera e propria innovazione metafisica. L’economia politica al posto della metafisica (8) Degli effetti positivi del nuovo corso spirituale si ebbe ampia consapevolezza nel XVIII sec. e di essi si volle godere pienamente. Sul principio che vi avrebbe sovrainteso, invece, si preferì non indagare, forse per evitare di sottrarre energie alla pratica stessa dello sviluppo, così brillantemente avviatasi, una volta abbandonata la priorità metafisica. Solo molto più tardi, nel XX sec., e per causa di forza maggiore, con l’affermarsi del pensiero della crisi e poi di quello post-metafisico, anche la novità metafisica all’origine dell’economicismo moderno comincerà ad essere posta a tema. L’economia politica al posto della metafisica (9) Proprio un atteggiamento tutto teso alla pratica dello sviluppo e ultimamente incurante di ciò che tale pratica ha “improvvisamente” reso agibile, sembra segnalare il ricorso da parte di Adam Smith alla metafora della “mano invisibile”. In tale metafora si esprime una sorta di “newtonianesimo* morale”** che, semplicemente dichiarando conforme alla natura, ovvero razionale e morale, l’esigenza di conseguire l’utilità economica, conferiva legittimità alle imprese e alle riflessioni più ardite volte a moltiplicare e diffondere la ricchezza. ** U. Meoli, Lineamenti di storia delle idee economiche, UTET, Torino 1991, p. 162. * Cercare su Wikipedia! L’economia politica al posto della metafisica (10) Si prospetta così, in Adam Smith, una situazione paradossale: da un lato, egli attribuisce la formazione e l’incremento della ricchezza delle nazioni al fattore umano, in particolare al lavoro e all’avvento della sua configurazione industriale di divisione, più produttiva ma anche più disumanizzante; dall’altro, egli confida per il successo ultimo dello sviluppo, così indotto, nell’opera armonizzatrice di una “mano invisibile” e ignota, che fa provvidenzialmente volgere a vantaggio di tutti quanto è mera espressione dell’interesse individuale. L’economia politica al posto della metafisica (11) Fin dall’origine smithiana emerge, dunque, nella concezione moderna dello sviluppo, una frizione irrisolta tra il fattore umano, industrioso e creativo ma ultimamente inadeguato a padroneggiare l’essere, e un fattore extra-umano, seppure antropomorfizzato, stabile e incombente, da cui guardarsi ma su cui, nello stesso tempo, appoggiarsi. Thomas Robert Malthus (1766-1834)* Tale frizione tra fattore umano (soggettivo) e fattore naturale (oggettivo) è segnalata anche da T. R. Malthus nel suo saggio: An Essay on the Principle of Population (1798) CHAPTER XVI. Probable error of Dr. Adam Smith in representing every increase of the revenue or stock of a society as an increase in the funds for the maintenance of labour-Instances where an increase of wealth can have no tendency to better the condition of the labouring poorEngland has increased in riches without a proportional increase in the funds for the maintenance of labour-[…] * Cercare su Wikipedia! T. R. Malthus (1) Thomas Robert Malthus vedeva il conseguimento della ricchezza delle nazioni non come una marcia inarrestabile dal meno al più, ma come una marcia di avvicinamento all’inevitabile catastrofe, determinata dal principio di popolazione, in base al quale ogni aumento del salario reale si traduceva in un aumento di popolazione. Ralph Waldo Emerson lo criticò così: “Malthus, affermando che le bocche si moltiplicano geometricamente e il cibo solo aritmeticamente, dimenticò che la mente umana è anch’essa un fattore nell’economia politica e che i crescenti bisogni della società sarebbero stati soddisfatti da un crescente potere d’invenzione” MODULO II L’allarme-sviluppo nella riflessione del XX sec. Crisi della soggettività e crisi dello sviluppo E’ Max Weber* tra i primi a notare le conseguenze per lo sviluppo di quella frizione irrisolta, presente in A. Smith, tra il fattore umano e il fattore extra-umano, che consegnava la dimensione soggettiva alle sue oggettivazioni, fino a renderla immemore della loro origine e dispersa in esse. In ciò Weber era certo stato influenzato dalla profezia di F. Nietzsche, che prevedeva, per il XX e il XXI secolo, l’avvento del nichilismo, cioè di quella patologia antropologica che, attaccando l’istanza di trascendenza dell’uomo, radice della soggettività, volge al nulla ogni possibile sviluppo. * Cercare su Wikipedia! Origine soggettiva del Capitalismo Weber, riflettendo sul poderoso fenomeno del Capitalismo, ne rinveniva l’origine soggettiva, risalente all’iniziativa di «un giovane di una delle famiglie di imprenditori» tradizionali: «ad un certo momento» si era ridestato in lui un nuovo spirito, che «improvvisamente» aveva cominciato a disturbare la vita tradizionale e «assai comoda» dei padri, «senza che fosse intervenuto alcun mutamento fondamentale nella forma dell’organizzazione – passaggio all’impianto industriale chiuso o al telaio meccanico o simili».* *M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, tr. it. di P. Burresi, Sansoni, Firenze 1965, pp. 124-125. Dinamiche oggettivanti del Capitalismo Il nuovo spirito capitalistico comportò l’avvio, in Occidente, di uno sviluppo incredibile, supportato da dinamiche di “razionalizzazione” (EPSC, pp. 76-77) parcellizzante e calcolante dei processi naturali, che non avevano uguali altrove. Del resto, lo spirito del capitalismo proprio in Occidente si era risvegliato e, cercando di realizzarsi, si era procurato i capitali come mezzi della sua azione - e non viceversa – (EPSC, p. 126), perché qui da tempo immemorabile si era avviato quel processo, preparatorio di esso e divenuto ora invincibilmente ineluttabile, che Weber denomina della “separazione delle sfere” (economica, politica, estetica, erotica, intellettuale).* * M. Weber, Considerazione intermedia, tr. it. di A. Ferrara, Armando, Roma 1995, pp. 41-104 Il disincanto del mondo Ma, dopo secoli di impetuoso sviluppo socio-economicoculturale, dello slancio di quell’iniziativa individuale, resta ormai solo – osserva Weber nel 1920 - il “disincanto del mondo” (Entzauberung der Welt). Si tratta di una condizione, socialmente diffusa e condivisa, che ci segnala la fine irrevocabile di quel passato, che era scaturito in modo “magico” - quando la nostra creatività era ancora in grado di avvertire l’incantesimo del mondo e farsene sollecitare - e perciò non è riproducibile con i poveri strumenti della razionalità calcolante, di cui ora disponiamo, dopo la devastazione antropologica che ci siamo inferti, consegnandoci all’esecuzione di dinamiche oggettive e oggettivanti, senza curarci del loro senso per noi. L’allarme sviluppo di Max Weber Della ricca e viva razionalità con cui l’uomo animava, nel passato remoto, il suo rapporto con il mondo, traendone insieme l’incremento del proprio essere e l’ edificazione del mondo stesso, non resta nel XX secolo altro che la capacità di calcolare «che cosa dobbiamo fare se vogliamo padroneggiare la vita con la tecnica»*. Per soddisfare le esigenze spirituali Weber consiglia, infatti, di rifugiarsi nell’ambito dell’irrazionale e attingere da religioni e filosofie il dio cui, senza ragione ma per un irrefrenabile quanto inspiegabile necessità interiore, vogliamo assoggettarci per dare un senso almeno alla nostra esistenza individuale, mentre continuiamo ad attendere all’opera razionalizzatrice del nostro lavoro intellettuale e materiale, che spoglia sempre più il mondo del suo mistero e produce nelle persone scetticismo e disincanto.** *M. Weber, La scienza come professione, tr. it. di L. Volontè, Rusconi, Milano 1997, p. 103. ** Cfr.: Allegato V: D. Verducci, Etica e turismo per lo sviluppo. Note a: N. Tonini, Etica e turismo. La sfida possibile, San Paolo Editrice, Cinisello Balsamo, 2010. L’allarme sviluppo di E. Husserl Nel 1935, anche la voce di Edmund Husserl si leva ad ammonire che «mere scienze di fatti producono meri uomini di fatti».* Nelle conferenze di Praga e di Vienna, infatti, egli affronta la drammatica situazione antropologica, che ha fatto seguito all’andamento dissennato dei saperi e delle pratiche da essi derivanti, compresa l’economia politica, nell’Europa moderna, dove con leggerezza si è lasciato che le scienze cedessero alla tentazione autonomistica e all’illusione di poter procedere proficuamente, pur avendo reciso i legami con la comune radice filosofica, che tutte le aveva generate, coinvolgendole in un’unica ricerca di senso umano. * E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, tr. it. di E. Filippini, Milano, Il Saggiatore, 1961, p. 33. Il nichilismo in F. Nietzsche* «Ciò che racconto è la storia dei prossimi due secoli» e tale storia tratta dell’«insorgere del nichilismo» (die Heraufkunft des Nihilismus) (VdP, Prefazione, § 2, p. 3). «Cento segni», continua Nietzsche, annunciano che essa è un destino che va di necessità al suo compimento e se ora, nel 1887, il nichilismo è solo incipiente, ospite tra i più inquietanti ma ancora «davanti alla porta» (VdP, P. d. o., § 1, p. 7), in seguito esso sarà dispiegato e condurrà alla nientificazione dell’umano nella conoscenza e nell’azione, perché comporterà la completa svalutazione dei valori supremi, la totale mancanza di scopi, la assenza di risposte alla domanda: «a che fine?» (wozu) (VdP, I, § 2, p. 9), la mancanza di senso e il senso dell’invano (VdP, I, §11, p. 11).** ** F. Nietzsche, La volontà di potenza, tr. it. di A. Treves e P. Kobau, Bompiani, Milano 2000. * Cercare su Wikipedia! L’allarme sviluppo in F. Nietzsche «Tutta la nostra cultura europea – osserva Nietzsche - si muove già da gran tempo con un tormento e una tensione che cresce di decennio in decennio, come se tendesse a una catastrofe: inquieta, violenta, impetuosa: come una corrente (Strom) che vuol giungere alla fine (ans Ende), che non riflette più (besinnt), che ha paura di riflettere (besinnen)» (VdP, Prefazione, § 2, p. 3). Quanto si sta producendo è, d’altro canto, ineluttabile secondo Nietzsche: si tratta infatti della conseguenza logica dell’«interpretazione del valore fin qui accordato all’esistenza» e dunque rappresenta l’effetto finale di cause che già da tempo hanno esercitato la loro azione e consolidato i loro risultati (VdP, I, 1, p. 9). Riattivare lo sviluppo umano secondo Nietzsche Nietzsche, proprio mentre avverte di essere assediato dal nulla e di avere «il nichilismo dietro di sé, sotto di sé, fuori di sé»(VdP, Prefazione, § 4, p. 4), scopre di essere il detentore di un fattore che, per saper cogliere il nulla, si manifesta potente antagonista di esso e forse capace non solo di fronteggiarlo ma anche di attraversarlo. Nietzsche si dichiara infatti pronto a instaurare un «contromovimento», rispetto a quello richiesto da quanto finora è stato considerato principio e compito ed è convinto che «in un qualche futuro [tale contromovimento] risolverà quel nichilismo compiuto», proprio per il fatto che esso «lo presuppone, logicamente e psicologicamente» e perciò «assolutamente non può venire se non dopo il nichilismo e dal nichilismo» (La volontà di potenza, “Prefazione”, § 4, p. 4). Tornare in se stessi per riattivare lo sviluppo (Nietzsche) Ciò che Nietzsche cava da dentro di sé come antagonista efficace al nulla, e ne è capace perché «sinora non ha fatto altro [che questo,] riflettere (zu besinnen)» (VdP, Prefazione, § 3, p. 4), è appunto l’esercizio della facoltà di «riflettere» (besinnen) ovvero del pensiero nella sua radicale attitudine a cogliere l’essere e operarne il ri-orientamento di senso. Esattamente ciò che la cultura europea nel suo tempo e nel nostro ha avuto paura di esercitare in pienezza, ma di cui invece c’è estremo bisogno e anzi rappresenta l’unica possibilità per la ripresa dello sviluppo umano ed economico, dopo l’oggettivizzazione estrema che abbiamo subito anche nell’espressione delle nostre energie evolutive. Riattivare lo sviluppo Ipotizza Nietzsche che per riattivare lo sviluppo: «Ogni caratteristica fondamentale, che è alla base di ogni avvenimento, e che in ogni accadimento si esprime, dovrebbe, se fosse sentita da un individuo come propria caratteristica fondamentale, spingere questo individuo ad approvare trionfalmente ogni attimo dell’esistenza in generale. L’importante sarebbe appunto sentire con piacere dentro di sé questa caratteristica fondamentalmente come buona e pregevole».* * F. Nietzsche, Il nichilismo europeo. Frammento di Lenzerheide, Adelphi, Milano 2006, § 8, p. 15 Modulo III Ripresa del fattore antropologico dello sviluppo L’uomo come fattore di sviluppo Siamo così risospinti al punto dal quale la ricerca dello sviluppo economico si era avviata: all’individuo umano vivente e alla inevasa domanda di senso circa le sue produzioni! (cfr.: MODULO I, slides 17, 88) Ora però, nel XX sec., gli studi antropologici possono offrire alla questione quel supporto teoretico che essa non aveva trovato nella metafisica tradizionale di stampo aristotelico in fase di dissoluzione. L’antropologia filosofica può infatti documentare la fecondità evolutiva dell’essere nell’opera dell’essere umano, il quale “fa essere” in proporzione del grado di umanità conseguito. Natura e natura umana Dal paesaggio concettuale dell’antropologia filosofica l’uomo emerge come un vivente che oltrepassa i limiti della diretta derivazione dall’animale, per esprimersi quale «progetto globale della natura», unico nel suo genere (A. Gehlen)*. Max Scheler* rappresenta così la condizione umana, rapportata alla condizione animale: AA (A=animale; A=ambiente; = metabolismo) U M (U=uomo; M=mondo; =trascendenza) * Cercare su Wikipedia! Natura e natura umana (1) Si riprende in ciò l’idea aristotelico-tomistica della natura umana, “estatica”, come la definisce R. Spaemann,* idea non più compresa dal tardo Medioevo in avanti. Secondo tale concezione la natura produce nell’uomo qualcosa che è “di più” (nobilior) della natura stessa e tale potenziamento avviene grazie all’amicizia, che consente di condividere e moltiplicare ciò che fa bene (Aristotele, Etica a Nicomaco; Tommaso, Summa theologiae) . L’uomo non è questo “di più”, ma è colui in cui la natura ha la possibilità di trascendere se stessa per arrivare a questo “di più”, che per S. Tommaso è la beatitudine (Summa theologiae, I-II, q. 5, a. 5, ad 1) e per Aristotele (De Anima, II, 4, 415a 29-b 1) la metèxis/partecipazione “all’eterno e al divino” * R. Spaemann, Natura e ragione. Saggi di antropologia, Università della Santa Croce, Roma 2006, p. 32. Auto-trascendimento della natura nell’uomo Ovvero: l’uomo, compiendo atti di trascendimento della natura sua e dell’intero cosmo, la conduce per la prima volta a se stessa e rende visibile quello che la natura è davvero, nella sua integralità potenziale e attuale. Infatti, soltanto nell’uomo la struttura tendenziale propria della natura si presenta come libero volere e riconoscimento di un motivo e di un fine oggettivi. Natura e natura umana (2) Affermare che l’uomo per natura trascende la natura sua e del cosmo significa definire l’uomo non tanto in base a ciò che egli è effettivamente, come facciamo per tutti gli altri enti, quanto attraverso ciò che egli non è ancora, ma può divenire per mezzo dei suoi atti. Così facendo, emerge la qualità specifica dell’uomo che, a differenza di tutti gli altri enti-oggetto, è “soggetto” i cui atti “fanno essere”, slatentizzando anche le potenzialità inespresse sue e del mondo, in forza del suo essere sorprendentemente corrispondente all’essere naturale e incidente su di esso. Qui si esprime il paradosso dell’umano! Infatti, mentre ogni essere vivente è “centrato” sul proprio ambiente, con il quale è determinato a “metabolizzare” (A↔A), l’essere umano risulta “eccentrico” (U M ), in quanto non fissato ad un unico centro ma libera controparte di una molteplicità di ambienti=l’intero mondo e come trascendente anche rispetto a quest’ultimo, perché in rapporto con l’infinito e l’assoluto, attraverso le sue idee. La funzione finalizzante Rispetto alla sicurezza istintuale dell’animale, fornito di un ambiente specifico e di una modalità di vita rigidamente determinata (J. Uexkühll)*, nell’uomo compare infatti una sorta di «manchevolezza», che lo costringe ad elaborare la sua stessa singola natura come «opera propria» (G. Herder)*. Proprio a causa di tale suo specifico biologico, segnato da una inadeguatezza alla vita, che esula dalle spiegazioni fornite dalle leggi evolutive della selezione e dell’adattamento (cfr.: teoria del ritardamento morfologico)*, l’uomo è dotato dalla natura della qualità speciale di porre fini a se stesso (L. Bolk)*. * cercare su Wikipedia! Natura e creatività nell’uomo Si delinea in queste acquisizioni della ricerca antropologica recente, filosofica e scientifica, una specifica concezione della vita dell’uomo nel mondo: essa non è soltanto un processo secondo natura, che si possa cogliere per via di analisi oggettiva, in quanto il costruttivismo della vita umana è veicolato dall’atto creativo, che la caratterizza. «Per trovare l’indizio del vasto, apparentemente disperso eppure cogente macrocosmo dell’universo umano in mutamento», bisogna «colpire al cuore della datità-in-divenire, dove tutto si differenzia a partire dai poteri virtuali», cioè occorre sapersi attestare sul punto sintetico rappresentato dall’atto creativo dell’uomo –che è anche ciò che lo rende “umano” – perchè è quello il luogo in cui «i fattori differenziali del macrocosmo della vita si differenziano».* *A.-T. Tymieniecka, Creative Experience and the Critique of Reason, “Logos and Life”, Book 1, Kluwer Dordrecht 1988, p. 6. *Cfr. Allegato: D. Verducci, La questione dello sviluppo in prospettiva ontopoietica, in “Etica ed economia”, 1 (2007), pp. 45- 58. + Allegato: SCHEDA-TYMIE Natura e creatività nell’uomo (1) Raggiungendo il livello della condizione umana, la vita consegue un grado di individualizzazione per cui prende coscienza di sé e si esplica come capacità di etero-autoplasmazione, conferendo al vivente uomo la capacità di riconoscere, selezionare, portare a realizzazione le proprie virtualità ontologiche e di gestire in modo creativo le funzioni e gli automatismi psico-fisici, suoi e dell’ambiente che lo circonda, sia animato e inanimato che umano. Natura e creatività nell’uomo (2) Il costruttivismo che promana dalla condizione umana della vita non consiste, infatti, né nel semplice «sviluppo del corso di vita [dell’uomo]» (development of his life-course), secondo il naturalismo antico, né si esaurisce nell’aggiunta del fatto che l’uomo è «un agente che conferisce significato, l’autore del suo mondo-di-vita», come il moderno cartesianesimo ha affermato. Ciò che si mostra, a ben guardare il fenomeno della comparsa della condizione umana nel corso dell’evoluzione dei viventi, è che «la vita propria [dell’uomo] è in se stessa l’effetto della sua autoindividualizzazione nell’esistenza per autointerpretazione inventiva della sua più intima movenza di vita» (Tymieniecka, op. cit., p. 5).* * Cfr.: Allegato PDF, “Etica ed Economia”, D. Verducci, cit., p. 53. Natura e creatività nell’uomo (3) Se dunque ci poniamo nella prospettiva della creatività umana come fattore originale e specifico di sviluppo, guadagniamo il nuovo punto archimedeo che ci consente di cogliere l’essere nella sua evolutività non solo autopoietica (=riproduttrice di essere, cfr.: F. Varela*) ma anche ontopoietica (=produttrice di essere): l’evolutività dell’essere risulta infatti marcata da un logos che procede auto-individualizzandosi e che, senza cambiare natura, ma passando dallo statuto deterministico della natura a quello libero dell’uomo, percorre l’intero universo inorganico, organico, umano e abilita l’uomo ad operare per uno sviluppo ecologico (= armonicamente suo e di tutto il cosmo).** * Cercare su Wikipedia! ** Cfr.: Allegato PDF, “Etica ed Economia”, D. Verducci, cit., p. 51-57. Il logos della vita nella vita umana Seguendo il filo conduttore del costruttivismo della vita, ci si manifesta così una teleologia ontologica, per la quale il dispiegamento della vita naturale trova il suo telos (=fine) nella vita umana; di qui si avvia, infatti, una fase di sviluppo nuova, in quanto l’auto-individualizzazione non procede più deterministicamente, ma secondo una modalità immaginativamente creativa: «the creative function guided by its own telos generates Imaginatio Creatrix in man, as the means par excellence, of specific human freedom: that is freedom to go beyond the framework of the life-world, the freedom of man to surpass himself» (Tymieniecka, op. cit., pp. 25-26). Il contributo della paleo-antropologia La paleoantropologia ci offre documentazione di ciò, allorchè ci indica la rivoluzione agricola del neolitico (10.000-3.500 a. C.) come il punto di avvio della culturalità umana o l’emergere del “secondo uomo”, come lo chiama A. Gehlen,* per il quale l'ambiente naturale diventa un ambiente culturale, influenzato e plasmato cioè non solo dalla semplice presenza umana, ma soprattutto dal fattore “creativo” propriamente umano, che si intreccia inestricabilmente con il puro dato biologico in una azione combinata tanto sui singoli individui che sulle pressioni selettive che ne plasmano le linee genetiche. * A. Gehlen, Le origini dell’uomo e la tarda cultura, Il Saggiatore, Milano 1996, p. 62. L’agricoltore/allevatore del neolitico L’agricoltore/allevatore del neolitico scoprì, infatti, cioè sperimentò ed apprese che la natura, sottoposta alle sue cure di coltivazione, “fioriva”, fruttificando secondo una fecondità, impensabile nel suo stato selvaggio. A seguito dell’esperienza sorprendentemente positiva della coltivazione dei campi, quale potenziamento “artificiale” dello sviluppo naturale, gli uomini estesero la pratica della coltivazione o cura anche alla natura propria e dei propri simili (culto dei morti, educazione/formazione, lavoro).* *Cfr.: MODULO I, slides 11-16 sui Fisiocratici Cultura e società La capacità di indurre sviluppo in noi e nei nostri simili, tramite la “coltivazione” dell’umano (= amicizia, cfr. MODULO III, slide 39), è posta all’origine della evoluzione della cognizione umana da Michael Tomasello, nel recente volume Le origini culturali della cognizione umana (1999), tr. it. di M. Ricucci, Bologna, Il Mulino 2005. M. Tomasello è uno scienziato di fama mondiale: - è Direttore a Lipsia del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology (1998) e a Monaco di Baviera del Wolfgang Köhler Primate Research Center (2001); - ha condotto confronti sistematici tra i due ambiti distinti rappresentati da conoscenza sociale e comunicazione nei primati non umani e linguaggio, conoscenza sociale e apprendimento culturale nei bambini. L’ultrasocialità come qualità specie specifica della specie umana Tomasello ha osservato, filogeneticamente e ontogeneticamente, che gli esseri umani sono in grado di mettere in comune le proprie risorse cognitive in modi sconosciuti alle altre specie animali. Gli uomini sono dotati di una forma specie-specifica di cognizione sociale o ultra-socialità, che li rende capaci di comprendere i conspecifici come esseri simili a loro stessi e di mettersi nei panni mentali degli altri. Gli umani imparano dagli altri, come i non umani, + imparano tramite gli altri «Perché noi (esseri umani) e non loro (scimpanzé) siamo soggetti culturali?» La domanda si pone anzitutto a livello filogenetico perchè - la differenza genetica che separa gli umani dagli scimpanzé è minima (meno dell’1%). - anche gli scimpanzè giungono ad un efficace modellamento del loro ambiente di vita, disponendo di forme incipienti di cultura e di sistemi vocali e motori di segnalazione per la comunicazione referenziale e intenzionale La filogenesi umana dagli australopiteci 6.000.000 di anni fa – un evento evolutivo Una popolazione di grandi scimmie antropomorfe si trovò ad essere isolata riproduttivamente dai suoi conspecifici e diede origine al genere Australopithecus, suddiviso in varie specie. 2.000.000 di anni fa – altro evento evolutivo Una sola specie di australopitechi era sopravvissuta all’estinzione, ma si era talmente evoluta da richiedere una nuova denominazione di genere: Homo. 200.000 anni fa – nuovo evento evolutivo La popolazione africana del genere Homo spazzò via tutte le altre lasciando discendenti oggi noti come Homo sapiens. Homo sapiens I membri di questa nuova specie avevano un cervello più grande dei loro antecedenti evolutivi e cominciarono - a produrre nuovi strumenti di pietra con specifiche funzioni e proprie tradizioni d’uso degli strumenti…..fino ai processi produttivi computerizzati - a usare simboli, linguistici e artistici, per comunicare e per strutturare la vita sociale…fino alla scrittura, al denaro, alla matematica, all’arte - a sviluppare nuovi tipi di pratiche e di organizzazioni sociali, dalla sepoltura cerimoniale dei morti all’addomesticamento di piante e animali…fino alle istituzioni religiose, amministrative, educative, commerciali L’enigma dell’evoluzione umana I 6.000.000 di anni che separano gli esseri umani attuali dalle altre scimmie antropomorfe sono un tempo troppo breve perché la normale evoluzione biologica basata sulla variazione genetica e sulla selezione naturale producesse le abilità cognitive necessarie agli esseri umani per creare, mantenere e far progredire l’intero complesso di tecnologie, tradizioni, forme di comunicazione e di rappresentazione simbolica, istituzioni e organizzazioni sociali, di cui il mondo umano è fatto. Fino a 2.000.000 di anni fa il genere Homo non aveva abilità cognitive diverse dalle grandi scimmie Solo negli ultimi 250.000 anni sono emersi i primi vistosi segni di abilità cognitive specie-specifiche dell’Homo sapiens La trasmissione sociale/culturale (1) Per spiegare l’enigma dell’evoluzione umana occorreva trovarvi all’opera un fattore di velocizzazione e potenziamento dello sviluppo naturale. A questo scopo Tomasello ha messo a fuoco la forma umana della trasmissione socio-culturale, il solo meccanismo biologico noto, che può produrre cambiamenti comportamentali e cognitivi notevoli in un tempo storico, cioè molto più breve rispetto a quello impiegato dall’evoluzione organica. La trasmissione sociale/culturale (2) Tomasello ha così scoperto che gli uomini sono dotati di una forma specie-specifica di cognizione sociale ovvero l’ ultra-socialità, che li rende capaci di comprendere i conspecifici come esseri simili a loro stessi e di mettersi nei panni mentali degli altri, praticando l’immedesimazione intenzionale e l’empatia. Quanto più progredivano nel processo di ominazione, tanto più gli uomini sono stati perciò in grado di cooperare per il perseguimento di beni condivisi (= amicizia) e di produrre con la trasmissione culturale un effetto cumulativo, che ha enormemente velocizzato e potenziato il loro sviluppo naturale, oltre ogni previsione.* * Cfr.: Allegato T (vi si riporta l’esempio, addotto da Tomasello, di trasmissione culturale cumulativa, esponenzialmente potenziata negli uomini dall’impiego della immedesimazione intenzionale) Condizioni per l’evoluzione culturale cumulativa • • • la creatività l’invenzione una trasmissione sociale fedele con effetto «dente d’arresto» (ratchet effect), che impedisca slittamenti all’indietro • processi di sociogenesi, nei quali una pluralità di individui crea quello che nessun individuo potrebbe creare da solo • N. B. - Per i primati non umani la difficoltà maggiore non sta nel mettere in atto le prime due condizioni ma nell’ottemperare alla terza e alla quarta, indispensabili per l’effetto cumulativo. La forma umana della trasmissione socio/culturale Nella forma assunta presso gli umani: • La cognizione culturale si è presentata come sintesi dell’evoluzione filogenetica, della traiettoria storica e del percorso ontogenetico del soggetto. • In tale intreccio tra natura e cultura, innato e acquisito, geni e ambiente, imprescindibile è apparsa la natura estatica e sociale dell’uomo • E’ come se l’individuo fosse portato sulle spalle degli individui che l’hanno preceduto e a sua volta portasse sulle spalle chi verrà dopo • In ciò sembra consistere la dignità dell’esperienza umana. Nuova filosofia del lavoro Una nuova filosofia del lavoro diventa così possibile, tale che non appiattisca più questo dispositivo antropologico essenziale, sull’unica dimensione esecutiva o di mezzo, al pari del lavoro delle forze fisiche o quale mero fattore produttivo in economia (cfr.: MODULO I, slides 65-72) . Anzi, la ricontestualizzazione antropologica del lavoro può aprire addirittura al riposizionamento epistemologico dell’economia, che senza dover essere snaturata o repressa nella sua legittima istanza di soddisfare i bisogni vitali dell’uomo gestendo risorse scarse, ha l’occasione di essere riscoperta quale sapere corrispondente a una precisa e imprescindibile esigenza dell’umano e dunque di porsi in armonia con l’intero antropologico.* * Cfr.: Allegato V: D. Verducci, Etica e turismo per lo sviluppo. Note a: N. Tonini, Etica e turismo. La sfida possibile, San Paolo Editrice, Cinisello Balsamo, 2010. MODULO IV Verso un’ecologia dello sviluppo Lo sviluppo dal punto di vista ontopoietico Dagli studi antropologici, la condizione umana emerge, teoreticamente, ampiamente ri-contestualizzata nell’ambito della «unità autoindividualizzantesi di tutto ciò che è vivente» e il divenire stesso risulta ora differenziato in 3 matrici interconnesse: - la matrice vitale del senso organico del costruttivismo della vita; - la matrice creativa dello sviluppo ontopoietico specificamente umano; - la matrice di trasformazione del divenire dal vitale naturale al creativo. Il logos ontopoietico della vita delinea un nuovo sfondo per la questione dello sviluppo umano e cosmico.* * Cfr. Allegato: D. Verducci, La questione dello sviluppo in prospettiva ontopoietica, in “Etica ed economia”, 1 (2007), p. 56 Ermeneutica dello sviluppo in prospettiva ontopoietica Non disponiamo della risposta immediata e diretta alla domanda: “come padroneggiare le vie dello sviluppo umano?”. Viene in evidenza tuttavia dalla concezione ontopoietica della vita un doppio effetto antropologico, per cui l’uomo risulta simultaneamente più dipendente dalla vita e più capace di dominarla. Da una lato, la condizione umana creatrice è emersa dal dispiegarsi del logos autoindividualizzantesi della vita naturale, che resta termine di continuo scambio condizionante per l’uomo, il quale dall’ambiente trae il sostentamento materiale e morale. Dall’altro lato è divenuto più chiaro che tutte le possibilità di potenziamento della vita sono deposte nell’uomo e nella sua creatività. * Cfr. Allegato: D. Verducci, La questione dello sviluppo in prospettiva ontopoietica, in “Etica ed economia”, 1 (2007), p. 57. Ermeneutica ecologica dello sviluppo Possiamo trarre da quanto osservato una proporzionalità diretta tra la crescita in umanità dell’uomo e lo sviluppo della vitalità del cosmo e della società. In particolare, se l’umanità dell’uomo è principalmente affidata ai suoi atti creativi, il compito che egli si trova ora davanti consiste nell’ideare un nuovo orizzonte di senso, capace non solo di ospitare la vita, ma di ampliarsi con essa, assecondandola e sostenendola in tutta l’infinita multiformità di sviluppo delle sue individualizzazioni.* * Cfr. Allegato: D. Verducci, La questione dello sviluppo in prospettiva ontopoietica, in “Etica ed economia”, 1 (2007), p. 57. Appendice I Sviluppo ed economia Sviluppo ed economia* Nei confronti dell’autoreferenzialità del punto di vista economico sullo sviluppo, documentabile a vari livelli (sviluppo/sottosviluppo; lavoro; formazione) si è generata ormai una notevole insofferenza, anche a causa del manifesto esaurimento, negli anni ’90, della linea di Politica di Cooperazione allo Sviluppo (PCS), inaugurata alla fine degli anni ’40, all’indomani del 2° conflitto mondiale, con i piani di ricostruzione postbellica (p.es.: Piano Marshall) e la creazione del sistema delle Nazioni Unite, per affrontare il problema di sostenere i nuovi stati, quali le Filippine e l’India, divenuti indipendenti nel corso del processo di decolonizzazione. * Per approfondire cfr.: F. Bonaglia-V. de Luca, La cooperazione internazionale allo sviluppo, Il Mulino, Bologna 2006. La Politica di Cooperazione allo Sviluppo (PCS) La PCS, inaugurata negli anni ’40, ha attraversato finora 4 fasi: 1) Anni 1950-1960: obiettivo di sviluppo è la crescita del reddito, ottenuta per effetto di trascinamento (trickle down effect), dall’industrializzazione, finanziata da investimenti esterni. 2) Fine anni ’70: obiettivo di sviluppo secondo l’approccio dei bisogni essenziali (basic human needs approach) e dei finanziamenti a progetto. 3) Anni ’80: obiettivo dell’aggiustamento strutturale delle economie dei PVS a fronte della crisi del debito 4) Anni ’90: obiettivo della riduzione della povertà e rivalutazione del ruolo delle Istituzioni e della governance (Ownership; stakeholders) Lavoro ed economia E’ recente la comparsa di alcuni neologismi significativi del rapporto ambiguo e insoddisfacente, che lega il lavoro all’ economia: - lavorismo = peggiorativo di laboriosità, inteso come “ideologia” di valorizzazione del lavoro. Cfr.: L. GALLINO, Se tre milioni vi sembran pochi, Einaudi, Torino, 1998: "Quanto agli effetti della disoccupazione, i peggiori non discendono forse dalla inattività (…). Ma assai più dalla caduta di quel fondamentale senso di essere in una relazione vitale e reale con altri uomini che un uomo avverte non altrimenti che nel denaro ottenuto mediante il proprio lavoro" (ivi, p.67). Lavoro ed economia (1) - risorse umane = è un termine usato nel linguaggio manageriale e dell'economia aziendale per designare il personale che lavora in un'azienda e, in particolar modo, il personale dipendente. - capitale umano = è l'insieme di conoscenze, competenze, abilità, emozioni, acquisite durante la vita da un individuo e finalizzate al raggiungimento di obiettivi sociali ed economici, singoli o collettivi. Il capitale umano è alla base del sistema delle relazioni interpersonali, formali ed informali, che generano il capitale sociale di un paese. La programmazione comunitaria 2007-2013 vi attribuisce notevole importanza per la crescita sociale ed economica della Comunità, ai fini sia della competività che della riduzione della povertà. Cfr.: G. S. Becker, Human Capital, Columbia University Press, New York, 1964. Lavoro ed economia (2) - workaholism = dipendenza/ubriacatura da lavoro (ted.: Arbeitssucht; giapp.: Karoshi). Il termine compare nel libro dello psicologo W. E. Oates, Confessions of workaholics: the facts about work addiction, World Publishing, New York, 1971. Spesso sindrome egosintonica. Infatti, in una realtà quale la nostra, dove lavorare si connota in maniera particolarmente positiva e come l'opposto dell'ozio, considerato comportamento riprovevole, il workaholic può sentirsi particolarmente adattato senza percepire il progressivo allontanamento dai valori relazionali e familiari né il conseguente depauperamento antropologico. Formazione ed economia La nozione di formazione ha in Italia un andamento altalenante. Esordisce, nel contesto post-bellico, ancora in fase di alfabetizzazione, come «formazione professionale», cioè come un’istruzione di seconda classe, in cui doveva realizzarsi un addestramento al lavoro e solo una minima preparazione culturale. Successivamente anche la formazione professionale si è intellettualizzata ed è stato il mondo del lavoro a lamentare il mancato coordinamento nei suoi confronti da parte della scuola. Ora lo scenario si è completamente rimescolato: addestramento, istruzione, educazione, acculturazione, sono tutte confluite nell’unico contenitore formativo, dal quale e nel quale dovrebbero continuamente (lifelong) ri-uscire e ri-entrare tutti gli individui socialmente attivi, che per tutta la vita debbono promuovere a tutto campo la loro formazione, professionale, culturale ed umana. Formazione ed economia (1) Già negli anni ’60, una ricerca su «La scuola e la società italiana in trasformazione», i cui risultati sono confluiti nel volume: U. Martinoli ( a c. di), La formazione sul lavoro, Laterza, Bari, 1964, si metteva a fuoco la nuova condizione, in Italia, delle cosiddette «forze di lavoro». Due i punti acquisiti: 1. i ruoli anche più modesti non possono più essere assolti da individui allo stato «grezzo», essendo stato sostituito il puro esercizio muscolare dall’impiego di macchine, più efficienti ed economiche. 2. l’individuo non può più limitarsi, per incrementare le proprie conoscenze abilità, ad attingere per ripetizione all’esperienza delle generazioni precedenti. Occorre, invece, che ognuno abbia agevole e rapido accesso al livello raggiunto dai padri, per procedere verso ulteriori progressi (p. 7). Formazione ed economia (2) Dal Progetto Isfol (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori), «Le Scienze della Formazione ed il lavoro: teorie, modelli, strumenti», (2000-2002), emerge tanto il sentimento di una problematicità e inadeguatezza diffuse a proposito delle risorse umane quanto una concomitante indifferibile esigenza di r i s o r s e u m a n e c r e a t i v e, espressa dal mondo, economico, sociale, politico, scientifico, tecnologico, allo scopo di orientare il corso degli eventi in una direzione di ottimalità, antropologica e cosmologica. Nello scenario socio-culturale contemporaneo in continuo mutamento è, infatti, ormai divenuta centrale la relazione tra la trasformazione dei contesti reali e i processi di apprendimento degli individui, per la creatività unica, che da essi può sprigionarsi. Banca Mondiale (1) All’ingresso della sede della Banca Mondiale si può leggere: “il nostro sogno è un mondo senza povertà” Lo sradicamento della povertà è l’obiettivo centrale oggi adottato dalla comunità dei donatori, come ufficialmente sancito dalla Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite. In effetti negli ultimi 40 anni si sono registrati enormi progressi nelle condizioni di vita dei Paesi in via di sviluppo. Resta tuttavia che il miliardo di persone che vive nei paesi industrializzati guadagna i 4/5 del reddito mondiale e che dunque lo sradicamento della povertà è un obiettivo ancora molto lontano dall’essere conseguito. Banca Mondiale (2) La Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo o BIRS (meglio nota come Banca Mondiale o World Bank nella dizione inglese) è un organismo internazionale dell’ Organizzazione delle Nazioni Unite, istituito il 27 dicembre 1945, insieme con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e l’Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea (OCSE nel 1961), a seguito dell'entrata in vigore degli accordi della conferenza di Bretton Woods (tenutasi tra il 1º ed il 22 luglio del 1944) con sede a Washington (USA), il cui scopo originario era quello di finanziare la ricostruzione e lo sviluppo nei paesi coinvolti nella seconda guerra mondiale. Successivamente lo scopo è stato allargato al finanziamento dei paesi in via di sviluppo tra gli stati membri, solitamente in cambio dell'adozione di politiche liberiste. Banca Mondiale (3) In base all'atto istitutivo, la Banca Mondiale, favorisce la ricostruzione e lo sviluppo dei territori dei paesi membri facilitando l'investimento di capitale a scopi produttivi; promuove l'investimento privato estero, fornendo garanzie o partecipando a prestiti; integra l'investimento privato, erogando, a condizioni più favorevoli di quelle di mercato, risorse finanziarie da destinare a scopi produttivi. Il funzionamento operativo della banca è assicurato dai versamenti delle quote a carico dei paesi membri. Attualmente le attività della Banca Mondiale sono focalizzate sul finanziamento dei Paesi in via di sviluppo in campi quali l'educazione, l'agricoltura e l'industria; la BIRS chiede in contropartita, ai paesi beneficiari, l'attuazione di misure politiche tese, oltre che alla limitazione della corruzione ed al consolidamento della democrazia, alla crescita economica in termini di PIL ed all'apertura di canali commerciali stabili con l'estero. Pcs- Fase 1 1) Anni 1950-1960: l’obiettivo di sviluppo coincide con la crescita del reddito, sulla base del modello economico degli americani Roy Harrod e Evsey Domar che prevede la crescita del reddito proporzionale all’investimento. La strategia è la promozione di un’industrializzazione, guidata da piani pluriennali dei governi e finanziata da una quota costante di investimenti esterni al PVS. Da ciò, per effetto di trascinamento (trickle down effect) dovrebbero scaturire stadi successivi di sviluppo, con ricadute positive sulle popolazioni, fino al recupero del gap di sviluppo in 10-15 anni. Pcs- Fase 2 2) Fine anni ’70: approccio dei bisogni essenziali (basic human needs approach). Obiettivo principale della Pcs diviene la riduzione della povertà insieme al miglioramento delle condizioni di vita nei PVS. Si riconosce che la crescita del reddito non basta a ridurre la povertà. Ora gli aiuti debbono focalizzarsi su azioni e risultati concreti (outcomes) (finanziamento a progetto) e indirizzarsi a istituzioni multilaterali. Il decennio 1970-1980 è però caratterizzato da una sostanziale deterioramento delle condizioni economiche dei PVS (crisi petrolifera del 1973; calo dei prezzi delle materie prime e dei beni esportati dai PVS; indebitamento dei PVS; siccità e carestie in Africa subsahariana). Ripensamento delle Pcs. Pcs- Fase 3 3) Anni ’80: crisi del debito e aggiustamento strutturale 20 agosto 1982: il governo messicano annuncia l’impossibilità a far fronte al pagamento degli interessi del debito contratto. Altri PVS si aggiungono. I paesi creditori propongono a quelli debitori un piano per la ristrutturazione del debito accompagnato da maggiori aiuti e dietro l’adesione del paese debitore al programma di aggiustamento strutturale (Structural Adjustement Program/SAP). Il programma si prefigge di favorire la stabilizzazione macroeconomica, riducendo la spesa pubblica a livelli coerenti con il reddito disponibile e una serie di riforme strutturali, quali la riduzione dell’intervento pubblico e il rafforzamento del funzionamento dei mercati. Finanziamenti di programma, erogati al settore privato o tramite ONG. Cfr.: Consenso di Washington = liberalizzazione e privatizzazione Pcs—Fine anni ‘80 Anche l’aggiustamento strutturale alla fine degli anni ’80 mostra segni di fallimento in termini di aumento della povertà e precarizzazione -nel 1987 un rapporto UNICEF chiede alla comunità internazionale di dare all’aggiustamento un volto umano -Nel 1987 il rapporto Brundtland, Our common future, introduce il tema della sostenibilità ambientale dello sviluppo, non limitandosi a proporre la necessità di rallentare la crescita dei PVS (decrescita), ma individuando il nesso specifico tra ambiente e sviluppo, tra sostenibilità ecologica e riduzione della povertà: lo sviluppo è sostenibile quando permette di soddisfare le necessità delle generazionei attuali senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare le proprie. -Nel 1990 il World Development Report della Banca Mondiale riporta la riduzione della povertà al centro della Pcs. Pcs- Fase 4 4) Anni ’90: riduzione della povertà e ruolo delle Istituzioni La comunità internazionale deve confrontarsi -con la difficile transizione al mercato delle economie pianificate -con il perdurante e crescente ritardo di sviluppo dell’America latina e dell’Africa - con il susseguirsi delle crisi in Asia (1997), Russia (1998), Brasile (1999) Necessità di un ripensamento dell’architettura finanziaria internazionale. Emerge l’importanza del fattore qualità delle istituzioni e della governance. La realizzazione e la sostenibilità delle riforme richiedono di essere discusse preventivamente con coloro che le devono sopportare (ownership=appropriazione del processo decisionale da parte degli attori locali, attraverso il coinvolgimento in esso di tutti coloro che hanno un interesse nel processo di sviluppo, i c.d. stakeholders) Lo sviluppo sostenibile Il termine è entrato nel dibattito nel 1987, con il cosiddetto Rapporto Bruntland, dal nome del responsabile della Commissione ONU su ambiente e sviluppo. Per SD si intende: «lo sviluppo che è in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri» (WCED, Our Common Future, Oxford 1987, p. 66). Per valutare la sostenibilità si è ideato un sistema di “contabilità ambientale”, che ha lo scopo di integrare le misurazioni dello sviluppo in termini di sola “crescita”. Gli indicatori dello SD sono economici, ambientali e sociali. A. Sen, intendendo lo sviluppo come un processo di espansione delle libertà reali di cui godono gli esseri umani, ha aggiunto ai tre precedenti, un indicatore politico di SD. Cfr.: A. Sen, Development as Freedom, New York, 1999. Il nuovo paradigma dello sviluppo Il nuovo approccio allo sviluppo degli anni Novanta si delinea, sulla base degli studi del premio Nobel indiano Amartya Sen, nell’ambito dell’approfondito dibattito svoltosi in seno all’ONU, che punta a finalizzare gli aiuti all’obiettivo dello sradicamento della povertà, intesa in un’accezione ampia ed inclusiva non solo degli aspetti strettamente economici ma anche di istruzione, diritti umani, ambiente, uso delle risorse e capacità degli individui di vivere una vita dignitosa. La riflessione della comunità internazionale si estende alle problematiche che la globalizzazione dell’economia e l’emergere della società dell’informazione creano per i paesi più poveri, a rischio crescente di marginalizzazione. Eventi: Conferenza di Pechino, Conferenza di Copenaghen (1995), Dichiarazione del Millennio (2000). Il nuovo paradigma dello sviluppo (1) Un altro premio Nobel, Joseph Stiglitz, vicepresidente della Banca Mondia dal 1997 al 2000, sostiene l’esigenza di un cambiamento concettuale nelle PCS. La sua prospettiva, definita Post Washington Consensus, si qualifica per il ruolo nuovo che attribuisce allo stato, nella definizione delle strategie per la riduzione della povertà, nell’individuazione di obiettivi e priorità e nella promozione di un processo partecipativo ampio per la loro realizzazione, nel partenariato stretto tra governi, istituzioni locali, società civile dei paesi meno avanzati e la comunità dei donatori. Si tratta di rafforzare quei settori sociali, che risultano indispensabile per ridurre la povertà e sviluppare il capitale umano e sociale, ai fini della crescita economica e del benessere in senso lato. Rimandi Le slides che seguono rappresentano i termini dei contenuti nelle slides precedenti. (86-93) rimandi Tali rimandi si raggiungono direttamente dalla forma <Presentazione> H. Jonas: dal vivo al morto «…la riflessione primitiva […] la metafisica in forma di mito e di religione […] cerca di risolvere la contraddizione fondamentale, per cui tutto è vita e tutta la vita è mortale. Essa accetta la sfida radicale e per salvare la totalità delle cose nega la morte […] l’essere è solo comprensibile, solo reale in quanto vita; e la presagita costanza dell’essere può essere intesa unicamente come costanza della vita, oltre la morte. […] Il pensiero moderno, che inizia con il Rinascimento, si trova nella situazione teoretica esattamente opposta: ciò che è naturale e comprensibile è la morte, problematica è la vita. […] Quel che, allo stadio dell’animismo, non era stato nemmeno scoperto ha invaso nel frattempo la totalità della realtà. L’universo tremendamente ingrandito della moderna cosmologia è un campo di masse inanimate e di forze senza meta, i cui processi si svolgono a seconda della loro distribuzione quantitativa nello spazio in base a leggi di invarianza» (p. 17).* *H. Jonas, Organismo e libertà. Verso una biologia filosofica, tr. it. di A. Patrucco Becchi, Einaudi, Torino, 1999. G. W. F. Hegel «Il fatto è che l’opinione (Meinung), scorgendo nella diversità unicamente la contraddizione, è incapace di concepire la diversità fra sistemi filosofici come sviluppo progressivo della verità (die fortschreitende Entwicklung der Wahrheit). La gemma scompare quando sboccia il fiore, e si potrebbe dire che ne viene confutata (widerlegt wird); allo stesso modo, quando sorge il frutto, il fiore viene per così dire, denunciato come una falsa esistenza (wird für eine falsche Dasein erklärt) della pianta, e il frutto subentra (tritt) al posto del fiore come sua verità. Ora queste forme non sono semplicemente differenti l’una dall’altra, ma l’una soppianta l’altra in quanto sono reciprocamente incompatibili. Nello stesso tempo però, la loro natura fluida le rende momenti dell’unità organica, in cui non solo non entrano in contrasto, ma sono necessarie l’una quanto l’altra; e soltanto questa pari necessità costituisce la vita del Tutto (macht erst das Leben des Ganzen aus)». *G.F.W. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, tr. it. di V. Cicero, Rusconi, Milano, 1995, pp. 50-51. Aristotele Metaphysica, l. IX (Θ), 8, 1049b 4-12: «…risulta evidente che l’atto è anteriore alla potenza (πρότερον ενέργεια δυνάμεώς εστιν) […] non solamente della potenza nel significato, sopra precisato, di principio di mutamento (αρχή μεταβλήτική) in altro o nella cosa stessa in quanto altro, ma, in generale di ogni principio di movimento o di inerzia (πάσης αρχής κινητικής ή στατικής). Infatti anche la natura (φύσις ) appartiene allo stesso genere cui appartiene la potenza, perché anch’essa è principio di movimento, ma non in altro, bensì nella cosa stessa in quanto tale. Ora di ogni potenza intesa a questo modo l’atto è anteriore 1) secondo la nozione; 2) secondo la sostanza; 3)invece secondo il tempo l’atto a) in un senso è anteriore e b) in un altro senso non è anteriore». L’evento metafisico all’origine dello sviluppo moderno L’evento metafisico che ha spianato la via ad un’idea profondamente rinnovata di sviluppo e che resta misterioso quanto alla sua causa, è stato, secondo Max Scheler,* l’emergere di una “nuova volontà di potenza e di lavoro, rivolta alla natura, di una nuova società nascente” (Conoscenza e lavoro, tr. it. di L. Allodi, Angeli, Milano 1997, p. 101). In altre parole, dal seno della totalità ontologica che fino ad allora l’aveva ospitato e che egli si era limitato a “teorizzare”/contemplare, l’uomo si fa ora avanti quale essere che non solo vuole conoscere ciò che è, come l’antico sapiente, ma che vuole anche produrre ciò che desidera, piegando la conoscenza all’intento pratico di operare trasformazioni del reale antropologicamente soddisfacenti. * Cercare su Wikipedia! La “mano invisibile” di Adam Smith "Il prodotto dell'attività produttiva è ciò che essa aggiunge alle cose o ai materiali su cui viene esercitata. A seconda che questo valore sia grande o piccolo, i profitti dell'imprenditore saranno grandi o piccoli in proporzione. Ma è solo per la ricerca del profitto che una persona impiega il suo capitale a sostegno dell'attività produttiva; ed egli, per questo, cercherà sempre di impiegarlo a sostegno di quella attività il cui prodotto abbia probabilmente il massimo valore, che si scambi cioè con la massima quantità di denaro e di altre merci […] In effetti un individuo non intende, in genere, perseguire l'interesse pubblico, né è consapevole della misura in cui lo sta perseguendo […] Quando orienta la propria attività in modo tale che il suo prodotto sia il massimo possibile, egli mira solo al suo proprio guadagno ed è condotto da una mano invisibile, in questo come in altri casi, a perseguire un fine che non rientra nelle sue intenzioni. Né il fatto che tale fine non rientri sempre nelle sue intenzioni è sempre un danno per la società. Perseguendo il suo interesse, egli spesso persegue l'interesse della società in modo molto più efficace di quando intende effettivamente perseguirlo. Io non ho mai saputo che sia stato fatto molto bene da coloro che affettano di commerciare per il bene pubblico." (A. SMITH, LA RICCHEZZA DELLE NAZIONI", ed. Newton, 1995, p. 391) La rivoluzione industriale Nelle vecchie corporazioni artigiane, l'unità occupazionale era il lavoratore individuale; il suo lavoro era essenzialmente fatto a mano ed egli, di solito, eseguiva tutte le operazioni necessarie per la produzione di un singolo oggetto. L'introduzione delle macchine determinò una situazione del tutto diversa. Il processo lavorativo veniva ora frantumato in una serie di operazioni divise, ciascuna delle quali era eseguita da individui che in essa si specializzavano. La descrizione classica della nuova tecnica fu data da Adam Smith* nel primo capitolo della sua opera Ricerca sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni (pubblicata il 9 marzo 1776), in cui descrive una fabbrica di spilli. *Per saperne di più cerca su Wikipedia! Il lavoro nella fabbrica (1) «Un operaio non addestrato a questa manifattura, che la divisione del lavoro ha reso un mestiere speciale e che non conosca l'uso delle macchine che vi si impiegano, l'invenzione delle quali è stata probabilmente originata dalla stessa divisione del lavoro, potrà a malapena, applicandosi al massimo, fabbricare un solo spillo al giorno, e certamente non ne potrà fabbricare venti. Ma, nel modo in cui si esegue ora tale fabbricazione, non soltanto essa è un mestiere speciale, ma si divide in molti rami, la maggior parte dei quali è analogamente un mestiere speciale. Un uomo tira il filo di metallo, un altro lo tende, un terzo lo taglia, un quarto lo appunta, un quinto lo arrotola alla estremità in cui deve farsi la testa; farne la testa richiede due o tre operazioni distinte, collocarla è un'operazione speciale, pulire gli spilli è un'altra e un'altra ancora è disporli dentro la carta; e in tal modo l'importante mestiere di fare uno spillo si divide in circa 18 operazioni distinte.... Il lavoro nella fabbrica (2) ...18 operazioni distinte, che in alcune fabbriche sono tutte eseguite da operai distinti, benchè in altre fabbriche lo stesso uomo ne eseguirà talvolta 2 o 3. Ho visto una piccola fabbrica di questo genere, che occupava soltanto 10 uomini e nella quale, di conseguenza, ciascuno di loro eseguiva 2 o 3 operazioni diverse. Ma sebbene essi fossero assai poveri, e perciò non disponessero di tutte le macchine necessarie, pure, quando si impegnavano potevano fabbricare complessivamente 12 libbre di spille al giorno. Una libbra contiene oltre 4.000 spilli di media grandezza. Quelle 10 persone potevano dunque fabbricare assieme oltre 48.000 spilli al giorno».