EDITORIALE Le novità normative in atto per migliorare il mercato del lavoro Una serie di interventi utili per creare qualche buona occasione di lavoro per i giovani, ma che non risolvono i problemi strutturali esistenti al momento nel mondo del lavoro. Potrebbe essere questo in sintesi il giudizio sulle novità introdotte in materia di lavoro dal decreto legge 76/2013, convertito con modificazioni, dalla Legge n. 99/2013, anche tenendo conto delle poche risorse a disposizione. In questa prospettiva, gli interventi contenuti nel decreto rappresentano solo il primo passo della strategia del Governo. Un secondo gruppo di interventi verrà definito una volta che le istituzioni europee avranno approvato le regole per l’utilizzo dei fondi strutturali relativi al periodo 2014-2020 e di quelli per la “Garanzia giovani” (la cd. Youth Guarantee). Peraltro, entro il prossimo mese di ottobre, ogni Paese dovrà presentare alla Commissione Europea il proprio piano pluriennale per la lotta alla disoccupazione giovanile, anche alla luce della definizione delle risorse del Fondo Sociale Europeo, e per il miglioramento dei servizi all’impiego, la cui responsabilità è attualmente affidata alle Regioni e alle Province. Le ultime vicende, tuttavia, fanno vedere ancora più buia l’attività del governo, sempre che nei prossimi giorni ci possa essere un esecutivo ancora in grado di lavorare. LABLAW NEWS Siamo lieti di comunicarvi che lo studio spagnolo Bufete Suarez De Vivero, nostro Partner con sedi a Barcellona e Madrid – già membro della nostra struttura internazionale L&E Global Alliance, (www.leglobal.org/) – è entrato in Band 1 nella prima edizione di Chambers & Partners, per quanto riguarda il mercato catalano. COMPLIMENTI! IN EVIDENZA Sintesi delle principali novità apportate dalla Legge 99/2013 Il Decreto Legge n. 76/2013, convertito dalla Legge n. 99/2013, entrata in vigore lo scorso 23 agosto, ha introdotto importanti modifiche alla disciplina di alcuni istituti lavoristici, finalizzate, in primis, alla promozione dell’occupazione, in particolare di quella giovanile. Di seguito, pertanto, vengono illustrate in sintesi, le novità più significative alla luce anche dei chiarimenti interpretativi forniti dal Ministero del lavoro. Incentivi all’assunzione A decorrere dal 7 agosto 2013 è previsto un beneficio economico a favore dei datori di lavoro che assumono con contratto di lavoro a tempo indeterminato, giovani di età compresa tra i 18 e 29 anni che alternativamente siano privi di: - un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi; - un diploma di scuola media superiore o professionale. L’incentivo spetta: per le assunzioni a tempo indeterminato, anche parziale; per le assunzione degli apprendisti; - per le assunzioni a tempo indeterminato a scopo di somministrazione, sia essa a tempo indeterminato che determinato: in merito, l’Inps ha precisato che l’incentivo non spetta durante i periodi in cui il lavoratore non sia somministrato ad alcun utilizzatore. L’avvio di una nuova somministrazione dopo un periodo di disponibilità, consente all’agenzia di godere nuovamente del beneficio fino all’originaria sua scadenza (Circ. INPS n. 131/2013); - in caso di trasformazione a tempo indeterminato di un rapporto a termine, anche a scopo di somministrazione. L’incentivo è pari ad 1/3 della retribuzione mensile lorda ai fini previdenziali e, comunque, non può superare l’importo di €. 650,00 mensili. In caso di assunzione a tempo indeterminato l’incentivo spetta per 18 mesi; in caso di trasformazione a tempo indeterminato di un rapporto a termine l’incentivo spetta per 12 mesi. Apprendistato Il Decreto demanda alla Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e Regioni l’adozione, entro il 30.12.2013, di linee guida finalizzate alla nuova disciplina del contratto di apprendistato professionalizzante per assunzioni effettuate entro il 31 dicembre 2015 da micro, piccole e medie imprese; nell’ambito di dette linee guida, potranno (il condizionale è d’obbligo...) essere previste delle deroghe alle norme contenute nel D.Lgs. n. 167/2011 (Testo Unico dell’apprendistato) con riferimento: - all’obbligatorietà della redazione del piano formativo individuale, per il quale è mantenuto l’obbligo di forma scritta solo per la formazione volta all’acquisizione delle competenze tecnico – professionali e specialistiche; - alla registrazione della formazione e della qualifica professionale su un documento avente i contenuti minimi del modello di libretto formativo; - alla previsione che, per le imprese multi localizzate, la formazione avvenga nel rispetto della disciplina della regione ove l’impresa ha la sede legale. In buona sostanza se tali deroghe fossero adottate si potrebbe davvero fare un bel passo avanti nella semplificazione nell’utilizzo di tale strumento. Da segnalare che a partire dal 1° ottobre 2013, in assenza della adozione delle linee guida, gli elementi di cui sopra trovano diretta applicazione in relazione alle assunzioni con contratto di apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere. Ancora, sempre in materia di apprendistato si segnala la disposizione di cui all’art. 9, c. 3 del DL la quale stabilisce che successivamente al conseguimento della qualifica o diploma professionale, allo scopo di conseguire la qualifica professionale ai fini contrattuali, è possibile latrasformazione del contratto in apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere; in tal caso, la durata massima complessiva dei due periodi di apprendistato non può eccedere quella individuata dalla contrattazione collettiva di cui al decreto legislativo n. 167 del 2011. Tale disposizione può trovare applicazione in relazione ai contratti di apprendistato per la qualifica o diploma professionale in corso alla data di entrata in vigore del D.L. (28 giugno 2013) ed il cui periodo formativo non sia ancora scaduto ma esclusivamente nell’ipotesi in cui il contratto abbia individuato “la durata massima complessiva dei due periodi di apprendistato”. Promozione dell’occupazione Il Decreto prevede una serie di misure tese a favorire l’occupazione giovanile nel Mezzogiorno: tra tali misure, merita una speciale menzione lo stanziamento di 328 milioni di euro per il triennio 2013 – 2015, destinati al finanziamento dei provvedimenti volti a favorire l’auto imprenditorialità, la realizzazione di progetti promossi da giovani e da persone di categorie svantaggiate per l’infrastrutturazione sociale e la valorizzazione dei beni pubblici, nonché per favorire lo svolgimento di tirocini formativi rivolti a giovani che non lavorano, non studiano e non partecipano a nessuna attività di formazione. Il Decreto istituisce, inoltre, all’art. 5, una nuova struttura presso il Ministero del Lavoro (la “Struttura di missione” che opererà, in via sperimentale, sino al 31 dicembre 2015), volta a promuovere la ricollocazione nel mercato del lavoro dei lavoratori beneficiari degli ammortizzatori sociali in deroga e assicurare la tempestiva attuazione dal 1.1.2014, con adeguati criteri di ripartizione delle risorse, delle misure relative alla “Garanzia Giovani”. Modifiche alla Legge n. 92/2012, cd. Riforma Fornero: Contratto a tempo determinato Di sicuro interesse per le aziende il Decreto riscrive, all’art. 7, la previsione relativa al primo contratto a termine a-causale, demandando alla contrattazione collettiva, anche di secondo livello, l’individuazione dei casi in cui è possibile fare ricorso a detta tipologia contrattuale e abolendo il divieto di proroga di tale contratto. A differenza della precedente disciplina va pertanto evidenziato che (v. Circ. Min. Lav. n. 35/2013): - la durata massima di dodici mesi del contratto “acausale” è comprensiva di eventuale proroga; - la disciplina eventualmente introdotta dalla contrattazione collettiva in materia di contratto “acausale” va ad integrare quanto già previsto direttamente dal Legislatore. In tal modo i contratti collettivi, anche aziendali, potranno prevedere, a titolo esemplificativo, che il contratto a termine “acausale” possa avere una durata maggiore di dodici mesi ovvero che lo stesso possa essere sottoscritto anche da soggetti che abbiano precedentemente avuto un rapporto di lavoro subordinato. Consapevole della erroneità della modifica introdotta con la Legge Fornero, a furor di popolo vengono poi ripristinati i termini originari di intervallo tra un contratto a termine ed un altro, c.d. stop and go, (10 o 20 giorni, a seconda che il precedente contratto abbia una durata inferiore o superiore a 6 mesi): tali termini non trovano applicazione nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali nonché in relazione alle ipotesi individuate dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Viene abolito l’obbligo di comunicazione obbligatoria al Centro per l’Impiego per il caso di prosecuzione di fatto del rapporto oltre il termine, introdotto dalla Riforma Fornero. Ancora viene prevista l’esclusione dal campo di applicazione del lavoro a termine, in relazione alleassunzioni di lavoratori in mobilità ex art. 8, c. 2, L. n. 223/1991, salvo il rispetto della disciplina relativa al principio di non discriminazione e ai criteri di computo: in merito, si evidenzia che nel numero medio mensile vanno ricompresi tutti i lavoratori a termine impiegati negli ultimi due anni sulla base dell’effettiva durata del rapporto di lavoro (e non come prevedeva la precedente normativa, con la limitazione della durata fino a nove mesi: art. 8 D.Lgs. 368/2001 come modificato dall’art. 12, L. 97/2013). Infine, viene stabilito che la individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione dell'istituto del contratto a tempo determinato da parte dei contratti collettivi riguarderà anche il contratto acausale. Collaborazioni coordinate e continuative a progetto Due sono le modifiche apportate: la prima, intervenendo sull’art. 61, comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003 ha previsto che i due requisiti riferiti al progetto debbono coesistere e non essere alternativi, ovverosia il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi e ripetitivi, che possono essere individuati dalla contrattazione collettiva. Viene inoltre specificato che “se il contratto ha per oggetto un’attività di ricerca scientifica e questa viene ampliata per temi connessi o prorogata nel tempo, il progetto prosegue automaticamente”. Ancora, nell’elencare gli elementi che devono essere contenuti nel contratto, il D.L. elimina la locuzione “ai fini della prova”: l’intervento acquista un valore sostanzialmente chiarificatore, atteso che la giurisprudenza aveva già stabilito come l’assenza quantomeno della specificità del progetto si traducesse nella assenza del progetto stesso, con le conseguenze di cui all’art. 69, c. 1, del D.Lgs. n. 276/2003. Contratto di lavoro intermittente Viene stabilito con una previsione pare di carattere generale valevole per ogni tipo di contratto intermittente, che i lavoratori possono essere utilizzati per prestazioni di lavoro intermittente per non più di 400 giornate nell’arco di 3 anni solari; superato questo limite, il rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato. Tale disposizione si applica alle prestazioni lavorative successive all'entrata in vigore del decreto (28 giugno 2013). Al datore di lavoro che non comunica lo svolgimento di prestazioni di lavoro intermittente non viene applicata la sanzione prevista, qualora risulti la volontà di non nascondere la prestazione stessa (ad es. regolarità dei versamenti contributivi). Si evidenzia che il vincolo delle quattrocento giornate di effettivo lavoro, per espressa previsione normativa, non trova applicazione nei settori “del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo”. Procedura obbligatoria di conciliazione in caso di licenziamento presso la DTL Sempre in merito ai correttivi apposti alla Riforma Fornero, viene ora giustamente specificato che iltentativo obbligatorio di conciliazione avanti la Direzione Territoriale del lavoro non trova applicazione in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto – con ciò intervenendo su indirizzi oscillanti della giurisprudenza di merito (ne avevamo già dato conto nella nostra precedente rassegna di giugno) e confermando l’orientamento già espresso dal Ministero del lavoro – nonché in caso di licenziamenti per cambio di appalto, laddove una norma di natura contrattuale prevede l’assorbimento dei lavori da parte dell’impresa subentrante, o in caso di licenziamento in edilizia per fine cantiere o fine fase lavorativa. In merito, si segnala che recentemente il Ministero del lavoro ha precisato che la procedura obbligatoria di conciliazione in caso di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, si applica anche per le agenzie di somministrazione (Risp. Interp. n. 27/2013). Distacco e contratto di rete Altra novità da segnalare riguarda l’istituto del distacco: la nuova disciplina favorisce una maggiore mobilità per i lavoratori, che possono essere distaccati presso le diverse imprese che hanno stipulato un contratto di rete e permette, altresì, alle imprese legate da un contratto di rete di avvalersi della “contitolarità” dei contratti di lavoro. Stabilizzazione di associati in partecipazione con apporto di lavoro Infine, la legge al fine di promuovere la stabilizzazione dell’occupazione, ha previsto che, nel periodo compreso 1° giugno - 30 settembre 2013, le aziende possono stipulare con le associazioni di lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale specifici contratti collettiviche prevedano l’assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di lavoratori già occupati, in veste di associati, con contratto di associazione in partecipazione con apporto di lavoro. Per le assunzioni sono applicabili i benefici previsti dalla legislazione per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Le assunzioni a tempo indeterminato possono essere realizzate anche mediante contratti di apprendistato. Altre novità Viene istituito un nuovo incentivo per l’assunzione a tempo indeterminato di disoccupati. In particolare, è prevista la concessione di un contributo per l’assunzione di lavoratori disoccupati che fruiscono dell’ASpI, pari al cinquanta per cento dell’indennità mensile residua che sarebbe stata corrisposta al lavoratore se fosse rimasto disoccupato. Merita inoltre una speciale menzione sia l’estensione delle tutele contro le “dimissioni in bianco” anche ai collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, ovvero con contratti di associazione in partecipazione, sia la previsione che la solidarietà ex art. 29 D.Lgs. 276/03 per il pagamento dei compensi e degli oneri contributivi si applica anche ai lavoratori impiegati con contratti di natura autonoma (art. 9 del decreto in esame). Ancora, vengono rafforzate le tutele in tema di igiene, salute e sicurezza sul lavoro, aumentando le ammende per contravvenzioni alle norme esistenti e chiarendo che tutte le prestazioni, anche quelle basate su contratti di lavoro non subordinato, devono essere svolte nel rispetto delle norme in materia di igiene, salute e sicurezza. Attualità 1 La pronuncia della Corte di Appello di Milano 23 maggio 2013 in merito al campo di applicazione del rito Fornero in materia di licenziamenti La Corte di Appello di Milano, con tale rilevante pronuncia, ha affermato la possibilità di azionare un procedimento con il nuovo rito introdotto dalla Legge Fornero anche qualora si tratti di accertare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con un soggetto terzo (nel caso di specie, un committente ma un domani anche una società utilizzatrice). Come è noto, l’art. 1, comma 47 della L. 92/2012 ha previsto che “le disposizioni dei commi da 48 a 68 si applicano alle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’articolo 18 della legge 20 maggio 1970 n.300, e successive modificazioni anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro”. Sulla base di tale disposizione normativa, nel caso di specie era stato proposto ricorso ex art. 1, c. 48 e ss., L. n. 92/2012, per sentir accertare in via preliminare e principale la nullità del contrato di appalto intercorso tra le parti e la costituzione, ex art. 29 D.Lgs. n. 276/2003, di un rapporto di lavoro alle dipendenze della committente e, sulla base di accertamento, l’inefficacia del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato alla ricorrente dal datore di lavoro formale, l’appaltatore; di conseguenza si chiedeva la reintegrazione ex art. 18 SL della ricorrente da parte del reale datore di lavoro, la committente. Il giudice di primo grado aveva dichiarato inammissibile il ricorso in quanto la domanda preliminare e relativa all’imputazione della collaborazione lavorativa dedotta in giudizio in capo a soggetto diverso da quello che risulta essere il formale datore di lavoro è frutto di una azione di tipo costitutivo, ed in quanto tale è “esorbitante da mere problematiche relative alla qualificazione dei rapporto”. Si legge, infatti, nell’ordinanza che la domanda avente ad oggetto l'illegittimità del licenziamento e quella relativa all'imputazione del rapporto risultano del tutto eterogenei tra di loro e sono non fondate su identici fatti costitutivi, potendo ritenersi, al più, che la titolarità effettiva della collaborazione lavorativa in capo ad un soggetto diverso dal datore di lavoro sia un possibile profilo di illegittimità (meglio, di inefficacia) dell'atto di recesso impugnato con il ricorso. La Corte, invece, ha così statuito “Quanto alla preliminare questione della ritenuta non sussumibilità dell'accertamento dell'imputazione del rapporto di lavoro in capo alla Fondazione nelle "questioni relative alla qualificazione del rapporto" ai sensi del comma 47 art 1 L 92/2012, questo collegio non ritiene che la locuzione legale vada intesa come limitata ai soli casi in cui si tratta di qualificare come subordinato un rapporto avente veste formale diversa, rilevandosi che la domanda del lavoratore è sostanzialmente diretta a fare accertare la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato con il committente, sicché il fatto che si tratti di pronuncia costitutiva o che la qualificazione del rapporto investa principalmente l'aspetto soggettivo (cioè l'imputazione del rapporto) non appare ostativa all'applicazione del rito accelerato dettato dalla legge n. 92/2012. Il comma 3bis dell'art. 29 del D. Lgs. 276/2003, introdotto dal D. Lgs. N. 251/2004 pone infatti sul medesimo piano processuale il lavoratore impiegato in un appalto non genuino e quello impiegato nell'ambito di una somministrazione irregolare, poiché nel caso in cui il concreto atteggiarsi del rapporto tra appaltante e appaltatore non rientri nello schema lavoristico del contratto di appalto come delineato dal comma 1 dell'art. 29 ci si trova in presenza di un rapporto che simula tale istituto per celare una somministrazione di lavoro non autorizzata, ossia di una situazione nella quale la scissione tra utilizzatore e titolare del rapporto di lavoro che caratterizza le fattispecie tipizzate di deroga al rapporto di lavoro c.d. tradizionale, si configura come interposizione illecita. …Si tratterebbe pertanto (in astratto, per ciò che si dirà) di accertare, secondo la descrizione dell'appalto di cui al citato art. 29 se esista il potere direttivo e l'assunzione del rischio di impresa da parte dell’appaltatore, identificati dalla norma come indici di un appalto genuino, ossia di svolgere una indagine non così dissimile (se non addirittura più snella) da quella richiesta per la qualificazione del rapporto in termini di subordinazione, così da doversi concludere per l’applicabilità del rito…” In altre parole, la Corte ha sostenuto che tutte le volte in cui venga impugnato un licenziamento e venga altresì contestata la qualificazione del rapporto (rectius la corretta imputazione del rapporto) si potrà ricorrere al Rito Fornero. È inutile dire che se tale orientamento fosse confermato potrebbe costituire un inutile svantaggio a danno degli utilizzatori nonché all'utilizzo della somministrazione, adottando anche per tali soggetti il rito d’urgenza previsto dalla Legge Fornero con tutte le sue implicazioni e complessità in luogo del normale procedimento ordinario introdotto con il ricorso ex art. 414 c.p.c. Per un maggior approfondimento vedi articolo "Licenziamento del dirigente e termine di impugnazione" Attualità 2 L’Accordo sulla rappresentanza e la democrazia sindacale: una svolta decisiva nelle relazioni industriali Come tutti sanno lo scorso 31 maggio Confindustria e Cgil, Cisl e Uil hanno sottoscritto unProtocollo d’intesa che dà attuazione all’Accordo Interconfederale del 28 giugno, in materia di rappresentanza e di rappresentatività. A tale accordo hanno fatto seguito i recenti accordi tra AGCI, CONFCOOPERATIVE, LEGACOOP e CGIL, CISL, UIL e quello tra CGIL CISL e UIL e dalla CONFSERVIZI, siglati rispettivamente lo scorso 18 settembre e 1° agosto 2013, che ricalcano sostanzialmente la disciplina prevista dall’accordo interconfederale di maggio. Pertanto, di seguito, riteniamo utile evidenziare come funziona il meccanismo previstodall'accordo del 31 maggio che, oltre a definire le modalità con cui “pesare” le organizzazioni sindacali, determina le regole con cui validare i contratti collettivi. Infatti il Protocollo presenta due sezioni distinte, ma tra loro collegate, che individuano, da un lato, i principi relativi alla misurazione della rappresentatività e, dall’altro, i principi relativi alla contrattazione collettiva. Quanto ai principi in tema di misurazione della rappresentatività, individuati dal Protocollo, i principali sono: - la rappresentatività delle organizzazioni sindacali è misurata sia con riferimento al dato associativo (numero di deleghe) che al dato elettorale (voti ottenuti nelle elezioni delle RSU); - la ponderazione dei due dati avviene effettuando la media semplice “con un peso pari al 50% per ognuno dei due dati”; disciplina delle RSU; - superamento del cd. terzo riservato e passaggio ad un sistema interamente elettorale con voto proporzionale; - conferma dell’impegno del Protocollo del 1993 alla non costituzione di RSA; rinnovo delle RSU scadute entro sei mesi; - il cambiamento di appartenenza sindacale da parte di un componente la RSU ne determina la decadenza dalla carica e la sostituzione con il primo dei non eletti della lista di originaria appartenenza del sostituito; - ove vi siano RSA, il passaggio alle RSU potrà avvenire solo se definito unitariamente dalle Federazioni aderenti alle Confederazioni firmatarie l'odierna intesa. Per quanto riguarda, invece, la contrattazione collettiva, si sono definiti principi ispirati al modello delineato, ma mai attuato, dall’art. 39 della Costituzione. In questa logica, i principi in tema di titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva mirano a favorire l’individuazione di soluzioni unitarie, volte a realizzare una semplificazione delle procedure di rinnovo dei contratti di categoria. L’obiettivo è quello di arrivare alla definizione di rinnovi dei ccnl che, oltre ad essere applicabili alla generalità dei lavoratori, siano esigibili sia nei confronti dei sindacati di categoria che sottoscrivono il contratto (e che esprimano il 50% +1 della rappresentanza) sia nei confronti di quelli non firmatari il rinnovo ma appartenenti a organizzazioni che hanno sottoscritto l’odierno protocollo. Questi principi possono essere così sintetizzati: - titolarità: sono ammesse alla contrattazione collettiva nazionale le federazioni delle organizzazioni sindacali con una rappresentatività almeno pari al 5% secondo le regole viste sopra; - piattaforma negoziale: le parti assumono un reciproco impegno verso la definizione di una piattaforma unitaria. Da un lato, infatti, le organizzazioni sindacali si impegnano ad individuare le modalità per la definizione della piattaforma e della delegazione trattante e, coerentemente, a favorire la presentazione di piattaforme unitarie. Dal canto loro, le organizzazioni datoriali si impegnano, in mancanza di una piattaforma unitaria, a favorire l'avvio della negoziazione sulla base della piattaforma che sia presentata da organizzazioni sindacali con una rappresentatività nel settore pari almeno al 50% + 1. Si tratta, quindi, di impegni reciproci ed interdipendenti; - sottoscrizione: sono accordi efficaci ed esigibili quelli che: - prima della formale sottoscrizione siano stati sottoposti a sistemi di consultazione certificata dei lavoratori a maggioranza semplice (le modalità della “consultazione certificata” saranno autonomamente definite dalle categorie per ogni singolo contratto); - risultino successivamente sottoscritti in modo formale da organizzazioni sindacali dotate di una rappresentatività almeno pari al 50% +1; - esigibilità: gli accordi così sottoscritti si applicano all’insieme dei lavoratori ma, soprattutto, sono pienamente esigibili nei confronti di tutte le organizzazioni sindacali confederali che abbiano firmato il Protocollo d’Intesa e le rispettive federazioni. Pertanto tutte queste si impegnano “a non promuovere iniziative di contrasto agli accordi così definiti”. A completamento di tale impegno, i contratti collettivi pienamente esigibili dovranno definire: - clausole e/o procedure di raffreddamento finalizzate a garantire l’esigibilità degli impegni assunti; - le conseguenze di eventuali inadempimenti (sanzioni) sulla base dei principi stabiliti con il protocollo: ossia eventuali sanzioni nei confronti delle organizzazioni che violino gli accordi. Da ultimo, le parti firmatarie si impegnano a far rispettare i principi pattuiti anche nei confronti di tutte le loro articolazioni territoriali e aziendali e, a tal fine, assumono anche l'impegno di monitorare la puntuale attuazione di tali principi e di concordare modalità per definire eventuali controversie sorte come conseguenza della loro concreta attuazione. Sempre in materia di rappresentanza sindacale, è doveroso segnalare la recente sentenza dellaCorte Costituzionale dello scorso 3 luglio 2013 (le motivazioni sono state depositate il 23 luglio), la quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 19, 1° c. lett. b) della legge 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. 'Statuto dei lavoratori') nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale sia costituita anche nell'ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie di contratti collettivi applicati nell'unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell'azienda. Appare chiaro che tale decisione ribalta l'indirizzo che la stessa Consulta aveva espresso nelle precedenti numerose decisioni sull'argomento in oltre 40 anni di vigenza dell’articolo 19 Stat. lav. nella sua attuale formulazione, contro la Fiat che, dal canto proprio, si era limitata – e non poteva che essere così ad applicare le diposizioni normative in essere. È questo quanto sostiene la Consulta, con una sentenza potremmo dire di portata storica, in risposta alle ordinanza avanzate dai Tribunali di Modena - ordinanza 4 giugno 2012, Vercelli ordinanza 25 settembre 2012 e Torino - ordinanza 12 dicembre 2012), su ricorsi della Fiom, esclusa dalla Rsa, contro la Fiat. In extrema sintesi, secondo i Giudici remittenti il criterio selettivo di cui all’articolo 19 lett. b), che considera quale unico presupposto per la costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali la sottoscrizione di contratti collettivi applicati all’unità produttiva sarebbe apparso “irrazionale perché indice inidoneo della effettiva rappresentatività delle associazioni sindacali, così da tradire la ratio stessa della disposizione dello Statuto, volta ad attribuire una finalità promozionale e incentivante dell’attività del sindacato quale portatore di interessi del maggior numero di lavoratori, che trova un diretta copertura costituzionale del principio solidaristico espresso dall’art. 2 Cost. nonché nello stesso principio di uguaglianza sostanziale di cui al secondo comma dell’art. 3 della Costituzione”. Orbene, in risposte alle questioni sollevate, la Consulta ha collegato il diritto a nominare le Rsa alla partecipazione alla negoziazione dei contratti collettivi poi applicati in azienda e ciò indipendentemente dalla successiva ed effettiva sottoscrizione di tali accordi. Da sottolineare come la Fiom, almeno dopo il 2010, non abbia volontariamente partecipato alle negoziazioni aziendali diversamente da Fim e Uilm. In particolare, ad avviso dei Giudici de quibus, “… nel momento in cui viene meno alla sua funzione di selezione dei soggetti in ragione della loro rappresentatività e, per una sorta di eterogenesi dei fini, si trasforma invece in meccanismo di esclusione di un soggetto maggiormente rappresentativo a livello aziendale o comunque significativamente rappresentativo, sì da non potersene giustificare la stessa esclusione dalle trattative, il criterio della sottoscrizione dell’accordo applicato in azienda viene inevitabilmente in collisione con i precetti di cui agli artt. 2, 3 e 39 Cost. Risulta, in primo luogo, violato l’art 3 Cost., sotto il duplice profilo della irragionevolezza intrinseca di quel criterio, e della disparità di trattamento che è suscettibile di ingenerare tra sindacati. Questi ultimi infatti nell’esercizio della loro funzione di autotutela dell’interesse collettivo – che, in quanto tale, reclama la garanzia di cui all’art. 2 Cost. – sarebbero privilegiati o discriminati sulla base non già del rapporto con i lavoratori, che rimanda al dato oggettivo (e valoriale) della loro rappresentatività e, quindi, giustifica la stessa partecipazione alla trattativa, bensì del rapporto con l’azienda, per il rilievo condizionante attribuito al dato contingente di avere prestato il proprio consenso alla conclusione di un contratto con la stessa (…)”. Una contraddizione rispetto al mandato di un sindacato. Il modello disegnato dall’art. 19, infatti, ad avviso della Consulta, “condiziona il beneficio esclusivamente a un atteggiamento consonante con l’impresa” o che ne presupponga l’assenso. Ma è proprio qui che “risulta evidente il vulnus” rispetto all’articolo 39 della Costituzione, perché emerge “il contrasto che, sul piano negoziale, ne deriva ai valori del pluralismo e della libertà di azione della organizzazione sindacale”. L’effetto sarebbe “una forma impropria di sanzione del dissenso” che andrebbe a condizionare la libertà del sindacato “in ordine alla scelta delle forme di tutela ritenute più appropriate per i suoi rappresentati”, con l’implicito rischio, avverte la Corte, “di raggiungere un punto di equilibrio attraverso un illegittimo accordo ad excludendum”.Come si puntualizza più volte nella sentenza: “L'intervento operato dalla Consulta con la sua decisione, non individua, e non potrebbe farlo, un criterio selettivo della rappresentatività sindacale ai fini della tutela privilegiata di cui al titolo Terzo dello Statuto dei lavoratori in azienda nel caso di mancanza di un contratto collettivo applicato nell'unità produttiva per carenza di attività negoziale ovvero per impossibilità di pervenire ad un accordo aziendale”. Per i Giudici della Consulta: “A una tale evenienza, si può dare risposta con una molteplicità di soluzioni, tra cui la valorizzazione dell'indice di rappresentatività costituito dal numero degli iscritti, l'introduzione di un obbligo a trattare con le organizzazioni sindacali che superino una determinata soglia di sbarramento, l'attribuzione al requisito previsto dall'articolo 19 dello Statuto dei lavoratori del carattere di rinvio generale al sistema contrattuale e non al singolo contratto collettivo applicato nell'unità produttiva vigente, oppure il riconoscimento del diritto di ciascun lavoratore ad eleggere rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro”. Conclude la sentenza: “L'opzione tra queste od altre soluzioni compete al legislatore”. Appare evidente che le conclusioni differenti cui sono pervenuti, oggi, i Giudici sono frutto del mutato contesto delle relazioni sindacali e delle strategie imprenditoriali, nonché della stessa evoluzione del quadro normativo e dell’assetto del sistema sindacale. Si auspica, dunque, così come sottolineato dalla stessa Consulta, che si possa avere un intervento legislativo ad hoc sulla rappresentanza dando piena applicazione della sentenza - che ponga la parola fine alla querelle di questi anni.