Bruna Donatelli, Paradigmi della modernità. Letteratura, arte e scienza della Francia del XIX secolo, Editoriale Artemide, 2012 La modernità artistica e letteraria, che ha il suo nucleo incandescente intorno a Baudelaire, Flaubert e Manet, è stata percepita fin dai primi decenni dell’Ottocento da scrittori, artisti, e pensatori come un’emergenza e un’istanza su cui dibattere. Il fenomeno ha notoriamente investito sia la vita sociale che il dominio della scienza e delle arti in generale ed è strettamente correlato all’azione performativa del cambiamento di cui ognuno a suo modo si appropria. I saggi qui riuniti hanno inteso declinare alcuni di questi momenti, privilegiando quei percorsi in cui si registrava la crisi del modello imperante e ci si apriva al rinnovamento. L’approccio non è stato sempre lo stesso; a volte l'autrice ha scelto lo sguardo panoramico con l’obiettivo specifico di captarne il ritmo interno nelle sue varie cadenze (quale nome dare alla modernità, l'avvento della fotografia, il nuovo statuto dell'immagine...); altre volte ha fatto dialogare due o più voci (Baudelaire, Barbey d'Aurevilly, Rops) nel tentativo di cogliere i momenti di consonanza nella percezione del fenomeno; altre volte ancora lo sguardo si è focalizzato su un singolo autore (Flaubert, Taine) o addirittura su una sola opera (Avatar di Gautier) quando la stessa si è costituita come momento chiave del cambiamento. Indice 7 Premessa 11 i. 31 ii. 47 iii. Dal neologismo alla glossa Voci dalla modernità: Baudelaire e Barbey d’Aurevilly Flaubert e il dissolversi della forma romanzesca 73 iv. Per una nuova concezione del fantastico. Su Avatar di Théophile Gautier 93 v. L’avvento della fotografia. Una nuova arte o un prodotto dell’industria? 113 vi. «La Modernité, où est-elle?». I frontespizi di Félicien Rops 137 viii. I viaggi di Hippolyte Taine. Per uno studio comparato di psicologia dei popoli 157 Bibliografia 169 Indice dei nomi -I- Dal neologismo alla glossa L’Ottocento, più di qualsiasi altro secolo, è stato sottoposto con un ritmo sempre più accelerato all’azione performativa del cambiamento che ha investito la vita sociale come quella politica, il dominio della scienza come quello della filosofia, dell’arte e della letteratura. Era dunque inevitabile che un fenomeno di così ampia portata rappresentasse un’emergenza e un’istanza su cui dibattere da parte di quell’élite colta in grado di coglierlo. Nasce anche l’esigenza di assegnare un nome a questa nuova modalità di vivere il proprio tempo e, come spesso accade, sono gli scrittori per primi ad attribuirglielo.1 Il termine modernità fa la sua prima comparsa in Francia agli inizi degli anni Venti con Balzac tra i fluidi imponderabili del magnetismo (Le Centenaire ou les deux Béringheld) e il mondo alchemico-scientista delle fiabe (La Dernière fée). Avvolta da un’aura particolare, tra frivolezze e bizzarrie, nasce dunque «cette riante mythologie de la modernité»2 che con una punta di ironia Balzac indica come propria dei tempi moderni. Il termine rimanda alla Querelle des Anciens et des Modernes ed è costruito in quanto neologismo (uno dei tanti che l’autore della Comédie humaine ha coniato nella sua attività letteraria e critica) in modo simmetrico, ma oppositivo, sul lemma «antiquité».3 Come successivamente ribadirà in Physiologie du mariage (1829) l’idea di modernità è infatti strettamente correlata a quel carattere un po’ gretto e frivolo che caratterizza la società moderna dove sono scomparsi gli slanci grandiosi e geniali dell’antichità. È la stessa differenza che esiste, sostiene Balzac, tra le piramidi d’Egitto e le meschine architetture della modernità.4 Ma non è soltanto con questa accezione che il neologismo ritorna sotto la sua penna. Significativa la varietà del suo utilizzo, soprattutto in relazione al mondo delle arti e della letteratura. Un primo accenno in questo ambito si trova nel Centenaire ou les deux Béringheld quando Marianine e Tullus de Béringheld si recano al Museo per contemplare «ce magnifique monument élevé par les peintres de tous les âges de la modernité».5 Qui Balzac suggerisce, 12 Paradigmi della modernità senza però precisarne ulteriormente il senso, il carattere atemporale della modernità che più tardi Baudelaire indicherà come l’eterno ritorno del nuovo. Ma l’utilizzo più interessante, riferito al concetto di modernità letteraria, si trova in un suo articolo del 1822 in difesa del Centenaire ou les deux Béringheld. In questa occasione il termine assume una rilevanza argomentativa e Balzac se ne serve per connotare esteticamente un genere letterario nuovo, il romanzo, «qui ouvre une carrière à l’esprit humain»: Le genre du roman est le seul qu’ait inventé la modernité. C’est la comédie écrite, c’est un cadre où sont contenus les effets des passions, les remarques morales, la peinture des mœurs, les scènes de la vie domestique, etc., et ce genre, notre seule conquête, est anathématisé par tout le monde. 6 Manterrà in seguito inalterata questa sua posizione nelle Illusions perdues («Le roman, qui veut le sentiment, le style et l’image, est la création moderne»),7 ma anche nella Correspondance e nelle moltissime Préfaces, notoriamente nell’Avant-propos della Comédie humaine (1842) dove manifesta la sua intenzione di scrivere «l’histoire oubliée par tant d’historiens, celle des mœurs» da «historien de son temps», con personaggi che siano «une grande image du présent. Conçus dans les entrailles de leur siècle».8 Che la riflessione più interessante di Balzac sulla modernità fosse incentrata già dagli anni Venti sul romanzo e sulle sue nuove possibilità espressive non è dunque casuale. Egli infatti è il primo ad intuire che l’unica possibilità del rinnovamento di questo genere letterario è affidata alla sua capacità di attingere a scene della vita quotidiana e a quella realtà degradata, quasi sempre meschina, cui spesso veniva abbinato negativamente il termine stesso. Oggi si parla molto della modernità estetica di Balzac (la sua concezione del romanzo come parte di un ciclo in movimento, frammento di un tutto, la valenza estetica del laido e del grottesco), ma già ai suoi tempi Gautier e Baudelaire l’avevano ampiamente sottolineata. Scrive Gautier nel 1858: L’on a fait nombre de critiques à Balzac et parlé de lui de bien des façons; mais on n’a pas insisté sur un point très caractéristique à notre avis: ce point est la modernité absolue de son génie.9 Con l’intenzione di rimarcare il suo incredibile talento nell’aver saputo cogliere il fermento di una società che si trasforma, Gautier, sempre nello stesso articolo, sostiene: Dal neologismo alla glossa 13 Balzac ne doit rien à l’antiquité; pour lui il n’y a ni Grecs ni Romains et il n’a pas besoin de crier pour qu’on le délivre. On ne retrouve dans la composition de son talent aucune trace d’Homère, de Virgile, d’Horace, pas même du De Viris illustribus: personne n’a jamais été moins classique. Balzac, comme Gavarni, a vu ses contemporains: et dans l’art la difficulté suprême c’est de peindre ce qu’on a devant les yeux; on peut traverser son époque sans l’apercevoir, et c’est qu’on fait beaucoup d’esprits éminents.10 A «cette profonde compréhension des choses modernes»,11 cui allude continuamente Gautier nel suo articolo, dovuta anche a uno sguardo penetrante, a una «visionarietà» del reale sottesa ad ogni spaccato della vita parigina e della provincia che restituisce nel suo vibrante palpitare, si unisce una propensione per la fisionomia di un personaggio piuttosto che per la sua bellezza plastica, «regardant la Vénus de Milo sans grande extase», ma rapito invece di fronte alla «Parisienne arrêtée devant l’immortelle statue, drapée de son long cachemire filant sans un pli de la nuque au talon, […] avançant sous l’ourlet de sa robe à volants le bout verni de sa bottine claquée […]».12 Un ulteriore elemento della modernità di Balzac rimarcato da Gautier, è l’uso di una lingua che attinge anch’essa al presente, «composée de toutes les technologies, de tous les argots de la science, de l’atelier, des coulisses, de l’amphithéâtre même».13 Anche Baudelaire, dal canto suo, già nel 1846 aveva fatto allusione alla modernità di Balzac vedendo nel romanziere colui che era riuscito a catturare la «beauté moderne» di cui la vita parigina era feconda, individuando inoltre nei personaggi della Comédie humaine una dimensione eroica (epica e sublime) propria di quei tempi.14 Nel 1859 sottolinea infine le doti visionarie di Balzac e si meraviglia che sia stato considerato e ricordato come un «observateur» e non come un «visionnaire passionné».15 Nei «Martirs ridicules par Léon Cladel» aggiunge poi, alludendo ancora a Balzac, quanto «le visionnaire crée la réalité».16 Sebbene Baudelaire non nomini mai, riferendosi a lui e alla sua estetica, la parola modernità, è indubbio che egli abbia individuato nella sua persona e nel suo percorso artistico quelle caratteristiche che la connotano come tale: l’evocazione e la pratica di un eroismo nuovo, l’assunzione di un bello storico e relativo, la visionarietà come ulteriore occhio in grado di cogliere la realtà nelle sue pieghe più profonde. 14 Paradigmi della modernità Chateaubriand: l’attuale, il moderno e la modernità Si deve senza dubbio a Balzac il merito di aver saputo porre il concetto di modernità al centro di un vivo dibattito teorico e estetico e di aver focalizzato l’attenzione su un termine che da lì a poco catalizzerà l’attenzione e l’investigazione dei principali scrittori dell’epoca. Tuttavia, con Chateaubriand, che dopo di lui è stato il primo a riutilizzare tale neologismo, il termine ritorna ad appiattirsi sul piano semantico intorno a un uso univoco e piuttosto stereotipato. Mentre la parola «moderno» (come pure il «nuovo» e l’«attuale») ritorna più volte sotto la sua penna, poiché egli è consapevole del ruolo di rottura epistemologica creato dalla Rivoluzione per cui l’antico ordine delle cose non sarebbe più ritornato, il termine «modernità», appare una sola volta per designare il carattere delle cose moderne. La sua accezione è negativa, strettamente correlata allo spirito progressista del secolo e orientata, sia pure nella sua essenzialità non argomentativa, soltanto secondo una prospettiva storica. In uno dei resoconti di viaggio delle Mémoires d’outre-tombe, l’ultimo della sua carriera diplomatica (1833),17 lo scrittore racconta del suo arrivo alla frontiera di Württemberg, in una città, Ulm che fino a poco tempo prima aveva goduto di uno statuto imperiale. All’apertura della porta gotica, dalla sua memoria, anch’essa porta aperta sulla storia, emergono figure leggendarie e storiche del passato e animano uno scenario medievale il quale a sua volta stride con lo spettacolo volgare del presente: le procedure burocratiche degli addetti alla dogana e al controllo dei passaporti. A dix heures du soir, je remontai en voiture; je m’endormis au grignotement de la pluie sur la capote de la calèche. Le son du petit cor de mon postillon me réveilla. J’entendis le murmure d’une rivière que je ne voyais pas. Nous étions arrêtés à la porte d’une ville, la porte s’ouvre; on s’enquiert de mon passeport et de mes bagages: nous entrions dans le vaste empire de Sa Majesté wurtembergeoise. Je saluai de ma mémoire la grande-duchesse Hélène, fleur gracieuse et délicate maintenant enfermée dans les serres du Worga. Je n’ai conçu qu’un seul jour le prix du haut rang et de ta fortune: c’est à la fête que je donnai à la jeune princesse de Russie dans les jardins de la villa de Médicis. Je sentis comment la magie du ciel, le charme des lieux, le prestige de la beauté et de la puissance pouvaient enivrer, je me figurais être à la fois Torquato Tasso et Alfonso d’Este; je valais mieux que le prince, moins que le poète; Hélène était plus belle que Léonore. Représentant de l’héritier de François Ier et de Louis XIV, j’ai eu le songe d’un roi de France. Dal neologismo alla glossa 15 On ne me fouilla point: je n’avais rien contre les droits des souverains, moi qui reconnaissais ceux d’un jeune monarque quand les souverains eux-mêmes ne les reconnaissaient plus. La vulgarité, la modernité de la douane et du passeport contrastaient avec l’orage, la porte gothique, le son du cor et le bruit du torrent.18 Chateaubriand aveva già individuato, sia nelle Mémoires d’outre tombe che altrove, questa perdita di rappresentatività storica dei luoghi, il suo «changement de physionomie», per esempio quello della Parigi del 1792, una volta perduta la sua aureola rivoluzionaria. In una delle annotazioni scritte da Londra tra l’aprile e il settembre 1822, con una metafora molto incisiva, egli associa la piattezza e l’uniformità del nuovo mondo a quella altrettanto uniformante, ma anche angosciante dell’ultimo abito indossato dai «condammés à venir»: On ne rencontrait dans les rues que des figures effrayées ou farouches, des gens qui se glissaient le long des maisons […]. La variété des costumes avait cessé; le vieux monde s’effaçait; on avait endossé la casaque uniforme du monde nouveau, casaque qui n’était alors que le dernier vêtement des condamnés à venir.19 La sua visione della modernità è dunque focalizzata sulla consapevolezza del carattere irrimediabilmente nuovo dell’epoca contemporanea e non investe mai il piano estetico. D’altra parte nella sua definizione del «bello ideale», precisata più volte nel Génie du christianisme, è stato sempre molto esplicito. Si schiera senza mezzi termini a favore delle gesta cavalleresche, della bellezza morale e ideale dei caratteri contro «l’âge moderne»: C’este ce qui fait la beauté des temps chevaleresques, et ce qui leur donne la supériorité, tant sur les siècles héroïques que sur les siècles tout à fait modernes. […] Si au contraire vous chantez l’âge moderne, vous serez obligé de bannir la vérité de votre ouvrage, et de vous jeter à la fois dans le beau idéal moral et dans le beau idéal physique. Trop loin de la nature et de la religion sous tous les rapports, on ne peut représenter fidèlement l’intérieur de nos ménages, et moins encore le fond de nos cœurs.20 È doveroso in ogni caso sottolineare, come ha fatto rilevare Jauss,21 quanto questo gusto di Chateaubriand per il gotico e per la letteratura medievale, costituisca ancora una volta un punto di attrito con il tempo presente, visto come momento de-valorizzato che si pone tra un passato prestigioso da cui la sua generazione si sente esclusa e un avvenire cui non si può accedere, e quanto la sua modernità consista 16 Paradigmi della modernità proprio nella consapevolezza di vivere storicamente un momento di transizione, probabilmente votato all’oblio.22 Va inoltre riconosciuto a Chateaubriand il merito di essere stato uno tra i primi scrittori francesi che ha contribuito a dare, nell’ambito di quel rinnovamento del vocabolario che è proprio della sua scrittura a partire dalle Mémoires d’outre tombe, ulteriore impulso e vitalità al termine «modernité» e di aver sottoposto la lingua, anche lui come Balzac, e l’uno all’insaputa dell’altro, a una distorsione creativa con l’intenzione di designarne, sia pure in modo diverso, il carattere contingente. Gli anni Trenta e Quaranta: l’influenza di Heinrich Heine Se con Balzac e Chateaubriand si cominciano a delineare i contorni e il carattere di una modernità che da una parte è letteraria e dall’altra è storica, il vero dibattito che consente a tale neologismo di assumere uno statuto estetico e epistemologico prende l’avvio in Francia a partire dalla metà degli anni Trenta quando le questioni estetiche sono poste, soprattutto in ambito poetico, con un’insistenza sempre più crescente. E tutto ciò grazie a figure centrali della scena letteraria quali Heinrich Heine che si era trasferito a Parigi nel 1831 dove aveva scritto o tradotto gran parte delle sue opere. Nei Reisebilder, scritti nel 1826 e tradotti in francese nel 1834 dallo stesso Heine con il doppio titolo di Reisebilder-Tableaux de voyage, il poeta fa spesso riferimento all’uomo nuovo, all’uomo dei tempi moderni, ma anche a un’estetica prettamente moderna, che si oppone all’ormai consolidata poetica romantica, ed è il primo a coglierne l’inquietudine, il lato oscuro, le irriducibili stratificazioni. Sfogliamo alcune pagine di queste particolari “impressioni di viaggio”, di questo viaggio nel mondo reale attraverso quello della letteratura e dell’arte. Nel sottolineare la predilezione di Walter Scott per l’elemento duraturo della Storia, che riesce a trasmettere con vibrante emotività ai suoi tantissimi e diversificati lettori, Heine accenna a una modernità vaga e scomoda per il cuore compatto e prosaico del borghese: Le ton qui règne dans les compositions de Scott a douloureusement ému tout un monde. Ce ton vibre dans les cœurs de notre noblesse qui voit tomber ses châteaux et son blason, il résonne dans le cœur du bourgeois dont la vie intime et étroite est envahie par une modernité vague et incommode.23 Dal neologismo alla glossa 17 Ma è poi anche fermamente convinto che «la perte des originalités nationales qui disparaissent dans l’uniformité de la civilisation moderne»24 ha creato sì una profonda spaccatura nel mondo, ma che la stessa sia stata poi così feconda per la creazione artistica: Celui qui se vante d’avoir conservé un coeur entier et compact, avoue seulement qu’il a un coeur prosaïque tenu à l’écart dans son coin. Pour le mien, la grande déchirure du monde l’a partagé, et c’est à cela que j’ai reconnu que les grands dieux m’ont favorisé de préférence à beaucoup d’autres, et qu’ils m’ont jugé digne du martyre de poète.25 Qualche pagina più avanti inneggia alle «muses non encore découvertes» e le invoca affinché gli indichino «les couleurs pour peindre l’être, qui est, après la vertu, la plus belle chose de cet univers».26 Heine cerca e trova questi colori nella vita quotidiana, in particolar modo in un paese così diverso dal suo, la Francia, dove in quel momento stava nascendo una nuova civiltà industriale e urbana. La sua scelta ricade su Parigi e la sua palpitante mondanità; ma a colpirlo e a elevarli a soggetti poetici sono soprattutto le donne, quelle che portano il vizio impresso sul volto, perfidamente languide e diabolicamente salvifiche. Superfluo rilevare quanto il suo universo femminile abbia contribuito alla nascita di molti personaggi dei racconti fantastici di Gautier, delle donne diaboliche di Barbey d’Aurevilly e soprattutto come riaffiori nei tratti delle figure femminili delle poesie di Baudelaire e nelle sue riflessioni teoriche. La sua poetica incanta e affascina il mondo delle lettere parigino, soprattutto Nerval che tradurrà le sue opere giovanili, Balzac che gli dedica Un Prince de la Bohême,27 Gautier, Barbey d’Aurevilly28 e Baudelaire che hanno saputo cogliere e portare avanti la sua sfida estetica. È il primo poeta dell’epoca moderna, sottolinea Nerval nel 1848: «avec la haine il possède l’amour, un amour si brûlant que la haine est féroce; il adore ceux qu’il tue; il met le dictame sur les blessures qu’il a faites et des baisers sur ses morsures».29 È il dramma, sostiene implicitamente Nerval, di una lacerazione che non può e non vuole ricomporsi, o come direbbe lo stesso Heine e come già si è rimarcato, il segno del martirio stesso del poeta. L’amore è per lui, continua Nerval, «un jardin plein de fleurs et d’ombrages, mais de fleurs vénéneuses et d’ombrages mortifères».30 In questo pernicioso Paradiso, dove si aggirano sfingi dal viso da vergine, e dove la mor- 18 Paradigmi della modernità te è linfa per la poesia, «les chants sont des incantations, le regard fascine, les parfums causent le vertige, les couleurs éblouissent, la grâce est perfide, la beauté est fatale».31 Anche Gautier aveva conosciuto e frequentato Heine fin dal suo arrivo a Parigi ed era rimasto affascinato dallo splendido «énivrement intellectuel» del poeta.32 Così lo ricorda nel 1856 nella prefazione alla riedizione francese dei Reisebilder – Tableaux de voyage, uscita poco dopo la morte dello stesso Heine: Nul écrivain n’eut à la fois tant de poésie et tant d’esprit. […] Peu de poètes nous ont ému et troublé autant que Heine. […] Jamais nature ne fut composée d’éléments plus divers que celle de Henri Heine; il était à la fois gai et triste, sceptique et croyant, tendre et cruel, sentimental et persifleur, classique et romantique, Allemand et Français, délicat et cynique, enthousiaste et plein de sang-froid ; tout, excepté ennuyeux. À la plastique grecque la plus pure il joignait le sens moderne plus exquis […].33 Lo aveva colpito in particolar modo la «grande cruauté» dei personaggi femminili «qui portent le vice peint en rouge sur la joue», il loro «rire d’hyène», «la froideur brûlante» del loro sguardo, la loro «coquetterie féline».34 D’altra parte, gia nel 1841, leggendo un altro testo di Heine, De l’Allemagne, egli era rimasto affascinato dalla storia delle irresistibili e leggendarie Willi, danzatrici notturne, «au teint de neiges, à la valse impitoyable» commenta Gautier,35 che costringono i giovani uomini che seducono a danzare fino alla morte. Questa scena, insieme al paesaggio che fa loro da sfondo, gli fornisce lo spunto per il libretto del balletto Giselle che aveva in mente già da tempo. Ne parla con lo stesso Heine, si avvarrà dei suoi consigli e dopo varie fasi di progettazione, realizzerà insieme a Henri de Saint-Georges Giselle: ou les Wilis. Ballet fantastique en 2 actes, portato sulle scene dell’Academie Royale de Musique il 28 giugno del 1841. Ma è soprattutto con Baudelaire che il dialogo con Heine si fa più intenso e proficuo per quella consonanza sotterranea che pone entrambi in aperta rottura con i principi fondanti della nuova ma ormai consolidata poetica romantica e con i rispettivi numi tutelari. Gli orizzonti estetici di Heine e di Baudelaire si incontrano, si intersecano e l’immaginario poetico del primo scava in quello altrettanto fecondo del secondo, nutrendolo dal suo interno.36 L’autore delle Fleurs du mal farà spesso riferimento a Heine nei suoi Salons e nel Dal neologismo alla glossa 19 1865 si schiererà apertamente al suo fianco per onorarne la memoria e per difenderlo dai duri attacchi che Jules Janin aveva lanciato dalle pagine dell’«Indépendance belge», condannando la vena melanconica e l’amara ironia sia di Heine che di quella della “Giovane Germania”. Indignato, Baudelaire ribatte con una lettera aperta, rimasta poi alla sola fase di annotazioni, che funge da suo testamento poetico, congiuntamente a quello dell’amico scomparso: «Il n’est pas un seul des fragments d’Henri Heine que vous citez qui ne soit infiniment supérieur à toutes les bergerades ou berquinades que vous admirez»,37 riferendosi a poeti quali Beranger e de Musset tanto amati da Janin. Che vantaggio ha la poesia, si chiede Baudelaire, da una ricerca insensata della felicità, dalla nota gioiosa: «Pourquoi la tristesse n’aurait-elle pas sa beauté? Et l’horreur aussi?».38 «Vous n’aimez pas la discrépance, la dissonance», sostiene ironicamente Baudelaire, «arrière les indiscrets qui troublent la somnolence de votre bonheur. Arrière les plaintes puissantes du chevalier Tannhaüser, aspirant à la douleur!».39 Quella dissonanza che aveva ritmato anche tutta la sua poetica e che, come ricorda Paul Peters citando a tal proposito Adorno, proviene dal di dentro, conferendo all’opera d’arte ciò che la sociologia chiama la sua alienazione sociale.40 Gli anni Cinquanta: verso la modernità artistica All’epoca della lettera di Baudelaire a Janin il dibattito sulla modernità era nella sua fase più incandescente e Baudelaire aveva già glossato nel 1863 il lemma «modernité», diventando lui stesso nume tutelare di una nuova categoria il cui valore si fondava essenzialmente sulle nozioni di transitorio, fuggitivo e contingente. Ma prima di quel momento si possono individuare ulteriori tappe di un percorso che porterà al suo statuto ermeneutico. Dopo Balzac, Heine e Chateaubriand la «modernité» riappare infatti, ancora come neologismo, sotto la penna di Gautier che lo utilizza istintivamente, quasi come se il termine circolasse già come acquisito nel vocabolario del mondo delle arti, chiedendosi poi se la parola esista realmente nei dizionari. Con lui il discorso sulla modernità comincia a prendere una maggiore forza argomentativa e a essere pensata già come categoria estetica. Innanzi tutto Gautier è il primo a operare quella biforcazione che si delineerà netta da Baudelaire in poi tra le due tipologie di modernità (quella epocale e quella estetica), pren- 20 Paradigmi della modernità dendo in considerazione esclusivamente la seconda. I momenti di riflessione sono essenzialmente due, da collegarsi entrambi alla sua attività di critico letterario e d’arte: il primo tra il 1852 e il 1855 in ambito artistico, coprendo uno spazio di investigazione abbastanza ampio, quello del Salon de 1852 e dell’Exposition universelle de 1855; il secondo tra il 1856 e il 1858 quando presenta ai suoi lettori personalità del mondo letterario contemporaneo, tra i quali Balzac e Heine sulla cui modernità si è prima accennato. Per modernità (sia in ambito letterario che artistico) Gautier intende quelle doti di comprensione del mondo e della propria epoca e la capacità congiunta di saperla raffigurare senza la mediazione di miti o modelli dell’antichità. Critico d’arte di riferimento per le manifestazioni ufficiali, i suoi resoconti tendono sempre a sottolineare tale aspetto. In quello del Salon de 1852 su «La Presse» del 27 maggio si sofferma per esempio sui quadri di Éduard-Louis Dubufe41 colpito dal suo talento innovativo. Ancora una volta sono le figure femminili ad affascinarlo, quelle donne moderne raffigurate nelle tele di Dubufe, «modernes pardessus tout, modernes de poses, d’intentions, de robes et d’accessoires».42 Questa scelta “moderna”, visibile nell’aderenza totale del quadro alla propria epoca, marca secondo lui la differenza con gli altri artisti, notoriamente con Joseph-Désiré Court che, pur godendo di grande notorietà, si era arroccato invece su posizioni arretrate. Invita pertanto i visitatori del Salon a non essere diffidenti di fronte alle nuove espressioni artistiche che si inscrivono nel vivo della realtà e a non rifiutare queste fedeli e intelligenti rappresentazioni della modernità: On a tort, selon nous, d’affecter une certaine répugnance ou du moins un certain dédain pour les types purement intellectuels. Nous croyons pour notre part, qu’il y a des effets neufs, des aspects inattendus dans la représentation intelligente et fidèle de ce que nous nommerons la modernité.43 Il termine «modernité», che qui Gautier nomina per la prima volta sottolineandolo, è intimamente connesso al suo carattere performativo. Il nuovo e l’inatteso, nella loro azione congiunta, creano infatti degli effetti che Gautier qui non definisce ancora di straniamento e di vertigine, ma che preciserà come tali in un secondo momento negli articoli scritti per «Le Moniteur universel»44 in occasione dell’Esposizione universale del 1855. Dopo aver fatto l’elogio delle esposizioni universali, grande idea che solo il loro secolo poteva realizzare con i Dal neologismo alla glossa 21 «prodigieux moyens de communications»45� messi a disposizione, sostiene che l’innovazione più significativa dell’esposizione riguarda la pittura inglese. Con la maestria del critico d’arte, amante della bellezza plastica, ma anche empaticamente attratto dalle tonalità nuove e forti,46 ne individua subito i tratti distintivi: raffinatezza, bizzarria, toni strani e affascinanti. Una pittura davanti alla quale si rimane all’inizio più sbalorditi che sedotti. Ciò che non si conforma al canone pittorico, aveva implicitamente rimarcato nell’articolo del 1852, è dai più rigettato. Chi invece ha il coraggio di rompere gli schemi, entra di diritto nella modernità. La pittura inglese, a suo parere, lo ha fatto. Così a proposito di William Mulready: Il serait difficile de rattacher cet artiste à aucune école ancienne, car le caractère de la peinture anglaise est, comme nous l’avons dit, la modernité. Le sentiment qu’il exprime est si récent que le mot pourrait bien ne pas se trouver dans les dictionnaires.47 Il giorno dopo, dalle pagine del «Pays»,48� Baudelaire sembra voler riprendere le fila del discorso di Gautier, precisandolo e orientandolo ulteriormente, senza peraltro mai fare riferimento direttamente a lui. L’arte non può essere ingabbiata negli angusti schemi voluti dai «modernes professeurs-jurés d’esthétique».49 Se vi si conformasse, il bello sparirebbe dai quadri e dall’esistenza; la varietà è condizione sine qua non per qualsiasi forma di vita. Collega poi questa varietà di toni, di cui l’arte non può fare a meno se vuole sopravvivere, allo stupore che essa suscita: L’étonnement, qui est une des grandes jouissances causées par l’art et la littérature, tient à cette variété même des types et des sensations.50 Ma Baudelaire si spinge oltre, con un’affermazione che in parte richiama quella di Gautier a proposito del carattere bizzarro della pittura inglese, diventata in seguito uno degli aforismi più citati della sua definizione del Bello: «le beau est toujours bizarre».51 Non volontariamente e freddamente bizzarro, ma quel tanto di «bizarrerie naïve» che fa sì che il bello diventi il Bello. Un quadro deve far vibrare chi lo guarda poiché «la peinture est une évocation, une opération magique».52 E quando queste evocazioni prendono forma sulla tela e si personificano, sono di fronte a noi e ci guardano e «nous n’avons pas le droit de discuter les formules évocatoires du sorcier».53 Importanti sono invece le sensazioni che suscitano. Tale 22 Paradigmi della modernità è notoriamente l’approccio critico di Baudelaire con l’opera d’arte dove il soggetto e l’oggetto diventano un tutt’uno, un atto di conoscenza critica e un atto di invenzione poetica. Gautier e Baudelaire avevano dunque indicato una nuova strada nell’approccio critico all’opera d’arte. Insieme a loro, la voce autorevole di Delacroix che in Questions sur le beau (1854) aveva posto il problema della “varietà” come categoria estetica, nella sua azione congiunta con l’originalità.54 Una posizione meno allineata è quella dei Goncourt, esperti conoscitori del mondo dell’arte e loro stessi artisti, tra i primi a tematizzare il mondo dell’arte in un testo letterario, Manette Salomon (1867) che vuole essere negli intenti stessi degli autori una riflessione sulla creazione artistica, sulle sue possibilità, i suoi limiti e al tempo stesso una severa critica dell’accademismo e dei gusti dell’epoca. Da critici d’arte quali erano, non poteva mancare la loro firma sui resoconti dell’Esposizione universale del 1855 e prima ancora su quelli del Salon del 1852. Il loro obiettivo non è tanto quello di informare o orientare lo spettatore, ma piuttosto di interrogarsi sulla natura e sulle prospettive dell’arte contemporanea. Affrontano tali questioni soprattutto nella Peinture à l’Exposition universelle de 1855 dove il termine «modernité» non compare comunque mai, anche se traspare in filigrana tra le righe del testo, fortemente connesso alla percezione ottica del nuovo,55 al «chatouillement physique de l’œil», come loro stesso sostengono.56 La loro è una lettura fenomenologica dell’opera d’arte che impone l’empirismo della percezione sulla perentorietà del concetto. Dopo essersi infatti domandati se la pittura sia un’arte spiritualista o se invece non debba essere considerata come «l’animation matérielle d’un fait, la représentation sensible d’une chose»57� e dunque si debba configurare più come arte materialista, i Goncourt, a partire da questo discrimine, prendono in esame le opere esposte per aree geografiche, considerando espressioni artistiche morte tutte quelle che si inscrivono nella prospettiva di uno spiritualismo, seppure uno laico, valorizzando invece e dando grande risalto alle altre. Al bando dunque l’arte religiosa, quella idealista, letteraria o storica; al bando i pittori che pensano, che vogliono mettere idee nelle loro tele. Il nuovo sta nell’«art de la surface».58 Decamps, pittore con spiccata predilezione per la natura e i soggetti orientalisti è il solo, per loro, a saper dipingere le “superfici”: Decamps est le maître moderne, le maître du sentiment pittoresque. À Decamps, la couleur folle! À Decamps, la lumière ivre. À Decamps seul, - le soleil!59 Dal neologismo alla glossa 23 La vera conquista dell’arte moderna, «l’honneur de la peinture du XIXe siècle» consiste dunque secondo loro, nella raffigurazione dei paesaggi60 che l’artista contemporaneo non magnifica più, ma semplicemente «dipinge».61 Il difetto di quasi tutti i pittori francesi dell’epoca, anche quelli dotati di talento come Ingres e Delacroix, ai quali i Goncourt dedicano peraltro ampio spazio, dipingono avendo in mente dei maestri e rifacendosi a modelli del passato. Niente di più sbagliato. I veri artisti sono quelli che rendono immediatamente visibile nelle proprie tele la loro visione del mondo. I termini del discorso si spostano a questo punto dalla percezione alla cosa percepita, all’originalità di uno stile che per i Goncourt è «ce sceau rare et merveilleux, cette vue neuve de la création, […] cette marque d’invention»62 che ogni artista, per essere tale, deve possedere. Non esiste dunque una modernità strettamente correlata all’epoca presente. Per loro, come per Gautier63 e ancor prima in Balzac, la modernità si delinea come categoria atemporale, collegata alla capacità di rappresentare il proprio tempo. Annotano il 25 novembre 1856 nel Journal: Songer que sauf Gavarni, il n’y ait personne qui se soit constitué le peintre de la vie et de l’habit du XIXe siècle! Tout un monde est là, que le pinceau n’a pas touché. Cependant quel intérêt, quel charme, quelle vie dans ces portraits d’après nature du XVIIIe siècle […] qui sont le portrait de l’homme entier et pris dans ses habitudes de pose et dans les entours ordinaires de sa vie. Folie, de faire des portraits dans une pose solennelle et d’en draper le décor avec une colonne et une draperie.64 Per la modernità letteraria usano lo stesso parametro critico. Sempre nel Journal, il 31 dicembre 1858 commentano a proposito di Luciano: La plus étonnante modernité étonne et charme dans Lucien. Ce Grec de la fin de la Grèce et du crépuscule de l’Olympe, est notre contemporain par l’âme et l’esprit. […] Lucien! en le lisant, il me semble le grand-père de Henri Heine: des mots du grec reviennent dans l’allemand, et tous deux ont vu aux femmes des yeux de violettes.65 Successivamente, nel 1866, dopo che Baudelaire avrà indicato nel Peintre de la vie moderne la natura di questa atemporalità («il y a une modernité dans chaque peintre ancien»66), in un’altra pagina del Journal, daranno maggior forza argomentativa a queste loro affermazioni: 24 Paradigmi della modernità L’art est l’éternisation, la fixation dans une forme suprême, absolue, définitive d’un moment d’une fugitivité, d’une particularité humaine.67 Anche per loro, come già per Baudelaire, la modernità è un valore estetico che cambia, ma presente in tutte le epoche. il Bello non può esprimersi se non attraverso una realtà passeggera e fuggevole. I Goncourt si misureranno di lì a poco con questa dimensione baudelairiana della modernità in Manette Salomon filtrata dalla loro personale estetica percettiva. A Chassagnol, loro portavoce nel romanzo, il compito di precisarla ulteriormente. Così, rivolgendosi a Coriolis: Bravo! Le moderne…vois-tu, le moderne, il n’y a pas que cela. Une bonne idée que tu as là. […] Je me disais: Coriolis qui a ça, un tempérament […] lui un sensitif… une machine à sensations… lui qui a des yeux… Comment! il a son temps devant lui et il ne le voit pas. Mais, est-ce que tous les peintres, les grands peintres de tous les temps, ce n’est pas de leur temps qu’ils ont dégagé le Beau? Est-ce que tu crois que ça n’est donné qu’à une époque, qu’à un peuple, le Beau? Mais tous les temps portent en eux un Beau, un Beau quelconque, plus au moins à fleur de terre, saisissable et exploitable… C’est une question de creusage, ça… […] La sensation, l’intuition du contemporain, du spectacle qui vous coudoie, du présent dans lequel vous sentez frémir vos passions et quelque chose de vous… tout est là pour l’artiste depuis l’âge d’Égine jusqu’à l’âge de l’Institut… […] Le dix-neuvième siècle, ne pas faire un peintre! Mais c’est inconcevable… Je n’y crois pas…68 Il 1863, il grande spettacolo della modernità Gaëtan Picon, raffinato letterato amante dell’arte, ha paragonato il 1863 a un grande spettacolo teatrale davanti al quale ancora oggi si rimane stupefatti: «Vers 1863, à Paris…Heure d’un accord, d’un espoir dont nous sommes encore émerveillés».69 I personaggi sulla scena sono molti, sostiene ancora Picon, alcuni stanno per lasciare la scena come Delacroix, altri si affacciano con prepotenza, ma l’unico vero protagonista che potrebbe dare il nome alla pièce è Manet. Rifiutato al Salone ufficiale, espone infatti proprio nel 1863 il suo Déjeuner sur l’herbe a quello parallelo, il «Salon des Refusés» che apre per la prima volta i battenti quell’anno (per volontà dello stesso Napoleone III) per accogliere tutte quelle opere Dal neologismo alla glossa 25 che non erano state ammesse alla manifestazione ufficiale. Immediatamente scoppia lo scandalo. È la prima volta infatti che un dipinto sfida in modo così audace il canone pittorico non soltanto per i soggetti che “abitano” il quadro, vivendo ognuno à son aise il proprio ruolo,70 ma anche per le dissonanze cromatiche, per l’assenza di rilievo delle figure, per il disinteresse della prospettiva. Il suo incanto e probabilmente il suo scandalo, è stato sottolineato, sta tutto sulla superficie, nella mancanza di retro-piani da decifrare.71 Ma all’epoca è stato quasi un coro unanime di critiche e di derisioni. Anche chi si era schierato a favore di un nuovo modo di vivere e sentire l’arte, rimane spiazzato di fronte alle sue tele. Gautier, che farà parte del jury del Salon del 1865 dove Manet presenterà un’altra sua opera (Olympia), altrettanto trasgressiva quanto la prima se non di più, ha per lui note di disappunto.72 I Goncourt, così attratti dall’«art de la surface», lo ignorano completamente, non facendo alcun cenno nel Journal né a lui né a tutto il clamore che i suoi quadri avevano suscitato, dando però indirettamente il loro parare negativo attraverso Manette Salomon.73 Perfino Baudelaire è tiepido nei suoi confronti, riconoscendogli soltanto «un goût décidé pour la réalité, la réalité moderne, – ce qui est dèjà un bon symptome, – cette imagination vive et ample, audacieuse, sans laquelle, il faut bien le dire, toutes les meilleures facultés ne sont que des serviteurs sans maîtres, des agents sans gouvernement».74 Quando poi Manet, di fronte agli attacchi impietosi della critica e del pubblico, si rivolge a lui per chiedergli espressamente un suo giudizio su Olympia, aspettandosi probabilmente un sostegno e una difesa della sua arte, non avrà se non una risposta elusiva e scherzosa, propria di chi non vuole esprimere fino in fondo il proprio parere. Anche Chateaubriand e Wagner erano stati derisi, sostiene Baudelaire, e non per questo sono morti: Et pour ne pas vous inspirer trop d’orgueil, je vous dirai que ces hommes sont des modèles, chacun dans son genre, et dans un monde très riche et que vous, vous n’êtes que le premier dans la décrépitude de votre art.75 In qualsiasi modo si voglia leggere questa lode inquietante, è indubbio che per lui Manet non è Delacroix e non rappresenta neanche il vero pittore della vita moderna. Significativa inoltre l’ulteriore mancanza di tracce critiche su di lui eccetto una precedente dedica apposta al XXX Spleen de Paris, «La Corde» del 1864. 26 Paradigmi della modernità Il 1863 è anche l’anno di pubblicazione del Peintre de la vie moderne, la cui redazione tuttavia risale al 1859-1860.76 Come si è più volte ricordato, è proprio Baudelaire a glossare il termine «modernité» in uno dei capitoli iniziali del testo (il quarto) dal titolo omonimo, costellato da ulteriori capitoli, tredici in tutto, che vanno da «Le beau, la mode et le bonheur» al «Croquis des moeurs», dal «Dandy», al «Militaire» all’«Éloge du maquillage». I temi non sono nuovi per Baudelaire; li aveva affrontati nei precedenti Salons già a partire da quello del 1846, senza però dare agli stessi una sistematicità argomentativa concatenata. Qui si radicalizzano e i discorsi messi in gioco si implicano reciprocamente creando una serie di rimandi e di rispecchiamenti che resistono tuttavia a una lettura univoca. Che cos’è la modernità per Baudelaire e per l’artista che ha eletto come pittore della vita moderna? Senza voler entrare nel merito di un dibattito che non accenna ad esaurirsi,77 vorrei enucleare dal testo alcuni punti centrali. Essenzialmente fondata sulla doppia natura del bello, costituito da un elemento eterno e invariabile su cui si innesta un altro relativo e circostanziale,78 la modernità è strettamente connessa, nella sua doppia articolazione eterno/provvisorio, al concetto di moda. Si potrebbe addirittura ipotizzare, com’è stato detto forse con intenzioni provocatorie, che il termine modernità non si origini da “moderno” ma da “moda”.79 Non c’è di eterno, sostiene Baudelaire se non il provvisorio, il contingente, l’eterno ritorno del nuovo. Il carattere performativo della moda incarna perfettamente questo concetto:80 la permanenza nel cambiamento, l’eterno nel transitorio. E non solo; la moda è l’espressione del gusto di una specifica epoca, ne è la raffigurazione. Ogni pittore deve saperla “estrarre” e a sua volta restituirla. Da qui la sua definizione di modernità artistica: La modernité, c’est le transitoire, le fugitif, le contingent, la moitié de l’art, dont l’autre moitié est l’éternel et l’immuable. […] En un mot, pour que toute modernité soit digne de devenir antiquité, il faut que la beauté mystérieuse que la vie humaine y met involontairement en ait été extraite.81 È evidente quindi che per Baudelaire la modernità non comporta soltanto la scelta del soggetto, ma anche un nuovo modo di rappresentare il mondo. L’allusione alla «beauté mystérieuse» della quale sfugge per sua definizione la natura connotativa, implica una condizione di bellezza imperitura, il suo tratto permanente senza il quale il soggetto prescelto non sarebbe altro che un prodotto Dal neologismo alla glossa 27 avariato «d’un siècle vaurien».82 Concetto che chiama in causa la nozione di progresso, che altrove Baudelaire aveva definito «cette grande hérésie de la décrépitude»,83 quella di modernizzazione sociale e industriale contro cui non smetterà mai di lanciare i suoi anatemi. Ma per converso, sopprimendo il carattere transitorio della bellezza, quello della vita quotidiana anche e soprattutto negli aspetti più laidi, si cadrebbe inevitabilmente «dans le vide d’une beauté abstraite et indéfinissable, comme celle de l’unique femme avant le premier péché».84 Immagine ardita, sostiene Jauss, che vede in questa «Ève après la chute» la quintessenza della bellezza e il simbolo dell’insurrezione contro la metafisica del bello, del bene e del vero atemporale e che consacra «l’antithèse entre le moderne et l’éternel, dont l’apparition marque la dernière phase de l’histoire de la modernité».85 Facendo dunque circolare la temporalità nell’eterno, Baudelaire crea un corto circuito all’interno di questa categoria estetica condannandola a un’instabilità permanente: una negatività nella positività, una debolezza nella forza. La modernità è infatti, come afferma giustamente Meschonnic, «[…]un combat. Sans cesse recommençant. Parce qu’elle est un état naissant, indéfiniment naissant, du sujet, de son histoire, de son sens».86 Note 1 2 3 4 5 6 7 8 Cfr .Yves Vadé, L’invention de la modernité, in Vadé (éd.), Ce que modernité veut dire, T. I, Bordeaux, Presses Universitaires de Bordeaux, 1994, pp. 51-72. Honoré de Balzac, La Dernière fée: ou la nouvelle lampe merveilleuse, Paris, Barba, 1823, p. 58, ora in Premiers romans, T. II, Paris, Laffont, 1999. Cfr. Stéphane Vachon, Honoré de Balzac a inventé la modernité, in Roland Le Huenen, Andrew Oliver (éds.) Paratextes balzaciens. La Comédie humaine et ses marges, Toronto, Centre d’études du XIXe siècle Joseph Sablé, 2007, pp. 205-220. «Mais que toutes ces ruses de la modernité cèdent au génie antique, aux puissantes attaques de nerfs, à la pyrrhique conjugale!» Balzac, Physiologie du mariage, in La Comédie humaine (Études analytiques), T. XI, Paris, Gallimard, «Bibliothèque de la Pléiade», 1980, p. 997. Balzac, Le Centenaire ou les deux Béringheld, T. III, Paris, Pollet, 1822, p. 199, ora in Premiers romans, T. I, cit. Balzac, XIIe livraison des Annales françaises des arts, des sciences et des lettres, à l’occasion de la sortie du Centenaire (28 déc. 1822). Testo citato e commentato da Roland Chollet, Du premier Balzac à la mort de Saint-Aubin. Quelques remarques sur un lecteur introuvable, «L’Année balzacienne», 1987, p. 17-18. Balzac, Les Illusions perdues, in La Comédie humaine, T. VII, cit., 1977, p. 459. Balzac, Avant-propos, in La Comédie humaine, T. I, cit., 1976, p. 10. 28 9 12 13 14 10 11 15 16 17 20 18 19 21 22 25 26 27 23 24 28 29 30 Paradigmi della modernità Pubblicato su «L’Artiste» nel marzo - aprile 1858 e sul «Moniteur universel» nel maggio dello stesso anno, ripubblicato successivamente in Portraits contemporains, Paris, Charpentier, 1874, p. 107. Ivi. Ibid., p. 109. Ibid., p. 108. Ibid., p. 111. Cfr. Charles Baudelaire, Salon de 1846 («De l’héroïsme de la vie moderne»), in Œuvres complètes (Claude Pichois éd.), T. II, Paris, Gallimard, «Bibliothèque de la Pléiade», 1976, p. 496. Baudelaire, Critique littéraire («Théophile Gautier I»), in Œuvres complètes T. II, cit., p. 120. Ibid. («Martyrs ridicules par Léon Cladel»), p. 183. I rimaneggiamenti del manoscritto prima della pubblicazione in volume non garantiscono che la parola «modernité» sia stata utilizzata già a partire dalla prima redazione delle sue annotazioni di viaggio ma, secondo Jean-Claude Berchet, curatore dell’edizione critica, la stesura definitiva del libro XXXVI non è posteriore al 1836. Cfr. Jean-Claude Berchet, Notice des livres XXXIV à XLII, in François-René de Chateaubriand, Mémoires d’outre tombe, T. II, Paris, La Pochothèque, 1998, pp. 469-488. Chateaubriand, Mémoires d’outre tombe, T. II, cit., p. 670. Ibid.,T. I, p. 442. Chateaubriand, Génie du christianisme, in Essais sur les révolutions. Génie du christianisme (Maurice Regard éd.), Paris, Gallimard, «Bibliothèque de la Pléiade», 1978, pp. 681-682. Cfr. Hans Robert Jauss, La «modernité» dans la tradition littéraire, in Pour une esthétique de la réception, Paris, Gallimard, 1978, pp. 201-206. Cfr. Chateaubriand, Mémoires d’outre tombe (Dossier documentaire «Les Conclusions des Mémoires»), T. II, cit., p. 1508. Sulla modernità romantica di Chateaubriand cfr. Jean-Pierre Bertrand, Pascal Durand (éds.), La modernité romantique: de Lamartine à Nerval, Bruxelles, Les Impressions nouvelles, 2006 e Vadé, op. cit., pp. 60-61. Heinrich Heine, Reisebilder - Tableaux de voyage, T. I, Paris, Renduel, 1834, p. 129. Ibid., p. 128. Ibid., p. 194. Ibid., T. II, p. 451. «Mon cher Heine, à vous cette Étude, à vous qui représentez à Paris l’esprit et la poésie de l’Allemagne comme en Allemagne vous représentez la vive et spirituelle critique française, à vous qui savez mieux que personne ce qu’il peut y avoir ici de critique, de plaisanterie, d’amour et de vérité». Balzac, Un Prince de la Bohême, Paris, Potter, 1845, successivamente in Scènes de la vie parisienne. Grande lettore dei testi di Heine, Barbey d’Aurevilly era intenzionato a scrivere un articolo rimasto poi incompiuto. Rimangono tuttavia diverse annotazioni di lettura piuttosto interessanti. Cfr. Jules Barbey d’Aurevilly, Omnia (Joël Dupont éd.), Paris, Grasset, 2008. Gérard de Nerval, Les poésies de Henri Heine, «Revue des Deux Mondes», 15 juillet 1848, vol. III, p. 171. Ibid., p. 178. Dal neologismo alla glossa 29 Ivi. Théophile Gautier, Henri Heine, in Heine, Reisebilder - Tableaux de voyage, T. I, Paris, Michel Lévy, 1856, p. III. 33 Ibid., pp VIII-IX. 34 Ibid., p. X. 35 Gautier, Correspondance générale (Claudine Lacoste-Veysseyre éd.), T. I, Genève, Droz, 1985, p. 254. Lettera a Henri Heine del 5 luglio 1841. 36 Cfr. Paul Peters, Heine et Baudelaire, ou la formule alchimiste de la modernité, «L’Année Baudelaire», n. 8, 2004 (numero monografico Baudelaire et l’Allemagne. L’Allemagne et Baudelaire), pp. 57-83. 37 Baudelaire, Critique littéraire, («Lettre à Jules Janin»), cit., p. 231. 38 Ibid., p. 237. 39 Ibid., p. 234. 40 Cfr. Peters, op. cit., p. 78. 41 Pittore francese che aveva soggiornato in Inghilterra e fortemente influenzato dalla pittura inglese. 42 Gautier, Salon de 1852, «La Presse», 27 mai 1852, p. 2. 43 Ivi. 44 Si tratta di un articolo in quattro parti dal titolo Peinture et sculpture, pubblicato a puntate il 19, il 25 e il 31 maggio 1855 e successivamente ripubblicato nel volume Les Beaux-Arts en Europe. 45 Gautier, Les Beaux-Arts en Europe, T. I, Paris, Lévy, 1856, p. 1. 46 Gautier è stato spesso criticato per non avere una posizione univoca di fronte alle opere d’arte. Cfr. Philippe Junot, Théophile Gautier ou les paradoxes de la modernité, «Histoire de l’art», n. 50, 2002, pp. 59-64. 47 Gautier, Les Beaux-Arts en Europe, cit., p. 19. 48 L’articolo esce il 26 maggio 1855. 49 Baudelaire, Critique d’art («Exposition universelle»), in Œuvres complètes, T. II, cit., p. 577. L’espressione è di Heine. 50 Ibid., p. 578. 51 Ivi. 52 Ibid., p. 580. 53 Ivi. 54 Cfr. Eugène Delacroix, Questions sur le beau, «Revue des Deux Mondes», n. 9, juillet-septembre 1854, pp. 306-315. 55 Cfr. Robert Kopp, Baudelaire et les Goncourt: deux définitions de la modernité, in Jean-Louis Cabanès et. al., Les Goncourt dans leur siècle. Un siècle de “Goncourt”, Villeneuve d’Ascq, Presses Universitaires du Septentrion, 2005, pp. 167-176. 56 Édmond e Jules de Goncourt, Journal (1852-1866), T. I, Paris, Laffont, 1989, p. 350. L’annotazione è del 1 maggio 1858. 57 Goncourt, Peinture à l’Exposition universelle de 1855, Paris, Dentu, 1855, ripresa poi in Études d’art, Paris, Librairie des Bibliophiles, 1893, p. 166. 58 Cfr. Jean-Paul Bouillon, L’art au dix-huitième siècle et autres textes sur l’art, Paris, Hermann, 1967. 59 Goncourt, Peinture à l’Exposition universelle de 1855, cit., p. 209. 60 Avevano già espresso la stessa predilezione nel resoconto del Salon de 1852. 61 Cfr. Goncourt, Peinture à l’Exposition universelle de 1855, cit., p. 166. 62 Ibid., p. 202. 31 32 30 Paradigmi della modernità Sempre nel resoconto dell’Esposizione universale del 1855, e sempre a proposito della pittura inglese, Gautier aveva sostenuto che la pittura di Millais era al tempo stesso «réaliste, mystique et fantasque», dal momento che l’artista «ne se rattache pas par aucune filiation au passé ni au présent de l’école britannique. […] Par une singulière puissance d’abstraction M. Millais s’est mis hors du temps». Gautier, Exposition universelle de 1855, T. I, cit., pp. 31-32. 64 Goncourt, Journal, T. I, cit., pp. 220-221. 65 Ibid., p. 262. 66 Baudelaire, Le Peintre de la vie moderne («La Modernité»), in Œuvres complètes T. II, cit., p. 695. 67 Goncourt, Journal, T. II, p. 32. Annotazione del 28 agosto 1866. 68 Goncourt, Manette Salomon, Paris, Folio, 1996, pp. 418-421. 69 Gaëtan Picon, 1863: Naissance de la peinture moderne, Genève, Skira, 1974, p. 9. 70 Cfr. Stéphane Guégan, Manet, inventeur du moderne, Paris, Gallimard, 2011. 71 Cfr. Marco Vallora, La nascita della pittura moderna. 1863 un anno cruciale, in Marco Goldi (éd.), La nascita dell’impressionismo, Conegliano, Linea d’ombra Libri, 2000, pp. 280-290. 72 Cfr. Gautier, Le Salon de 1865, «Le Moniteur universel», 14 giugno 1865. 73 Cfr. Thérèse Dolan, Mon Salon Manet: Manette Salomon, in Jean-Paul Bouillon (éd.), La critique d’art en France 1850-1900, Saint-Étienne, C.I.E.R.E.C., 1989, pp. 43-52. 74 Baudelaire, Critique d’art («Peintres et aquafortistes»), cit., p. 738. 75 Baudelaire, Correspondance (Claude Pichois éd.), Paris, Gallimard, T. II, «Bibliothèque de la Pléiade», 1973, pp. 496-497. 76 Pubblicato sul «Figaro» in tre riprese, il 26, il 29 novembre e il 3 dicembre, il saggio era stato in precedenza proposto da Baudelaire all’«Illustration», al «Costitutionnel» e alla «Presse». Per la datazione del testo cfr. Pichois, «Notices, notes et variantes», in Baudelaire, Œuvres complètes, T. II, cit., pp.1414-1418. 77 Quasi tutti gli studi sulla modernità si riferiscono a Baudelaire come l’iniziatore e l’inventore della modernità. Tra i numerosi si segnalano quelli di Walter Benjamin, Charles Baudelaire, un poète à l’apogée du capitalisme (19551), Paris, Payot, 1979; Michel Leiris, Miroir de la tauromachie, Paris, GLM, 1964; Octavaio Paz, Point de convergence. Du Romanticisme à l’Avant-garde, Paris, Gallimard, 1976; Jauss, op. cit.; Dominique Rincé, Baudelaire et la modernité poétique, Paris, P.U.F., 1984; Henri Meschonnic, La modernité Baudelaire, in Modernité Modernité (19881), Paris, Gallimard, 2005; Gérard Froidevaux, Baudelaire représentation et modernité, Paris, Corti, 1989; Antoine Compagnon, Les cinq paradoxes de la modernité, Paris, Seuil, 1990. 78 Cfr. Baudelaire, Le Peintre de la vie moderne («Le Beau, la mode et le bonheur»), cit., pp. 683-686. 79 Cfr. Kopp, Baudelaire et les Goncourt: deux définitions de la modernité, cit., p. 175. 80 Cfr. Kopp, Baudelaire: mode et modernité, «Cahiers de l’AIEF», 1986, A. XXXVI, n. 38, pp. 173-186. 81 Baudelaire, Le Peintre de la vie moderne («La Modernité»), cit., p. 695. 82 Baudelaire, Les Fleurs du mal («L’Idéal»), in Œuvres complètes, T. I, cit., p. 22. 83 Baudelaire, Critique littéraire («Études sur Poe»), cit., p. 324. 84 Baudelaire, Le Peintre de la vie moderne («La Modernité»), cit., p. 695. 85 Jauss, op. cit., p. 220. 86 Meschonnic, op. cit., p. 9. 63