GIONA
Vita
di
San Colombano
Versione italiana dal testo originale
a cura di
E. Cremona e M. Paramidani
INTRODUZIONE
La Chiesa è una realtà viva, operante nel mondo come lievito spirituale e luce soprannaturale; la sua vita si
svolge nel tempo a beneficio degli uomini e per ridonare a tutti gli esseri, nella loro costituzione e nella loro
struttura, quel senso di sacro, distrutto dal peccato. Essa, come gli organismi viventi, è soggetta alle leggi dello
sviluppo biologico, pur restando fondamentalmente identica a se stessa in ciò che il Cristo le ha donato. Così
Egli la volle: sempre attenta a quel patrimonio immutabile di fede e azione divina, ma anche sempre aperta verso
la realtà umana continuamente mutevole nell'inesorabile fluire del tempo. La Chiesa non può fermarsi; la Chiesa
cammina con il tempo. Chi si dimentica di ciò rischia di trasformare la più grande istituzione del Cristo in un
prezioso oggetto da museo storico. Da questa realtà, mirabilmente complessa, deve partire chi vuol formarsi una
visione oggettiva e serena della Chiesa nel suo sviluppo e nella sua storia.
Quando Colombano venne alla luce, il continente europeo risentiva ancora, nelle sue strutture
religioso-civico-culturali, delle tremende ferite inflittegli da quei popoli, comunemente chiamati barbari, che in
cerca di un maggior benessere avevano trovato una facile preda nell'ormai decadente impero romano. Per un
momento sembrò che anche la Chiesa vacillasse sotto la brama di distruzione del passato dei nuovi venuti, ma
proprio per la vitalità in essa connaturale seppe immergersi in questa nuova realtà, facendosi barbara tra i
barbari, per risuscitare o destare per la prima volta quei valori che costituiscono la dignità dell'uomo nella sua
vocazione umano-divina. Uno degli artefici di questa faticosa ripresa nei secoli VI-VII è proprio Colombano;
solo più tardi sarà possibile valutare in tutta la sua importanza ed efficacia la sua opera e quella del movimento
monastico da lui fondato. Quando tutto sembrava irrimediabilmente perduto, coraggiosi uomini partirono dalle
isole oltre la Manica, spinti dal medesimo fuoco missionario che il Cristo aveva lasciato in eredità alla sua
Chiesa. La cultura antica e il cristianesimo si erano fedelmente coniati e gagliardamente sviluppati in queste
isole, le quali, proprio per la loro configurazione geografica, si erano trovate in una condizione di privilegio.
Colombano è uno di questi pionieri, forse il più audace, il più personale, ma anche colui che più profondamente
scavò un solco tra le rovine del passato per infondervi nuovamente il seme fecondo della fede e della cultura,
cosi intimamente associate nel suo spirito.
Egli nacque in un villaggio del Leinster nell'Irlanda meridionale intorno all'anno 543. In poco più di cento
anni, l'Irlanda era passata dall'età della pietra neolitica alla ribalta della storia per opera del vescovo
missionario S. Patrizio; egli era giunto sull'isola nel 432 e a questo popolo dedicò tutta la sua attività fino al
termine della sua vita (461). In questo clima di profondo rinnovamento culturale e religioso, Colombano crebbe
fino all'età della sua adolescenza, assimilando intimante tutto ciò che il suo favorevole ambiente gli forniva.
Dopo una crisi di vocazione, risolta mediante il consiglio di un eremita, Colombano lascia la propria casa e si
dirige verso il momastero di Cleenish Island, allora diretto dall'abate Sinell. Le circostanze di questa decisione
manifestano un doloroso conflitto nell'animo di Colombano tra gli affetti familiari e la imperiosa voce di Colui
che lo chiamava sulle diffìcili strade dell’apostolato. Completa la sua formazione di apostolo nel monastero di
Bangor alla scuola di Comgall, sempre con il pensiero rivolto verso il continente europeo. I monasteri irlandesi
accentravano in loro tutta la struttura ecclesiastica, sostutuendosi in pieno all'organizzazione diocesana. Questo
sistema ricalcava il tipo di organizzazione civile, fondata sulla tribù-clan.
L’aspetto etnico-religioso eserciterà un influsso anche su Colombano, che, come gli altri missionari iroscozzesi,
conserverà anche sul continente ove dominavano le strutture diocesane. Questo suo carattere
ascetico-individualista dev'essere tenuto presente per avere una visione concreta di alcune situazioni incresciose
che si vengono a creare nelle sue relazioni con i popoli da evangelizzare.
Ottenuto il permesso di peregrinazione dall'abate Comgall, nel 590/91 con dodici compagni lascia l'Irlanda e
raggiunge la Gallia, ove fonda i tre monasteri di Annegray, Luxeuil e Fontaines. La sua attività instancabile
intimamente congiunta con una impostazione tipicamente eremitica gli davano la possibilità di continuamente
donare agli altri, senza esaurire spiritualmente se stesso. Ma ben presto egli si trovò coinvolto in una serie di
lotte ed avversità, in parte causate dai suoi usi particolari e dal suo mondo irlandese trapiantato sul continente.
Lo accusavano, tra l'altro, di non celebrare la Pasqua secondo l'uso comune, di non voler ottemperare alle
consuetudini ecclesiastiche locali. Per poter giudicare di questa situazione, oltre alle osservazioni già fatte, è
necessario aggiungere che la vita cristiana del continente era ben lontana da quell'ideale che Colombano viveva
e pretendeva dagli altri. Colombano si trovava dalla parte del Vangelo vissuto nella sua, integrità ed era
naturale che questa sua azione venisse a contrasto con certe strutture ecclesiastiche, ancorate troppo spesso ad
un servile conformismo. L'occasione per esiliare questo monaco, disturbatore del quieto vivere, viene fornita
dalla denuncia che egli fa dell'immoralità della corte del re Teodorico. Nel 610, su proposta del re, Colombano
viene strappato da Luxeuil e attraverso alla Loira viene condotto a Nantes, per farlo ritornare in Irlanda.
Circostanze favorevoli permetteranno a Colombano di evitare questo ritorno in patria; passando al nord della
Gallia, entra nella valle del Reno, risale a ritroso il suo corso fino al lago di Costanza. Ormai in lui è chiara la
decisione di raggiungere l'Italia. Nell'autunno del 612 valica le Alpi e si dirige a Milano ove s'incontra con il re
longobardo Agilulfo. Si dedica con entusiasmo alla conversione degli ariani e, per confutare i loro errori, scrive
pure un libro, oggi andato perduto. Sulla segnalazione di un certo Giocondo, Agilulfo dona a Colombano Bobbio
e quindi in altre parole lo invita a lasciare Milano. Per quale motivo? S'era forse ripetuta sul suolo italiano la
situazione della Gallia nei confronti con le strutture diocesane? Potrebbe anche essere. Colombano giunge a
Bobbio nell'autunno del 614; ripara un'antica chiesa dedicata a San Pietro, segno della vita religiosa bobbiese
prima dell'arrivo del grande monaco, e attorno vi edifica il primo monastero.
Dopo appena un anno di permanenza a Bobbio pone fine alla sua attività missionaria. Era il 23
novembre dell’anno 615. Lasciava come conforto spirituale ai suoi 6 Epistole, 13 Sermoni, 2 Regole, Il
Penitenziale e 5 Carmi.
Di Colombano sono stati dati giudizi contrastanti e divergenti. Qualcuno non ha esitato di accusarlo di eccessiva
veemenza e ferocia, non solo verso gli altri, ma anche verso il capo della cristianità. Evidentemente si tratta di
una valutazione superficiale, che coglie di Colombano solo aspetti marginali e questi, per renderli più
impressionanti, sono proiettati fuori del loro contesto storico. In particolare, il suo modo di conversare con il
papa non è per nulla irriverente; non si deve dimenticare che la Chiesa antica era solita dialogare con il suo
capo con estrema franchezza, senza ricercare vie diplomatiche o maniere di convenienza. Inoltre, nelle stesse
lettere, indirizzate al papa, si trovano sempre sentimenti di profonda devozione o di rispetto per la sua alta
carica. Certo Colombano non era un debole di fronte al male e all'errore, ma, se vogliamo, anche Cristo seppe
impugnare uno scudiscio per scacciare i profanatori dal tempio. Questa sua fortezza va contentemperata con la
sua dolcezza verso gli umili, la sua bontà verso i bisognosi. Uomo di una tempra adamantina, di un
instancabile zelo apostolico; in lui la cultura antica diventa una stupenda cornice della parola divina; il suo
animo è tutto proteso verso un ideale che è diventato il centro, l'unità di tutta la sua vita. Il testo che
presentiamo in questo volume è la versione letterale del testo scritto dal monaco Giona di Bobbio
per incarico dell'abate Bertulfo. Giona nacque a Susa, non sappiamo esattemente in quale anno; egli
stesso ci informa indirettamente che entrò nel monastero di Bobbio verso il 618, cioè circa tre anni
dopo la morte di San Colombano, e doveva essere giovanissimo. Rimase a Bobbio fin verso il 639, sotto
gli abati Attala prima e Bertulfo poi. Poco prima della morte di quest’ultimo, avvenuta presumibilmente nel
640, andò nella Gallia belgica, chiamatovi dal vescovo missionario Sant'Amando, per collaborare alla
conversione dei pagani che ancora si trovavano in quelle regioni. Con Bertulfo Giona era andato
a Roma nel 628 per ottenere dal papa Onorio I il ben noto privilegio dì esenzione del monastero di Bobbio dalla
giurisdizione vescovile. Giona terminò la vita di San Colombano e dei suoi discepoli verso il 642, mentre era
nella Gallia.
Giona, con questo suo scritto, volle mettere in risalto la straordinaria forza d'animo di Colombano, le sue
eccelse virtù, il suo zelo apostolico ed in particolare i prodigi da lui compiuti. Colombano è l'uomo di Dio,
mandato sulla terra per evangelizzare le genti, sulle orme di Cristo. Per questo ha rinunciato a tutto, ha
abbandonato la madre, quasi brutalmente, e il suo paese, la sua terra, ha rinnegato se stesso, ha seguito Cristo,
il suo vero ed unico modello. Giona attribuisce al Santo molti miracoli simili a quelli compiuti da Cristo stesso,
come la moltiplicazione dei pani, la guarigione di indemoniati, la pesca miracolosa ed altri . Ciò può suscitare
nel lettore moderno una certa perplessità e diffidenza riguardo al valore storico dell'opera, ma dobbiamo
riportarci alla mentalità particolare della maggioranza delle persone dell'epoca in cui il libro è stato scritto. Si
era certamente propensi allora a vedere gran parte degli atti di un uomo di straordinaria religiosità, in una luce
miracolistica, senza indagare troppo sottilmente sulle cause di determinati fatti, che potevano essere talvolta
anche naturali. A Giona premeva dimostrare come il Santo Abate sia stato veramente il fedele seguace di Cristo.
Era spesso veramente necessario soccorrere con intervento celeste coloro che per far conoscere il regno dei cieli
avevano rinunciato e rinunciavano continuamente ad ogni agio, ad ogni soddisfazione terrena, ad ogni interesse
mondano e spesso si trovavano privi di tutto, anche dei mezzi assolutamente indispensabili alla vita. E non
dobbiamo dimenticare che simili prodigi avvengono ogni giorno, anche se molti non li vogliono vedere. Il
biografo si preoccupa tuttavia di riportare fatti, sia pure presentandoceli in una prospettiva particolare, che gli
sono stati narrati direttamente da testimoni oculari, di cui cita scrupolosamente i nomi, come Teodegislo,
Agnoaldo, Gallo, Eustasio ed altri, fatti che comunque erano stati riferiti da persone assolutamente degne di
fede. Una volta indicate le finalità dell'opera, non possiamo pretendere di cercare in essa ciò che non c'è e ciò
che l'autore non si è proposto di darci. Ad esempio, è stato osservato, non ci ha detto niente delle controversie
tra Colombano e i vescovi della Gallia; ha omesso molti particolari che a noi piacerebbe conoscere; ma quelli
esulavano dai fini e dai limiti del lavoro che egli si era proposto. Non ha comunque alterato i fatti e la verità
storica; e questo è molto importante.
La versione è stata curata dai Proff. Ernesto Cremona e Michele Paramidani sul testo più antico oggi
conosciuto: il codice di Metz del IX secolo. I traduttori avvertono che i nomi propri di persona sono stati
italianizzati letteralmente; quindi sono state usate le forme: Brunilde, anziché la più comune, e forse meno esatta
Brunechilde, Ildeberto, anziché Childeberto, Agnoaldo, anziché Cagnoaldo e simili. Dei nomi propri geografici è
stata data la traduzione moderna italiana, se questa è di uso comune, quella della lingua della nazione in cui si
trova la località negli altri casi.
Ve Infine sottolineato il fatto che questa è la prima versione dell'opera di Giona, e che Giona resta la fonte
più importante e sicura per una biografia di San Colombano. E' per questo che, nella ricorrenza del 27°
cinquantenario della morte di San Colombano, abbiamo voluto offrire al popolo questo importante documento
storico, al fine di diffondere maggiormente la conoscenza di questo grande monaco irlandese, del quale l'intera
Europa deve sentirsi fiera e al quale deve riconoscenza perché da lui ebbe molto.
Colombano, figlio fedele della Chiesa, contribuì in modo veramente grande all'opera di adattamento e allo
sviluppo di quei valori che essa, per espresso comando di Cristo, perpetua nei secoli.
M. TOSI
PROLOGO ALLA VITA DI
SAN COLOMBANO ABATE
Agli egregi Signori insigniti della somma e sacra autorità, sostenuti da copioso zelo, Giona
peccatore.
Ricordo che tre anni fa circa, per unanime invito dei confratelli e per comando dell'abate Bertulfo,
mentre io, riposandomi un poco nelle campagne appenniniche, dimoravo tra di loro nel cenobio
bobbiese, promisi di impegnarmi a stendere con la penna le gesta dell'almo padre Colombano,
specialmente perchè coloro che vivevano in quel tempo e videro le opere da lui compiute sono ancora
in grandissimo numero viventi fra voi. Questi sono in grado di narrarci non cose sentite dire, ma viste e
che anche noi abbiamo appreso per mezzo dei venerabili uomini Attala ed Eustasio, i quali furono suoi
successori, il primo nel cenobio di Bobbio, il secondo in quello di Luxeuil nei quali voi siete abati, e
consegnarono alle loro comunità, perchè li custodissero, i precetti del maestro. In un secondo tempo
abbiamo narrato, come abbiamo potuto, la loro vita; del resto è piuttosto la loro fama a renderli degni
di memoria. Ma, nonostante che i sopraddetti confratelli con la loro carità e il predetto padre con il suo
comando, fossero persuasi in cuor loro che tutto potesse procedere con abbondanza e facilità, io mi
trovo assai impari a questo lavoro. Se infatti non mi fossi giudicato assolutamente indegno di compiere
quest'opera, mi sarei già accinto prima, benché con temerario ardimento, a tessere quelle gesta, anche
se da tre anni nelle regioni dell’Oceano una zattera mi trasporta per la Scarpe e una navicella per la
Schelda, solcando le molli vie, e la pigra onda dell’Elnon mi bagna le piante, e questo per portare io
aiuto venerabile vescovo Amando che, stabilitosi in questi luoghi, reprime con l'evangelica spada i
vecchi errori dei Sicambri. Tuttavia lascerò all'arbitrio del venerando padre e del vostro volere la
rifinitura del lavoro affidatomi, affinchè se alcune cose, esposte in maniera non adeguata, saranno
prive del conveniente decoro, siano abbellite dai vostri ornamenti e così diventino adatte per i lettori.
Non succederà così che, inorridendo della mia imperizia nello scrivere, poiché le parole non
corrispondono ai fatti, e provando fastidio, non vogliano più imitare le virtù dei santi e, dopo aver teso
entusiasti la io al lavoro compiuto, subito dopo cerchino di ritrarla, sanguinante per l'asprezza dei rovi.
A questi bisogna dire che nuotatori, quando le forze sono infrante dal riflusso dei gorghi, nel venir
meno di altri aiuti, giunti a riva sono soliti con tensione di sforzo afferrare anche i rovi; che le bocche
ricchi, dato che gli altri cibi abbondano per loro, spesso desiderano i frutti agresti, e che parecchie
persone, riempite le orecchie di tutti i generi di musica, cioè organo, salterio, cetra, canto, prestano
spesso l'orecchio alle modulazioni delle molli canne della zampogna.
E se troveranno che io lodo qualcuno che sia ancor vivo, non mi ritengano un adulatore, ma
divulgatore di cosa ben fatta, e sappiano che non sono favorevole ad alcuno con canto panegiristico,
ma affido alla memoria cose degne. E quello, se è ancor vivo, soprattutto non si gonfi, se vede esposti
da me i doni largitigli dal Creatore, affinchè dietro lo stimolo dell’orgoglio non corrompa la solidità di
una mente pura e sincera. Nessuno infatti dubita che il favore degli adulatori inquina le menti ornate
delle virtù. Così parla il Signore ad Israele pnmv per mezzo di Isaia: O mio popolo, coloro che ti
chiamano beato sono proprio essi che ti ingannano e rovinano i passi del tuo cammino. Infatti, come
volgarmente si dice la falsa lode offende il sapiente, la vera lo sprona a tendere al meglio. Li adorni
dunque, in ciò che hanno bene operato, una lodevole fama, li stimoli affinchè non li macchi, con la
perdita del fervore, una vituperevole tiepidezza. Li esaltino gli altri, se hanno fatto qualche cosa degna
di imitazione, affinchè in seguito non si attirino i danni di un pernicioso orgoglio attraverso la
celebrazione delle grandi cose compiute.
Abbiamo dunque inserito le cose da noi verificate mediante testimonianze e che a nostro avviso
sarebbe stata negligenza omettere; ne abbiamo omesse molte che non ricordiamo completamente e che
abbiamo ritenuto non essere conveniente scrivere soltanto in parte. Le cose esposte le ho divise in due
libretti staccati, per diminuire il fastidio della lettura in un sol volume : il primo contiene le gesta del
beato Colombano, l'altro tratta della vita dei suoi discepoli Attala, Eustasio e degli altri che abbiamo
conosciuti. Riteniamo che i fatti debbano essere da voi soppesati, affinchè da voi approvati con
sagace esame, tolgano l'incertezza agli altri. Se infatti qualcuno troverà cose non puntualizzate a
dovere, riterrà di doverle respingere, specialmente se, appoggiato alla facondia dei dottori, possiede
una notevole cultura. Sappia però costui che noi non abbiamo per scopo la presunzione di ricalcare le
orme dei dotti. Quelli, irrorati dalla rugiada dell’eloquenza, dipinsero campi di verdi fiori, a noi
invece un’arida terra è a mala pena in grado di dare arbusti. Quelli hanno in abbondanza la lacrima
del balsamo d'Engaddi e fiori d’aromi dell'Arabia, noi a stento abbiamo il pingue burro dell'Irlanda.
Quelli prendono pepe e nardo dall'India, a noi gli ampi gioghi appenninici, ricchi di pini, dove i freddi
sono rigidi per i soffi dei venti, a mala pena danno saliunca. Quelli si gloriano della varietà di pietre
preziose, a noi pare temerario gloriarci dell'ambra della Gallia. Quelli ti mettono innanzi frutti di
palme, assolutamente esotici, noi secondo frase del poeta, abbiamo semplicemente dolci frutti nostrani
e molli castagne.
Salute, almi padri, uomini pieni di vigore e coraggio.
Vita di San Colombano
1.
La premurosa cura dei padri ha compilato la vita fulgida e scintillante di incomparabile
splendore dei santi abati e monaci, nostri nobili maestri, con l'esplicito scopo che i benefici
esempi degli antichi spandessero il loro profumo per i posteri. Questo ha fatto sin dal principio
dei tempi l'eterno Creatore per assicurare il ricordo perenne dei suoi servi e perchè le passate
gesta servissero da modello ai posteri e le seguenti generazioni trovassero motivo di gloria nei
meriti dei predecessori, sia imitandone l'esempio, sia perpetuandone la memoria. Tra costoro,
tramandarono il ricordo fino ai nostri tempi, il beato Atanasio di Antonio, Girolamo di Paolo e
di Ilarione e di quanti altri la buona condotta di vita rendeva degni di lode, Postumiamo, Severo
e Gallo del grande Martino: moltissimi poi di altri ancora che o la fama o gli esempi delle
buone opere o le testimonianze delle virtù hanno resi illustri, come Ilario, Ambrogio ed
Agostino, colonne delle loro chiese, i quali in mezzo a tante burrasche del secolo, mentre il
mondo era in preda alla tempesta, sostennero le sorti della Chiesa, affinchè mentre soffiava un
maligno vento contrario, tra l'infuriare della procella ereticale, l'avversità non deturpasse la vera
fede. Noi, seguendo l'esempio di questi, con temerario ardimento, non sorretti dall'aiuto di
particolari meriti né sostenuti da fiorita eloquenza, né dissetati alla fonte di accurata
preparazione dottrinale, ci accingiamo a raccontare le gesta nostro glorioso padre Colombano,
luce risplendente nel tempo nostro. Sarà tuttavia testimone delle nostre parole l’imimenso
Dispensatore di ogni virtù, che a lui ha elargito i doni della sua grazia e la corona della vita
eterna.
2.
Colombano, infatti, che è chiamato anche Colomba, nacque l'Isola d'Irlanda, situata
all'estremità dell'Oceano, rivolta verso il tramonto del sole, quando il suo globo si volge
indietro e la luce discende nel mare con il sopraggiungere delle ombre. Quivi gigantesche
ondate aprono abissi terrificanti, spaventosi per il loro colore, increspandosi in maniera
impressionante sulle alte creste, con il biancheggiante manto creato per un istante dal ceruleo
dorso e battono gli schiumosi lidi, estreme insenature delle terre e non permettono alla nave
disarmata e tranquilla di viaggiare sul mare agitato per renderci note quelle spiagge. Sopra
queste spiagge discende il fulvo Titano nella fosca luce di Arturo e ne visita nel suo giro le
regioni; poi, seguendo l'Aquilone ritorna verso Oriente per risorgere nuovamente e donare al
mondo la sua gradita luce e mostrarsi in tutta la sua grandezza al mondo con la tremolante
fiamma. Così, compiuto il suo corso e superate tutte le mete del giorno e della notte, illumina
con la sua luce le terre, rendendo bello il mondo riscaldato dal suo calore. Amena è, come
dicono, la posizione dell'isola, preservata da ciré portate da genti straniere.
Abitano questa terra gli Scotti, gente la quale, benché sia lontana dalle leggi delle altre stirpi,
tuttavia, distinguendosi nei precetti della fortezza cristiana, è superiore nella fede a tutte le genti
vicine.
Nacque dunque Colombano ai primordi della vita cristiana di quella gente, affinchè la fede, che
era presso quella popolazione parzialmente sterile, in virtù dell'opera protettrice sua e dei suoi
compagni, fosse fecondata da una fruttuosa pratica. Ma non bisogna passare sotto silenzio
quello che accadde avanti la sua nascita, prima che vedesse la luce di questa vita. Sua madre,
infatti, avendolo già concepito nel seno, all'improvviso nel profondo della notte vide un sole
scintillante e risplendente di straordinario fulgore uscire dal suo seno e portare al mondo una
gran luce. Ella, dopo che il sonno ebbe lasciato le sue membra e l'aurora nascente ebbe cacciato
dal mondo le cieche tenebre, cominciò a riflettere con intenso impegno nel suo intimo e con
gioia velata dalla perplessità a misurare nel sagace spirito la portata di una così grande visione;
pregò dei vicini, valenti per dottrina, che la confortassero con il loro aiuto, chiedendo che le
menti dei sapienti scrutassero il valore di così grande visione. Ricevette finalmente la risposta,
ponderata, degli esperti, che ella aveva in seno un uomo di grandi qualità, che avrebbe
compiuto cose utili per la sua salvezza e opportune per il bene del prossimo. La madre, dopo
averlo dato alla luce, lo curò con tanta premura che stentava ad affidarlo persino ai parenti dagli
specchiati costumi, sino a che, fattosi adulto, non tendesse alla pratica del bene sotto la guida di
Cristo, senza del quale non si compie nulla di buono. E ben si spiega che la madre abbia visto
un sole risplendere dal suo seno; infatti le membra la Chiesa, madre universale, brillano di
fulgore a guisa di Febo, perchè il Signore dice: Allora i giusti splenderanno cone il sole nel
regno del padre loro. Così Debora con accento di preghiera, parlava un giorno con Dio, dietro
ispirazione, dello Spirito Santo, dicendo: Coloro che ti amano brilleranno come risplende il
sole al suo sorgere. Infatti la volta celeste che sfavilla trapunta degli astri, è più bella per
l'intensità di una gran luce; come la luce del giorno, accresciuta dallo splendore del sole, rifulge
bella sul mondo, così il corpo della Chiesa quando, arricchita dei beni del suo Fondatore, si
accresce del numero dei santi, e risplende per il religioso culto della scienza, in modo che per la
quantità dei dotti si moltiplicano i vantaggi per coloro che vengono dopo. E come il sole e la
luna e tutte le stelle nobilitano la notte e il giorno, così i meriti dei santi sacerdoti
rinvigoriscono il messaggio della Chiesa.
3.
Passati gli anni dell'infanzia, crescendo nell'età della puerizia, cominciò ad applicarsi con il suo
forte ingegno alle arti liberali delle lettere e agli studi grammaticali, e addestrandosi in essi per
tutto il tempo della puerizia e dell'adolescenza, si mantenne in questo esercizio fino all'età virile
con intensa fruttuosa applicazione. Ma siccome la bellezza delle forme fisiche, specialmente
per la candida freschezza del corpo e lo splendore della giovinezza, lo rendeva caro a tutti, ecco
che l’antico nemico cominciò a scoccare frecce mortali contro di lui, cercando di irretire, se vi
fosse riuscito, nei suoi lacci colui che vedeva crescere con tanto ingegno. Cominciò
ad eccitare verso di lui le brame amorose di lascive fanciulle, specialmente di quelle che,
essendo belle e abili nel rendersi aggraziate, sogliono affondare l'animo degli infelici in
conturbanti desideri. Ma vedendosi il prode soldato attaccato da ogni parte con così terribili
armi e avendo scorto che gli si alzava contro il lampeggiante pugnale dell'astuto nemico,
conscio della fragilità umana, sapendo cioè che scivolando in basso si fa presto a restar
sommersi e che, come dice un certo autore, non v’è nulla tanto sacro per religione e tanto
custodito dentro cui non possa penetrare la passione, impugnò con la destra lo scudo
evangelico, tenendo nella sinistra la spada a due tagli e si preparò ad avanzare per combattere
contro le formidabili formazioni dei nemici; in tal modo non avrebbe consumato tutta la fatica
che con il suo acutissimo ingegno aveva speso sudando intorno alla grammatica, alla retorica,
alla geometria e a tutte le Divine Scritture e non si sarebbe invischiato nelle lusinghe del
mondo; e inoltre gli venne dato lo stimolo per contrattaccare.
Mentre già stava meditando tra sé su queste cose, giunse al piccolo rifugio di una religiosa
donna. Dapprima la salutò con voce umile, poi cominciò ad ammonirla, com'era capace, con
esortazioni giovanili. Ella, vedendo aumentare a poco a poco l'ardore nel giovane disse : 'Io
sono fuggita e sono partita per la guerra, facendo tutto il possibile. Ecco, volgono ora quindici
anni che ho lasciato la casa e sono venuta in questo luogo di peregrinazione e, in seguito, sotto
la guida di Cristo, tenendo in mano la stiva, non ho mai guardato indietro; e se non mi fosse
stato d'ostacolo il fragil sesso, attraversato il mare, mi sarei recata in un miglior luogo di peregrinazione. Tu invece, bruciando delle fiamme dell'adolescenza, ti trattieni sul suolo natale e,
trascinato dalla fragilità della carne, voglia o non voglia, presti l'orecchio alle voci delicate e
credi di frequentare liberamente il femmineo sesso? Non ti ricordi che Adamo cadde dietro la
persuasione di Eva, che Sansone fu sedotto da Dalila, che Davide fu sviato dalla sua precedente
giustizia dalla bellezza di Betsabea e che il sapientissimo
Salomone
fu
ingannato
dall'amore delle donne?'. ' Avanti — aggiunse — o giovane, avanti! Evita il precipizio in
cui ti rendi conto che molti sono caduti, lascia la strada che conduce alle porte dell'inferno '.
Rimase scosso, pertanto, il giovanetto dalle parole di costei e, atterrito più di quanto crederesti
avvenire in un giovane, rese grazie a lei che in tal modo lo riprendeva. Disse addio ai
compagni, e affrontò il cammino, mentre la madre sua, spinta dal dolore lo scongiurava di non
lasciarla. Ma egli: 'Non hai sentito? — disse — Chi ama il padre e la madre più di me non è
degno di me! '. Alla madre che cercava di ostacolarlo e rimaneva aggrappata alla soglia della
porta egli chiese di lasciarlo andare. Quella, urlando e gettandosi sul pavimento, dichiarò che
non glielo avrebbe permesso; egli allora oltrepassò la soglia e la madre e le chiese di starsene
contenta, aggiungendo che non l'avrebbe più vista in questa vita, e che egli sarebbe andato
avanti, ovunque la via della salvezza gli avesse aperto il cammino.
Lasciato dunque il suolo natale che gli abitanti denominano terra dei Lageni, si recò da un
venerando uomo di nome Senile che in quel tempo godeva grande prestigio tra i suoi or la
singolare pietà e per la fine conoscenza delle Sacre e Scritture. Il santo uomo, vedendo che il
giovane aveva perspicace intelligenza, lo istruì nello studio di tutte le Divine Scritture; ma,
come suole succedere, quando nelle esercitazioni maestri cercano di interrogare i discepoli, per
rendersi conto del loro ingegno che o è pieno di vigore per ricchezza di sentimenti o
intorpidisce nel sonno della pigrizia, cominciò a cedergli spiegazioni su difficili questioni
della materia. E Colombano, dall'animo timido ma sagace, per non sembrare disobbediente,
non spinto dal vizio della vanagloria, ma obbediente al maestro, a sua volta cercava di
scandagliare le questioni che gli venivano prospettate, memore di quell'avvertimento del
Salmista: Apri la tua bocca ed io la riempirò. Così grande era il tesoro delle Divine Scritture
tenuto riposto nel suo petto che, benché fosse ancora nell'età dell'adolescenza, commentò il
libro dei Salmi con stile forbito. Compose molti altri dotti lavori letterari adatti per il canto o
utili per l'insegnamento.
4.
Si adoperò in seguito per essere ammesso a una comunità di monaci, e si recò al monastero
chiamato Benechor, nel quale era superiore e godeva grande prestigio tra i suoi per le molte
virtù il beato Comogello, padre dei monaci, il quale era ritenuto uomo straordinario per lo zelo
religioso e l'osservanza della disciplina regolare. Ivi Colombano cominciò a dedicarsi soltanto
alla preghiera e a prendere su di sé il giogo di Cristo, che è leggero per quelli che lo portano, e a
seguire Cristo rinnegando se stesso e prendendo la sua croce, affinchè colui che doveva essere
il maestro degli altri, accettando personalmente la mortificazione del suo corpo, mostrasse più
doviziosamente con l'esempio quello che aveva appreso con la dottrina, cioè i doveri che
avrebbe insegnato ad adempiere agli altri.
5.
Compiuto pertanto il giro di molti anni nel monastero, cominciò a desiderare la peregrinazione,
memore di quel comando del Signore ad Abramo: Esci dalla tua terra e dalla tua parentela e
dalla casa di tuo padre e va' nella terra che ti mostrerò. Rivelò al venerando padre Comogello
l'ardore del suo cuore e il desiderio acceso dal fuoco del Signore, del quale fuoco parla il
Signore stesso nel Vangelo: Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e che cosa voglio se non
che arda?
Manifestava egli al padre l'ardente desiderio, ma non trovava nella risposta del padre quello che
la sua domanda bramava. Era duro infatti per il venerando Comogello subire la perdita di così
grande aiuto. Finalmente, però, cominciò ad essere favorevole e a fare una scelta di preferenza
nel suo cuore, ritenne che non doveva cercare di soddisfare le sue esigenze più che di
procacciare quello che era confacente all'utilità egli altri. E non senza volere dell'Onnipotente
avveniva che colui che istruiva il discepolo alle guerre future riportasse gloriosi trionfi dalle sue
vittorie e ricavasse un ricco bottino lolle falangi dei nemici battuti. Chiamatolo, gli manifestò
l’intenzione, benché dolorosa per lui, utile per gli altri, che gli avrebbe concesso il vincolo della
pace e il conforto del suo aiuto, e dei compagni di viaggio distinti per la loro pietà. Radunata
l'intera comunità dei monaci, chiese il suffragio delle preghiere di tutti affinchè nel prossimo
viaggio il Divin benefattore concedesse il conforto della sua misericordia.
Essendo, dunque, nel ventesimo anno di età, intrapreso il viaggio, con dodici compagni sotto la
guida di Cristo, si recò alla spiaggia del mare. Ivi si attesero la misericordia dell'Onnipotente
affinché, se corrispondesse alla sua volontà, si compiesse l'effetto del concepito disegno. E
vennero a capire che la volontà del clemente Giudice era con loro e, saliti sulla nave,
affrontarono ignote vie per le onde e con i soffi degli zefiri che rendono propizio il mare
tranquillo, giunsero in poco tempo alle insenature della Bretagna. Dopo essersi soffermati
per un poco in quel medesimo luogo, ripresero le forze e con animo ondeggiante ponderarono
gli ansiosi disegni del loro cuore. Finalmente decisero di calcare il suolo gallico e studiare con
grande impegno i costumi di quella gente, cosicché se ivi bisognasse seminare la salvezza,
sarebbero rimasti per tutto il tempo necessario, se invece avessero trovate le menti indurite per
la caligine dell'arroganza, sarebbero passati ai popoli vicini.
6.
Avanzando dunque dalle insenature britanniche, si diressero verso le Gallie ove allora, sia per
la frequenza dei nemici esterni, sia per la negligenza dei capi, la virtù della religione era
pressoché dimenticata; rimaneva soltanto la fede cristiana. Infatti le medicine della penitenza e
l'amore della mortificazione si trovavano a stento e in pochi di quei posti. Il sistema del
venerando uomo era di annunziare la parola evangelica in ogni luogo dove si portava. Era
infatti gradito alla gente il fatto che la bellezza della sua elegante esposizione trovasse
corrispondenza nella profonda dottrina della sua predicazione e negli esempi delle sue virtù.
Tanta era l'abbondanza dell’'umiltà che, al contrario di noi uomini del mondo che ci sforziamo
di ottenere la grandezza dagli onori, questi con i suoi compagni si sforzavano di superarsi l'un
l'altro nel culto dell'umiltà, memori di quel precetto: Chi si umilia sarà esaltato e di quello di
Isaia: A chi mi volgerò, se non a colui che è umile, quieto e che ha timoroso rispetto delle mie
parole? Tutti avevano tanta pietà, tanta carità che unico era il volere e unico il non volere, la
modestia, la sobrietà, la mansuetudine e la dolcezza e l'umiltà in tutti spandevano soave
profumo. Essi detestavano i vizi della pigrizia e della discordia; la boria dell'arroganza e
dell'altezzosità era colpita dai duri colpi dei castighi. La colpa dell'ira e del livore era respinta
con accorta decisione. Tanto grande era in essi la virtù della pazienza, il sentimento della carità,
la pratica della dolcezza che non avresti avuto alcun dubbio che il mite Signore abitava, in
maniera ben evidente, in mezzo a loro. Se si fossero accorti che qualcuno scivolava in questi
vizi, tutti insieme, senza distinzione, avrebbero cercato di stimolare il negligente con le
correzioni. Tutti avevano tutto in comune. Se qualcuno avesse tentato di usurpare qualche cosa
come sua propria, segregato dalla comunità degli altri, sarebbe stato punito con la sanzione
della penitenza. Nessuno osava ricambiare uno sgarbo al confratello, nessuno osava
pronunciare un aspro discorso, così che avresti rilevato che si conduceva una vita angelica in
una comunità umana. Tanto grande era la grazia che ridondava in quel santo uomo che nella
casa di chiunque egli si fermasse per un certo tempo, radicava negli animi di tutti la pratica
della religione.
7.
Giunse dunque la fama di Colombano alla corte del re Ildeberto che in quel tempo regnava con
prestigio sui due regni franchi degli Austrasi e dei Burgundi, il cui nome è considerato grande
sopra gli altri popoli che abitano le Gallie. Giunto da lui il santo uomo insieme con i suoi,
diventò gradito al re ai cortigiani per la ricchezza e l'eccellenza della dottrina, cominciò
finalmente il re a chiedergli che risiedesse entro i confini delle Gallie e non lo abbandonasse
passando ad altri popoli: egli gli avrebbe procurato tutto ciò che la sua volontà avesse richiesto.
Colombano allora disse al re che non si sarebbe arricchito dei beni degli altri, ma, nella misura
che non lo ostacolava la fragilità della carne, avrebbe seguito il monito del precetto evangelico:
Chi vuol venir dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. A queste sue
obiezioni il re rispose: 'Se desideri prendere la croce di Cristo e seguirlo, cerca pure la quiete
dell'eremo che preferisci, solamente non passare ai vicini popoli, lasciando la terra di nostra
giurisdizione, in modo da procacciare una maggior ricompensa per te e ciò che è confacente
alla nostra salvezza'. Essendogli stata data pertanto la possibilità di una libera scelta,
Colombano obbedì all'invito del re e si diresse all'eremo. C'era infatti allora un solitario eremo
di nome 'Vosicus’ , nel quale anticamente era stato un castello rovinato, che la tradizione degli
antichi denominava ' Anagrates'. Quivi giunto il santo, benché il luogo fosse selvaggio per
l'ampia solitudine e l'interposizione di rocce, vi si stabilì con i suoi, contento di un modesto
conforto di alimenti, memore di quella parola, che l'uomo non vive di solo pane, ma saziato
della parola della vita, abbonda di copioso cibo, e colui che ne prende, non conosce più la fame
in eterno.
8.
Mentre l'uomo di Dio dimorava con i suoi in quel luogo, all'improvviso la violenza delle febbri
cominciò a colpire uno dei monaci, o per provarlo, o per una qualsiasi colpa che le attirava. Ma
non essendovi alcun conforto di alimenti, a meno che non si dessero come nutrimento scorze
d'alberi ed erbe, gli animi di tutti cominciarono ad essere rivolti unicamente all'intento di darsi
al digiuno e alla preghiera per la guarigione del fratello ammalato. Mentre già da tre giorni
digiunavano, non avendo nulla onde rifocillare gli stanchi corpi, improvvisamente scorgono un
uomo stare davanti alla porta con rifornimento di pani e i cavalli carichi di companatico. Egli
dichiarò di essere stato condotto da un'improvvisa spinta del cuore a venire con il suo
patrimonio in soccorso ad essi, che nell'eremo sopportavano così grandi privazioni per Cristo.
Dopo aver offerto all'uomo di Dio quello che aveva portato, cominciò a chiedere con umiltà di
cuore che il santo uomo pregasse Dio per sua moglie che da un anno era bruciata da una così
ardente febbre che si credeva ormai non potesse più sopravvivere. A lui che chiedeva con cuore
umile e turbato, il santo uomo non volle negare conforto. Riuniti i monaci, invoca per lei la
misericordia del Signore. E quando egli con i suoi ebbe terminato la preghiera, subito la donna,
che già aveva davanti agli occhi il pericolo della morte, fu restituita alla salute. E suo marito,
dopo che, concessagli dall'uomo di Dio la benedizione, se ne fu ritornato a casa, trovò sua
moglie che se ne stava seduta in casa. Avendole chiesto in quale ora la fortissima febbre
l'avesse lasciata, scoprì che era stata guarita in quella stessa ora in cui l'uomo di Dio aveva
pregato per lei. Passò successivamente un breve spazio di tempo durante il quale offrivano a
Dio le membra mortificate come pii mezzi di espiazione a Cristo e di purificazione della mente
attraverso a macerazione della carne e i morsi della fame, e cercavano di mantenere integra la
loro vita religiosa; ogni voluttà era infranta da dure privazioni, evidentemente affinché il
predone delle virtù divenisse anche il liberatore dai peccati. Erano già cassati nove giorni da
quando l'uomo di Dio con i suoi non mangiavano altro che le scorze degli alberi e le erbe del
bosco. Ma rimediò alla scarsità del cibo la pietà dell'Eterna Virtù ed avvertì durante il sonno un
certo abate di nome Carantoco, il quale era a capo del monastero che si chiamava 'Salicis',
affinchè portasse il necessario al suo servo Colombano che si trovava nella solitudine
dell'eremo. Svegliatosi dunque Carantoco, chiamò il suo dispensiere di nome Marcolfo e gli
espose la situazione di cui era stato avvertito. E quegli: 'Fa — disse — come ti è stato
comandato '. Comandò dunque Carantoco a Marcolfo di andare e portare al beato Colombano
tutto quello che poteva procacciare. Caricati i carri, Marcolfo intraprese il cammino, ma,
quando ebbe toccato i margini dell'eremo, constatò che in nessuna maniera gli si apriva innanzi
la strada. Alla fine fu d'avviso che, se in questo c'era la volontà di Dio, mandati avanti i cavalli,
la potenza di Colui che comanda avrebbe aperto la via. Mirabile prodigio! I cavalli, andando
innanzi, con le unghie aprono un nuovo cammino per un sentiero e per dritta via giungono alle
porte del beato Colombano. Pieno di meraviglia Marcolfo, seguendo le tracce dei cavalli,
giunse dall'uomo di Dio e gli presentò quello che aveva portato. Quegli rese grazie al Creatore
il quale così non aveva tardato più oltre ad approntare nel deserto la mensa ai suoi servi.
Ricevuta dunque la benedizione, Marcolfo ritornò per il sentiero per cui era venuto e a tutti
manifestò quello che era accaduto. Da allora cominciarono a recarsi da Colombano una gran
quantità di persone e gruppi di ammalati per ottenere la guarigione, e chiedere sollievo a tutte le
malattie; egli, non potendo respingere i loro voti, accedendo alle richieste di tutti, cercava di
venire in aiuto alle infermità di ognuno di coloro che si recavano da lui, curandole, sostenuto
dall'aiuto divino, con la medicina delle preghiere.
9.
In questi stessi luoghi un giorno, mentre il suddetto uomo di Dio stava passeggiando nella folta
ombra di un bosco in un posto fuori mano, e recando un libro sulle spalle, meditavi sulle Sacre
Scritture, improvvisamente ebbe un pensiero quale fosse miglior scelta, subire l'ingiustizia
degli uomini e affrontare le bestie selvagge. Siccome la severità che si era imposta stimolava il
suo pensiero, facendosi frequenti segni di croce e pregando, disse tra di sé che era meglio
affrontare la ferocia delle bestie senza colpa altrui che affrontare la rabbia degli uomini con
danno delle anime. E mentre il suo animo era immerso in questi pensieri, vide venire avanti
dodici lupi che gli si misero vicino, prendendolo in mezzo, a destra e a sinistra. Egli rimase
immobile dicendo: O Dio, volgiti in mio aiuto, o Signore affrettati a soccorrermi. Quelli si
fanno più vicino e accostano i musi alle sue vesti; e siccome egli stava fermo e tranquillo, senza
essere riusciti a mettergli paura lo lasciano e si mettono a vagare per la foresta. Superato con
sicurezza questo pericolo, riprende il cammino per il bosco. Allontanatosi un poco, udì le voci
di molti Svevi che andavano vagando per le strade fuori di mano e che nello stesso tempo e
negli stessi luoghi commettevano azioni brigantesche. E così infine, superato ogni pericolo con
la fermezza, si salvò dalla critica situazione. Ma non riuscì a capire chiaramente se ciò fosse
stata una finzione escogitata dall'inganno del demonio o un fatto compiuto nella realtà delle
cose. Un'altra volta uscì dalla sua cella e addentrandosi nel deserto dell'eremo per una via più
lunga, trovò una gigantesca roccia i fianchi della rupe erano scoscesi e il dorso accidentato, un
posto poco accessibile agli uomini. Ivi egli vide una grotta scavata nel sasso. Accintosi a
scrutare quel nascondiglio, trovò nell'interno il rifugio di un orso e lo stesso che vi stava dentro.
Con dolcezza comandò alla fiera di andarsene. ' E d'ora innanzi disse — non ritornare su questo
sentiero '. Se ne andò mansueta la fiera e non ebbe più assolutamente il coraggio di ritornare.
Distava quel luogo da Annegray, più o meno, sette miglia.
10.
In quel medesimo tempo egli conduceva nella grotta stessa della roccia una vita solitaria,
com'era sua abitudine, che cioè lei giorni festivi o quando si avvicinava la solennità di
qualunque santo, allontanandosi dalla compagnia degli altri, e ritirandosi in luoghi nascosti,
andava a cercare posti appartati nella parte più lontana dell'eremo, per attendere da solo, con la
mente ben concentrata e senza l'inquietudine delle preoccupazioni, alla preghiera e dedicarsi
con tutta l'attenzione alla pratica della pietà. Il cibo era così scarso che a stento si sarebbe
creduto che potesse vivere, e non c'era assolutamente altro che una piccola quantità di erbe
selvatiche e di piccoli pomi che produceva quell'eremo e che chiamano anche in lingua volgare
'bullutes'. Bevanda era l'acqua; onde colui che, sempre occupato nella cura degli altri, non
poteva compiere agevolmente queste pratiche, almeno per certi periodi di tempo potesse
soddisfare i desideri della sua mente. Era al al suo servizio un giovinetto di nome Domoalo, il
quale, quando si presentavano determinate situazioni nel monastero, era il solo ad avere
l'incombenza di riferirne al padre e di notificare ai monaci quello che dovevano fare. Si trovava
dunque nella predetta cavità dell'alta rupe che da altre parti vietava del tutto l'accesso. Essendo
rimasto colà già per molti giorni, il sopraddetto giovane cominciò a lamentarsi sottovoce di non
avere a portata di mano l'acqua, ma di doverla portare su per una salita del monte, stancandosi
le gambe. A lui Colombano disse : ' Figlio, tasta un poco il dorso della roccia: ricordati che il
Signore dalla roccia trasse acqua per il popolo d'Israele '. E quello, obbedendo al padre,
cominciò a battere la roccia. Il santo uomo, pertanto, gettatosi subito in ginocchio, con le
preghiere supplicò il Signore affinché gli concedesse ciò che gli era necessario. Alle pie
richieste delle sue preghiere venne in soccorso la generosa potenza di Dio. E subito sgorgò
l'acqua e cominciò a zampillare una fonte perenne che zampilla ancor oggi. E giustamente il
misericordioso Signore concede quello che chiedono ai suoi santi, che crocifissero i loro
desideri in ossequio alle disposizioni dei suoi comandi e, forti soltanto della fede, non dubitano
di poter ottenere quello che hanno chiesto alla sua misericordia, perchè egli stesso ha promesso
dicendo : Se avrete fede come un granello di senape, direte a questo monte: 'Spostati' e si
sposterà, e niente vi sarà impossibile, e altrove : Qualunque cosa chiederete con la preghiera,
siate persuasi che la riceverete e verrà a voi.
11.
E siccome già si faceva più numerosa la comunità dei monaci, cominciò a pensare di cercare un
posto migliore nello stesso eremo dove avrebbe costruito il monastero. Trovò un castello, che
una volta era stato sfarzosamente adornato, distante dal sopraddetto luogo circa otto miglia e
che un'antica tradizione chiamava 'Luxovium'. Ivi erano terme di acque calde costruite con
eccellente stile : una gran quantità di statue in pietra riempiva la vicina zona del bosco; i pagani
nei tempi antichi le onoravano con miserabile culto e rito profano e facevan loro sacrifizi con
esecrabili cerimonie. Sole ivi si raccoglievano fiere e bestie, una moltitudine di orsi, bufali e
lupi. Fermatosi colà l'egregio uomo si diede a costruire il monastero: attratta dalla sua fama
accorreva gente da ogni parte; si preoccupava di darsi alla pratica della pietà, così che
l’immensa moltitudine di monaci che si era raccolta durava pan fatica a star nella comunità di
un solo cenobio. Figli di nobili da ogni parte cercavano di accorrere in quel luogo per
conseguire i premi eterni, disprezzando gli onori mondani e la pompa dei beni presenti.
Vedendo il beato Colombano che da ogni parte le folle accorrevano alle medicine della
penitenza; che nel recinto di un solo cenobio non si poteva senza difficoltà far risiedere una
così folta schiera di gente, perché, quantunque fossero una sola mente e un sol cuore, esso
tuttavia non era idoneo alla dimora di tanta moltitudine cercò, a titolo di esperimento, un altro
luogo, illegiadrito dalle acque che lo bagnavano e costruì un altro monastero che chiamò
‘Fontanas’. Egli vi mise, come reggitori, degli abati sul cui spirito di pietà non aveva alcun
dubbio. Avendo costituito dunque in questi luoghi comunità di monaci, egli prendeva parte
alternativamente a tutte e, ripieno di Spirito Santo, creò una regola che dovevano osservare: il
lettore o ascoltatore saggio può constatare quale e quanto grande dottrina in essa il minto uomo
abbia rivelato.
12.
In quel tempo un monaco, di nome Autierno, cominciò a chiedere di peregrinare in Irlanda. A
lui Colombano disse: 'Rechiamoci all'eremo e studiamo la volontà di Dio, se tu debba
affrontare il desiderato viaggio o rimanere nella comunità dei fratelli'. Mentre dunque
procedevano insieme, presero nella loro compagnia un terzo giovane di nome Sonicario, che è
ancora vivente, e giunsero al luogo fissato nell'eremo, contentandosi del nutrimento di un solo
pane. Essendo già passati dodici giorni e non restando neppure una briciola di pane, e
avvicinandosi l'ora della refezione, ricevettero dal padre l'ordine di scendere giù per i dirupi
della roccia, arrivare fino al fondo della valle e portare tutto quello che avrebbero trovato che
potesse servire da cibo. Quelli, giubilanti, giù per l'apertura della valle, giunsero fino alla
Mosella: qui scorgono una rete per pesci intrecciata un giorno dai pastori e messa in direzione
opposta alle onde. Avvicinandosi trovarono cinque grossi pesci e prendendone tre perché erano
vivi, li portarono per presentarli al padre. Ma quegli: 'Perchè — disse — non ne avete portati
cinque?'. Essi risposero di averne trovati due morti e perciò di averli lasciati. Ed egli disse: 'Non
mangerete affatto di questi, se non verranno quelli che avete lasciati '. Quelli, colpiti dalla
prodigiosa conoscenza che gli veniva dalla grazia divina, ritornano di gran corsa sui loro passi e
vengono rimproverati di aver lasciato la manna trovata, e così ricevono l'ordine di preparare i
cibi. In verità, ripieno di Spirito Santo, sapeva che dal Signore gli erano state preparate vivande
in ogni posto.
Un'altra volta, mentre dimorava nella stessa solitudine, e c'era con lui uno soltanto dei monaci,
di nome Gallo, gli comandò di andare alla Brusca a prendere i pesci. Quello partì e pensò bene
di recarsi al fiume Lignone. Colà giunto, gettata la rete nell'alveo, vide che si facevano avanti
una grandissima quantità di pesci, ma non andavano assolutamente nella rete: come se
cozzassero contro una parete, tornavano indietro. Egli pertanto faticò per tutto il giorno e non
riuscì a prendere neppure un pesce. Ritornato, riferisce al padre sulla fatica invano spesa. Egli
rimproverò il disobbediente, chiedendogli perché non si era recato al luogo che gli era stato
indicato. E disse di nuovo : ' Va presto e recati al posto che ti è stato indicato '. Appena giuntovi
gettò la rete contro e onde e la rete si riempì di così grande abbondanza di pesci che a stento per
la quantità si poteva tirare. Il suddetto Gallo spesso ci ha narrato queste cose.
13.
Un'altra volta si tratteneva nella suddetta grotta della roccia, dalla quale aveva cacciato l'orso.
Per lungo tempo ivi iveva mortificato il corpo con la preghiera e il digiuno, quando venne a
conoscere, per rivelazione, che i monaci che si trovavano a Luxeuil erano tormentati da
malattie varie e che ne erano rimasti sani solamente alcuni per curare gli ammalati. Uscito dalla
grotta andò a Luxeuil; pur vedendoli tutti prostrati, comandò che tutti si alzassero per battere il
frumento nell'aia con le verghe. Si alzarono dunque coloro che erano ardenti del fuoco
dell'obbedienza e recandosi sull'aia si accinsero a battere la messe con l'aiuto della fede.
Vedendo il padre che nei figli abbondava la fede e la virtù dell'obbedienza disse : 'Permettete di
sollevare dalla fatica le membra spossate dalla malattia'. I monaci che avevano obbedito si
meravigliarono della guarigione, dato che non rimaneva alcuna traccia di dolore; egli comandò
di apprestare le mense perché tutti si ristorassero con copiosa gioia. Poi furono rimproverati i
disobbedienti, venne ripresa la tiepidezza della loro fede, venne rinfacciata la lunghezza della
malattia. Mirabile vendetta! Infatti per oltre il giro di un anno l'afflizione della malattia scosse
tanto violentemente i disobbedienti che a stento riuscirono a sfuggire alla morte. La misura
della penitenza fu corrispettiva al tempo passato nella disobbedienza.
14.
Intanto era giunto il tempo che le messi dovevano essere riposte nei granai, mentre la forza dei
venti non cessava affatto di ammassare le nubi. Urgeva invero la necessità, affinché le spighe
della messe matura, germogliando, non andassero a finire in paglia. Si trovava l'uomo di Dio
presso il cenobio di Fontaines dove pure la nuova campagna aveva dato un abbondante raccolto
di messi. Irrompevano i soffi dei venti con violente piogge e le nubi del cielo non cessavano
affatto di versare acqua sulla terra. Con il cuore in ansia l'uomo di Dio pensava intensamente
che cosa dovesse fare in questa situazione. La fede gli rese pronta la mente e gli insegnò ad
ottenere quello che era opportuno: egli fece venire a sé tutti e diede ordine di tagliare la messe.
Quelli si meravigliarono dell'ordine del padre, tuttavia nessuno gli rivela il suo pensiero. Tutti
vanno e con la falce, sotto un diluvio di pioggia, tagliano la messe e intanto stanno a vedere che
cosa faccia il padre. Egli dispone quattro uomini pieni di pietà ai quattro angoli della messe:
Cominino, Eunoco ed Equonano irlandesi e il quarto, Gurgano, brettone. Dopo aver così
disposto costoro, egli stesso, in mezzo, insieme con gli altri, si mise a tagliare messe. Mirabile
potenza! La pioggia si allontanava dalla messe e l'acqua si disperdeva un po' da tutte le parti;
l'ardore del sole bruciava soltanto i mietitori che erano nel mezzo e un'aria molto calda soffiò
fino a che ebbero riposto la messe, così la fede e la preghiera meritarono, allontanata l'acqua, di
avere il caldo in mezzo alle piogge.
15.
C'era in quel tempo un capo di nome Waldeleno il quale governava le genti che abitano tra la
cinta delle Alpi e le campagne dei monti del Giura. Questi non aveva figli, affinché, come dice
Giovenco di Zaccaria ed Elisabetta: il dono fosse loro più gradito quando ormai disperavano.
Waldeleno con la sua sposa di nome Flavia, nobile per stirpe e per saggezza, si recò dalla città
di Besançon al beato Colombano e insieme lo supplicarono di pregare per loro il Signore: gli
dissero che erano forniti di molti beni di fortuna, ma non avevano un erede cui lasciare l'eredità
dopo la morte. Ad essi l'uomo santo: ' Se — disse — fate voto di consacrare il dono del
Benefattore al suo nome e di consegnarlo a me per il battesimo, io implorerò Dio per voi,
affinché non solo abbiate quello che votate al Signore, ma, dopo il pegno, ne abbiate quanti
vorrete. Essi promettono con lieto animo di obbedire ai suoi comandi, purché non cessi di
implorare per loro la misericordia del Signore. L'uomo, ricolmo dei doni di Dio, promise e
disse di essere disposto; non cercassero però di violare il patto stipulato. Mirabile a dirsi! Sono
appena tornati a casa e la futura madre, incinta, aspetta il dono del Creatore. Dopo averlo dato
alla luce lo portò all'uomo di Dio, gli mostrò il dono largito in virtù delle sue preghiere,
ringraziò il Creatore che in tal modo largisce, se i suoi servi lo pregano, i doni richiesti. Il santo
lo prese e lo consacrò con le sue mani e lo purificò egli stesso al sacro fonte. Gli mise nome
Donato e lo restituì alla madre da allevare. Dopo che fu educato nello stesso monastero, questi,
imbevuto di sapienza, fu consacrato vescovo di Besançon ed è ancora vivente e regge la stessa
cattedra. Egli in seguito, nello spirito di amore per San Colombano, costruì, secondo la sua
regola, un monastero maschile chiamato Palazzo per la salda difesa delle sue vecchie mura.
Dopo di lui il Largitore delle bontà aggiunse, secondo la promessa del suo servo, un altro figlio
di nome Cramelo il quale, segnalandosi per la nobiltà e la sapienza, dopo la morte del padre gli
succedette nella carica, e benché fosse in abito secolare, tuttavia fu zelante nell'amore verso il
Creatore. Anch'egli infatti, nello spirito d'amore per il beato Colombano, costruì nella foresta
del Giura, sul torrente Novisona, un monastero secondo la sua regola e vi mise a capo, come
abate, Siagrio. Il Creatore aggiunse poi al dono precedente due figlie, nobili nella vita terrena e
timorose di Cristo. Dopo questi doni la loro madre Flavia, morto il marito, edificò un
monastero di vergini nella suddetta città di Besançon corroborandolo con ogni mezzo di
protezione e raccolse una comunità di molte fanciulle. Tanto efficace era su di esse l'influenza
dell'uomo di Dio, che, disprezzando tutti gli onori della vita presente, aspiravano ardentemente
al culto dell'Onnipotente.
16.
Ma se noi cerchiamo di introdurre nella nostra narrazione alcuni fatti che possono sembrare di
poca importanza agli uomini, saremo forse esposti ai latrati dei denigratori; tuttavia la
generosità del Creatore assiste con uguale misericordia nelle piccole cose, come nelle più
grandi; e nelle piccole non indugia a prestar orecchio pietoso, come nelle grandi esaudisce i
voli di coloro che lo pregano. Un giorno dunque quell'uomo straordinario, Colombano, andò
con i suoi frati a mietere in un podere chiamato ' Bagnarizia '. Spirava un venticello dolce e
piacevole e, mentre mietevano, uno di essi di nome Teodegislo, con la falce si tagliò un dito,
che non rimase attaccato se non con un sottile lembo di pelle. L'uomo di Dio, vedendo da
lontano Teodegislo fermo, in piedi, gli ordinò di continuare e di condurre a termine con i
confratelli il lavoro iniziato. Ma quegli dichiarò il motivo per cui si era fermato. Il beato
Colombano corse da lui e immediatamente restituì al dito la precedente integrità, dopo
averglielo bagnato con saliva. Gli comandò quindi di ritornare subito con rinnovate energie al
lavoro che aveva iniziato. Teodegislo, lieto, raddoppiò le forze e si spinse con più ardore
davanti a tutti a tagliare il grano. Lo stesso Teodegislo ci narrò questo episodio e ci mostrò il
dito.
E nel sopraddetto cenobio di Luxeuil un'altra volta fece qualche cosa di simile. Infatti uno dei
parrocchiani, un presbitero chiamato Winioco, padre di Boboleno, che ora è a capo del cenobio
di Bobbio, andò dal beato Colombano; si trovava egli nel bosco con i suoi frati per procurarsi
della legna. Arrivò colà il predetto Winioco e, mentre osservava meravigliato con quanta forza,
con cunei e colpi di mazza, spaccavano un tronco di quercia, un cuneo, schizzato dal tronco, gli
provocò una profonda ferita in mezzo alla fronte; il sangue sgorgava a fiotti dalle vene.
Colombano, vedendo l'osso scoperto, il sangue che scorreva, immediatamente si inginocchiò in
terra pregando e quindi, rialzatosi, risanò la ferita, dopo averla bagnata con saliva; rimase
appena una piccola cicatrice.
Un'altra volta nel cenobio di Luxeuil il beato Colombano, ncntre andava a mangiare, depose
sopra una pietra, che era lavanti alla porta del refettorio, quei tegumenti delle mani che i Galli
chiamano 'wantos', da lui usati durante i lavori. Appena tornata la quiete, un corvo rapace volò
colà, ne prese uno col becco e se lo portò via. Terminata l'ora della refezione l'uomo di Dio uscì
e cercò i guanti. Mentre tutti si chiedevano chi potesse averli presi, l'uomo santo disse che
nessun altro essere, senza permesso, avrebbe osato toccare qualche cosa, se non l'uccello che,
mandato fuori dall'arca do Noè, non era più ritornato. E aggiunse che quello non avrebbe più
potuto nutrire i suoi piccoli, se non avesse riportato immediatamente il mal tolto. Attendono i
frati; il corvo vola in mezzo a tutti, riporta con il becco il guanto rubato e non tenta neppure di
sottrarsi con pennuta fuga, ma, mansueto, alla presenza di tutti, dimentico della sua
selvatichezza, aspetta il castigo; l'uomo santo gli comanda di andarsene. O mirabile virtù
dell'eterno Giudice! Egli concede tante grazie di suoi servi che si segnalano non solo per gli
onori degli uomini, ma anche per l'obbedienza degli uccelli. Infatti abbiamo conosciuto questi
fatti da Agnoaldo, vescovo di Laon, che poi fu suo seguace e ministro. Egli testimoniava di
aver spesso visto che il beato Colombano, mentre passeggiava nell'eremo, libero da impegni, in
digiuno e in orazione, era solito chiamare a sé gli animali selvatici e gli uccelli. Essi venivano
immediatamente ai suoi ordini ed egli li toccava, accarezzandoli con la mano. Così gli animali e
gli uccelli lieti, giocando con grande gioia, saltellavano, come i cagnolini sono soliti far festa ai
padroni. E l'uomo sopraddetto testimoniava anche di aver visto spesso quell'animaletto dagli
uomini comunemente detto 'exquirium’, chiamato dalle cime più alte delle piante andargli in
mano, sul collo, entrargli in seno ed uscirne.
17.
Fu compiuto poi un altro miracolo. Avvicinandosi l'ora della refezione e dovendo il dispensiere
servire la cervogia, — la quale viene prodotta dalla fermentazione del frumento o dell'orzo e
viene usata anche da tutti gli altri popoli della terra, eccettuati gli Scordisci e i Dardani, ma
soprattutto dalle genti che abitano presso l'Oceano, cioè nella Gallia, nella Gran Bretagna,
nell'Irlanda, nella Germania, e dalle altre che hanno costumi simili a queste, — porta al celliere
un recipiente che chiamano ' tiprum '; egli lo mette vicino alla botte nella quale era conservata
la cervogia; toglie la spina di chiusura e la cervogia fluisce nel ' tipro '. Improvvisamente un
Irate, per ordine del padre, lo chiamò. Il celliere, prontissimo all'obbedienza, dimenticando di
chiudere l'apertura dalla quale fluiva il liquido, andò di corsa dal beato Colombano, portando in
mano la spina che chiamano ' ducicum '. Dopo che l'uomo di Dio gli ebbe manifestato ciò che
voleva, il frate, ricordandosi della sua dimenticanza, corse in cantina, pensando che nella botte,
dalla quale usciva la cervogia, non fosse rimasto più niente. Si accorse invece che la cervogia si
era accumulata sopra il ' tipro ' e che non se n'era sparsa neppure una goccia ; si sarebbe potuto
credere che il recipiente si fosse raddoppiato in lunghezza, che cioè fosse cresciuto in altezza
tanto quanta era la misura della circonferenza. Quanto grande era la virtù di colui che
comandava, quanto grande l'obbedienza di colui che eseguiva gli ordini! Così il Signore ha
voluto impedire la tristezza di entrambi, affinché nessuno dei due, né colui che aveva
comandato, né colui che aveva obbedito, dovesse rinunciare ad una lecita bevanda, se,
a causa del loro ardore, fosse diminuita la razione di cervogia dei frati. Il giusto Giudice li
soccorse per lavare le colpe di entrambi, perchè, se per caso, permettendolo il Signore, si fosse
avuto quel danno, l'uno e l'altro avrebbe sostenuto che era avvenuto per colpa propria.
18.
Nel medesimo tempo l'uomo di Dio, mentre passeggiava, amante com'era della solitudine, fra i
boschi folti di viburni, che si trovano presso il podere denominato ' Fredemongiacas ', vide che
un orso voleva divorare un cervo ucciso da lupi feroci; ne leccava il sangue e ne aveva già
mangiato una piccola parte. L'uomo di Dio si avvicinò alla belva, gridandole di non rovinare la
pelle che era necessaria per le calzature. Allora la bestia, deposta la sua ferocia, contro la sua
natura, senza alcun mugolìo, cominciò ad essere mite, quasi carezzevole, abbassò il collo e
abbandonò il cadavere del cervo. L’uomo di Dio, ritornando presso i suoi frati, riferì il fatto e
comandò loro di andare in quel luogo e di scuoiare l'animale. Andarono dunque i frati e
trovarono il cadavere del cervo circondato ad una certa distanza da una gran moltitudine di
uccelli rapaci, che tuttavia non osavano avvicinarglisi per la proibizione dell'uomo di Dio.
Aspettarono a lungo da lontano se, o la fiera o gli uccelli, si lasciassero audacemente tentare dal
desiderio dell'esca proibita e cercassero di prendere la preda; si accorsero che si avvicinavano
un poco, attratti dall'odore del cadavere, ma poi, ancora lontani, come se vi fosse stato qualche
cosa di mortifero, si allontanavano velocemente, trascurando la belva uccisa.
19.
Trovandosi
un'altra
volta
il
beato
Colombano
presso Luxeuil, Winioco, il
presbitero già ricordato, andò da lui e seguiva i suoi passi dovunque egli andasse; giunsero al
granaio, dov'era conservato il frumento. Winioco osservò, e giudicando la provvista troppo
scarsa, disse che non si aveva pane sufficiente per alimentare una così grande moltitudine di
persone e anzi si mise a gridare, perché c'era troppa pigrizia nel cercare il frumento. Il beato
Colombano gli rispose: 'Se i popoli serviranno il loro Creatore, come è prescritto, non soffriranno mai la fame in nessun tempo. Così infatti canta la voce del Salmista: Non ho mai visto
il giusto abbandonato, né il figlio di lui accattare il pane. Riempie di frumento il granaio molto
facilmente Colui che con cinque pani saziò cinquemila persone'. Rimase ivi Winioco per quella
notte, e per le preghiere dell'uomo di Dio il granaio fu riempito. Il mattino Winioco, alzatosi,
passò presso il granaio; lo vide inaspettatamente aperto; il portinaio stava davanti alla porta;
gli chiese chi avesse mandato tutta quella roba e quanti carri avessero portato tutto quel
frumento. Il guardiano del granaio gli rispose: 'Non è così come tu pensi; guarda se vedi orme
di giumenti o tracce di carri sulla strada. Le chiavi sono sempre rimaste presso di
me questa notte, ma, pur essendo la porta chiusa, il granaio è stato riempito di frumento per
grazia di Dio '. Winioco a bella posta cominciò a scrutare attentamente, con minuzioso
esame, la terra per scoprire la verità; ma non avendo assolutamente trovato traccia dei portatori,
disse : ' Può Dio preparare la mensa ai suoi servi nel deserto '.
20.
Trascorso quindi un breve periodo di tempo, il medesimo beato Colombano andò nel cenobio di
Fontaines e trovò sessanta frati che sarchiavano la terra e, sminuzzando le zolle, preparavano il
campo per la semina futura. Avendoli visti frangere le zolle con grande fatica, disse: 'Il Signore
vi mandi la refezione, o fratelli'. Il dispensiere, avendo udito quelle parole, osservò: 'Padre, non
abbiamo altro che due pani e un po' di cervogia '. E quegli : ' Va — disse — portali qui '. Andò
il frate a grandi passi e portò i due pani e quella poca cervogia. Alzando gli occhi al cielo,
Colombano disse : ' O Cristo Gesù, unica speranza del mondo, tu moltiplica questi pani e
questa bevanda, tu che con cinque pani hai saziato cinquemila persone nel deserto '. O fede
sublime ! Tutti mangiarono e bevvero a sazietà; il dispensiere raccolse due sporte di avanzi e
raddoppiò la misura della cervogia; così capì che per ottenere i doni del divino aiuto serve più
la fede che la disperazione, la quale di solito fa perdere anche ciò che si è ottenuto.
21.
Un giorno, mentre l'uomo di Dio si trovava nel medesimo cenobio di Luxeuil, un frate, che si
chiamava egli pure Colombano, colpito da gravi febbri e ridotto in fin di vita, chiedeva a Dio
un felice trapasso. Stava ormai per esalare l'ultimo respiro, fidente nel celeste dono, che aveva
cercato con il suo lungo e fedele servizio, quando vide vicino a sé un uomo circondato da una
luce dorata, che gli si avvicinava e gli diceva: ' Non posso liberarti ora dal corpo, poiché sono
trattenuto dalle preghiere e dalle lacrime del padre tuo Colombano '. Avendo udito queste
parole il frate Colombano, agitato, come se si fosse svegliato dal sonno, cominciò a chiamare
Teodegislo, che lo assisteva e del quale abbiamo parlato in precedenza, e gli disse : ' Affrettati,
cammina, prega il comune padre Colombano di venire da me '. Andò quegli di corsa e trovò il
padre Colombano in chiesa piangente; lo prega di recarsi immediatamente presso l'infermo.
Andò subito e gli domandò cosa desiderasse. Egli, di rimando: ‘Perchè — gli disse — con le
tue preghiere mi trattieni in questa vita piena di affanni? Sono qui presenti coloro che vogliono
liberarmi, se non fossero trattenuti dai tuoi pianti e dalle tue preghiere. Liberami dalle catene di
questa prigione, affinché mi si aprano i regni celesti '. Allora il padre Colombano, impressionato, toccato un segnale, comandò a tutti di avvicinarsi ; amministrò il Corpo di Cristo
come viatico al moribondo e, dopo avergli dato l'ultimo bacio, sciolse i canti funebri. Era infatti
il frate morto della stessa stirpe del beato Colombano e insieme erano venuti dall'Irlanda.
22.
Era ormai cresciuta in ogni luogo, in tutte le province della Gallia e della Germania, la fama
dell'uomo santo. Era lodato dalla bocca di tutti e da tutti era venerato, tanto che il re Teodorico,
che regnava in quel tempo, andava spesso da lui e si raccomandava umilmente alle sue
preghiere. Infatti re Sigiberto era stato fatto uccidere a tradimento presso 'Victoriacum', villa
pubblica, che si trova non lontano da Arras, da suo fratello Ilperico, che a sua volta era
perseguitato a morte da Sigiberto e che in quel tempo si trovava a Tournai. Dopo di lui prese lo
scettro del regno suo figlio Ildeberto, con il consenso della madre Brunilde. Morto anche
Ildeberto negli anni dell'adolescenza, regnarono i due figli di Ildeberto, Teodeberto e
Teodorico, con la nonna Brunilde: Teodorico ebbe il regno dei Burgundi, Teodeberto
quello d'Austrasia.
Teodorico era dunque lieto di avere entro i confini del suo regno il beato Colombano. Andava
spesso da lui, e allora l'uomo di Dio cominciò a rimproverarlo perchè continuava ad avere
relazioni adulterine invece di sposarsi regolarmente, in modo che la sua prole nascesse da una
regina onorata e non sembrasse piuttosto provenire da postriboli. A parole il re stava ormai per
obbedire ai comandi dell'uomo di Dio e rispondeva che si sarebbe liberato da tutte le relazioni
illecite, ma l'antico serpente entrò nell'animo della nonna Brunilde, una seconda Gezabele, e
con l'aculeo della superbia la aizzò contro l'uomo di Dio, perchè vedeva che Teodorico ubbidiva a lui. Si struggeva infatti al pensiero che, se il re avesse allontanato le concubine e avesse
messo a capo della reggia una regina, avrebbe limitato molto la sua autorità e la sua dignità.
23.
Un giorno il beato Colombano andò da Brunilde. La donna si trovava allora presso la villa di
'Brucariacum'. Quando s'accorse che l'uomo di Dio era arrivato alla corte, gli condusse i figli di
Teodorico, che erano nati da relazioni adulterine. Appena li vide, Colombano domandò che
cosa volessero. Brunilde gli disse : ' Sono figli del re ; confortali della tua benedizione '. Ma
egli rispose : ' Sappi che costoro non impugneranno mai lo scettro, perchè sono usciti da postriboli '. Quella, furente, allontanò i piccoli. L'uomo di Dio uscì dal palazzo reale; mentre
varcava la soglia s'udì un gran fragore, che scosse tutta la casa e incusse in tutti un gran timore;
tuttavia non frenò il furore di quella misera donna. Essa cercò in seguito di tramare delle
insidie: mandò dei messi per impedire ai monaci di uscire dal monastero e comandò agli
abitanti vicino al monastero di non concedere ospitalità ad alcun monaco e di non dare
alcun sussidio. Vedendo il beato Colombano che gli era aizzato contro l'animo del re, si
affrettò ad andare da lui, per vincere con i suoi ammonimenti l'avversione di quella misera
donna ostinata; Teodorico si trovava allora presso ' Spissam' villa pubblica. Giunto colà ormai
al tramonto del sole, annunciarono al re che vi era l'uomo di Dio, ma che non voleva entrare nel
palazzo reale. Allora Teodorico disse : 'E' meglio onorare l'uomo di Dio provvedendolo di ciò
che può aver bisogno, piuttosto che provocare l'ira di Dio offendendo i suoi servi '. Comandò
pertanto di preparare tutto ciò che si riteneva opportuno, con apparato regale, e di
mandarlo al servo di Dio. Andarono dunque i servitori e portarono le offerte, secondo il
comando del re. Colombano, quando vide i cibi e le bevande servitegli con apparato regale,
domandò che cosa volessero con ciò. Quelli dissero che cibi e bevande gli erano
inviati dal re. Rifiutò tutto e disse: 'Sta scritto: L'Altissimo non accetta i doni degli iniqui;
perchè non è giusto che la bocca dei servi di Dio si insozzi con i cibi di chi vieta ai servi di Dio
l'ingresso non solo nelle case sue, ma anche in quelle degli altri '. Dette queste parole, tutte le
stoviglie furono infrante, il vino e il sidro rovesciati per terra, tutte le altre cose disseminate qua
e là. I servitori, spaventati, annunciano la cosa al re. Egli, sbigottito, appena spunta il giorno,
con la nonna si reca in l'ietta presso l'uomo di Dio, gli domandano perdono di ciò che hanno
fatto, ma promettono di correggersi in futuro. Rassicurato e soddisfatto per quelle promesse, il
beato Colombano ritornò al monastero.
Ma dopo non molto tempo sono violati tutti gli impegni assunti ; s'accrescono le difficoltà, il
re commette i soliti adulteri. Udito ciò, il beato Colombano gli mandò delle lettere piene di
rimproveri e lo minacciò di scomunica se non si fosse emendato subito. Brunilde nuovamente
irritata per questi fatti, aizzò contro Colombano l'animo del re e si sforzò in ogni modo di farlo
irritare. Pregò i grandi del regno e i leudi di aizzare essi pure l'animo del re contro l'uomo di
Dio; incominciò a sollecitare i vescovi a denigrare, criticando la religione di Colombano, la
regola che egli aveva dato ai suoi monaci perché l'osservassero. Obbedirono i cortigiani alle
pressioni dell'infelice regina, eccitarono contro l'uomo di Dio l'animo del re e lo indussero ad
andare da lui per investigare nulla sua religione. Il re pertanto andò a Luxeuil dall'uomo di Dio.
Si lamentò con lui perché si allontanava dalle usanze della religione e non permetteva a tutti i
cristiani l'ingresso nell'interno del suo monastero. Il beato Colombano, audace e fiero com'era,
rispose al re che gli faceva tali osservazioni, che egli non aveva la consuetudine di aprire le
porte delle abitazioni dei servi di Dio ai secolari e agli uomini estranei agli ordini religiosi;
aggiunse che per questo motivo egli aveva preparato locali appositi e decorosi, ove potevano
essere convenientemente accolti tutti gli ospiti. Il re rispose a queste parole : ' Se desideri
ottenere i doni della nostra liberalità con l'aggiunta del nostro conforto e della nostra
protezione, tutti dovranno avere libero ingresso in ogni luogo '. Rispose a sua volta l'uomo di
Dio: 'Se tu vuoi tentare di violare ciò che l'finora è stato saldamente legato dai vincoli della
regolare disciplina, sappi che non mi sostenterai né con i tuoi doni, nè con alcun sussidio. E se
sei venuto in questo luogo per questo motivo, per distruggere cioè i cenobi dei servi di Dio e
per macchiare la regolare disciplina, sappi che presto il tuo regno sarà distrutto dalle
fondamenta e sarà sepolto con tutta la stirpe regale '. Gli avvenimenti successivi dimostrarono
vera la profezia. Il re con temerario ardimento aveva già messo piede nel refettorio, ma
spaventato da queste parole, in fretta si ritirò. Dopo ciò l'uomo di Dio assalì il re con violenti
rimproveri. Teodorico, di rimando : ' Speri che io ti offra la corona del martirio; non sono tanto
pazzo da commettere un simile delitto '. Aggiunse però che avrebbe preso una decisione più
semplice ed efficace, in modo che colui che si era allontanato dai costumi di tutti i secolari, si
decidesse a ritornare, per la medesima strada, colà d'onde era venuto. Ad una voce tutti i
cortigiani dichiararono che essi non volevano avere in quei luoghi uno che non familiarizzasse
con tutti. A quelle parole il beato Colombano rispose che egli non sarebbe uscito dal recinto del
cenobio, se non trascinato fuori con la forza.
Partì dunque il re, lasciando un nobile di nome Baudulfo. Costui, essendo rimasto in quel
luogo, espulse l'uomo di Dio dal monastero e lo condusse in esilio presso la città di Besancon,
fintanto che il re avesse deciso, con sua sentenza, ciò che voleva. Dimorando colà apprese che
il carcere di quel luogo era pieno di condannati a morte in attesa dell'esecuzione. L'uomo di Dio
si recò immediatamente nella prigione e, varcata la porta senza che nessuno l'ostacolasse,
predicò ai condannati la parola di Dio e quelli promisero che, se fossero stati liberati, si
sarebbero corretti e avrebbero fatto penitenza dei reati commessi. Dopo di che il beato
Colombano comandò al suo ministro Domoalo, che abbiamo già ricordato, di prendere in mano
le catene e il ferro con il quale erano uniti i ceppi e di tirare. Quegli lo prese, tirò e, come un
frutto marcio, il ferro si spezzò. Comandò quindi ai condannati di uscire dal carcere, liberati dai
ceppi, e compiendo l'ufficio dell'insegnamento evangelico, lavò i piedi e li asciugò con un
asciugatoio. Comandò loro infine di andare in chiesa e di lavare le loro colpe con le lacrime e
con il pentimento dei delitti commessi. Quelli si affrettarono e trovarono chiuse le porte della
chiesa. Il tribuno dei soldati, avendo visto il prodigio di Dio e i ceppi dei condannati infranti per
intercessione del beato Colombano, ed essendosi accorto che gli era rimaste solamente vuoto il
carcere, cominciò a seguire con i suoi sol dati, come se si fosse svegliato improvvisamente dal
sonno le orme degli evasi. Essi, vedendo avvicinarsi alle loro spalle le guardie e accorgendosi
che le porte della chiesa erane chiuse, bloccati in uno spazio ristrettissimo, invocarono
ansiosamente l'uomo di Dio perché li liberasse. Egli alzò la teste e pregò il Signore che non
permettesse che fossero nuova mente incatenati coloro che con la sua virtù aveva liberate dai
ferri. Senza indugio la bontà del Creatore aprì le porte chiuse con solidi catenacci, e permise
l'ingresso ai poveretti che si trovavano in una situazione così difficile. Essi di corse entrarono in
chiesa; le porte, dopo il loro ingresso, si richiusero sotto gli occhi dei soldati, senza l'intervento
di mane umana, come se il portinaio le avesse improvvisamente aperte e subito richiuse con il
catenaccio. Giunsero dunque il beate Colombano con alcuni suoi frati e il tribuno con i suoi
soldati trovarono le porte chiuse; chiamarono il custode, di nome Aspasio, perché portasse le
chiavi. Quando questi arrivò e cercò di aprire le porte con la chiave, disse che egli non avevi
mai trovato chiuso più diligentemente. In seguito il tribune non osò più molestare in alcun
modo i condannati che erano stati salvati per virtù divina.
24.
Dopo di ciò l'uomo di Dio, vedendo che non era sorvegliato da alcuna guardia e che non era
molestato da alcuno — tutti vedevano infatti ardere in lui la virtù di Dio e per tanto tutti si
astenevano dal fargli ingiuria, per non essere corresponsabili di colpe, — una domenica salì
sulla vetta d un monte assai scosceso. Tale infatti è la zona in cui si trova la città che, mentre il
nucleo principale delle case si estende sullo spazioso fianco del monte, in declivio, le parti più
in pendenza si ergono verso alte vette, che, tagliate da ogni parte, circondate dall'alveo del
fiume Doubs, permettono nondimeno il passaggio ai viandanti. Ivi attese fino a mezzogiorno se
qualcuno gli impedisse di ritornare al monastero. E poiché non trovò alcuna opposizione, con i
suoi, passando in mezzo alla città, tornò al monastero. Brunilde e Teodorico, appresa la notizia,
che cioè era ritornato dall'esilio, si adirarono più che mai. Comandarono ad una coorte di
soldati di trarre fuori nuovamente con la forza l'uomo di Dio e di ricondurlo al precedente
esilio. Giunti pertanto i soldati con un tribuno, perlustrarono i recinti del monastero, cercando
l'uomo di Dio. Egli era seduto nell'atrio della chiesa e leggeva un libro. Pur essendo andati in
quel luogo più volte e pur essendogli passati talmente vicino che qualcuno di essi inciampava
nei suoi piedi e toccava con i suoi gli abiti di lui, come fossero accecati, non riuscivano a
vederlo. Era uno spettacolo divertentissimo : egli, esultante vedeva quelli che lo cercavano e
non era assolutamente visto da loro; essi non vedevano colui che era in mezzo a loro, mentre
erano visti da lui. Venne anche il tribuno e, osservando da una finestra, vide l'uomo di Dio
sedere lieto in mezzo ai soldati e leggere. E ammirando la virtù di Dio, disse : ' Perchè
perlustrate tanto attentamente l'atrio della chiesa e non trovate colui che cercate? Il vostro cuore
non sia ulteriormente ingannato dall'errore della follìa; non potrete infatti I covare chi è protetto
dalla virtù di Dio. Abbandonate questo tentativo e affrettiamoci ad annunciare al re che non lo
avete trovato. Si potè capire chiaramente che il tribuno non era venuto di sua volontà a far
ingiuria all'uomo di Dio e pertanto aveva potuto avere lume per vederlo.
Il tribuno e i suoi soldati annunciarono l'accaduto al re e alla regina; quelli, infuriatisi
ulteriormente nella loro misera osi inazione, inviarono il conte Bertecario e insieme anche
Baudulfo, che lo aveva espulso la prima volta, con un drappello di uomini, per ricercare più
attentamente il beato Colombano. Giunti sul posto lo trovarono in chiesa, assorto nella
preghiera e salmodiante con tutta la congregazione dei suoi frati e così gli parlarono : ' Uomo di
Dio, te ne preghiamo, obbedisci agli ordini del re e ai nostri; esci di qui e vattene per quella
strada che hai percorso dapprima per venire in queste contrade '. Ma egli, di rimando : ' Non
credo di piacere al Creatore ritornando nuovamente al mio suolo natale che un giorno ho
abbandonato per timore di Cristo '. Bertecario, vedendo che l'uomo di Dio non gli avrebbe in
alcun modo obbedito, lasciati sul posto alcuni uomini, che avevano maggior fierezza d'animo,
ripartì. Quelli che erano rimasti pregarono l'uomo di Dio che avesse misericordia di loro, che
erano stati lasciati per compiere un'opera tanto spiacevole e che li aiutasse nel loro pericolo;
perchè se non lo avessero cacciato con la forza, sarebbero andati incontro al pericolo di morte.
Ma egli rispose che più volte aveva affermato solennemente che non sarebbe partito, se non
fosse stato scacciato con la forza. Quelli, in mezzo a due pericoli, pressati da ogni parte dalla
paura, toccarono il manto con cui era coperto; altri caduti in ginocchio, con le lacrime agli
occhi, lo pregarono di perdonarli per la colpa di un così grave reato, poiché non agivano di loro
spontanea volontà, ma per obbedienza agli ordini del re.
Vedendo pertanto l'uomo di Dio che altri sarebbero incorsi in grave pericolo, se avesse voluto
perseverare nella sua ostinazione, uscì fra i lamenti e il dolore di tutti. Furono scelti gli
accompagnatori che non lo avrebbero abbandonato, finché non fosse uscito dai confini del
regno. Fra questi vi era Ragomondo che lo condusse fino a Nantes; lo seguivano tutti i Irati,
come se si trattasse di un funerale; infatti la tristezza aveva invaso il cuore di tutti. Il padre,
preoccupato per la dispersione di tante membra, alzò gli occhi al cielo e disse: ' Eterno Creatore
di tutte le cose, preparaci tu un luogo adatto, dove i tuoi servi possano servirti per tutti i secoli '.
Consolò quindi tutto quanta la sua coorte, affinchè non perdessero la speranza, ma
innalzassero grandi lodi all'Onnipotente Dio; disse che egli credeva che quegli avvenimenti
non avrebbero provocato la dispersione sua e dei suoi, ma avrebbero offerto a possibilità di
moltiplicare le schiere dei monaci. Chiunque infatti volesse seguirlo, andasse pure, con l'animo
preparato sopportare con lui ogni ingiuria ; coloro invece che volessero rimanere nel
sopraddetto cenobio, rimanessero tranquilli in quel luogo; presto il Signore avrebbe concesso
soddisfazione alla loro infelicità. Ma poiché i monaci non volevano separarsi volontariamente
dalla custodia del pastore, le guardie
del regno li avvisarono che non avrebbero
permesso che lo seguissero da quel luogo se non quelli che erano nati nella stessa terra di
Colombano, oppure quelli che lo avevano seguito dalla Bretagna; gli altri, nati in Gallia, per
ordine del re, sarebbero dovuti rimanere in quella terra. Vedendo il padre egregio che suoi figli
erano separati da lui con la violenza, si raddoppiò I dolore suo e dei suoi monaci ;
afflitto dal peso di così grave sopruso, pregò il Signore, consolatore di tutti, di prendere
direttamente sotto la sua protezione coloro che erano stati separati da lui dalla ostinazione e
dalla prepotenza del re. Fra questi l'uomo venerabile, che poi rimase abate del medesimo
monastero, Eustasio, ministro e discepolo dell'uomo santo, venne strappato con la violenza
da lui ; era attentamente vigilato da Miezio, suo zio, che era vescovo della chiesa lingonica.
Partì pertanto quell'uomo santo, con alcuni suoi monaci, vent'anni dopo la fondazione di
quell'eremo; attraverso il territorio di Besancon e di Autun giunse ad Avallon. Prima però che
giungesse ad Avallon, lungo la strada gli andò incontro il palafreniere del re Teodorico e volle
trafiggerlo con la lancia, ma all'improvviso, una degna punizione prevenne quell'anima
malevola. Infatti, irrigiditaglisi la destra che egli aveva alzata contro l’uomo di Dio, la lancia gli
cadde a terra davanti ai suoi piedi ; egli stesso invaso dal demone, si abbattè davanti ai passi del
beato Colombano. Il quale, tenendo quel disgraziato colpito dalla sanzione divina in sua
presenza, lo fece rimanere presso di sé il giorno e la notte. Il mattino seguente lo chiamò, lo
curò col favore di Dio di quel male, quindi il palafreniere potè ritornare alle proprie
occupazioni. Dirigendosi poi verso il fiume Cure il beato Colombano giunse alla casa di una
donna nobile e religiosa, Teodomanda. Mentre si trovava in quella casa, gli si avvicinarono
dodici uomini indemoniati ; erano furiosi e si rotolavano per terra ; l'uomo di Dio subito li curò
con le sue orazioni. Nel medesimo giorno arrivarono al villaggio che chiamano 'Cora’; qui gli si
avvicinarono cinque persone colpite da ossessione diabolica; furono subito sanate. Di lì si
diresse ad Auxerre; quivi chiamò Ragomondo che lo guidava lungo il cammino che percorreva
: ' Ricordati — gli disse — o Ragomondo, che entro tre anni avrete come signore quel Lotario
che ora disprezzate '. E quegli : ' Perchè, o mio signore, mi dici queste cose? '. E il beato
Colombano : ' Vedrai senz'altro quello che ho detto se sarai ancora in vita'.
25.
Partito quindi da Auxerre vide un giovane, invaso dal demonio, corrergli incontro velocemente;
aveva percorso venti miglia a corsa sfrenata. Vistolo, il beato Colombano si fermò fintanto che
il giovane indemoniato gli giunse vicino; appena arrivato l'infelice cadde davanti all'uomo di
Dio, lacerandosi. L'uomo di Dio lo curò con le sue orazioni e lo restituì risanato al padre.
Quindi arrivò alla città di Nevèrs, per essere accolto su un'imbarcazione sulla Loira e restituito
al lido britannico; lo precedevano e lo seguivano le guardie. Arrivati colà, mentre lentamente e
con difficoltà salivano sull'imbarcazione, una delle guardie, preso un remo, colpì un monaco
che era chiamato Lua, uomo santissimo e religiosissimo. L'uomo di Dio, vedendo che erano
colpite le sue stesse membra in sua presenza, disse: ' Perchè, o crudele, aggiungi dolore al
dolore? Non è forse sufficiente per la vostra rovina commettere il male di un delitto? Perchè
colpisci le membra doloranti di Cristo? Perchè vuoi apparire crudele contro un mite? Perchè
eserciti la crudeltà contro i mansueti? Ricordati che sarai colpito dalla divina sanzione in questo
stesso luogo, nel quale furente hai percosso una delle membra di Cristo '. La punizione che
presto seguì dimostrò che il castigo gli era stato predetto con assoluta esattezza. Infatti,
ritornando un'altra volta, quella guardia ebbe occasione di passare nel medesimo porto; colpita
per volere divino, affogò nel medesimo luogo in cui aveva percosso il monaco. Quale altro
motivo poteva esserci, perchè il giusto Giudice rimandasse la punizione ad un tempo
successivo, se non perchè gli occhi santi non fossero allora macchiati dalla vista della sua
vendetta?
Successivamente giunsero alla città di Orléans. Ivi, vedendo che, per ordine del re, non gli
erano aperte le chiese, con grande tristezza, dovette attendarsi per un po' di tempo sulla riva
della Loira. Poiché mancavano delle cose necessarie per il loro sostentamento, mandò in città
due monaci per cercare almeno il vitto indispensabile; uno di essi era Potentino, il quale è
ancora vivente e adunò nella regione Armo-ricana, nel suburbio della città di Coutances una
comunità di monaci. Benché avessero percorso in lungo e in largo la città non trovarono niente,
poiché il cuore di tutti era chiuso per Umore del re; stavano ripercorrendo la strada per la quale
erano entrati in città, ma in una piazza incontrarono una donna forestiera, della stirpe dei Siri; la
quale, avendoli visti, domandò loro chi fossero. Essi, esposta la verità della loro situazione,
aggiunsero che avevano cercato i cibi indispensabili, ma che non avevano trovato
assolutamente nulla. Quella soggiunse : ' Venite, o miei signori, alla casa della vostra ancella e
prendete ciò che vi è necessario. Poiché anch'io sono forestiera, della lontana terra d'oriente '.
Essi esultando, seguirono i passi della donna. Giunsero alla sua casa, dove sedettero su degli
scanni, finché essa portò ciò che dovevano prendere. Vi era in mezzo a loro anche il
marito della donna, cieco da lungo tempo; essi chiesero chi fosse. Essa rispose: 'E' mio marito,
anch'egli, come me, di stirpe sira, che io conduco meco, poiché già da molti anni è privo
della vista '. I due replicarono che, se fosse stato presentato al servo di Cristo Colombano, forse
avrebbe potuto ricuperare la vista, mercè l'aiuto delle sue preghiere. Ma il cieco con la sua fede
rinfrancò la speranza del dono promesso e, alzatosi, seguì i loro passi con una guida. Potentino
disse dell'ospitalità di quelle persone verso i forestieri e non aveva ancor finito del tutto di
parlare che arrivò il cieco e pregò l'uomo di Dio di restituirgli la vista con le sue preghiere.
Vedendo il beato Colombano la fede dell'uomo, esortò tutti a pregare per il cieco; egli rimase a
lungo prono sopra la terra, poi, alzatosi, toccò con la mano gli occhi dell'uomo e, dopo il segno
della croce, gli restituì la vista tanto desiderata. Felice quegli per aver avuto la vista, ritornò a
casa. Giustamente coloro che non avevano mancato di aver luce interiore verso i forestieri, non
dovevano essere privi della luce esteriore. Così, in seguito, una turba di ossessi, invasati con
furia orribile dai demoni, andarono dall'uomo di Dio per essere curati; venne loro data la salute
largita dal Signore ; furono tutti curati dall'uomo di Dio in quel luogo. Il popolo della città,
stupefatto per quei miracoli, sosteneva con i suoi doni, di nascosto, l'uomo di Dio ; non osavano
però offrire apertamente alcuna cosa, essendo presenti le guardie, per non incorrere nell'ira del
re. Quindi i monaci continuarono il viaggio intrapreso.
26.
Navigando sulla Loira arrivarono alla città di Tours, dove il sant'uomo pregò le guardie di
avvicinare l'imbarcazione al porto e di permettergli di andare al sepolcro del beato Martino
confessore. Le guardie negarono il permesso, anzi fecero accelerare la navigazione,
stimolarono i rematori perchè cercassero di oltrepassare il porto il più velocemente possibile,
comandarono al pilota di tenere l'imbarcazione in mezzo all'alveo del fiume. Il beato
Colombano, vedendo ciò, triste, alzò il volto verso il cielo, lamentandosi di dover sopportare
tanto dolore da non aver neppure il permesso di vedere i sepolcri dei santi. Mentre dunque
tutti si affrettavano, tosto si arrivò di fronte al porto e, come se si fossero gettate le ancore,
l'imbarcazione cominciò a fermarsi e a dirigere la prua verso il porto. Poiché le guardie non
erano capaci di opporsi, contro la loro volontà lasciarono andare la nave dove voleva. In modo
straordinario, dal mezzo della corrente del fiume, come se volasse con le ali, l'imbarcazione
giunse al porto ed, entratavi, aprì all'uomo di Dio la via dell'uscita. Egli ringraziò il Re eterno
che non disdegnava di compiacere così ai suoi servi. Uscito, il beato Colombano andò al
sepolcro del beato Martino ; là vegliò tutta la notte in orazione. All'alba del giorno successivo
fu invitato da Leupario, vescovo di quella città ; non ricusò di andare da lui, soprattutto per
concedere un po' di riposo ai suoi monaci, e si fermò quel giorno con il sopraddetto vescovo. Il
beato Colombano, sedendo a mensa con lui durante l'ora della refezione ed interrogato perchè
ritornasse in patria, rispose: 'Quel cane di Teodorico mi ha separato dai miei monaci '. Allora
uno dei commensali, di nome Rodoaldo, che aveva sposato una zia del re Teodeberto, ina era
tuttavia fedele a Teodorico, rispose umilmente all'uomo di Dio che era meglio che bevesse
latte, piuttosto che assenzio. L'uomo di Dio gli disse: 'Capisco che vuoi mantenerti fedele al re
Teodorico '. Quegli ammise che fintanto che avesse potuto avrebbe osservato la fede promessa.
Il beato Colombano continuò : ' Se tu sei unito al re Teodorico da un patto di fedeltà, sarai
felice di essere mandato da me come ambasciatore al tuo amico e signore. Riferisci dunque
queste parole alle sue orecchie: che egli stesso e i suoi figli entro tre anni saranno scomparsi e
che Dio sradicherà del tutto la sua stirpe '. L'uomo sopraddetto disse : ' Perchè, o servo di Dio,
mi dici queste cose?'. Ed egli 'Non posso tacere ciò che Dio mi rivela perchè lo dica '. I popoli
della Gallia tutti quanti seppero poi che ciò si era avverato e confermò in tal modo la profezia
fatta precedentemente a Ragomondo.
Terminato il pranzo l'uomo di Dio tornò alla nave e trovò i suoi afflitti da molta tristezza;
domandò il motivo e venne a sapere che nella notte precedente avevano perduto, a causa di un
furto, tutto ciò che avevano sull'imbarcazione e che era stato rubato anche l'oro che non aveva
ancora distribuito ai poveri. Udito ciò il beato Colombano ritornò al sepolcro del beato Martino
confessore e si lamentò dicendo che egli non aveva vegliato presso le sue spoglie perchè il
santo permettesse che fosse fatto tale danno a lui e ai suoi frati. Immediatamente colui che
aveva rubato il borsellino con l'oro cominciò a gridare fra atroci dolori del corpo e disse di aver
nascosto l'oro in questo luogo e in quello. Vedendo ciò i suoi complici tutti quanti corsero e
restituirono tutta la refurtiva; pregarono l'uomo di Dio di perdonarli di una colpa tanto grave.
Quel miracolo incusse in tutti tanta paura che in seguito coloro che avevano udito quei fatti non
osarono più assolutamente toccare le cose che appartenevano all'uomo di Dio, come se fossero
tutte sacre. Dopo aver concesso gli aiuti necessari, Leupario salutò l'uomo di Dio.
Arrivò felicemente sull'imbarcazione fino alla città di Nantes; ivi si fermò un po' di tempo. Un
giorno in essa un mendico, davanti alla porta della cella nella quale stava chiuso l'uomo di Dio,
chiedeva ad alta voce l'elemosina; egli chiamò il dispensiere e gli disse: 'Da' un po' di cibo a
quel mendicante'. Il dispensiere disse di non aver pane, ma solamente un po' di farina. Il beato
Colombano gli chiese: 'Quanto hai? '. Il dispensiere rispose che non aveva più di un moggio di
farina. L'uomo di Dio replicò : ' Dà dunque tutto e non tenere niente per domani '. Obbedì il
dispensiere e diede immediatamente tutto al povero, senza trattenere nulla per le comuni
necessità. Digiunavano i frati già da tre giorni e non avevano nulla per sostenere le membra
sfinite dal digiuno se non la grazia della speranza e della fede; improvvisamente sentono
bussare con insistenza alla porta. Il portinaio chiede per quale necessità si disturbino i frati
bussando tanto forte. Colui che bussava alla porta disse di essere mandato dalla sua padrona di
nome Procula, la quale, per ispirazione divina, inviava viveri per l'uomo di Dio e per i suoi
compagni che sostavano presso la città di Nantes. I viveri erano ormai vicino; aggiunse che egli
era venuto avanti, affinchè preparassero i recipienti necessari; vi erano cento moggi di vino,
duecento di frumento, e cento di orzo per fare la cervogia. Il portinaio va di corsa a riferire la
cosa al padre. Egli: 'Lascia — disse — lo so; aduna la schiera dei frati, perchè tutti uniti
preghino il Signore per la benefattrice e nello stesso tempo ringrazino il Creatore, che non
manca di venire in aiuto ai suoi servi in tutte le necessità e quindi ricevano il dono offerto '. O
mirabile bontà del Creatore! Permette che ci troviamo in stato di necessità per offrire in
abbondanza i suoi doni ai bisognosi; permette che siamo tentati, per infiammare con maggiore
ardore i cuori dei suoi servi verso di lui, venendoci in aiuto nella tentazione; concede ai crudeli
di lacerare le sue membra, affinchè, intorno, la moltiplicazione dei risanati confermi il medico.
Nel medesimo tempo un'altra donna nobile e religiosa, di nome Doda, mandò duecento moggi
di frumento e cento di altri generi. Questa cosa suscitò un profondo sentimento di disdetta nel
vescovo di quella città, di nome Sofronio, dal quale non poterono aver nulla, neppur in
cambio, poiché egli non aveva ottenuto alcun dono. Mentre il beato Colombano sostava in
quella città, andò da lui una donna con una sua figlia, invasate entrambe dal demonio. L'uomo
di Dio, dopo averle viste, pregò per loro il comune Signore, le risanò e le rimandò alle loro
case.
27.
Dopo questi fatti, Sofronio, vescovo della città di Nantes, con il conte Teodoaldo, secondo
l'ordine del re, si adoperavano per rimandare al più presto il beato Colombano in
Irlanda con una nave. Ma l'uomo di Dio disse : ' Se è pronta la nave che mi deve portare in
Irlanda, accolga tutta la suppellettile e i miei compagni; io, nel frattempo, su una barca
percorrerò il corso della Loira fino al mare aperto '. Trovata quindi una nave che aveva portato
merci degli Scotti, imbarcò tutte le suppellettili e i compagni. Mentre la nave si dirigeva ormai
verso l'alto mare, spinta dai remi e col vento in favore, sopravvennero ondate impetuose, che la
costrinsero a ritornare verso il lido e la spinsero a terra sulla costa piatta; cessarono allora i
venti e il mare si placò nelle insenature. La chiglia rimase per tre giorni fuori delle acque.
Allora il padrone della nave capì che era trattenuto per avere imbarcato le suppellettili e i
compagni dell'uomo di Dio. Si decise infine a scaricare dalla stiva della nave tutto ciò che
apparteneva all'uomo di Dio. Immediatamente sopraggiunsero le onde che trascinarono la nave
in alto mare. Con meraviglia, tutti capirono che era volere di Dio che non si ritornasse più
indietro. Pertanto l'uomo di Dio ritornò alla casa dove era stato prima, senza che ormai più
nessuno gli impedisse di andare dove voleva ; ma piuttosto ciascuno, secondo le sue possibilità,
l'onorava e lo soccorreva offrendogli le cose più necessarie. E non mancò la difesa, mentre per
tutti c'era l'aiuto del Creatore; poiché non dormirà certamente Colui che copre Israele con
l'ombra delle sue ali. Così appunto dimostra chiaramente, largendo tutto a tutti,
per essere da tutti glorificato per i suoi doni.
28.
Dopo essersi fermato un poco in quella città, andò dal figlio del re Ilperico, Lotario, che
regnava sui Franchi di Neu-stria, i quali abitavano l'estrema regione della Gallia, verso
l'Oceano. Invero Lotario aveva appreso quali e quante ingiurie l'uomo di Dio aveva dovuto
subire da Brunilde e da Teodorico. Appena lo vide, lo accolse come un dono celeste ed
esultante lo pregò di fermarsi, se avesse voluto, entro i confini del suo regno; egli lo avrebbe
servito, assecondando ogni suo desiderio. Ma il beato Colombano disse che non si sarebbe
fermato per nessun motivo in quei luoghi, sia perchè voleva estendere la sua peregrinazione, sia
per non creare per il re alcuna occasione di inimicizie. Pertanto Lotario lo tenne presso di
sé quanti più giorni potè e, ripreso da lui per alcuni errori, dai quali difficilmente la reggia va
immune, Lotario promise che si sarebbe emendato, secondo il comando dell'uomo di Dio. Era
infatti Lotario solerte nell'amore per la sapienza. Quindi ringraziava e ricompensava del dono
che gli era stato fatto e che aveva desiderato.
Mentre il beato Colombano si trovava presso Lotario, scoppiò una controversia fra Teodeberto
e Teodorico. Erano in contrasto per i confini del regno ed entrambi mandarono ambasciatori a
Lotario, chiedendo ognuno aiuto contro l'avversario. Lotario confidò la cosa all'uomo di Dio,
chiedendogli se, a parer suo, avrebbe dovuto sostenere l'uno dei due, combattendo contro
l'altro. Il beato Colombano, ripieno di spirito profetico, gli rispose : ' Tu non ascolterai nessuna
delle due richieste; sappi che entro un triennio verranno in tuo potere i regni di entrambi '.
Quando Lotario sentì dirsi tali cose con spirito profetico, non volle dare ascolto a nessuno dei
due, ma aspettò fiducioso il tempo promessogli; in seguito ebbe il trionfo della vittoria.
29.
In seguito l'uomo di Dio pregò Lotario di concedergli aiuto per poter giungere, se
fosse stato possibile, attraverso il regno di Teodeberto, in Italia, valicando le Alpi. Gli furono
dati degli accompagnatori che dovevano condurlo fino al re Teodeberto;
messosi in
viaggio arrivò alla città di Parigi. Quivi gli venne incontro sulla porta un uomo invaso
dallo spirito immondo, il quale smaniava, si dilacerava, urlava. Con voce querula si rivolse
all'uomo di Dio : ' Perchè sei venuto, uomo di Dio, in questi luoghi? '. Era ormai rauco,
ansante, perchè già da un pezzo, da lontano gridava che si avvicinava l'uomo di Dio
Colombano. Vistolo, l'uomo di Dio disse : ' Esci, pestifero, esci e non presumere di occupare a
lungo i corpi purificati dal lavacro di Cristo ; cedi alla virtù di Dio e trema quando senti
invocare il nome di Cristo '. Ma poiché quello resisteva ostinatamente e crudelmente con tutte
le sue forze, il beato Colombano gli mise una mano in bocca e gli prese la lingua; comandò in
nome di Dio allo spirito immondo di uscire. Allora, dibattendosi con forza orribile, tanto
che il disgraziato poteva a mala pena essere trattenuto con legami, uscì, accompagnato da
movimento viscerale e da vomito e diffuse tanto fetore sugli astanti, che essi credevano di
poter più facilmente sopportare gli odori sulfurei.
30.
L'uomo di Dio si diresse quindi verso la città di Meaux. Quivi si trovava allora un certo
Agnerico, uomo nobile, commensale di Teodeberto, dotto, consigliere molto stimato del re e
dotato della nobiltà della sapienza. Egli accolse l'uomo di Dio con grande letizia e gli disse che
si sarebbe interessato perchè fosse ricevuto dal re; aggiunse che non sarebbero stati necessari
altri intercessori fra i cortigiani. Agnerico, a differenza degli altri, voleva tenere presso di sé il
più a lungo possibile l’uomo di Dio, per nobilitare la sua casa con la di lui dottrina; per questo
l'aiutava. L'uomo di Dio benedisse pertanto la casa del suo ospite e, benedicendo la sua figlia di
nome Burgundofara, che era negli anni dell'infanzia, la consacrò a Dio e di ciò parleremo più
avanti, nel secondo libro. Partito di lì giunse ad una città chiamata 'Vunciacum’, che è situata
sul fiume Marna. Ivi fu accolto da un uomo di nome Autario, la cui moglie era
chiamata Aiga. I coniugi avevano due figli in età infantile, che la madre presentò all'uomo
di Dio perchè li benedicesse. Egli, vedendo la fede della Madre, diede ai fanciulli la sua
benedizione. Quando poi quelli divennero adulti furono molto benvoluti prima dal re Lotario,
poi da Dagoberto; ma divenuti potenti e conseguita la gloria terrena, cominciarono a
preoccuparsi di non perdere la gloria terna, per amore di quella terrena. Il maggiore di essi, di
nome Adone, rinunciò ai suoi piaceri e quindi fondò il mona-tero di Jouarre, in cui si seguiva la
regola del beato Colombano. Il più giovane, di nome Dadone, fondò a sua volta un altro
monastero, in cui si seguiva pure la regola del beato Colombano, nella zona della Brie, sopra il
torrente Ravoireau. l'uomo di Dio fu tanto aiutato dalla grazia che tutti coloro che benedisse
arrivarono all'ultimo giorno perseverando nel buon culto. E ciò sia detto proprio a buon diritto,
poiché coloro che egli di proposito ammonì, si rallegrarono in seguito i aver ottenuto
veramente l'impunità e, giustamente, con aiuto di un così grande uomo, ebbe un
supplemento della grazia largitaci colui che, abbracciando le sue dottrine, non olle poi deviare
dalla retta via.
31.
Quindi giunse presso Teodeberto. Il re, appena lo vide, esultante, lo accolse nel suo palazzo.
Infatti già molti dei frati, dopo la partenza del beato Colombano, erano fuggiti da Luxeuil e
Teodeberto li accoglieva come una preda sfuggita ai nemici. Teodeberto promise che avrebbe
trovato per i servi di Dio, entro i confini del suo regno, delle località belle e adatte a soddisfare
ogni loro esigenza, e aggiunse che c'erano da ogni parte popoli confinanti ai quali l'uomo di Dio
poteva predicare. Questi rispose : ' Se mi offrirai il sostegno della tua promessa e la falsità non
si opporrà alla promessa stessa, io mi fermerò un po' e cercherò di diffondere, se mi sarà
possibile, la fede nei cuori delle genti vicine '. Quindi il re gli diede la facoltà di scegliere per il
suo soggiorno il luogo che più piacesse a lui e ai suoi monaci, in qualunque parte volesse. Fu
trovato il luogo che tutti ritenevano adatto, entro i confini della Germania, tuttavia vicino al
Reno, una città un tempo in rovina, che chiamano ' Bricantia’. Ma non si può passare sotto
silenzio ciò che è stato fatto dall'uomo di Dio, mentre navigava lungo il corso del Reno.
Mentre un giorno navigavano, come abbiamo detto, lungo il corso del Reno, su di
un'imbarcazione, giunsero ad una città che gli antichi chiamarono ' Maguntiacum’. Quivi
giunti, i rematori che erano stati mandati per accompagnare l'uomo di Dio, gli dissero che essi
avevano in città degli amici che avrebbero fornito loro le cose necessarie, poiché durante il
lungo viaggio erano venuti a mancare i denari per comperare i generi indispensabili. L'uomo di
Dio disse loro : ' Andate '. Quelli andarono, ma non trovarono nulla. Ritornati ed interrogati
dall'uomo di Dio, risposero che dagli amici non avevano potuto ottenere nulla in alcun modo.
Dopo queste parole, diss’egli : ' Permettete che vada un po' io da un mio amico '. Si
meravigliarono quelli come mai potesse avere un amico in luogo dove non era mai stato. Egli,
appena partito, si diresse alla chiesa; entratovi, inginocchiato sul pavimento, con una lunga
preghiera, invocò il suo Signore, padre di misericordia. Immediatamente il vescovo di quella
città, uscito a sua casa, andò in chiesa e, trovato il beato Colombano, domandò chi fosse. Egli
disse di essere un forestiero. Il vescovo, di rimando : ' Se hai bisogno di prendere le cose
necessarie per il sostentamento, va' a casa mia e prendi tutto ciò ti occorre '. Il beato
Colombano ringraziò nello stesso tempo il Creatore che aveva ispirato il vescovo e il vescovo
gli offriva il desiderato aiuto nelle sue necessità. Il vescovo lo pregò con insistenza e quasi gli
comandò di prendere tutte le cose che gli abbisognavano; egli stesso mandò di corsa dei
servitori alla nave ad avvisare i compagni del beato Colombano venire tutti quanti, lasciando
solamente uno di guardia, a prendere tutto ciò che volessero. In seguito lo stesso vescovo era
solito dire che tutto ciò non era avvenuto a caso e che da di allora egli non era mai stato così
stupito nel concedere aiuto a qualcuno e che era andato in chiesa per ispirale divina, senza
alcun altro motivo, ma solamente per servire il beato Colombano.
Arrivarono quindi nella località prescelta. Visitandola imo di Dio disse che non piaceva al suo
animo, ma promise tuttavia che si sarebbe fermato ivi un poco per diffondere ode tra quelle
genti. Vi erano infatti vicini i popoli degli Svevi. Mentre soggiornava colà e peregrinava fra gli
abitanti di quel luogo, seppe che essi volevano compiere un sacrificio profano e che avevano
posto in mezzo un grande vaso, che comunemente chiamano ' cupam ' e che poteva contenere
più o meno due moggi, pieni di cervogia. L'uomo di Dio si avvicinò a quello e chiese che cosa
volessero farne. Gli risposero che volevano fare un sacrificio in onore del loro dio ' Vodano '. Il
beato Colombano, udendo che si voleva celebrare quell'empio rito, soffiò dentro il vaso, il
quale con orribile fragore, incredibilmente, si spezzò e si sminuzzò e, insieme con la cervogia,
ne uscì fuori la forza malefica; si potè capire chiaramente che in quel vaso era nascosto il
demonio, che per mezzo del liquido profano voleva impadronirsi delle anime dei sacrificanti.
Vedendo ciò i barbari, stupiti, dissero che l'uomo di Dio aveva un fiato molto potente, dal
momento che poteva infrangere un vaso rafforzato attorno con fasce. Egli li rimproverò con le
parole del Vangelo, per farli desistere da quei sacrifici e comandò loro di ritornare alle loro
case. Molti di essi allora persuasi dal sant'uomo e dalla sua dottrina, convertitisi alla fede di
Cristo, ricevettero il battesimo ; molti altri, che pur già battezzati erano ricaduti nell'errore
profano, furono ricondotti, come dal buon pastore, per mezzo dei suoi ammonimenti, al culto
della dottrina evangelica e in seno alla Chiesa.
32.
In quel tempo Teodorico e Brunilde erano infuriati non solo contro il beato Colombano, ma
anche contro Desiderio, il santissimo vescovo della città di Vienne. Dapprima lo esiliarono e
cercarono di perseguitarlo in ogni modo, in ultimo lo coronarono con la gloriosa corona del
martirio. Dalla narrazione delle sue gesta, che possediamo, possiamo conoscere attraverso quali
e quante avversità meritò di avere glorioso trionfo presso il Signore.
Mentre il beato Colombano con i suoi si aggirava nei dintorni della città di Bregenz, venne un
tempo di dura carestia. Ma benché mancassero gli alimenti, rimaneva intemerata e incrollabile
la fede per impetrare dal Signore le cose arie. Tre giorni di digiuno avevano ormai
estremamente indebolito i corpi, quando arrivò una quantità straordinaria di uccelli, come un
giorno le quaglie avevano coperto l'accampamento degli Israeliti; la moltitudine degli uccelli
riempì ogni Idi quel luogo. L'uomo di Dio capì allora che quei volatili lavano solamente su
quella terra e non altrove, per soddisfare il bisogno di viveri suo e dei suoi monaci e solamente
fatto che egli sostava in quel luogo. Comandò ai suoi di tutto di ringraziare e lodare il Creatore,
quindi di prendere gli uccelli per cibarsene. Prodigio mirabile e sbalorditivo! Gli uccelli si
lasciavano prendere, secondo gli ordini idre, e non tentavano neppure di volar via. Rimasero
nella zona quegli uccelli, una vera manna celeste, per tre giorni, il quarto giorno un vescovo
mandò al beato Colombano, dalle città vicine, una gran quantità di frumento, per ispirazione ma
l'Onnipotente, che quando soffrivano la carestia mandato quei volatili, perché si
sfamassero, appena il rifornimento di grano comandò alle schiere di uccelli di andarsene. Noi
abbiamo appreso questi fatti dalla narrazione di Eustasio che in quel tempo, nel medesimo
luogo, era sottomesso fra gli altri all'obbedienza dell'uomo di Dio; poiché non vi era stato
nessun altro in quelle schiere che avesse riferito di aver visto prima tali generi di uccelli; ed
erano così saporiti, che erano migliori delle vivande del re. O miracolo della potenza divina !
Quando mancano ai seguaci Cristo le vivande terrene, allora sono inviati ad essi i cibi del come
è stato scritto di Israele: Diede ad essi il pane del cielo; quando poi arrivarono i beni della
terra, furono ritolti quelli inviati dal cielo.
Nello stesso tempo, mentre mortificava il corpo con il digiuno sotto uno scoglio nella vasta
estensione dell'eremo e non prendeva per cibo, null'altro che i piccoli frutti della
campagna che abbiamo ricordato in precedenza, si avvicinò a lui di nascosto un orso, con la
solita voracità e cominciò a leccare i cibi indispensabili all'uomo di Dio e a portare via, qua e
là, con la bocca, i frutti. Come arrivò l'ora della refezione, il beato Colombano mandò il suo
ministro Agnoaldo a prendere la solita quantità di frutti. Quegli andò e vide l'orso aggirarsi fra i
cespugli e i rovi della terra e prendere, leccandoli, i frutti. Ritornò indietro di corsa e riferì la
cosa al padre, il quale gli comandò di andare e di lasciare per cibo una parte dei frutti alla fiera
e di riservare per sé la parte rimanente. Andò pertanto Agnoaldo ed eseguì gli ordini del padre;
divise con la verga i cespugli e i rovi che portavano i frutti e disse alla fiera di mangiare,
secondo il comando dell'uomo di Dio, la sua parte e di riservare l'altra per l'uso dell'uomo di
Dio. Mirabile obbedienza nella fiera! Per nessun motivo osò mai prendere cibi nella parte
proibitale e cercò solamente il vitto nella parte dei cespugli assegnatale, finché l'uomo di Dio si
fermò in quel luogo.
Nel frattempo gli venne l'idea di recarsi nel territorio dei Veneti, che sono detti anche Slavi, di
illuminare con la luce del Vangelo le loro menti cieche e di mostrare loro la via della verità,
perchè dall'origine camminavano nella via dell'errore. E mentre stava preparandosi con le sue
preghiere a compiere quel viaggio, gli apparve in visione un angelo del Signore e segnando un
piccolo circolo, come si è soliti disegnare in breve la pianta di una città, gli mostrò la superficie
della terra e gli disse : 'Vedi quante terre rimangono senza predicazione ; va’ a destra e a
sinistra, dove preferisci, a cogliere i frutti della tua fatica’. Il beato Colombano capì allora che
non era partito per diffondere la fede fra quelle genti e si fermò in luogo finché gli si aprisse la
via per l'ingresso in Italia.
33.
Frattanto scoppiò la guerra fra Teodorico e Teodeberto e ciascuno incrudelì contro il fratello
fino al punto di volerne la morte; i popoli di entrambi si erano insuperbiti per la loro potenza.
Allora l'uomo di Dio andò da Teodeberto e cercò di persuaderlo ad abbassare gli occhi che
avevano incominciato ad essere pieni di arroganza e a farsi chierico ed, entrato nella chiesa, a
sottomettersi alla santa religione, per non soffrire con i danni della presente vita, anche la
perdita della vita eterna. Queste parole suscitarono il riso del re e degli i tutti, i quali
affermarono che non avevano mai sentito che un merovingio, salito al trono, si fosse fatto
volontariamente chierico. Mentre dunque tutti protestavano, il beato Colombano disse : 'Se non
vorrà avere in alcun modo l'onore di essere chierico volontariamente, in breve tempo diventerà
chierico contro il suo volere'. Pronunciate queste parole l'uomo di Dio ritornò nella sua cella, e
presto gli eventi dimostrarono vera la sua profezia.
Senza indugio Teodorico iniziò la guerra contro Teodeberto, lo vinse presso Toul e lo mise in
fuga. Poco dopo, raccolto il grosso dell'esercito, lo insegue e, a sua volta Teodeberto,
rafforzatosi con molti soldati, gli si fa incontro per combattere, presso la fortezza di Zülpich.
Ivi, iniziato il combattimento, caddero innumerevoli falangi di uomini da entrambe le
parti; infine Teodeberto fu vinto e fuggì.
In quel tempo l'uomo di Dio si trovava nell'eremo, accontendosi della compagnia del solo suo
ministro Agnoaldo. In quella stessa ora in cui si combattè presso Zülpich, l'uomo o stava seduto
sopra il tronco ormai marcio di una quercia, leggendo un libro; fu preso da una sonnolenza improvvisa e vide ciò che avveniva fra i due re. Svegliatosi all'improvviso chiamò il suo ministro
e gli narrò la sanguinosa battaglia dei re; sospirò per lo spargimento di tanto sangue umano. Il
ministro con temerario ardimento gli disse : 'Padre mio, offri il suffragio delle tue preghiere per
Teodeberto, affinchè riesca a sconfiggere il comune nemico Teodorico '. Il beato Colombano
gli rispose : ' Mi dai un consiglio stolto e contrario alla religione. Poiché non è questa la volontà
del Signore, che ci raccomandò di pregare per i nostri nemici; dipende ormai dalla volontà del
giusto Giudice, ciò che deve accadere di essi '. Il ministro in seguito s'informò dell'ora e del
giorno della battaglia; trovò che corrispondevano esattamente al momento in cui l'uomo di Dio
aveva avuto la visione rivelatrice.
Teodorico continuò ad inseguire Teodeberto ; il quale, tradito dai suoi, fu preso ed inviato alla
nonna Brunilde. La nonna dopo averlo ricevuto, poiché essa parteggiava per Teodorico, lo
costrinse a farsi chierico; ma dopo non molti giorni empiamente lo fece uccidere.
34.
In seguito Teodorico, mentre si trovava presso la città di Metz, colpito per volere divino, morì
per una grave infiammazione. Dopo la sua morte Brunilde mise sul trono, al suo posto, il di lui
figlio Sigiberto. Pertanto Lotario, memore della profezia dell'uomo di Dio, raccolto un esercito,
tentò di prendere il territorio del regno che doveva essere in suo potere; Sigiberto gli si fece
incontro per combattere contro le formazioni nemiche. Lotario lo prese e lo fece uccidere; prese
pure cinque suoi fratelli, figli di Teodorico con la proava Brunilde Fece uccidere ad uno ad uno
i giovani. Brunilde dapprima fu fatta salire ignobilmente su un cammello e condotta in giro per
essere mostrata ai suoi nemici; poi fu credelmente uccisa, legata alla coda di cavalli indomiti.
Così fu completamente distrutta dalle radici la stirpe di Teodorlco e Lotario da solo
s’impossessò di tre regni. In tal modo s'adempì la profezia beato Colombano nei riguardi di
tutti: uno fu massacrato tutta la sua stirpe entro un triennio; l'altro fu costretto la forza a farsi
chierico ; il terzo ingrandì i suoi territori, essendosi impadronito di tre regni.
35.
Il beato Colombano avendo visto a sua volta, come abbiamo detto in precedenza, Teodeberto
vinto da Teodorico, abbandonata la Gallia e la Germania, entrò in Italia dove fu accolto con
molti onori da Agilulfo, re dei Longobardi. Questi diede facoltà di abitare nel territorio italiano
in qualsiasi luogo desiderasse. Mentre il beato Colombano si trovava presso ano e voleva
estirpare del tutto, con il cauterio delle Sacre scritture, gli errori degli eretici, e precisamente
della perfidia ariana, contro i quali scrisse anche un libretto rifulgente di abile scienza, per
volere di Dio un uomo di nome Giocondo andò dal re e gli disse che egli sapeva che nelle
solitudini delle valli appenniniche c'era una basilica dedicata al beato Pietro, prinicipe degli
apostoli, dove aveva sperimentato che si facevano miracoli, luoghi fertili, bagnati da
acque abbondanti, ricche di pesci. La tradizione degli antichi denominava quel luogo
'Bobium', dal torrente che scorre in quel luogo; aggiunse che vi scorreva vicino un altro fiume
di nome Trebbia. Annibale svernando sulle sue rive ebbe gravissime perdite di uomini, di
cavalli, di elefanti. Il beato Colombano, andato colà e trovata dopo attente ricerche la basilica
semidiroccata, la restaurò e la restituì al precedente decoro. Durante tale restaurazione
apparvero mirabili prodigi del Signore. Infatti si tagliavano tronchi di abete in mezzo a scogli e
a rocce scoscese, da dove era impossibile il trasporto con carri. Ebbene: l’uomo di Dio si recava
in quei luoghi con i suoi e, in due o tre, ne permetteva il sentiero strettissimo,
prendevano sulle spalle, in modo veramente straordinario, dei pesi immani; a volte un tronco
che sulla terra piana non sarebbero riusciti a trasportare, nonostante ogni sforzo, neppure trenta
o quaranta persone. E dove prima, nell'andata, a causa dell'asperità del cammino, potevano
passare a stento, anche se liberi da ogni impaccio, ora, al ritorno, caricati del peso dei tronchi,
passavano in fretta, tanto che, invertitesi le parti, coloro che portavano i pesi andavano allegri,
con passi ben sicuri, come se passeggiassero e i pesi fossero portati da altri. L'uomo di Dio,
vedendo pertanto un aiuto così straordinario, esortò i suoi a condurre a termine in letizia l'opera
incominciata e, rassicurati nell'animo, a prepararsi a rimanere in quell'eremo ; disse che quella
era la volontà di Dio. Restaurò quindi il tetto della basilica, le sommità dei muri in rovina e si
preparò a costruire tutti quegli edifici che erano necessari ad un monastero. Nel frattempo
Lotario, ricordatosi della profezia dell'uomo di Dio e vedendo che si era adempiuta nei suoi
riguardi, fece venire presso di sé il venerabile Eustasio, che reggeva il monastero di Luxeuil in
luogo del beato Colombano. Lo pregò devotamente di assumersi l'incarico di una legazione con
pubblico aiuto e di prendersi come compagni degli uomini nobili a sua scelta, che fossero
garanti della sua promessa : di andare quindi in cerca del beato Colombano e, in qualunque
luogo lo trovassero, di esortarlo, con abile e devota opera di persuasione, a ritornare presso di
lui. Si avviò quindi il venerabile discepolo, seguendo le orme del maestro. Dopo averlo trovato
gli riferì le parole di Lotario. Visto Eustasio, il beato Colombano si rallegrò e mostrò la propria
gratitudine per l'offerta fattagli. Trattenutolo alquanto presso di sé, lo esortò a ricordarsi della
sua opera, ad istruire la comunità dei frati coi vincoli della disciplina, ad adunare una schiera di
molte persone nel collegio di Cristo, ad educarle secondo la sua regola. Gli diede licenza di
partire dopo questi avvertimenti e gli comandò di ritornare da Lotario, di cercare di convincere
cortesemente il re che non riteneva assolutamente possibile ritornare indietro; di dirgli che lo
pregava solamente di sostenere il suo aiuto e la sua protezione i suoi compagni che risiedevano
a Luxeuil. Mandò al re lettere piene di amorevoli parole di consiglio e anche di rimprovero. Il
re accolse lieto l'incarico graditissimo, come un pegno d'alleanza con l'uomo di Dio e promise
che non si sarebbe mai dimenticato delle sue richieste.
Si preoccupò infatti di proteggere in ogni modo il sopraddetto monastero; lo dotò di rendite
annue, allargò da ogni parte i confini del territorio, secondo il desiderio del venerabile Eustasio
e cercò in ogni modo di aiutare coloro che vi abitavano per amore di Dio.
Di poi il beato Colombano, trascorso il giro di un anno, dopo aver vissuto una vita santa nel
sopraddetto cenobio di Bobbio, rese al cielo la sua anima, sciolta dalle membra, il giorno 23
novembre. Se qualcuno volesse conoscere la sua vita e la sua opera, la troverà nelle sue parole.
I suoi resti io sepolti in quel luogo, ove conservano tanta potenza, resi illustri da tanti prodigi,
sotto la guida di Cristo, al quale è gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Termina la vita di San Colombano Abate.
Scarica

Preview - Bobbio