EDITORIALE
Le novità normative in atto per migliorare il mercato del lavoro
Una serie di interventi utili per creare qualche buona occasione di lavoro per i giovani, ma che non
risolvono i problemi strutturali esistenti al momento nel mondo del lavoro. Potrebbe essere questo
in sintesi il giudizio sulle novità introdotte in materia di lavoro dal decreto legge 76/2013, convertito
con modificazioni, dalla Legge n. 99/2013, anche tenendo conto delle poche risorse a disposizione.
In questa prospettiva, gli interventi contenuti nel decreto rappresentano solo il primo passo della
strategia del Governo. Un secondo gruppo di interventi verrà definito una volta che le istituzioni
europee avranno approvato le regole per l’utilizzo dei fondi strutturali relativi al periodo 2014-2020 e
di quelli per la “Garanzia giovani” (la cd. Youth Guarantee). Peraltro, entro il prossimo mese di
ottobre, ogni Paese dovrà presentare alla Commissione Europea il proprio piano pluriennale per la
lotta alla disoccupazione giovanile, anche alla luce della definizione delle risorse del Fondo Sociale
Europeo, e per il miglioramento dei servizi all’impiego, la cui responsabilità è attualmente affidata
alle
Regioni
e
alle
Province.
Le ultime vicende, tuttavia, fanno vedere ancora più buia l’attività del governo, sempre che nei
prossimi giorni ci possa essere un esecutivo ancora in grado di lavorare.
LABLAW NEWS
Siamo lieti di comunicarvi che lo studio spagnolo Bufete Suarez De Vivero, nostro Partner con sedi
a Barcellona e Madrid – già membro della nostra struttura internazionale L&E Global Alliance,
(www.leglobal.org/) – è entrato in Band 1 nella prima edizione di Chambers & Partners, per quanto
riguarda
il
mercato
catalano.
COMPLIMENTI!
IN EVIDENZA
Sintesi delle principali novità apportate dalla Legge 99/2013
Il Decreto Legge n. 76/2013, convertito dalla Legge n. 99/2013, entrata in vigore lo scorso 23
agosto, ha introdotto importanti modifiche alla disciplina di alcuni istituti lavoristici, finalizzate, in
primis,
alla
promozione
dell’occupazione,
in
particolare
di
quella
giovanile.
Di seguito, pertanto, vengono illustrate in sintesi, le novità più significative alla luce anche dei
chiarimenti interpretativi forniti dal Ministero del lavoro.
Incentivi
all’assunzione
A decorrere dal 7 agosto 2013 è previsto un beneficio economico a favore dei datori di lavoro
che assumono con contratto di lavoro a tempo indeterminato, giovani di età compresa tra i 18 e
29
anni che
alternativamente
siano
privi
di:
- un
impiego
regolarmente
retribuito
da
almeno
6
mesi;
- un
diploma
di
scuola
media
superiore
o
professionale.
L’incentivo spetta:
per
le
assunzioni
a
tempo
indeterminato,
anche
parziale;
per
le
assunzione
degli
apprendisti;
- per le assunzioni a tempo indeterminato a scopo di somministrazione, sia essa a tempo
indeterminato che determinato: in merito, l’Inps ha precisato che l’incentivo non spetta durante i
periodi in cui il lavoratore non sia somministrato ad alcun utilizzatore. L’avvio di una nuova
somministrazione dopo un periodo di disponibilità, consente all’agenzia di godere nuovamente del
beneficio
fino
all’originaria
sua
scadenza
(Circ.
INPS
n.
131/2013);
- in caso di trasformazione a tempo indeterminato di un rapporto a termine, anche a scopo di
somministrazione.
L’incentivo è pari ad 1/3 della retribuzione mensile lorda ai fini previdenziali e, comunque, non
può
superare
l’importo
di
€.
650,00
mensili.
In caso di assunzione a tempo indeterminato l’incentivo spetta per 18 mesi; in caso di
trasformazione a tempo indeterminato di un rapporto a termine l’incentivo spetta per 12 mesi.
Apprendistato
Il Decreto demanda alla Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e Regioni l’adozione,
entro il 30.12.2013, di linee guida finalizzate alla nuova disciplina del contratto di apprendistato
professionalizzante per assunzioni effettuate entro il 31 dicembre 2015 da micro, piccole e medie
imprese; nell’ambito di dette linee guida, potranno (il condizionale è d’obbligo...) essere previste
delle deroghe alle norme contenute nel D.Lgs. n. 167/2011 (Testo Unico dell’apprendistato) con
riferimento:
- all’obbligatorietà della redazione del piano formativo individuale, per il quale è mantenuto
l’obbligo di forma scritta solo per la formazione volta all’acquisizione delle competenze tecnico –
professionali
e
specialistiche;
- alla registrazione della formazione e della qualifica professionale su un documento avente i
contenuti
minimi
del
modello
di
libretto
formativo;
- alla previsione che, per le imprese multi localizzate, la formazione avvenga nel rispetto della
disciplina della regione ove l’impresa ha la sede legale. In buona sostanza se tali deroghe fossero
adottate si potrebbe davvero fare un bel passo avanti nella semplificazione nell’utilizzo di tale
strumento.
Da segnalare che a partire dal 1° ottobre 2013, in assenza della adozione delle linee guida,
gli elementi di cui sopra trovano diretta applicazione in relazione alle assunzioni con
contratto
di
apprendistato
professionalizzante
o
contratto
di
mestiere.
Ancora, sempre in materia di apprendistato si segnala la disposizione di cui all’art. 9, c. 3 del DL
la quale stabilisce che successivamente al conseguimento della qualifica o diploma
professionale, allo scopo di conseguire la qualifica professionale ai fini contrattuali, è possibile
latrasformazione del contratto in apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere;
in tal caso, la durata massima complessiva dei due periodi di apprendistato non può eccedere
quella individuata dalla contrattazione collettiva di cui al decreto legislativo n. 167 del 2011. Tale
disposizione può trovare applicazione in relazione ai contratti di apprendistato per la qualifica o
diploma professionale in corso alla data di entrata in vigore del D.L. (28 giugno 2013) ed il cui
periodo formativo non sia ancora scaduto ma esclusivamente nell’ipotesi in cui il contratto
abbia individuato “la durata massima complessiva dei due periodi di apprendistato”.
Promozione
dell’occupazione
Il Decreto prevede una serie di misure tese a favorire l’occupazione giovanile nel
Mezzogiorno: tra tali misure, merita una speciale menzione lo stanziamento di 328 milioni di euro
per il triennio 2013 – 2015, destinati al finanziamento dei provvedimenti volti a favorire l’auto
imprenditorialità, la realizzazione di progetti promossi da giovani e da persone di categorie
svantaggiate per l’infrastrutturazione sociale e la valorizzazione dei beni pubblici, nonché per
favorire lo svolgimento di tirocini formativi rivolti a giovani che non lavorano, non studiano e non
partecipano
a
nessuna
attività
di
formazione.
Il Decreto istituisce, inoltre, all’art. 5, una nuova struttura presso il Ministero del Lavoro (la
“Struttura di missione” che opererà, in via sperimentale, sino al 31 dicembre 2015), volta a
promuovere la ricollocazione nel mercato del lavoro dei lavoratori beneficiari degli ammortizzatori
sociali in deroga e assicurare la tempestiva attuazione dal 1.1.2014, con adeguati criteri di
ripartizione delle risorse, delle misure relative alla “Garanzia Giovani”.
Modifiche
alla
Legge
n.
92/2012,
cd.
Riforma
Fornero:
Contratto
a
tempo
determinato
Di sicuro interesse per le aziende il Decreto riscrive, all’art. 7, la previsione relativa al primo
contratto a termine a-causale, demandando alla contrattazione collettiva, anche di secondo
livello, l’individuazione dei casi in cui è possibile fare ricorso a detta tipologia contrattuale e
abolendo il divieto di proroga di tale contratto. A differenza della precedente disciplina va pertanto
evidenziato
che
(v.
Circ.
Min.
Lav.
n.
35/2013):
- la durata massima di dodici mesi del contratto “acausale” è comprensiva di eventuale proroga;
- la disciplina eventualmente introdotta dalla contrattazione collettiva in materia di contratto
“acausale” va ad integrare quanto già previsto direttamente dal Legislatore. In tal modo i
contratti collettivi, anche aziendali, potranno prevedere, a titolo esemplificativo, che il contratto a
termine “acausale” possa avere una durata maggiore di dodici mesi ovvero che lo stesso possa
essere sottoscritto anche da soggetti che abbiano precedentemente avuto un rapporto di lavoro
subordinato.
Consapevole della erroneità della modifica introdotta con la Legge Fornero, a furor di popolo
vengono poi ripristinati i termini originari di intervallo tra un contratto a termine ed un
altro, c.d. stop and go, (10 o 20 giorni, a seconda che il precedente contratto abbia una durata
inferiore o superiore a 6 mesi): tali termini non trovano applicazione nei confronti dei lavoratori
impiegati nelle attività stagionali nonché in relazione alle ipotesi individuate dai contratti
collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di
lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Viene abolito l’obbligo di
comunicazione obbligatoria al Centro per l’Impiego per il caso di prosecuzione di fatto del
rapporto
oltre
il
termine,
introdotto
dalla
Riforma
Fornero.
Ancora viene prevista l’esclusione dal campo di applicazione del lavoro a termine, in relazione
alleassunzioni di lavoratori in mobilità ex art. 8, c. 2, L. n. 223/1991, salvo il rispetto della
disciplina relativa al principio di non discriminazione e ai criteri di computo: in merito, si
evidenzia che nel numero medio mensile vanno ricompresi tutti i lavoratori a termine
impiegati negli ultimi due anni sulla base dell’effettiva durata del rapporto di lavoro (e non
come prevedeva la precedente normativa, con la limitazione della durata fino a nove mesi: art. 8
D.Lgs.
368/2001
come
modificato
dall’art.
12,
L.
97/2013).
Infine, viene stabilito che la individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti
quantitativi di utilizzazione dell'istituto del contratto a tempo determinato da parte dei contratti
collettivi riguarderà anche il contratto acausale.
Collaborazioni
coordinate
e
continuative
a
progetto
Due sono le modifiche apportate: la prima, intervenendo sull’art. 61, comma 1, del D.Lgs. n.
276/2003 ha previsto che i due requisiti riferiti al progetto debbono coesistere e non essere
alternativi, ovverosia il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente
esecutivi e ripetitivi, che possono essere individuati dalla contrattazione collettiva. Viene inoltre
specificato che “se il contratto ha per oggetto un’attività di ricerca scientifica e questa viene
ampliata per temi connessi o prorogata nel tempo, il progetto prosegue automaticamente”.
Ancora, nell’elencare gli elementi che devono essere contenuti nel contratto, il D.L. elimina la
locuzione “ai fini della prova”: l’intervento acquista un valore sostanzialmente chiarificatore, atteso
che la giurisprudenza aveva già stabilito come l’assenza quantomeno della specificità del
progetto si traducesse nella assenza del progetto stesso, con le conseguenze di cui all’art. 69, c.
1, del D.Lgs. n. 276/2003.
Contratto
di
lavoro
intermittente
Viene stabilito con una previsione pare di carattere generale valevole per ogni tipo di contratto
intermittente, che i lavoratori possono essere utilizzati per prestazioni di lavoro intermittente per
non più di 400 giornate nell’arco di 3 anni solari; superato questo limite, il rapporto si trasforma
in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato. Tale disposizione si applica alle
prestazioni lavorative successive all'entrata in vigore del decreto (28 giugno 2013). Al datore di
lavoro che non comunica lo svolgimento di prestazioni di lavoro intermittente non viene applicata
la sanzione prevista, qualora risulti la volontà di non nascondere la prestazione stessa (ad es.
regolarità dei versamenti contributivi). Si evidenzia che il vincolo delle quattrocento giornate di
effettivo lavoro, per espressa previsione normativa, non trova applicazione nei settori “del
turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo”.
Procedura obbligatoria di conciliazione in caso di licenziamento presso la DTL
Sempre in merito ai correttivi apposti alla Riforma Fornero, viene ora giustamente specificato che
iltentativo obbligatorio di conciliazione avanti la Direzione Territoriale del lavoro non trova
applicazione in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto – con ciò
intervenendo su indirizzi oscillanti della giurisprudenza di merito (ne avevamo già dato conto nella
nostra precedente rassegna di giugno) e confermando l’orientamento già espresso dal Ministero
del lavoro – nonché in caso di licenziamenti per cambio di appalto, laddove una norma di natura
contrattuale prevede l’assorbimento dei lavori da parte dell’impresa subentrante, o in caso di
licenziamento
in
edilizia
per
fine
cantiere
o
fine
fase
lavorativa.
In merito, si segnala che recentemente il Ministero del lavoro ha precisato che la procedura
obbligatoria di conciliazione in caso di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, si applica
anche per le agenzie di somministrazione (Risp. Interp. n. 27/2013).
Distacco
e
contratto
di
rete
Altra novità da segnalare riguarda l’istituto del distacco: la nuova disciplina favorisce una
maggiore mobilità per i lavoratori, che possono essere distaccati presso le diverse imprese che
hanno stipulato un contratto di rete e permette, altresì, alle imprese legate da un contratto di rete
di avvalersi della “contitolarità” dei contratti di lavoro.
Stabilizzazione
di
associati
in
partecipazione
con
apporto
di
lavoro
Infine, la legge al fine di promuovere la stabilizzazione dell’occupazione, ha previsto che, nel
periodo compreso 1° giugno - 30 settembre 2013, le aziende possono stipulare con le
associazioni di lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale specifici
contratti collettiviche prevedano l’assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato di lavoratori già occupati, in veste di associati, con contratto di associazione in
partecipazione
con
apporto
di
lavoro.
Per le assunzioni sono applicabili i benefici previsti dalla legislazione per i rapporti di lavoro a
tempo indeterminato. Le assunzioni a tempo indeterminato possono essere realizzate anche
mediante contratti di apprendistato.
Altre
novità
Viene istituito un nuovo incentivo per l’assunzione a tempo indeterminato di disoccupati. In
particolare, è prevista la concessione di un contributo per l’assunzione di lavoratori disoccupati
che fruiscono dell’ASpI, pari al cinquanta per cento dell’indennità mensile residua che sarebbe
stata
corrisposta
al
lavoratore
se
fosse
rimasto
disoccupato.
Merita inoltre una speciale menzione sia l’estensione delle tutele contro le “dimissioni in
bianco” anche ai collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, ovvero con contratti di
associazione in partecipazione, sia la previsione che la solidarietà ex art. 29 D.Lgs. 276/03 per il
pagamento dei compensi e degli oneri contributivi si applica anche ai lavoratori impiegati con
contratti
di
natura
autonoma
(art.
9
del
decreto
in
esame).
Ancora, vengono rafforzate le tutele in tema di igiene, salute e sicurezza sul lavoro,
aumentando le ammende per contravvenzioni alle norme esistenti e chiarendo che tutte le
prestazioni, anche quelle basate su contratti di lavoro non subordinato, devono essere svolte nel
rispetto delle norme in materia di igiene, salute e sicurezza.
Attualità 1
La pronuncia della Corte di Appello di Milano 23 maggio 2013 in
merito al campo di applicazione del rito Fornero in materia di
licenziamenti
La Corte di Appello di Milano, con tale rilevante pronuncia, ha affermato la possibilità di azionare
un procedimento con il nuovo rito introdotto dalla Legge Fornero anche qualora si tratti di
accertare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con un soggetto terzo (nel caso di
specie,
un
committente
ma
un
domani
anche
una
società
utilizzatrice).
Come è noto, l’art. 1, comma 47 della L. 92/2012 ha previsto che “le disposizioni dei commi da 48
a 68 si applicano alle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi
regolate dall’articolo 18 della legge 20 maggio 1970 n.300, e successive modificazioni anche
quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro”.
Sulla base di tale disposizione normativa, nel caso di specie era stato proposto ricorso ex art. 1,
c. 48 e ss., L. n. 92/2012, per sentir accertare in via preliminare e principale la nullità del contrato
di appalto intercorso tra le parti e la costituzione, ex art. 29 D.Lgs. n. 276/2003, di un rapporto di
lavoro alle dipendenze della committente e, sulla base di accertamento, l’inefficacia del
licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato alla ricorrente dal datore di lavoro formale,
l’appaltatore; di conseguenza si chiedeva la reintegrazione ex art. 18 SL della ricorrente da parte
del
reale
datore
di
lavoro,
la
committente.
Il giudice di primo grado aveva dichiarato inammissibile il ricorso in quanto la domanda
preliminare e relativa all’imputazione della collaborazione lavorativa dedotta in giudizio in capo a
soggetto diverso da quello che risulta essere il formale datore di lavoro è frutto di una azione di
tipo costitutivo, ed in quanto tale è “esorbitante da mere problematiche relative alla
qualificazione dei rapporto”. Si legge, infatti, nell’ordinanza che la domanda avente ad oggetto
l'illegittimità del licenziamento e quella relativa all'imputazione del rapporto risultano del tutto
eterogenei tra di loro e sono non fondate su identici fatti costitutivi, potendo ritenersi, al più, che la
titolarità effettiva della collaborazione lavorativa in capo ad un soggetto diverso dal datore di
lavoro sia un possibile profilo di illegittimità (meglio, di inefficacia) dell'atto di recesso impugnato
con
il
ricorso.
La Corte, invece, ha così statuito “Quanto alla preliminare questione della ritenuta non
sussumibilità dell'accertamento dell'imputazione del rapporto di lavoro in capo alla Fondazione
nelle "questioni relative alla qualificazione del rapporto" ai sensi del comma 47 art 1 L 92/2012,
questo collegio non ritiene che la locuzione legale vada intesa come limitata ai soli casi in cui si
tratta di qualificare come subordinato un rapporto avente veste formale diversa, rilevandosi che la
domanda del lavoratore è sostanzialmente diretta a fare accertare la sussistenza del rapporto di
lavoro subordinato con il committente, sicché il fatto che si tratti di pronuncia costitutiva o che la
qualificazione del rapporto investa principalmente l'aspetto soggettivo (cioè l'imputazione del
rapporto) non appare ostativa all'applicazione del rito accelerato dettato dalla legge n. 92/2012.
Il comma 3bis dell'art. 29 del D. Lgs. 276/2003, introdotto dal D. Lgs. N. 251/2004 pone infatti
sul medesimo piano processuale il lavoratore impiegato in un appalto non genuino e
quello impiegato nell'ambito di una somministrazione irregolare, poiché nel caso in cui il
concreto atteggiarsi del rapporto tra appaltante e appaltatore non rientri nello schema lavoristico
del contratto di appalto come delineato dal comma 1 dell'art. 29 ci si trova in presenza di un
rapporto che simula tale istituto per celare una somministrazione di lavoro non autorizzata, ossia
di una situazione nella quale la scissione tra utilizzatore e titolare del rapporto di lavoro che
caratterizza le fattispecie tipizzate di deroga al rapporto di lavoro c.d. tradizionale, si configura
come
interposizione
illecita.
…Si tratterebbe pertanto (in astratto, per ciò che si dirà) di accertare, secondo la descrizione
dell'appalto di cui al citato art. 29 se esista il potere direttivo e l'assunzione del rischio di impresa
da parte dell’appaltatore, identificati dalla norma come indici di un appalto genuino, ossia di
svolgere una indagine non così dissimile (se non addirittura più snella) da quella richiesta per la
qualificazione del rapporto in termini di subordinazione, così da doversi concludere per
l’applicabilità
del
rito…”
In altre parole, la Corte ha sostenuto che tutte le volte in cui venga impugnato un licenziamento e
venga altresì contestata la qualificazione del rapporto (rectius la corretta imputazione del
rapporto) si potrà ricorrere al Rito Fornero. È inutile dire che se tale orientamento fosse
confermato potrebbe costituire un inutile svantaggio a danno degli utilizzatori nonché all'utilizzo
della somministrazione, adottando anche per tali soggetti il rito d’urgenza previsto dalla Legge
Fornero con tutte le sue implicazioni e complessità in luogo del normale procedimento ordinario
introdotto
con
il
ricorso
ex
art.
414
c.p.c.
Per un maggior approfondimento vedi articolo "Licenziamento del dirigente e termine di
impugnazione"
Attualità 2
L’Accordo sulla rappresentanza e la democrazia sindacale: una
svolta decisiva nelle relazioni industriali
Come tutti sanno lo scorso 31 maggio Confindustria e Cgil, Cisl e Uil hanno sottoscritto
unProtocollo d’intesa che dà attuazione all’Accordo Interconfederale del 28 giugno, in materia di
rappresentanza
e
di
rappresentatività.
A tale accordo hanno fatto seguito i recenti accordi tra AGCI, CONFCOOPERATIVE,
LEGACOOP e CGIL, CISL, UIL e quello tra CGIL CISL e UIL e dalla CONFSERVIZI, siglati
rispettivamente lo scorso 18 settembre e 1° agosto 2013, che ricalcano sostanzialmente la
disciplina
prevista
dall’accordo
interconfederale
di
maggio.
Pertanto, di seguito, riteniamo utile evidenziare come funziona il meccanismo
previstodall'accordo del 31 maggio che, oltre a definire le modalità con cui “pesare” le
organizzazioni sindacali, determina le regole con cui validare i contratti collettivi. Infatti il
Protocollo presenta due sezioni distinte, ma tra loro collegate, che individuano, da un lato, i
principi relativi alla misurazione della rappresentatività e, dall’altro, i principi relativi alla
contrattazione
collettiva.
Quanto ai principi in tema di misurazione della rappresentatività, individuati dal Protocollo, i
principali
sono:
- la rappresentatività delle organizzazioni sindacali è misurata sia con riferimento al dato
associativo (numero di deleghe) che al dato elettorale (voti ottenuti nelle elezioni delle RSU);
- la ponderazione dei due dati avviene effettuando la media semplice “con un peso pari al 50%
per
ognuno
dei
due
dati”;
disciplina
delle
RSU;
- superamento del cd. terzo riservato e passaggio ad un sistema interamente elettorale con voto
proporzionale;
- conferma dell’impegno del Protocollo del 1993 alla non costituzione di RSA;
rinnovo
delle
RSU
scadute
entro
sei
mesi;
- il cambiamento di appartenenza sindacale da parte di un componente la RSU ne determina la
decadenza dalla carica e la sostituzione con il primo dei non eletti della lista di originaria
appartenenza
del
sostituito;
- ove vi siano RSA, il passaggio alle RSU potrà avvenire solo se definito unitariamente dalle
Federazioni
aderenti
alle
Confederazioni
firmatarie
l'odierna
intesa.
Per quanto riguarda, invece, la contrattazione collettiva, si sono definiti principi ispirati al modello
delineato,
ma
mai
attuato,
dall’art.
39
della
Costituzione.
In questa logica, i principi in tema di titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva mirano a
favorire l’individuazione di soluzioni unitarie, volte a realizzare una semplificazione delle
procedure
di
rinnovo
dei
contratti
di
categoria.
L’obiettivo è quello di arrivare alla definizione di rinnovi dei ccnl che, oltre ad essere applicabili
alla generalità dei lavoratori, siano esigibili sia nei confronti dei sindacati di categoria che
sottoscrivono il contratto (e che esprimano il 50% +1 della rappresentanza) sia nei confronti di
quelli non firmatari il rinnovo ma appartenenti a organizzazioni che hanno sottoscritto l’odierno
protocollo.
Questi
principi
possono
essere
così
sintetizzati:
- titolarità: sono ammesse alla contrattazione collettiva nazionale le federazioni delle
organizzazioni sindacali con una rappresentatività almeno pari al 5% secondo le regole viste
sopra;
- piattaforma negoziale: le parti assumono un reciproco impegno verso la definizione di una
piattaforma unitaria. Da un lato, infatti, le organizzazioni sindacali si impegnano ad individuare le
modalità per la definizione della piattaforma e della delegazione trattante e, coerentemente, a
favorire la presentazione di piattaforme unitarie. Dal canto loro, le organizzazioni datoriali si
impegnano, in mancanza di una piattaforma unitaria, a favorire l'avvio della negoziazione sulla
base della piattaforma che sia presentata da organizzazioni sindacali con una rappresentatività
nel settore pari almeno al 50% + 1. Si tratta, quindi, di impegni reciproci ed interdipendenti;
- sottoscrizione:
sono
accordi
efficaci
ed
esigibili
quelli
che:
- prima della formale sottoscrizione siano stati sottoposti a sistemi di consultazione certificata dei
lavoratori a maggioranza semplice (le modalità della “consultazione certificata” saranno
autonomamente
definite
dalle
categorie
per
ogni
singolo
contratto);
- risultino successivamente sottoscritti in modo formale da organizzazioni sindacali dotate di una
rappresentatività
almeno
pari
al
50%
+1;
- esigibilità: gli accordi così sottoscritti si applicano all’insieme dei lavoratori ma, soprattutto,
sono pienamente esigibili nei confronti di tutte le organizzazioni sindacali confederali che abbiano
firmato il Protocollo d’Intesa e le rispettive federazioni. Pertanto tutte queste si impegnano “a non
promuovere
iniziative
di
contrasto
agli
accordi
così
definiti”.
A completamento di tale impegno, i contratti collettivi pienamente esigibili dovranno definire:
- clausole e/o procedure di raffreddamento finalizzate a garantire l’esigibilità degli impegni
assunti;
- le conseguenze di eventuali inadempimenti (sanzioni) sulla base dei principi stabiliti con il
protocollo: ossia eventuali sanzioni nei confronti delle organizzazioni che violino gli accordi.
Da ultimo, le parti firmatarie si impegnano a far rispettare i principi pattuiti anche nei confronti di
tutte le loro articolazioni territoriali e aziendali e, a tal fine, assumono anche l'impegno di
monitorare la puntuale attuazione di tali principi e di concordare modalità per definire eventuali
controversie sorte come conseguenza della loro concreta attuazione.
Sempre
in
materia
di
rappresentanza
sindacale,
è
doveroso
segnalare
la
recente sentenza dellaCorte Costituzionale dello scorso 3 luglio 2013 (le motivazioni sono
state depositate il 23 luglio), la quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 19, 1°
c. lett. b) della legge 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. 'Statuto dei lavoratori') nella parte in cui
non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale sia costituita anche nell'ambito di
associazioni sindacali che, pur non firmatarie di contratti collettivi applicati nell'unità produttiva,
abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti
dei
lavoratori
dell'azienda.
Appare chiaro che tale decisione ribalta l'indirizzo che la stessa Consulta aveva espresso nelle
precedenti numerose decisioni sull'argomento in oltre 40 anni di vigenza dell’articolo 19 Stat. lav.
nella sua attuale formulazione, contro la Fiat che, dal canto proprio, si era limitata – e non poteva
che
essere
così
ad
applicare
le
diposizioni
normative
in
essere.
È questo quanto sostiene la Consulta, con una sentenza potremmo dire di portata storica, in
risposta alle ordinanza avanzate dai Tribunali di Modena - ordinanza 4 giugno 2012, Vercelli ordinanza 25 settembre 2012 e Torino - ordinanza 12 dicembre 2012), su ricorsi della Fiom,
esclusa
dalla
Rsa,
contro
la
Fiat.
In extrema sintesi, secondo i Giudici remittenti il criterio selettivo di cui all’articolo 19 lett. b), che
considera quale unico presupposto per la costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali la
sottoscrizione di contratti collettivi applicati all’unità produttiva sarebbe apparso “irrazionale
perché indice inidoneo della effettiva rappresentatività delle associazioni sindacali, così da tradire
la ratio stessa della disposizione dello Statuto, volta ad attribuire una finalità promozionale e
incentivante dell’attività del sindacato quale portatore di interessi del maggior numero di
lavoratori, che trova un diretta copertura costituzionale del principio solidaristico espresso dall’art.
2 Cost. nonché nello stesso principio di uguaglianza sostanziale di cui al secondo comma dell’art.
3
della
Costituzione”.
Orbene, in risposte alle questioni sollevate, la Consulta ha collegato il diritto a nominare le Rsa
alla partecipazione alla negoziazione dei contratti collettivi poi applicati in azienda e ciò
indipendentemente dalla successiva ed effettiva sottoscrizione di tali accordi. Da sottolineare
come la Fiom, almeno dopo il 2010, non abbia volontariamente partecipato alle negoziazioni
aziendali diversamente da Fim e Uilm. In particolare, ad avviso dei Giudici de quibus, “… nel
momento in cui viene meno alla sua funzione di selezione dei soggetti in ragione della loro
rappresentatività e, per una sorta di eterogenesi dei fini, si trasforma invece in meccanismo di
esclusione di un soggetto maggiormente rappresentativo a livello aziendale o comunque
significativamente rappresentativo, sì da non potersene giustificare la stessa esclusione dalle
trattative, il criterio della sottoscrizione dell’accordo applicato in azienda viene inevitabilmente in
collisione con i precetti di cui agli artt. 2, 3 e 39 Cost. Risulta, in primo luogo, violato l’art 3 Cost.,
sotto il duplice profilo della irragionevolezza intrinseca di quel criterio, e della disparità di
trattamento che è suscettibile di ingenerare tra sindacati. Questi ultimi infatti nell’esercizio della
loro funzione di autotutela dell’interesse collettivo – che, in quanto tale, reclama la garanzia di cui
all’art. 2 Cost. – sarebbero privilegiati o discriminati sulla base non già del rapporto con i
lavoratori, che rimanda al dato oggettivo (e valoriale) della loro rappresentatività e, quindi,
giustifica la stessa partecipazione alla trattativa, bensì del rapporto con l’azienda, per il rilievo
condizionante attribuito al dato contingente di avere prestato il proprio consenso alla conclusione
di un contratto con la stessa (…)”. Una contraddizione rispetto al mandato di un sindacato. Il
modello disegnato dall’art. 19, infatti, ad avviso della Consulta, “condiziona il beneficio
esclusivamente a un atteggiamento consonante con l’impresa” o che ne presupponga l’assenso.
Ma è proprio qui che “risulta evidente il vulnus” rispetto all’articolo 39 della Costituzione, perché
emerge “il contrasto che, sul piano negoziale, ne deriva ai valori del pluralismo e della libertà di
azione della organizzazione sindacale”. L’effetto sarebbe “una forma impropria di sanzione del
dissenso” che andrebbe a condizionare la libertà del sindacato “in ordine alla scelta delle forme di
tutela ritenute più appropriate per i suoi rappresentati”, con l’implicito rischio, avverte la Corte, “di
raggiungere un punto di equilibrio attraverso un illegittimo accordo ad excludendum”.Come si
puntualizza più volte nella sentenza: “L'intervento operato dalla Consulta con la sua decisione,
non individua, e non potrebbe farlo, un criterio selettivo della rappresentatività sindacale ai fini
della tutela privilegiata di cui al titolo Terzo dello Statuto dei lavoratori in azienda nel caso di
mancanza di un contratto collettivo applicato nell'unità produttiva per carenza di attività negoziale
ovvero per impossibilità di pervenire ad un accordo aziendale”. Per i Giudici della Consulta: “A
una tale evenienza, si può dare risposta con una molteplicità di soluzioni, tra cui la valorizzazione
dell'indice di rappresentatività costituito dal numero degli iscritti, l'introduzione di un obbligo a
trattare con le organizzazioni sindacali che superino una determinata soglia di sbarramento,
l'attribuzione al requisito previsto dall'articolo 19 dello Statuto dei lavoratori del carattere di rinvio
generale al sistema contrattuale e non al singolo contratto collettivo applicato nell'unità produttiva
vigente, oppure il riconoscimento del diritto di ciascun lavoratore ad eleggere rappresentanze
sindacali nei luoghi di lavoro”. Conclude la sentenza: “L'opzione tra queste od altre soluzioni
compete
al
legislatore”.
Appare evidente che le conclusioni differenti cui sono pervenuti, oggi, i Giudici sono frutto del
mutato contesto delle relazioni sindacali e delle strategie imprenditoriali, nonché della stessa
evoluzione del quadro normativo e dell’assetto del sistema sindacale. Si auspica, dunque, così
come sottolineato dalla stessa Consulta, che si possa avere un intervento legislativo ad hoc sulla
rappresentanza dando piena applicazione della sentenza - che ponga la parola fine
alla querelle di questi anni.
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