INGHOTTITOIO DI PIAN DI VARLACARLA (Monte San Giacomo, SA) M. Piperno
Scavi condotti in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica di Salerno, Avellino e Benevento
L’inghiottitoio di Pian di Varlacarla, conosciuto anche come grotta Merola, in località
Tempe di Tornicelle, presso Monte San Giacomo (SA), si apre a circa 980 m s.l.m., ed
ha uno sviluppo complessivo di 50 m, articolandosi su più livelli.
Alla prima esplorazione del GASP (Gruppo Amici Speleologia Padulese) nel 1975,
seguì una ricognizione da parte di Bruno d’Agostino per conto della Soprintendenza
alle Antichità di Salerno nello stesso anno. Una terza visita venne effettuata dallo
Speleo Club di Roma (SCR) nel 1987. Nel 1998, durante la seconda campagna di
scavo alla Grotta del Pino, la cattedra di Paletnologia dell’Università di Napoli
“Federico II” vi condusse una breve ricognizione, che confermò la grande importanza
del sito.
Si tratta di un inghiottitoio attivo che drena un bacino chiuso con tre accessi: uno
superiore ed agevole, costituito da un camino della profondità di 7 m; uno intermedio,
attualmente ostruito da una frana, probabilmente usato nel passato, perché dava
accesso diretto al meandro principale; il terzo, e più basso, costituito da un pozzetto di
circa 3 m. In un’ampia sala sono presenti in superficie numerosi frammenti ceramici,
tracce di focolari ed ossa animali; al di là di questo ambiente si giunge al meandro
principale, dove un piccolo anfratto è stato destinato a grotticella funeraria con resti
umani, attribuibili a due individui (di uno dei quali è presente solo il cranio), resti di
un capretto e nessun elemento di corredo.
Una seconda ricognizione venne effettuata nel corso della campagna di scavo condotta
nel luglio 2000 alla Grotta dei Vallicelli. In questa occasione fu possibile esaminare da
vicino due grandi pilastri stalagmitici, alti poco più di 1 m, che si trovano
all’imboccatura della sala principale. La presenza su tutta la superficie di queste
stalagmiti di numerosi segni tra loro paralleli, insieme alla destinazione funeraria della
cavità, testimoniata dalla sepoltura già menzionata, tenderebbe a suggerire una
probabile origine intenzionale dei segni stessi, origine che dovrà essere confermata da
analisi più approfondite del contesto e da una più accurata analisi al microscopio che
riveli le modalità di esecuzione di queste incisioni.
I resti ceramici raccolti sono di impasto mediamente depurato, alcuni dei quali ornati
con cordoni ad impressioni digitali, altri di impasto più fine e di spessore sottile, tutti
ascrivibili al Bronzo medio, come già osservato da B. d’Agostino nel 1981. Alcuni
frammenti appartengono a tazze carenate, altri di spessore maggiore, fanno pensare a
vasi di grandi dimensioni di uso domestico.
Bibl.
Piperno M. (a cura di) 2001, La Preistoria alle falde del Monte Cervati, Finiguerra
Arti Grafiche, Lavello.
Stalagmiti con incisioni lineari
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