GIONA Vita di San Colombano Versione italiana dal testo originale a cura di E. Cremona e M. Paramidani INTRODUZIONE La Chiesa è una realtà viva, operante nel mondo come lievito spirituale e luce soprannaturale; la sua vita si svolge nel tempo a beneficio degli uomini e per ridonare a tutti gli esseri, nella loro costituzione e nella loro struttura, quel senso di sacro, distrutto dal peccato. Essa, come gli organismi viventi, è soggetta alle leggi dello sviluppo biologico, pur restando fondamentalmente identica a se stessa in ciò che il Cristo le ha donato. Così Egli la volle: sempre attenta a quel patrimonio immutabile di fede e azione divina, ma anche sempre aperta verso la realtà umana continuamente mutevole nell'inesorabile fluire del tempo. La Chiesa non può fermarsi; la Chiesa cammina con il tempo. Chi si dimentica di ciò rischia di trasformare la più grande istituzione del Cristo in un prezioso oggetto da museo storico. Da questa realtà, mirabilmente complessa, deve partire chi vuol formarsi una visione oggettiva e serena della Chiesa nel suo sviluppo e nella sua storia. Quando Colombano venne alla luce, il continente europeo risentiva ancora, nelle sue strutture religioso-civico-culturali, delle tremende ferite inflittegli da quei popoli, comunemente chiamati barbari, che in cerca di un maggior benessere avevano trovato una facile preda nell'ormai decadente impero romano. Per un momento sembrò che anche la Chiesa vacillasse sotto la brama di distruzione del passato dei nuovi venuti, ma proprio per la vitalità in essa connaturale seppe immergersi in questa nuova realtà, facendosi barbara tra i barbari, per risuscitare o destare per la prima volta quei valori che costituiscono la dignità dell'uomo nella sua vocazione umano-divina. Uno degli artefici di questa faticosa ripresa nei secoli VI-VII è proprio Colombano; solo più tardi sarà possibile valutare in tutta la sua importanza ed efficacia la sua opera e quella del movimento monastico da lui fondato. Quando tutto sembrava irrimediabilmente perduto, coraggiosi uomini partirono dalle isole oltre la Manica, spinti dal medesimo fuoco missionario che il Cristo aveva lasciato in eredità alla sua Chiesa. La cultura antica e il cristianesimo si erano fedelmente coniati e gagliardamente sviluppati in queste isole, le quali, proprio per la loro configurazione geografica, si erano trovate in una condizione di privilegio. Colombano è uno di questi pionieri, forse il più audace, il più personale, ma anche colui che più profondamente scavò un solco tra le rovine del passato per infondervi nuovamente il seme fecondo della fede e della cultura, cosi intimamente associate nel suo spirito. Egli nacque in un villaggio del Leinster nell'Irlanda meridionale intorno all'anno 543. In poco più di cento anni, l'Irlanda era passata dall'età della pietra neolitica alla ribalta della storia per opera del vescovo missionario S. Patrizio; egli era giunto sull'isola nel 432 e a questo popolo dedicò tutta la sua attività fino al termine della sua vita (461). In questo clima di profondo rinnovamento culturale e religioso, Colombano crebbe fino all'età della sua adolescenza, assimilando intimante tutto ciò che il suo favorevole ambiente gli forniva. Dopo una crisi di vocazione, risolta mediante il consiglio di un eremita, Colombano lascia la propria casa e si dirige verso il momastero di Cleenish Island, allora diretto dall'abate Sinell. Le circostanze di questa decisione manifestano un doloroso conflitto nell'animo di Colombano tra gli affetti familiari e la imperiosa voce di Colui che lo chiamava sulle diffìcili strade dell’apostolato. Completa la sua formazione di apostolo nel monastero di Bangor alla scuola di Comgall, sempre con il pensiero rivolto verso il continente europeo. I monasteri irlandesi accentravano in loro tutta la struttura ecclesiastica, sostutuendosi in pieno all'organizzazione diocesana. Questo sistema ricalcava il tipo di organizzazione civile, fondata sulla tribù-clan. L’aspetto etnico-religioso eserciterà un influsso anche su Colombano, che, come gli altri missionari iroscozzesi, conserverà anche sul continente ove dominavano le strutture diocesane. Questo suo carattere ascetico-individualista dev'essere tenuto presente per avere una visione concreta di alcune situazioni incresciose che si vengono a creare nelle sue relazioni con i popoli da evangelizzare. Ottenuto il permesso di peregrinazione dall'abate Comgall, nel 590/91 con dodici compagni lascia l'Irlanda e raggiunge la Gallia, ove fonda i tre monasteri di Annegray, Luxeuil e Fontaines. La sua attività instancabile intimamente congiunta con una impostazione tipicamente eremitica gli davano la possibilità di continuamente donare agli altri, senza esaurire spiritualmente se stesso. Ma ben presto egli si trovò coinvolto in una serie di lotte ed avversità, in parte causate dai suoi usi particolari e dal suo mondo irlandese trapiantato sul continente. Lo accusavano, tra l'altro, di non celebrare la Pasqua secondo l'uso comune, di non voler ottemperare alle consuetudini ecclesiastiche locali. Per poter giudicare di questa situazione, oltre alle osservazioni già fatte, è necessario aggiungere che la vita cristiana del continente era ben lontana da quell'ideale che Colombano viveva e pretendeva dagli altri. Colombano si trovava dalla parte del Vangelo vissuto nella sua, integrità ed era naturale che questa sua azione venisse a contrasto con certe strutture ecclesiastiche, ancorate troppo spesso ad un servile conformismo. L'occasione per esiliare questo monaco, disturbatore del quieto vivere, viene fornita dalla denuncia che egli fa dell'immoralità della corte del re Teodorico. Nel 610, su proposta del re, Colombano viene strappato da Luxeuil e attraverso alla Loira viene condotto a Nantes, per farlo ritornare in Irlanda. Circostanze favorevoli permetteranno a Colombano di evitare questo ritorno in patria; passando al nord della Gallia, entra nella valle del Reno, risale a ritroso il suo corso fino al lago di Costanza. Ormai in lui è chiara la decisione di raggiungere l'Italia. Nell'autunno del 612 valica le Alpi e si dirige a Milano ove s'incontra con il re longobardo Agilulfo. Si dedica con entusiasmo alla conversione degli ariani e, per confutare i loro errori, scrive pure un libro, oggi andato perduto. Sulla segnalazione di un certo Giocondo, Agilulfo dona a Colombano Bobbio e quindi in altre parole lo invita a lasciare Milano. Per quale motivo? S'era forse ripetuta sul suolo italiano la situazione della Gallia nei confronti con le strutture diocesane? Potrebbe anche essere. Colombano giunge a Bobbio nell'autunno del 614; ripara un'antica chiesa dedicata a San Pietro, segno della vita religiosa bobbiese prima dell'arrivo del grande monaco, e attorno vi edifica il primo monastero. Dopo appena un anno di permanenza a Bobbio pone fine alla sua attività missionaria. Era il 23 novembre dell’anno 615. Lasciava come conforto spirituale ai suoi 6 Epistole, 13 Sermoni, 2 Regole, Il Penitenziale e 5 Carmi. Di Colombano sono stati dati giudizi contrastanti e divergenti. Qualcuno non ha esitato di accusarlo di eccessiva veemenza e ferocia, non solo verso gli altri, ma anche verso il capo della cristianità. Evidentemente si tratta di una valutazione superficiale, che coglie di Colombano solo aspetti marginali e questi, per renderli più impressionanti, sono proiettati fuori del loro contesto storico. In particolare, il suo modo di conversare con il papa non è per nulla irriverente; non si deve dimenticare che la Chiesa antica era solita dialogare con il suo capo con estrema franchezza, senza ricercare vie diplomatiche o maniere di convenienza. Inoltre, nelle stesse lettere, indirizzate al papa, si trovano sempre sentimenti di profonda devozione o di rispetto per la sua alta carica. Certo Colombano non era un debole di fronte al male e all'errore, ma, se vogliamo, anche Cristo seppe impugnare uno scudiscio per scacciare i profanatori dal tempio. Questa sua fortezza va contentemperata con la sua dolcezza verso gli umili, la sua bontà verso i bisognosi. Uomo di una tempra adamantina, di un instancabile zelo apostolico; in lui la cultura antica diventa una stupenda cornice della parola divina; il suo animo è tutto proteso verso un ideale che è diventato il centro, l'unità di tutta la sua vita. Il testo che presentiamo in questo volume è la versione letterale del testo scritto dal monaco Giona di Bobbio per incarico dell'abate Bertulfo. Giona nacque a Susa, non sappiamo esattemente in quale anno; egli stesso ci informa indirettamente che entrò nel monastero di Bobbio verso il 618, cioè circa tre anni dopo la morte di San Colombano, e doveva essere giovanissimo. Rimase a Bobbio fin verso il 639, sotto gli abati Attala prima e Bertulfo poi. Poco prima della morte di quest’ultimo, avvenuta presumibilmente nel 640, andò nella Gallia belgica, chiamatovi dal vescovo missionario Sant'Amando, per collaborare alla conversione dei pagani che ancora si trovavano in quelle regioni. Con Bertulfo Giona era andato a Roma nel 628 per ottenere dal papa Onorio I il ben noto privilegio dì esenzione del monastero di Bobbio dalla giurisdizione vescovile. Giona terminò la vita di San Colombano e dei suoi discepoli verso il 642, mentre era nella Gallia. Giona, con questo suo scritto, volle mettere in risalto la straordinaria forza d'animo di Colombano, le sue eccelse virtù, il suo zelo apostolico ed in particolare i prodigi da lui compiuti. Colombano è l'uomo di Dio, mandato sulla terra per evangelizzare le genti, sulle orme di Cristo. Per questo ha rinunciato a tutto, ha abbandonato la madre, quasi brutalmente, e il suo paese, la sua terra, ha rinnegato se stesso, ha seguito Cristo, il suo vero ed unico modello. Giona attribuisce al Santo molti miracoli simili a quelli compiuti da Cristo stesso, come la moltiplicazione dei pani, la guarigione di indemoniati, la pesca miracolosa ed altri . Ciò può suscitare nel lettore moderno una certa perplessità e diffidenza riguardo al valore storico dell'opera, ma dobbiamo riportarci alla mentalità particolare della maggioranza delle persone dell'epoca in cui il libro è stato scritto. Si era certamente propensi allora a vedere gran parte degli atti di un uomo di straordinaria religiosità, in una luce miracolistica, senza indagare troppo sottilmente sulle cause di determinati fatti, che potevano essere talvolta anche naturali. A Giona premeva dimostrare come il Santo Abate sia stato veramente il fedele seguace di Cristo. Era spesso veramente necessario soccorrere con intervento celeste coloro che per far conoscere il regno dei cieli avevano rinunciato e rinunciavano continuamente ad ogni agio, ad ogni soddisfazione terrena, ad ogni interesse mondano e spesso si trovavano privi di tutto, anche dei mezzi assolutamente indispensabili alla vita. E non dobbiamo dimenticare che simili prodigi avvengono ogni giorno, anche se molti non li vogliono vedere. Il biografo si preoccupa tuttavia di riportare fatti, sia pure presentandoceli in una prospettiva particolare, che gli sono stati narrati direttamente da testimoni oculari, di cui cita scrupolosamente i nomi, come Teodegislo, Agnoaldo, Gallo, Eustasio ed altri, fatti che comunque erano stati riferiti da persone assolutamente degne di fede. Una volta indicate le finalità dell'opera, non possiamo pretendere di cercare in essa ciò che non c'è e ciò che l'autore non si è proposto di darci. Ad esempio, è stato osservato, non ci ha detto niente delle controversie tra Colombano e i vescovi della Gallia; ha omesso molti particolari che a noi piacerebbe conoscere; ma quelli esulavano dai fini e dai limiti del lavoro che egli si era proposto. Non ha comunque alterato i fatti e la verità storica; e questo è molto importante. La versione è stata curata dai Proff. Ernesto Cremona e Michele Paramidani sul testo più antico oggi conosciuto: il codice di Metz del IX secolo. I traduttori avvertono che i nomi propri di persona sono stati italianizzati letteralmente; quindi sono state usate le forme: Brunilde, anziché la più comune, e forse meno esatta Brunechilde, Ildeberto, anziché Childeberto, Agnoaldo, anziché Cagnoaldo e simili. Dei nomi propri geografici è stata data la traduzione moderna italiana, se questa è di uso comune, quella della lingua della nazione in cui si trova la località negli altri casi. Ve Infine sottolineato il fatto che questa è la prima versione dell'opera di Giona, e che Giona resta la fonte più importante e sicura per una biografia di San Colombano. E' per questo che, nella ricorrenza del 27° cinquantenario della morte di San Colombano, abbiamo voluto offrire al popolo questo importante documento storico, al fine di diffondere maggiormente la conoscenza di questo grande monaco irlandese, del quale l'intera Europa deve sentirsi fiera e al quale deve riconoscenza perché da lui ebbe molto. Colombano, figlio fedele della Chiesa, contribuì in modo veramente grande all'opera di adattamento e allo sviluppo di quei valori che essa, per espresso comando di Cristo, perpetua nei secoli. M. TOSI PROLOGO ALLA VITA DI SAN COLOMBANO ABATE Agli egregi Signori insigniti della somma e sacra autorità, sostenuti da copioso zelo, Giona peccatore. Ricordo che tre anni fa circa, per unanime invito dei confratelli e per comando dell'abate Bertulfo, mentre io, riposandomi un poco nelle campagne appenniniche, dimoravo tra di loro nel cenobio bobbiese, promisi di impegnarmi a stendere con la penna le gesta dell'almo padre Colombano, specialmente perchè coloro che vivevano in quel tempo e videro le opere da lui compiute sono ancora in grandissimo numero viventi fra voi. Questi sono in grado di narrarci non cose sentite dire, ma viste e che anche noi abbiamo appreso per mezzo dei venerabili uomini Attala ed Eustasio, i quali furono suoi successori, il primo nel cenobio di Bobbio, il secondo in quello di Luxeuil nei quali voi siete abati, e consegnarono alle loro comunità, perchè li custodissero, i precetti del maestro. In un secondo tempo abbiamo narrato, come abbiamo potuto, la loro vita; del resto è piuttosto la loro fama a renderli degni di memoria. Ma, nonostante che i sopraddetti confratelli con la loro carità e il predetto padre con il suo comando, fossero persuasi in cuor loro che tutto potesse procedere con abbondanza e facilità, io mi trovo assai impari a questo lavoro. Se infatti non mi fossi giudicato assolutamente indegno di compiere quest'opera, mi sarei già accinto prima, benché con temerario ardimento, a tessere quelle gesta, anche se da tre anni nelle regioni dell’Oceano una zattera mi trasporta per la Scarpe e una navicella per la Schelda, solcando le molli vie, e la pigra onda dell’Elnon mi bagna le piante, e questo per portare io aiuto venerabile vescovo Amando che, stabilitosi in questi luoghi, reprime con l'evangelica spada i vecchi errori dei Sicambri. Tuttavia lascerò all'arbitrio del venerando padre e del vostro volere la rifinitura del lavoro affidatomi, affinchè se alcune cose, esposte in maniera non adeguata, saranno prive del conveniente decoro, siano abbellite dai vostri ornamenti e così diventino adatte per i lettori. Non succederà così che, inorridendo della mia imperizia nello scrivere, poiché le parole non corrispondono ai fatti, e provando fastidio, non vogliano più imitare le virtù dei santi e, dopo aver teso entusiasti la io al lavoro compiuto, subito dopo cerchino di ritrarla, sanguinante per l'asprezza dei rovi. A questi bisogna dire che nuotatori, quando le forze sono infrante dal riflusso dei gorghi, nel venir meno di altri aiuti, giunti a riva sono soliti con tensione di sforzo afferrare anche i rovi; che le bocche ricchi, dato che gli altri cibi abbondano per loro, spesso desiderano i frutti agresti, e che parecchie persone, riempite le orecchie di tutti i generi di musica, cioè organo, salterio, cetra, canto, prestano spesso l'orecchio alle modulazioni delle molli canne della zampogna. E se troveranno che io lodo qualcuno che sia ancor vivo, non mi ritengano un adulatore, ma divulgatore di cosa ben fatta, e sappiano che non sono favorevole ad alcuno con canto panegiristico, ma affido alla memoria cose degne. E quello, se è ancor vivo, soprattutto non si gonfi, se vede esposti da me i doni largitigli dal Creatore, affinchè dietro lo stimolo dell’orgoglio non corrompa la solidità di una mente pura e sincera. Nessuno infatti dubita che il favore degli adulatori inquina le menti ornate delle virtù. Così parla il Signore ad Israele pnmv per mezzo di Isaia: O mio popolo, coloro che ti chiamano beato sono proprio essi che ti ingannano e rovinano i passi del tuo cammino. Infatti, come volgarmente si dice la falsa lode offende il sapiente, la vera lo sprona a tendere al meglio. Li adorni dunque, in ciò che hanno bene operato, una lodevole fama, li stimoli affinchè non li macchi, con la perdita del fervore, una vituperevole tiepidezza. Li esaltino gli altri, se hanno fatto qualche cosa degna di imitazione, affinchè in seguito non si attirino i danni di un pernicioso orgoglio attraverso la celebrazione delle grandi cose compiute. Abbiamo dunque inserito le cose da noi verificate mediante testimonianze e che a nostro avviso sarebbe stata negligenza omettere; ne abbiamo omesse molte che non ricordiamo completamente e che abbiamo ritenuto non essere conveniente scrivere soltanto in parte. Le cose esposte le ho divise in due libretti staccati, per diminuire il fastidio della lettura in un sol volume : il primo contiene le gesta del beato Colombano, l'altro tratta della vita dei suoi discepoli Attala, Eustasio e degli altri che abbiamo conosciuti. Riteniamo che i fatti debbano essere da voi soppesati, affinchè da voi approvati con sagace esame, tolgano l'incertezza agli altri. Se infatti qualcuno troverà cose non puntualizzate a dovere, riterrà di doverle respingere, specialmente se, appoggiato alla facondia dei dottori, possiede una notevole cultura. Sappia però costui che noi non abbiamo per scopo la presunzione di ricalcare le orme dei dotti. Quelli, irrorati dalla rugiada dell’eloquenza, dipinsero campi di verdi fiori, a noi invece un’arida terra è a mala pena in grado di dare arbusti. Quelli hanno in abbondanza la lacrima del balsamo d'Engaddi e fiori d’aromi dell'Arabia, noi a stento abbiamo il pingue burro dell'Irlanda. Quelli prendono pepe e nardo dall'India, a noi gli ampi gioghi appenninici, ricchi di pini, dove i freddi sono rigidi per i soffi dei venti, a mala pena danno saliunca. Quelli si gloriano della varietà di pietre preziose, a noi pare temerario gloriarci dell'ambra della Gallia. Quelli ti mettono innanzi frutti di palme, assolutamente esotici, noi secondo frase del poeta, abbiamo semplicemente dolci frutti nostrani e molli castagne. Salute, almi padri, uomini pieni di vigore e coraggio. Vita di San Colombano 1. La premurosa cura dei padri ha compilato la vita fulgida e scintillante di incomparabile splendore dei santi abati e monaci, nostri nobili maestri, con l'esplicito scopo che i benefici esempi degli antichi spandessero il loro profumo per i posteri. Questo ha fatto sin dal principio dei tempi l'eterno Creatore per assicurare il ricordo perenne dei suoi servi e perchè le passate gesta servissero da modello ai posteri e le seguenti generazioni trovassero motivo di gloria nei meriti dei predecessori, sia imitandone l'esempio, sia perpetuandone la memoria. Tra costoro, tramandarono il ricordo fino ai nostri tempi, il beato Atanasio di Antonio, Girolamo di Paolo e di Ilarione e di quanti altri la buona condotta di vita rendeva degni di lode, Postumiamo, Severo e Gallo del grande Martino: moltissimi poi di altri ancora che o la fama o gli esempi delle buone opere o le testimonianze delle virtù hanno resi illustri, come Ilario, Ambrogio ed Agostino, colonne delle loro chiese, i quali in mezzo a tante burrasche del secolo, mentre il mondo era in preda alla tempesta, sostennero le sorti della Chiesa, affinchè mentre soffiava un maligno vento contrario, tra l'infuriare della procella ereticale, l'avversità non deturpasse la vera fede. Noi, seguendo l'esempio di questi, con temerario ardimento, non sorretti dall'aiuto di particolari meriti né sostenuti da fiorita eloquenza, né dissetati alla fonte di accurata preparazione dottrinale, ci accingiamo a raccontare le gesta nostro glorioso padre Colombano, luce risplendente nel tempo nostro. Sarà tuttavia testimone delle nostre parole l’imimenso Dispensatore di ogni virtù, che a lui ha elargito i doni della sua grazia e la corona della vita eterna. 2. Colombano, infatti, che è chiamato anche Colomba, nacque l'Isola d'Irlanda, situata all'estremità dell'Oceano, rivolta verso il tramonto del sole, quando il suo globo si volge indietro e la luce discende nel mare con il sopraggiungere delle ombre. Quivi gigantesche ondate aprono abissi terrificanti, spaventosi per il loro colore, increspandosi in maniera impressionante sulle alte creste, con il biancheggiante manto creato per un istante dal ceruleo dorso e battono gli schiumosi lidi, estreme insenature delle terre e non permettono alla nave disarmata e tranquilla di viaggiare sul mare agitato per renderci note quelle spiagge. Sopra queste spiagge discende il fulvo Titano nella fosca luce di Arturo e ne visita nel suo giro le regioni; poi, seguendo l'Aquilone ritorna verso Oriente per risorgere nuovamente e donare al mondo la sua gradita luce e mostrarsi in tutta la sua grandezza al mondo con la tremolante fiamma. Così, compiuto il suo corso e superate tutte le mete del giorno e della notte, illumina con la sua luce le terre, rendendo bello il mondo riscaldato dal suo calore. Amena è, come dicono, la posizione dell'isola, preservata da ciré portate da genti straniere. Abitano questa terra gli Scotti, gente la quale, benché sia lontana dalle leggi delle altre stirpi, tuttavia, distinguendosi nei precetti della fortezza cristiana, è superiore nella fede a tutte le genti vicine. Nacque dunque Colombano ai primordi della vita cristiana di quella gente, affinchè la fede, che era presso quella popolazione parzialmente sterile, in virtù dell'opera protettrice sua e dei suoi compagni, fosse fecondata da una fruttuosa pratica. Ma non bisogna passare sotto silenzio quello che accadde avanti la sua nascita, prima che vedesse la luce di questa vita. Sua madre, infatti, avendolo già concepito nel seno, all'improvviso nel profondo della notte vide un sole scintillante e risplendente di straordinario fulgore uscire dal suo seno e portare al mondo una gran luce. Ella, dopo che il sonno ebbe lasciato le sue membra e l'aurora nascente ebbe cacciato dal mondo le cieche tenebre, cominciò a riflettere con intenso impegno nel suo intimo e con gioia velata dalla perplessità a misurare nel sagace spirito la portata di una così grande visione; pregò dei vicini, valenti per dottrina, che la confortassero con il loro aiuto, chiedendo che le menti dei sapienti scrutassero il valore di così grande visione. Ricevette finalmente la risposta, ponderata, degli esperti, che ella aveva in seno un uomo di grandi qualità, che avrebbe compiuto cose utili per la sua salvezza e opportune per il bene del prossimo. La madre, dopo averlo dato alla luce, lo curò con tanta premura che stentava ad affidarlo persino ai parenti dagli specchiati costumi, sino a che, fattosi adulto, non tendesse alla pratica del bene sotto la guida di Cristo, senza del quale non si compie nulla di buono. E ben si spiega che la madre abbia visto un sole risplendere dal suo seno; infatti le membra la Chiesa, madre universale, brillano di fulgore a guisa di Febo, perchè il Signore dice: Allora i giusti splenderanno cone il sole nel regno del padre loro. Così Debora con accento di preghiera, parlava un giorno con Dio, dietro ispirazione, dello Spirito Santo, dicendo: Coloro che ti amano brilleranno come risplende il sole al suo sorgere. Infatti la volta celeste che sfavilla trapunta degli astri, è più bella per l'intensità di una gran luce; come la luce del giorno, accresciuta dallo splendore del sole, rifulge bella sul mondo, così il corpo della Chiesa quando, arricchita dei beni del suo Fondatore, si accresce del numero dei santi, e risplende per il religioso culto della scienza, in modo che per la quantità dei dotti si moltiplicano i vantaggi per coloro che vengono dopo. E come il sole e la luna e tutte le stelle nobilitano la notte e il giorno, così i meriti dei santi sacerdoti rinvigoriscono il messaggio della Chiesa. 3. Passati gli anni dell'infanzia, crescendo nell'età della puerizia, cominciò ad applicarsi con il suo forte ingegno alle arti liberali delle lettere e agli studi grammaticali, e addestrandosi in essi per tutto il tempo della puerizia e dell'adolescenza, si mantenne in questo esercizio fino all'età virile con intensa fruttuosa applicazione. Ma siccome la bellezza delle forme fisiche, specialmente per la candida freschezza del corpo e lo splendore della giovinezza, lo rendeva caro a tutti, ecco che l’antico nemico cominciò a scoccare frecce mortali contro di lui, cercando di irretire, se vi fosse riuscito, nei suoi lacci colui che vedeva crescere con tanto ingegno. Cominciò ad eccitare verso di lui le brame amorose di lascive fanciulle, specialmente di quelle che, essendo belle e abili nel rendersi aggraziate, sogliono affondare l'animo degli infelici in conturbanti desideri. Ma vedendosi il prode soldato attaccato da ogni parte con così terribili armi e avendo scorto che gli si alzava contro il lampeggiante pugnale dell'astuto nemico, conscio della fragilità umana, sapendo cioè che scivolando in basso si fa presto a restar sommersi e che, come dice un certo autore, non v’è nulla tanto sacro per religione e tanto custodito dentro cui non possa penetrare la passione, impugnò con la destra lo scudo evangelico, tenendo nella sinistra la spada a due tagli e si preparò ad avanzare per combattere contro le formidabili formazioni dei nemici; in tal modo non avrebbe consumato tutta la fatica che con il suo acutissimo ingegno aveva speso sudando intorno alla grammatica, alla retorica, alla geometria e a tutte le Divine Scritture e non si sarebbe invischiato nelle lusinghe del mondo; e inoltre gli venne dato lo stimolo per contrattaccare. Mentre già stava meditando tra sé su queste cose, giunse al piccolo rifugio di una religiosa donna. Dapprima la salutò con voce umile, poi cominciò ad ammonirla, com'era capace, con esortazioni giovanili. Ella, vedendo aumentare a poco a poco l'ardore nel giovane disse : 'Io sono fuggita e sono partita per la guerra, facendo tutto il possibile. Ecco, volgono ora quindici anni che ho lasciato la casa e sono venuta in questo luogo di peregrinazione e, in seguito, sotto la guida di Cristo, tenendo in mano la stiva, non ho mai guardato indietro; e se non mi fosse stato d'ostacolo il fragil sesso, attraversato il mare, mi sarei recata in un miglior luogo di peregrinazione. Tu invece, bruciando delle fiamme dell'adolescenza, ti trattieni sul suolo natale e, trascinato dalla fragilità della carne, voglia o non voglia, presti l'orecchio alle voci delicate e credi di frequentare liberamente il femmineo sesso? Non ti ricordi che Adamo cadde dietro la persuasione di Eva, che Sansone fu sedotto da Dalila, che Davide fu sviato dalla sua precedente giustizia dalla bellezza di Betsabea e che il sapientissimo Salomone fu ingannato dall'amore delle donne?'. ' Avanti — aggiunse — o giovane, avanti! Evita il precipizio in cui ti rendi conto che molti sono caduti, lascia la strada che conduce alle porte dell'inferno '. Rimase scosso, pertanto, il giovanetto dalle parole di costei e, atterrito più di quanto crederesti avvenire in un giovane, rese grazie a lei che in tal modo lo riprendeva. Disse addio ai compagni, e affrontò il cammino, mentre la madre sua, spinta dal dolore lo scongiurava di non lasciarla. Ma egli: 'Non hai sentito? — disse — Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me! '. Alla madre che cercava di ostacolarlo e rimaneva aggrappata alla soglia della porta egli chiese di lasciarlo andare. Quella, urlando e gettandosi sul pavimento, dichiarò che non glielo avrebbe permesso; egli allora oltrepassò la soglia e la madre e le chiese di starsene contenta, aggiungendo che non l'avrebbe più vista in questa vita, e che egli sarebbe andato avanti, ovunque la via della salvezza gli avesse aperto il cammino. Lasciato dunque il suolo natale che gli abitanti denominano terra dei Lageni, si recò da un venerando uomo di nome Senile che in quel tempo godeva grande prestigio tra i suoi or la singolare pietà e per la fine conoscenza delle Sacre e Scritture. Il santo uomo, vedendo che il giovane aveva perspicace intelligenza, lo istruì nello studio di tutte le Divine Scritture; ma, come suole succedere, quando nelle esercitazioni maestri cercano di interrogare i discepoli, per rendersi conto del loro ingegno che o è pieno di vigore per ricchezza di sentimenti o intorpidisce nel sonno della pigrizia, cominciò a cedergli spiegazioni su difficili questioni della materia. E Colombano, dall'animo timido ma sagace, per non sembrare disobbediente, non spinto dal vizio della vanagloria, ma obbediente al maestro, a sua volta cercava di scandagliare le questioni che gli venivano prospettate, memore di quell'avvertimento del Salmista: Apri la tua bocca ed io la riempirò. Così grande era il tesoro delle Divine Scritture tenuto riposto nel suo petto che, benché fosse ancora nell'età dell'adolescenza, commentò il libro dei Salmi con stile forbito. Compose molti altri dotti lavori letterari adatti per il canto o utili per l'insegnamento. 4. Si adoperò in seguito per essere ammesso a una comunità di monaci, e si recò al monastero chiamato Benechor, nel quale era superiore e godeva grande prestigio tra i suoi per le molte virtù il beato Comogello, padre dei monaci, il quale era ritenuto uomo straordinario per lo zelo religioso e l'osservanza della disciplina regolare. Ivi Colombano cominciò a dedicarsi soltanto alla preghiera e a prendere su di sé il giogo di Cristo, che è leggero per quelli che lo portano, e a seguire Cristo rinnegando se stesso e prendendo la sua croce, affinchè colui che doveva essere il maestro degli altri, accettando personalmente la mortificazione del suo corpo, mostrasse più doviziosamente con l'esempio quello che aveva appreso con la dottrina, cioè i doveri che avrebbe insegnato ad adempiere agli altri. 5. Compiuto pertanto il giro di molti anni nel monastero, cominciò a desiderare la peregrinazione, memore di quel comando del Signore ad Abramo: Esci dalla tua terra e dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre e va' nella terra che ti mostrerò. Rivelò al venerando padre Comogello l'ardore del suo cuore e il desiderio acceso dal fuoco del Signore, del quale fuoco parla il Signore stesso nel Vangelo: Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e che cosa voglio se non che arda? Manifestava egli al padre l'ardente desiderio, ma non trovava nella risposta del padre quello che la sua domanda bramava. Era duro infatti per il venerando Comogello subire la perdita di così grande aiuto. Finalmente, però, cominciò ad essere favorevole e a fare una scelta di preferenza nel suo cuore, ritenne che non doveva cercare di soddisfare le sue esigenze più che di procacciare quello che era confacente all'utilità egli altri. E non senza volere dell'Onnipotente avveniva che colui che istruiva il discepolo alle guerre future riportasse gloriosi trionfi dalle sue vittorie e ricavasse un ricco bottino lolle falangi dei nemici battuti. Chiamatolo, gli manifestò l’intenzione, benché dolorosa per lui, utile per gli altri, che gli avrebbe concesso il vincolo della pace e il conforto del suo aiuto, e dei compagni di viaggio distinti per la loro pietà. Radunata l'intera comunità dei monaci, chiese il suffragio delle preghiere di tutti affinchè nel prossimo viaggio il Divin benefattore concedesse il conforto della sua misericordia. Essendo, dunque, nel ventesimo anno di età, intrapreso il viaggio, con dodici compagni sotto la guida di Cristo, si recò alla spiaggia del mare. Ivi si attesero la misericordia dell'Onnipotente affinché, se corrispondesse alla sua volontà, si compiesse l'effetto del concepito disegno. E vennero a capire che la volontà del clemente Giudice era con loro e, saliti sulla nave, affrontarono ignote vie per le onde e con i soffi degli zefiri che rendono propizio il mare tranquillo, giunsero in poco tempo alle insenature della Bretagna. Dopo essersi soffermati per un poco in quel medesimo luogo, ripresero le forze e con animo ondeggiante ponderarono gli ansiosi disegni del loro cuore. Finalmente decisero di calcare il suolo gallico e studiare con grande impegno i costumi di quella gente, cosicché se ivi bisognasse seminare la salvezza, sarebbero rimasti per tutto il tempo necessario, se invece avessero trovate le menti indurite per la caligine dell'arroganza, sarebbero passati ai popoli vicini. 6. Avanzando dunque dalle insenature britanniche, si diressero verso le Gallie ove allora, sia per la frequenza dei nemici esterni, sia per la negligenza dei capi, la virtù della religione era pressoché dimenticata; rimaneva soltanto la fede cristiana. Infatti le medicine della penitenza e l'amore della mortificazione si trovavano a stento e in pochi di quei posti. Il sistema del venerando uomo era di annunziare la parola evangelica in ogni luogo dove si portava. Era infatti gradito alla gente il fatto che la bellezza della sua elegante esposizione trovasse corrispondenza nella profonda dottrina della sua predicazione e negli esempi delle sue virtù. Tanta era l'abbondanza dell’'umiltà che, al contrario di noi uomini del mondo che ci sforziamo di ottenere la grandezza dagli onori, questi con i suoi compagni si sforzavano di superarsi l'un l'altro nel culto dell'umiltà, memori di quel precetto: Chi si umilia sarà esaltato e di quello di Isaia: A chi mi volgerò, se non a colui che è umile, quieto e che ha timoroso rispetto delle mie parole? Tutti avevano tanta pietà, tanta carità che unico era il volere e unico il non volere, la modestia, la sobrietà, la mansuetudine e la dolcezza e l'umiltà in tutti spandevano soave profumo. Essi detestavano i vizi della pigrizia e della discordia; la boria dell'arroganza e dell'altezzosità era colpita dai duri colpi dei castighi. La colpa dell'ira e del livore era respinta con accorta decisione. Tanto grande era in essi la virtù della pazienza, il sentimento della carità, la pratica della dolcezza che non avresti avuto alcun dubbio che il mite Signore abitava, in maniera ben evidente, in mezzo a loro. Se si fossero accorti che qualcuno scivolava in questi vizi, tutti insieme, senza distinzione, avrebbero cercato di stimolare il negligente con le correzioni. Tutti avevano tutto in comune. Se qualcuno avesse tentato di usurpare qualche cosa come sua propria, segregato dalla comunità degli altri, sarebbe stato punito con la sanzione della penitenza. Nessuno osava ricambiare uno sgarbo al confratello, nessuno osava pronunciare un aspro discorso, così che avresti rilevato che si conduceva una vita angelica in una comunità umana. Tanto grande era la grazia che ridondava in quel santo uomo che nella casa di chiunque egli si fermasse per un certo tempo, radicava negli animi di tutti la pratica della religione. 7. Giunse dunque la fama di Colombano alla corte del re Ildeberto che in quel tempo regnava con prestigio sui due regni franchi degli Austrasi e dei Burgundi, il cui nome è considerato grande sopra gli altri popoli che abitano le Gallie. Giunto da lui il santo uomo insieme con i suoi, diventò gradito al re ai cortigiani per la ricchezza e l'eccellenza della dottrina, cominciò finalmente il re a chiedergli che risiedesse entro i confini delle Gallie e non lo abbandonasse passando ad altri popoli: egli gli avrebbe procurato tutto ciò che la sua volontà avesse richiesto. Colombano allora disse al re che non si sarebbe arricchito dei beni degli altri, ma, nella misura che non lo ostacolava la fragilità della carne, avrebbe seguito il monito del precetto evangelico: Chi vuol venir dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. A queste sue obiezioni il re rispose: 'Se desideri prendere la croce di Cristo e seguirlo, cerca pure la quiete dell'eremo che preferisci, solamente non passare ai vicini popoli, lasciando la terra di nostra giurisdizione, in modo da procacciare una maggior ricompensa per te e ciò che è confacente alla nostra salvezza'. Essendogli stata data pertanto la possibilità di una libera scelta, Colombano obbedì all'invito del re e si diresse all'eremo. C'era infatti allora un solitario eremo di nome 'Vosicus’ , nel quale anticamente era stato un castello rovinato, che la tradizione degli antichi denominava ' Anagrates'. Quivi giunto il santo, benché il luogo fosse selvaggio per l'ampia solitudine e l'interposizione di rocce, vi si stabilì con i suoi, contento di un modesto conforto di alimenti, memore di quella parola, che l'uomo non vive di solo pane, ma saziato della parola della vita, abbonda di copioso cibo, e colui che ne prende, non conosce più la fame in eterno. 8. Mentre l'uomo di Dio dimorava con i suoi in quel luogo, all'improvviso la violenza delle febbri cominciò a colpire uno dei monaci, o per provarlo, o per una qualsiasi colpa che le attirava. Ma non essendovi alcun conforto di alimenti, a meno che non si dessero come nutrimento scorze d'alberi ed erbe, gli animi di tutti cominciarono ad essere rivolti unicamente all'intento di darsi al digiuno e alla preghiera per la guarigione del fratello ammalato. Mentre già da tre giorni digiunavano, non avendo nulla onde rifocillare gli stanchi corpi, improvvisamente scorgono un uomo stare davanti alla porta con rifornimento di pani e i cavalli carichi di companatico. Egli dichiarò di essere stato condotto da un'improvvisa spinta del cuore a venire con il suo patrimonio in soccorso ad essi, che nell'eremo sopportavano così grandi privazioni per Cristo. Dopo aver offerto all'uomo di Dio quello che aveva portato, cominciò a chiedere con umiltà di cuore che il santo uomo pregasse Dio per sua moglie che da un anno era bruciata da una così ardente febbre che si credeva ormai non potesse più sopravvivere. A lui che chiedeva con cuore umile e turbato, il santo uomo non volle negare conforto. Riuniti i monaci, invoca per lei la misericordia del Signore. E quando egli con i suoi ebbe terminato la preghiera, subito la donna, che già aveva davanti agli occhi il pericolo della morte, fu restituita alla salute. E suo marito, dopo che, concessagli dall'uomo di Dio la benedizione, se ne fu ritornato a casa, trovò sua moglie che se ne stava seduta in casa. Avendole chiesto in quale ora la fortissima febbre l'avesse lasciata, scoprì che era stata guarita in quella stessa ora in cui l'uomo di Dio aveva pregato per lei. Passò successivamente un breve spazio di tempo durante il quale offrivano a Dio le membra mortificate come pii mezzi di espiazione a Cristo e di purificazione della mente attraverso a macerazione della carne e i morsi della fame, e cercavano di mantenere integra la loro vita religiosa; ogni voluttà era infranta da dure privazioni, evidentemente affinché il predone delle virtù divenisse anche il liberatore dai peccati. Erano già cassati nove giorni da quando l'uomo di Dio con i suoi non mangiavano altro che le scorze degli alberi e le erbe del bosco. Ma rimediò alla scarsità del cibo la pietà dell'Eterna Virtù ed avvertì durante il sonno un certo abate di nome Carantoco, il quale era a capo del monastero che si chiamava 'Salicis', affinchè portasse il necessario al suo servo Colombano che si trovava nella solitudine dell'eremo. Svegliatosi dunque Carantoco, chiamò il suo dispensiere di nome Marcolfo e gli espose la situazione di cui era stato avvertito. E quegli: 'Fa — disse — come ti è stato comandato '. Comandò dunque Carantoco a Marcolfo di andare e portare al beato Colombano tutto quello che poteva procacciare. Caricati i carri, Marcolfo intraprese il cammino, ma, quando ebbe toccato i margini dell'eremo, constatò che in nessuna maniera gli si apriva innanzi la strada. Alla fine fu d'avviso che, se in questo c'era la volontà di Dio, mandati avanti i cavalli, la potenza di Colui che comanda avrebbe aperto la via. Mirabile prodigio! I cavalli, andando innanzi, con le unghie aprono un nuovo cammino per un sentiero e per dritta via giungono alle porte del beato Colombano. Pieno di meraviglia Marcolfo, seguendo le tracce dei cavalli, giunse dall'uomo di Dio e gli presentò quello che aveva portato. Quegli rese grazie al Creatore il quale così non aveva tardato più oltre ad approntare nel deserto la mensa ai suoi servi. Ricevuta dunque la benedizione, Marcolfo ritornò per il sentiero per cui era venuto e a tutti manifestò quello che era accaduto. Da allora cominciarono a recarsi da Colombano una gran quantità di persone e gruppi di ammalati per ottenere la guarigione, e chiedere sollievo a tutte le malattie; egli, non potendo respingere i loro voti, accedendo alle richieste di tutti, cercava di venire in aiuto alle infermità di ognuno di coloro che si recavano da lui, curandole, sostenuto dall'aiuto divino, con la medicina delle preghiere. 9. In questi stessi luoghi un giorno, mentre il suddetto uomo di Dio stava passeggiando nella folta ombra di un bosco in un posto fuori mano, e recando un libro sulle spalle, meditavi sulle Sacre Scritture, improvvisamente ebbe un pensiero quale fosse miglior scelta, subire l'ingiustizia degli uomini e affrontare le bestie selvagge. Siccome la severità che si era imposta stimolava il suo pensiero, facendosi frequenti segni di croce e pregando, disse tra di sé che era meglio affrontare la ferocia delle bestie senza colpa altrui che affrontare la rabbia degli uomini con danno delle anime. E mentre il suo animo era immerso in questi pensieri, vide venire avanti dodici lupi che gli si misero vicino, prendendolo in mezzo, a destra e a sinistra. Egli rimase immobile dicendo: O Dio, volgiti in mio aiuto, o Signore affrettati a soccorrermi. Quelli si fanno più vicino e accostano i musi alle sue vesti; e siccome egli stava fermo e tranquillo, senza essere riusciti a mettergli paura lo lasciano e si mettono a vagare per la foresta. Superato con sicurezza questo pericolo, riprende il cammino per il bosco. Allontanatosi un poco, udì le voci di molti Svevi che andavano vagando per le strade fuori di mano e che nello stesso tempo e negli stessi luoghi commettevano azioni brigantesche. E così infine, superato ogni pericolo con la fermezza, si salvò dalla critica situazione. Ma non riuscì a capire chiaramente se ciò fosse stata una finzione escogitata dall'inganno del demonio o un fatto compiuto nella realtà delle cose. Un'altra volta uscì dalla sua cella e addentrandosi nel deserto dell'eremo per una via più lunga, trovò una gigantesca roccia i fianchi della rupe erano scoscesi e il dorso accidentato, un posto poco accessibile agli uomini. Ivi egli vide una grotta scavata nel sasso. Accintosi a scrutare quel nascondiglio, trovò nell'interno il rifugio di un orso e lo stesso che vi stava dentro. Con dolcezza comandò alla fiera di andarsene. ' E d'ora innanzi disse — non ritornare su questo sentiero '. Se ne andò mansueta la fiera e non ebbe più assolutamente il coraggio di ritornare. Distava quel luogo da Annegray, più o meno, sette miglia. 10. In quel medesimo tempo egli conduceva nella grotta stessa della roccia una vita solitaria, com'era sua abitudine, che cioè lei giorni festivi o quando si avvicinava la solennità di qualunque santo, allontanandosi dalla compagnia degli altri, e ritirandosi in luoghi nascosti, andava a cercare posti appartati nella parte più lontana dell'eremo, per attendere da solo, con la mente ben concentrata e senza l'inquietudine delle preoccupazioni, alla preghiera e dedicarsi con tutta l'attenzione alla pratica della pietà. Il cibo era così scarso che a stento si sarebbe creduto che potesse vivere, e non c'era assolutamente altro che una piccola quantità di erbe selvatiche e di piccoli pomi che produceva quell'eremo e che chiamano anche in lingua volgare 'bullutes'. Bevanda era l'acqua; onde colui che, sempre occupato nella cura degli altri, non poteva compiere agevolmente queste pratiche, almeno per certi periodi di tempo potesse soddisfare i desideri della sua mente. Era al al suo servizio un giovinetto di nome Domoalo, il quale, quando si presentavano determinate situazioni nel monastero, era il solo ad avere l'incombenza di riferirne al padre e di notificare ai monaci quello che dovevano fare. Si trovava dunque nella predetta cavità dell'alta rupe che da altre parti vietava del tutto l'accesso. Essendo rimasto colà già per molti giorni, il sopraddetto giovane cominciò a lamentarsi sottovoce di non avere a portata di mano l'acqua, ma di doverla portare su per una salita del monte, stancandosi le gambe. A lui Colombano disse : ' Figlio, tasta un poco il dorso della roccia: ricordati che il Signore dalla roccia trasse acqua per il popolo d'Israele '. E quello, obbedendo al padre, cominciò a battere la roccia. Il santo uomo, pertanto, gettatosi subito in ginocchio, con le preghiere supplicò il Signore affinché gli concedesse ciò che gli era necessario. Alle pie richieste delle sue preghiere venne in soccorso la generosa potenza di Dio. E subito sgorgò l'acqua e cominciò a zampillare una fonte perenne che zampilla ancor oggi. E giustamente il misericordioso Signore concede quello che chiedono ai suoi santi, che crocifissero i loro desideri in ossequio alle disposizioni dei suoi comandi e, forti soltanto della fede, non dubitano di poter ottenere quello che hanno chiesto alla sua misericordia, perchè egli stesso ha promesso dicendo : Se avrete fede come un granello di senape, direte a questo monte: 'Spostati' e si sposterà, e niente vi sarà impossibile, e altrove : Qualunque cosa chiederete con la preghiera, siate persuasi che la riceverete e verrà a voi. 11. E siccome già si faceva più numerosa la comunità dei monaci, cominciò a pensare di cercare un posto migliore nello stesso eremo dove avrebbe costruito il monastero. Trovò un castello, che una volta era stato sfarzosamente adornato, distante dal sopraddetto luogo circa otto miglia e che un'antica tradizione chiamava 'Luxovium'. Ivi erano terme di acque calde costruite con eccellente stile : una gran quantità di statue in pietra riempiva la vicina zona del bosco; i pagani nei tempi antichi le onoravano con miserabile culto e rito profano e facevan loro sacrifizi con esecrabili cerimonie. Sole ivi si raccoglievano fiere e bestie, una moltitudine di orsi, bufali e lupi. Fermatosi colà l'egregio uomo si diede a costruire il monastero: attratta dalla sua fama accorreva gente da ogni parte; si preoccupava di darsi alla pratica della pietà, così che l’immensa moltitudine di monaci che si era raccolta durava pan fatica a star nella comunità di un solo cenobio. Figli di nobili da ogni parte cercavano di accorrere in quel luogo per conseguire i premi eterni, disprezzando gli onori mondani e la pompa dei beni presenti. Vedendo il beato Colombano che da ogni parte le folle accorrevano alle medicine della penitenza; che nel recinto di un solo cenobio non si poteva senza difficoltà far risiedere una così folta schiera di gente, perché, quantunque fossero una sola mente e un sol cuore, esso tuttavia non era idoneo alla dimora di tanta moltitudine cercò, a titolo di esperimento, un altro luogo, illegiadrito dalle acque che lo bagnavano e costruì un altro monastero che chiamò ‘Fontanas’. Egli vi mise, come reggitori, degli abati sul cui spirito di pietà non aveva alcun dubbio. Avendo costituito dunque in questi luoghi comunità di monaci, egli prendeva parte alternativamente a tutte e, ripieno di Spirito Santo, creò una regola che dovevano osservare: il lettore o ascoltatore saggio può constatare quale e quanto grande dottrina in essa il minto uomo abbia rivelato. 12. In quel tempo un monaco, di nome Autierno, cominciò a chiedere di peregrinare in Irlanda. A lui Colombano disse: 'Rechiamoci all'eremo e studiamo la volontà di Dio, se tu debba affrontare il desiderato viaggio o rimanere nella comunità dei fratelli'. Mentre dunque procedevano insieme, presero nella loro compagnia un terzo giovane di nome Sonicario, che è ancora vivente, e giunsero al luogo fissato nell'eremo, contentandosi del nutrimento di un solo pane. Essendo già passati dodici giorni e non restando neppure una briciola di pane, e avvicinandosi l'ora della refezione, ricevettero dal padre l'ordine di scendere giù per i dirupi della roccia, arrivare fino al fondo della valle e portare tutto quello che avrebbero trovato che potesse servire da cibo. Quelli, giubilanti, giù per l'apertura della valle, giunsero fino alla Mosella: qui scorgono una rete per pesci intrecciata un giorno dai pastori e messa in direzione opposta alle onde. Avvicinandosi trovarono cinque grossi pesci e prendendone tre perché erano vivi, li portarono per presentarli al padre. Ma quegli: 'Perchè — disse — non ne avete portati cinque?'. Essi risposero di averne trovati due morti e perciò di averli lasciati. Ed egli disse: 'Non mangerete affatto di questi, se non verranno quelli che avete lasciati '. Quelli, colpiti dalla prodigiosa conoscenza che gli veniva dalla grazia divina, ritornano di gran corsa sui loro passi e vengono rimproverati di aver lasciato la manna trovata, e così ricevono l'ordine di preparare i cibi. In verità, ripieno di Spirito Santo, sapeva che dal Signore gli erano state preparate vivande in ogni posto. Un'altra volta, mentre dimorava nella stessa solitudine, e c'era con lui uno soltanto dei monaci, di nome Gallo, gli comandò di andare alla Brusca a prendere i pesci. Quello partì e pensò bene di recarsi al fiume Lignone. Colà giunto, gettata la rete nell'alveo, vide che si facevano avanti una grandissima quantità di pesci, ma non andavano assolutamente nella rete: come se cozzassero contro una parete, tornavano indietro. Egli pertanto faticò per tutto il giorno e non riuscì a prendere neppure un pesce. Ritornato, riferisce al padre sulla fatica invano spesa. Egli rimproverò il disobbediente, chiedendogli perché non si era recato al luogo che gli era stato indicato. E disse di nuovo : ' Va presto e recati al posto che ti è stato indicato '. Appena giuntovi gettò la rete contro e onde e la rete si riempì di così grande abbondanza di pesci che a stento per la quantità si poteva tirare. Il suddetto Gallo spesso ci ha narrato queste cose. 13. Un'altra volta si tratteneva nella suddetta grotta della roccia, dalla quale aveva cacciato l'orso. Per lungo tempo ivi iveva mortificato il corpo con la preghiera e il digiuno, quando venne a conoscere, per rivelazione, che i monaci che si trovavano a Luxeuil erano tormentati da malattie varie e che ne erano rimasti sani solamente alcuni per curare gli ammalati. Uscito dalla grotta andò a Luxeuil; pur vedendoli tutti prostrati, comandò che tutti si alzassero per battere il frumento nell'aia con le verghe. Si alzarono dunque coloro che erano ardenti del fuoco dell'obbedienza e recandosi sull'aia si accinsero a battere la messe con l'aiuto della fede. Vedendo il padre che nei figli abbondava la fede e la virtù dell'obbedienza disse : 'Permettete di sollevare dalla fatica le membra spossate dalla malattia'. I monaci che avevano obbedito si meravigliarono della guarigione, dato che non rimaneva alcuna traccia di dolore; egli comandò di apprestare le mense perché tutti si ristorassero con copiosa gioia. Poi furono rimproverati i disobbedienti, venne ripresa la tiepidezza della loro fede, venne rinfacciata la lunghezza della malattia. Mirabile vendetta! Infatti per oltre il giro di un anno l'afflizione della malattia scosse tanto violentemente i disobbedienti che a stento riuscirono a sfuggire alla morte. La misura della penitenza fu corrispettiva al tempo passato nella disobbedienza. 14. Intanto era giunto il tempo che le messi dovevano essere riposte nei granai, mentre la forza dei venti non cessava affatto di ammassare le nubi. Urgeva invero la necessità, affinché le spighe della messe matura, germogliando, non andassero a finire in paglia. Si trovava l'uomo di Dio presso il cenobio di Fontaines dove pure la nuova campagna aveva dato un abbondante raccolto di messi. Irrompevano i soffi dei venti con violente piogge e le nubi del cielo non cessavano affatto di versare acqua sulla terra. Con il cuore in ansia l'uomo di Dio pensava intensamente che cosa dovesse fare in questa situazione. La fede gli rese pronta la mente e gli insegnò ad ottenere quello che era opportuno: egli fece venire a sé tutti e diede ordine di tagliare la messe. Quelli si meravigliarono dell'ordine del padre, tuttavia nessuno gli rivela il suo pensiero. Tutti vanno e con la falce, sotto un diluvio di pioggia, tagliano la messe e intanto stanno a vedere che cosa faccia il padre. Egli dispone quattro uomini pieni di pietà ai quattro angoli della messe: Cominino, Eunoco ed Equonano irlandesi e il quarto, Gurgano, brettone. Dopo aver così disposto costoro, egli stesso, in mezzo, insieme con gli altri, si mise a tagliare messe. Mirabile potenza! La pioggia si allontanava dalla messe e l'acqua si disperdeva un po' da tutte le parti; l'ardore del sole bruciava soltanto i mietitori che erano nel mezzo e un'aria molto calda soffiò fino a che ebbero riposto la messe, così la fede e la preghiera meritarono, allontanata l'acqua, di avere il caldo in mezzo alle piogge. 15. C'era in quel tempo un capo di nome Waldeleno il quale governava le genti che abitano tra la cinta delle Alpi e le campagne dei monti del Giura. Questi non aveva figli, affinché, come dice Giovenco di Zaccaria ed Elisabetta: il dono fosse loro più gradito quando ormai disperavano. Waldeleno con la sua sposa di nome Flavia, nobile per stirpe e per saggezza, si recò dalla città di Besançon al beato Colombano e insieme lo supplicarono di pregare per loro il Signore: gli dissero che erano forniti di molti beni di fortuna, ma non avevano un erede cui lasciare l'eredità dopo la morte. Ad essi l'uomo santo: ' Se — disse — fate voto di consacrare il dono del Benefattore al suo nome e di consegnarlo a me per il battesimo, io implorerò Dio per voi, affinché non solo abbiate quello che votate al Signore, ma, dopo il pegno, ne abbiate quanti vorrete. Essi promettono con lieto animo di obbedire ai suoi comandi, purché non cessi di implorare per loro la misericordia del Signore. L'uomo, ricolmo dei doni di Dio, promise e disse di essere disposto; non cercassero però di violare il patto stipulato. Mirabile a dirsi! Sono appena tornati a casa e la futura madre, incinta, aspetta il dono del Creatore. Dopo averlo dato alla luce lo portò all'uomo di Dio, gli mostrò il dono largito in virtù delle sue preghiere, ringraziò il Creatore che in tal modo largisce, se i suoi servi lo pregano, i doni richiesti. Il santo lo prese e lo consacrò con le sue mani e lo purificò egli stesso al sacro fonte. Gli mise nome Donato e lo restituì alla madre da allevare. Dopo che fu educato nello stesso monastero, questi, imbevuto di sapienza, fu consacrato vescovo di Besançon ed è ancora vivente e regge la stessa cattedra. Egli in seguito, nello spirito di amore per San Colombano, costruì, secondo la sua regola, un monastero maschile chiamato Palazzo per la salda difesa delle sue vecchie mura. Dopo di lui il Largitore delle bontà aggiunse, secondo la promessa del suo servo, un altro figlio di nome Cramelo il quale, segnalandosi per la nobiltà e la sapienza, dopo la morte del padre gli succedette nella carica, e benché fosse in abito secolare, tuttavia fu zelante nell'amore verso il Creatore. Anch'egli infatti, nello spirito d'amore per il beato Colombano, costruì nella foresta del Giura, sul torrente Novisona, un monastero secondo la sua regola e vi mise a capo, come abate, Siagrio. Il Creatore aggiunse poi al dono precedente due figlie, nobili nella vita terrena e timorose di Cristo. Dopo questi doni la loro madre Flavia, morto il marito, edificò un monastero di vergini nella suddetta città di Besançon corroborandolo con ogni mezzo di protezione e raccolse una comunità di molte fanciulle. Tanto efficace era su di esse l'influenza dell'uomo di Dio, che, disprezzando tutti gli onori della vita presente, aspiravano ardentemente al culto dell'Onnipotente. 16. Ma se noi cerchiamo di introdurre nella nostra narrazione alcuni fatti che possono sembrare di poca importanza agli uomini, saremo forse esposti ai latrati dei denigratori; tuttavia la generosità del Creatore assiste con uguale misericordia nelle piccole cose, come nelle più grandi; e nelle piccole non indugia a prestar orecchio pietoso, come nelle grandi esaudisce i voli di coloro che lo pregano. Un giorno dunque quell'uomo straordinario, Colombano, andò con i suoi frati a mietere in un podere chiamato ' Bagnarizia '. Spirava un venticello dolce e piacevole e, mentre mietevano, uno di essi di nome Teodegislo, con la falce si tagliò un dito, che non rimase attaccato se non con un sottile lembo di pelle. L'uomo di Dio, vedendo da lontano Teodegislo fermo, in piedi, gli ordinò di continuare e di condurre a termine con i confratelli il lavoro iniziato. Ma quegli dichiarò il motivo per cui si era fermato. Il beato Colombano corse da lui e immediatamente restituì al dito la precedente integrità, dopo averglielo bagnato con saliva. Gli comandò quindi di ritornare subito con rinnovate energie al lavoro che aveva iniziato. Teodegislo, lieto, raddoppiò le forze e si spinse con più ardore davanti a tutti a tagliare il grano. Lo stesso Teodegislo ci narrò questo episodio e ci mostrò il dito. E nel sopraddetto cenobio di Luxeuil un'altra volta fece qualche cosa di simile. Infatti uno dei parrocchiani, un presbitero chiamato Winioco, padre di Boboleno, che ora è a capo del cenobio di Bobbio, andò dal beato Colombano; si trovava egli nel bosco con i suoi frati per procurarsi della legna. Arrivò colà il predetto Winioco e, mentre osservava meravigliato con quanta forza, con cunei e colpi di mazza, spaccavano un tronco di quercia, un cuneo, schizzato dal tronco, gli provocò una profonda ferita in mezzo alla fronte; il sangue sgorgava a fiotti dalle vene. Colombano, vedendo l'osso scoperto, il sangue che scorreva, immediatamente si inginocchiò in terra pregando e quindi, rialzatosi, risanò la ferita, dopo averla bagnata con saliva; rimase appena una piccola cicatrice. Un'altra volta nel cenobio di Luxeuil il beato Colombano, ncntre andava a mangiare, depose sopra una pietra, che era lavanti alla porta del refettorio, quei tegumenti delle mani che i Galli chiamano 'wantos', da lui usati durante i lavori. Appena tornata la quiete, un corvo rapace volò colà, ne prese uno col becco e se lo portò via. Terminata l'ora della refezione l'uomo di Dio uscì e cercò i guanti. Mentre tutti si chiedevano chi potesse averli presi, l'uomo santo disse che nessun altro essere, senza permesso, avrebbe osato toccare qualche cosa, se non l'uccello che, mandato fuori dall'arca do Noè, non era più ritornato. E aggiunse che quello non avrebbe più potuto nutrire i suoi piccoli, se non avesse riportato immediatamente il mal tolto. Attendono i frati; il corvo vola in mezzo a tutti, riporta con il becco il guanto rubato e non tenta neppure di sottrarsi con pennuta fuga, ma, mansueto, alla presenza di tutti, dimentico della sua selvatichezza, aspetta il castigo; l'uomo santo gli comanda di andarsene. O mirabile virtù dell'eterno Giudice! Egli concede tante grazie di suoi servi che si segnalano non solo per gli onori degli uomini, ma anche per l'obbedienza degli uccelli. Infatti abbiamo conosciuto questi fatti da Agnoaldo, vescovo di Laon, che poi fu suo seguace e ministro. Egli testimoniava di aver spesso visto che il beato Colombano, mentre passeggiava nell'eremo, libero da impegni, in digiuno e in orazione, era solito chiamare a sé gli animali selvatici e gli uccelli. Essi venivano immediatamente ai suoi ordini ed egli li toccava, accarezzandoli con la mano. Così gli animali e gli uccelli lieti, giocando con grande gioia, saltellavano, come i cagnolini sono soliti far festa ai padroni. E l'uomo sopraddetto testimoniava anche di aver visto spesso quell'animaletto dagli uomini comunemente detto 'exquirium’, chiamato dalle cime più alte delle piante andargli in mano, sul collo, entrargli in seno ed uscirne. 17. Fu compiuto poi un altro miracolo. Avvicinandosi l'ora della refezione e dovendo il dispensiere servire la cervogia, — la quale viene prodotta dalla fermentazione del frumento o dell'orzo e viene usata anche da tutti gli altri popoli della terra, eccettuati gli Scordisci e i Dardani, ma soprattutto dalle genti che abitano presso l'Oceano, cioè nella Gallia, nella Gran Bretagna, nell'Irlanda, nella Germania, e dalle altre che hanno costumi simili a queste, — porta al celliere un recipiente che chiamano ' tiprum '; egli lo mette vicino alla botte nella quale era conservata la cervogia; toglie la spina di chiusura e la cervogia fluisce nel ' tipro '. Improvvisamente un Irate, per ordine del padre, lo chiamò. Il celliere, prontissimo all'obbedienza, dimenticando di chiudere l'apertura dalla quale fluiva il liquido, andò di corsa dal beato Colombano, portando in mano la spina che chiamano ' ducicum '. Dopo che l'uomo di Dio gli ebbe manifestato ciò che voleva, il frate, ricordandosi della sua dimenticanza, corse in cantina, pensando che nella botte, dalla quale usciva la cervogia, non fosse rimasto più niente. Si accorse invece che la cervogia si era accumulata sopra il ' tipro ' e che non se n'era sparsa neppure una goccia ; si sarebbe potuto credere che il recipiente si fosse raddoppiato in lunghezza, che cioè fosse cresciuto in altezza tanto quanta era la misura della circonferenza. Quanto grande era la virtù di colui che comandava, quanto grande l'obbedienza di colui che eseguiva gli ordini! Così il Signore ha voluto impedire la tristezza di entrambi, affinché nessuno dei due, né colui che aveva comandato, né colui che aveva obbedito, dovesse rinunciare ad una lecita bevanda, se, a causa del loro ardore, fosse diminuita la razione di cervogia dei frati. Il giusto Giudice li soccorse per lavare le colpe di entrambi, perchè, se per caso, permettendolo il Signore, si fosse avuto quel danno, l'uno e l'altro avrebbe sostenuto che era avvenuto per colpa propria. 18. Nel medesimo tempo l'uomo di Dio, mentre passeggiava, amante com'era della solitudine, fra i boschi folti di viburni, che si trovano presso il podere denominato ' Fredemongiacas ', vide che un orso voleva divorare un cervo ucciso da lupi feroci; ne leccava il sangue e ne aveva già mangiato una piccola parte. L'uomo di Dio si avvicinò alla belva, gridandole di non rovinare la pelle che era necessaria per le calzature. Allora la bestia, deposta la sua ferocia, contro la sua natura, senza alcun mugolìo, cominciò ad essere mite, quasi carezzevole, abbassò il collo e abbandonò il cadavere del cervo. L’uomo di Dio, ritornando presso i suoi frati, riferì il fatto e comandò loro di andare in quel luogo e di scuoiare l'animale. Andarono dunque i frati e trovarono il cadavere del cervo circondato ad una certa distanza da una gran moltitudine di uccelli rapaci, che tuttavia non osavano avvicinarglisi per la proibizione dell'uomo di Dio. Aspettarono a lungo da lontano se, o la fiera o gli uccelli, si lasciassero audacemente tentare dal desiderio dell'esca proibita e cercassero di prendere la preda; si accorsero che si avvicinavano un poco, attratti dall'odore del cadavere, ma poi, ancora lontani, come se vi fosse stato qualche cosa di mortifero, si allontanavano velocemente, trascurando la belva uccisa. 19. Trovandosi un'altra volta il beato Colombano presso Luxeuil, Winioco, il presbitero già ricordato, andò da lui e seguiva i suoi passi dovunque egli andasse; giunsero al granaio, dov'era conservato il frumento. Winioco osservò, e giudicando la provvista troppo scarsa, disse che non si aveva pane sufficiente per alimentare una così grande moltitudine di persone e anzi si mise a gridare, perché c'era troppa pigrizia nel cercare il frumento. Il beato Colombano gli rispose: 'Se i popoli serviranno il loro Creatore, come è prescritto, non soffriranno mai la fame in nessun tempo. Così infatti canta la voce del Salmista: Non ho mai visto il giusto abbandonato, né il figlio di lui accattare il pane. Riempie di frumento il granaio molto facilmente Colui che con cinque pani saziò cinquemila persone'. Rimase ivi Winioco per quella notte, e per le preghiere dell'uomo di Dio il granaio fu riempito. Il mattino Winioco, alzatosi, passò presso il granaio; lo vide inaspettatamente aperto; il portinaio stava davanti alla porta; gli chiese chi avesse mandato tutta quella roba e quanti carri avessero portato tutto quel frumento. Il guardiano del granaio gli rispose: 'Non è così come tu pensi; guarda se vedi orme di giumenti o tracce di carri sulla strada. Le chiavi sono sempre rimaste presso di me questa notte, ma, pur essendo la porta chiusa, il granaio è stato riempito di frumento per grazia di Dio '. Winioco a bella posta cominciò a scrutare attentamente, con minuzioso esame, la terra per scoprire la verità; ma non avendo assolutamente trovato traccia dei portatori, disse : ' Può Dio preparare la mensa ai suoi servi nel deserto '. 20. Trascorso quindi un breve periodo di tempo, il medesimo beato Colombano andò nel cenobio di Fontaines e trovò sessanta frati che sarchiavano la terra e, sminuzzando le zolle, preparavano il campo per la semina futura. Avendoli visti frangere le zolle con grande fatica, disse: 'Il Signore vi mandi la refezione, o fratelli'. Il dispensiere, avendo udito quelle parole, osservò: 'Padre, non abbiamo altro che due pani e un po' di cervogia '. E quegli : ' Va — disse — portali qui '. Andò il frate a grandi passi e portò i due pani e quella poca cervogia. Alzando gli occhi al cielo, Colombano disse : ' O Cristo Gesù, unica speranza del mondo, tu moltiplica questi pani e questa bevanda, tu che con cinque pani hai saziato cinquemila persone nel deserto '. O fede sublime ! Tutti mangiarono e bevvero a sazietà; il dispensiere raccolse due sporte di avanzi e raddoppiò la misura della cervogia; così capì che per ottenere i doni del divino aiuto serve più la fede che la disperazione, la quale di solito fa perdere anche ciò che si è ottenuto. 21. Un giorno, mentre l'uomo di Dio si trovava nel medesimo cenobio di Luxeuil, un frate, che si chiamava egli pure Colombano, colpito da gravi febbri e ridotto in fin di vita, chiedeva a Dio un felice trapasso. Stava ormai per esalare l'ultimo respiro, fidente nel celeste dono, che aveva cercato con il suo lungo e fedele servizio, quando vide vicino a sé un uomo circondato da una luce dorata, che gli si avvicinava e gli diceva: ' Non posso liberarti ora dal corpo, poiché sono trattenuto dalle preghiere e dalle lacrime del padre tuo Colombano '. Avendo udito queste parole il frate Colombano, agitato, come se si fosse svegliato dal sonno, cominciò a chiamare Teodegislo, che lo assisteva e del quale abbiamo parlato in precedenza, e gli disse : ' Affrettati, cammina, prega il comune padre Colombano di venire da me '. Andò quegli di corsa e trovò il padre Colombano in chiesa piangente; lo prega di recarsi immediatamente presso l'infermo. Andò subito e gli domandò cosa desiderasse. Egli, di rimando: ‘Perchè — gli disse — con le tue preghiere mi trattieni in questa vita piena di affanni? Sono qui presenti coloro che vogliono liberarmi, se non fossero trattenuti dai tuoi pianti e dalle tue preghiere. Liberami dalle catene di questa prigione, affinché mi si aprano i regni celesti '. Allora il padre Colombano, impressionato, toccato un segnale, comandò a tutti di avvicinarsi ; amministrò il Corpo di Cristo come viatico al moribondo e, dopo avergli dato l'ultimo bacio, sciolse i canti funebri. Era infatti il frate morto della stessa stirpe del beato Colombano e insieme erano venuti dall'Irlanda. 22. Era ormai cresciuta in ogni luogo, in tutte le province della Gallia e della Germania, la fama dell'uomo santo. Era lodato dalla bocca di tutti e da tutti era venerato, tanto che il re Teodorico, che regnava in quel tempo, andava spesso da lui e si raccomandava umilmente alle sue preghiere. Infatti re Sigiberto era stato fatto uccidere a tradimento presso 'Victoriacum', villa pubblica, che si trova non lontano da Arras, da suo fratello Ilperico, che a sua volta era perseguitato a morte da Sigiberto e che in quel tempo si trovava a Tournai. Dopo di lui prese lo scettro del regno suo figlio Ildeberto, con il consenso della madre Brunilde. Morto anche Ildeberto negli anni dell'adolescenza, regnarono i due figli di Ildeberto, Teodeberto e Teodorico, con la nonna Brunilde: Teodorico ebbe il regno dei Burgundi, Teodeberto quello d'Austrasia. Teodorico era dunque lieto di avere entro i confini del suo regno il beato Colombano. Andava spesso da lui, e allora l'uomo di Dio cominciò a rimproverarlo perchè continuava ad avere relazioni adulterine invece di sposarsi regolarmente, in modo che la sua prole nascesse da una regina onorata e non sembrasse piuttosto provenire da postriboli. A parole il re stava ormai per obbedire ai comandi dell'uomo di Dio e rispondeva che si sarebbe liberato da tutte le relazioni illecite, ma l'antico serpente entrò nell'animo della nonna Brunilde, una seconda Gezabele, e con l'aculeo della superbia la aizzò contro l'uomo di Dio, perchè vedeva che Teodorico ubbidiva a lui. Si struggeva infatti al pensiero che, se il re avesse allontanato le concubine e avesse messo a capo della reggia una regina, avrebbe limitato molto la sua autorità e la sua dignità. 23. Un giorno il beato Colombano andò da Brunilde. La donna si trovava allora presso la villa di 'Brucariacum'. Quando s'accorse che l'uomo di Dio era arrivato alla corte, gli condusse i figli di Teodorico, che erano nati da relazioni adulterine. Appena li vide, Colombano domandò che cosa volessero. Brunilde gli disse : ' Sono figli del re ; confortali della tua benedizione '. Ma egli rispose : ' Sappi che costoro non impugneranno mai lo scettro, perchè sono usciti da postriboli '. Quella, furente, allontanò i piccoli. L'uomo di Dio uscì dal palazzo reale; mentre varcava la soglia s'udì un gran fragore, che scosse tutta la casa e incusse in tutti un gran timore; tuttavia non frenò il furore di quella misera donna. Essa cercò in seguito di tramare delle insidie: mandò dei messi per impedire ai monaci di uscire dal monastero e comandò agli abitanti vicino al monastero di non concedere ospitalità ad alcun monaco e di non dare alcun sussidio. Vedendo il beato Colombano che gli era aizzato contro l'animo del re, si affrettò ad andare da lui, per vincere con i suoi ammonimenti l'avversione di quella misera donna ostinata; Teodorico si trovava allora presso ' Spissam' villa pubblica. Giunto colà ormai al tramonto del sole, annunciarono al re che vi era l'uomo di Dio, ma che non voleva entrare nel palazzo reale. Allora Teodorico disse : 'E' meglio onorare l'uomo di Dio provvedendolo di ciò che può aver bisogno, piuttosto che provocare l'ira di Dio offendendo i suoi servi '. Comandò pertanto di preparare tutto ciò che si riteneva opportuno, con apparato regale, e di mandarlo al servo di Dio. Andarono dunque i servitori e portarono le offerte, secondo il comando del re. Colombano, quando vide i cibi e le bevande servitegli con apparato regale, domandò che cosa volessero con ciò. Quelli dissero che cibi e bevande gli erano inviati dal re. Rifiutò tutto e disse: 'Sta scritto: L'Altissimo non accetta i doni degli iniqui; perchè non è giusto che la bocca dei servi di Dio si insozzi con i cibi di chi vieta ai servi di Dio l'ingresso non solo nelle case sue, ma anche in quelle degli altri '. Dette queste parole, tutte le stoviglie furono infrante, il vino e il sidro rovesciati per terra, tutte le altre cose disseminate qua e là. I servitori, spaventati, annunciano la cosa al re. Egli, sbigottito, appena spunta il giorno, con la nonna si reca in l'ietta presso l'uomo di Dio, gli domandano perdono di ciò che hanno fatto, ma promettono di correggersi in futuro. Rassicurato e soddisfatto per quelle promesse, il beato Colombano ritornò al monastero. Ma dopo non molto tempo sono violati tutti gli impegni assunti ; s'accrescono le difficoltà, il re commette i soliti adulteri. Udito ciò, il beato Colombano gli mandò delle lettere piene di rimproveri e lo minacciò di scomunica se non si fosse emendato subito. Brunilde nuovamente irritata per questi fatti, aizzò contro Colombano l'animo del re e si sforzò in ogni modo di farlo irritare. Pregò i grandi del regno e i leudi di aizzare essi pure l'animo del re contro l'uomo di Dio; incominciò a sollecitare i vescovi a denigrare, criticando la religione di Colombano, la regola che egli aveva dato ai suoi monaci perché l'osservassero. Obbedirono i cortigiani alle pressioni dell'infelice regina, eccitarono contro l'uomo di Dio l'animo del re e lo indussero ad andare da lui per investigare nulla sua religione. Il re pertanto andò a Luxeuil dall'uomo di Dio. Si lamentò con lui perché si allontanava dalle usanze della religione e non permetteva a tutti i cristiani l'ingresso nell'interno del suo monastero. Il beato Colombano, audace e fiero com'era, rispose al re che gli faceva tali osservazioni, che egli non aveva la consuetudine di aprire le porte delle abitazioni dei servi di Dio ai secolari e agli uomini estranei agli ordini religiosi; aggiunse che per questo motivo egli aveva preparato locali appositi e decorosi, ove potevano essere convenientemente accolti tutti gli ospiti. Il re rispose a queste parole : ' Se desideri ottenere i doni della nostra liberalità con l'aggiunta del nostro conforto e della nostra protezione, tutti dovranno avere libero ingresso in ogni luogo '. Rispose a sua volta l'uomo di Dio: 'Se tu vuoi tentare di violare ciò che l'finora è stato saldamente legato dai vincoli della regolare disciplina, sappi che non mi sostenterai né con i tuoi doni, nè con alcun sussidio. E se sei venuto in questo luogo per questo motivo, per distruggere cioè i cenobi dei servi di Dio e per macchiare la regolare disciplina, sappi che presto il tuo regno sarà distrutto dalle fondamenta e sarà sepolto con tutta la stirpe regale '. Gli avvenimenti successivi dimostrarono vera la profezia. Il re con temerario ardimento aveva già messo piede nel refettorio, ma spaventato da queste parole, in fretta si ritirò. Dopo ciò l'uomo di Dio assalì il re con violenti rimproveri. Teodorico, di rimando : ' Speri che io ti offra la corona del martirio; non sono tanto pazzo da commettere un simile delitto '. Aggiunse però che avrebbe preso una decisione più semplice ed efficace, in modo che colui che si era allontanato dai costumi di tutti i secolari, si decidesse a ritornare, per la medesima strada, colà d'onde era venuto. Ad una voce tutti i cortigiani dichiararono che essi non volevano avere in quei luoghi uno che non familiarizzasse con tutti. A quelle parole il beato Colombano rispose che egli non sarebbe uscito dal recinto del cenobio, se non trascinato fuori con la forza. Partì dunque il re, lasciando un nobile di nome Baudulfo. Costui, essendo rimasto in quel luogo, espulse l'uomo di Dio dal monastero e lo condusse in esilio presso la città di Besancon, fintanto che il re avesse deciso, con sua sentenza, ciò che voleva. Dimorando colà apprese che il carcere di quel luogo era pieno di condannati a morte in attesa dell'esecuzione. L'uomo di Dio si recò immediatamente nella prigione e, varcata la porta senza che nessuno l'ostacolasse, predicò ai condannati la parola di Dio e quelli promisero che, se fossero stati liberati, si sarebbero corretti e avrebbero fatto penitenza dei reati commessi. Dopo di che il beato Colombano comandò al suo ministro Domoalo, che abbiamo già ricordato, di prendere in mano le catene e il ferro con il quale erano uniti i ceppi e di tirare. Quegli lo prese, tirò e, come un frutto marcio, il ferro si spezzò. Comandò quindi ai condannati di uscire dal carcere, liberati dai ceppi, e compiendo l'ufficio dell'insegnamento evangelico, lavò i piedi e li asciugò con un asciugatoio. Comandò loro infine di andare in chiesa e di lavare le loro colpe con le lacrime e con il pentimento dei delitti commessi. Quelli si affrettarono e trovarono chiuse le porte della chiesa. Il tribuno dei soldati, avendo visto il prodigio di Dio e i ceppi dei condannati infranti per intercessione del beato Colombano, ed essendosi accorto che gli era rimaste solamente vuoto il carcere, cominciò a seguire con i suoi sol dati, come se si fosse svegliato improvvisamente dal sonno le orme degli evasi. Essi, vedendo avvicinarsi alle loro spalle le guardie e accorgendosi che le porte della chiesa erane chiuse, bloccati in uno spazio ristrettissimo, invocarono ansiosamente l'uomo di Dio perché li liberasse. Egli alzò la teste e pregò il Signore che non permettesse che fossero nuova mente incatenati coloro che con la sua virtù aveva liberate dai ferri. Senza indugio la bontà del Creatore aprì le porte chiuse con solidi catenacci, e permise l'ingresso ai poveretti che si trovavano in una situazione così difficile. Essi di corse entrarono in chiesa; le porte, dopo il loro ingresso, si richiusero sotto gli occhi dei soldati, senza l'intervento di mane umana, come se il portinaio le avesse improvvisamente aperte e subito richiuse con il catenaccio. Giunsero dunque il beate Colombano con alcuni suoi frati e il tribuno con i suoi soldati trovarono le porte chiuse; chiamarono il custode, di nome Aspasio, perché portasse le chiavi. Quando questi arrivò e cercò di aprire le porte con la chiave, disse che egli non avevi mai trovato chiuso più diligentemente. In seguito il tribune non osò più molestare in alcun modo i condannati che erano stati salvati per virtù divina. 24. Dopo di ciò l'uomo di Dio, vedendo che non era sorvegliato da alcuna guardia e che non era molestato da alcuno — tutti vedevano infatti ardere in lui la virtù di Dio e per tanto tutti si astenevano dal fargli ingiuria, per non essere corresponsabili di colpe, — una domenica salì sulla vetta d un monte assai scosceso. Tale infatti è la zona in cui si trova la città che, mentre il nucleo principale delle case si estende sullo spazioso fianco del monte, in declivio, le parti più in pendenza si ergono verso alte vette, che, tagliate da ogni parte, circondate dall'alveo del fiume Doubs, permettono nondimeno il passaggio ai viandanti. Ivi attese fino a mezzogiorno se qualcuno gli impedisse di ritornare al monastero. E poiché non trovò alcuna opposizione, con i suoi, passando in mezzo alla città, tornò al monastero. Brunilde e Teodorico, appresa la notizia, che cioè era ritornato dall'esilio, si adirarono più che mai. Comandarono ad una coorte di soldati di trarre fuori nuovamente con la forza l'uomo di Dio e di ricondurlo al precedente esilio. Giunti pertanto i soldati con un tribuno, perlustrarono i recinti del monastero, cercando l'uomo di Dio. Egli era seduto nell'atrio della chiesa e leggeva un libro. Pur essendo andati in quel luogo più volte e pur essendogli passati talmente vicino che qualcuno di essi inciampava nei suoi piedi e toccava con i suoi gli abiti di lui, come fossero accecati, non riuscivano a vederlo. Era uno spettacolo divertentissimo : egli, esultante vedeva quelli che lo cercavano e non era assolutamente visto da loro; essi non vedevano colui che era in mezzo a loro, mentre erano visti da lui. Venne anche il tribuno e, osservando da una finestra, vide l'uomo di Dio sedere lieto in mezzo ai soldati e leggere. E ammirando la virtù di Dio, disse : ' Perchè perlustrate tanto attentamente l'atrio della chiesa e non trovate colui che cercate? Il vostro cuore non sia ulteriormente ingannato dall'errore della follìa; non potrete infatti I covare chi è protetto dalla virtù di Dio. Abbandonate questo tentativo e affrettiamoci ad annunciare al re che non lo avete trovato. Si potè capire chiaramente che il tribuno non era venuto di sua volontà a far ingiuria all'uomo di Dio e pertanto aveva potuto avere lume per vederlo. Il tribuno e i suoi soldati annunciarono l'accaduto al re e alla regina; quelli, infuriatisi ulteriormente nella loro misera osi inazione, inviarono il conte Bertecario e insieme anche Baudulfo, che lo aveva espulso la prima volta, con un drappello di uomini, per ricercare più attentamente il beato Colombano. Giunti sul posto lo trovarono in chiesa, assorto nella preghiera e salmodiante con tutta la congregazione dei suoi frati e così gli parlarono : ' Uomo di Dio, te ne preghiamo, obbedisci agli ordini del re e ai nostri; esci di qui e vattene per quella strada che hai percorso dapprima per venire in queste contrade '. Ma egli, di rimando : ' Non credo di piacere al Creatore ritornando nuovamente al mio suolo natale che un giorno ho abbandonato per timore di Cristo '. Bertecario, vedendo che l'uomo di Dio non gli avrebbe in alcun modo obbedito, lasciati sul posto alcuni uomini, che avevano maggior fierezza d'animo, ripartì. Quelli che erano rimasti pregarono l'uomo di Dio che avesse misericordia di loro, che erano stati lasciati per compiere un'opera tanto spiacevole e che li aiutasse nel loro pericolo; perchè se non lo avessero cacciato con la forza, sarebbero andati incontro al pericolo di morte. Ma egli rispose che più volte aveva affermato solennemente che non sarebbe partito, se non fosse stato scacciato con la forza. Quelli, in mezzo a due pericoli, pressati da ogni parte dalla paura, toccarono il manto con cui era coperto; altri caduti in ginocchio, con le lacrime agli occhi, lo pregarono di perdonarli per la colpa di un così grave reato, poiché non agivano di loro spontanea volontà, ma per obbedienza agli ordini del re. Vedendo pertanto l'uomo di Dio che altri sarebbero incorsi in grave pericolo, se avesse voluto perseverare nella sua ostinazione, uscì fra i lamenti e il dolore di tutti. Furono scelti gli accompagnatori che non lo avrebbero abbandonato, finché non fosse uscito dai confini del regno. Fra questi vi era Ragomondo che lo condusse fino a Nantes; lo seguivano tutti i Irati, come se si trattasse di un funerale; infatti la tristezza aveva invaso il cuore di tutti. Il padre, preoccupato per la dispersione di tante membra, alzò gli occhi al cielo e disse: ' Eterno Creatore di tutte le cose, preparaci tu un luogo adatto, dove i tuoi servi possano servirti per tutti i secoli '. Consolò quindi tutto quanta la sua coorte, affinchè non perdessero la speranza, ma innalzassero grandi lodi all'Onnipotente Dio; disse che egli credeva che quegli avvenimenti non avrebbero provocato la dispersione sua e dei suoi, ma avrebbero offerto a possibilità di moltiplicare le schiere dei monaci. Chiunque infatti volesse seguirlo, andasse pure, con l'animo preparato sopportare con lui ogni ingiuria ; coloro invece che volessero rimanere nel sopraddetto cenobio, rimanessero tranquilli in quel luogo; presto il Signore avrebbe concesso soddisfazione alla loro infelicità. Ma poiché i monaci non volevano separarsi volontariamente dalla custodia del pastore, le guardie del regno li avvisarono che non avrebbero permesso che lo seguissero da quel luogo se non quelli che erano nati nella stessa terra di Colombano, oppure quelli che lo avevano seguito dalla Bretagna; gli altri, nati in Gallia, per ordine del re, sarebbero dovuti rimanere in quella terra. Vedendo il padre egregio che suoi figli erano separati da lui con la violenza, si raddoppiò I dolore suo e dei suoi monaci ; afflitto dal peso di così grave sopruso, pregò il Signore, consolatore di tutti, di prendere direttamente sotto la sua protezione coloro che erano stati separati da lui dalla ostinazione e dalla prepotenza del re. Fra questi l'uomo venerabile, che poi rimase abate del medesimo monastero, Eustasio, ministro e discepolo dell'uomo santo, venne strappato con la violenza da lui ; era attentamente vigilato da Miezio, suo zio, che era vescovo della chiesa lingonica. Partì pertanto quell'uomo santo, con alcuni suoi monaci, vent'anni dopo la fondazione di quell'eremo; attraverso il territorio di Besancon e di Autun giunse ad Avallon. Prima però che giungesse ad Avallon, lungo la strada gli andò incontro il palafreniere del re Teodorico e volle trafiggerlo con la lancia, ma all'improvviso, una degna punizione prevenne quell'anima malevola. Infatti, irrigiditaglisi la destra che egli aveva alzata contro l’uomo di Dio, la lancia gli cadde a terra davanti ai suoi piedi ; egli stesso invaso dal demone, si abbattè davanti ai passi del beato Colombano. Il quale, tenendo quel disgraziato colpito dalla sanzione divina in sua presenza, lo fece rimanere presso di sé il giorno e la notte. Il mattino seguente lo chiamò, lo curò col favore di Dio di quel male, quindi il palafreniere potè ritornare alle proprie occupazioni. Dirigendosi poi verso il fiume Cure il beato Colombano giunse alla casa di una donna nobile e religiosa, Teodomanda. Mentre si trovava in quella casa, gli si avvicinarono dodici uomini indemoniati ; erano furiosi e si rotolavano per terra ; l'uomo di Dio subito li curò con le sue orazioni. Nel medesimo giorno arrivarono al villaggio che chiamano 'Cora’; qui gli si avvicinarono cinque persone colpite da ossessione diabolica; furono subito sanate. Di lì si diresse ad Auxerre; quivi chiamò Ragomondo che lo guidava lungo il cammino che percorreva : ' Ricordati — gli disse — o Ragomondo, che entro tre anni avrete come signore quel Lotario che ora disprezzate '. E quegli : ' Perchè, o mio signore, mi dici queste cose? '. E il beato Colombano : ' Vedrai senz'altro quello che ho detto se sarai ancora in vita'. 25. Partito quindi da Auxerre vide un giovane, invaso dal demonio, corrergli incontro velocemente; aveva percorso venti miglia a corsa sfrenata. Vistolo, il beato Colombano si fermò fintanto che il giovane indemoniato gli giunse vicino; appena arrivato l'infelice cadde davanti all'uomo di Dio, lacerandosi. L'uomo di Dio lo curò con le sue orazioni e lo restituì risanato al padre. Quindi arrivò alla città di Nevèrs, per essere accolto su un'imbarcazione sulla Loira e restituito al lido britannico; lo precedevano e lo seguivano le guardie. Arrivati colà, mentre lentamente e con difficoltà salivano sull'imbarcazione, una delle guardie, preso un remo, colpì un monaco che era chiamato Lua, uomo santissimo e religiosissimo. L'uomo di Dio, vedendo che erano colpite le sue stesse membra in sua presenza, disse: ' Perchè, o crudele, aggiungi dolore al dolore? Non è forse sufficiente per la vostra rovina commettere il male di un delitto? Perchè colpisci le membra doloranti di Cristo? Perchè vuoi apparire crudele contro un mite? Perchè eserciti la crudeltà contro i mansueti? Ricordati che sarai colpito dalla divina sanzione in questo stesso luogo, nel quale furente hai percosso una delle membra di Cristo '. La punizione che presto seguì dimostrò che il castigo gli era stato predetto con assoluta esattezza. Infatti, ritornando un'altra volta, quella guardia ebbe occasione di passare nel medesimo porto; colpita per volere divino, affogò nel medesimo luogo in cui aveva percosso il monaco. Quale altro motivo poteva esserci, perchè il giusto Giudice rimandasse la punizione ad un tempo successivo, se non perchè gli occhi santi non fossero allora macchiati dalla vista della sua vendetta? Successivamente giunsero alla città di Orléans. Ivi, vedendo che, per ordine del re, non gli erano aperte le chiese, con grande tristezza, dovette attendarsi per un po' di tempo sulla riva della Loira. Poiché mancavano delle cose necessarie per il loro sostentamento, mandò in città due monaci per cercare almeno il vitto indispensabile; uno di essi era Potentino, il quale è ancora vivente e adunò nella regione Armo-ricana, nel suburbio della città di Coutances una comunità di monaci. Benché avessero percorso in lungo e in largo la città non trovarono niente, poiché il cuore di tutti era chiuso per Umore del re; stavano ripercorrendo la strada per la quale erano entrati in città, ma in una piazza incontrarono una donna forestiera, della stirpe dei Siri; la quale, avendoli visti, domandò loro chi fossero. Essi, esposta la verità della loro situazione, aggiunsero che avevano cercato i cibi indispensabili, ma che non avevano trovato assolutamente nulla. Quella soggiunse : ' Venite, o miei signori, alla casa della vostra ancella e prendete ciò che vi è necessario. Poiché anch'io sono forestiera, della lontana terra d'oriente '. Essi esultando, seguirono i passi della donna. Giunsero alla sua casa, dove sedettero su degli scanni, finché essa portò ciò che dovevano prendere. Vi era in mezzo a loro anche il marito della donna, cieco da lungo tempo; essi chiesero chi fosse. Essa rispose: 'E' mio marito, anch'egli, come me, di stirpe sira, che io conduco meco, poiché già da molti anni è privo della vista '. I due replicarono che, se fosse stato presentato al servo di Cristo Colombano, forse avrebbe potuto ricuperare la vista, mercè l'aiuto delle sue preghiere. Ma il cieco con la sua fede rinfrancò la speranza del dono promesso e, alzatosi, seguì i loro passi con una guida. Potentino disse dell'ospitalità di quelle persone verso i forestieri e non aveva ancor finito del tutto di parlare che arrivò il cieco e pregò l'uomo di Dio di restituirgli la vista con le sue preghiere. Vedendo il beato Colombano la fede dell'uomo, esortò tutti a pregare per il cieco; egli rimase a lungo prono sopra la terra, poi, alzatosi, toccò con la mano gli occhi dell'uomo e, dopo il segno della croce, gli restituì la vista tanto desiderata. Felice quegli per aver avuto la vista, ritornò a casa. Giustamente coloro che non avevano mancato di aver luce interiore verso i forestieri, non dovevano essere privi della luce esteriore. Così, in seguito, una turba di ossessi, invasati con furia orribile dai demoni, andarono dall'uomo di Dio per essere curati; venne loro data la salute largita dal Signore ; furono tutti curati dall'uomo di Dio in quel luogo. Il popolo della città, stupefatto per quei miracoli, sosteneva con i suoi doni, di nascosto, l'uomo di Dio ; non osavano però offrire apertamente alcuna cosa, essendo presenti le guardie, per non incorrere nell'ira del re. Quindi i monaci continuarono il viaggio intrapreso. 26. Navigando sulla Loira arrivarono alla città di Tours, dove il sant'uomo pregò le guardie di avvicinare l'imbarcazione al porto e di permettergli di andare al sepolcro del beato Martino confessore. Le guardie negarono il permesso, anzi fecero accelerare la navigazione, stimolarono i rematori perchè cercassero di oltrepassare il porto il più velocemente possibile, comandarono al pilota di tenere l'imbarcazione in mezzo all'alveo del fiume. Il beato Colombano, vedendo ciò, triste, alzò il volto verso il cielo, lamentandosi di dover sopportare tanto dolore da non aver neppure il permesso di vedere i sepolcri dei santi. Mentre dunque tutti si affrettavano, tosto si arrivò di fronte al porto e, come se si fossero gettate le ancore, l'imbarcazione cominciò a fermarsi e a dirigere la prua verso il porto. Poiché le guardie non erano capaci di opporsi, contro la loro volontà lasciarono andare la nave dove voleva. In modo straordinario, dal mezzo della corrente del fiume, come se volasse con le ali, l'imbarcazione giunse al porto ed, entratavi, aprì all'uomo di Dio la via dell'uscita. Egli ringraziò il Re eterno che non disdegnava di compiacere così ai suoi servi. Uscito, il beato Colombano andò al sepolcro del beato Martino ; là vegliò tutta la notte in orazione. All'alba del giorno successivo fu invitato da Leupario, vescovo di quella città ; non ricusò di andare da lui, soprattutto per concedere un po' di riposo ai suoi monaci, e si fermò quel giorno con il sopraddetto vescovo. Il beato Colombano, sedendo a mensa con lui durante l'ora della refezione ed interrogato perchè ritornasse in patria, rispose: 'Quel cane di Teodorico mi ha separato dai miei monaci '. Allora uno dei commensali, di nome Rodoaldo, che aveva sposato una zia del re Teodeberto, ina era tuttavia fedele a Teodorico, rispose umilmente all'uomo di Dio che era meglio che bevesse latte, piuttosto che assenzio. L'uomo di Dio gli disse: 'Capisco che vuoi mantenerti fedele al re Teodorico '. Quegli ammise che fintanto che avesse potuto avrebbe osservato la fede promessa. Il beato Colombano continuò : ' Se tu sei unito al re Teodorico da un patto di fedeltà, sarai felice di essere mandato da me come ambasciatore al tuo amico e signore. Riferisci dunque queste parole alle sue orecchie: che egli stesso e i suoi figli entro tre anni saranno scomparsi e che Dio sradicherà del tutto la sua stirpe '. L'uomo sopraddetto disse : ' Perchè, o servo di Dio, mi dici queste cose?'. Ed egli 'Non posso tacere ciò che Dio mi rivela perchè lo dica '. I popoli della Gallia tutti quanti seppero poi che ciò si era avverato e confermò in tal modo la profezia fatta precedentemente a Ragomondo. Terminato il pranzo l'uomo di Dio tornò alla nave e trovò i suoi afflitti da molta tristezza; domandò il motivo e venne a sapere che nella notte precedente avevano perduto, a causa di un furto, tutto ciò che avevano sull'imbarcazione e che era stato rubato anche l'oro che non aveva ancora distribuito ai poveri. Udito ciò il beato Colombano ritornò al sepolcro del beato Martino confessore e si lamentò dicendo che egli non aveva vegliato presso le sue spoglie perchè il santo permettesse che fosse fatto tale danno a lui e ai suoi frati. Immediatamente colui che aveva rubato il borsellino con l'oro cominciò a gridare fra atroci dolori del corpo e disse di aver nascosto l'oro in questo luogo e in quello. Vedendo ciò i suoi complici tutti quanti corsero e restituirono tutta la refurtiva; pregarono l'uomo di Dio di perdonarli di una colpa tanto grave. Quel miracolo incusse in tutti tanta paura che in seguito coloro che avevano udito quei fatti non osarono più assolutamente toccare le cose che appartenevano all'uomo di Dio, come se fossero tutte sacre. Dopo aver concesso gli aiuti necessari, Leupario salutò l'uomo di Dio. Arrivò felicemente sull'imbarcazione fino alla città di Nantes; ivi si fermò un po' di tempo. Un giorno in essa un mendico, davanti alla porta della cella nella quale stava chiuso l'uomo di Dio, chiedeva ad alta voce l'elemosina; egli chiamò il dispensiere e gli disse: 'Da' un po' di cibo a quel mendicante'. Il dispensiere disse di non aver pane, ma solamente un po' di farina. Il beato Colombano gli chiese: 'Quanto hai? '. Il dispensiere rispose che non aveva più di un moggio di farina. L'uomo di Dio replicò : ' Dà dunque tutto e non tenere niente per domani '. Obbedì il dispensiere e diede immediatamente tutto al povero, senza trattenere nulla per le comuni necessità. Digiunavano i frati già da tre giorni e non avevano nulla per sostenere le membra sfinite dal digiuno se non la grazia della speranza e della fede; improvvisamente sentono bussare con insistenza alla porta. Il portinaio chiede per quale necessità si disturbino i frati bussando tanto forte. Colui che bussava alla porta disse di essere mandato dalla sua padrona di nome Procula, la quale, per ispirazione divina, inviava viveri per l'uomo di Dio e per i suoi compagni che sostavano presso la città di Nantes. I viveri erano ormai vicino; aggiunse che egli era venuto avanti, affinchè preparassero i recipienti necessari; vi erano cento moggi di vino, duecento di frumento, e cento di orzo per fare la cervogia. Il portinaio va di corsa a riferire la cosa al padre. Egli: 'Lascia — disse — lo so; aduna la schiera dei frati, perchè tutti uniti preghino il Signore per la benefattrice e nello stesso tempo ringrazino il Creatore, che non manca di venire in aiuto ai suoi servi in tutte le necessità e quindi ricevano il dono offerto '. O mirabile bontà del Creatore! Permette che ci troviamo in stato di necessità per offrire in abbondanza i suoi doni ai bisognosi; permette che siamo tentati, per infiammare con maggiore ardore i cuori dei suoi servi verso di lui, venendoci in aiuto nella tentazione; concede ai crudeli di lacerare le sue membra, affinchè, intorno, la moltiplicazione dei risanati confermi il medico. Nel medesimo tempo un'altra donna nobile e religiosa, di nome Doda, mandò duecento moggi di frumento e cento di altri generi. Questa cosa suscitò un profondo sentimento di disdetta nel vescovo di quella città, di nome Sofronio, dal quale non poterono aver nulla, neppur in cambio, poiché egli non aveva ottenuto alcun dono. Mentre il beato Colombano sostava in quella città, andò da lui una donna con una sua figlia, invasate entrambe dal demonio. L'uomo di Dio, dopo averle viste, pregò per loro il comune Signore, le risanò e le rimandò alle loro case. 27. Dopo questi fatti, Sofronio, vescovo della città di Nantes, con il conte Teodoaldo, secondo l'ordine del re, si adoperavano per rimandare al più presto il beato Colombano in Irlanda con una nave. Ma l'uomo di Dio disse : ' Se è pronta la nave che mi deve portare in Irlanda, accolga tutta la suppellettile e i miei compagni; io, nel frattempo, su una barca percorrerò il corso della Loira fino al mare aperto '. Trovata quindi una nave che aveva portato merci degli Scotti, imbarcò tutte le suppellettili e i compagni. Mentre la nave si dirigeva ormai verso l'alto mare, spinta dai remi e col vento in favore, sopravvennero ondate impetuose, che la costrinsero a ritornare verso il lido e la spinsero a terra sulla costa piatta; cessarono allora i venti e il mare si placò nelle insenature. La chiglia rimase per tre giorni fuori delle acque. Allora il padrone della nave capì che era trattenuto per avere imbarcato le suppellettili e i compagni dell'uomo di Dio. Si decise infine a scaricare dalla stiva della nave tutto ciò che apparteneva all'uomo di Dio. Immediatamente sopraggiunsero le onde che trascinarono la nave in alto mare. Con meraviglia, tutti capirono che era volere di Dio che non si ritornasse più indietro. Pertanto l'uomo di Dio ritornò alla casa dove era stato prima, senza che ormai più nessuno gli impedisse di andare dove voleva ; ma piuttosto ciascuno, secondo le sue possibilità, l'onorava e lo soccorreva offrendogli le cose più necessarie. E non mancò la difesa, mentre per tutti c'era l'aiuto del Creatore; poiché non dormirà certamente Colui che copre Israele con l'ombra delle sue ali. Così appunto dimostra chiaramente, largendo tutto a tutti, per essere da tutti glorificato per i suoi doni. 28. Dopo essersi fermato un poco in quella città, andò dal figlio del re Ilperico, Lotario, che regnava sui Franchi di Neu-stria, i quali abitavano l'estrema regione della Gallia, verso l'Oceano. Invero Lotario aveva appreso quali e quante ingiurie l'uomo di Dio aveva dovuto subire da Brunilde e da Teodorico. Appena lo vide, lo accolse come un dono celeste ed esultante lo pregò di fermarsi, se avesse voluto, entro i confini del suo regno; egli lo avrebbe servito, assecondando ogni suo desiderio. Ma il beato Colombano disse che non si sarebbe fermato per nessun motivo in quei luoghi, sia perchè voleva estendere la sua peregrinazione, sia per non creare per il re alcuna occasione di inimicizie. Pertanto Lotario lo tenne presso di sé quanti più giorni potè e, ripreso da lui per alcuni errori, dai quali difficilmente la reggia va immune, Lotario promise che si sarebbe emendato, secondo il comando dell'uomo di Dio. Era infatti Lotario solerte nell'amore per la sapienza. Quindi ringraziava e ricompensava del dono che gli era stato fatto e che aveva desiderato. Mentre il beato Colombano si trovava presso Lotario, scoppiò una controversia fra Teodeberto e Teodorico. Erano in contrasto per i confini del regno ed entrambi mandarono ambasciatori a Lotario, chiedendo ognuno aiuto contro l'avversario. Lotario confidò la cosa all'uomo di Dio, chiedendogli se, a parer suo, avrebbe dovuto sostenere l'uno dei due, combattendo contro l'altro. Il beato Colombano, ripieno di spirito profetico, gli rispose : ' Tu non ascolterai nessuna delle due richieste; sappi che entro un triennio verranno in tuo potere i regni di entrambi '. Quando Lotario sentì dirsi tali cose con spirito profetico, non volle dare ascolto a nessuno dei due, ma aspettò fiducioso il tempo promessogli; in seguito ebbe il trionfo della vittoria. 29. In seguito l'uomo di Dio pregò Lotario di concedergli aiuto per poter giungere, se fosse stato possibile, attraverso il regno di Teodeberto, in Italia, valicando le Alpi. Gli furono dati degli accompagnatori che dovevano condurlo fino al re Teodeberto; messosi in viaggio arrivò alla città di Parigi. Quivi gli venne incontro sulla porta un uomo invaso dallo spirito immondo, il quale smaniava, si dilacerava, urlava. Con voce querula si rivolse all'uomo di Dio : ' Perchè sei venuto, uomo di Dio, in questi luoghi? '. Era ormai rauco, ansante, perchè già da un pezzo, da lontano gridava che si avvicinava l'uomo di Dio Colombano. Vistolo, l'uomo di Dio disse : ' Esci, pestifero, esci e non presumere di occupare a lungo i corpi purificati dal lavacro di Cristo ; cedi alla virtù di Dio e trema quando senti invocare il nome di Cristo '. Ma poiché quello resisteva ostinatamente e crudelmente con tutte le sue forze, il beato Colombano gli mise una mano in bocca e gli prese la lingua; comandò in nome di Dio allo spirito immondo di uscire. Allora, dibattendosi con forza orribile, tanto che il disgraziato poteva a mala pena essere trattenuto con legami, uscì, accompagnato da movimento viscerale e da vomito e diffuse tanto fetore sugli astanti, che essi credevano di poter più facilmente sopportare gli odori sulfurei. 30. L'uomo di Dio si diresse quindi verso la città di Meaux. Quivi si trovava allora un certo Agnerico, uomo nobile, commensale di Teodeberto, dotto, consigliere molto stimato del re e dotato della nobiltà della sapienza. Egli accolse l'uomo di Dio con grande letizia e gli disse che si sarebbe interessato perchè fosse ricevuto dal re; aggiunse che non sarebbero stati necessari altri intercessori fra i cortigiani. Agnerico, a differenza degli altri, voleva tenere presso di sé il più a lungo possibile l’uomo di Dio, per nobilitare la sua casa con la di lui dottrina; per questo l'aiutava. L'uomo di Dio benedisse pertanto la casa del suo ospite e, benedicendo la sua figlia di nome Burgundofara, che era negli anni dell'infanzia, la consacrò a Dio e di ciò parleremo più avanti, nel secondo libro. Partito di lì giunse ad una città chiamata 'Vunciacum’, che è situata sul fiume Marna. Ivi fu accolto da un uomo di nome Autario, la cui moglie era chiamata Aiga. I coniugi avevano due figli in età infantile, che la madre presentò all'uomo di Dio perchè li benedicesse. Egli, vedendo la fede della Madre, diede ai fanciulli la sua benedizione. Quando poi quelli divennero adulti furono molto benvoluti prima dal re Lotario, poi da Dagoberto; ma divenuti potenti e conseguita la gloria terrena, cominciarono a preoccuparsi di non perdere la gloria terna, per amore di quella terrena. Il maggiore di essi, di nome Adone, rinunciò ai suoi piaceri e quindi fondò il mona-tero di Jouarre, in cui si seguiva la regola del beato Colombano. Il più giovane, di nome Dadone, fondò a sua volta un altro monastero, in cui si seguiva pure la regola del beato Colombano, nella zona della Brie, sopra il torrente Ravoireau. l'uomo di Dio fu tanto aiutato dalla grazia che tutti coloro che benedisse arrivarono all'ultimo giorno perseverando nel buon culto. E ciò sia detto proprio a buon diritto, poiché coloro che egli di proposito ammonì, si rallegrarono in seguito i aver ottenuto veramente l'impunità e, giustamente, con aiuto di un così grande uomo, ebbe un supplemento della grazia largitaci colui che, abbracciando le sue dottrine, non olle poi deviare dalla retta via. 31. Quindi giunse presso Teodeberto. Il re, appena lo vide, esultante, lo accolse nel suo palazzo. Infatti già molti dei frati, dopo la partenza del beato Colombano, erano fuggiti da Luxeuil e Teodeberto li accoglieva come una preda sfuggita ai nemici. Teodeberto promise che avrebbe trovato per i servi di Dio, entro i confini del suo regno, delle località belle e adatte a soddisfare ogni loro esigenza, e aggiunse che c'erano da ogni parte popoli confinanti ai quali l'uomo di Dio poteva predicare. Questi rispose : ' Se mi offrirai il sostegno della tua promessa e la falsità non si opporrà alla promessa stessa, io mi fermerò un po' e cercherò di diffondere, se mi sarà possibile, la fede nei cuori delle genti vicine '. Quindi il re gli diede la facoltà di scegliere per il suo soggiorno il luogo che più piacesse a lui e ai suoi monaci, in qualunque parte volesse. Fu trovato il luogo che tutti ritenevano adatto, entro i confini della Germania, tuttavia vicino al Reno, una città un tempo in rovina, che chiamano ' Bricantia’. Ma non si può passare sotto silenzio ciò che è stato fatto dall'uomo di Dio, mentre navigava lungo il corso del Reno. Mentre un giorno navigavano, come abbiamo detto, lungo il corso del Reno, su di un'imbarcazione, giunsero ad una città che gli antichi chiamarono ' Maguntiacum’. Quivi giunti, i rematori che erano stati mandati per accompagnare l'uomo di Dio, gli dissero che essi avevano in città degli amici che avrebbero fornito loro le cose necessarie, poiché durante il lungo viaggio erano venuti a mancare i denari per comperare i generi indispensabili. L'uomo di Dio disse loro : ' Andate '. Quelli andarono, ma non trovarono nulla. Ritornati ed interrogati dall'uomo di Dio, risposero che dagli amici non avevano potuto ottenere nulla in alcun modo. Dopo queste parole, diss’egli : ' Permettete che vada un po' io da un mio amico '. Si meravigliarono quelli come mai potesse avere un amico in luogo dove non era mai stato. Egli, appena partito, si diresse alla chiesa; entratovi, inginocchiato sul pavimento, con una lunga preghiera, invocò il suo Signore, padre di misericordia. Immediatamente il vescovo di quella città, uscito a sua casa, andò in chiesa e, trovato il beato Colombano, domandò chi fosse. Egli disse di essere un forestiero. Il vescovo, di rimando : ' Se hai bisogno di prendere le cose necessarie per il sostentamento, va' a casa mia e prendi tutto ciò ti occorre '. Il beato Colombano ringraziò nello stesso tempo il Creatore che aveva ispirato il vescovo e il vescovo gli offriva il desiderato aiuto nelle sue necessità. Il vescovo lo pregò con insistenza e quasi gli comandò di prendere tutte le cose che gli abbisognavano; egli stesso mandò di corsa dei servitori alla nave ad avvisare i compagni del beato Colombano venire tutti quanti, lasciando solamente uno di guardia, a prendere tutto ciò che volessero. In seguito lo stesso vescovo era solito dire che tutto ciò non era avvenuto a caso e che da di allora egli non era mai stato così stupito nel concedere aiuto a qualcuno e che era andato in chiesa per ispirale divina, senza alcun altro motivo, ma solamente per servire il beato Colombano. Arrivarono quindi nella località prescelta. Visitandola imo di Dio disse che non piaceva al suo animo, ma promise tuttavia che si sarebbe fermato ivi un poco per diffondere ode tra quelle genti. Vi erano infatti vicini i popoli degli Svevi. Mentre soggiornava colà e peregrinava fra gli abitanti di quel luogo, seppe che essi volevano compiere un sacrificio profano e che avevano posto in mezzo un grande vaso, che comunemente chiamano ' cupam ' e che poteva contenere più o meno due moggi, pieni di cervogia. L'uomo di Dio si avvicinò a quello e chiese che cosa volessero farne. Gli risposero che volevano fare un sacrificio in onore del loro dio ' Vodano '. Il beato Colombano, udendo che si voleva celebrare quell'empio rito, soffiò dentro il vaso, il quale con orribile fragore, incredibilmente, si spezzò e si sminuzzò e, insieme con la cervogia, ne uscì fuori la forza malefica; si potè capire chiaramente che in quel vaso era nascosto il demonio, che per mezzo del liquido profano voleva impadronirsi delle anime dei sacrificanti. Vedendo ciò i barbari, stupiti, dissero che l'uomo di Dio aveva un fiato molto potente, dal momento che poteva infrangere un vaso rafforzato attorno con fasce. Egli li rimproverò con le parole del Vangelo, per farli desistere da quei sacrifici e comandò loro di ritornare alle loro case. Molti di essi allora persuasi dal sant'uomo e dalla sua dottrina, convertitisi alla fede di Cristo, ricevettero il battesimo ; molti altri, che pur già battezzati erano ricaduti nell'errore profano, furono ricondotti, come dal buon pastore, per mezzo dei suoi ammonimenti, al culto della dottrina evangelica e in seno alla Chiesa. 32. In quel tempo Teodorico e Brunilde erano infuriati non solo contro il beato Colombano, ma anche contro Desiderio, il santissimo vescovo della città di Vienne. Dapprima lo esiliarono e cercarono di perseguitarlo in ogni modo, in ultimo lo coronarono con la gloriosa corona del martirio. Dalla narrazione delle sue gesta, che possediamo, possiamo conoscere attraverso quali e quante avversità meritò di avere glorioso trionfo presso il Signore. Mentre il beato Colombano con i suoi si aggirava nei dintorni della città di Bregenz, venne un tempo di dura carestia. Ma benché mancassero gli alimenti, rimaneva intemerata e incrollabile la fede per impetrare dal Signore le cose arie. Tre giorni di digiuno avevano ormai estremamente indebolito i corpi, quando arrivò una quantità straordinaria di uccelli, come un giorno le quaglie avevano coperto l'accampamento degli Israeliti; la moltitudine degli uccelli riempì ogni Idi quel luogo. L'uomo di Dio capì allora che quei volatili lavano solamente su quella terra e non altrove, per soddisfare il bisogno di viveri suo e dei suoi monaci e solamente fatto che egli sostava in quel luogo. Comandò ai suoi di tutto di ringraziare e lodare il Creatore, quindi di prendere gli uccelli per cibarsene. Prodigio mirabile e sbalorditivo! Gli uccelli si lasciavano prendere, secondo gli ordini idre, e non tentavano neppure di volar via. Rimasero nella zona quegli uccelli, una vera manna celeste, per tre giorni, il quarto giorno un vescovo mandò al beato Colombano, dalle città vicine, una gran quantità di frumento, per ispirazione ma l'Onnipotente, che quando soffrivano la carestia mandato quei volatili, perché si sfamassero, appena il rifornimento di grano comandò alle schiere di uccelli di andarsene. Noi abbiamo appreso questi fatti dalla narrazione di Eustasio che in quel tempo, nel medesimo luogo, era sottomesso fra gli altri all'obbedienza dell'uomo di Dio; poiché non vi era stato nessun altro in quelle schiere che avesse riferito di aver visto prima tali generi di uccelli; ed erano così saporiti, che erano migliori delle vivande del re. O miracolo della potenza divina ! Quando mancano ai seguaci Cristo le vivande terrene, allora sono inviati ad essi i cibi del come è stato scritto di Israele: Diede ad essi il pane del cielo; quando poi arrivarono i beni della terra, furono ritolti quelli inviati dal cielo. Nello stesso tempo, mentre mortificava il corpo con il digiuno sotto uno scoglio nella vasta estensione dell'eremo e non prendeva per cibo, null'altro che i piccoli frutti della campagna che abbiamo ricordato in precedenza, si avvicinò a lui di nascosto un orso, con la solita voracità e cominciò a leccare i cibi indispensabili all'uomo di Dio e a portare via, qua e là, con la bocca, i frutti. Come arrivò l'ora della refezione, il beato Colombano mandò il suo ministro Agnoaldo a prendere la solita quantità di frutti. Quegli andò e vide l'orso aggirarsi fra i cespugli e i rovi della terra e prendere, leccandoli, i frutti. Ritornò indietro di corsa e riferì la cosa al padre, il quale gli comandò di andare e di lasciare per cibo una parte dei frutti alla fiera e di riservare per sé la parte rimanente. Andò pertanto Agnoaldo ed eseguì gli ordini del padre; divise con la verga i cespugli e i rovi che portavano i frutti e disse alla fiera di mangiare, secondo il comando dell'uomo di Dio, la sua parte e di riservare l'altra per l'uso dell'uomo di Dio. Mirabile obbedienza nella fiera! Per nessun motivo osò mai prendere cibi nella parte proibitale e cercò solamente il vitto nella parte dei cespugli assegnatale, finché l'uomo di Dio si fermò in quel luogo. Nel frattempo gli venne l'idea di recarsi nel territorio dei Veneti, che sono detti anche Slavi, di illuminare con la luce del Vangelo le loro menti cieche e di mostrare loro la via della verità, perchè dall'origine camminavano nella via dell'errore. E mentre stava preparandosi con le sue preghiere a compiere quel viaggio, gli apparve in visione un angelo del Signore e segnando un piccolo circolo, come si è soliti disegnare in breve la pianta di una città, gli mostrò la superficie della terra e gli disse : 'Vedi quante terre rimangono senza predicazione ; va’ a destra e a sinistra, dove preferisci, a cogliere i frutti della tua fatica’. Il beato Colombano capì allora che non era partito per diffondere la fede fra quelle genti e si fermò in luogo finché gli si aprisse la via per l'ingresso in Italia. 33. Frattanto scoppiò la guerra fra Teodorico e Teodeberto e ciascuno incrudelì contro il fratello fino al punto di volerne la morte; i popoli di entrambi si erano insuperbiti per la loro potenza. Allora l'uomo di Dio andò da Teodeberto e cercò di persuaderlo ad abbassare gli occhi che avevano incominciato ad essere pieni di arroganza e a farsi chierico ed, entrato nella chiesa, a sottomettersi alla santa religione, per non soffrire con i danni della presente vita, anche la perdita della vita eterna. Queste parole suscitarono il riso del re e degli i tutti, i quali affermarono che non avevano mai sentito che un merovingio, salito al trono, si fosse fatto volontariamente chierico. Mentre dunque tutti protestavano, il beato Colombano disse : 'Se non vorrà avere in alcun modo l'onore di essere chierico volontariamente, in breve tempo diventerà chierico contro il suo volere'. Pronunciate queste parole l'uomo di Dio ritornò nella sua cella, e presto gli eventi dimostrarono vera la sua profezia. Senza indugio Teodorico iniziò la guerra contro Teodeberto, lo vinse presso Toul e lo mise in fuga. Poco dopo, raccolto il grosso dell'esercito, lo insegue e, a sua volta Teodeberto, rafforzatosi con molti soldati, gli si fa incontro per combattere, presso la fortezza di Zülpich. Ivi, iniziato il combattimento, caddero innumerevoli falangi di uomini da entrambe le parti; infine Teodeberto fu vinto e fuggì. In quel tempo l'uomo di Dio si trovava nell'eremo, accontendosi della compagnia del solo suo ministro Agnoaldo. In quella stessa ora in cui si combattè presso Zülpich, l'uomo o stava seduto sopra il tronco ormai marcio di una quercia, leggendo un libro; fu preso da una sonnolenza improvvisa e vide ciò che avveniva fra i due re. Svegliatosi all'improvviso chiamò il suo ministro e gli narrò la sanguinosa battaglia dei re; sospirò per lo spargimento di tanto sangue umano. Il ministro con temerario ardimento gli disse : 'Padre mio, offri il suffragio delle tue preghiere per Teodeberto, affinchè riesca a sconfiggere il comune nemico Teodorico '. Il beato Colombano gli rispose : ' Mi dai un consiglio stolto e contrario alla religione. Poiché non è questa la volontà del Signore, che ci raccomandò di pregare per i nostri nemici; dipende ormai dalla volontà del giusto Giudice, ciò che deve accadere di essi '. Il ministro in seguito s'informò dell'ora e del giorno della battaglia; trovò che corrispondevano esattamente al momento in cui l'uomo di Dio aveva avuto la visione rivelatrice. Teodorico continuò ad inseguire Teodeberto ; il quale, tradito dai suoi, fu preso ed inviato alla nonna Brunilde. La nonna dopo averlo ricevuto, poiché essa parteggiava per Teodorico, lo costrinse a farsi chierico; ma dopo non molti giorni empiamente lo fece uccidere. 34. In seguito Teodorico, mentre si trovava presso la città di Metz, colpito per volere divino, morì per una grave infiammazione. Dopo la sua morte Brunilde mise sul trono, al suo posto, il di lui figlio Sigiberto. Pertanto Lotario, memore della profezia dell'uomo di Dio, raccolto un esercito, tentò di prendere il territorio del regno che doveva essere in suo potere; Sigiberto gli si fece incontro per combattere contro le formazioni nemiche. Lotario lo prese e lo fece uccidere; prese pure cinque suoi fratelli, figli di Teodorico con la proava Brunilde Fece uccidere ad uno ad uno i giovani. Brunilde dapprima fu fatta salire ignobilmente su un cammello e condotta in giro per essere mostrata ai suoi nemici; poi fu credelmente uccisa, legata alla coda di cavalli indomiti. Così fu completamente distrutta dalle radici la stirpe di Teodorlco e Lotario da solo s’impossessò di tre regni. In tal modo s'adempì la profezia beato Colombano nei riguardi di tutti: uno fu massacrato tutta la sua stirpe entro un triennio; l'altro fu costretto la forza a farsi chierico ; il terzo ingrandì i suoi territori, essendosi impadronito di tre regni. 35. Il beato Colombano avendo visto a sua volta, come abbiamo detto in precedenza, Teodeberto vinto da Teodorico, abbandonata la Gallia e la Germania, entrò in Italia dove fu accolto con molti onori da Agilulfo, re dei Longobardi. Questi diede facoltà di abitare nel territorio italiano in qualsiasi luogo desiderasse. Mentre il beato Colombano si trovava presso ano e voleva estirpare del tutto, con il cauterio delle Sacre scritture, gli errori degli eretici, e precisamente della perfidia ariana, contro i quali scrisse anche un libretto rifulgente di abile scienza, per volere di Dio un uomo di nome Giocondo andò dal re e gli disse che egli sapeva che nelle solitudini delle valli appenniniche c'era una basilica dedicata al beato Pietro, prinicipe degli apostoli, dove aveva sperimentato che si facevano miracoli, luoghi fertili, bagnati da acque abbondanti, ricche di pesci. La tradizione degli antichi denominava quel luogo 'Bobium', dal torrente che scorre in quel luogo; aggiunse che vi scorreva vicino un altro fiume di nome Trebbia. Annibale svernando sulle sue rive ebbe gravissime perdite di uomini, di cavalli, di elefanti. Il beato Colombano, andato colà e trovata dopo attente ricerche la basilica semidiroccata, la restaurò e la restituì al precedente decoro. Durante tale restaurazione apparvero mirabili prodigi del Signore. Infatti si tagliavano tronchi di abete in mezzo a scogli e a rocce scoscese, da dove era impossibile il trasporto con carri. Ebbene: l’uomo di Dio si recava in quei luoghi con i suoi e, in due o tre, ne permetteva il sentiero strettissimo, prendevano sulle spalle, in modo veramente straordinario, dei pesi immani; a volte un tronco che sulla terra piana non sarebbero riusciti a trasportare, nonostante ogni sforzo, neppure trenta o quaranta persone. E dove prima, nell'andata, a causa dell'asperità del cammino, potevano passare a stento, anche se liberi da ogni impaccio, ora, al ritorno, caricati del peso dei tronchi, passavano in fretta, tanto che, invertitesi le parti, coloro che portavano i pesi andavano allegri, con passi ben sicuri, come se passeggiassero e i pesi fossero portati da altri. L'uomo di Dio, vedendo pertanto un aiuto così straordinario, esortò i suoi a condurre a termine in letizia l'opera incominciata e, rassicurati nell'animo, a prepararsi a rimanere in quell'eremo ; disse che quella era la volontà di Dio. Restaurò quindi il tetto della basilica, le sommità dei muri in rovina e si preparò a costruire tutti quegli edifici che erano necessari ad un monastero. Nel frattempo Lotario, ricordatosi della profezia dell'uomo di Dio e vedendo che si era adempiuta nei suoi riguardi, fece venire presso di sé il venerabile Eustasio, che reggeva il monastero di Luxeuil in luogo del beato Colombano. Lo pregò devotamente di assumersi l'incarico di una legazione con pubblico aiuto e di prendersi come compagni degli uomini nobili a sua scelta, che fossero garanti della sua promessa : di andare quindi in cerca del beato Colombano e, in qualunque luogo lo trovassero, di esortarlo, con abile e devota opera di persuasione, a ritornare presso di lui. Si avviò quindi il venerabile discepolo, seguendo le orme del maestro. Dopo averlo trovato gli riferì le parole di Lotario. Visto Eustasio, il beato Colombano si rallegrò e mostrò la propria gratitudine per l'offerta fattagli. Trattenutolo alquanto presso di sé, lo esortò a ricordarsi della sua opera, ad istruire la comunità dei frati coi vincoli della disciplina, ad adunare una schiera di molte persone nel collegio di Cristo, ad educarle secondo la sua regola. Gli diede licenza di partire dopo questi avvertimenti e gli comandò di ritornare da Lotario, di cercare di convincere cortesemente il re che non riteneva assolutamente possibile ritornare indietro; di dirgli che lo pregava solamente di sostenere il suo aiuto e la sua protezione i suoi compagni che risiedevano a Luxeuil. Mandò al re lettere piene di amorevoli parole di consiglio e anche di rimprovero. Il re accolse lieto l'incarico graditissimo, come un pegno d'alleanza con l'uomo di Dio e promise che non si sarebbe mai dimenticato delle sue richieste. Si preoccupò infatti di proteggere in ogni modo il sopraddetto monastero; lo dotò di rendite annue, allargò da ogni parte i confini del territorio, secondo il desiderio del venerabile Eustasio e cercò in ogni modo di aiutare coloro che vi abitavano per amore di Dio. Di poi il beato Colombano, trascorso il giro di un anno, dopo aver vissuto una vita santa nel sopraddetto cenobio di Bobbio, rese al cielo la sua anima, sciolta dalle membra, il giorno 23 novembre. Se qualcuno volesse conoscere la sua vita e la sua opera, la troverà nelle sue parole. I suoi resti io sepolti in quel luogo, ove conservano tanta potenza, resi illustri da tanti prodigi, sotto la guida di Cristo, al quale è gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen. Termina la vita di San Colombano Abate.