QUADERNI DEL DIPARTIMENTO DI ECONOMIA
PUBBLICA E TERRITORIALE
n. 4/2010
Italo Magnani
Un economista liberale guarda alla economia
dell’ambiente: impressioni e riflessioni
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA
QUADERNI DEL DIPARTIMENTO DI ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE
UNIVERSITA’ DI PAVIA
______________________________________________________________________
REDAZIONE
Enrica Chiappero Martinetti
Dipartimento di Economia Pubblica e Territoriale
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TERRITORIALE ha lo scopo di favorire la tempestiva divulgazione, in forma provvisoria
o definitiva, di ricerche scientifiche originali. La pubblicazione di lavori nella collana è
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Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
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Convegno di Studi “Epicarmo Corbino”
Napoli, 3-5 giugno 2010
“UN ECONOMISTA LIBERALE GUARDA ALLA ECONOMIA DELL’AMBIENTE:
IMPRESSIONI E RIFLESSIONI”
Testo provvisorio della relazione di
Italo Magnani
Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pavia 1
Indice-Sommario: 1.- Premessa: Epicarmo Corbino economista liberale; 2.- Epicarmo Corbino versus Pantaleoni,
Pareto, de Viti de Marco, Mazzola; 3.- Segue. Gli scritti di Corbino e il loro carattere 4.- Epicarmo Corbino
versus Luigi Einaudi; 5.- Epicarmo Corbino economista storico pratico e de Viti de Marco & Co. economisti
normativi loro malgrado; 6.- Il liberale Corbino: un economista scomodo; 7.- Epicarmo Corbino antifascista e
oppositore del centro sinistra; 8.- Liberismo versus protezione dei privilegi; 9.- La stagione politica del centro
sinistra; 10.- L’interesse per l’ambiente negli scritti sull’ambiente; 11.- L’interesse per l’ambiente nel Racconto
di una vita: ad Augusta e dintorni; 12.- L’ambiente come luogo del vivere; 13.- Ma Augusta non è più quella di
una volta; 14.- Conclusioni; 15.- Opere citate.
1
Dipartimento di Economia Pubblica e Territoriale, Università di Pavia, Corso Carlo Alberto, 5, 27100 Pavia. Indirizzo
di posta elettronica: [email protected]
Desidero ringraziare Piero Barucci, Silvio Beretta, Domenicantonio Fausto, Rodolfo Jannaccone Pazzi e Daniela
Fernanda Parisi Acquaviva che hanno letto e commentato il manoscritto.
1
“UN ECONOMISTA LIBERALE GUARDA ALLA ECONOMIA DELL’AMBIENTE:
IMPRESSIONI E RIFLESSIONI
di
Italo Magnani
“E così Atene s’era fatta potente. Appare quindi manifesto,
non da quest’unico caso ma in generale, quale tesoro
prezioso sia l’uguaglianza di diritti, se gli Ateniesi, sotto
l’oppressione tirannica, non si distinguevano affatto
nelle arti di guerra da nessuno dei loro vicini; quando, invece,
si liberarono dai tiranni divennero di gran lunga
i più potenti di tutti. È dunque evidente che quando erano schiavi
deliberatamente si lasciavano vincere, convinti di operare
per il tiranno; una volta liberi, invece, ciascuno si dava da fare
con grande zelo in vista del suo proprio interesse”
(Erodoto, Storie, libro V, par. 78).
1. Premessa: Epicarmo Corbino economista liberale
Come ci ha spiegato la relazione di Antonio Maria Fusco, Epicarmo Corbino fu economista
liberale. Di fatti, a buon diritto, egli si colloca - io credo - nel filone e nella tradizione degli
economisti liberali italiani che ha preso avvio idealmente con Francesco Ferrara e che ha avuto il
suo seguito in economisti di grande valore come lo furono al tempo loro Pantaleoni, de Viti de
Marco, Mazzola, lo stesso Pareto, e come lo fu per molti versi quel Luigi Einaudi che appartiene
alla generazione immediatamente precedente la sua.
So che il mio è un accostamento che può apparire a prima vista azzardato e non avrebbe torto
chi volesse far notare l’estrema peculiarità di uno studioso come Corbino, che appare diverso da
tutti per formazione familiare, per inclinazioni professionali, per esperienze culturali e anche per
l’approccio scientifico seguito.
Eppure, credo che vi sia un filo conduttore comune. Dunque, converrà spendere qualche parola
per spiegare in cosa l’economista Corbino si discosti dal liberismo/liberalismo dei suoi predecessori
(parr. 2-5), e poi si tratterà di cercare quali siano invece gli elementi di comune sentire (parr. 6-9).
Naturalmente confronti di questo tipo sono possibili soltanto dopo che ci fossimo persuasi che vi
sia, come io credo vi sia, un elemento e un’origine comune capace di unire i molti e disparati
interessi culturali e scientifici che il nostro ha coltivato nel corso della sua lunga vita.
2
Occorre perciò spendere qualche parola su questi temi e, in special modo, sul tema
dell’ambiente cui sarà dedicata l’ultima parte di questa relazione (parr. 10-14).
2. Epicarmo Corbino versus Pantaleoni, Pareto, de Viti de Marco, Mazzola
Comincio dunque con l’occuparmi, sia pure sommariamente, di quegli aspetti della scienza
economica liberale e liberista che non appartengono alla sensibilità di studioso di Corbino e che,
invece, hanno caratterizzato il pensiero degli economisti che hanno introdotto il marginalismo in
Italia. Penso a coloro che si ispiravano al messaggio di Francesco Ferrara, ai Pantaleoni e ai Pareto,
ma anche ai Mazzola e ai de Viti de Marco, tutti uniti nello stesso binomio “liberismo/economia
pura” che traeva il suo nutrimento sia nel particolare modo di concepire la scienza economica, ossia
come una scienza pura, sia anche nel suo metodo che raccomandava un approccio di tipo analiticodeduttivo.
La sequenza “liberismo/economia pura/metodo analitico-deduttivo” era ciò che contrapponeva
questi studiosi ai seguaci dello “storicismo tedesco”, per il quali è appropriato parlare di una
sequenza di tutt’altro tipo, e cioè “interventismo sociale/economia applicata/metodo storicoinduttivo”. Lo sottolinea quel finissimo osservatore che fu Pasquale Jannaccone, quando scrive di
Menger,
“il quale ingenuamente si meraviglia, come di una curiosità scientifica, che gli aderenti di una nuova scuola storica
possano avere tendenze socialiste, mentre il Wundt osserva acutamente che gli economisti puri tendono a
scambiare il mondo reale con il loro mondo astratto e credono veramente che tutti gli uomini siano uguali, liberi e
coscienti e che le forze, le quali senz’ostacoli e deviazioni opererebbero nel loro astratto universo, avrebbero la
stessa virtù ed efficacia nella società nostra [Wundt, Logik, Bd. II (Methodenlehre), pp. 591-592]; e infatti, tutti gli
economisti puri sono oggi irremissivamente liberali e liberisti” (Jannaccone, 1898, p. 31. Il riferimento è a Menger,
1883, pp. 82-84).
Tali erano gli economisti che seppero fare attecchire in Italia la rivoluzione marginalista 2 , ossia
erano economisti puri, ma anche aristocratici e indipendenti. Lo sottolineo perché sono persuaso
che la formazione familiare, le inclinazioni personali, gli studi e la scoperta del marginalismo sui
libri di Jevons, Walras e Manger abbiano contribuito a cementare quel binomio “libersimoeconomia pura” che avrebbe portato i suoi seguaci ad una visione delle cose del mondo reale troppo
tributaria della fiducia che essi, a diverso modo, riponevano nella teoria pura, ossia nella “scienza”,
come strumento capace di sostituirsi efficacemente alla tranquilla osservazione delle cose e della
storia delle cose.
2
Sulla diffusione del marginalismo in Italia è d’obbligo riferirsi a Barucci, The Spread of Marginalism in Italy, 1972.
3
Questa particolare concezione analitica della scienza economica non appartiene alla sensibilità
di Corbino, ed è anzi ciò che lo distingue e lo allontana dalla tradizione dell’economia liberale
italiana. Il modo liberale con il quale Corbino guarda alle cose non gli viene da una concezione del
sistema economico che si prestasse ad essere descritta in termini rigorosamente scientifici, né,
peggio che mai, gli viene da quello storicismo tedesco che, all’opposto, accreditava tendenze
socialisteggianti per le quali Corbino avvertiva una intima avversione.
3. Segue. Gli scritti di Corbino e il loro carattere
Insomma, la sua formazione culturale, la forza dei suoi valori etici non meno che il suo essere
liberale non gli venne da riflessioni ispirate a letture dottrinali magari provenienti dall’estero (come
fu per Pantaleoni e per de Viti de Marco che, giovani studenti, scoprirono Jevons sui libri). Gli
venne piuttosto dai valori custoditi dalla famiglia 3 , dal luogo d’origine, dalle esperienze scaturite
dalla professione, dal lavoro svolto come impiegato della capitaneria di porto di La Spezia (per il
quale rinvio alla relazione di Antonella Borriello).
È questa l’origine dei suoi primi scritti e poi di quelli che lo fecero conoscere e apprezzare negli
ambienti dell’accademia, a cominciare da Luigi Einaudi, e poi da Umberto Ricci, Giorgio Mortara e
Luigi Amoroso. È con questi scritti che, da perfetto autodidatta e senza essersi mai laureato4 , entrò
in Università sino a raggiungere la cattedra di Napoli dove rimase tutta la vita (e dove, l’11 marzo
1961, ottenne la laurea honoris causa).
Tali erano gli scritti di Corbino, ossia dettati dal bisogno e dal desiderio di registrare e mettere
per iscritto ciò che lui stesso incontrava e sperimentava nella sua vita di lavoro.
E così, ad esempio, sono state le esperienze di lavoro giovanili, prima come impiegato
distaccato a Gallipoli presso la compagnia di navigazione dei fratelli Franco e poi presso la
capitaneria di porto di La Spezia (dopo essere passato da Bari, Genova e Catania) che hanno dettato
i temi marinari dei saggi dedicati a Il protezionismo marittimo in Italia (1921-1922), agli Scritti
varii-Burocrazia, marina mercantile, porti, sindacalismo (1922), a I porti marittimi italiani (19221924), a L’economia dei trasporti marittimi (1926). E anche il bel libro dedicato a La battaglia
dello Jutland vista da un economista (1933) è stato scritto ricordando degli anni della gioventù e di
3
Non si potrebbe apprezzare appieno la particolarità della figura di Corbino e il senso del suo essere liberale se non
guardando al peso che ebbe la famiglia nella sua formazione culturale e nella forza dei suoi valori etici. Voglio dire il
padre, che aveva avviato una piccola fabbrica di pasta alimentare adattando la casa all’impresa e tirava su tanti figli
[quattro maschi e tre femmine], “onesto sino all’inverosimile”, prudente, scrupoloso oltre ogni limite, dotato di un
ingegno normale ma ben coltivato negli anni della gioventù. E poi la madre, più audace, dotata di un’intelligenza
eccezionale, profonda, vivacissima, sfavillante, capace di afferrare in un baleno i termini essenziali di qualsiasi
questione, e con “un senso di dedizione ai figli di immensa portata” (Corbino, 1972, p. 9. Cfr. anche ivi, p. 90).
4
Ma con tanto di “laurea ad honorem”, ottenuta a Napoli l’11 marzo 1961.
4
quel tempo in cui Corbino guardava incantato il movimento delle navi da guerra che venivano a
rifornirsi nel porto di Augusta: “Forse è ai ricordi di quelle giornate - è lui stesso a ricordarlo - che
debbo l’ispirazione a scrivere nel 1933 il mio volume di storia navale, diretto ad illustrare la
battaglia dello Jutland” 5 .
Tutti questi scritti analizzano e descrivono specifiche situazioni concrete, com’era nelle
inclinazioni dell’autore e, da questo punto di vista, sono non dissimili dalle opere di più vasto
respiro a carattere più specificamente storico, quali gli Annali dell’economia italiana, raccolti in
cinque volumi che raccontano il periodo dal 1861 al 1914 (1928-1938) 6 , o L’economia italiana dal
1860 al 1960 (1962), oppure ancora i quattro volumi delle Cronache economiche e politiche (19651973).
Non interessa qui discutere nel profondo il valore e la qualità di opere che si collocano
prevalentemente nell’ambito della storia economica e che si caratterizzano per essere di vasto
respiro e, insieme, di grande minuzia nella estrema precisione dei dettagli del racconto.
Altri meglio di me lo faranno nel corso di questo Convegno. A me preme, invece, mostrare che
il Corbino economista liberale non aveva alcun bisogno di appartenere alla schiera di quei suoi
predecessori che trovavano nella teoria pura il fondamento scientifico del loro stesso liberismo. Gli
uni e gli altri erano liberali, ma vi era una differenza fondamentale tra lui e i teorici del
marginalismo per i quali - lo abbiamo già ricordato - teoria pura e liberismo formavano un binomio
indissolubile.
4. Epicarmo Corbino versus Luigi Einaudi
Nel suo guardare alla pratica senza teoria, Corbino si distingue anche da Einaudi. È ben vero
che anche Einaudi aveva, come lui, uno spiccato senso della storia e il gusto dello scrivere di storia.
Inoltre, sia Einaudi sia Corbino avevano avuto ruoli istituzionali importanti nella formulazione delle
politiche economiche dei governi del primo dopoguerra, militando entrambi nelle file del partito
liberale. Occorre poi riconoscere che anche Einaudi, al pari di Corbino, non aveva alcuna
inclinazione ad assecondare l’idea che, in questioni di economia, fosse utile inchiodare ogni
spiegazione del mondo reale alla intransigenza tipica della teoria pura. Ciò nondimeno, i due
studiosi non si somigliavano affatto. In particolare, Einaudi aveva ciò che, invece, Corbino non era
interessato ad avere, aveva cioè molto forte la capacità di gustare la bellezza di una teoria
5
Cfr. Corbino, Racconto di una vita, 1972, p. 26.
6
Per approfondimenti rinvio alla relazione di Pierluigi Porta e Salvatore La Francesca in questo Convegno.
5
rigorosamente dedotta (ad esempio, è ciò che egli più ammira dell’opera di Ricardo) 7 che lui stesso
non sarebbe mai stato capace di scrivere, per quanto non gli mancasse l’ambizione di padroneggiare
un edificio teorico al quale potersi affidare per irrobustire quelle implicazioni di politica economica
che la sua sensibilità gli suggeriva come istintivamente care.
L’esigenza di disporre di una teoria alla quale agganciare una serie di ragionamenti e di
conclusioni era molto avvertita da Einaudi. Non altrettanto da Corbino. E perciò Corbino non
correva alcun rischio di riferirsi a teorie sbagliate, come invece lo è stato per Einaudi, ad esempio
quando è inciampato in quel “teorema” della cc.dd. doppia tassazione del reddito risparmiato con il
quale cercava di dare un fondamento rigoroso alla proposta di esentare il risparmio dall’imposta 8 . È
un tesi sbagliata, per quanto sia indubbiamente assai intrigante. In verità non esiste alcuna doppia
tassazione; per colmo di sventura non esiste neppure nel caso di capitalizzazione dell’imposta, e
cioè proprio nel caso che, invece, Einaudi considerava condizione necessaria 9 .
E ancora non basta. Einaudi aveva una gran voglia di attribuire una valenza il più possibile
generale all’idea di quella doppia tassazione che avrebbe il torto di discriminare contro il risparmio
e, siccome riteneva che questa operasse solo in caso di capitalizzazione, si è ingegnato a remare
contro le opinioni allora prevalenti per spiegare che la capitalizzazione si verificherebbe sempre, e
cioè anche quando il tributo avesse natura di imposta generale. Non entro nel merito della
questione. Sottolineo, invece, che la tesi einaudiana è stata accolta dagli studiosi di finanza di allora
come una seria novità meritevole di interesse, ma ha il solo difetto di essere precostituita in vista del
risultato desiderato e perciò, a mio avviso, è legittimo il sospetto di dubbia onestà scientifica. Mi
chiedo che cosa si sarebbe ingegnato a dimostrare Einaudi se avesse scoperto che la doppia
tassazione si verifica soltanto nel caso contrario a quello da lui previsto. O, peggio ancora, avesse
scoperto che non si verifica mai. Avrebbe scelto di lasciar perdere? O si sarebbe ingegnato a
dimostrare il contrario di quello che ha cercato di dimostrare? 10
7
Cfr., in particolare, Einaudi nella introduzione dei suoi Studi sugli effetti delle imposte, 1902.
8
9
Si vedano di Einaudi i Saggi sul risparmio e l’imposta, 1958.
Cfr. Magnani, 1969.
10
È mia convinzione che il problema della parità di trattamento davanti al fisco abbia a che fare con il fatto che
l’introduzione dell’imposta incide in modi diversi sul reddito risparmiato (rectius: sul patrimonio) a seconda delle
diverse forme in cui esso fosse detenuto, se in forma di denaro liquido, o in forma di titoli a lungo termine (cfr.
Magnani, 1969 e Magnani, 2004).
Caso mai, la parità di trattamento fiscale tra reddito consumato e, rispettivamente, risparmiato è questione che si pone in
termini diversi da quelli prospettati da Einaudi con il suo teorema della doppia tassazione. Vero è infatti che cento lire
oggi e cento lire cresciute del montante degli interessi composti nell’intervallo tra l’oggi e il domani (facciamo che
siano centodieci) hanno il medesimo “valore presente”, ossia sono assolutamente identiche. Eppure le cento lire oggi
sono esenti, mentre le centodieci lire domani sono soggette all’imposta sul reddito per quelle dieci lire che
rappresentano il montante degli interessi composti. Ebbene, se l’imposta si capitalizza gli interessi netti rimangono
immutati: continuerò a ricevere centodieci lire nette come una volta e, come una volta, il loro valore attuale sarà il
6
Per farla breve, ho preso l’esempio della doppia tassazione per chiedermi come abbia fatto
Einaudi a credere in una teoria semplicemente sbagliata e, per paradosso, a farne discendere
prescrizioni di politica economica che sono profondamente sagge. La risposta che mi do è che
Einaudi tiene per ferme conclusioni (ad esempio, la esenzione del risparmio dall’imposta) che gli
sono dettate da sensibilità intuitiva, e solo dopo risale indietro alla ricerca di una teoria che possa
essere calzante con esse. Se questo fosse il modo di precedere, come a me è sembrato di capire, la
teoria, giusta o sbagliata che essa sia, non sarebbe di alcuna utilità.
Ebbene, Corbino non potrebbe mai imbattersi in questo genere di difficoltà per la buona ragione
che, nel suo caso, il problema è risolto alla radice. Corbino non avverte alcuna necessità di far
ricorso ad una qualsivoglia teoria economica che lo aiuti a motivare le proprie scelte e la propria
azione nel mondo del reale, sicché non corre alcun rischio di incappare in teorie errate dalle quali
far discendere implicazioni tanto errate da produrre solo per caso conclusioni ripiene di ogni
saggezza. É un uomo pratico che rifugge dalle astrazioni:
“Infatti, se domandate a Corbino i motivi per cui avversa così tenacemente il cambio della moneta, egli, benché sia
professore di economia politica nell’Università di Napoli, si guarderà bene dal darvene una spiegazione teorica. Vi
esporrà invece una serie di ragioni pratiche, di considerazioni esterne:
«Non posso perdere tempo a studiare se il cambio della moneta sia utile o no» egli vi dice prass’a poco così: «Mi
limito a considerare se l’operazione si possa fare o no. Io dico che non si può fare per molti motivi semplicissimi.
Bisognerebbe mobilitare e dislocare per la penisola almeno ventimila impiegati di banca, per la distribuzione,
attraverso ottomila sportelli, dei biglietti nuovi. Non meno di settantamila agenti dovrebbero essere immobilizzati,
per quindici o venti giorni e dedicati esclusivamente alla custodia dei valori, eccetera, eccetera»” (Fonte: Corbino,
1972, p. 284).
5. Epicarmo Corbino economista storico pratico e de Viti de Marco & Co. economisti normativi
loro malgrado
Sulle diversità tra Corbino ed Einaudi non vado oltre queste poche righe e rimando alla
relazione di Riccardo Faucci per un confronto approfondito.
medesimo delle cento lire oggi. Nulla cambia per il creditore visto che l’imposta sarebbe pagata dal debitore. Dunque
Einaudi sbaglia quando sostiene che la doppia tassazione si verifica solo in caso di capitalizzazione.
Ma veniamo ora al caso di una imposta che non si capitalizzi. Le dieci lire maturate domani si ridurrebbero
dell’ammontare del tributo, ad esempio da dieci a cinque, mentre le cento lire oggi rimarrebbero tali e quali. Benissimo,
però occorre considerare che il tasso di interesse netto si è ridotto di quella misura che consente al valore attuale di
centocinque domani di essere ancora eguale alle cento di oggi. I valori attuali tra le due poste sono ancora eguali tra di
loro.
Tutto quello che mi pare di poter dire è che la tassazione dei redditi di capitale mette in moto una sequenza di effetti
economici (aggiustamento dei tassi di interesse) che si incaricano di riportare alla eguaglianza i valori attuali delle
medesime poste che maturano in tempi differenti e dunque di eliminare ogni discriminazione tra l’oggi e il domani. Di
nuovo non credo che sia il caso di parlare di doppia tassazione. È un falso problema.
Infine, per scrupolo va ricordato che l’imposta sul reddito di capitale crea un divario tra il tasso del prendere e il tasso
del dare in prestito, sicché sarà diverso il percorso che faccio nello spostarmi dall’oggi al domani e quello inverso che
faccio nello spostarmi dal domani all’oggi. Non credo tuttavia che ciò rilevi ai fini di quanto si è detto in questa nota.
7
Qui voglio piuttosto tornare indietro a ciò che si è detto in precedenza (nei parr. 2 e 3) a
proposito delle profonde differenze tra Corbino, economista pratico, e i primi marginalisti italiani
che univano il loro essere liberali ad una concezione scientifica della economia. Lo faccio per
cercare di mostrare in questo paragrafo come queste differenze rilevino anche ai fini del diverso
atteggiamento degli uni e degli altri nei riguardi della economia normativa.
Corbino la rifiuta perché non ha alcun interesse né alcuna necessità di pensare alla costruzione
di una teoria economica e, per ciò stesso, non si imbatte nel problema di doverne depurare la parte
positiva dalla parte prescrittiva. È soprattutto a lui che si adattano le parole di Machiavelli:
“Ma essendo il mio scopo quello di scrivere qualcosa di utile per chi vuol capire, mi è parso più conveniente
inseguire la verità concreta piuttosto che le fantasie. Molti si sono immaginati repubbliche e principati che non si
sono mai visti né conosciuti nel mondo reale. Ma c’è una tale differenza tra come si vive e come si dovrebbe
vivere, che colui il quale trascura ciò che al mondo si fa, per occuparsi invece di quel che si dovrebbe fare,
apprende l’arte di andare in rovina più che quella di salvarsi” (Il principe, cap. XV.1).
A loro volta, De Viti, Mazzola e Pantaleoni fanno anch’essi ogni sforzo per rifiutare l’economia
normativa, ma per la ragione opposta a quella di Corbino, ossia perché si propongono di costruire
una scienza economica... scientifica che, come tale, deve essere spogliato di ogni contenuto di
natura prescrittiva.
Il guaio è che essi non riescono nel loro intento: da una parte, infatti, vogliono edificare una
scienza che abbracci anche la condotta dello stato, dall’altra parte si rendono conto che lo stato è
dominato dalla discrezionalità delle forze in gioco e non, invece, dalle “leggi eterne dell’economia”
e perciò la sua condotta non si presta ad una analisi di tipo analitico-deduttivo, e cioè scientifica.
Insomma, nella economia dello Stato vi è un vuoto che va assolutamente riempito se non si vuole
rinunciare ad essere scienziati. E, in effetti, questi scienziati delle finanze non vogliono rinunciarvi
e perciò cercano di riempire il vuoto, ma lo fanno nell’unico modo in cui sono capaci di farlo, e cioè
attingendo a spiegazioni che, a ben vedere, hanno carattere normativo senza che neppure loro
apparentemente se ne avvedano.
Cerco di spiegarmi meglio. Una volta esclusa ogni disponibilità ad occuparsi di risultati ideali
dell’azione economica dello stato, de Viti e i suoi amici sono condannati a trattarli come fossero
risultati effettivi di uno tra i molti possibili modi di essere dello stato: il modo di essere dello stato
ideale! E cioè di uno stato che semplicemente non esiste, né esisteva allora e, anzi, faceva a pugni
proprio con quello stato effettivo, lo stato di Crispi, contro cui gli stessi liberisti si battevano 11 .
11
Scartata la possibilità di parlare di risultati desiderabili, si rischiava di parlare dei modi desiderabili per raggiungerli.
L’economia normativa, cacciata dalla finestra, ritornava trionfalmente dalla porta principale.
Ma anche questo inconveniente si riteneva fosse facilmente rimediabile, bastando immaginare che vi fosse non una sola
forma di stato possibile, ma tante e diverse le une dalle altre. In realtà non si voleva ammettere che era solo un modo per
eludere le difficoltà e non per superarle.
8
Ebbene, Corbino è completamente esente da questi rischi, perché il suo guardare al sodo lo
mette al riparo dagli inconvenienti contro cui, invece, si sono scontrati quegli economisti liberali
che hanno cercato di estendere anche allo stato la scienza economica scaturita dal marginalismo. 12
6. Il liberale Corbino: un economista scomodo
Dunque, sul terreno della scienza le diversità tra Corbino e quei liberisti che molti anni prima si
erano raccolti attorno alla serie romana del Giornale degli economisti sono macroscopiche, e così lo
sono anche le diversità tra Corbino ed Einaudi. E tuttavia vi è un elemento che fa da collante e che
li unisce tutti quanti: sono tutti liberali e quindi scomodi. Ed erano scomodi perché non erano
schierati, non erano uomini di parte e, perciò, erano inaffidabili perché nessuno schieramento
politico poteva contare su di una loro adesione aprioristica.
E così anche Corbino fu Un economista scomodo, per dirla con il titolo di un recente (2009)
libretto che raccoglie saggi da lui scritti in fasi diverse della sua vita e che aiutano a capire la
coerenza e l’indipendenza della persona “nell’Italia dei politici a vita, degli sprechi senza pudore,
dei privilegi e delle caste” (è così che recita la presentazione del libro nella quarta di copertina).
Fu economista scomodo perché - lo abbiamo appena ricordato - non era uomo di parte, e anche
in questo è riconducibile al grande filone della tradizione liberale italiana risorgimentale. A questo
proposito, viene in mente una breve recensione ad un’opera di de Viti de Marco (Un trentennio di
lotte politiche: 1894-1922), che Einaudi scrisse per la Riforma sociale del maggio-giugno 1929
sotto il titolo: Per la storia di un gruppo che non riuscì ad essere partito. Lì Einaudi spiega che
quel piccolo gruppo di liberali non riuscì a consolidarsi in un partito, appunto perché non intese
essere un gruppo di parte. Anche Corbino, io credo, appartiene idealmente a questo “gruppo che
L’idea di de Viti de Marco (1934) per cui lo stato può essere di tipo cooperativo o di tipo monopolistico, oppure la
distinzione di Pantaleoni (1898) tra assetti contrattuali, parassitari e predatori tutti egualmente possibili, e, più in
generale, l’enfasi che gli economisti liberisti ponevano sulla molteplicità dei possibili modi di essere dello stato, tutto
ciò, a mio parere, è spiegabile come un espediente con il quale si cercava di evitare il rischio di cascare nel dominio
dell’economia normativa. Il confronto tra risultati effettivi e risultati ideali era sostituito dal confronto tra risultati della
condotta di diversi tipi di stato che si immaginava fossero tutti egualmente possibili.
A questo proposito mi sia consentito rinviare ad alcuni tra i miei scritti, segnatamente: Dibattito tra economisti italiani
di fine Ottocento (2003) e Note a margine di una recente opera sull’indirizzo sociologico della scienza delle finanze
italiana (2008).
12
Cfr. in particolare: Pantaleoni, Contributo alla teoria del riparto delle spese pubbliche (1883); Mazzola, I dati
scientifici della finanza pubblica (1890); de Viti de Marco, Il carattere teorico dell’economia finanziaria (1888). Per
una più ampia analisi dell’intera questione, mi permetto rinviare a Magnani, Dibattito tra economisti italiani di fine
Ottocento (2003, par. 3.3, pp. 35-41).
9
non riuscì ad essere partito” e non sbaglierebbe chi ritenesse di porlo accanto ai de Viti, ai
Pantaleoni, ai Mazzola, ai Pareto, e cioè agli studiosi cui Einaudi alludeva con il titolo di questo suo
breve e intrigante scritto.
7. Epicarmo Corbino antifascista e oppositore del centro sinistra
Ma Corbino fu soprattutto Un economista scomodo per mille altri motivi. Ad esempio, perché
fu coerente con le sue idee di libertà che lo spinsero a firmare il manifesto degli intellettuali
antifascisti redatto da Croce nell’aprile del 1925, a costo di pagare prezzi assai alti in termini di
esclusione dagli organi di stampa .
Del pari, e per gli stessi motivi, fu economista scomodo nei riguardi della svolta di centro
sinistra che si realizzò in Italia a metà degli anni Sessanta con l’ingresso dei socialisti al governo e
la contestuale uscita del partito liberale.
Corbino fu scomodo agli uomini del centro sinistra, fossero essi protagonisti o anche oscuri
gregari, rispetto ai quali non avrebbe mancato di fare qualche amara valutazione a proposito della
insopportabile mentalità di molti di loro e della povertà delle loro qualità umane e intellettuali, ad
esempio quando in anni tardi ricordava persone e personaggi della battaglia elettorale del 1958:
“...mi capitò anche di incontrare degli elementi della sinistra democristiana, tra cui qualche donna, che mi stupirono
per la loro presunzione, la loro ignoranza e il loro spirito demagogico, spinti a tal punto da rendere talvolta più
desiderabile il contatto con i comunisti. È agli elementi di questo tipo che si possono attribuire le disgrazie
dell’Italia negli anni dal 1960 in poi” (cfr. Racconto di una vita, 1972, p. 248-249).
Sono appunto questi gli uomini contro i quali Corbino polemizzava dalle colonne del Corriere
della sera 13 con i suoi attacchi a quel centro sinistra “che cominciò a rendere evidente la sua
rilevante capacità di fare del male al Paese, come hanno dimostrato gli anni successivi, e
specialmente quelli dal 1969-70 in poi” (ivi, p. 259):
“Non c’è dunque da sorprendersi - è ancora Corbino a raccontare - se i miei articoli criticavano il governo,
provocando dure reazioni: negli organi di stampa amici del governo, divennero, infatti, sempre più evidenti le
manifestazioni di intolleranza che, per violenza verbale, superarono talvolta quella dei giornali fascisti degli anni
’30, che mi attaccarono anch’essi senza complimenti” (ivi, p. 249).
Di fatti, converrà ricordare le polemiche che andavano sempre più inasprendosi, gli attacchi dei
giornali, il “clima di slealtà e di abuso, le defenestrazioni più penose, i licenziamenti più
ingiustificati”, gli inviti della stampa governativa alle dimissioni dalla presidenza del Banco di
13
La collaborazione di Corbino al Corriere della sera risale al 1° dicembre 1961. Su Corbino editorialista del Corriere
vedasi la relazione di Francesco Cattabrini in questo Convegno.
10
Napoli (per la quale rinvio alla relazione di Adriano Giannola), l’auspicio dei capi del centro
sinistra a che Corbino togliesse il disturbo volontariamente con una lettera di dimissioni che tuttavia
non venne mai scritta.
E però il destino di Corbino presidente del Banco era ormai segnato e si consumò nel marzo
1965, dopo che i partiti erano riusciti a mettersi d’accordo sulle nuove nomine.
8. Liberismo versus protezione dei privilegi
“Ma intanto gli effetti negativi della politica del governo cominciavano ad essere così evidenti da rendere assai
difficile l’adozione di misure che avrebbero potuto essere considerate come l’effettivo inizio ufficiale di una nuova
politica di regime” (ivi, p. 262).
“Politica di regime”, dunque, ossia politica dei privilegi e della protezione dei privilegi. Era
questa la ragione più intima - io credo - dell’avversione verso il centro sinistra. Erano le ragioni dei
liberali. Erano le ragioni di chi sapeva bene che la protezione dei privilegi è soprattutto un
impedimento a che sia realizzato un fatto di giustizia, quale è il doveroso rispetto di quel principio
di parità di trattamento il quale, a sua volta, ha una rilevanza giuridica, oltre che un significato
profondamente etico e anche squisitamente economico, come è facile capire sol che si consideri che
la parità di trattamento è condizione di efficienza ed è anche ciò verso cui conducono le forze della
concorrenza a condizione che vi sia uno scenario di libertà 14 .
Ebbene, malgrado le grandi diversità sul piano della scienza e del metodo di cui si componeva
la tradizione italiana degli economisti liberali, vi era tuttavia un elemento di continuità e di comune
sentire che accomunava tutti questi “economisti scomodi” ed era l’insofferenza verso i privilegi e la
lotta contro le barriere che proteggono i privilegi.
Vi è una sorta di fil rouge lungo il quale si incastonavano le battaglie politiche combattute dal
Giornale degli economisti di Pantaleoni e dei suoi amici contro i governi Crispi di fine Ottocento 15 ,
e anche le battaglie di de Viti 16 , di Pantaleoni e dello stesso Einaudi contro i governi Giolitti-Nitti
dei primi anni del Novecento, e poi di de Viti e, per alcuni versi, dello stesso Corbino nel periodo
fascista 17 e, infine, si pensi ancora a Corbino di fronte al centro sinistra, voglio dire quel Corbino
che nel 1922, giovane di trentadue anni, aveva scritto un interessante libretto intitolato
emblematicamente: Liberismo e protezionismo.
14
La mia opinione è in Magnani, 2009, cap. 11.
15
Su questo punto mi sia lecito rinviare a Magnani, 2003.
16
Per il quale rinvio alla raccolta di scritti intitolata emblematicamente: Un trentennio di lotte politiche (1929).
17
A questo riguardo si veda la relazione di Stafania Spallato in questo Convegno.
11
Alla luce di quanto si è detto sopra, e anche a costo di indulgere in valutazioni personali, mi
sembra dunque di poter dire che le ragioni vere dell’ostilità di Corbino nei riguardi del centro
sinistra non avevano a che fare con problemi di scelte riassumibili nello slogan “più mercato e meno
stato”. Al centro della preoccupazione non vi era di per sé la crescita dell’intervento pubblico in
economia, o l’aspettativa di un aumento della ingerenza dello stato (che pure era assai sentita), e
forse non v’era neanche soverchia preoccupazione per il paniere tra beni privati e servizi pubblici
che finisse per sbilanciarsi in favore della parte pubblica 18 .
Piuttosto era il timore per il peggioramento dello stato delle libertà che, in genere, l’aumento del
peso dello stato porta con sé e che è una minaccia ad un bene prezioso, come mostra di sapere
Erodoto nel passo che ho voluto porre come epigrafe di questa relazione. Ed era altresì molto
avvertito il rischio che si indebolisse quella concezione dello stato operante nell’interesse di tutti
che era idealizzata dai liberali di tradizione risorgimentale e che, sotto la spinta delle rivendicazioni
delle sinistre, si temeva potesse trasformarsi nel campo di battaglia più idoneo per vincere la corsa
al potere, ossia appunto ai privilegi e alla protezione dei privilegi.
9. La stagione politica del centro sinistra
Erano preoccupazioni serie in quel tempo in cui si vagheggiava una società fatta di classi sociali
rigidamente antagoniste e in cui si idealizzava il mondo del lavoro come fosse riunito in un’unica
grande categoria omogenea, standardizzata, compatta, sindacalizzata e perciò adatta a essere guidata
dall’alto e abbastanza robusta da imporsi nel conflitto per la distribuzione del reddito nazionale.
Questo periodo è ancora troppo recente perché possano essere scordate le gravi vicende che ne
sono scaturite: scioperi, rivolte sociali, occupazioni delle scuole e delle fabbriche, rivendicazioni di
tutti i tipi, terrorismo, la devastazione della lira e di tutto ciò che era denominato in moneta,
l’inflazione a due cifre, la rottura del cambio e svalutazioni selvagge, l’esplosione delle spese
pubbliche e i deficit di bilancio, un debito pubblico immane dal quale ancora oggi non si sa come
uscire, la instabilità politica, la corruzione e la distruzione dei partiti e, appunto, la fine della prima
repubblica. 19
Forse, per meglio capire la ventata di liberismo a parole che in questi anni recenti ha investito il
nostro Paese (se pure non è stata anch’essa travolta dal qualunquismo e dall’indifferenza più
18
É forse superfluo ricordare che i fondatori della scienza delle finanze italiana sono stati proprio i seguaci del
liberismo estremo, i nipotini di Francesco Ferrara. E sarebbe irragionevole immaginare che proprio loro (un de Viti, un
Mazzola, o un Pantaleoni) potessero dichiararsi contrari proprio a quell’ente chiamato stato di cui loro stessi avevano
cercato di teorizzare il funzionamento economico.
19
La mia lettura di quel periodo è in Magnani, 1978, ripreso in Magnani, 1978a e 1990.
12
becera), sarebbe utile guardare agli anni bui di quel lungo periodo storico in cui trionfava il
garantismo e il permissivismo delle forze politiche e, insieme, un atteggiamento difensivo e
accomodante del mondo imprenditoriale. Si trattava di fronteggiare e governare le rivendicazioni di
classi sociali [ri]emergenti che prendevano forza, andavano alla conquista dello stato, reclamavano
e ottenevano, avendo come interlocutore al potere chi era pronto a concedere tutto, vuoi perché era
debolissimo, né voleva farsi scalzare e perciò reagiva arretrando morbidamente, vuoi perché era
connivente e aspettava solo di poter cavalcare la tigre, vuoi perché invece non era preparato di
fronte a problemi nuovi, vuoi perché poteva sembrare utile stare alla finestra e attendere gli esiti
della battaglia prima di schierarsi, vuoi perché si riteneva che questo fosse il modo estremo per
tenere insieme una società avviata alla disgregazione, vuoi infine perché, al contrario, si riteneva
che fosse questo il modo estremo per disgregare una società dalle cui ceneri far nascere il nuovo. Lo
scenario era quello che Bruno Visentini descriveva tanto efficacemente sul Corriere della sera del
28 novembre 1978, quando ricordava:
“forze politiche, sindacati, governo e parlamento rivolgono in Italia ogni impegno per ostacolare le spinte
innovative e per conservare tutto ciò che vi è di malato e di sbagliato. Alla illusione, di corta vista, che in tal modo
si salvino i livelli occupazionali, si accompagna probabilmente la sensazione, o la consapevolezza, che il potere
clientelare e il potere sindacale si conservano e si esercitano in modo più forte su ciò che esiste e che ha necessità di
assistenza, e assai meno su ciò che sorge e si sviluppa con nuove capacità creative e con nuove qualificazioni del
lavoro”.
Era un modo di condurre la lotta di classe in vista delle “grandi conquiste sindacali”(così le
celebravano una volta), e si era nel pieno della bufera. Si era in un tempo caratterizzato da una
situazione di grande precarietà economica, civile, istituzionale e anche morale che è andata ben
oltre le profezie e i timori di chi, con Epicarmo Corbino, guardava con grande apprensione l’inizio
di una nuova fase della vita politica del nostro Paese.
A posteriori, credo si possa ben dire che queste preoccupazioni erano giustificate in uno
studioso ben lungimirante.
10. L’interesse per l’ambiente negli scritti sull’ambiente
In effetti, Corbino fu lungimirante nella capacità di intuire le gravi conseguenze che sarebbero
maturate nel lungo termine da quella stagione politica contro la quale si batteva. E fu lungimirante
anche nell’aver saputo intuire altri gravi problemi che il futuro ci avrebbe riservato su tutt’altro
fronte, ossia in materia di energia, ecologia, e economia. Converrà dunque accennare, in chiusura di
questa relazione, a quello che a me sembra essere stato il significato degli scritti che un economista
liberale ha dedicato a questi temi.
13
Gli scritti sono il testo della conferenza presentata all’Accademia dei Lincei nel 1967 e dedicata
ad alcuni aspetti economici legati alle risorse idriche. Vi è poi una seconda conferenza tenuta il 10
ottobre 1970 presso il Circolo Artistico di Napoli in cui si discorre di Aspetti economici della lotta
contro l’inquinamento 20 . Non si dimentichi, infine, il libretto apparso nel 1974 sotto il titolo EEEEnergia Ecologia Economia (Pan Editrice, Milano), per il quale rinvio alla relazione di Fabio
Masini.
Ciò che Corbino ha scritto di ambiente non è molto e, per giunta, presenta connotati
volutamente divulgativi 21 e tuttavia merita di essere segnalato per il sapore della novità e della
lungimiranza che ancora oggi conservano questi documenti scritti in quegli anni in cui l’economia
ambientale incominciava a occuparsi di temi “che sono ora [1972] all’ordine del giorno del
Paese” 22 .
Dunque, si può ben dire che Corbino ne sia stato un antesignano, e, come tale, vi ha portato
l’esperienza di quel grande realismo che è stata la caratteristica forse più saliente del politico e dello
studioso e che gli ha consentito di affrontare con grande semplicità i possibili intrecci nelle relazioni
di causa ed effetto che legano insieme economia e ambiente. Tra le molte riflessioni interessanti dei
suoi scritti ambientalisti che testimoniano realismo ed esperienza, mi limiterò ad accennare alla
grande importanza che Corbino attribuisce alla constatazione secondo cui molto spesso non si
conoscono i modi attraverso i quali fenomeni economici di varia natura producono conseguenze di
carattere ambientale che dunque si presentano come non prevedibili:
“É soprattutto nel campo dell’applicazione di parecchie scoperte scientifiche che è mancato un tempestivo
avvertimento dei mali che sarebbero derivati dal nostro sconsiderato modo di vivere... . La scienza e la tecnica
hanno fatto a gara per offrirci nuove forme di controllo della materia... con continue scoperte, ciascuna delle quali
promuoveva altre scoperte, egualmente ricche di smaglianti sviluppi. Sennonché spesso, se non sempre, è mancato
il quadro del male che sarebbe venuto dall’impiego di determinate sostanze, considerate utili per altri fini, mentre il
rapporto che collegava taluni effetti a determinate cause era spesso del tutto ignorato anche dagli stessi esperti che
facevano la scoperta, o , se noto ad essi, era del tutto sconosciuto alle persone che ne facevano ordinariamente largo
uso. É proprio l’ignoranza che è alla base dei danni più gravi arrecati all’ambiente, sia che essi provenissero dal
fatto normale, o da errori degli uomini commessi nel perseguimento dei loro fini” (Corbino, EEE, pp. 14-15).
Mi fermo qui e non vado oltre. Come si vede, queste osservazioni sono ispirate ad un
disarmante realismo, ma non è colpa di Corbino se la spiegazione di molti dei malanni che
affliggono l’ambiente è tanto semplice quanto può esserlo la mancata conoscenza dei fenomeni in
questione e la non prevedibilità delle loro conseguenze. Piuttosto, penso che sia colpevole
20
Detta conferenza sarebbe stata ripresentata il 29 ottobre al Rotary Club di Caserta. Il testo di ciascuna delle due
conferenze è ora pubblicato in Corbino, Cronache economiche e politiche (vol. IV, 1965-1973).
21
Lo dichiara lo stesso Corbino nella Prefazione del suo libretto EEE-Energia, Ecologia, Economia: “Spero di avere
fatto un’efficace opera divulgativa”.
22
La citazione è a pagina p. 267 del Racconto di una vita.
14
l’atteggiamento di alcuni (di molti?) odierni ambientalisti che si adoperano per formulare politiche
di tutela ambientale intese a prevenire conseguenze di fenomeni di cui non si conoscono le
conseguenze.
11. L’interesse per l’ambiente nel Racconto di una vita: ad Augusta, la città natale
Sono convinto che non si potrebbe capire il molto interesse che il Corbino ormai avanti negli
anni ha riservato all’ambiente se non si tenesse conto del fatto che nella sua stessa formazione
culturale sono rimaste tracce profonde della sua intima adesione all’ambiente della lontana
giovinezza e al modo stesso con cui ha vissuto la sua terra e la sua gente. È da lì che Corbino ha
maturato i suoi scritti, anche quelli dedicati all’ambiente che ho appena menzionato. Anche questi,
infatti, non provengono dal bisogno e dal gusto di estendere a problemi nuovi l’apparato dottrinario
che la teoria economica ci mette a disposizione. Invece, amo pensare che dietro vi stia piuttosto il
gusto con cui Corbino ha vissuto quel suo piccolo mondo che era fatto della sua terra e dei luoghi
della sua infanzia 23 .
È ben vero che Corbino era un economista, e cioè cultore di quella “scienza triste” che neanche
gli odierni nipotini di Thomas Carlyle negherebbero essere diventata anche un po’ noiosa, e che, per
giunta, “non gode come non godeva del favore presso il pubblico” né era “popolare” allora come lo
è rimasta oggi 24 .
Ed era anche liberale e perciò Corbino correva il rischio di passare per essere quell’“homo
liberalis” di cui cianciano i detrattori del liberalismo per accusarlo di essere un “edonista senza
cuore”, per usare un’espressione di Max Weber.
Ma è anche vero che il liberale Corbino era tutt’altro che un “edonista senza cuore”, né la sua
condotta lo faceva somigliare a quell’“homo economicus” che gli economisti del marginalismo
23
Sul finire del Racconto di una vita Corbino, a ottantuno anni compiuti, tiene a farci sapere: “Io appartengo alla massa
immensa di coloro che sono andati solo poco lontani dal campanile del loro paese; ed il non avere visto molto di più di
quello che mi è capitato di vedere, certo non mi allieta moltissimo, ma non mi lascia un serio motivo di grande
rammarico. Anche il viaggiare del resto ha i suoi inconvenienti...”(ivi, p. 270).
24
Corbino era in linea con l’atteggiamento radicato degli economisti di scuola liberale che si chiedevano “perché
l’economia politica non gode favore presso il pubblico”, per dirla con il titolo di una antica memoria paretiana
presentata il 3 febbraio 1889 alla adunanza ordinaria della Reale Accademia Economico-Agraria dei Georgofili di
Firenze. È questo un atteggiamento tipico degli economisti di parte liberista, ad esempio di Pantaleoni nel saggio Una
visione cinematografica del progresso della scienza economica (1870-1907), 1907, par. 6, p. 196. Cfr. anche: “Perché
la scienza economica non è popolare”. È il titolo che Einaudi ha assegnato alla recensione della opera di Pigou da lui
scritta per la Riforma sociale del gennaio-febbraio 1930. Essa riecheggia il titolo della memoria di Pareto. Occorre però
osservare che le ragioni addotte a favore della impopolarità della scienza economica non sono univoche. Per un riesame
della questione rinvio a Magnani, 1903, par. 9.4, pp. 127-129.
15
liberale utilizzavano come semplice espediente metodologico, a dispetto delle intemerate del
filosofo Benedetto Croce che lo condannava senza pietà come egoista e perciò immorale.
Corbino era un uomo di molto sentimento. A leggere il delizioso libretto in cui si fa il Racconto
di una vita, della sua vita, si rimane colpiti per il dono di saperci trasmettere qualche emozione non
dissimile da quelle che lo stesso Corbino deve aver avvertito nel vincere le tappe di cui si
componeva via via una vita vissuta con grande cuore. Ed è anche, per alcuni versi, un libro
tenerissimo, ad esempio quando si lascia prendere dalla nostalgia e si volta indietro a ricordare il
paese dell’infanzia, la famiglia, la vita di allora e i ricordi bellissimi che ancora lo costringevano,
finché ha potuto, a ritornare due volte l’anno nella sua Augusta, ospite della sorella Mica 25 : “Ci
vado per rivedere i luoghi della mia infanzia e perché ho l’impressione, dovuta forse a suggestione,
che l’aria nativa mi faccia bene”. Ma subito soggiunge con una vena di rassegnazione:
”ma ora l’ambiente si è talmente modificato che, se non è del tutto impossibile, è certo molto difficile che si possa
parlare di ‘aria nativa’. Si può dire che delle condizioni da me descritte nei primi capitoli [di questo libro] ormai
non vi sia più nulla, né in mare, né in terra, né in aria, perché tutto l’ambiente si è profondamente trasformato” (ivi,
p. 267).
12. L’ambiente come luogo del vivere
Con questo brano siamo così introdotti ad un secondo aspetto del Corbino ambientalista e cioè
quello che riguarda genericamente tutto ciò che il luogo del vivere fosse in grado di offrire e dal
quale si possa attingere tutto ciò che è necessario e bastevole per vivere bene, se mi è consentito
esprimermi così alla buona.
In quest’ultimo scorcio della mia fatica, è il caso di parlare di nostalgia, perché il Racconto di
una vita è un continuo raffronto tra i luoghi quali erano in origine e quali si sono trasformati sotto la
spinta delle “magnifiche sorti e progressive” 26 ; ed è una analisi dettagliatissima che scende nei
particolari più minuti e all’apparenza persino irrilevanti e si sofferma sulle cose che, forse perché
minuscole, sono proprio quelle che fanno la vita bella e sereno il suo trascorrere giorno dopo
giorno. E così, ad esempio, non sembri una ingenua civetteria il modo con cui Corbino indugia a
magnificare il profumo e il sapore della frutta e della verdura che si gustava nei tempi andati27 , o a
25
È il vezzeggiativo di Domenica, la prima delle tre sorelle, della quale Corbino ha lasciato una straordinaria
testimonianza di amore: “Il suo carattere dolce, la sua immensa bontà d’animo, la grande tolleranza dei difetti degli
altri, facevano di Lei [maiuscolo nell’originale] una creatura eccezionale, per la quale tutti avevamo affetto infinito, e
devozione sconfinata. Stare qualche giorno con Lei era la gioia più grande che negli ultimi tempi ci riservavano le visite
ad Augusta” (ivi, p. 264).
26
È l’espressione che Leopardi adopera ne La ginestra (Canti, XXXIV, v. 51).
27
Lasciamo che sia Corbino a raccontare: “Taluni tipi di frutta e di verdure non esistono più, o per lo meno non ho
avuto più occasione di ritrovarli, perché tutto è scomparso nel grigiore della odierna produzione standardizzata e
16
raccontare le partite di pesca “sugli scogli della marina di levante” 28 e cioè su quella scogliera che
era allora “ricchissima di pesce, perché non si era ancora diffusa la pesca con le ‘lampare’ o quella
con la dinamite” 29 . E che dire delle gite scolastiche (“Si partiva la mattina presto di qualche bella
giornata di primavera, al suono di una fanfara...”)? 30 , o delle estati in campagna in quella località
che era una modesta altura non lontana dal paese e che tutti chiamavano “Il monte”? 31
Ed è appunto un ricordo delizioso quello che Corbino (Ricordo di una vita, pp. 21-22) ci ha
lasciato del “Monte”, della sua vegetazione (“pochi alberi da frutto, molti olivi, qualche vigneto, le
piante di carrube che facevano da ombrellone...”), del clima fresco e ventilato, e poi degli “aromi e
del profumo che emanano da una vegetazione di erbe aromatiche quasi esclusive...”.
E altrettanto suggestivo è il racconto della vita che si viveva sul ‘monte’ durante le vacanze
estive:
“Tutta la vita al ‘monte’ era organizzata ai fini di mangiar bene, di divertirsi nelle ore fresche spensieratamente e
semplicemente, e di riposare nelle ore calde... . Ci si riposava all’ombra dei grandi carrubi, al fresco dei venti
marini, che davano all’aria un sapore di sale, mentre attorno a noi il frastuono di decine di cicale in mezzo al
cinguettio delle allodole ed al canto dei cardellini assumeva talvolta dimensioni fantastiche. Nella sera e nella notte
i grilli si sostituivano alle cicale e, verso il settembre, tutti facevano da contorno al richiamo triste dell’apiolo che,
col suo arrivo, annunziava ormai prossima la fine dell’estate. Era questa l’epoca nella quale passavano a grande
velocità gruppi di grossi uccelli migratori scendenti dal Nord; mentre un passeraceo dialettalmente noto col nome
di ‘cicciuté’, più preciso di un barometro, ci avvertiva che, entro trentasei ore al massimo, avremmo avuto la
pioggia...” (ivi, pp. 84-85).
Era questo l’ambiente naturale 32 . Ma vi era anche, non meno interessante e piacevole,
l’ambiente che potremmo definire artificiale 33 , come poteva esserlo il porto di Augusta e lo
intensificata dai concimi chimici e non ha più né il profumo né il sapore della frutta della mia infanzia [...] . Negli altri
giorni si mangiava o pesce, o qualche verdura, o formaggi e ricotte di produzione locale, anche queste ormai non più
paragonabili a quelli dei tempi lontani” (Corbino, 1972, pp. 16-17).
28
Ivi, p. 17.
29
Corbino prosegue per raccontare: “Quando io ero libero da scuola, me ne scendevo con mio padre, portando una
piccola canna con la quale potevo pescare anch’io nelle pozzette vicine collegate al mare aperto. Il tempo scorreva
velocissimo, nel susseguirsi delle varie manovre della pescata... . Alle pescate frequenti sugli scogli si alternavano, nel
corso dell’autunno, alcune partite di pesca in grande stile, fatte in barca, in località di una pescosità oggi assolutamente
sconosciuta. ...da quelle gite, infatti, si tornava con il paniere pieno dei pesci caratteristici della scogliera” (ivi, p. 18).
30
“...la gita aveva come meta qualche campagna situata a tre o quattro chilometri dal paese, in località provvista di
acqua potabile. Si faceva colazione con cibi freddi, portati da casa e si passava tutta la giornata fra i campi per rientrare
nel pomeriggio tardi, musica in testa a passo di marcia, consumando le ultime energie rimaste dopo un’insolita giornata
di aria e di sole in mezzo al verde” (ivi, pp. 19-20).
31
Era il luogo della villeggiatura a partire dal 1904, “quando io [quattordicenne] conseguii la licenza della scuola
tecnica”. “Noi ad Augusta abbiamo sempre chiamato ‘Monte’ quella specie di penisola che, staccandosi dalla linea
costiera del Sud si protende verso Sud-Est, in modo da delimitare quello che costituisce il porto di Xifonia... . La
penisola è in forma collinare con un’altezza massima di circa ottanta metri: chiamarla ‘Monte’ è perciò evidentemente
un’esagerazione, ma il termine è usato per distinguere...” (ivi, p. 20).
32
Cfr. il Racconto di una vita, par. 8: “La prima estate in campagna”, pp. 20-23.
17
“spettacolo offerto dalle corazzate in navigazione o nella loro entrata nelle acque del porto; e poi il
quadro del via vai delle barche a vapore e dei mezzi per il rimorchio delle bettoline”, e poi ancora lo
spettacolo della partenza, con le navi che, “uscite dal porto sparivano una dopo l’altra dietro a
quella costa, prima con gli scafi e poi con i fumaioli e gli alberi... . Ricordo ancora il dispiacere che
sentivo man mano che sparivano le varie unità... . Avevo la sensazione che fossero partite delle
persone amiche” (ivi, pp. 25-26).
Anche questo era ambiente, era l’ambiente dal quale Corbino trasse un’impressione così
profonda che - come abbiamo accennato all’inizio di questa nostra chiacchierata - lo stesso libro
sulla Battaglia dello Jutland è nato dai ricordi di quelle giornate.
A leggere oggi il Racconto di una vita, dunque, non sarà difficile rendersi conto che Corbino
esprime una concezione dell’ambiente che non riguarda principalmente l’aspetto fisico dei luoghi e
le loro caratteristiche, naturali o artificiali che esse siano. Invece, esso è inteso come un più generale
insieme di situazioni in cui ciascuno si trova immerso per farsene condizionare i modi attraverso cui
si vive la propria vita. L’interesse non è dunque per le cose in sé, ma è piuttosto per l’utilità delle
cose, ossia per il loro significato immateriale, sicché vi è un forte contenuto spirituale nel modo con
cui Corbino guarda all’ambiente. Come dichiara lui stesso: “In tutto ciò vi era un così stretto
collegamento con la natura da costituire ancora oggi per me una fonte perenne di ricordi e di
nostalgie” (ivi, p. 84, corsivo mio).
13. Ma Augusta ormai non era più quella di una volta
Dunque, l’ambiente dell’infanzia era “fonte perenne di ricordi e di nostalgie” per i motivi
appena accennati e poi perché esso era andato cambiando con gli anni sino alla sua completa
distruzione. La nostalgia dunque non è per gli anni della giovinezza, ma è piuttosto per l’ambiente
degli anni della giovinezza, per il paradiso irrimediabilmente perduto: le navi della marina militare
italiana erano scomparse e le si potevano vedere solo in fotografia 34 ; “la ricotta della mia infanzia
ed il pecorino di allora non sono più trovabili, come non si trovano più altri formaggi che venivano
da fuori Augusta e che costituivano un companatico delizioso” 35 ; “oggi questa zona [di pesca] è
33
Corbino ne parla nel par. 9: “Augusta e la marina”, ivi, pp. 23-26.
34
Corbino ci racconta “che, osservando recentemente un volume che riproduce le fotografie delle navi della marina
militare italiana, e rivedendo le linee delle corazzate e degli incrociatori che hanno dominato sulla scena marittima
italiana dal 1904 al 1922, io ho riprovato le identiche sensazioni che mi procurava allora la vista diretta di quelle belle
unità” (ivi, p. 26).
35
Cfr. Corbino, 1972, pp. 16-17.
18
stata sottratta allo sport, in parte dalle servitù militari e, per il resto, dai danni provocati dal petrolio
alla pescosità del porto” 36 ; “dove allora era campagna oggi è centro abitato” 37 . E poi, ad Augusta
“l’edilizia moderna si è estesa dovunque ... . Si è molto migliorata la viabilità, quasi per facilitare il sorgere di una
fungaia di casette nuove, architettonicamente le più dissonanti possibili... .
Si resta sbalorditi dal grado di inquinamento del mare del porto megarese, a ponente dell’isola, rimasto ormai quasi
del tutto privo di fauna marina... .
Se poi dalla terra e dal mare passiamo all’aria noteremo che quello che prima era una sorgente di quiete e di
depurazione dei polmoni, ora non c’è più. Le esalazioni di petrolio, gli scarichi delle ciminiere della zona
industriale, portati dai venti da Sud e da Ovest provocano spesso un disgusto insopportabile. D’altra parte, al Monte
il canto delle cicale e dei grilli, prima fortissimo di giorno e di notte, è ora sopraffatto dal frastuono dei giradischi,
degli apparecchi radio e televisivi che non danno tregua a nessuno....” 38 .
Insomma, è un paradiso perduto dove persino più profonde sono state le trasformazioni sociali
tanto che oggi “la parte prevalente della gente che si incontra è formata da sconosciuti”.
Augusta, “la mia città natia, quella della mia infanzia, quella sopravvissuta quasi sino alla
seconda guerra mondiale, non c’è più; di essa restano solo le linee dei grandi caratteri naturali
geografici, che gli uomini finora non hanno il potere di modificare” 39 .
14. Conclusioni
Non starò a cercare una sintesi di ciò che mi è parso di capire del significato del contributo di
Corbino in materia di ambiente, se non per sottolineare alcuni pochi aspetti che mi sembrano
meritevoli di attenzione quantomeno perché si prestano ad essere generalizzati.
Il primo è la constatazione secondo cui, in genere, l’ambiente è protetto dalla sua stessa
inaccessibilità e, non sembri un paradosso, dalla disattenzione e dalla negligenza (“Sono lieto dichiara Corbino - che il ritardo della scoperta di questo angolo di paradiso l’abbia sinora sottratto
alla industrializzazione turistica”) 40 . È proprio vero, infatti, che la più efficace protezione delle cose
belle sta nel fatto che nessuno si accorga di loro. Le cose belle hanno bisogno di essere custodite
ricorrendo alla disattenzione se si vuole che siano conservate e tramandate, o per lo meno questa è
la mia opinione.
36
Ivi, p. 18.
37
Ivi, p. 20.
38
Cfr. Corbino, 1972, pp. 267-268. Più in particolare, cfr. tutto il par. 88, pp. 267-271, che è dedicato a Le
trasformazioni subite da Augusta.
39
Cfr. Corbino, 1972, p. 270.
40
Ivi, p. 22. Si noti che Corbino scriveva nel 1972.
19
Così non è stato nel caso di Augusta e di innumerevoli altri casi consimili. E credo che sia stato
inevitabile, come del resto lo è tutto ciò che ha a che fare con quel “tacito, infinito andar del
tempo” 41 contro il quale sarebbe vano combattere.
Anche nel caso di Augusta, che qui considero paradigmatico, sarebbe stato vano combattere
contro i cambiamenti sociali e poi contro le strade, le automobili, “i mezzi moderni di
comunicazione, i vantaggi offerti dalla luce, dal telefono, dalla radio e dalla televisione” 42 e,
insomma, contro tutte le novità in virtù delle quali la gente si è accorta dei luoghi ameni e della loro
accessibilità, li ha spalancati al resto del mondo e ha preso a costruire a più non posso,
provocandone la distruzione 43 .
Ma questa constatazione non ci esime dal puntare il dito contro le gravi responsabilità della
cultura dominante di allora, che è sempre andata passivamente dietro a tutto ciò che accadeva, né è
stata capace di capire il significato delle cose e di indicare in anticipo la strada da percorrere che
non fosse quella di assecondare gli interessi privati e lo sfruttamento turistico (o, come anche si dice
con espressione più pudica: la “valorizzazione turistica”) 44 .
Ebbene, erano questi i valori dominanti di allora e immagino lo siano rimasti anche quelli di
oggi, nonostante il proliferare delle teorie degli “sviluppi sostenibili” e di altre consimili assurde
banalità con le quali molti tra gli economisti odierni pensano di correre in soccorso dell’ambiente.
Non sono questi i valori di Corbino, né questo è stato il modo con cui egli ha affrontato il
problema. La sua voce è una voce fuori dal coro. È la voce di chi, da economista liberale, privilegia
i valori non monetari rispetto ai valori esprimibili in moneta e rivendica il ruolo preminente dei beni
spirituali rispetto alle cose materiali.
Quanto poi al modo con cui Corbino guarda al problema ambientale, mi preme tornare a
sottolineare che è utile guardare al Racconto di una vita, se si vuole meglio capire quale sia il
significato che Corbino attribuisce all’ambiente in tutta la ricchezza delle implicazioni che questo
41
Il riferimento è a Leopardi, Canto notturno di un pastore errante nell’Asia (Canto XXVI, v. 72).
42
Cosi Corbino, 1972, p. 22.
43
“La diffusione di queste ‘casine’, e la loro abitabilità in tutti i mesi dell’anno va trasformando il monte in un quartiere
quasi periferico” (Corbino, ivi, p. 22).
44
Duole ricordare che neppure il prestigioso Touring Club Italiano ha saputo sottrarsi a questa mentalità, ad esempio in
un articolo pubblicato da Le vie d’Italia del gennaio 1967. L’articolo, firmato da Gastone Geron e intitolato L’avvenire
ha nome Sila, celebra le grandi potenzialità turistiche dell’altopiano calabrese, presentato come il luogo ideale per lo
sfruttamento turistico. Il tono è trionfalistico: “Già è suonata per le spiagge della Calabria l’ora del grande lancio turistico:
e da Praia a Mare a Scilla, da Reggio Calabria a Sibari, sui versanti tirrenico e ionico è in atto un boom che oggi è ancora
frammentario e diseguale, ma fra cinque anni potrebbe «esplodere» con lo stesso fervore che ha ora il litorale dell’alto
Adriatico - pressoché negletto sino a venti anni or sono e dove oggi milioni di bagnanti si avvicendano da Jesolo a Lignano
- come sta avvenendo sul Gargano, in Sardegna, per tacere dell’Elba e delle isole in genere. Già il poeta inglese Swinburne
[chi era costui?] un secolo fa aveva profetizzato che il futuro della Calabria era riposto nello sfruttamento [sic!]
dell’altopiano silano”.
20
esercita sulla vita delle persone. Vi troviamo descritta la vita nell’ambiente, piuttosto che l’ambiente
inteso come oggetto asettico e quasi fisico da incasellare in qualcuna delle molte categorie
dottrinarie che gli economisti sono andati via via elaborando nel tentativo di rivestire di una patina
di scientificità fenomeni che, nelle loro mani, finiscono spesso per ischeletrirsi e per imbarbarirsi.
Corbino si contenta di raccontarci sotto voce e in tono dimesso ciò che egli sa e che gli
economisti dovrebbero pur sapere, conoscere e tenere ben in mente quando parlano di ambiente. La
sua nostalgia per i modi in cui erano fatti i luoghi dell’infanzia e per tutto ciò che lo faceva star
bene, e il ricordo della frutta, le verdure, i formaggi, le ricotte, i pesci, le belle scampagnate di
primavera, l’incanto della villeggiatura sul “monte”, lo spettacolo delle corazzate alla fonda nel
porto, e insomma il ricordo di tutto ciò è forse più efficace e più persuasivo nel farci comprendere le
cose di quanto non sia una formula astratta che pretendesse di abbracciare tutto e dietro alla quale
tutto si nasconde 45 .
In verità è utile sapere che cosa si nasconda dietro alla formula astratta, a che cosa la scienza
economica alluda e, in definitiva, di che cosa si stia parlando. Occorre, infatti, che gli economisti
sappiano di che cosa stanno parlando. Ebbene, da questo punto di vista il Racconto di Corbino mi è
parso utile.
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dazi doganali, Stabilimento Tipografico Ditta Cesare Cavanna, Pontremoli.
Corbino E: (1922a), Scritti varii-Burocrazia, Marina mercantile, Porti, Sindacalismo, Stabilimento
45
Ho qualche motivo di disaffezione nei riguardi di un certo modo di fare economia oggi. La mia opinione è
diffusamente illustrata nel recente libretto: Magnani, Surtout pas trop de zèle, 2009.
21
Tipografico Ditta Cesare Cavanna, Pontremoli.
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25
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TERRITORIALE PUBBLICATI
n. 1/2010
n. 2/2010
n. 3/2010
n. 4/2010
Silvio Beretta, Variabili finanziarie ed economia globale in tempo di crisi
Silvio Beretta, Renata Targetti Lenti, L'India nel processo di integrazione
internazionale. Dal primo al secondo unbundling e la posizione dell'Italia
Margarita Olivera, Challenges to Regional Integration in Latin America
Italo Magnani, Un economista liberale guarda alla economia dell'ambiente:
impressioni e riflessioni
**********
n. 1/2009
Giorgio Panella, Andrea Zatti, Fiorenza Carraro, Market Based Instruments for
Energy Sustainability
**********
n. 1/2008
n. 2/2008
n. 3/2008
n. 4/2008
n. 5/2008
Italo Magnani, Il pubblico e il privato nella economia della città
Italo Magnani, Note a margine di una recente opera sull'indirizzo sociologico della
scienza delle finanze italiana
Italo Magnani, La riforma sociale nella formazione di Nitti economista
Marisa Bottiroli Civardi, Renata Targetti Lenti and Rosaria Vega Pansini, Multiplier
Decomposition, Poverty and Inequality in Income Distribution in a SAM
Framework: The Vietnamese Case
Luca Mantovan, A Study on Rural Subsistence in the Ethiopian Northern Highlands
**********
n. 1/2006
Italo Magnani, Città. L’intreccio pubblico-privato nella formazione dell’ordine
sociale spontaneo
**********
n. 1/2005
n. 2/2005
n. 3/2005
n. 4/2005
Paola Salardi, How much of Brazilian Inequality can be explained?
Italo Magnani, Economisti Campani: a proposito della pubblicazione di due inediti
di Carlo Antonio Broggia
Italo Magnani, Ricordo del Professor Giannino Parravicini
Italo Magnani, A proposito degli “Studi in onore di Mario Talamona”
**********
n. 1/2004
n. 2/2004
n. 3/2004
n. 4/2004
n. 5/2004
Italo Magnani, Il “Paretaio”
Italo Magnani, L’economia di Luigi Einaudi: ovvero la virtù del buon senso
Marisa Bottiroli Civardi e Enrica Chiappero Martinetti, Povertà between and within
groups: a reformulation of the FGT class of index
Marco Missaglia, Demand policies for long run growth: being Keynesian both in the
short and in the long run?
Andrea Zatti, La tariffazione dei parcheggi come strumento di gestione della
mobilità urbana: alcuni aspetti critici
**********
n. 1/2003
n. 2/2003
n. 3/2003
Giorgio Panella, La gestione delle aree protette: il finanziamento dei parchi
regionali
Marco Stella, A Ban on Child Labour: the Basu and Van’s Model Applied to the
Indian “Carpet-Belt” Industry
Marco Missaglia e Paul de Boer, Employment programs in Palesatine: food-for-work
or cash-for-work?
Giugno 2010
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Istituto Italiano per gli Studi Filosofici