Studi e ricerche 17 A cura di Nicola Celiberti Hanno concorso al reperimento dei documenti, degli articoli di stampa, del materiale illustrativo e di quant’altro riprodotto nel presente volume: Gabriele D’Amico Annunziato Finoli Domenicangelo La Penna Alfredo Massa Celestino Pellegrini Si ringraziano per la collaborazione gentilmente prestata: l’Archivio Storico del Comune di Atessa, l’Archivio Prepositurale di Atessa, l’Archivio di Stato di Chieti, l’Archivio Di Jorio di Atri, la Biblioteca Comunale di Atessa, la Biblioteca Dino Cicchitti di Atessa, la Biblioteca Comunale di Lanciano, la Biblioteca Provinciale di Chieti, la Biblioteca del Senato della Repubblica, l’Amministrazione Comunale di Atessa, la Banca di Credito Cooperativo Sangro-Teatina, il Coro delle Giovani Voci Dijoriane di Atessa, la Confraternita Maria SS. Addolorata di Atessa, l’Associazione Amici della Ribalta di Lanciano, e i Signori Bravo Pasquale, Cauli Ariberto, Celiberti Carmela, Cinalli Ivana, De Francesco Nicola, Di Giacomo Pier Giorgio, Di Pietro Mario, D’Onofrio Onorina, Falcucci Antonietta, Falcucci Attilio, Giannico Bartolomeo, Giannico Carlo, Giannico Giulio, Mancini Filiberto, Marchetti Antonietta, Marcolongo Gina, Marcolongo Giovanni, Marcolongo Tommaso, Profenna Luigi, Rossi Giovanni, Sabatini Paolina, Sforza Luigi, Staniscia Angelo, Tinaro Giuseppe, Tumini Teresa. 2 È davvero strampalato, lo sappiamo bene, questo nostro libro. Strampalato e sgangherato. Un abbozzo con tanti spazi vuoti, informe e incompiuto, nel quale a fatti di portata storica per la nostra Città – la costruzione del primo acquedotto o del teatro comunale, la lotta per la repressione del brigantaggio, l’istituzione dell’ospedale civile o delle scuole post-elementari, l’arrivo del treno o anche del primo autobus di linea si affiancano alla rinfusa cose di poco o nessun conto, banalità, piccole vicende della normale quotidianità, particolari stravaganti immeritevoli di considerazione quali, ad esempio, la festicciola del 1902 per la rottura delle pignatte in casa dei Baroni Mascitelli, l’omaggio in versi di un ammiratore ad una sciantosa napoletana venuta ad esibirsi in Atessa nel 1881, l’elenco arido e senza fine dei doni ricevuti per le loro nozze da una coppia di sposi del 1926 o, peggio, la lista delle vivande servite ad un’allegra brigata di amici in trattenimento conviviale a Vallaspra nel 1905. Un libro un po’ “pazzo”, insomma, privo di continuità, organicità e compiutezza. Ma allora perché pubblicarlo? Perché ci sembra che, nonostante i difetti e le manchevolezze, esso possa assolvere una duplice funzione: quella di accendere nei lettori – i giovani in particolare – il bisogno di conoscenza del nostro passato, di recupero della nostra memoria storica, e quella di offrire spunti e indicare suggerimenti per nuove, più corrette e approfondite indagini. Foto Club “Il diaframma” - Atessa 3 L a fondazione dell’Ospedale Civile Con poche disponibilità finanziarie, ma molto “zelo e sentimento di carità e di civismo”. Così nel 1851, grazie alla buona volontà di pochi cittadini animati da “filantropico sentimento”, si posero le basi per l’apertura, nel pianterreno dell’ex Convento dei Carmelitani, di un Ospedale Civile in Atessa (Delibera Consiglio Comunale 20 dicembre 1851). Presenti il 2º Eletto D. Luigi Rossi, facente funzioni di Sindaco, e i consiglieri Bartoletti Cipriano, Cardone Ignazio, Carunchio Cassiodoro, Cinalli Anicassio, De Francesco Giovanni, D’Onofrio Pietrangelo, Falcucci Camillo, Falcucci Gaetano, Ferri Giovanni, Fidelibus Alessandro, Marcolongo Vincenzo, Marcone Nicolangelo, Mascitelli barone Felice, Nardone Vincenzo, Pompilio Angelo, Rancitelli Salvatore, Rancitelli Tommaso, Scalella Policarpo. Proposta del 2° Eletto Luigi Rossi, facente funzionI di sindaco Da qualche tempo si vagheggiava il pensiero di stabilire in questa popolosa città un Ospedale Civile tanto necessario per farvi curare nelle malattie la gente povera. Si proponeva in conseguenza addirvisi lo stipendio fissato pel medico e chirurgo a condotta, nonché qualche altro fondo onde raggiungere, se non tutto prontamente, almeno nel corso di parecchi anni il desiderato scopo. Il chirurgo D. Daniele Rossi ineriva alla rinunzia della sua condotta, ed ora associandosi a questo filantropico sentimento anche il medico D. Ignazio De Marco pensa pur egli di fare simigliante rinunzia. Sentendo voi i professori anzidetti e bilanciando le cose con la finanza comunale, piacciavi dare al riguardo una deliberazione corrispondente. Il Consiglio • Uditi oralmente i professori D. Ignazio De Marco e D. Daniele Rossi i quali come medico e chirurgo a condotta, invitati a concorrere anch’essi allo stabilimento di un Ospedale Civile in questo Comune, han detto che, animati eglino egualmente di zelo e di carità cristiana, prestano la loro adesione acciò venga progettato dal Consiglio Municipale, perciò i medesimi rinunciano a’ 4 • • • • di loro stipendi fissati nello Stato di Variazione, da cominciare nel dì primo del prossimo futuro Gennaio 1852 in avanti, semprecché accada a verificarsi la fondazione di detto Ospedale e che per mancanza di fondi non dovesse aver luogo un tanto bene per questa cittadinanza; a queste sole condizioni i professori contattati rinunciano a’ loro stipendi, conservando però i titoli rispettivi tanto di medico che di chirurgo comunale, essendo del di loro onore e dilicatezza di ritenere le nomine suddette legalmente loro conferite da’ Superiori e riconosciute pel corso di tanti anni da questa cittadinanza. Finalmente vi rinunciano sotto l’altra condizione di essere soddisfatti de’ loro stipendi attrassati fin oggi per quattro anni, cioè dal 1848 a tutto il corrente anno 1851, che essi professori non han potuto mai risapere il motivo di essere stato loro ritardato siffatto oneroso pagamento; Sentiti pure gli altri professori medici e cerusici del Comune D. Leucio De Francesco, D. Pompeo Agrifoglio, D. Federico Rodini, D. Lorenzo Carunchio, D. Cassio De Marco e D. Filandro Serafini, che assieme ai signori D. Ignazio De Marco e D. Daniele Rossi spontaneamente han promesso di gratuitamente prestare la di loro opera dal 1º di gennaio 1852 in avanti così agli indigenti ed ai proietti come allo Spedale da farsi, e ciò per puro sentimento di carità e di civismo; Vedute le domande del rev. cappellano e rettore del camposanto D. Emidio Marcolongo che offre rilasciare sui di lui soldi annui ducati 6 a pro del novello Ospedale; di D. Luigi Mastrocecco farmacista che offre di rilasciare la metà, più il venti per cento sull’altra metà del valore annuo de’ medicinali che da lui saranno ai poveri esclusivamente somministrati per conto del Comune e dell’Ospedale quando sarà aperto; e de’ sacerdoti D. Filindo Forchetti e D. Errico De Francesco i quali, offrendosi di celebrare la messa mattutina in tutti i dì festivi per annui ducati 30, offrono rilasciare ducati 14 all’anno in vantaggio del detto Ospedale; [...] attesocché i ducati 14 che si sono pagati sin ora per ratizzi alla casa de’ bambini in Solmona possono bene addirsi all’annunciato novello Ospizio di Atessa, e che il Comune possa per ora concorrervi anche con altra somma di annui ducati 50 [...] Poiché i ducati 12 annui che si pagano ai sagrestani di S. Leucio per la paratura della chiesa non sono più dovuti, perché la paratura medesima non più si esegue per essersi i damaschi distrutti dal tempo né rinnovati, e quindi tale somma può egualmente impiegarsi all’Ospedale ripetuto [...] delibera essere suo ardente voto di stabilirsi in questa città di Atessa un civile Nosocomio; e perciò assegna per la formazione di esso, per la prima messa e pel mantenimento correlativo: 5 1.Gli annui ducati 105 che formano lo stipendio del medico e chirurgo a condotta del comune di Atessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 2.I ducati 14 che si pagavano di ratizzi all’orfanotrofio di Solmona anche in ciascun anno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 3.Altri annui ducati 50 da stabilirsi per lo stato finanziario del Comune 50 4.L’offerta annua di ducati 6 fatta dal rettore e cappellano del camposanto D. Emidio Marcolongo sui suoi stipendi . . . . . . . . . . . . . 6 5.Annui ducati 14 che rilasceranno sui ducati 30 della messa dell’aurora i reverendi sacerdoti D. Filindo Forchetti e D. Errico De Francesco . . 14 6.Annui ducati 12 soliti a pagarsi al sagrestano di S. Leucio . . . . . . . . . . 12 Sono ducati duecentouno . . . 201 Altri ducati 50 annui che si offrono da D. Lorenzo Carunchio che sovranamente sarà nominato percettore circondariale di Atessa al fondo delle limosine delle diverse cappelle e congreghe del Comune. La somma totale sarà messa in deposito presso di un cassiere speciale; e quando si crederà in tempo la deputazione delle opere pubbliche comunali, presieduta dal Sindaco, proporrà i mezzi della esecuzione dell’opera, la quale, comecché eminentemente cristiana, si augura il Comunal Consiglio che venga superiormente e sollicitamente approvata. In segno di adesione i signori sunnominati si sono qui sotto scritti. Ignazio De Marco - Daniele Rossi - Pompeo Agrifoglio - Cassio De Marco Leucio De Francesco - Federico Rodini - Lorenzo Carunchio Luigi Rossi, uno dei fondatori dell’Ospedale Civile. Presiedette, in qualità di 2º Eletto con funzioni di Sindaco, la seduta del Consiglio Comunale del 20 dicembre 1851, nella quale fu deliberata l’istituzione del nosocomio atessano. Riproduzione fotografica, eseguita nel 1894 da Lelio De Francesco, di un dipinto ad olio della metà dell’Ottocento di autore ignoto. 6 13 agosto 1860 – Nomina, da parte del Consiglio Comunale, di una Commissione per la “regolare” amministrazione dell’Ospedale, provvisoriamente tenuta fino ad allora dal Comune. Presenti il sindaco D. Raffaele Falcucci e i consiglieri Bartoletti Tommaso, Carunchio Paolantonio, Codagnone Nicola, D’Ameljo Filindo, De Francesco Leucio, Del Sindaco Domenico, De Marco Luzio, Di Mattia Domenico, Ferri Giovanni, Flocco Filippo, Giannico Fiorentino, Iovacchini Fiorindo, Marcone Luigi, Marra Pasquale, Menna Vincenzo, Mascitelli barone Felice, Nardone Paolo, Pompilio Luigi, Rancitelli Giacomo, Serafini Ermindo. Proposta del sindaco Raffaele Falcucci L’Ospedale Civile “S. Francesco d’Assisi” di questa Città ha bisogno di una regolare amministrazione, che sin ora è stata provvisoriamente tenuta. Vi prego di volerne nominare i soggetti incaricati del governo e contemporaneamente presceglierne il cassiere. Medesimamente vorrete provvedere ai turni di servizio dei professori sanitari. Il Consiglio Rilevando essere indispensabile che l’Ospedale Civile “S. Francesco d’Assisi” di questa Città sia, nel rapporto dei suoi interessi, guardato più da vicino ed amministrato con ogni zelo e premura, è di avviso • Procedersi in prima alla elezione d’un cassiere, in seguito di analoga terna, per la regolare conservazione di qualsiasi somma e rendita ad esso appartenenti; • Nominarsi una Commissione, composta di due reverendi canonici e due altri probi ed onesti cittadini, la quale potesse brigarsi del regolare andamento del servizio e della convenevole amministrazione dello Stabilimento; • Stabilirsi infine, in modo anche regolare, l’assistenza dei professori per gl’infermi. Quindi, coerentemente al già detto, propone in terna per cassiere i signori D. Pompeo Coccio, D. Luigi Rossi e D. Gennaro Marcone. Per componenti poi la Commissione anzicennata, rimangono nominati i reverendi canonici D. Michele Carunchio e D. Federico D’Onofrio ed i due altri cittadini D. Luzio De Marco e D. Giovanni Ferri, tutti pur troppo noti per zelo e filantropia. In ordine all’assistenza dei professori, stabilisce la surroga di essi in ogni quindici giorni, ed ove in caso di urgenza fosse necessaria l’assistenza di altro, quello in servizio lo sceglierà a suo piacimento. In fine, il Consiglio stesso, dato uno sguardo alla lista delle spese quotidiane occorrenti all’Ospedale surriportato, trova, più di ogni altra, esorbitante quella del combustibile, dal perché, onde concorrere di vantaggio al bene del luogo pio, propone che, previa la intelligenza del Guardia Generale, si stabilisca annualmente un numero di mozzoni del bosco Archiano bastevoli al consumo dello Stabilimento. 7 13 ottobre 1874 – Cessione dell’Ospedale, da parte del Comune, alla Congrega di Carità, istituzione pubblica di beneficenza e assistenza, alle cui dipendenze esso sarebbe poi rimasto fino al 1937. Presenti l’assessore anziano Giacinto Vaselli, facente funzioni di sindaco, e i consiglieri Carunchio Ferdinando, Carunchio Lorenzo, Codagnone Nicola, De Marco Luzio, Flocco Filippo, Grumelli Francesco, Marcolongo Giuseppe, Rancitelli Francesco, Rotolo Clemente, Spaventa cav. Vincenzo. Proposta dell’assessore anziano Giacinto Vaselli, facente funzionI di sindaco Allo scopo di ridurre l’Ospedale Civile in miglior condizione, sarebbe di bene che quella parte a ciò destinata si cedesse alla Congrega di Carità, la quale penserebbe al suo miglioramento. Se ciò convenga le SS.VV. vorranno deliberarvi e stabilire quelle condizioni che crederanno opportune. Il Consiglio All’unanimità accetta, in massima, la cessione a favore di questa Congrega di Carità di quella parte del comprensorio dell’ex Convento del Carmine che attualmente è addetta ad uso di Ospedale Civile. Però la stessa cessione avrà luogo dopoché la prefata Congrega avrà fatto elaborare un progetto d’arte per ridurre l’anzidetto Ospedale in migliore e più decente condizione. Il dott. Manfredi Campana, la figura più rappresentativa nella lunga storia dell’Ospedale Civile di Atessa. Vi prestò servizio come direttore sanitario e primario chirurgo per un quarantennio (dal 1932 ai primi anni ’70), meritando la riconoscenza della cittadinanza per le sue elevate doti professionali e lo spirito di dedizione. 8 La Partecipazione agli ideali del Risorgimento Il compimento dell’Unità d’Italia festeggiato con calorose “dimostrazioni di gioia”: spettacoli pirotecnici, luminarie, archi trionfali, concerti bandistici, voli di aerostati, suoni di campane, elargizioni ai poveri. Garibaldi, tra i protagonisti del Risorgimento, il più amato dagli Atessani. Antonio D’Onofrio (1835-1917), un garibaldino atessano. Il 7 settembre 1860, quando stava ormai per portare a compimento la liberazione dell’Italia meridionale dal regime borbonico, dando così un contributo determinante all’attuazione dell’unità nazionale, Giuseppe Garibaldi entrava a Napoli, trionfalmente accolto dalla popolazione. Tra la folla osannante che in quella storica giornata si strinse attorno al condottiero nizzardo e alle sue truppe vittoriose c’era anche, in preda ad incontenibile esultanza, un giovane di Atessa: si chiamava Antonio D’Onofrio ed era studente di medicina all’Università partenopea. Patriota fervente, da Napoli egli aveva col pensiero accompagnato Garibaldi in tutti i momenti della sua leggendaria spedizione nel Mezzogiorno d’Italia: aveva saputo, con l’animo sospeso fra la speranza e il timore, dello sbarco a Marsala dell’11 maggio; aveva accolto in tripudio le notizie delle fulminee vittorie di Calatafimi, Palermo e Milazzo e della conquista del primo lembo di Calabria; si era inebriato di felicità quando aveva appreso che lo Stato borbonico si stava sfasciando, con i soldati che si sbandavano o si arrendevano senza combattere e il re che fuggiva a rintanarsi nella fortezza di Gaeta. Poi la trepida, febbrile attesa di vedere Garibaldi a Napoli. Ed eccolo là finalmente, in carne ed ossa, davanti ai suoi occhi estasiati, l’eroe prediletto con la camicia rossa e il fazzoletto ad armacollo e con la “faccia da Padre-eterno”! Il giovane patriota atessano si sentì allora “impazzito per la gioia”, incapace di tenere a freno il suo entusiasmo delirante. L’indomani, “stracco e rauco” per gli applausi, le grida di giubilo, i canti e le altre “diavolerie” del giorno precedente, egli espresse mirabilmente il suo stato d’animo in una lettera al fratello traboccante di ardore patriottico. Giungeva, a questo punto, a definitiva maturazione un proposito che Antonio D’Onofrio da tempo coltivava segretamente nel suo animo, quello di 9 interrompere temporaneamente gli studi e di arruolarsi fra i garibaldini per non far mancare il suo contributo alla causa italiana: fu così che, con la dedizione di chi si sente chiamato a compiere una missione, egli si unì all’eroe che aveva conquistato il suo cuore e in più occasioni si ritrovò a combattere accanto a lui, dando prova di ardimento, come dimostrano le due medaglie d’argento meritate nel corso della III guerra d’indipendenza. Ritornò, poi, ai suoi libri e si laureò in medicina, fiero di non essere rimasto inerte spettatore dei grandi avvenimenti del suo tempo. Nicola Celiberti Confronto, novembre-dicembre 1991. Lettera di Antonio D’Onofrio al fratello, scritta a Napoli all’indomani dell’ingresso di Garibaldi nella città. Napoli, 8 settembre 1860 Caro fratello, Viva Garibaldi! Non so quel che ti scrivo, perché qua ci siamo quasi tutti impazziti per la gioia. Ieri entrò Garibaldi, accompagnato da una parte del suo Stato Maggiore. È impossibile che ti puoi figurare la calca, lo schiamazzo, la quantità delle bandiere, l’illuminazione, il va e vieni delle carrozze zeppe d’uomini, donne, preti, frati con enormi torce, gridando e dimenandosi come energumeni. Son cose che mai si son viste e mai più si vedranno, perché una volta si nasce. Avresti dovuto vedere Garibaldi in calzone bigio, camicia rossa, fazzoletto ad armacollo e con quella sua faccia da Padre-eterno! Il dolce passaggio di cui parli l’avete bell’e fatto. Vi addormiste con Borbone sullo stomaco e vi svegliate con Garibaldi a cavalcioni sulle spalle. Viva l’Italia! Oggi arriverà un primo distaccamento di 3 mila uomini. Tra domani e dopodomani saranno 30 mila. Si tratterranno poco, dovendosi ultimare i conti con Borbone e poi col S. Padre ed i suoi sagrestani e baciazampe, che ne toccheranno delle belle se i piedi ci porteranno là. L’ex-re si è rintanato a Gaeta, dove aspetta il resto del carlino, come dicono i Piemontesi. Io sto stracco, rauco per le diavolerie di ieri. Cadono le città, cadono i regni, ed ora cade l’acqua a meraviglia, che c’interrompe la festa e la parata che si farà domani, tempo permettendo. Le truppe si sono accantonate tra Caserta e Capua per capitolare, ma gli sbandamenti sono continui e difficilmente ci si potrà raccapezzare qualche brigata più o meno sana. Statti buono. Tanti saluti alla famiglia. Viva l’Italia, Viva Vittorio Emanuele, Viva Garibaldi Dittatore! Addio Addio, ti saluto e sono Antonio 10 Feste popolari in Atessa per l’entrata delle truppe garibaldine a Napoli e per l’attuazione dell’unità nazionale (Delibera Consiglio Comunale 14 novembre 1860). Presenti il sindaco D. Raffaele Falcucci e i consiglieri Carunchio Paolantonio, Codagnone Nicola, De Francesco Leucio, De Marco Luzio, Di Mattia Domenico, D’Onofrio Filoteo, D’Onofrio Pietrangelo, Ferri Giovanni, Flocco Filippo, Iovacchini Fiorindo, Marcolongo Giuseppe, Marra Pasquale, Mascitelli Enrico, Mascitelli barone Felice, Mastrocecco Gennaro, Menna Vincenzo, Nardone Paolo, Pompilio Luigi, Rancitelli Giacomo, Serafini Ermindo, Spaventa Vincenzo. Proposta del Sindaco Raffaele Falcucci Quando il nostro Municipio riceveva l’avviso del felice ingresso in Napoli dell’illustre Generale Dittatore Giuseppe Garibaldi, precursore invitto del Re destinato alla redenzione d’Italia, non seppe contenersi dalla gioia; quindi una festa improvvisata – con archi trionfali, bande musicali, fuochi pirotecnici, atti di gioia, torelli, luminarie, voli di aerostati, maritaggi, suono di sacri bronzi, inni ambrosiani, vestimenta pei poveri, elimosine in denaro, pane, sale, ed altre dimostrazioni che sarebbe lungo il noverare – portò la spesa a ducati 395, dei quali ducati 80 furono per impronto anticipati dalla cassa comunale. Il dippiù si ebbe da offerte volontarie dei cittadini. Ora che trattasi dell’arrivo trionfale del Re galantuomo Vittorio Emanuele, della sua solenne accettazione al plebiscito, della sua salita al trono d’Italia una volta liberata e fatta sovrana di se stessa, pare che debbono le dimostrazioni di gioia non solo rinnovarsi, ma raddoppiarsi, triplicarsi ancora. Propongo quindi (seguendo il voto della intera cittadinanza) che sia in piacere vostro di nominare una deputazione di chiari cittadini per festeggiare un avvenimento tanto sospirato dall’Italia intera. Medesimamente di indicare i fondi donde prelevare le somme così pei ducati 80 spesi dal Comune nella precedente festa come per l’altra che deve celebrarsi ad onore della prelodata Maestà Sua Vittorio Emanuele. Il Municipio di Atessa, a niuno secondo nello aspirare a grandi riforme politiche cui solo Vittorio Emanuele Re magnanimo era dato compiere con prodigioso senno e con mano per quanto benedetta altrettanto forte ed ardita, volendo mandare alla posterità una memoria imperitura di sì grandi avvenimenti quali sono la proclamazione dell’Italia una ed indivisibile sotto lo scettro costituzionale della lodata Maestà Sua; ad appagare inoltre l’entusiasmo cittadino che sente il bisogno di esternare la sua gioia per gli avvenimenti medesimi altamente provvidenziali; 11 Delibera • Di solennizzarsi una festa per simigliante preziosa ricordanza; • Di nominare, come nomina, una deputazione nelle persone dei Signori D. Nicola Codagnone, D. Vincenzo cav. Spaventa, D. Giuseppe Marcolongo, D. Giacinto Iovacchini, D. Vincenzo De Ritis e D. Vincenzo De Francesco; • Assegna per la spesa di questa festa la somma di ducati 520, dei quali ducati 440 da servire per far fronte alla spesa della festa da solennizzarsi e ducati 80 per rivalere la cassa comunale dell’impronto fatto in eguale somma nella festa precedente [...] Per la morte di Giuseppe Garibaldi (1882): invito del Sindaco ad intervenire alle pubbliche onoranze. 12 6 luglio 1907 - Celebrazione, con discorso commemorativo di Alfonso Iovacchini e con “musica, illuminazione, bandiere e caldo affetto”, del centenario della nascita di Garibaldi. La gioventù operaia ha solennizzato con musica, illuminazione, bandiere e caldo affetto il centenario di Garibaldi, invitando il Prof. Alfonso Iovacchini a pronunziare un discorso nel locale del Comitato liberale. [...] dopo aver tratteggiato la figura dell’Eroe, l’egregio parlatore [...] con parola calda di entusiasmo ne illustrava man mano le gloriose gesta, avvincendo l’attenzione di tutto l’uditorio. E così chiudeva volgendosi ai concittadini operai: «[...] Dopo 25 anni dalla sua morte, il mondo civile oggi festeggia il centenario della sua nascita; noi cittadini di Atessa, qui convenuti, ci uniamo in ispirito all’immenso popolo che onora il difensore e liberatore dell’oppressa umanità e che, in ispecial modo, fu il gran fattore del risorgimento d’Italia, sollevata a dignità di nazione libera e grande al cospetto della civile Europa. Ed ispirandoci alle gesta dell’immortale Eroe dei due mondi condotte a pro della redenzione civile e morale delle popolazioni, animosi ed impavidi difenderemo ovunque chi lotta per la libertà o pel bene pubblico contro i nuovi tirannelli che, disconoscendo la luce intellettuale e la civiltà dei nuovi tempi, vogliono ricondurre gli operai sotto il regime feudale, togliendo loro ogni libertà d’azione, ogni nobile iniziativa che conduce al benessere generale della classe diseredata. Ogni qual volta si lotti per la giustizia sociale noi onoriamo la memoria sacra di Garibaldi che, nato in seno del popolo, difese i veri diritti e i vitali interessi delle popolazioni oppresse dalle tirannidi». La Provincia - Corriere dell’Italia Centrale e Meridionale, luglio 1907. Lapide apposta in Piazza Benedetti nel 1961, a cento anni dalla proclamazione del Regno d’Italia. 13 Manifesto, pubblicato il 10 marzo 1961, per la celebrazione del primo centenario dell’Unità d’Italia. 14 1961, 27 marzo – Celebrazione del primo centenario dell’Unità d’Italia. In testa al corteo, tra gli assessori comunali, il sindaco Antonio De Laurentiis. 15 Il brigantaggio post-unitario Un fenomeno che in Atessa assunse dimensioni particolar- mente gravi. In contrada Pili, al tempo dei briganti. La “miseranda” fine del guardaboschi Giovanni Marcucci. [...] il nonno era tenuto d’occhio dai briganti più temuti: Domenico Valerio, Giuseppe Delle Donne, Nicola Natale, Policarpo Romagnoli. Non ancora veniva in Atessa Chiaffredo Bergia, un piemontese che per due anni, il 1862 e il 1863, tenne in rispetto i briganti della zona, che spesso nelle feste di mezz’agosto osavano venire a sentire le bande che suonavano nel piano di S. Rocco in grazia alle compiacenti famiglie dei manutengoli che abitavano nelle casette vicine. Chiaffredo Bergia era un analfabeta, ma dotato di uno spirito eroico e di un coraggio leonino. Spesso nella notte sorprendeva nei pagliai isolati briganti temibili e li affrontava a corpo a corpo, annientandoli. Raggiunse il grado di capitano ed è ricordato in una lapide apposta in suo onore nel Comando dei Reali Carabinieri di Chieti. Or avvenne che il nonno si teneva in sospetto e sulle difese [...] Una volta, davanti alla vecchia casa del Calvario, così detta per una croce con gli strumenti della passione che aveva vicino, si presentò Domenico Valerio con una ventina di briganti. Chiamò il nonno: «Giuseppe, ho una cosa importante da comunicarti». Era costui un ortolano di Piazzano, nativo di Casoli, ma che, avendo le più spiccate qualità fisiche e morali del ruolo di brigante, s’era per amor di avventure gettato a quel mestiere in caccia di successi. Salì frettolosamente le scale e con fare di amico lo invitò fuori. Il nonno era seduto presso il focolare. Il suo secondogenito Luzio, diciassettenne, sospettoso dapprima, intuì il pericolo, si avventò sulle scale, imbracciò il fucile e da una finestrella della camera superiore prese la mira. Il vecchio, distaccandosi dal focolare e facendo buon viso a cattivo giuoco, si avviò lentamente sulla porta. Il brigante, appena ne ebbe la possibilità, dopo i convenevoli d’uso, piegando al peggio lo prese per il bavero per trascinarlo fuori sul pianerottolo della scala esterna. Non era più tempo di far cerimonie e il nonno gridò: «Tira, Luzio!». Luzio tirò. Il brigante, ferito al braccio, fuggì; gli altri lo avevano preceduto. Questo cortese affronto il nonno lo pagò un mese dopo con un esborso di mille e duecento ducati e che fu pagato con una bisaccia di piastre. Fu ricattato parecchie volte prima che la legge Pica lo obbligasse al ritiro in paese. Ma le ire si riversarono terribili su zio Luzio, che la scampò bella in una successiva circostanza, quando, sorpreso a mietere con altri, ebbe il sangue freddo, tra il grano e un fossetto, di travestirsi da donna e non fu avvertito [...] Il maggiore degli zii, Angelantonio, mi narrava tutte le più memorabili battute 16 delle guardie nazionali per le contrade di Atessa [...] Ma i delitti, le grassazioni, le estorsioni, le minacce si seguivano come le ciliege e quello che colpì Giovanni Marcucci, altro parente, fece rabbrividire per la sua crudeltà. Era costui guardaboschi del Capitolo di Atessa. “Trovandosi il 20 marzo 1866 nel bosco Turricchio nel tenimento di Tornareccio, veniva catturato da Vincenzo Rucci e condotto in mezzo ad una comitiva d’oltre 20 briganti che si trovava non molto lungi, sotto il comando del noto brigante Domenico Valerio alias Cannone, che a colpi di scure trucidava quel meschino, lasciandolo esanime nella località denominata Due Acque. Lo stato orrendamente mutilato e mal concio nel quale si rinvenne il cadavere del Marcucci, cui per un feroce raffinamento di efferatezza eransi strappate le visceri riponendole a guisa di ornamento sulla fronte, basta a dimostrare senz’altro la sua miseranda e violenta fine” . Luigi Marcucci AA.VV., 27 marzo 1861 – Atessa – 27 marzo 1961, Celebrazione primo centenario dell’Unità d’Italia, Cooperativa Editoriale Tipografica, Lanciano 1961, pp. 12-13. Altri atti di particolare efferatezza del brigantaggio atessano, a danno di persone sospettate di essere spie al servizio delle forze dell’ordine. Verso le 5 pomeridiane del 2 Novembre 1863, i briganti Pasquantonio Giannico e Luzio Colonna, armati di fucili, si presentarono alla masseria di Francesco Di Maulo (tenimento di Atessa). Questi, che si trovava sulla soglia, li salutò; ma il Colonna rispose: «Che? Vuoi farmi uccidere dalla forza? Sei una spia del Governo, che ti paga cinque carlini al giorno; ora devi pagarne il fio». E non ostante le proteste d’innocenza del Di Maulo, i briganti l’obbligarono a seguirli, per circa cento metri, nella contrada Osento, precisamente nel fosso detto Guardata Rancitelli, ove gli tolsero la vita con tre ferite d’arma da fuoco. Verso le 7 pomeridiane del 14 Febbraio 1864, Giuseppe Delle Donne, accompagnato da uno sconosciuto, si recò in casa di Ignazio Intilangelo (tenimento di Atessa) e, con modi cortesi, lo invitò a seguirlo, facendogli credere gli dovesse comunicare cose di rilievo. Lo Intilangelo, nulla sospettando, lo seguì. Trascorso qualche tempo, la famiglia, inquieta per l’assenza del suddetto, si dié a ricercarlo, ma lo ritrovò cadavere (nella contrada Fornelli) con 27 ferite, quattro delle quali erano mortali. La causa principale dell’omicidio provenne dal fatto che il suddetto Intilangelo era avverso al brigantaggio e concorse all’estinzione di esso anche mediante offerte di denaro. Isidoro Faienza, già manutengolo di briganti, erasi indotto, per lucro, ad adoperarsi per l’arresto di alcuni di essi. Venuto questo fatto a conoscenza dei capi briganti Domenico Valerio e Policarpo Romagnoli, costoro determinarono di vendicarsi; e, 17 recatisi nella masseria del Faienza (tenimento di Atessa, contrada Santa Mica), nelle prime ore della notte del 26 Aprile 1864, lo pregarono di seguirli nella contrada Capragrassa per trasportare degli oggetti. L’incauto accettò e la moglie Concezia Sacchetti volle seguirli. I briganti allora le dissero di portarsi uno staio di legno per mettervi della roba. Strada facendo, il Romagnoli esternò al Faienza che temeva d’essere arrestato dietro le di costui rivelazioni. Ma mentre il Faienza cercava discolparsi, il Romagnoli gli esplodeva contro il fucile, ferendolo alla spalla destra, e il Valerio faceva altrettanto con la Sacchetti, ma senza colpirla. Il Faienza si dié alla fuga e riuscì a sottrarsi, aiutato dall’oscurità, ai briganti che l’inseguivano, scaricando i fucili. Poco dopo, il disgraziato sentì altri scoppi d’arma da fuoco e pensò fossero diretti contro la moglie. Il suo presentimento non fu vano, giacché, il giorno dopo, si rinveniva, nella contrada Capragrassa, la Sacchetti avente reciso il padiglione dell’orecchio sinistro, la faccia bruciacchiata e parecchie ferite nel torace. Nel mattino del 29 Maggio 1864, mentre Simone Cinalli con tre figli lavorava in un terreno del tenimento di Atessa, contrada Sciola, fu avvicinato dal capobanda Domenico Valerio e da un altro brigante sconosciuto, che lo pregarono di seguirli nel vicino bosco. Il Cinalli, sospettando qualche insidia, si rifiutò, ma poi, rassicurato dai modi amichevoli dei briganti, li seguì. Dopo mezz’ora, si udirono tre colpi di fucile. Accorsi i figli del Cinalli, trovarono il cadavere del genitore con le mani legate in croce sul petto, i calzoni, la camicia e il dorso della mano anneriti, tagliati i padiglioni delle orecchie, e una larga ferita sul petto. Scopo dell’omicidio fu la vendetta, giacché l’estinto era stato zelante cooperatore per l’estinzione del brigantaggio, prestando, a tal uopo, un servizio attivo nelle file della Guardia Nazionale. Sull’imbrunire del 9 Maggio 1864, il giovinetto Pasquale Tano, di Atessa, s’imbatté, nella contrada Pili, nel brigante Giuseppe Cellucci, che gli disse: «Io debbo estirpare la tua famiglia ed i tuoi, perché fai la spia», e poi, detto fatto, non sentendo scuse, gli scaricò contro il fucile a due colpi e la pistola. Non contento, rinnovò la carica, lasciandolo esanime sul terreno, ove fu trovato il giorno seguente, intriso di sangue, con una ferita nella faccia, due ferite nella mano sinistra e frattura di due dita. Sull’imbrunire del 2 Luglio 1864, il contadino Vincenzo Tano e suo figlio Giuseppe, di Atessa, tornavano dalla campagna, quando furono fermati da un brigante armato. Il figlio Giuseppe, spaventato, si dié alla fuga, ma non tardò ad udire due fucilate. Dubitando di qualche sinistro, si affrettò a denunciare il fatto, ed accedutosi sul luogo, si trovò spento il genitore. Il suddetto Giuseppe Tano, nelle sue deposizioni, sospettò che il brigante fosse Giuseppe Delle Donne, ravvisato specialmente dalla statura, contrariamente a quanto si diceva nel pubblico che designava l’assassino nella persona di Giuseppe Cellucci. Il 5 Aprile 1866, fu trovato nella contrada Berato S. Paolo, in tenimento di Atessa, il cadavere di Federico Menna (già assente di casa dal 28 Marzo) con le visceri avvol18 te alle braccia. Si ritenne che fosse stato ucciso da cinque briganti, fra cui Giuseppe Delle Donne, già appartenenti alla banda Valerio e ad opera principale di Cannone. Motivo dell’assassinio fu che il Menna, prima partigiano, anzi manutengolo de’ briganti, aveva dato a dubitare a costoro sulla sua fedeltà. B. Costantini, Azione e reazione, Casa Editrice C. Di Sciullo, Chieti 1902, pp. 224 sgg. 11 maggio 1862 – Contro i malviventi che sempre più numerosi scorrazzano impunemente per le contrade e minacciano d’invadere la città, il Consiglio Comunale auspica l’immediato invio, da parte delle superiori autorità, di un “drappello di Truppa”, non ritenendo adeguata alle necessità, perché indisciplinata e inaffidabile, la Guardia Nazionale costituitasi da quasi due anni in Atessa. Presenti il sindaco Nicolantonio Genovesi e i consiglieri Bartoletti Corinto, Carunchio Ferdinando, Carunchio Paolantonio, Cibotti Filippo, D’Amelio Filindo, De Marco Giovanni, De Ritis Ernesto, D’Onofrio Giovannantonio, D’Onofrio Ignazio, D’Onofrio Salvatore, Falcucci Luigi, Falcucci Raffaele, Iovacchini Giacinto, Lizzi Tito, Marra Pasquale, Mastrocecco Gennaro, Rancitelli Anchise, Rotolo Clemente, Serafini Ermindo, Spaventa cav. Vincenzo, Suriani Domenico, Vaselli Girolamo. Proposta del Sindaco Nicolantonio Genovesi Signori! Conoscono a ribocco come le orde brigantesche infestano le nostre contrade, e le loro continue minacce di far man bassa su questa città, nonché i non interrotti furti con aggressioni ed i biglietti di ricatto che spediscono. A tutelare pertanto la sicurezza e rianimare lo spirito pubblico per tali avvenimenti depresso, vorrete avvisare con la vostra saggezza sui mezzi a tenersi. Il Consiglio osserva • Che sia verità inconcussa di aggirarsi impunemente per questo vasto agro di malviventi, che di giorno in giorno si aumentano, inabilitando i proprietari di visitare le proprie campagne non solo, ma facendoli segno ancora delle loro prave voglie col chieder denari, armi e munizioni e col minacciare d’incendio le proprietà qualora si mostrassero restii a soddisfare le loro pretese; • Che, come compendio della loro riprovevole condotta, commettono giornalmente de’ furti con aggressioni e minacciano d’invadere la nostra città; • Che tali lamentevoli avvenimenti succedono sol perché non avvi forza che li perseguiti, mentre la Guardia non è alla portata di render simigliante servizio, per la ragione che non è disciplinata e perché composta al di là di trecento 19 contadini, i quali, abitando continuamente in campagna, lungi dall’avversare i malviventi, li favoriscono e si accumunano alle loro idee; • Che sia più che necessario l’invio e lo stanziamento di un drappello di Truppa, onde finirla una volta, la quale Truppa potrebb’essere coadiuvata da’ veri patrioti nazionali, che al presente si negano per non essere trucidati dai loro compagni, i quali nutrono affetto ai malviventi ed avversano le loro idee liberali; • Che, non essendo i ducati cento deliberati dalla Giunta bastevoli ad oggetto di mantenere l’ordine pubblico, è d’uopo investirsi altri fondi, acciò non manchino per simigliante uso; e che a bene spenderli è d’uopo che il Sig. Sindaco e la Giunta se ne occupino. Quindi delibera • Che sia della giustizia de’ Superiori inviare un numero di Truppa, facendola stanziare fino all’estirpazione de’ malviventi; • Che, per mantenere l’ordine pubblico, ai ducati cento deliberati dalla Giunta si aggiungano altri ducati duecentosettantaquattro [...] • Che le somme anzidette sien messe a disposizione del Sindaco e della Giunta. 30 maggio 1863 – Per “l’estirpazione” dei briganti che ancora infestano il territorio comunale, la civica Amministrazione delibera, oltre che il prosieguo del servizio della locale Guardia Nazionale, l’istituzione di premi da assegnarsi a chiunque si adoperi per la cattura dei malfattori o per la loro presentazione alla Giustizia. Presenti il sindaco Ernesto De Ritis e i consiglieri Agrifoglio Pompeo, Bartoletti Corinto, Carunchio Ferdinando, Carunchio Paolantonio, De Marco Cassio, De Marco Giovanni, D’Onofrio Ignazio, Falcucci Luigi, Giannico Alfonso, Lizzi Tito, Marcolongo Giuseppe, Rotolo Clemente, Rucci Pietro, Spaventa cav. Vincenzo, Vaselli Girolamo. Proposta del Sindaco Ernesto De Ritis Il Sig. Prefetto della Provincia, col riverito foglio circolare del 20 girante, che vi presento, lodando i servizi prestati dalle Guardie mobili, autorizza il prosieguo della mobilizzazione per l’estirpazione de’ briganti che tuttavia scorrazzano pel nostro tenimento. Le SS.LL., trovando utile il saggio divisamento del lodato Superiore, vorranno provvedere ad altri fondi per le competenze dovute alle Guardie medesime, 20 stanteché della prima somma votata trovansi disponibili solo ducati 164,70, che non basterebbero pel bisogno di che trattasi. Il Consiglio • Lette le pregevoli circolari prefettizie del 3 aprile e 20 girante mese; • Considerando che sia molto lodevole il divisamento del Superiore, attesoché con esso cercasi di far distruggere l’orda dei malviventi e ridonare la pace e la tranquillità generale; • Considerando che pel prosieguo della mobilizzazione è necessario provvedere ad altri fondi, onde soddisfare le diarie alle Guardie mobili in ragione di 85 centesimi a carico di questo Comune ed altrettanti a carico del Real Governo; • Considerando che a potersi ottenere la presa o l’eccidio de’ malviventi, è d’uopo che il servizio si presti negli stretti sensi della circolare prefettizia del 3 aprile ultimo; • Considerando, infine, che a raggiungere lo scopo dell’arresto de’ briganti o della loro presentazione, è mestieri animare i buoni mercè premii a darsi a coloro che procureranno sia la cattura sia la presentazione; Delibera • Che la mobilizzazione della Guardia Nazionale si prosiegua fino all’estirpazione de’ briganti e nei sensi della circolare prefettizia del 3 aprile ultimo; • Che alle Guardie sia retribuita la diaria giornaliera di 85 centesimi per conto di questo Comune, mentre altrettanta somma verrà pagata dal Governo; • Che alla resta dei ducati 164,70 sieno aggiunti altri ducati 200 desumibili dalla Categoria 6ª “Manutenzione delle strade interne”; • Che a promuovere sia la presentazione de’ briganti sia la loro cattura, si retribuisca a coloro che le procureranno le seguenti somme, e nelle proporzioni qui sotto dettagliate: - A colui che prenderà un brigante sarà pagato il premio di L. 429,09; - A quello che farà prendere uno o più briganti L. 254,99; - A quello che prenderà un capo-brigante si corrisponderà L. 849,98 ed a colui che lo farà presentare L. 429,09; - A colui che farà prendere un drappello di briganti non minore di cinque si pagherà il premio di L. 2124,95; - E finalmente a colui che si coopererà di far presentare uno o più malviventi si corrisponderà il premio di L. 203,99 per ciascun malvivente. Le somme che al riguardo dovranno erogarsi saranno precapite da qualsiasi fondo disponibile. Il Consiglio in fine si augura che i degni Superiori, plaudendo a questa determinazione, vorranno munirla della loro approvazione. 21 In un manifesto scritto a mano del 27 aprile 1864, un accorato e vibrante appello del Comando Militare della Zona agli Atessani, perché non restino indifferenti alle atrocità commesse dai malviventi, ma collaborino con le autorità per assicurali alla Giustizia. Comando Militare della Zona 48º Reggimento Fanteria 4º Battaglione Atessani! Questa notte un atroce misfatto fu commesso, furon sacrificate due innocenti creature dalla ferocia di uomini perduti, che, sordi alla voce della clemenza della Legge e più ancora ai rimorsi della propria coscienza, non hanno altra prospettiva pel presente che la esecrazione di tutti gli onesti, per l’avvenire una morte ignominiosa. Atessani! Lo stare indifferenti alle atrocità di questi malandrini è una tacita complicità; il paventarli è inconcepibile codardia. Ricordatevi che voi siete UNDICIMILA CITTADINI ed essi sono OTTO ASSASSINI; che avete con voi il sostegno morale della Giustizia, il materiale della Truppa. Scuotetevi una volta; imitate i circonvicini paesi che, piccoli e sguarniti, sanno difendere le proprietà e le vite; non permettete più oltre che otto malandrini impunemente si approprino le vostre ricchezze, uccidano i vostri animali, sacrifichino i vostri fratelli; voi, che colla distruzione del brigantaggio tutto avete a guadagnare, nulla a perdere, imitate il Soldato che tutto può perdere, nulla guadagnare, eppure con rara abnegazione si sacrifica per voi soli. La coscienza del vostro dovere siavi di stimolo a dare quelle indicazioni che ponno condurre le Autorità a scoprire e distruggere i malfattori; nulla avete a temere: un inviolabile secreto vi è assicurato. La Legge, inoltre, accorda anche vistosi premi, come già vi è noto; approfittatene: questo è un denaro acquistato con una buona azione. Atessa, addì 27 Aprile 1864 Visto Il Sindaco Ernesto De Ritis 22 Il Maggiore Comandante il Battaglione Serra 5 agosto 1864 – Constatata l’infruttuosità dei mezzi adoperati nella lotta contro i briganti, il Consiglio Comunale delibera di intensificare l’azione repressiva mediante opportuni appostamenti della Truppa, coadiuvata da cittadini. Presenti il sindaco Ernesto De Ritis e i consiglieri Agrifoglio Pompeo, Cardona Luigi, D’Amelio Filindo, De Francesco Errico, De Marco Cassio, De Marco Gaetano, D’Onofrio Ignazio, Falcucci Luigi, Falcucci Raffaele, Iovacchini Giacinto, Lizzi Tito, Mastrocecco Gennaro, Rancitelli Anchise, Rotolo Clemente, Serafini Ermindo, Spaventa cav. Vincenzo, Vaselli Girolamo. Proposta del Sindaco Ernesto De Ritis La permanenza costante di pochi malviventi in questo tenimento è un’onta per questa popolosa Città. Vani sono riusciti tutti i tentativi per distruggerli; ma potrà raggiungersi questo scopo quando, a mio parere, vi concorreranno indistintamente i cittadini in unione della regolare Forza, e mercé quei temperamenti che la vostra illuminatezza potrà suggerire. A qual oggetto siete stati qui convocati, e voi vorrete benignarvi dare il vostro avviso sui temperamenti stessi da adottarsi. Il Consiglio • Intesi i notabili del Paese a questo scopo invitati ed i rilievi del Sig. SottoPrefetto, del Maggiore della Truppa qui stanziata, del Sig. Tenente de’ Reali Carabinieri e del Sig. Delegato di Pubblica Sicurezza del Mandamento di Vasto, anch’essi intervenuti per quest’oggetto dietro formale invito loro praticato; • Penetrato della necessità di dar termine una volta allo scandalo di vedere scorrazzare per questo tenimento pochi malviventi con positivo danno de’ buoni ed onesti cittadini; • Considerando che tutti i mezzi adoperati per raggiungere un tale scopo son riusciti infruttuosi, epperò la necessità di adottarne altri per conseguirlo; Delibera • Che i malviventi siano colti una volta ne’ loro ricoveri mercé appostamenti della Truppa, in concorso di cittadini, nelle diverse località ove vi è più probabilità che possano aggirarvisi. 23 Giuseppe Delle Donne, nativo di Montenero di Bisaccia, uno dei capibanda del brigantaggio atessano. Fu catturato il 10 novembre 1866. Dati informativi, compilati dal Comune, sui capibanda Policarpo Romagnoli Scocchino e Nicola Natale Turiello, sulle loro famiglie e sui loro parenti. Romagnoli Policarpo La sua statura è vantaggiosa. Il padre, tuttavia vivente con la madre, ed i fratelli viveano, come tuttavia vivono, coltivando le terre dei particolari. Nella leva del 1861, avendo preso un numero marciabile, per esentarsi dal servizio militare si unì ai malviventi che scorrevano la campagna. Egli appartiene ad Atessa. Natale Nicola La sua statura è regolare e di bello aspetto. La moglie con i figli vivono in una masseria di campagna di pertinenza dei Signori Piscicelli e coltivando le terre di ragione dei medesimi. Il Nicola ereditava dal padre suo terre e masseria, che venivano vendute dallo stesso, addicendone il prodotto a sregolatezze. Suscitatosi il brigantaggio, stretto da bisogni si dié a scorrere la campagna insieme al di lui figlio Stefano. Egli appartiene ad Atessa. Dall’elenco, relativo al 1865, dei briganti atessani, conservato nell’Archivio Comunale. 24 Famiglie e parenti del brigante Policarpo Romagnoli fu Saverio Nome e cognome Età Condizione Grado di affinità Annotazioni Angela Pellegrini 56 Contadina nullatenente Madre È pessima sotto tutti gli aspetti; va superba di avere il figlio brigante ed occultamente s’insinua per le case facendo ricatti a nome del figlio. Amadio Romagnoli 19 Idem Fratello Di pessimi sentimenti ed in piena relazione col fratello, a cui porge protezioni ed aiuto. Luigi Romagnoli 16 Idem Idem Come sopra. Maria Rosa Romagnoli 13 Idem Sorella Giuseppe Pellegrini 53 Pastore Zio È domiciliato in Paese, obbligato a rimanere in casa per la eccessiva gotta che lo tormenta continuamente. Donato Romagnoli 50 Contadino nullatenente Idem È di pieno accordo col nepote, a cui tien mano sfacciatamente. Alberto Romagnoli 40 Idem Cugino Idem 36 Idem Idem Pessimo soggetto ed accanito manutengolo, ed è ritenuto per uno dei più fedeli esploratori. Giuseppenicola Lazzaro 42 Idem Idem Fedele spione del brigante. Idem È guardia mobile e si è mostrato sempre accanito persecutore dei briganti. Idem È di buona condotta e la pubblica opinione lo ha sempre ritenuto incapace a prestar l’opera sua ai briganti, e vive a sé. Luigi Lazzaro Camillo Pellegrini Angelomaria Pellegrini 26 51 Idem Contadino di piccole proprietà Dal prospetto, relativo al 1866, delle famiglie e dei parenti dei briganti atessani, conservato nell’Archivio Comunale. 25 Famiglie e parenti del brigante Nicola Natale fu Nobile Nome e cognome Età Condizione Grado di Annotazioni affinità Mariagiuseppa Serafini 42 Contadina piccola proprietaria Moglie È di pieno accordo col marito, avendo obbligati taluni contadini a dei matrimoni, a discendere da contratti, e detta leggi in campagna con minacce di vita, essendo temuta. Maddalena Natale 18 Idem Figlia Di piena connivenza colla madre. Maria Carmela Natale 21 Idem Idem Ritirata in Paese perché decaduta dalla grazia del padre unitamente al marito Francesco Cinalli sotto notato, la quale vive a sé e nulla ha più di comune col padre. Filomena Natale 19 Idem Idem Di piena connivenza con la madre. Giovina Natale 16 Idem Idem Idem Sebastiano Natale 14 Idem Idem Idem Nobile Natale 9 Idem Idem Filippo Natale 4 Idem Idem Stefano Natale 65 Proprietario Zio Non è affatto in relazione col nepote, da cui è malveduto, e vive ritirato in Atessa, badando a sé. Figlio È al servizio militare fin da prima che il padre si desse al brigantaggio, il quale, venuto in permesso, si trattenne in casa del zio Stefano e riprovò l’agire del padre. Nuora È moglie del suddetto Gennaro, a cui si fece sposare per forza dal di lui padre pria che andasse in milizia, perché era di lui druda, ed attualmente continua la tresca. Genero È di pieno accordo col brigante, a cui per forza si volle congiunto colla figlia Maddalena, che ora favorisce assai. Idem Si è dovuto ritirare in Paese perché il suocero suddetto voleva ucciderlo, e per vivere, da contadino, ha dovuto prendere il mestiere di calzolaio, e non sorte più in campagna. Gennaro Natale 25 Contadina Felicia Sciorilli 24 Ferdinando Iacobitti Contadino di 20 mediocre proprietà Francescopaolo Cinalli 26 Contadino ora calzolaio Dal prospetto, relativo al 1866, delle famiglie e dei parenti dei briganti atessani, conservato nell’Archivio Comunale. 26 14 novembre 1866 – Per stimolare la popolazione a “perseguire e distruggere l’orda brigantesca” ridottasi ormai “a mal partito e quasi in dissoluzione”, il Consiglio Comunale delibera l’assegnazione dei premi a diversi cittadini che se ne sono resi meritevoli per aver catturato il brigante Vincenzo Carlucci e favorito l’uccisione del suo compagno Luigi Finoli e la presentazione alla Giustizia di altri sei malfattori. Presenti il sindaco Felice barone Mascitelli e i consiglieri Carunchio Gennaro, Cinalli Anicassio, Codagnone Nicola, De Francesco Giuseppe, De Marco Luzio, D’Onofrio Ignazio, D’Onofrio Salvatore, Falcucci Giuseppe, Falcucci Raffaele, Ferri Giovanni, Genovesi Domenico, Giannico Tommaso, Orfeo Pompilio, Rotolo Clemente, Verna Vincenzo. 1ª proposta del sindaco Felice Mascitelli Vi presento due diverse domande avanzate da coloro che, avendo catturato il brigante Vincenzo Carlucci e preso l’altro brigante Luigi Finoli, si rivolgono al Municipio per essere guiderdonati. Le SS.VV., prendendole in considerazione, vorranno emettervi favorevole avviso per sempre più incoraggiare i cittadini a perseguire e distruggere l’orda brigantesca, che, grazie alle recenti ordinanze emesse, si è ridotta agli estremi. Il Consiglio • Letti gli esposti di coloro che, avendo catturato il brigante Vincenzo Carlucci, e di quelli che, avendo preso il di lui compagno Luigi Finoli, domandano il premio stabilito nella Deliberazione del 30 maggio 1863, a cui si appoggiano per conseguirlo; • Considerando che il brigantaggio più infieriva che negli attuali tempi in cui, per le emanate recenti disposizioni, si è ridotto a mal partito e quasi in dissoluzione per la ripresentazione di molti malviventi; • Considerando da altra parte che l’opera che si presta dai cittadini per la repressione e distruzione del brigantaggio tenersi deve in gran conto da interessare il Consiglio a rimunerarla nel modo che sia soddisfacente; • Considerando che l’opera prestata dai dieci cittadini che catturarono Carlucci è più premebiabile di quella degli altri otto che dietro combattimento frenarono l’orda brigantesca d’un malvivente che rimaneva estinto, imperocché i primi, mossi dal desiderio di rendere un servizio alla patria in tempo in cui il brigantaggio ferveva ancora e di corrispondere così ai voti di questo Consiglio, ebbero il coraggio, senza il concorso della Forza regolare, di perseguitare il brigante Carlucci e catturarlo, mentre, in quanto agli altri, benché mossi dagli stessi lodevoli sentimenti, non concorsero nell’opera loro tutte le su accennate circostanze, perché accompagnati da due Reali Carabinieri e dal Sig. Delegato di Pubblica Sicurezza ed era inoltre noto il luogo ove appiattavasi il brigante Finoli; • Considerando che questi ultimi, nel numero di otto, hanno già un premio 27 dall’egregio Sig. Reggente la Prefettura di Chieti; è di parere • Che si revochi la Deliberazione del giorno 30 maggio 1863 e si stabilisca, nelle occorrenze, dal Consiglio i premi a darsi a coloro che si cooperino alla distruzione del brigantaggio, secondo i meriti dell’opera che si presta; • Che Domenico Pizzi, Carlo Suriani, Ermindo Pompilio, Battista Bellini, Girolamo Giuliani, Giuseppe Prata, Giuseppe Spaventa, Federico Massa, Nicola Massa e Filippo Giuliani conseguano, in parti eguali tra loro, il premio di L. 429,09 fissato colla Deliberazione del 30 maggio 1863, per aver catturato il brigante Vincenzo Carlucci; e gli altri, Signori Ferdinando Marcolongo, Salvatore Scerni, Battista Bellini, Nicola Massa, Carlo Suriani, Girolamo Giuliani, Giuseppe Prata ed Andrea Prata, sieno guiderdonati con L. 160, da ripartirsi egualmente tra loro, pel fatto del brigante Finoli. L’una e l’altra somma, per non esservi fondo disponibile da cui desumersi, sieno stanziate nel novello Bilancio 1867. 2ª proposta del Sindaco Felice Mascitelli Avendo Giacinta De Marco fu Domenico domandato, unitamente a Leonardo D’Amelio, Federico De Francesco ed Anna Domenica Farina, una gratificazione dal Comune per essersi adoperati a far presentare sei briganti alla Giustizia, il che è ben noto, io vi raccomando di avere a cuore la loro domanda, concedendo ai medesimi la chiesta gratificazione di cui son meritevoli. Nel rincontro vi esibisco ancora, per tenerlo in considerazione, un esposto di Carlo Suriani, il quale chiede il premio di L. 254,99, di cui è parola nell’atto deliberativo del 30 maggio 1863, per consegnarlo alla persona che fece prendere il brigante Luigi Finoli e che da lui non si è creduto nominare. Il Consiglio • Letta la domanda di Giacinta De Marco fu Domenico, Leonardo D’Amelio, Federico De Francesco ed Anna Domenica Farina, che si sono cooperati a far presentare alla Giustizia sei briganti; • Letta altresì la domanda di Carlo Suriani, tendente ad ottenenre il premio di L. 254,99, di cui è parola nell’atto deliberativo del 30 maggio 1863, per consegnarlo alla persona che fece prendere il brigante Luigi Finoli e che da lui non si è creduto nominare; • Considerando pel Suriani ch’egli, tenendo occulto il nome della persona che 28 ebbe indicato il luogo dove nascondevasi il brigante Finoli, offende in certo qual modo il decoro del Consiglio; Che se la di lui riservatezza dipende dalla volontà del suo innominato, fa d’uopo che il medesimo si faccia almeno palese ad un Consigliere in cui possa riposare nella segretezza, ed allora il Consiglio si determinerà ad accordare il domandato premio; • Considerando, per gli altri quattro, che essi son meritevoli e di lode e di premio; • Considerando che nessun fondo in bilancio si trova disponibile per l’accennato premio; Delibera • Accordarsi a Leonardo D’Amelio, Federico De Francesco, Giacinta De Marco ed Anna Domenica Farina la somma di L. 51 per ciascuno, stanziandosi nel Bilancio 1867 la complessiva somma di L. 204 per fare tale pagamento; e si riserva di emettere il suo avviso sul premio a darsi all’uomo occulto del Suriani, quando egli si farà conoscere ad un Consigliere di cui possa fidarsi. Il testo della domanda di sussidio avanzata al Sindaco, il 24 novembre 1866, da una donna ridotta in stato di grave bisogno per aver avuto il marito assassinato e un figlio mutilato per mano dei briganti. Al Signor Sindaco, Presidente della Commissione danneggiati dal brigantaggio. Antonia Tano, vedova del fu Vincenzo Tano di Atessa, espone alla S.V. Ill.ma che l’immane presenza del brigantaggio per questo vasto agro, se arrecò dei danni al generale, sfogò l’ira feroce particolarmente contro la famiglia della esponente; ed in vero, se dopo di aver mutilato lo sventurato di lei figlio Pasquale, rendendolo inabile al lavoro proficuo, si fossero accontentati, sarebbe non lamentevole lo stato della propria famiglia, ma essi, desiosi della sua estirpazione, dopo di un mese e pochi giorni prendevano lo sventurato di lei marito e miseramente trucidavanlo, orbando la famiglia predetta del suo sostegno, e particolarmente di essa deducente. Lo stato in cui essa trovasi non è al certo florido, abbisognando di tutto; egli è perciò che rivolgesi alla S.V. Ill.ma onde, nella innata bontà, si compiaccia provocare un sussidio onde poter tirare innanzi i suoi giorni e quelli de’ propri nati. L’avrà come da Dio. Atessa, 24 Novembre 1866 + Segno di croce di Antonia Tano illetterata 29 L’elenco dei malviventi – molti dei quali atessani – catturati, costituitisi e uccisi in conflitto dal 20 aprile al 28 novembre 1866 nel Circondario di Vasto, in un manifesto della locale Sotto-Prefettura. 30 12 maggio 1869 – Per scongiurare il pericolo di una riviviscenza del brigantaggio, il Consiglio Comunale delibera “l’armamento dei proprietari abitualmente dimoranti in campagna”. Presenti il sindaco Giuseppe Falcucci e i consiglieri Carunchio Gennaro, Codagnone Nicola, De Francesco Giuseppe, Falcucci Raffaele, Giannico Tommaso, Mastrocecco Gennaro, Rucci Pietro, Spaventa Vincenzo, Vaselli Giacinto, Verna Vincenzo. Proposta del Sindaco Giuseppe Falcucci Ultimamente che l’egregio Sig. Tenente Colonnello Sironi fu in questo Comune, per non far ripullulare il brigantaggio nel nostro tenimento, giacché si ha notizia certa che nei limitrofi paesi pochi malviventi vi si aggirano, mi fece delle più vive raccomandazioni di armare i proprietari abitualmente dimoranti in campagna, che li perseguitassero. Detto divisamento è più che lodevole. Se nella vostra prudenza e saggezza credete di metterlo in atto, sarete cortesi di deliberarvi. il Consiglio • Facendo plauso alla proposta del Sindaco, per la considerazione che col mezzo dell’armamento di quelli che abitualmente dimorano in campagna può ottenersi lo scopo di combattere quei pochi malviventi che volessero disturbare la tranquillità e l’ordine pubblico, e così vedendosi perseguitati, non avverrà mai che altri ingrossassero il loro numero; delibera • Che l’agro atessano sia ripartito in 56 sezioni, secondo lo stato formato, a ciascuna delle quali sia preposto un capo, il quale avrà la facoltà di scegliere individui di sua fiducia e darli in nota, con obbligo di sorvegliare assieme ad essi la zona affidatagli, di combattere il brigantaggio e d’adoperare tutti quei mezzi che crederà convenienti per ottenere l’intento; • Che la Giunta Municipale chiami a sé questi capi, notati nel suddetto stato, nel più breve tempo possibile, invitando ad intervenire alla riunione il Sig. Pretore di questo Mandamento, il Sig. Maresciallo dei Reali Carabinieri, il Sig. Comandante il Distaccamento di Linea qui stanziato e benanche il Sig. Tenente Colonnello Sironi, se sia possibile, onde prendere con loro quei concerti che si crederanno più opportuni a non far rivivere il brigantaggio in queste sventurate contrade; • Che sia facultata la Giunta stessa a crescere il numero delle sezioni qualora il bisogno lo esiga; • E che le spese occorrenti pel cennato armamento sian desunte dal fondo stabilito in bilancio alla Categoria 5ª, Art. 33. 31 L’abbattimento dell’Arco di S. Lorenzo Era la principale porta di accesso alla Città, una delle sue memorie storiche più significative. Dove si trovava l’Arco di S. Lorenzo e perché si chiamava così. Un grande arco con fabbricato e porta, simile o forse più grande di quello di S. Nicola, era nei macelli; si chiamava Porta di S. Lorenzo, perché poco distante vi era la chiesa di S. Lorenzo, chiusa nel 1771 e poi caduta. Quest’arco medioevale, che era da un lato attaccato al macello di Giuseppe Cicchitti nel muro della chiesa dell’Addolorata e dall’altro lato a case allora esistenti, fu abbattuto insieme con queste case nell’anno 1872 per far sorgere il Largo della Fontana; l’anno dopo venne l’acqua, benedetta dal prevosto Lannutti Olindo. A. e D. Iovacchini, per una storia di Atessa, Tipolitografia Caporale, Atessa 1993, p. 172. Consiglio Comunale del 16 febbraio 1861 – Il sindaco Raffaele Falcucci propone che l’Arco sia abbattuto per scongiurare il pericolo di un possibile crollo e per facilitare alle carrozze l’ingresso alla Città. Il Consiglio non adotta, al riguardo, alcun provvedimento. Proposta del sindaco Raffaele Falcucci Signori! La porta S. Lorenzo, che imbocca alla strada rotabile di questo Comune, è in imminente pericolo di crollare; egli è perciò che sarebbe utilissima cosa di abbatterla onde evitare qualche danno, ed anche perché con tale temperamento si raggiungerebbe il doppio scopo di abbellire l’entrata in questa città e togliere l’incomodo alle carrozze di voltare per entrare, mentre – come conoscete – la traversa predetta va a terminare in corrispondenza di uno dei pilastri dell’arco. Io ne ho fatto già elaborare la perizia che vi presento, e voi, prendendo in considerazione questo oggetto, vorrete designare il fondo per sopperire alla spesa. 32 Consiglio Comunale del 9 maggio 1867 – L’assessore delegato alla funzione di sindaco, Giuseppe Falcucci, ribadisce l’opportunità della demolizione dell’Arco. Il Consiglio, questa volta, delibera favorevolmente. Presenti l’assessore delegato alla funzione di sindaco, Giuseppe Falcucci, e i consiglieri Bartoletti Corinto, Cardone Giacinto, Carunchio Gennaro, Cinalli Anicassio, Codagnone Nicola, De Francesco Giuseppe, De Marco Luzio, D’Onofrio Gianantonio, D’Onofrio Salvatore, Falcucci Raffaele, Ferri Giovanni, Flocco Vincenzo, Iovacchini Luigi, Orfeo Pompilio, Rotolo Clemente, Sorge Pasquale, Verna Vincenzo. Proposta dell’assessore CON funzioni di sindaco Giuseppe Falcucci L’arco della Porta S. Lorenzo non è di bella architettura, che per conservarlo saria necessità di farvi delle riattazioni; invece è di cattivo aspetto, non è in corrispondenza della strada rotabile che ad esso mette capo e può ad altro poco tempo minacciar rovina. Io quindi credo convenienza di demolirlo. Convenendovi, le SS.VV. saranno compiacenti di darvi l’analogo assenso. Il Consiglio Ritenendo quanto nella proposta è detto e considerando che con la demolizione del suddetto arco a Porta S. Lorenzo si allargherebbe maggiormente la strada e si otterrebbe un bello ingresso alla città, delibera che sia abbattuto. I materiali saranno serbati per l’uso cui parrebbero occorrere. La spesa per la demolizione e del rimbercio della parete a cui l’arco è appoggiato sarà desunta dal fondo stabilito all’Art. 37, Cat. 6ª, per la strada comunale. 33 Particolare della “Pianta dimostrativa della Città di Atessa - 1855”, conservata nell’Archivio Prepositurale. 34 L a prima condot ta di acqua potabile e l a fontana monumentale Esultanza popolare in Atessa, il 28 settembre 1873, per il compimento di un’opera di primaria importanza per il miglioramento delle condizioni civili del paese. La fontana monumentale dalla cerimonia d’inaugurazione (1873) alla demolizione (1939). II giorno 28 settembre 1873 si festeggiò in Atessa un evento di grandissima rilevanza, destinato ad incidere positivamente, forse come pochi altri, sulle condizioni di vita della cittadinanza: l’inaugurazione della prima condotta di acqua potabile e della fontana monumentale che di essa, al centro di Largo S. Lorenzo, oggi Piazza Oberdan, costituiva il punto terminale. Verso questa fontana la condotta, realizzata in tubi di ghisa, convogliava attraverso un percorso vario e sinuoso le acque captate da gruppi di sorgenti di due località, Pianelle e Fontanelle S. Martino, poste a sud-ovest del paese e da esso distanti, in linea retta, rispettivamente quattro chilometri e due chilometri e mezzo. L’esecuzione dell’opera aveva presentato notevoli difficoltà a causa dello stato naturale del terreno, caratterizzato da una successione di dossi, burroni e dirupi. È facile immaginare quanto viva fosse l’esultanza popolare nel corso della cerimonia dell’inaugurazione, specie allorquando dalle dodici cannelle della grande fontana si vide per la prima volta sgorgare, abbondante nonostante un lungo periodo di siccità, la tanto attesa acqua. Al discorso del sindaco Raffaele Falcucci, tutto incentrato sulla straordinaria utilità dell’opera realizzata che veniva a soddisfare finalmente un bisogno vitale della popolazione, faceva seguito quello dell’ingegner Felice Abate, autore del progetto e direttore dei lavori, il quale, dopo avere svolto una succinta relazione tecnica, concludeva il suo intervento inneggiando, com’era di rito in quei tempi, al “senno e patriottismo” della deputazione municipale e all’ “abnegazione, perseveranza e amore superiori ad ogni encomio” del Sindaco, meritevole dell’ “imperitura riconoscenza” della cittadinanza. Poneva solennemente fine alla cerimonia la funzione religiosa della benedizione. A partire da quel giorno memorabile la fontana monumentale rappresentò a lungo in Atessa il principale centro di aggregazione, l’abituale luogo d’incontro e di amichevole intrattenimento di tutti gli abitanti del paese, che vi convenivano 35 da ogni quartiere per dissetarsi o per approvvigionarsi dell’acqua necessaria agli usi domestici. Attorno ad essa regnava sempre una grande animazione: si conversava su argomenti frivoli e seri, si scherzava, si pettegolava, si trattavano affari, si combinavano matrimoni. Col passare del tempo, però, poiché l’avvenuta costruzione di un nuovo acquedotto urbano consentiva ormai attraverso una quindicina di fontanini l’erogazione dell’acqua potabile in tutte le principali vie cittadine, l’importanza della fontana di Largo S. Lorenzo andò gradatamente scemando. Si arrivò così al 1939, quando l’allora commissario prefettizio al Comune Bruno Mastrovick ne decretava, dopo soli 66 anni di vita, la demolizione perché rea, come si desume dalla deliberazione del 17 giugno, di non avere più “alcuna ragione pratica di esistere e parimente veruna utilità”, di non van- tare “alcun requisito artistico-estetico”, di essere “priva di qualsiasi pregio da consigliarne la conservazione”, di rappresentare “un inutile e brutto ingombro anche dal lato panoramico” e, soprattutto, di costituire dal punto di vista igienico-sanitario “un grave inconveniente per la salute pubblica, non presentando essa nessuna garenzia contro l’inquinamento dell’acqua”. Nei giorni 26 giugno - 8 luglio, tra l’indifferenza pressoché generale, la fontana venne abbattuta e sostituita con un insignificante fontanino posto ad un angolo della piazza: Atessa perdeva, così, una delle sue testimonianze storiche più suggestive. Ora essa sopravvive nella memoria degli anziani e nel nome di “Piazza della Fontana” con cui ancora ai nostri giorni si suole comunemente indicare Piazza Oberdan. Largo della Fontana alla fine del primo decennio del Novecento. 36 Nicola Celiberti Confronto, gennaio 1991. Manifesto del 1873 con il discorso pronunciato, per l’inaugurazione dell’acquedotto e della fontana, dall’ing. Felice Abate, progettista dell’opera e direttore dei lavori. Nel giorno 28 del passato settembre inauguravasi la condotta delle acque potabili in Atessa, in mezzo alla più viva esultanza di quella popolazione, che vedeva soddisfatto, con quell’opera, un immenso suo bisogno, anche oltre ai limiti delle concepite speranze, pel cospicuo volume d’acqua che scaturivasi da una fontana monumentale, termine della condottura. La funzione religiosa della benedizione veniva aperta da un applaudito discorso del Sindaco, al quale l’Ingegnere Felice Abate, autore del progetto e direttore dell’opera, aggiungeva di questa una succinta descrizione, con le seguenti parole. Signori! L’inaugurazione di un’opera comunale è sempre una festa cittadina, perché vuol dire la soddisfazione di un bisogno più o meno sentito, un miglioramento nelle condizioni civili del paese, un accrescimento della pubblica prosperità; ma quando trattisi di un’opera di tanta necessità ed utilità qual è una condotta di acque potabili in un Comune che ne manchi, il suo compimento non può che destare nella popolazione quella gioia entusiasta e riconoscente verso il Municipio che voi già dimostraste fin dal primo scaturirsi delle acque da questa fontana [...] Dappoiché questo onorevole Municipio deliberava di provvedere la città di acque potabili, delle quali pativa gravissima penuria, ed incaricavami di progettarne il modo e dirigere la esecuzione dell’opera, [...] perlustrando dapprima i dintorni di questa città mi persuasi bentosto che da’ monti a sud-ovest di essa, e propriamente da’ due siti che han nome Pianelle e Fontanelle, dovessero le acque derivarsi; e che il modo della loro condottura esser dovesse quello che costituisce il mezzo sovrano dell’arte moderna di menar le acque da sito a sito, cioè un condotto tubolare di ghisa, massimamente perché la distanza fra i detti luoghi e l’abitato (4.685 metri) è tramezzata da colli e valli, queste ultime assai ampie e profonde, che non altrimenti potrebbero superarsi [...] Signori! L’opera di cui è proposito ha presentato nella esecuzione non poche difficoltà, per le condizioni naturali del terreno, le maggiori delle quali si sono avute: per ridurre la strada di Valle Aspra, ben propriamente così chiamata, allo stato da sopportare il passaggio lungh’essa del condotto; e per circuire con questo, a mezza costa, il Monterione. Ognun di voi rammenta quale orrido e diruposo sentiero era quella strada, massimamente a motivo delle frane del terreno; la si è dovuta perciò prima regolarizzare e consolidare alla meglio, per varie opere, senza trasmodare nelle spese, e poi allogarvi 37 sotterra il condotto (con che il Municipio ha reso pure un altro gran servizio al Comune ed a diversi altri vicini nelle reciproche loro relazioni commerciali). Il Monterione poi [...] presentava una successione di dossi, burroni e precipizî, nei quali si è dovuto incastrare profondamente il condotto, spesso nella roccia calcarea [...] Signori! Il volume d’acqua che or vedete scaturirsi da questa fontana, malgrado la eccezionale siccità che ha inaridite tutte le sorgenti, è già considerevole e soprabbondante ai bisogni vitali ed igienici di questa popolazione; ma sarà certamente assai più copioso nella maggior parte dell’anno e nelle annate normali, per il che son lieto di potervi ora confermare con la sicurtà del fatto la mia primitiva dichiarazione: di esser, cioè, possibilissimo animare col supero di tali acque de’ molini da grano ed altri opifici, nella lunga discesa di questo colle fino al fondo della valle, impiegando all’uopo de’ turbini idraulici, efficacissima macchina motrice de’ nostri tempi [...] Sono questi, o Signori, i beneficî dovuti al senno ed al patriottismo dell’attuale Municipio, che deliberava e compiva la condotta delle acque nella città. Al quale, e specialmente al degno Sindaco, che con abnegazione, perseveranza ed amore superiori ad ogni encomio consacravasi al successo della magnanima impresa, va dovuta la eterna gratitudine di questa popolazione; la quale comprenderà che, acciò una buona amministrazione del Comune sia possibile, fa d’uopo che venga secondata dal concorso e dal buon volere di tutt’i cittadini, ognuno dei quali debba pur avere la virtù di sacrificare, quand’occorra, il proprio interesse allo interesse supremo e santissimo del pubblico bene. Ancona, 1873 - Tip. del Commercio. Largo della Fontana nel secondo decennio del Novecento. 38 Atessa, 28 settembre 1873 Le ragioni per le quali nel 1939 il Comune, allora retto da un commissario prefettizio, ravvisò l’opportunità di abbattere la fontana monumentale (Delibera 17 giugno 1939). Il Commissario Prefettizio del Comune cav. dott. Bruno Mastrovich • Ritenuta l’assoluta ed inderogabile necessità di dover provvedere ad una migliore e più decorosa sistemazione della Piazza Oberdan, una delle più grandi piazze cittadine, situata all’ingresso della Città, della superficie di mq. 900, sede di importanti mercati pubblici e fiere che si svolgono in questo centro capoluogo; • Rilevato che in detta piazza, in posizione quasi centrale, trovasi una vecchia fontana con dodici getti, alimentata dal vecchio acquedotto, non avente alcun requisito artistico-estetico, priva di qualsiasi pregio da consigliarne la conservazione; Che dal punto di vista igienico-sanitario costituisce un grave inconveniente per la salute pubblica in quanto essa non presenta nessuna garenzia contro l’inquinamento dell’acqua, come ben risulta dalle apposite relazioni dell’Ufficiale Sanitario di questo Comune in data 15 luglio 1935 e 20 maggio c.a.; • Tenuto presente che, non avendo più alcuna ragione pratica di esistere e parimente veruna utilità dopo la costruzione del nuovo civico acquedotto che alimenta abbondantemente l’abitato con una quindicina di fontanini, questa vecchia fontana rappresenta un inutile e brutto ingombro, anche dal lato panoramico; • Ritenuto che per i su esposti ed evidenti motivi si evince come sia di imprescindibile convenienza la sua demolizione e venga molto appropriatamente sostituita con un fontanino a quattro getti, posto in un angolo della piazza medesima; • Vista la perizia all’uopo redatta dall’Ing. Guido D’Onofrio in data 9 corrente, in cui è prevista una spesa per l’importo di L. 3.000 per l’esecuzione di tutti i lavori necessari e comprendenti: la demolizione della vecchia fontana, la ricostruzione del nuovo fontanino con le relative opere di presa e di scarico ed il ripristino delle pavimentazioni stradali, sia in calcestruzzo che a selciato; • Atteso che, data la poca entità della spesa, i lavori suddetti possono farsi in economia, facendovi fronte con lo stanziamento dei fondi ordinari di bilancio e precisamente con imputazione della spesa all’Art. 71 “Manutenzione di strade”, che offre sufficiente disponibilità; • Considerato infine che per l’esecuzione di tali lavori sarà occupata la mano d’opera locale, onde andare incontro alle pressanti richieste di disoccupati, e in tal modo si andrà a lenire un po’ la disoccupazione di alcune maestranze di categoria; • Vista la vigente legge comunale e provinciale; 39 determina • Approvare la perizia su indicata per l’ammontare massimo previsto in L. 300, salvo liquidazioni finali, prelevando la somma necessaria all’Art. 71 del bilancio corrente “Manutenzione strade e piazze”; • Eseguire in economia i lavori indicati in narrativa e riportati nella perizia dell’Ing. D’Onofrio e cioè: demolizione della vecchia fontana, costruzione di un fontanino e lavori accessori. La fonte si ni... va Ire matine, appena so’ calate verze l’Addulurate, chi so’ viste?!... La fonte, ch’ere tante prilibbàte, li lume stave pruoprie a massacrà. Sbotte Nicole: «Uè, gna sa da faje si a ddùdece pirzàne te’ ‘rrizzure?... Sti’ fresche, scì, la file j da faje si vu’ veve, si nnò... ni vive, no. Chi martillav-a manch-e chi a ritte, chi j rumpè lu piatte cuvutète, chi tuiè la làpide nchi la scritte, chi li cannelle j stav-a luuà. Nu fiume d’acque!... Dùdece cannelle!... Mezze monne ci si putè saziàje!... Ca da’ fà sta mischina funtanelle quand’è Sant-Rocch-e ttu ni mpù passà?...». Attuorn-a chi facè chi lu dirràcche ‘na morre di pirzane s’è runnite; di chiacchiere si ni facè nu sacche e chi cott-e chi crude li vulè. «Piagne lu morte è lacrime spricate, cumpà Nicò (dice nu filòsime). La morte di la font-è dicritàte!... Pirciò ni nserve chiù a chiacchiarià. Li viecchie spicialmente ci piagnèje a vidè arruvinè chi la funtane: «La prime di l’Abbruzze!... E... li tinèje sole l’Atesse e nisciun-atre cchiù». Pi l’Atesse sta vinte funtanelle, ti pu’ bbuttà, si vu’, gne ‘na scupìne!... Lass-a ripusà ‘mpace lu ciuruèlle. Lu male sanghe chi ti li fa fà?...». «È custate nu bbosche sta funtane (dicè nu viecchie) e mo, cume niente, si iette ‘nterre pi farci nu spiane!... Sta tante larghe,... a ecch-ha da ‘ntruncà?...». Senza pijtàje vatte li martielle e la fonte scumparisce a viccùne. Suspir-e si ni va li vicchiarielle; chi sta a spasse riman-a curiusà. «Ma quesse ni nsirvìje chiù a niente (dice nu giuvinotte chi ci-ha uste). Fusse state almene n’abbillimente!... Nu cacatàre viecchie!... Chi ci-ha da fà?...». 40 Giuseppe Antonio Di Nenno L a Società Operaia di Mutuo Soccorso Nata nel 1865 (quella atessana, per ordine di data, fu la Abruzzo e tra le prime ad essere giuridicamente riconosciuta), perseguì un duplice scopo: sovvenire, nelle situazioni di difficoltà, ai bisogni dei soci e concorrere ad elevarne il livello di formazione umana e culturale. seconda società operaia a costituirsi in Le finalità, la classificazione dei soci, i requisiti richiesti per l’ammissione, i diritti e i doveri dei soci. Finalità La Società Operaia di Mutuo Soccorso, costituitasi in Atessa addì 8 ottobre 1865, ha per scopo di assicurare un sussidio ai soci nei casi di malattia o d’impotenza al lavoro per estrema vecchiezza e di cooperare all’educazione dei soci e delle loro famiglie. Classificazione dei soci I soci si distinguono in tre categorie: 1. Soci effettivi; 2. Soci contribuenti; 3. Soci onorari. Sono soci effettivi quelli che, adempiendo ai doveri loro prescritti dal presente statuto, fruiscono di tutti i vantaggi che la Società loro accorda. Sono soci contribuenti quelli che col pagamento d’una contribuzione mensile procurano l’incremento della Società senza fruirne i vantaggi. Possono essere nominate soci onorari le persone che, per opere compiute a beneficio dell’umanità, della patria o di questa associazione, abbiano acquistato titolo alla gratitudine della classe operaia. Requisiti richiesti per l’ammissione Per essere ammesso alla Società come socio effettivo occorrono i seguenti requisiti: 1. 2. 3. 4. 5. Essere cittadino italiano. Avere stabilito la residenza almeno da un anno nel comune di Atessa. Avere compiuto il 12° anno di età e non oltrepassato il 45°. Essere di sana costituzione fisica. Esercitare una professione, un impiego, un’arte, un mestiere, un’industria o un 41 6. 7. 8. 9. commercio. Non essere stato condannato per reati che escludano dall’elettorato pubblico. Non essere in istato d’interdetto, inabilitato o fallito. Non avere impugnato le armi contro la patria o disertato dall’esercito nazionale. Non essere abitualmente dedito al giuoco, all’ozio od al vizio dell’ubriachezza. Può essere ammesso come socio contribuente qualsiasi individuo, purché abbia i requisiti richiesti dai nn. 6, 7, 8 e 9. Diritti dei soci Ogni socio effettivo colpito da malattia acuta che lo renda inabile assolutamente al lavoro, purché si trovi iscritto da un anno alla Società e sia al corrente nel pagamento dei contributi mensili, ha diritto ad un sussidio giornaliero di centesimi 50 ed alla somministrazione gratuita delle medicine per la durata di cento giorni nel corso di un anno solare. Per le malattie croniche il Consiglio Direttivo ha facoltà di accordare sovvenzioni straordinarie a seconda dei casi e delle condizioni economiche dei soci che ne fossero affetti, nonché nei limiti consentiti dal bilancio del Fondo speciale. Non sarà dato sussidio a coloro che venissero colpiti da malattia derivante da abuso di vino o di liquori, da immoralità o da provocate risse. Alla morte del socio effettivo la Società provvede alle spese funerarie, consistenti in quelle indispensabili per la tumulazione dell’estinto. La Società accorda inoltre ai soci effettivi un sussidio di vecchiaia, il cui ammontare sarà determinato dall’assemblea nei limiti dei fondi disponibili e del numero dei sussidiandi in base al bilancio tecnico. La Società fornisce gratuitamente di libri scolastici i figli dei soci effettivi, ascritti alle scuole elementari di Atessa. Perché il socio possa godere di questo beneficio, bisogna che sia ascritto alla Società almeno da un anno. Nel fine di onorare 1’augusta memoria del primo Re d’Italia e promuovere nell’un tempo l’istruzione popolare, è istituito a favore dei figli dei soci effettivi, ascritti alle scuole elementari di Atessa, un premio annuo di lire 10, che sarà chiamato Premio Vittorio Emanuele II. Ogni socio di qualsiasi categoria ha diritto di usufruire della biblioteca circolante, pel cui incremento la Società stabilirà annualmente nel suo bilancio quella somma che sarà compatibile colle sue condizioni finanziarie. In ogni caso 1’assegno alla biblioteca non sarà maggiore di centesimi 35 per ogni socio effettivo. Doveri dei soci Il socio, con l’atto della sua ascrizione alla Società, contrae il dovere di: 1. Difendere la fama e l’onore dei consoci e sostenere l’istituzione sociale nella sua integrità, servendosi di mezzi civili senza trascendere ad atti vietati dalla legge. 42 2. Far frequentare le scuole dai figli, dagli apprendisti e dai lavoranti suoi dipendenti. Mancando a questo dovere, potrà essere punito con una multa. 3. Serbare una condotta irreprensibile, la quale faccia onore a sé ed alla Società cui appartiene. 4. Versare nella cassa sociale una tassa d’ammissione, che pei soci contribuenti sarà di lire 3 e per gli effettivi sarà proporzionata alla loro età; cioè: da » » » » » » 12 18 21 26 31 36 41 a » » » » » » 17 anni L. 1 20 » » 2 25 » » 3 30 » » 4 35 » » 5 40 » » 8 45 » » 10 Il contrassegno ufficiale del la Società. 5. Pagare una contribuzione mensile di centesimi 50. I militari e gli emigrati non sono tenuti al pagamento di tale contribuzione, ma non hanno diritto ad alcun sussidio, e degli anni da loro trascorsi sotto le armi (purché non trattisi di servizio obbligatorio) o fuori d’Italia, non sarà tenuto conto nel computo del tempo utile per acquistare il diritto al sussidio di vecchiaia; salvo il caso che preferissero pagare annualmente i contributi dovuti. I soci onorari non sono tenuti al pagamento di alcuna contribuzione. Statuto 14 maggio 1890, con modifiche del 2 novembre 1898 e 24 aprile 1899, della Società Operaia di Mutuo Soccorso in Atessa, Casa Tipografico-Editrice Cav. Giov. Colitti e Figli, Campobasso 1916, pp. 3 sgg. “Festa della Bandiera” celebrata dalla Società Operaia di Mutuo Soccorso nel 1910. 43 La Società Operaia di Atessa premiata con medaglia d’oro all’Esposizione Nazionale di Torino del 1898. Il Giurì dell’Esposizione Nazionale di Torino ha conferito alla Società Operaia di Atessa la medaglia d’oro. Essa che, per ordine di data, è la seconda negli Abruzzi e fu tra le prime a costituirsi ente giuridico, ha istituito una biblioteca circolante ricca di oltre duemila volumi e una pensione di vecchiaia, la quale funziona regolarmente; epperò era meritevole del distintissimo premio. Corrienre Frentano, 7 dicembre 1898. I diritti dei soci pubblicizzati con un manifestino del 1899. 44 Atessa e i suoi figli illustri Domenico Ciampoli (1852-1929) Narratore, critico letterario, fervente studioso e divulgatore delle letterature straniere, ebbe un ruolo di primo piano nell’ambito della cultura abruzzese di fine Ottocento e del primo Novecento. Domenico Ciampoli in un saggio di Giuseppe Marcolongo. Dopo aver compiuto il corso elementare in Atessa, dov’era nato nel 1852, e proseguito gli studi in Vasto e Lanciano, Domenico Ciampoli, circa cento anni fa, venne a frequentare il secondo e terzo liceo all’Aquila; ed è probabile che qui conoscesse Teofilo Patini, maggiore di lui di dodici anni, il quale già si era trionfalmente affermato, con un nudo e un bozzetto, nella gara per il pensionato artistico svoltasi in Firenze nel 1868. Certo è che anche il Ciampoli, come il Patini, fu pervaso in tutte le sue opere da uno spirito di rivolta contro la miseria, la prepotenza e l’ingiustizia sociale. «I primi quadri del pittore dei cenci dovettero scuotere la sua sensibilità tanto da risentirne nella vita e nell’arte»: così scrive, acutamente, nel pregevole saggio Domenico Ciampoli - Riflessi della vita e delle opere (Solfanelli, Chieti 1963-64), Giuseppe Marcolongo. Atessano di puro sangue; avvocato e pubblicista insigne, che Ettore Ianni volle con sé al Corriere della Sera; “Premio di cultura” da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri e Socio corrispondente della Deputazione di storia patria per gli Abruzzi, l’amico Marcolongo ha il culto delle memorie patrie e dei Grandi che onorarono la sua città e l’Italia. Su di essi eccelle, indubbiamente, Domenico Ciampoli. Laureatosi nella Università di Napoli, dove pubblicò i suoi versi giovanili in una rivista studentesca, il Ciampoli fu DOMENICO CIAMPOLI, in una foto di Lelio De Francesco del 1890. 45 docente nei licei di Campobasso, Ancona, Foggia, Acireale, e poi nelle Università di Sassari e di Catania, suscitando dovunque ammirazione per la vastità della cultura. Dopo 25 anni d’insegnamento, riuscito primo nel concorso per le biblioteche nazionali, accettò la direzione di quella di S. Marco a Venezia, e si dette allo studio delle antiche scritture, dando alla luce i codici paleoslavi, che, insieme con le traduzioni di opere di prosa e in poesia dalle lingue straniere, gli dettero rinomanza in tutta Europa. Egli, infatti, che a Capri aveva conosciuto Gorkij, Lenin e Volinski, illustratore di Leonardo, tradusse pagine di Sienkiewicz, Dostoewskij, Salov, Tolstoi, Turgenev, Gogol, nonché canti bulgari, armeni, montenegrini, senza contare gli autori polacchi, ungheresi, inglesi, tedeschi, francesi e spagnoli. A sua richiesta, fu poi trasferito a Roma, donde gli era più agevole tornare con la famiglia, d’estate, alla sua Atessa, tra le querce del Convento di Vallaspra; e in Roma rimase, anche dopo la perdita dell’amata compagna, fino alla morte avvenuta il 23 marzo 1929. Non era un misantropo il Ciampoli; sapeva figurare anche nella vita mondana della belle époque. Partecipò, come il Cavallotti, a brillanti duelli per difendere l’onore di qualche dama o la reputazione di amici cari. Amava tuttavia la semplicità, che si riscontrava anche nella vita di casa, assai modesta, e negli stessi mobili assai comuni e di poco valore. Quel che contava erano i grandi scaffali zeppi di libri preferiti, che si trovavano dappertutto, sui comodini, sulle sedie, sui divani, per cui il Ciampoli 46 diceva essere essi gli unici suoi beni di fortuna; non gli mancavano edizioni rarissime e di grande importanza. Nelle pareti v’erano, in prevalenza, molte fotografie di illustri personaggi del mondo della politica, dell’arte e della mondanità, spesso con interessanti autografi e dediche come quelle dello Zar, di Tolstoi, di Gorkij, di Lenin, di Cecov, della Rubinstein, in abito del S. Sebastiano dannunziano, del Byron, del Milton, del Dickens, nonché di molti italiani, come Croce, D’Annunzio, Pascoli, Scarfoglio, Tosti, Verga, Capuana, e dei due scultori Gemito e Barbella. Vastissima l’opera letteraria del Ciampoli, che il Marcolongo passa in rassegna con rapidi tocchi: dal racconto romanzato abruzzese del secolo XII Bianca del Sangro, edito dalla Tipografia Marsicana di Avezzano nel 1878, a La rupe della Zita, leggenda pubblicata in due puntate da La Palestra dei giovani di Napoli; da Racconti abruzzesi (Brigola, Milano 1880) a Trecce nere (Treves, Milano 1882), una raccolta di novelle che commosse molte anime, soprattutto per la pietosa storia di Mariuccia di Canzano che, costretta a sposare un ricco contadino e non riuscendo a dimenticare il primo amore che l’aveva resa madre, viene dal marito geloso strangolata con le proprie trecce; ad altre raccolte, come Cicuta (Sommaruga, Roma 1884), Fra le selve, in due volumi (Giannotta, Catania 1890-91), ecc. Dei cinque romanzi del Ciampoli ci limitiamo a riprodurre i titoli: Diana, Roccamarina, Il Pinturicchio, L’invisibile, Il Barone di S. Giorgio. Essi sono pressoché introvabili nelle stesse biblio- teche d’Abruzzo: «di quell’Abruzzo – come dice Ettore Ianni nella prefazione al libro – che fu il vero protagonista della sua letteratura»; né si troverebbe, oggi, un editore disposto a ristamparli. «Essi sono storie – aggiunge il grande giornalista – e soprattutto forme di presentar le storie in contrasto ormai col nostro tempo. Vi manca, d’altra parte, quella potenza d’arte che fa universale ed eterno ciò che nel semplice fatto è ristretto ad una età, ad un luogo». Il Ciampoli stesso definì l’insieme dei suoi libri “la torre di Babele”, a significare quella folla di padroni e servi, violenti e pavidi, fatui signorotti e politicanti fasulli, ragazze procaci e bagasce bettoliere, fattucchiere, briganti, accoltellatori, e insieme anime elette pronte alla sofferenza e al sacrificio, che parlano mille lingue e dialetti diversi. Eppure quei personaggi sono spesso tratti dal vero, come afferma lo stesso Ciampoli nella prefazione al suo secondo romanzo: «Roccamarina è, come tante altre, una storia d’amore tolta dal vero, ma io sarei ben contento se fosse creduta creazione di fantasia, perché la simpatia per i personaggi non si tramuti in pietà per le persone viventi». Quel che talvolta appesantisce la narrativa del Ciampoli sono le analisi, le digressioni, le descrizioni, anche quando queste rappresentino, con squisito senso d’arte, stati di coscienza, passioni, folklore. Comunque, sarebbe da ponderare seriamente la proposta, lanciata dal compianto e indimenticabile autore di Memorie di un deputato, di raccogliere i capitoli più significativi, a sé stanti, dei romanzi e alcune delle novelle più vive e fresche del Ciampoli in un volume commemorativo, che tramandi alle future generazioni il meglio del grande scrittore abruzzese. A ciò potrebbe contribuire, tanto per cominciare, la ristampa del bel volume di Giuseppe Marcolongo, opportunamente riveduto e ampliato. Antonio Silveri La Gazzetta, 5 luglio 1970. DOMENICO CIAMPOLI Olio su tela, di Nicola De Francesco, 1992, Biblioteca Comunale. 47 Manifesto del Comune di Atessa per la ricorrenza del centenario della nascita di Domenico Ciampoli. Comune di Atessa Centenario della nascita di Domenico Ciampoli 23 Agosto 1852 - 23 Agosto 1952 Cento anni or sono nasceva in questa città che ha antiche e gloriose tradizioni di arte e di cultura Domenico Ciampoli, noto scrittore, illustratore di importanti codici, documentari di storia e di vita, rievocatore delle opere del genio italiano dal Petrarca al Savonarola, al Galilei, al Campanella, e dei pionieri del Risorgimento italiano, alla cui epoca diede largo contributo di pensiero, ma soprattutto profondo conoscitore delle letterature straniere e, tra i primissimi, divulgatore delle opere dei popoli slavi. Atessa, che si onora di avergli dato i natali e che ha costituito un apposito Comitato, avrebbe voluto tributare, nella ricorrenza di questo centenario, una degna celebrazione, con l’intervento dei migliori figli di questa terra. Difficoltà diverse di carattere organizzativo, non facilmente sormontabili, hanno impedito di compiere, per ora, questo rito celebrativo. Esso, però, sarà compiuto in una prossima occasione con l’apposizione, fra l’altro, di una lapide nella facciata esterna delle Scuole Medie e con l’intitolazione anche di una strada al suo illustre nome, perché è doveroso ricordare e celebrare chi, con la mente e con le opere, diede onore alla patria di origine. Atessa, 23 Agosto 1952 48 Il Sindaco Santarone Atessa e i suoi figli illustri Lelio De Francesco Un appassionato cultore della musica, del disegno e, in par- ticolare, della fotografia, alla quale seppe dare dignità d’arte. La passione per l’arte: una costante della sua vita. Lelio De Francesco nacque in Caivano (Napoli) nel 19 novembre del 1865 da padre atessano, che lo condusse fin dall’età di cinque anni nella sua simpatica terra di origine. [...] lo vediamo, fanciullo ancora, aver dimestichezza con righe, squadre, compassi, matite, e guidato dal solo istinto dilettarsi in quell’arte che formava già allora la sua occupazione prediletta. [...] il padre, lieto di vederlo dedito al lavoro nobile e bello, decise alla fine di appagarlo nell’ardente suo sogno e così, all’età di tredici anni, lo affidò al prof. Nicola Grumelli di Atessa per l’apprendimento dei primi elementi di disegno; e più tardi, a quattordici anni, al maestro Giuseppe D’Amelio per quello della musica; sotto il quale in breve tempo il giovinetto fece notevolissimi progressi. [...] Nel dicembre del 1881, a sedici anni compiuti, confortato dai continui progressi del figlio, il padre, non senza gravissimi sacrifizi, lo mandò a Napoli ove, studiando musica nel Conservatorio di S. Pietro a Maiella e belle arti nell’Accademia, ebbe agio di sviluppare e disciplinare le varie sue doti artistiche. [...] Nel 1885, a vent’anni, andò militare e fu assegnato all’87º Reggimento Fanteria di stanza a Milano. [...] Il suo Colonnello gli consentì di frequentare l’Accademia di Brera in Milano, nelle ore in cui il De Francesco era dispensato da alcuni servizi militari. Dal 1885 al 1887, durante gli studi che compiva nella detta Accademia di Brera, studiava musica sotto il compianto illustre maestro Ponchielli ed incominciò lo studio della fotografia sotto esperti tecnici milanesi. Nel settembre del 1888, adempiuti gli obblighi di leva, tornò in Atessa, dove era vivamente atteso dai suoi e da tutti i concittadini che avevano saputo del suo progredire nell’arte, e da allora, nell’intima cordialità paesana, cominciò lo svolgimento prodigioso di quanto aveva portato nel campo delle sue attitudini. Lelio De Francesco era musicista bravo, specialmente nel ramo strumentale bandistico; e come professore di clarino, suo strumento di base, organizzò un concerto il quale esordì il 1º novembre dello stesso anno [...] e che diresse per sette anni lodevolmente, mentre dava pure lezione di pianoforte. Durante il suo periodo di insegnamento scrisse molte composizioni musicali che 49 furono apprezzatissime dalla critica tecnica. Scrisse anche un metodo speciale illustrato di grammatica musicale con un corso pratico progressivo di “solfeggio parlato”, facilitando di molto l’insegnamento; e per questi pregevoli lavori, raccolse i primi allori con premi ottenuti in vari concorsi ed esposizioni musicali. Mentre il De Francesco andava affermandosi nell’arte musicale, fondò una scuola municipale di disegno applicato alle arti che, dal gennaio 1889, diresse per nove anni, facendo adottare come modelli di disegno quelli propri da lui appositamente elaborati così come meglio potevan riuscire utili più ad un’arte che all’altra, uniformandosi alle diverse esigenze dei mestieri degli alunni, facilitandone sempre più l’apprendimento. [...] né in tal guisa esauriva la sua prodigiosa e multiforme attività; ché mentre noi lo vediamo, appassionato maestro, dedicarsi a tale insegnamento ed a quello della calligrafia, lo vediamo altresì coltivare con febbrile ardore l’arte fotografica. [...] Nell’ottobre 1889 egli fondò in Atessa un modesto studio fotografico, che man man poi andò sempre più elevando. Nel novembre del 1898, per importanti ragioni personali e per meglio dedicarsi allo studio della fotografia, sua arte prediletta, si ritirò dal pubblico insegnamento con vivo dispiacere della intera cittadinanza che sapeva di perdere così una delle più benemerite attività del paese. Qui ha termine il primo periodo della sua vita paesana e nel febbraio del 1900, in seguito ad inviti e premure di amici e ammiratori che avevano conosciuto la sua perizia, si recò a Foggia, dove contava di rimanere pochi giorni soltanto per eseguirvi lavori fotografici; ma, quivi giunto, per i suoi speciali meriti e per le simpatie acquistate, i lavori si moltiplicarono di giorno in giorno sempre più, cosicché fu costretto a prolungare il suo soggiorno per circa quattro mesi! [...] Nella sua permanenza a Foggia diede anche alcune sedute di proiezioni luminose fisse, presentando i suoi migliori lavori e raccogliendo il plauso di tutta la stampa locale indistintamente. In seguito, per sentimento nostalgico e anche perché invitato dalle migliori personalità di Chieti che da molti anni avevan conosciuto e pregiato le sue doti artistiche, si trasferì in questa città, nel settembre del 1900, dove è sempre rimasto e dove egli ebbe agio di continuare il suo prodigioso ascendere verso la meta della perfezione sempre più ideale, ammiratissimo da quanti hanno squisito il senso del bello e il gusto dell’arte. [...] Chi visita lo studio fotografico del De Francesco rimane impressionato nel vedere lavori d’ogni genere: musica, calligrafia, disegni, acquerelli e fotografie di ogni sistema, tutti improntati a genialità e perfezione sorprendenti. Nello studio si nota una collezione di diplomi di associazioni artistiche, enti morali, sodalizi, accademie, e numerosi attestati di ammirazione e compiacimento di personalità tecniche e politiche, le quali affermano concordemente quanto sia singolare l’arte del De Francesco. Vi si ammira altresì un gran numero di premi, medaglie, croci e decorazioni ufficiali. Onoranze a Lelio De Francesco 1889-1914, Arti Grafiche M. Fracchia & C., Pescara 1914, pp. 23 sgg. 50 Lo studio fotografico atessano di Lelio De Francesco in una pubblicità del 1897. 51 I suoi lavori fotografici valutati dalla stampa. 52 Lelio De Francesco nel ricordo di Domenico Ciampoli. [...] E in Atessa, dove tornavo a goder la gioconda ebrezza de’ monti, de’ boschi, delle acque, dove, quasi per incantamento, dal colle sorgon lontananze nitide di poggi e di marine, io lo conobbi; e come fui il primo a provarne la delicata vigoria del tocco nel disegno, quasi incredulo agli occhi ch’egli, senza maestro, compisse prodigi di grazia, così fui il primo ad essere ritratto quando egli, nello scegliere una delle tante arti cui era propenso, elesse la fotografia. La fotografia? Ma egli era un artista nato; uno di quegli artisti che da fanciullo fiammeggian d’entusiasmo e cercan per mille vie di rivelarsi nella esuberante potenza che li spinge; era un musico, un pittore, uno scultore, uno scienziato, capace d’ogni mestiere, d’ogni capriccio, poiché tutto gli era facile nella festosa fecondità dell’ingegno. Io divinai ch’egli sarebbe riescito al bene, al grande; aveva la tempra che da ragazzi avevano avuto il Michetti, il Barbella, il Tosti, sacra triade dell’arte nostra; e sarebbe volato via nelle lontananze, come quei falchi delle nostre rupi, che van di 53 Pallano alla Maiella, dominando greppi e fiumane e foreste. [...] In me dunque nessuna maraviglia quando giornali e riviste ne disser le lodi; quando i Congressi lo tennero in alto conto, ne ascoltarono la voce autorevole, lo onoraron di cariche ambite; quando le Accademie lo nominaron socio, le Esposizioni lo fregiaron di medaglie, i Governi lo decoraron; quando insomma la fama del suo nome e del suo valore si diffuse quasi contro sua voglia; quando la sua terra poté dirsi orgogliosa di lui e gli stranieri resero omaggio al suo fervido ingegno [...] Aprile 1914 Domenico Ciampoli Onoranze a Lelio De Francesco 1889-1914, op. cit., pp. 17-18. Espressioni di plauso e di ammirazione del Consiglio Comunale per Lelio De Francesco nel 25º anniversario della sua carriera artistica e della fondazione del suo studio fotografico (Delibera 7 novembre 1913). Presenti il sindaco cav. avv. Nicola Orfeo e i consiglieri Cardano Filippo, Carunchio Alfonso, Ciccarelli Luigi, Cicchitti Angelantonio, De Francesco Gennaro, De Ritis Antonino, Di Giacomo Isidoro, D’Onofrio Alberto, Iovacchini Alfonso, Iovacchini Guglielmo, Marcolongo Ferdinando, Marcone Camillo, Marcone Nicola, Mastrocecco Domenico. Il Consiglio • [...] Considerato che, festeggiandosi fra non molto il 25º anniversario della vita artistica del nostro concittadino Lelio De Francesco, artisti e letterati esimi concorrono a rendergli onori, con attestati ed omaggi, e con essi anche le associazioni di cui egli fa parte; • Considerato che a tanti attestati di affetto, di ammirazione, di stima non può rimanere indifferente la nostra città, che nel nome del De Francesco si vede onorato un suo figlio egregio che mai ha dimenticato la sua città ove per tanti anni visse, ove spiegò tanta energia ed ove ha lasciato segni indelebili del suo impegno, della sua mente aperta a tutte le bellezze, della sua operosità, della sua integrità di carattere, della sua correttezza professionale, della sua abnegazione; delibera • D’inviare all’illustre prof. Lelio De Francesco il suo plauso e l’attestazione di sincera ammirazione anche da parte della cittadinanza, che considera in lui un cittadino che altamente onora questa terra diletta, augurando al suo studio artistico fotografico sempre maggiore sviluppo, pel decoro del nostro Abruzzo. • Incarica il Sindaco di comunicare la presente deliberazione al prof. De Francesco in Chieti. 54 Le origini dell’Asilo “Giardino d’Infanzia” Un’istituzione “sana ed utile” a beneficio dei figli del popolo, frutto della tenace e intelligente operosità di un notaio atessano. La realizzazione dell’opera legata al nome di Salvatore Scerni e propiziata da una sua felice intuizione. Chi arriva con la corriera in Atessa nota subito, fra le molte case che si allungano su una cresta collinosa, una costruzione che per mole e linee architettoniche si distingue nettamente da tutte le altre: è l’Asilo. Si vuol qui rievocare brevemente l’origine dell’edificio e del nome, ritenendo che si tratti di una vicenda del tutto insolita e di qualche interesse. Nel settembre 1844 moriva in Atessa Pietro Scerni, un modesto possidente di terre, lasciando la moglie, Antonia De Marco, con sei figli in giovane età (la più grande aveva 14 anni, il più piccolo 9 mesi). La vedova affrontò, con coraggio e abnegazione di madre, la difficile situazione, cercando di far fruttare il meglio possibile il magro patrimonio e di aiutare la barca lavorando come tessitrice col tradizionale telaio a mano. Ebbe momenti molto difficili, tanto che i sacerdoti locali vollero venirle incontro dandole modo di ricoverare in un collegio religioso quello che sembrava il più sveglio dei suoi ragazzi. Il giovane Salvatore Scerni si trovò così accolto, a titolo gratuito o quasi, nel collegio annesso alla Chiesa di San Bernardino in Aquila, ove conseguì un titolo di studio equivalente alla maturità classica odierna. Per poter proseguire gli studi, senza gravare sulla famiglia, Salvatore diveniva poi istitutore del Collegio Nazionale di Chieti, cominciando così la Salvatore Scerni (1840-1916) sua prima attività redditizia, con compiti 55 educativi. Dopo circa due anni conseguì l’abilitazione alla professione notarile e si ritirò nel paese natio per aprirvi uno studio professionale. Divenne notaio-conservatore, cioè riscattò a sue spese (e con sacrificio) i volumi (“ schede”) degli atti dei vecchi notai del paese a cominciare dal 1559, per tenerli a disposizione del pubblico. Nuove leggi abolirono poi gradualmente tale sistema, ma egli rimase tale fino alla fine e fu forse l’ultimo notaio conservatore del territorio dell’ex Regno di Napoli. A quei tempi non vi era abbondanza di diplomati e laureati; fu offerto perciò al giovane notaio di assumere anche le funzioni di maestro elementare, ed egli accettò. Insegnò per parecchi anni, finché lo sviluppo della sua attività notarile gli impose di abbandonare la scuola. Rimase però in lui, per sempre, oltre che una certa esperienza, un interesse ed un amore sincero per i problemi attinenti all’educazione della gioventù. Il che, qualche decennio più tardi, doveva portarlo, in circostanze particolari, ad assumere e concludere favorevolmente una iniziativa che forse, in quel tempo, non ebbe riscontri neanche nelle altre regioni d’Italia. Correvano gli anni in cui furono emanati ed ebbero attuazione molti provvedimenti legislativi intesi a regolare la destinazione e la utilizzazione degli ingenti patrimoni immobiliari degli enti e comunità religiose esistenti al momento della unificazione politica della Penisola. Il notaio Scerni, per ragioni professionali ed anche per la sua intelligenza e buona preparazione, divenne esperto della complessa materia. Ad un certo momento un ex feudo ricco e pregiato, già appartenente ad un beneficio ecclesiastico, avrebbe dovuto essere incamerato dallo Stato fra i beni detti della Mano Morta. Il notaio, ex educatore, ebbe allora l’idea di evitare l’incameramento creando un Ente morale che destinasse i proventi dell’ex feudo a scopi educativi a beneficio dei figli dei propri concittadini. Egli nel frattempo aveva trovato anche modo di conoscere e seguire gli sviluppi delle teorie e dei metodi fröbeliani che allora costituirono nella regione una vera novità (1). Perciò come prima realizzazione pensò ad un Asilo fröbeliano. Nella sua mente, peraltro, sorse pure, e rimase sempre, l’idea di una prima scuola post-elementare che permettesse anche ai giovani meno abbienti di avviarsi agli studi superiori senza doversi allontanare troppo presto, a dieci o undici anni, dalla propria casa e dal proprio paese, come allora accadeva normalmente, con oneri e disagi che solo poche famiglie benestanti erano in grado di sostenere. La sua iniziativa fu accolta, in genere, con bonario ed un po’ ironico scetticismo, come chi è pratico della vita dei nostri paesi nei decenni scorsi può facilmente immaginare. Ebbe degli oppositori, ma anche adesioni benevole e comprensive. All’inizio fece, si può dire, tutto da solo. Svolse le pratiche legali necessarie per il riconoscimento dell’Ente morale, studiò e compilò lo statuto dell’Ente stesso, ne fu (1)Friedrich Wilhem August Fröbel, educatore e pedagogista tedesco vissuto tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento, ha espresso il suo pensiero nell’opera “L’educazione dell’uomo”.Nel 1837, a Blankenburg, fondò il suo primo Asilo Infantile, che egli chiamò “Giardino di Infanzia”, e vi attuò il suo metodo educativo basato sul gioco, ritenuto da lui l’autentica espressione della libera attività creatrice del bambino, quella cioè in cui si esprime la sua fantasia. 56 il primo dirigente. Dal patrimonio immobiliare su cui l’Ente si basava, senza alcun contributo statale o comunale, furono tratti i mezzi per costruire, ex novo, un grande palazzo destinato a sede dell’Asilo. Solo il sedime, un vecchio orto, fu donato da un sacerdote che lo aveva in proprietà privata, e che aveva rapporti di parentela e, soprattutto, di stima e fiducia con Salvatore Scerni. Questo degno sacerdote si chiamava Don Giuliano De Marco ed era parroco della Chiesa di S. Michele, nel cui ambito l’edificio doveva sorgere. La compilazione del progetto e la direzione dei lavori di costruzione fu assunta, a condizioni di favore, dall’Ing. Pomilio, oriundo di Archi e padre del noto industriale costruttore di aerei durante la prima guerra mondiale. Egli era a capo dell’ufficio tecnico provinciale di Chieti; come tale si recava spesso in missione ad Atessa, ove era divenuto buon amico dello Scerni. L’edificio, di decorose linee ottocentesche, è a tre piani oltre quello terreno e la soffitta. Nella parte posteriore comprende un giardino all’aperto attiguo ad una grande sala da ginnastica, che a sua volta abbraccia quasi tutto il terzo piano. Prima dell’inaugurazione, avvenuta nel 1896, l’Asilo venne dotato di tutte le più nuove ed aggiornate attrezzature fröbeliane; l’Ente fu subito in grado di provvedere alla refezione gratuita dei bimbi, cosa del tutto insolita per quei tempi. L’entrata in funzione dell’Asilo (nome ormai rimasto nella tradizione locale che serve ancora a designare sia l’Ente che l’edificio) costituì una novità importante per le vecchie mentalità locali e segnò, forse, per il paese e per la zona, il primo decisivo contatto con i nuovi moderni orientamenti dei metodi educativi. Sembra comunque notevole e degno di ricordo l’esempio di questo modesto ex educatore, relegato in un piccolo centro di provincia, tutto preso dalle cure della sua professione e da quelle della sua numerosa famiglia (sei figli) che viveva solo del suo lavoro, non senza assilli e difficoltà provocate dai contrasti della piccola politica locale. Superando ogni ostacolo, egli volle e seppe trovare capacità e tempo per realizzare un’opera sana ed utile, che ancora oggi esiste e dà benefici frutti, dopo un’esperienza di circa 80 anni. Forse per la prima volta nella regione i redditi di un ex feudo, invece che per fortilizi e castelli oppure per chiese e conventi, servirono alla creazione di un Ente ed al sorgere di un notevole edificio, adeguati alle democratiche necessità dei nuovi tempi per il diretto vantaggio dei figli del popolo. Il tutto fu fatto dallo Scerni con sincera dedizione e con assoluto disinteresse. Erano i tempi della così detta “Italietta Umbertina”, modesta e un po’ romantica, in cui gli uomini che si dedicavano alla cosa pubblica, a qualsiasi livello, lo facevano normalmente con la più sincera buona fede e rettitudine. Peraltro si sa bene che nelle cose umane nulla può essere perfetto e che, come si suol dire, ogni medaglia ha il suo rovescio. Anche per Salvatore Scerni la creazione dell’Asilo finì perciò per essere fonte di qualche delusione ed amarezza, di cui è doveroso far cenno in questa rievocazione. Fu criticata principalmente l’ubicazione dell’edificio, addossato ad un terrapieno naturale che rese umidi ed anti-igienici una parte dei locali del piano terra e del primo piano. A questo si potrebbe oppore che Salvatore Scerni non era un tecnico e 57 che, se mai, le critiche dovrebbero valere solo per il progettista e direttore dei lavori. Ma anche l’Ing. Pomilio deve essere doverosamente scagionato, in quanto egli aveva previsto una larga intercapedine realizzata però limitatamente al secondo piano (il terzo era ed è interamente al di sopra del terrapieno), non estesa ai piani sottostanti solo in via provvisoria e sperimentale, per tentare di evitare la conseguente maggiore spesa. Fu forse un errore tecnico la creazione nel terrapieno, in corrispondenza del giardino, di una grande cisterna per acque piovane, la quale, malgrado tutti gli accorgimenti costruttivi consentiti dai materiali e mezzi allora in uso, favoriva ed accresceva le dannose infiltrazioni di umidità. Ma, come inizialmente indicato dallo stesso Ing. Pomilio, gli inconvenienti potevano essere eliminati senza soverchie difficoltà sopprimendo la cisterna e approfondendo l’intercapedine. Per molti anni si preferì criticare piuttosto che provvedere, forse perché i locali rimasti perfettamente asciutti ed efficienti bastavano già largamente per le esigenze dell’Asilo. Quando si volle o si poté intervenire, la bonifica completa fu senz’altro realizzata senza difficoltà particolari. Altra fonte di delusione e di amarezza per Salvatore Scerni, che fu indotto perfino a lasciare la carica di direttore dell’Asilo che aveva assunto nei primi anni, fu la sostituzione delle maestre fröbeliane (erano tre “forestiere”, lombarde e piemontesi) con suore di un ordine religioso, nonché la mancata realizzazione di una scuola media post-elementare. La preferenza per le maestre laiche non era affatto ispirata a sentimenti anticattolici. La sua fede nella religione degli avi era sincera, senza contare il senso di gratitudine per il decisivo aiuto ricevuto nell’adolescenza. Riteneva però più adatte le maestre giardiniere fröbeliane, preparate con appositi studi, rispetto alle religiose forse ancora troppo legate agli antichi ed ormai superati schemi tradizionali. Per l’istituzione di corsi di istruzione media (che non potevano esser posti a carico esclusivo dell’Ente morale e richiedevano perciò contributi finanziari, sia pure modesti, agli interessati) i tempi non erano ancora maturi e la cittadinanza non rispose in misura adeguata all’appello. L’Asilo Infantile è ancora in funzione e, per quanto risulta, non ha mai avuto bisogno di contributi statali. L’edificio ospita ormai da tempo anche una scuola media. Durante l’ultima guerra è stato per qualche tempo adibito ad ospedale delle truppe indiane “Sich”, i guerrieri asiatici dai lunghi capelli. Una destinazione che neanche la più accesa fantasia avrebbe potuto prevedere all’epoca della fondazione. Si è ritenuto doveroso rievocare tutto questo per rendere postumo omaggio ad un probo, operoso e benemerito cittadino atessano, ma anche e soprattutto per additare l’esempio ai giovani abruzzesi della nuova generazione. È auspicabile che essi possano così essere indotti a considerare con rispetto ed orgoglio il bell’edificio che, accanto alle più antiche chiese, conventi e castelli degli avi, domina le case del paese, tangibile testimonianza di una precorritrice affermazione di civiltà e di democrazia. Maria Scerni Origini dell’Asilo d’Infanzia atessano, Tipografia Lanzi, Roma 1976. Il saggio di istruzione e di educazione morale e religiosa del 1899 58 nell’Asilo d’Infanzia. Sia come membro del Consiglio di Amministrazione di questo benemerito Istituto, sia, dopo, in qualità di cittadino amante del progresso civile del mio paese, ho avuto sempre a cuore questa istituzione dell’Asilo d’Infanzia, che ha segnato un’orma incancellabile di civiltà fra noi. Assistendo il giorno 15 e 17 del volgente mese al saggio di istruzione ed educazione morale e religiosa impartite dalle attuali maestre ai bimbi del nostro Asilo, ebbi a compiacermi vivamente del profitto da essi tratto nell’insegnamento di quest’anno scolastico, abbreviato da più di un mese essendo stato chiuso l’Istituto per ragione d’igiene e sanità pubblica. Nello scorso anno non mancai di assistere al saggio di ginnastica, canto e conversazione che diedero i nostri bimbi col magistero di due maestre laiche e con la solerte direzione della signora Anna Viandé, milanese; e posso affermare che le prove eseguite furono eccellenti. Orbene il saggio dato quest’anno dai bimbi, tanto nel canto e nella conversazione che nel dialogo e nella declamazione di brevi poesie, è stato, per espressione di parole, per modulazione di voce, per calor di sentimento e per gesti ed atteggiamento delle creaturine, qualche cosa di superiore a quanto si è ammirato negli anni precedenti in quest’Asilo. Il lungo programma di saggio fu espletato brillantemente. Il pubblico udì con ordine: la Invocazione al Signore; il Prologo; il Duetto; i dialoghi L’Asilo, Dio è amore, La signorina e la contadina, Il ringraziamento; poi i cori Nel vicino boschetto, Alle bimbe d’Italia, La partenza per la campagna, Le vocali; indi le declamazioni delle poesie La Regina, I progressi di Luigina, Il gatto, Ai benefattori dell’Asilo, Per il Direttore, con sentimento artistico. Ma dove più il pubblico ammirò l’arte comica dei bimbi si fu nel bozzetto drammatico in un atto dal titolo Il demonietto, nei cori I gatti e Angel che adesso siam..., nella Preghiera al Signore, e nei quadri Gesù che benedice i fanciulli e L’Ascensione. In questi due quadri vi fu il colpo scenico di vesti pompose con serici drappi, atteggiamenti drammatici, estasi e contemplazioni estetiche con illuminazione a varii colori di un effetto magico! Noi non possiamo astenerci dal tributare lodi sincere alle due maestre monache pallottine Suora Maddalena Facacci e Suora Maria Edvige Miele. Quest’ultima è giovane, intelligente, agile, attiva, ed alla bella istruzione e squisita educazione unisce la freschezza della gioventù, la delicatezza dei lineamenti, la venustà delle forme e un occhio espressivo, penetrante, fulmineo. E ciò senza detrarre merito alcuno alle doti intellettuali, morali e fisiche della signora Direttrice Giovannina Sacerdoti, giovane colta e gentile, tutt’affetto e zelo, tutta bontà e diligenza verso i bimbi, che educa con tenerezza e cura 59 speciali ed istruisce con coscienza e cuore di madre. Da sì scelto personale insegnante per educazione, per istruzione, virtù e religiosità non si poteva attendere che un esito soddisfacente, lodevole, ottimo sotto ogni rapporto didattico. Dobbiamo pure, per debito di lealtà, dare una lode sincera al Consigliere di amministrazione Sig. Luigi Ferri, che accompagnò felicemente col pianoforte i canti dei bimbi e tenne divertito il pubblico negl’intermezzi suonando scelti ballabili. Per chi ami confronti, dirò che i bimbi sotto la direzione della Viandé negli scorsi anni diedero segno di maggior spirito militare rispetto ai ragazzi attuali, mostrandosi più di costoro esperti nella ginnastica, nei giuochi, nella nomenclatura; in compenso i bimbi affidati alla direzione della Sacerdoti han mostrato maggior coltura ed educazione della mente e del cuore, ed uno spirito ed un fervore di sentimento alle idee di religione, della carità e di ogni fiore di gentilezza e moralità. Questa coltura alle idee morali e sociali è in maggior grado di quella data dai bimbi negli scorsi anni e forma la caratteristica delle attuali insegnanti: e noi, conoscendo i cattivi istinti dell’uomo nella prima età, non possiamo non lodare quell’insegnamento che educa all’affetto, all’amore ed alla pietà le corde sensibili del cuore [...] Ma torniamo al nostro Asilo. Chi ha veduto i disegni, i lavori di cartonaggio, di plastica, di punteggiatura e ricamo dei bimbi e delle bimbe si può assicura60 re del progresso fatto in questo ramo di insegnamento dai fanciulli tutti del nostro Asilo sotto il ministero delle attuali insegnanti, con la direzione della brava ed ottima Sacerdoti. Si rimane sorpresi come i fanciulli abbiano saputo riprodurre in creta frutta, fiori, bambole ed altri oggetti sportivi dell’infanzia con tanta perfezione. È doloroso però che i lavoretti dei bimbi esposti dalle maestre in apposita sala non han ricevuto che pochi visitatori. Questo scetticismo che i padri di famiglia mostrano verso le scuole pubbliche del paese, senza incoraggiare chi lavora con coscienza ed efficacia per l’educazione dei figli del popolo, è cosa dolorosa e sconfortante. Ciò non ostante le signore maestre dell’Asilo seguitino a lavorare con coscienza verso i bimbi a loro affidati, facciano sempre il loro dovere, ché non le mancherà l’applauso dei pochi, che sono i buoni e gl’intelligenti. Atessa, 10 giugno 1899 Alfonso Iovacchini i 3 Abruzzi, 4 luglio 1899. Vincenzo Riccio Un avvocato - giornalista di Parlamento legislature consecutive. elettori di Atessa Napoli al rappresentante degli nazionale per ben otto Note biografiche. Nato il 27 novembre 1858 a Napoli, morto il 20 agosto 1928 a Roma. Laureatosi giovanissimo in Legge, esercitò l’avvocatura, acquisendo una particolare competenza nella giurisprudenza elettorale e quindi patrocinando questa o quella parte politica nelle elezioni contestate. Esercitò con successo anche la professione di pubblicista, collaborando in vari giornali e riviste, quali il Piccolo e il Don Marzio di Napoli, la Gazzetta di Venezia, il Secolo XIX di Genova, l’Italia al Plata di Buenos Aires. Si presentò candidato politico per la prima volta nel 1895 ad Ortona a Mare e fu vinto per pochi voti nel ballottaggio dal prof. Masci. Due anni dopo, nel 1897, risultò eletto deputato per la 20ª legislatura nel collegio di Atessa, superando l’on. Emilio Giampietro, deputato dello stesso collegio durante la legislatura precedente. Da allora in poi fu sempre confermato nel mandato politico dai suoi elettori per altre sette legislature consecutive, dalla 21ª alla 27ª, nel collegio uninominale di Atessa fino al 1919 e poi, per effetto della riforma elettorale instaurata in quell’anno, nella circoscrizione di Chieti-Aquila-Teramo. Alla Camera prese posto a destra, fra i liberali moderati. Fece parte come sottosegretario agli Interni del ministero Sonnino dal dicembre 1909 al marzo 1910; come ministro delle Poste e Telegrafi del ministero Salan- Vincenzo Riccio, in una foto di Lelio De dra dal marzo 1914 al giugno 1916; come Francesco (fine Ottocento). ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio del ministero Orlando dal gennaio al giugno 1919; come ministro dei Lavori Pubblici del ministero Facta dal febbraio all’ottobre 1922. In principio della 26ª legislatura (1921) venne eletto vicepresidente 61 della Camera e tenne la carica sino alla sua nomina a ministro nel Gabinetto Facta. Fece parte di commissioni e fu relatore di vari progetti di legge. Si distinse per la diligenza nell’adempimento dei doveri del mandato parlamentare, per la piacevole e convincente facilità di parola e per lo spirito polemico. T. Sarti, Il parlamento italiano nel cinquantenario dello Statuto, Tipografia Agostiniana, Roma 1898, pp. 461-462. A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, Enciclopedia Biografica e Bibliografica “Italiana”, Istituto Editoriale Italiano B. C. Tosi, Roma, Serie XLIII - Vol. II, p. 60. A. Tortoreto, I parlamentari italiani della XXIII legislatura, Casa Editrice “Roma”, Roma 1910, pp. 305-306. Emilio Giampietro (1844-1928), antagonista di Riccio in accanite competizioni elettorali nel collegio di Atessa. Nacque a Salerno, da madre – Anna Sciorilli Borrelli – appartenente ad una illustre famiglia di Tornareccio. A sedici anni seguì Garibaldi nella spedizione dei Mille. Giovanissimo ancora, si diede all’industria, dimostrandosi capace di ardite iniziative. Ricoprì varie cariche, tra le quali quelle di membro della Camera di Commercio di Napoli e del Consiglio d’amministrazione del Banco di Napoli. Fu deputato del 2º collegio di Salerno nella 16ª e 17ª legislatura e del collegio di Atessa nella 19ª. Nel 1897 si presentò candidato per la 20ª legislatura nel collegio di Atessa e in quello di Sala Consilina: sconfitto da Riccio nel primo, risultò eletto nel secondo. Rappresentò poi al Parlamento, nel corso della 24ª legislatura, gli Emilio Giampietro, in una foto di elettori del collegio di Montecorvino Lelio De Francesco del 1895. Rovella. Militò nelle file della sinistra, configurandosi alla Camera come luogotenente di Cavallotti e suo portavoce ogniqualvolta questi era assente o non voleva intervenire nelle discussioni. T. Sarti, Il parlamento subalpino e nazionale, Tipografia Editrice dell’Industria, Terni 1890, pp. 511-512. T. Sarti, Il parlamento italiano nel cinquantenario dello Statuto, Tipografia Agostiniana, Roma 1898, p. 308. A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, Enciclopedia Biografica e Bibliografica “Italiana”, Istituto Editoriale Italiano B. C. Tosi, Roma, Serie XLIII - Vol. II, p. 29. Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, 2 agosto 1928. Cartolina postale inneggiante alla vittoria di Riccio su Giampietro nelle 62 elezioni politiche del 1909. Vincenzo Riccio, in una caricatura del vignettista atessano Gino Flocco (1924). 63 Conferimento della cittadinanza onoraria a S.E. Vincenzo Riccio in occasione del 25º anniversario di vita politica (Delibera Consiglio Comunale 12 giugno 1922). Presenti il sindaco cav. uff. Luigi Iovacchini e i consiglieri Carlucci Giuseppenicola, Carunchio Manfredi, Ciccarelli Alfonso, Cinalli Luzio, D’Alonzo Nicola, De Francesco Giuseppe, De Francesco avv. Ottorino, De Marco Umberto, De Ritis cav. avv. Fileno, Di Pasquale Gaetano, D’Onofrio Alberto, Flocco Luigi, Giannico avv. Camillo, Giannico Giuseppe, Iovacchini Giovanni, Marcolongo Ugo, Marcone Camillo, Marcone Giulio, Orfeo cav. avv. Nicola, Sorge Pasquale, Tano Giuseppe, Tinaro Anselmo, Vaselli Giuseppe. Si assentano dalla Sala i consiglieri Carunchio Manfredi, D’Alonzo Nicola e De Francesco avv. Ottorino, dichiarando di non voler prendere parte alla trattazione del punto all’O.d.G. Proposta del Sindaco Luigi Iovacchini Il Sindaco riferisce che S.E. Riccio compie nel prossimo luglio il 25º anniversario di vita politica. Ricorda che nel marzo 1897 Atessa ebbe il vanto della sua prima elezione e con suffragi sempre maggiori lo volle suo rappresentante nelle successive legislature, nel collegio uninominale prima, nel collegio allargato nei due ultimi scrutini. Della fiducia di Atessa, l’Uomo si rivelò subito meritevole e degno. Pur fermo nella fedeltà al suo partito, seppe, con la onestà della sua vita parlamentare, con l’obiettività serena dei suoi atti, colla cortesia della forma, cattivarsi la benevolenza di tutti i colleghi. Così rapida e sicura fu la sua carriera di Deputato, Commissario, Relatore, Presidente di molte importanti commissioni, VicePresidente della Camera, quattro volte onorato dalla fiducia del Re e chiamato al Governo del Paese. Né, nella molteplice attività di deputato, Egli ha dimenticato giammai gl’interessi dell’Abruzzo, e di Atessa in ispecial modo. Tutta l’attività che si svolge attorno al nostro paese, a risanarlo dalle frane minacciose, a reintegrarlo nel civile consorzio con nuove, agevoli vie, a ridare al vasto agro le comodità di comunicazione col capoluogo, è tutta opera sua, suo merito e suo vanto. Atessa vuole dare al suo Deputato ora la prova tangibile della sua gratitudine, conferendogli la cittadinanza onoraria, perché il vincolo fra l’Eletto e gli elettori si faccia più intimo e profondo. Il Consiglio Plaudendo, unanime nel voto, accoglie la proposta del Sindaco. 64 Il lutto per l’uccisione di Re Umberto I Negozi chiusi, manifesti listati a nero sui muri, bandiere abbrunate alle finestre, imponenti manifestazioni pubbliche. Manifesto del Comune con l’annuncio ufficiale della morte del re Umberto I, assassinato a Monza il 29 luglio 1900 dall’anarchico Gaetano Bresci. Il testo dei telegrammi inviati dal sindaco Luigi Spaventa alla regina Margherita e al re Vittorio Emanuele III. Marchesa Villamarina, dama onore Sua Maestà Regina Margherita - Monza Questa cittadinanza, costernata ferale notizia assassinio amatissimo Sovrano, prega Vostra Eccellenza esprimere Sua Maestà la Regina vivissime condoglianze, sentimenti devozione gloriosa Dinastia Savoia. Sindaco Spaventa Primo aiutante di Campo Sua Maestà Vittorio Emanuele III - Roma Prego Vostra Eccellenza rendersi interprete presso Sua Maestà Vittorio Emanuele III del lutto questa cittadinanza, sempre devota gloriosa Dinastia Savoia, infame assassinio amatissimo magnanimo Sovrano Umberto Primo. Sindaco Spaventa 65 Manifesto-programma per le onoranze funebri al re Umberto I, pubblicato il 9 agosto 1900 da un Comitato appositamente nominato dalla Giunta Municipale. Cronaca della manifestazione del 10 agosto 1900: la commemorazione civile nel salone dell’Asilo d’Infanzia, il corteo per le vie cittadine, la messa funebre nella chiesa di S. Leucio. Le onoranze funebri a S.M. il Re Umberto ebbero luogo il 10 agosto. La sera del 9 un manifesto listato a nero, firmato dal Comitato eletto dalla Giunta Municipale e composto dei 66 Signori Cap.no Nicola De Francesco, Avv. Antonino Scerni uditore giudiziario, Antonino De Ritis, Alfredo Scalella, Dottor Attilio Falcucci e Cicchitti Gennaro, annunziava che la mattina seguente nella sala del Giardino Asilo d’Infanzia sarebbe avvenuta la commemorazione civile del compianto Re; subito dopo, un corteo di popolo, autorità ed associazioni si sarebbe recato ad assistere ad una messa funebre nella Chiesa di S. Leucio. Invitava i cittadini ad astenersi dal lavoro, a chiudere i negozi ed esporre la bandiera abbrunata. I cittadini di Atessa risposero all’appello in modo degno di un popolo patriottico e civile, e le onoranze riuscirono una solenne manifestazione, commovente per unanimità di concorso e sincerità di adesione. La immensa sala del Giardino Asilo d’Infanzia, adornata di piante e di fiori a cura della benemerita direzione, era quasi piena. Parlarono, applauditi, il pretore Avv. Iannelli, l’Avv. Scerni, il Sig. Cicchitti ed il Sig. Giuseppe De Francesco, alunno del Convitto di Agnone. La parte più bella della cerimonia fu il corteo. Alle 9,30 era già ordinato lungo la via esterna che congiunge Piazza Garibaldi al Largo della Fontana. Precedevano l’asilo infantile, le scuole elementari e un gruppo di studenti. Un drappello di sei carabinieri in grande uniforme chiudeva questa prima parte del corteo. A dieci passi di distanza seguivano le autorità: Pretore, Sindaco, Tenente dei Carabinieri, Ufficiali in congedo, Vice-Pretori e Conciliatori, Presidenti di Amministrazioni, bandiera municipale, Giunta e Consiglio. Venivano poi le associazioni cittadine: le tre società operaie, la casa di compagnia, il circolo operaio, un lunghissimo stuolo di altri cittadini. In tutto più di tre mila persone, tutta la parte maschile dell’abitato, con otto bandiere ed una diecina di corone. Sulle botteghe chiuse era una lunga scritta con le parole “Lutto nazionale”; da tutte le finestre era esposta la bandiera abbrunata; sui muri frequentissimi cartelloni ricordavano le date più gloriose, le più belle parole di Re Umberto. Il corteo procedeva lentamente, silenzioso, ordinatissimo. In chiesa, in mezzo alla navata centrale, era eretto un tumulo rettangolare: uno zoccolo a gradini sormontato da quattro sottili colonne; in alto la figura d’Italia piangente, agli angoli trofei di armi, tutto in giro corone di alloro: un insieme semplice, severo ed elegante eseguito sotto la direzione del Sig. Alfredo Scalella. Con pensiero opportuno e gentile il parroco Marcolongo lesse la bella preghiera della Regina. Celebrò la messa Mons. Tiberio, presente tutto il clero cittadino; la filarmonica eseguiva la splendida messa funebre del Cipollone. Notevole, sinceramente degna di lode fu la condotta del clero, che permise l’ingresso in chiesa alle bandiere e rinunziò agli emolumenti che gli sarebbero spettati. Va lodata anche la Confraternita del SS. Sacramento e Monte dei Morti, proprietaria della Chiesa di S. Leucio, il cui priore Sig. Oreste Rossi mise a disposizione del Comitato la cera e quant’altro potesse occorrere per la cerimonia. E così la filarmonica, che volle prestar gratuitamente l’opera sua e ricusò il rimborso delle spese sostenute. Lo stesso giorno dal Sindaco e dal Comitato furono spediti telegrammi al Sottoprefetto, al Prefetto, al Presidente del Consiglio, alle LL. MM. Lo Svegliarino, 2 settembre 1900. 67 La nascita della Cassa Rurale Cattolica di depositi e prestiti Sorta nel 1903 per iniziativa del clero locale (“La banca dei preti”, la chiamano ancor oggi i più anziani) e con l’intento di “migliorare la condizione morale e materiale dei suoi soci”, seppe ben presto, sotto la guida del parroco di S. Croce Don Epimenio Giannico, conquistarsi un posto di tutto rispetto nel novero degli istituti di credito abruzzesi. L’atto costitutivo del 3 marzo 1903. Regnando S.M. Vittorio Emanuele III per grazia di Dio e per volontà della nazione Re d’Italia. L’anno 1903, il giorno 3 del mese di Marzo, nel Comune di Atessa; nella casa parrocchiale di Santa Croce, posta in Via della Vittoria, Nº civ. 113. Avanti di me Francesco Grumelli fu Antonio, notaio residente nel Comune di Atessa ed inscritto presso il Consiglio notarile del Distretto di Lanciano, ed in presenza dei Signori Giuseppe Rucci del vivente Michelangelo, civile e proprietario, e Giovanni Pellegrini del vivente Valentino, sarto, entrambi nati, domiciliati e residenti in Atessa, testimoni da me personalmente conosciuti ed aventi le qualità volute dalla legge, si sono di persona costituiti i Signori: – Don Epimenio Giannico del fu Signor Camillo, reverendo sacerdote, rettor curato della Chiesa parrocchiale di Santa Croce in Atessa e proprietario; – Don Luigi Carunchio del fu Signor Nicola, reverendo sacerdote e proprietario; – Don Salvatore Marra del fu Signor Pasquale, reverendo sacerdote e proprietario; – Don Guglielmo De Ritis del vivente Signor Gennaro, reverendo sacerdote e proprietario; – Tito Codagnone del fu Signor Nicola, civile e proprietario; – Vincenzo Falcucci del fu Signor Luigi, civile e proprietario; – Gaetano Falcucci del vivente Signor Francesco, civile e proprietario; – Domenico Tinaro del fu Signor Gennaro, civile e proprietario; – Luigi Marra del fu Signor Pasquale, civile e proprietario; – Giuseppe Menna del fu Vincenzo, proprietario; – Giuseppe Menna del vivente Fiorinto, proprietario; 68 – Giuseppe Cinalli del fu Anicassio, proprietario; – Pasquale De Francesco del fu Giuseppe, proprietario e falegname; – Alfonso Menna del vivente Gennaro, proprietario; – Luigi D’Onofrio del fu Domenico, proprietario. I costituiti suddetti sono nati, domiciliati e residenti in Atessa e da me notaio personalmente conosciuti, ed hanno concordemente dichiarato di voler costituire, conforme col presente atto pubblico costituiscono, fra loro una Società in nome collettivo sotto la denominazione: “Cassa Rurale Cattolica di depositi e prestiti, San Francesco d’Assisi, in Atessa, Società cooperativa in nome collettivo”. La Società istessa ha per iscopo di migliorare la condizione morale e materiale dei suoi soci, fornendo loro il denaro a ciò necessario, nei modi determinati dallo Statuto, che, quale parte integrante di questo atto, firmato dalle parti e da me notaio, qui si allega sotto la lettera A, da considerarsi come se fosse qui letteralmente trascritto. La Società medesima avrà la durata di 99 anni dalla data della pubblicazione del presente atto costitutivo ed annesso Statuto nel Bollettino Ufficiale delle Società, a senso degli articoli 90, 93, 95 e 220 del vigente Codice di Commercio, con facoltà di prorogarsi. Il Signor Ciro Alfredo De Francesco del fu Signor Tito, avvocato e proprietario, nato, domiciliato e residente in Atessa, viene incaricato dalle costituite parti alle pubblicazioni di legge del presente atto costitutivo ed annesso Statuto, a senso dei citati articoli 90, 93, 95, 220 del vigente Codice di Commercio. Compiute le pratiche per la legale costituzione della Società, il nominato Signor Ciro Alfredo De Francesco convocherà dentro un mese l’Assemblea Generale per deliberare quanto sarà del caso e per addivenire alle nomine delle cariche sociali. Tutti i costituiti, a senso dell’articolo 43 della legge notarile, firmano i fogli intermedi del presente atto e dell’inserito Statuto a margine ed in fine, spiegandosi che il tutto è composto di fogli 5, di cui sono scritte 17 facciate. Convengono e vogliono tutte le costituite parti che le pubblicazioni si facciano nel giornale “Il Popolo” di Sulmona ed altri giornali cattolici, a scelta del Consiglio di Presidenza. Tanto dalle costituite parti si è dichiarato, stabilito ed accettato. Fatto e da me ricevuto il presente atto, che è stato scritto da persona di mia fiducia in Nº 2 fogli ed in Nº 6 pagine, compresa la seguente, ed è stato sottoscritto dai contraenti medesimi (omessi i nomi), dai testimoni e da me notaio. Quindi, prima delle sottoscrizioni, è stata data lettura ad alta voce dell’intero atto ed allegato Statuto da me notaio in presenza dei testimoni alle parti suddette, che da me interpellate hanno dichiarato essere l’atto stesso conforme alla loro volontà. Giuseppe Rucci, Giovanni Pellegrini, testimoni. Francesco Grumelli, notaio residente in Atessa. 69 Don Epimenio Giannico nel ricordo di un suo estimatore. Era un uomo buono, nel più bel senso della parola, dolce nello sguardo, mite nel gesto, consolante nella voce; un uomo che seppe soltanto amare ed amò di un amore operoso, vasto, benefico specialmente i deboli. S’intravedeva per questo nel suo spirito un che di quello del poverello d’Assisi, S. Francesco, e, in realtà, egli godeva nel sentirsi annoverato fra i Terziari del Santo, nel dedicargli con pompa solenne un’artistica statua nella sua Chiesa, e, meglio ancora, nel suo paese un’istituzione fatta in molta parte d’ideali Francescani, la Cassa Rurale. Quanto egli fosse amato è qui ad attestarlo un’intera cittadinanza e massime coloro in pro dei quali prevalentemente spese l’opera sua, i bambini dell’Asilo d’Infanzia, di quell’asilo le cui sorti da tanti anni reggeva Don Epimenio Giannico con tanto amore e competenza, sì da far (1852-1911) assorgere la benefica istituzione a perfetta Fondò la Cassa Rurale e la guidò nella corrispondenza dei bisogni del paese. sua prima fase di sviluppo. Anima profondamente religiosa, egli amava i poveri e non fu solamente caritatevole con essi, ma seppe far fiorire la carità con l’arduo precetto evangelico: “Non sappia la tua sinistra quel che fa la tua destra”. I poveri veri, i derelitti che con pudico orgoglio tentano dissimulare la tristezza delle proprie condizioni, trovarono in lui uno dei migliori, dei più segreti e sinceri protettori. Antonio Cardona Per l’anniversario della morte di Epimenio Giannico, Tipografia G. Carabba, Lanciano 1913, pp. 16-17. Cronache della manifestazione del 28 marzo 1909 per l’inaugurazione della Bandiera. (G.D.F.) Grato nell’animo dei Socii è rimasto e rimarrà il ricordo della bella festa di domenica scorsa (28 a.m.) in occasione della benedizione della Bandiera della Cassa Rurale. Già da parecchi giorni era stato diramato l’invito alle autorità, ai Socii ed 70 alla parte più eletta della cittadinanza, e, con lettere speciali, erano stati pure invitati il Consiglio Municipale, la Congrega di Carità e le due Società Operaie, e tutte queste Associazioni con le rispettive bandiere. Tutti indistintamente aderirono ben volentieri all’invito, ed alle 9,30 a.m. la nostra Cattedrale di S. Leucio era gremita, oltreché d’invitati, d’una infinità di popolo d’ogni classe. Quattro furono le madrine, e con pensiero speciale si scelsero esse fra le più distinte ed anche cospicue famiglie del paese; e cioè: la Signora D. Amalia Codagnone, moglie del Cav. Tito Codagnone, Deputato Provinciale e Capo Sindaco della Cassa Rurale; la Signora D. Rosina Falcucci, moglie del Dott. Attilio Falcucci, Sindaco del nostro Comune; la Signora D. Carlotta ved. Giannico, cognata del Presidente della Cassa; e la Signora D. Maria Iovacchini, moglie del Sig. Guglielmo Iovacchini, Sindaco effettivo della Cassa Rurale. L’illustre Monsignor Pili, Prevosto di Atessa, con la sua parola calda ed affascinante e con frase incisiva ed efficace, prima della benedizione, disse del significato religioso della bandiera, esortando i Socii a non staccarsi mai da essa. All’uscita dalla Chiesa si formò il corteo: precedeva il locale concerto musicale cittadino, seguivano i Socii della Cassa Rurale con avanti la bandiera fiancheggiata dal Capo Sindaco e dal V. Presidente Sig. Gaetano Pulcini; indi il Consiglio Municipale con la Congrega di Carità e le altre autorità del paese; poi la Società Operaia “Mutuo Soccorso” e l’altra Società Operaia “Patria e Lavoro”; chiudeva il corteo una quantità di popolo. Attraversato Piazza Centrale, Corso Vittorio Emanuele e Piazza Garibaldi, il corteo, svoltando in Via “Duca degli Abruzzi”, si è recato nei locali del Giardino Asilo d’Infanzia. Quivi, nella vasta e grandiosa Sala, addobbata per la circostanza, presero posto tutti gl’invitati ed i Socii. Il discorso d’inaugurazione fu fatto dal giovane e colto Professore Rev. D. Ireneo Tinaro. Riassumere anche per sommi capi ciò che egli disse con tanta enfasi, saggezza e con forma veramente smagliante, la mia povera penna di modesto cronista non mel consente. Posso dire che parlò a lungo, posso dire che affascinò l’immenso e scelto uditorio, e posso anche dire che le sue parole furono tratto tratto interrotte ed alla fine coronate da un lungo scroscio di applausi. Non altro... Dopo di lui il nostro carissimo amico Rev. D. Evandro Marcolongo lesse una riuscitissima ode di sua composizione, ed anche lui fu vivamente applaudito. Infine, il Presidente, ringraziato le autorità, rappresentanze ed invitati, dichiarò aperta la seduta per dar principio alla discussione dell’Ordine del Giorno per l’annua Assemblea Generale dei Socii. Istituto fiorentissimo, che nella regione abruzzese ha acquistato già larghe simpatie, diretto dall’egregio sacerdote D. Epimenio Giannico, ha voluto il giorno 28 corrente inaugurare la bandiera con eccellente pubblica manifestazione. Alle ore 9 convennero nella chiesa di S. Leucio tutti gli invitati ed una folla straordinaria di gente chiamata dalla eccezionale festa. La rappresentanza Lo Svegliarino, articolo datato 31 marzo 1909. 71 civica con a capo il distinto sindaco D. Falcucci Attilio, la Congregazione di Carità, la Società Operaia, la “Patria e Lavoro” e gli altri Sodalizi, con rispettive badiere. Spiccava il vessillo bianco della Cassa in attesa del momento solenne. Largo concorso di signore. Benedisse il prevosto prof. Francesco Pili, pronunziando poche parole ma nobili e piene di slancio e di fede. Fecero da madrine alla bandiera le signore Rosina Falcucci, Amalia Codagnone, Carlotta Giannico e Maria Iovacchini. Finita la cerimonia in chiesa, gli invitati convennero nella grande sala dell’Asilo Infantile, dove il prof. Ireneo Tinaro pronunciò il discorso di rito. Riprodurlo è impossibile, e, francamente, il cronista teme di guastarne tutto l’alto significato e tutta la schietta bellezza toccandone i punti principali. Tuttavia non può tacersi che la conferenza assurse tavolta a nobiltà di forma elevatissima e che i concetti – nuovi e originalissimi – detti con tutto uno slancio di fede e di ardire giovanile ebbero manifeste e frequenti attestazioni di plauso. Il giovane sacerdote accennò allo scopo della filantropica istituzione, ne disse la natura, la vitalità, i passi fatti attraverso lo scetticismo e l’incuria, segnò il punto al quale si è giunti attraverso gli ostacoli e le delusioni e le nuove audacie, parlò della fede e del concorso che devon muovere a vigile sostegno dell’Opera pia, accennò ai bisogni del Mezzogiorno, alla necessità di evolvere in affermazioni concrete che traggano ad avvenire radiosi, espresse con sintesi gagliarda il pensiero che la terra ha tesori e le braccia del lavoratore vigorie insperate, e discusse infine il significato della bandiera: concezione di pace e di vittoria, in cui il fulgore dei segni nazionali appariscenti nel nastro che ne ornava l’asta dava l’alto significato di devozione alla patria, che il Clero, scevro da lenocini di coscienza, ha il dovere di guardare dignitosa e forte nel cammino della civiltà. Il sac. Tinaro lodò, infine, l’opera sinora breve e già intensa e proficua del nuovo sindaco, dott. Falcucci Attilio, ebbe parole di viva lode per il cav. Codagnone Tito, il quale, inaugurando la nuova illuminazione elettrica, dà ad Atessa la manifestazione più schietta di un’affermazione morale che traccia la via a più validi destini, e rivolse, infine, una parola ammirata e nobilissima per il direttore D. Epimenio Giannico, per l’Uomo che ha altissimo il culto della carità e che, con personale sacrificio, eleva assai la dignità della Cassa Rurale e rende fiorentissimo l’Asilo d’Infanzia, che è vanto e gloria della Regione. Dopo il discorso del prof. Tinaro, il sac. Evandro Marcolongo, con squisito sentimento che lo rivela dicitore eletto e poeta egregio, disse, in proposito, un’Ode generalmente ammirata, che fu anche distribuita a stampa. Un bravo di cuore ai vari componenti la gloriosa istituzione, della quale i sacerdoti Carlo De Francesco e Guglielmo De Ritis sono entusiasti e validi propugnatori, ed auguri di prosperità feconda, specialmente ora che essa s’avvia più grave di speranze e più altera e gagliarda, dopo che le gentili madrine le hanno dato, col loro nome, come un sincero e alto soffio di gentile affermazione che deve assai lusingare quest’opera generosa, alla quale sorriderà sicuramente un lieto avvenire. La Gazzetta degli Abruzzi, articolo datato 30 marzo 1909. 72 Atessani d’America Per sempre legati da vincoli indissolubili alla terra d’origine. La Società di Mutuo Soccorso degli Atessani di Filadelfia: sue origini e sue attività umanitarie. Nel 1872 pochi erano gli Atessani residenti in Filadelfia. A partire da quell’anno, arrivarono da Atessa scaglioni di emigranti sempre più numerosi. Nel 1876 la città ospitò la Banda Musicale del Mº D’Amelio, che venne trionfalmente ricolmata di onori in occasione dei suoi concerti alla Esposizione Centenaria nel Fairmount Park. Durante il suo soggiorno al Continental Hotel il complesso bandistico atessano fu ossequiato da Don Pedro d’Alcantara, Imperatore del Brasile, e dall’Imperatrice. Parecchi degli Atessani di Filadelfia si dedicarono all’arte edilizia, altri all’industria dell’ago, molti al commercio. I loro affari col passare degli anni cominciarono ad andar bene ed oggi, nelle 300 e più famiglie atessane, si contano professionisti ed operatori economici di valore, quali medici, farmacisti, avvocati, notai pubblici, contabili, ragionieri, maestri e maestre di scuola, commercianti, industriali, che onorano la loro patria di origine e di adozione. Sempre animati da spirito di fratellanza, gli Atessani organizzarono il Club “Vallaspra” e la Società “San Rocco”, diretti inizialmente da Giovanni Ciancaglini e Antonio D’Eramo, uomini di ottimi costumi, e in seguito da Giovanni Simone e Giuseppe D’Alonzo. Nell’anno 1904 Filippo Serafini fu Olindo fondò il “Tailor” Club, assumendone la carica di presidente, ricoperta più tardi dal fratello Teodoro. Furono anche fondate altre due associazioni: la “Italia Abruzzese”, di cui fu presidente Gennaro Cattafesta, e la “Duca degli Abruzzi”, diretta da Pompeo Scalella. Nel 1906, 34 anni dopo aver messo piede nella città di Filadelfia, gli Atessani pensarono di costituire una Società di Mutuo Soccorso, allo scopo di tenere sempre accesa la fiaccola della fede e della fratellanza tra i figli della stessa terra d’origine. Fu nominato presidente, fra il tripudio dei presenti, il signor Tito Ianni; segretario l’ingegnere Luigi Ciancaglini, vice-presidente Giuseppe Cancelmo, censore Gaetano Cicchitti fu Alessandro e tesoriere Luigi D’Angelo. Oggi, dopo 32 anni di vita operosa, la Società è attiva più che mai. Sempre presente per le opere di beneficenza, raccolse per i colpiti dal terremoto calabro-siculo 200 dollari. Fece parte del “Columbus Committee”. Partecipò alle iniziative a favore della Croce Rossa Italiana e ne divenne socia perpetua. Collaborò alla raccolta di offerte per la guerra italo-turca. Durante la grande guerra raccolse 405 dollari per l’assistenza civile in Atessa, 145 dollari per l’acquisto di titoli del Prestito della Salvezza, più di 200 dollari per aiutare la famiglie dei richiamati sotto le armi. Elargì una buona somma per il monumento ai Caduti, eretto nella piazza centrale di Ates73 sa, e per l’abbellimento della Villa Comunale. Contribuì al fondo per la costruzione del Columbus Hospital e ne sostenne il mantenimento. Aiutò con contribuzioni il Pennsylvania Hospital. Erogò contributi per i terremotati della Marsica e di altre contrade d’Abruzzo. Comprò Liberty Bonds. Partecipò al Comitato “Amici d’Italia” di Filadelfia in occasione della guerra italo-abissina e infine, per quella fede che è sempre accesa nei cuori dei suoi membri, concorse all’erezione del monumento al grande scomparso Guglielmo Marconi. Filadelfia, 11 febbraio 1938 Antonio Gentile Souvenir Program, Mutual Relief Society Atessani, february 11th 1938. 1926 - Festa della Società di Mutuo Soccorso degli Atessani di Filadelfia per il 20º anniversario della sua fondazione. Superiore ad ogni aspettativa riuscì la festa della Società di Mutuo Soccorso Atessana che ebbe luogo domenica scorsa nelle sale della Columbus Hall di Philadelphia, in ricorrenza del 20º anniversario della fondazione del fiorente sodalizio. Il sorprendente programma, preparato dal solerte Comitato-Festa, si svolse fra la generale concordia ed allegria. Alle 6 p.m. precise, il presidente Signor Giulio Cesare Carunchio, con un breve discorso, rifacendo la storia dell’Associazione, disse che questa, dopo 20 anni di vita, oggi conta un bel numero di compaesani ed un solido fondo di cassa e si mostra sempre prima in tutte le manifestazioni patriottiche. Un prolungato applauso coronò la fine del bel discorso, indi prese la parola il presidente del Comitato-Festa, Ing. L. Ciancaglini, il quale, ricordando quel pittoresco lembo di terra che diede i natali a molti dei presenti, incitò tutti gli Atessani residenti in Philadelphia e dintorni a riunirsi in un sol fascio e passò poi ad assolvere un gentile incarico presentando, a nome della Società, un anello d’oro, con lo stemma di Atessa, all’esimio presidente Giulio Cesare Carunchio, che ringraziò commosso fino alle lacrime. Su proposta del socio Antonio Gentile, l’assemblea per acclamazione elesse Giulio Cesare Carunchio presidente a vita. Il neo-socio Emidio Pistilli di Aniceto fece un bel discorso in lingua inglese, in risposta al discorso fatto da Antonio Gentile circa la partecipazione della Società alla parata del 12 ottobre. Mentre si svolgeva, tra la generale allegria, il rituale smoker, entrò in sala il Comm. Baldi, direttore dell’ “Opinione” di Philadelphia, che fu accolto da una imponente ovazione. Presentato dal presidente del Comitato-Festa, il Comm. Baldi rivolse belle 74 ed ispirate parole all’assemblea, dicendo che nell’aula spirava un’aria di pace e di concordia e che egli si sentiva come in famiglia. I rinfreschi furono, dal Comitato, serviti a profusione. La Banda “Palermo”, diretta dal bravo maestro R.B. Salerno, gentilmente invitata fece della splendida musica. Il maestro Malizia, della banda omonima, non potendo intervenire, mandò il bravo suo capobanda Umberto Rubeis, che con il chitarrista Antonio Teti suonò della musica scelta per l’occasione, accompagnando il macchiettista Nicola Carnevale, che esilarò i compaesani con macchiette popolari. Nicola Santangini non volle essere da meno e recitò delle belle poesie e così pure il vecchio socio Giuseppe De Francesco, che fece gustare “La lega lombarda”. Una sopresa fece l’ottimo giovane Alfredo Ciccarelli che, invitato a parlare, si rivelò un oratore di prim’ordine e l’assemblea lo applaudì lungamente. Va data lode al solerte Comitato-Festa, un comitato che ha lavorato febbrilmente. Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, 31 ottobre 1926. Locandina di una festa danzante di beneficenza organizzata nel 1938 dalla Società di Mutuo Soccorso degli Atessani di Filadelfia. 75 19 maggio 1957 - Si scioglie, dopo 51 anni di vita “prospera e feconda”, la Società di Mutuo Soccorso degli Atessani di Filadelfia. La Società Atessana di Mutuo Soccorso di Filadelfia, dopo mezzo secolo di vita prospera e feconda, ha cessato la sua attività. I pochi soci superstiti – per la precisione 29 – nell’ultima seduta del 19 maggio 1957 ne hanno deliberato lo scioglimento. Ha cessato così di esistere in America una nobile e gloriosa istituzione cittadina, che è stata per 51 anni la fiaccola di solidarietà umana e sociale fra i nostri emigranti e la fonte di un amore infinito per la Patria e per Atessa [...] In genere tutto ciò che di buono finisce per sempre, riempie l’animo di tristezza. Questo accoramento è forse più grande in me che ho l’onore di essere socio onorario del Sodalizio da ben 20 anni [...] Nel corso dei miei interventi a Filadelfia alle sedute della Società e dei miei contatti con i componenti della collettività atessana, mi resi conto che l’Associazione – onusta di gloria – si andava spegnendo, per cause che saltavano evidenti all’attenzione di un osservatore. Negli anni compresi tra le due guerre mondiali ed anche prima, gli atessani che raggiungevano Filadelfia prendevano dimora in pochi quartieri della Città accentrati in una ristretta zona e quindi restavano a continuo diretto contatto. Col passare degli anni e con lo sviluppo del progresso, essi si inserirono in nuove evolute forme di vita e cercarono in un largo raggio il soddisfacimento delle loro necessità. Così i contatti di vici76 nanza vennero attenuandosi ed i nostri emigranti si sparpagliarono in zone notevolmente ampie. Nel contempo non si sentiva più il beneficio della modesta assistenza mutualistica, in quanto essi, operando in campi più vasti e redditizi dell’industria, del commercio, delle professioni e del lavoro, avevano tutti raggiunto una stabilità economica, consolidata da operazioni assicurative. Così era venuto a mancare il fine sostanziale della istituzione della Società, rivelato dalla sua stessa denominazione. Peraltro le perdite dei componenti in seno al Sodalizio non venivano proporzionatamente recuperate con nuove immissioni, cosicché in questi ultimi anni gli aderenti erano rimasti in pochi e tutti di età piuttosto avanzata. In sintesi l’istituzione si andava lentamente consumando, sotto l’ineluttabile azione del tempo e degli eventi. All’atto dello scioglimento della Società erano rimasti i seguenti 29 soci, non tutti di origine atessana: Carnevale Giuseppe, Carunchio Domenico, Cinquino Giuseppe, Cirucci Giuseppe, Di Bello Vincenzo, D’Onofrio Michelangelo, Flocco Luigi, Gentile Antonio, Iannacchione Oreste, Losinno Giuseppe, Mascio Roberto, Mascio Angelo, Milani Ulderico, Nardone dott. Antonio, Nasuti Camillo, Orsatti Guglielmo, Pascucci Beniamino, Perucci Italo, Rossi Vito, Rucci Giovanni, Rucci Giuseppe, Rucci Nicola, Santangini Nicola, Scalzone Antonio, Sciorilli Tommaso, Smargiassi Luigi, Serafini Teodoro, Vitelli Alfredo, Cicchitti Giuseppe. Il 16 giugno scorso tutti i componenti convennero in un locale tipicamente atessano – “La corona di ferro” – per un banchetto di commiato. Tre anni prima, nello stesso locale e con gli stessi intervenuti ed altri atessani ed abruzzesi, fu organizzato un altro banchetto per festeggiare il mio arrivo a Filadelfia. In un ambiente di sana e gioiosa allegria, allietata da pietanze tipicamente atessane e con discorsi di circo- stanza, rifulsero il patriottismo dei nostri fratelli di America ed il loro amore indefettibile per la nostra Terra. Oggi una gloriosa bandiera è stata ammainata! Ma nel vorticoso dinamismo delle metropoli americane, nell’attività fervorosa di un paese che non conosce soste, due nomi brilleranno sempre di luce vivida nel cuore dei nostri concittadini: Italia ed Atessa. Guido D’Onofrio L’Altoparlante, 16 agosto 1957. 16 agosto 1926 - Festeggiamenti, a Filadelfia, degli Atessani della Congrega di S. Rocco in onore del loro Patrono. Il giorno 16 agosto 1926, data della ricorrenza del Santo Patrono della Congrega di San Rocco, formata dagli Atessani residenti in Philadelphia, è stato festeggiato solennemente. Alle ore 8 a.m., la rinomata Banda “Rossi” ha aperto la festa col giro della colonia italiana. Alle 9,30 è stata celebrata la Messa solenne con panegirico nella Chiesa di Santa Maria Maddalena dei Pazzi, ove il nuovo rettore, rev. padre A. Garritano, che ha già incominciato dal giorno 13 il Triduo in onore del Santo, ha invitato tutti i devoti a recarsi a domandare grazie al taumaturgo nel giorno della sua ricorrenza. Dopo la Messa ha avuto luogo la processione con musica, alla quale han preso parte il rettore della Chiesa con gli assistenti, la statua del Santo, altre immagini, una moltitudine di bambine bianco-vestite che hanno seguito San Rocco con ceri e trofei floreali, il comitato organizzatore e un gran numero di fedeli. Alle ore 6 p.m., la Banda “Rossi”, diretta dal suo valente maestro, ha eseguito uno svariato programma sulla piattaforma che è stata eretta alla 11ª Strada. Il programma, bene organizzato, non mancò di richiamare sul posto un gran numero di Italiani. Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, 24 ottobre 1926. 77 Un inventore atessano a Buenos Aires. Un nostro concittadino che tiene alto il nome della Patria e della città natia oltre oceano è il giovane Nicola Nasuti, che a Buenos Aires ha destato grande ammirazione per una sua invenzione nel campo della ingegneria industriale. Dal giornale Il Mattino d’Italia di Buenos Aires del 17 novembre 1932 siamo lieti di riportare il seguente articolo: “Fra i problemi che si presentano ai grandi stabilimenti che hanno come attività la produzione e l’invasamento dei liquidi, principalissimo è quello della lavatura dei recipienti, soprattutto delle bottiglie. E poiché troppo lungo e dispendioso ed anche imperfetto riuscirebbe nel caso il lavoro degli uomini, supplisce ad esso la macchina, di cui sono in commercio ed in uso vari tipi che, essendo però tutti di fabbricazione straniera, hanno fra gli altri l’inconveniente del prezzo altissimo. Non può quindi essere appresa senza soddisfazione la notizia che da qualche tempo anche questa lacuna nella meccanica industriale locale è stata colmata e che anche l’Argentina possiede una sua macchina per lavare le bottiglie: una macchina perfetta, tanto da rivaleggiare con i tipi migliori e di grandissimo rendimento. Ne è inventore e costruttore un italiano: un giovane italiano anzi, Nicola Nasuti, venuto da qualche anno a Buenos Aires, dove in Via Lavalleja 1159 78 ha impiantato una moderna officina in cui la macchina viene interamente costruita. I vantaggi che essa presenta sono notevolissimi: della lunghezza di poco più di sette metri, può lavare contemporaneamente 6.000 bottiglie del tipo usato per la birra, in modo perfetto, con grandissima rapidità e ad un costo ridottissimo, mediante una successione di cinque getti di soda caustica e di acqua calda, seguiti da altri undici di acqua fredda che servono a levare le ultime impurità. Oltre che questo modello, adatto alle grandi aziende, il Nasuti ne ha costruito un altro di proporzioni molto minori, ugualmente pratico e di semplice funzionamento, tale da servire ottimamente per bar, caffè, rivendite, ecc.”. I concittadini che da lontano seguono con amore l’intelligente operosità, le geniali invenzioni e le virtù congenite della stirpe, si rallegrano col giovane amico Nicola Nasuti del trionfo ottenuto nel campo industriale, augurandogli nuovi e maggiori successi e le più belle fortune. Atessa - Rassegna civica di storia, arte, scienze, demografia, statistica e opere pubbliche, 15 gennaio 1933. L a m o rt e d e l s i n d aco Lu i g i Spaventa (9 gennaio 1907) e le onoranze tributate alla sua memoria Per oltre 25 anni era stato ininterrottamente alla guida dell’Amministrazione Comunale e, per le molte altre cari- che pubbliche da lui a lungo ricoperte, aveva acquistato vasta notorietà anche fuori di di Atessa, nell’intera provincia Chieti. Da un giornale dell’epoca, i particolari dell’improvviso, prematuro decesso e dei funerali, memorabili per solennità e commossa partecipazione di popolo. La mattina del 9 gennaio 1907, alle ore 6, in una stanza dell’albergo “Marano” di Lanciano, città nella quale si trovava occasionalmente per esservi stato chiamato ad adempiere le mansioni di giurato, moriva improvvisamente all’età di soli 53 anni Luigi Spaventa, sindaco di Atessa dal lontano 1881. Nemmeno sei mesi prima, il 14 luglio 1906, egli era stato festeggiato in Atessa per il 25º anno della sua ininterrotta attività di capo dell’amministrazione comunale e in quella circostanza ai numerosi suoi estimatori era apparso di aspetto florido e sano e fornito come sempre della sua grande, proverbiale carica di vitalità. A dicembre, quando già era a Lanciano, fu colpito da broncopolmonite accoppiata a nefrite, ma le cure attente e premurose dei medici locali valsero ben presto a dissipare ogni timore sulle sue possibilità di recupero. Ai primi di gennaio, ai tanti amici che gli fecero visita per presentargli gli auguri per il nuovo anno l’infermo diede segno di essere in netta ripresa e di avviarsi ormai a ritrova- LUIGI SPAVENTA, in una foto di Lelio De Francesco del 1900. re la piena efficienza fisica. Niente allora lasciava presagire l’immi79 nente catastrofe. Pochi giorni dopo, invece, sopraggiunse rapido e inatteso il decesso per paralisi cardiaca. Qualche anno dopo aver conseguito la laurea in legge all’Università di Napoli, Luigi Spaventa, fatto ritorno al paese natio, oltre ad assolvere l’incarico di sindaco era stato a lungo investito di molte altre cariche pubbliche, tra le quali quelle di consigliere provinciale, membro del Comitato Forestale Provinciale, presidente della Commissione Mandamentale delle Imposte Dirette e presidente della Società Operaia di Mutuo Soccorso. L’esercizio di tante funzioni aveva fatto sì ch’egli godesse di vasta notorietà e popolarità anche fuori di Atessa, nell’intera provincia di Chieti, dove era stato largamente apprezzato non solo per la puntualità e la risolutezza con cui teneva fede agli impegni assunti ma anche per la sua onestà, rettitudine e magnanimità. Si può facilmente immaginare, pertanto, il senso di vivo cordoglio con cui Atessa, quella mattina del 9 gennaio, apprese la triste notizia della scomparsa del suo sindaco, annunziata dai mesti rintocchi delle campane di S. Leucio. Cittadini di ogni ceto, commossi e increduli, si portarono nella casa comunale, dove per deliberare in merito alle onoranze funebri da tributare all’estinto si era riunita d’urgenza la Giunta, composta dal prosindaco Fileno De Ritis e da Nicola Orfeo, Isidoro Di Giacomo e Guglielmo Iovacchini. Intanto si affiggevano per tutto il paese manifesti commemorativi e in segno di lutto si socchiudevano le botteghe, i caffè e i circoli pubblici, si issavano a mezz’asta alle abitazioni private e agli uffici pubblici bandiere abbrunate e si coprivano con veli neri i fanali della pubblica illuminazione. Moltissime, sui muri delle case e sulle porte dei negozi, le strisce con la scritta “Lutto cittadino”. La salma, dopo essere stata solennemente onorata a Lanciano con grande concorso di autorità e semplici cittadini, fu traslata in Atessa la sera del 10 gennaio, alle ore 19,30. All’entrata del paese, tra una densa e fitta nebbia che accentuava l’angoscia generale, essa fu accolta da una folla strabocchevole e accompagnata con intensa partecipazione emotiva fino all’interno della cattedrale, dove rimase esposta per tutto il giorno seguente tra veli, drappi, ceri, bandiere, innumerevoli corone di fiori e concittadini che si alternavano alla guardia d’onore. Non mancarono episodi di toccante umanità: durante il tragitto da Lanciano ad Atessa, ad esempio, contadini di Altino, Archi e Perano si raccolsero in gran numero ai bordi della strada per dare, inginocchiati e coi cappelli levati, l’estremo saluto al defunto. La mattina del 12 gennaio le manifestazioni toccarono il loro momento culminante con le funzioni religiose e il corteo che ad esse fece seguito. Nella cattedrale gremitissima, in un’atmosfera di imponente ma raccolta grandiosità, fu celebrata una messa da requiem dai sacerdoti Don Vittorio De Ritis, Don Tommaso De Francesco e Don Vincenzo Marcone, alla presenza di tutto il clero cittadino, capeggiato dal vicario foraneo Don Epimenio Giannico, e col supporto musicale della filarmonica atessana, coadiuvata per l’occasione da cantori venuti da Lanciano. Subito dopo si snodò fino a Piazza Garibaldi un lungo, interminabile corteo, a cui 80 presero parte non meno di quattromila persone. Davanti al carro funebre sfilarono gli alunni di tutte le scuole col corpo insegnante, le congreghe religiose, la banda di Atessa con gli strumenti parati a lutto e i sacerdoti; dietro il carro, tra un’immensa moltitudine di uomini e donne di varia estrazione sociale, i parenti e gli amici, i consiglieri e i dipendenti comunali, le autorità civili e militari, le rappresentanze dei comuni vicini e dei sodalizi cittadini e la banda di Tornareccio. In Piazza Garibaldi furono pronunziati, tutti contrassegnati da forte intensità di sentimenti, i discorsi commemorativi da Guido Falcucci per la famiglia e i parenti, Antonino De Ritis per il Consiglio Comunale, Tito Codagnone per il Consiglio Provinciale, Gabriele Impicciatore per gli amici di Bomba, Giuseppe Amedeo De Francesco per la Società Operaia di Mutuo Soccorso e per gli atessani residenti in America, Beniamino De Francesco per gli insegnanti, Alfredo Bajocco per l’Unione Magistrale del circondario di Vasto, Nicola Daniele per il Comune di Tornareccio e Don Nicola Carpineto per il Comune di Archi. Il corteo proseguì, quindi, fino alla cappella gentilizia della famiglia dell’estinto, dove Nicola D’Amelio a nome del Circolo Operaio rivolse alla bara accorate parole di saluto. Il pomeriggio dello stesso giorno, alle ore 16, si riunì il Consiglio Comunale che, per bocca del prosindaco Fileno De Ritis, diede al grande sindaco scomparso l’ultimo tributo di stima e affetto. N. C. Esposizione riassuntiva di quanto pubblicato, sulla morte di Luigi Spaventa e sugli estremi onori resi al defunto, dalla Gazzetta degli Abruzzi del 17 febbraio 1907, che a quell’evento dedicò amplissimo spazio. I manifesti della Giunta Comunale, della Società Operaia di Mutuo Soccorso e della Società Operaia “Patria e Lavoro”. Giunta Municipale Cittadini! Mentre sorridevaci la speranza, stamane un triste annunzio ha colpito l’animo nostro. Alle ore 6 improvvisamente, per sopravvenuta paralisi cardiaca, spirava il nostro amato Sindaco ed ottimo cittadino avv. cav. uff. LUIGI SPAVENTA. Nell’ora dei dolori le parole non riescono né a dimostrare tutta l’immensa perdita, né a lenire il profondo cordoglio in cui siamo immersi. Raccogliamoci e uniamoci nel pianto, a prova dell’imperitura riconoscenza a chi dedicava una vita intera per il bene del suo Paese. Dal Palazzo Municipale, addì 9 gennaio 1907 La Giunta Municipale: Fileno De Ritis, Nicola Orfeo, Guglielmo Iovacchini, Isidoro Di Giacomo. 81 Società Operaia di Mutuo Soccorso Soci! Il nostro amato Presidente cav. uff. LUIGI avv. SPAVENTA alle ore 6 di stamani per sopraggiunta paralisi cardiaca spirava, lasciando immersi tutti in profondo cordoglio. Noi che lo vedemmo, sempre affettuoso amico degli operai, curare con intelletto ed amore le sorti della Società, in quest’ora triste per la immensa jattura che colpisce una cittadinanza, uniamoci a dimostrare con sincerità di compianto tutto l’affetto che a lui ci legava. Dalla sede sociale, 9 gennaio 1907 Il Vice Presidente: Fileno De Ritis Società Operaia “Patria e Lavoro” Operai! La morte inaspettata dell’egregio nostro Sindaco avv. cav. uff. LUIGI SPAVENTA ne ha immersi tutti nel più profondo dolore. Nel darvi la triste notizia v’invito a versare per lui una lagrima, ad innalzare al Cielo una fervida preghiera. Atessa, 9 gennaio 1907 Il Presidente: Pasquale Farina Il telegramma dell’on. Vincenzo Riccio, deputato del collegio di Atessa, al vicesindaco Fileno De Ritis. De Ritis Prosindaco - Atessa Divido dolore cittadinanza Atessa grandissima perdita. Nessun cittadino amò tanto Atessa come Luigi Spaventa. Morte straziante mia diletta moglie avvenuta iersera impediscemi accompagnare salma Spaventa. Pregato Colalè rappresentarmi. Vincenzo Riccio 82 Un’immagine dei funerali di Luigi Spaventa: il corteo per il Corso (12 gennaio 1907). 83 Il primo servizio di trasporto automobilistico Istituito nel 1911 per il collegamento di Atessa con Lanciano, fu gestito, col sostegno di un sussidio governativo, da una società per azioni nata dalla collaborazione tra i Atessa e Casoli e blico bene”, dei due centri. Comuni di tra cittadini, “amanti del pub- Iniziative del Comune per l’attivazione del servizio Atessa-Lanciano e la costituzione della “Società Casoli-Atessa per trasporti automobilistici” (Delibera Consiglio Comunale 3 maggio 1911). Presenti il sindaco cav. avv. Nicola Orfeo e i consiglieri Cancelmo Gaetano, Carunchio Alfredo, Ciccarelli Luigi, Cicchitti Angelantonio, De Francesco Gennaro, De Ritis Antonino, D’Onofrio Alberto, Iovacchini Alfonso, Iovacchini Guglielmo, Marcolongo Ferdinando, Marcone Camillo, Marcone dott. Nicola, Mastrocecco Domenico, Rancitelli Giuseppe, Rucci Giuseppe. Proposta del Sindaco Nicola Orfeo Per la nostra città, che compendia le necessità di una industre e popolosa regione, era più che sentito il bisogno di un mezzo di locomozione più comodo e celere, in vista della considerevole distanza che la separa dalla ferrovia e dalla città di Lanciano, verso cui ogni traffico per mercati, fiere, rifornimenti ed affari giudiziari viene orientato. Con lodevole iniziativa, quindi, l’Amministrazione di questo Comune ha intavolato e condotto a termine le pratiche per ottenere dal Governo la concessione del massimo sussidio consentito dalla legge per l’impianto di un servizio automobilistico Atessa-Lanciano, la cui utilità, generalmente riconosciuta, viene integrata dall’esistenza di altre due linee: Casoli-Torino di Sangro e LancianoSan Vito, che con esso si completano a vicenda. Le giuste aspirazioni manifestate da questo capoluogo, anche nell’interesse dei molteplici altri Comuni della montagna, che pur ritrarranno immenso vantaggio dall’istituendo servizio, non potranno non incontrare il favore del Governo, il quale, in vista della dimostrata utilità e necessità di esso, ha accordato un sussidio di L. 453 a chilometro. E di ciò va data meritata lode al nostro rappresentante politico, On. Riccio, pel vivo interessamento addimostrato per soddisfare al giusto desiderio ed ai bisogni di questa nostra regione. Dopo ottenuto il sussidio governativo, questa Amministrazione, col concorso 84 anche di altri egregi concittadini amanti del pubblico bene, si è data premura per assicurare il proficuo esercizio della linea, raccogliendo una somma totale per azioni di L. 50.000 e promuovendo la costituzione di un’unica Società tra questa città e la consorella Casoli. Fu così che, nell’assemblea generale tenuta domenica scorsa in Casoli, il capitale sociale di L. 50.000 precedentemente costituito dalla locale Società è stato portato a L. 100.000, cambiandosi il nome di “Società Casolana” in quello di “Società Casoli-Atessa per trasporti automobilistici” e provvedendosi, in pari tempo, all’approvazione dell’atto costitutivo e relativo Statuto. Non rimane ora che proporre al Consiglio la cessione, in favore della nuova Società, del sussidio governativo assegnato pel servizio automobilistico AtessaLanciano e viceversa, ed è per ciò che invito l’adunanza a deliberare. Il Consiglio Plaudendo all’opera della Giunta e degli altri privati cittadini che si sono adoperati per rendere un segnalato servizio a questa città, non meno che agli altri Comuni che vi fanno capo; ed aderendo di buon grado alla proposta del Sindaco [...] Delibera Di approvare, come approva, la cessione del sussidio, nella misura di L. 453 a chilometro, assegnato dal Governo per la linea automobilistica Atessa-Lanciano e viceversa, in favore della “Società Casoli-Atessa per trasporti automobilistici”, facendo voti per la sollecita attivazione dell’importante servizio. Autobus utilizzato per il collegamento di Atessa con Lanciano. 85 La foto-ricordo dell’inaugurazione del servizio automobilistico Atessa-Lanciano (21 maggio 1911), contornata da versi di una poesia composta per l’occasione da Domenico Rossetti di Casoli e letta dall’autore durante i festeggiamenti in Casa Codagnone. 86 Scritti polemici 1876 – Pesanti accuse, in un manifesto scritto a mano, contro il sindaco Vincenzo Spaventa per aver egli impedito agli elettori dell’on. Silvio Spaventa di festeggiarne la venuta in Atessa con banda musicale e sparo di mortaretti. Niuno più pericoloso, più crudele dell’uomo senza lumi e senza educazione, rivestito di recente autorità, massime se ha animo vile. Thiers Queste parole, con le quali il sommo Storico francese stigmatizzava quella feccia della società che, venuta a galla nei ribollimenti della Francese Rivoluzione, la macchiava d’ogni maniera di eccessi e misfatti, esprimono una incontestabile verità che si riproduce per sempre, quando la passione di parte, anziché il bene del paese, pone alla testa della amministrazione uomini destituiti d’ogni coltura e senza educazione letteraria e morale. Il Sindaco di Atessa ha, col suo operato, messo un nuovo suggello di conferma all’apoftegma dello Storico della grande Rivoluzione. Uomo senza coltura non solo, ma vero ignorante, ha mancato: 1) Ai doveri di pubblico magistrato; 2) Ai doveri di gentiluomo. 3) Ha mentito! 1) Nella sua qualità di Sindaco si è servito dei poteri della sua carica per recare oltraggio al Deputato Spaventa, proibendo la manifestazione di simpatia che i suoi elettori atessani volevano effettuare. Quindi proibito il suono della Banda Musicale, proibiti gli spari ed altre pubbliche manifestazioni di gioia, ed affissione ufficiale – con assistenza e guardia di Carabinieri – di cartelli nei quali tra i viva al Re e al Ministero si alternava, in senso di dileggio, abbasso la consorteria. E tutto ciò per astio personale contro il Deputato del proprio collegio, del quale egli combatte la probabile rielezione. Con ciò egli ha violato la libertà dei cittadini atessani, abusando dei poteri che la legge gli conferiva. Ha riferito di probabili disordini, mentre egli solo li provocava con 87 la sua condotta; tanto da far riaffiggere e guardare dai Carabinieri i cartelli istessi, sfidando la pubblica opinione; e se disordini non vi sono stati è da darne il merito alla temperanza e al senno della cittadinanza, e non alla intemperanza del Sindaco. 2) Egli ha mancato, non dirò ai doveri di gentiluomo, ma a quelli del più elementare galateo. Un uomo qualsiasi (si voglia o non si voglia illustre) che, come vostro rappresentante, viene a visitarvi, merita sempre qualcosa che non si nega neppure a qualsiasi uomo che venga in vostra casa a visitarvi. Qui finisce la quistione politica e comincia quella del gentiluomo; qui non è più quistione di principii, ma di semplice galateo. 3) Egli è un mentitore. Ha mentito al Prefetto della Provincia telegrafandogli probabili disordini per coonestare le violenze adoperate. Ha mentito ai cittadini di Atessa concedendo prima il permesso e poi negandolo. Ha mentito a se stesso in fine non osando affermare essere opera sua la stampa ed affissione dei cartelli provocatori. E pure questi uomini, borbonici sfegatati fino a ieri e cavalieri dell’antico regime,osano oggi tanto, camuffati da liberali, e sfidano la pubblica coscienza col nome di “Progressisti”!!! Vincenzo SPAVENTA, il Sindaco “progressista” oggetto delle aspre critiche degli avversari politici della “destra”. Riproduzione fotografica, eseguita nel 1894 da Lelio De Francesco, di un dipinto ad olio della metà dell’Ottocento di autore ignoto. Chiarimenti a difesa dell’operato del sindaco Vincenzo Spaventa in occasione della visita dell’on. Silvio Spaventa ad Atessa. Il Fanfulla di ieri sera recava una disposizione del Sindaco di Atessa, il quale vietava, per ragioni d’ordine pubblico, alla banda musicale del paese di suonare per far degna accoglienza all’on. Silvio Spaventa, che doveva arrivare colà. 88 Affinché dalla semplice lettura di quell’ordine non si giudichi troppo leggermente l’operato dell’autorità, crediamo utili e necessari alcuni schiarimenti. Fin dal mattino sapevasi in Atessa che parecchi fra i più caldi amici dell’on. Spaventa si erano proposti di festeggiare l’arrivo con musica, sparo di mortaretti, acclamazioni, e via dicendo. Dinanzi a questi apparecchi gli avversari politici dell’on. Spaventa fecero affiggere sulle cantonate numerosi cartelli a stampa, dicenti: Viva il Re! Viva il Ministero! Abbasso la consorteria! Questi cartelli venivano però qua e là lacerati, senz’uopo di dire per opera di chi. Naturalmente ne derivava un’agitazione che poteva aver conseguenze imprevedibili. Il Sindaco, giustamente impensierito, ricorreva per istruzioni alla prefettura, donde gli si telegrafava che provvedesse energicamente ad impedire disordini, lasciandogli però ampia facoltà, se credeva, di concedere la banda. Il Sindaco però, nella difficile situazione del paese, credette prudente vietar anche questa. L’on. Spaventa, del resto, giunse; la popolazione serbossi calma e silenziosa. Questa attitudine della gran maggioranza dei cittadini ne impose talmente che i fautori delle feste per l’on. Spaventa desistettero e l’ordine pubblico non venne turbato, né si ebbero lagnanze o reclami di sorta. Questa è la pura e semplice verità che nessun artifizio varrebbe ad alterare. Il Bersagliere, 22 settembre 1876. Puntualizzazioni del consigliere di Corte d’Appello Gennaro Codagnone dopo la pubblicazione, da parte di alcuni giornali, di notizie lesive della sua dignità a proposito del viaggio dell’on. Silvio Spaventa in Atessa. Onorevole Sig. Direttore del Diritto. Oggi appena, ho saputo che alcuni giornali di destra, parlando del viaggio testé fatto dall’ex ministro Spaventa nel suo collegio di Atessa, si sono occupati anche di me per dire “che mi trovavo in quei giorni in Montazzoli, mia patria, una delle sezioni del collegio, e che ho creduto bene di andarmene per non assistere al trionfo del mio rivale e già mio protettore”. Ora tutto ciò è falso da cima a fondo. Io non sono mai stato in Montazzoli, che non è mia patria. Quando l’ex ministro Spaventa faceva il suo viaggio trionfale nel collegio di Atessa, io mi trovavo a Perugia per ragioni d’uffizio, né mi sono mai mosso da Perugia sino al 23 scorso Settembre, quando partii per recarmi ad occupare il nuovo ufficio conferitomi di Consigliere alla Corte d’Appello di Napoli. E non è punto vero che l’on. Spaventa sia stato il mio protettore. Nella mia carriera di 30 anni io non ho avuto altra protezione che quella delle mie fatiche. La ringrazio del favore che ella mi farà pubblicando questa mia e mi dico Roma, 4 Ottobre 1876 Suo devotissimo servo Gennaro Codagnone Consigliere di Corte d’Appello 89 1902 – Esortazione ai giovani perché si mobilitino contro il prosperare del “male amministrativo” e per il “retto governo della cosa pubblica”. [...] In Atessa non vi ha chi non vegga come il disordine amministrativo abbia raggiunto il più alto grado possibile. Impotenza di un’opposizione disorganizzata e sfiduciata, inettezza degli uomini chiamati dal suffragio delle urne a curare i pubblici interessi, partigianeria e prepotenza elevate a sistema di governo, acquiescenza più o meno manifesta da parte delle autorità superiori, furono coefficienti più che valevoli perché il male amministrativo si manifestasse e prosperasse. Ed è così che noi, di un patrimonio di 1500 ettari di terre demaniali, conserviamo appena un rimasuglio di 300 ettari, lasciando che comunità e privati godano tranquillamente i beni usurpati al Comune, senza che gli onesti propositi di reintegra e di successiva quotizzazione ai non abbienti possano attuarsi. Ed è così che Atessa, il paese forse più ricco della provincia, paga tutti i balzelli che mente di finanziere usuraio abbia potuto immaginare. Ed è così che il bilancio è ricco di stipendi elettorali, mentre i pubblici servizi sono trascurati. Le strade secondarie costituiscono un continuo attentato alla sicurezza personale del povero contribuente, il quale paga al Comune, per vedersi così trattato, il 22,50% di soprattassa sulle imposte. La istruzione obbligatoria, cui l’occhio vigile dei preposti al governo della cosa pubblica dovrebbe amorosamente mirare con ogni possibile cura, è negletta e trascurata in malo modo: locali indecenti, assegnamento in bilancio 90 insufficiente e, quel che più importa, pettegolezzi e prepotenze partigiane trascinate fin nelle aule, dove si dovrebbe solo insegnare ed educare. Ed è così che tutto ciò che rivela sentimento di arte in Atessa non può sorgere o, se forza volenterosa di iniziativa personale porta alla luce, è destinato a perire. Vedete? Tre volte o quattro da noi si è costruito in legno un teatro decente, dove una qualche compagnia più o meno raccogliticcia faceva passare alla men peggio le lunghe sere d’inverno, e tutte le tre o quattro volte, dopo un tempo più o meno breve, il teatro è stato raso al suolo. E quando un comitato geniale pose in giro un foglio per raccogliere le oblazioni volontarie degli atessani per costruire un teatro degno di un paese di 12.000 abitanti, allorché si vide che le famiglie, entusiaste, largamente offrivano l’obolo loro per un generoso sentimento d’arte, nel più bello sparve il foglio rivelatore e tutto finì lì. Se dunque le cose sono così, come son venuto esponendo, e non c’è anima nata che varrà a smentirmi, sembra a voi, amici concittadini, che debbano più oltre durar le lamentele della cronaca quotidiana, o non sia piuttosto venuta l’ora di buttar giù, con un colpo di pialla, tutto questo immondo edificio, costruito da un ventennio di governo? [...] questo dovere hanno soprattutto i giovani [...] Ad essi il lavoro di incitamento e di sprone; ad essi il compito di disciplinare e dirigere la massa che già si agita e freme e non aspetta che i condottieri per lanciarsi alla riscossa; ad essi l’incarico di propalare presso gl’increduli il nuovo verbo di giustizia amministrativa e di retto governo della cosa pubblica; ad essi i primi onori della lotta e della vittoria e la nobile missione della pacificazione [...] Atessa, 20 febbraio 1902 Drifer Lo Svegliarino, 23 febbraio 1902. Dettagliate accuse mosse, nei primi anni del Novecento, da un direttore didattico all’Amministrazione Comunale per le gravi anomalie e disfunzioni da lui riscontrate nell’andamento della scuola elementare. L’obbligo della scuola elementare inferiore non viene adempito. Gl’insegnamenti speciali (ginnastica, disegno, lavoro manuale, agraria, igiene, economia domestica) in diverse scuole nostre non s’insegnano affatto, o s’insegnano poco e male. Le scuole si riaprono senza nessuno preavviso al pubblico. Si adotta un orario quotidiano contrario ad ogni buona regola igienica e didattica. Le Commissioni per gli esami si formano senza rispetto alcuno alla legge. I locali scolastici sono pessimi senza cessi e senz’acqua, gli arredi meschinissimi e i sussidi didattici obbligatori manchevoli. Non viene provveduto al riscaldamento delle aule scolastiche sparse in vari punti del paese, ed una, incredibile, entro, e non attiguo al locale della ruota ove si espongono i trovatelli. Nel corpo insegnante ci stanno i maestri protetti e i bersagliati; ai primi si condonano le mancanze, ai secondi non se ne passa veruna, anzi la si aggrava. Le disposizioni in materia didattica bene spesso dal Sindaco o dal Segretario vengono emesse, e non dal Direttore Scolastico chiamato al riordinamento e al miglioramento delle scuole. Il Nuovo Sangro, 7 maggio 1905. 1911 – Appello ai cittadini perché condannino l’inerzia degli amministratori comunali, incapaci di fronteggiare efficacemente l’epidemia colerica. Cittadini! [...] In questo momento in cui le nostre contrade vengono visitate dal morbo crudele [...] la nostra Amministrazione s’è addimostrata impari al compito che ha assunto nel giorno in cui, chiamata dalla fiducia nostra, veniva ad installarsi nel civico Consiglio. Ed invero non avete visto voi come nel tempo del bisogno e del pericolo i nostri amministratori si son ritratti in disparte, paghi soltanto di aver fatto venire l’onorevole a promettere mari e monti per gettarvi la polvere negli occhi? Essi nell’ora triste dovevano aprire delle cucine economiche per la pove91 ra gente malata, dar consigli a quelli soltanto dopo la venuta del medico che ignoravano le norme igieniche e le provinciale il Sindaco s’è deciso finalmisure profilattiche, recarsi magari nelle mente ad emanare delle ordinanze tencampagne per provvedere alla disinfedenti a provvedere a un po’ d’igiene rafzione dei casolari, permettere che altri forzata alla meglio. Però dobbiamo far cittadini volenterosi istruissero e tranconoscere a chi non intende di sapere quillizzassero il popolo con pubbliche che dette ordinanze, oltreché emanate conferenze. con ritardo, quando già il morbo aveva Niente di tutto questo han fatto e cominciato la sua strage, vengono male siamo sicuri che non faranno nulla di eseguite. Se ne vuole una prova? buono, perché le loro energie non posUna squadra di bravi giovanotti sono sperperarle per una pubblica calaaddetti alla pubblica igiene, avuto ordimità, sibbene devono immagazzinarle ne di ispezionare le vie della Città per per poi farne uso quando sarà il tempo rendersi certi se le galline fossero state delle elezioni ed avranno bisogno dei ritirate e non andassero liberamente nostri voti per seguitare a tenere la vaganti, elevarono parecchie contravsomma del comando e mandare a rotoli venzioni per inosservanza dell’ordine questo disgraziadel medico proto paese. vinciale; ma, Anarchia nell’Amministrazione A voi, containcredibile a Comunale. Comitato di salute dini, che più di dirsi!, con loro pubblica acefalo. Presidente tutti siete presi somma meraviche fugge per timore del colera. di mira dal glia, quando Assessore che rassegna le dimismorbo asiatico, andarono in sioni nell’ora triste che volge spetta dare il Municipio per per la nostra Città. responso in una l’ a p p l i c a z i o n e futura lotta eletdell’ammenda ai torale; vorrete in contravventori, avvenire riconfermare al potere quelli seppero che non si poteva procedere che, dopo aver ridotto il bilancio comuperché il Sindaco (in tutt’altre faccende nale al fallimento, dopo aver chiuse affaccendato, nel pubblico caffè in piazparecchie scuole, oggi, per colmo di za centrale!) aveva dimenticato il meglio sventura, trascurano anche di salvare la dell’opera: non aveva fatto affiggere vostra vita? avviso al pubblico dell’ordinanza porI concittadini atessani possono farsi tante il divieto di far girare i polli. un’idea chiara dell’ignoranza crassa dei Ed anarchia completa esiste nell’Amnostri amministratori seguendoci nelle ministrazione [...] constatazioni di fatti rilevati dal S’è costituito, è vero, un comitato di momento in cui si ebbero i primi casi salute pubblica e al momento della di colera nell’agro di Atessa. costituzione aveva anche un capo nella È ormai a tutti noto che nessun persona del sig. Luigi Iovacchini, presiprovvedimento igienico e sanitario era dente della Congrega di Carità per stato preso prima del 18 Agosto e che giunta e membro di varie altre commis92 sioni e sotto-commissioni, compare del Sindaco [...] Ebbene il sig. Iovacchini, eletto presidente del comitato di salute pubblica, accolse con soddisfazione l’onorifico incarico, ma quando si trattava di esporsi al cimento, di cominciare a dirigere l’azione di una schiera di baldi e volenterosi giovani che spiegano tutte le loro energie per la salvezza di un’intera cittadinanza, ha preferito coraggiosamente di fuggire per tema del colera, recandosi colla famiglia in una stazione balneare per dimenticare nelle feste e nei tripudii che qui si muore fulmineamente. E dire, ripetiamo, che è anche presidente di un’Opera Pia. Bella carità pelosa, in verità! E che ne pensano i nostri cari concittadini dell’assessore per la Pubblica Istruzione, il negoziante Giuseppe Amedeo De Francesco? Egli s’è dimostrato zelante dei proprii affari, non di quelli del pubblico, quando per fare aver luogo feste e fiere trovò modo di organizzare una dimostrazione, per quanto puerile altrettanto ridicola, collo scopo di strappare al Prefetto la revoca del divieto: telegrafò all’immancabile Vincenzo Riccio, il quale, poveretto, questa volta non poté contentare i voti del suo fido elettore, gridò ai quattro venti che qui si godeva perfetta salute, che nei paesi circonvicini non esisteva colera, e così ebbe la soddisfazione di vedere che la fiera si facesse un po’ lontano dall’abitato. E questa fiera abusivamente fatta noi fermamente crediamo sia stata una delle cause dello scoppio del terribile morbo! Oggi, invece, nell’ora del dolore, nell’ora grigia che volge nel nostro paese per questa pubblica calamità, quando tutti dovremmo fare a gara per soccorrere, coll’opera e col consiglio, la povera gente che muore, il solerte assessore, come è suo costume, nei momenti difficili abbandona il campo di azione e si dimette, per dare forse esempio ai suoi colleghi che, con uno sforzo estremo, cercano ancora di mantenere la fila della pericolante baracca comunale. Cittadini! A voi sta dedurre le conseguenze di questo triste stato di cose e fare le legittime riflessioni sull’opera della vostra Amministrazione, non più nostra, giacché fin da questo momento la ripudiamo, perché indegna di rappresentare le nostre giuste idee, le nostre pure e sante aspirazioni di uomini civili. La finanza comunale e l’igiene pubblica in Atessa. Oramai son trenta anni che dura lo sfacelo finanziario nell’amministrazione comunale del nostro paese, senza interruzione alcuna; né l’autorità tutoria, né i Sindaci che si sono succeduti in questo periodo di tempo vi han posto alcun riparo [...] Facciamo rapidamente un po’ di storia a conferma delle nostre asserzioni. Nel Maggio del 1880 morì il sindaco cav. Vincenzo Spaventa, ottimo amministratore, integerrimo funzionario pubblico, il quale lasciò il nostro Comune in buone condizioni finanziarie. Successe a lui nel sindacato per breve tempo l’avv. Tommaso Rucci; ma nessun’orma lasciò costui di sé, perché combattuto ferocemente dagli oligarchi, indispettiti nel vedere agitata la quistione demaniale. Venne in quell’epoca il perito Venanzio Lalli a 93 rilevare le terre usurpate al Comune per la reintegra amministrativa. Dimessosi nel corso dell’anno 1881 il Rucci dalla carica di Sindaco, venne in seguito nominato il giovane cav. Luigi Spaventa, avido di potere e di ambizioni. Apparente difensore dei diritti dell’operaio, si comportava da generoso democratico per vedersi rispettato ed applaudito dalla folla. Ben presto il Comune cominciò a contrarre debiti piccoli e grossi, la cui concessione veniva festeggiata a suon di banda, ma il denaro si sperperava qua e là e nessun’opera pubblica igienica e di risanamento si poté compiere durante la sua amministrazione. Molte somme furono spese in economia ed empiricamente per le riparazioni della tubolatura della fontana e pei guasti della strada lungo il percorso della condottura. Ma senza efficacia alcuna perché strada e fontana erano e sono in uno stato deplorevolissimo. Si è parlato in Consiglio più volte di costruire un serbatoio di acqua, e non si è fatto; si è insistito molto e ripetutamente per la costruzione di un pubblico lavatoio ed abbeveratoio, e l’opera non si è fatta ancora, quantunque per essa da più di un anno ci è stata concessa a mite interesse la somma di L. 14.000 dalla Cassa Depositi e Prestiti. Altrettanto dicasi per l’erezione di un edificio scolastico igienico e decente, per la fognatura mancante in molti rioni della Città: di fatto parecchie famiglie di operai abitano case senza latrine e sono costrette a buttare i loro rifiuti sulla pubblica via. Anche la salita del Castello, dove sono molti palazzi di famiglie civili, è priva di fognatura. Nessun provvedimento per la nettezza e 94 decenza del mattatoio, come pel mantenimento delle stalle con le norme delle vigenti leggi sanitarie. Tale lo stato igienico del paese durante il potere d’un quarto di secolo dello Spaventa. Morto costui a Lanciano nel 9 Gennaio 1907, funzionò da Sindaco per oltre sei mesi l’assessore anziano Fileno De Ritis e provvedimenti di carattere igienico non si ebbero durante questo tempo. Nominato Sindaco il dott. Attilio Falcucci nel 1º Agosto 1907, l’igiene fece dei progressi. In primo luogo egli fece constatare coscienziosamente nel bilancio preventivo del 1908 un disavanzo di circa 70 mila lire, e molte magagne ed irregolarità amministrative furono prese in chiaro. Trovò, in tanto dissesto finanziario, i mezzi pecuniari occorrenti per riparare ad una grossa frana verificatasi nella strada consorziale di Tornareccio, che si sarebbe dovuto da gran tempo riconsegnare alla provincia, e diede una certa stabilità al corso delle acque della fontana. Fece ripulire ed accomodare il mattatoio, facendo pratica per la nettezza d’introdurvi un fontanino. Accomodò e pavimentò il largo vicino alla fontana, dov’era la vecchia taverna, e lo fece circondare di alberi, bonifacendo e sistemando un punto al paese molto lurido con lo scopo di crearvi una igienica piazza per la vendita delle frutta e della verdura. Abbellì con doppia fila di alberetti il Largo o Piazza Garibaldi; e questa igienica piantagione è abbandonata alla distruzione, oggi che domina il Re Travicello. Sia come membro della commissione teatrale sia come Sindaco si adoperò efficacemente per ultimare e decorare il teatro del Comune, non ancora inaugurato. Si dirà che quest’opera non riguarda propriamente l’igiene; noi diremo di sì, perché si riferisce alla nobile igiene dello spirito, che ricrea l’intelletto. Pensò alla costruzione del lavatoio ed abbeveratoio ed all’uopo fece eseguire il progetto dell’ing. Di Iorio, preventivandone la somma occorrente nel prestito da contrarsi alla Cassa Depositi e Prestiti. Fece anche eseguire dal Genio Civile il progetto di consolidamento della strada consorziale con Tornareccio in vista della sistemazione dell’acquedotto secondo l’ing. De Cecco. Pensò che ormai si dovesse attuare una vecchia idea di sventrare un punto centralissimo della Città, oggi luridissimo, davanti anche ad una certa sistemazione igienica con l’abbattimento di parecchie case e formazione di una igienica piazza a S. Leucio, ed all’uopo istituì le prestazioni d’opera e diede incarico all’ing. Sargiacomo di Lanciano per il relativo progetto. Avviò le pratiche per l’arginatura del fiume Sangro ed insistette presso le superiori autorità per rimuovere le cause micidiali all’allagamento del torrente Appello. Dimessosi nel 31 Maggio 1909 il Falcucci dalla carica di Sindaco per dissapori sorti in seno del partito di maggioranza, i cui capi vedevano di mal’occhio la sua operosità rinnovatrice, subentrò a lui nella carica l’avv. Orfeo, uomo di nessuna iniziativa e capacità, esecutore incosciente degl’interessi non della cittadinanza, ma dei privati. In questi due anni che l’Orfeo è a capo dell’Amministrazione, soltanto di nome, le cose peggiorano a vista d’occhio irreparabilmente. La condottura della fontana e la strada consorziale dove poggia, specie nei pressi del paese, sono in uno stato deplorevole. Di nessuna efficacia le riparazioni che vi si fanno, l’abisso si avvicina e minaccia d’inghiottire il paese. Il locale delle scuole da un lato si rabberica, dall’altro si sfascia, senza autorizzazione del Consiglio e delle autorità competenti. La nettezza pubblica e l’igiene sono completamente trascurate. La finanza comunale è nello stato di sfacelo. Non si pensa alle fognature, né si provvede ai cessi nelle case operaie, come è obbligo ai Sindaci delle nuove leggi comunali e provinciali. L’opera del lavatoio e dell’ abbeveratoio, benché i fondi sono pronti, non si è cominciata. Scoppiata nelle nostre campagne l’epidemia colerica nella notte del 18 del volgente Agosto, il nostro Sindaco si è trovato come un pulcino avvolto dalla stoppa; si è nascosto alla venuta del medico circondariale, è rimasto come babbeo di fronte ai provvedimenti sanitari invocati due giorni dopo dal medico provinciale, che ha trovato il paese sporco e puzzolente, privo di lazzaretto, di disinfettanti e di quanto occorre in questa terribile epidemia. Si è burlato dell’autorità, fingendo di aver fatto un lazzaretto igienico nel convento di Vallaspra, mentre non è vero, e si è dovuto poi costruire una baracca micidiale improvvisamente vicino al camposanto, dove la gente muore senza soccorso. Corbellando l’autorità e ponendo con leggerezza massima in non cale le prescrizioni igieniche e i provvedimenti sanitari, ha gettato il paese nella costernazione, e le dolorose conseguenze non si potranno definire per ora. Non è stato al caso per venti giorni, benché abbia nella Giunta uomini denarosi, di 95 raggranellare un centinaio di lire per ritirare nella stazione di Torino di Sangro un barile di cloruro di calce. Mancano all’occorrenza assistenti, infermieri, necrofori, disinfettanti, aiuti, soccorsi. Nessun slancio di carità, nessuno aiuto ai poveri. I medici tutti del paese, che spendono con energia la loro operosità compiendo opera altamente umanitaria, mancando di mezzi protestano contro l’Amministrazione incosciente; ma il Re Travicello se la ride. Una squadra di simpatici, intelligenti e coraggiosi giovanotti si son posti al servizio dei poveri colerosi; ma si trovano scoraggiati dalla penuria dei mezzi che dispongono. Ecco un breve quadro delle condizioni economiche e sanitarie del nostro paese, adagiato irreparabilmente nella desolazione, nella solitudine [...] L’Unione Democratica Liberale L’accusa, Numero unico, 5 settembre 1911. Le condizioni di arretratezza di Atessa lamentate da Alfonso Iovacchini in un suo scritto del 1913. In generale il paese non è curato e l’igiene lascia a desiderare; mancano fognature ed acqua nelle case ed altre comodità. Le strade non sono mantenute pulite, sebbene il Comune paghi quattro spazzini pubblici, perché nel paese si allevano e mantengono molti animali, come capre, galline, muli, cavalli, asini, cani e maiali, che passano per le strade anche dopo avvenuta la pulitura e le sporcano di nuovo. Vi sono le stalle e non sono curate. Si svuotano del letame anche in pieno giorno e con esso, in sacchi o sui carretti, si attraversa il paese per portarlo nelle campagne. Mancano anche abbeveratoi e lavatoi. I fabbricati, che dovrebbero essere disposti con ordine, che dovrebbero alzarsi con le regole dei piani, con buone porte, e finestre e balconi simmetrici, vengono costruiti a casaccio; e quel che più morde, d’una medesima casa a due padroni, una parte è tenuta in un modo e l’altra di diverso ordine. Questo non si nota tanto nelle strade principali, dove prevale il buon senso dei benestanti, ma in tutte le altre. Il paese manca perfino del locale scolastico, che quasi tutti i paesi della provincia hanno; a ciò vi supplisce il convento delle monache: una barbarie di architettura, di porte, di finestre, di luce. Le buone istituzioni, i miglioramenti, il progresso, la civiltà penetrano a stento in Atessa. Spesso avviene per iniziativa privata, ma il grosso e ricco Comune non si muove per queste cose che non riguardano il cieco individualismo e tornaconto. A. e D. Iovacchini, per una storia di Atessa, op. cit., p. 178. 96 Il Teatro e i cinematografi Edificato nel primo Novecento (l’ultimazione dei lavori risale al 1911) all’interno dell’ex Convento dei Domenicani, in spazi già utilizzati per rappresentazioni sceniche sin dalla metà dell’Ottocento, il Teatro Comunale, “vanto dell ’ architettura locale ”, diede lustro e prestigio alla città, favorendone la crescita civile e culturale. L’“Edison” di Luigi Colonna: il primo locale destinato in Atessa a proiezioni cinematografiche. Il Teatro Comunale dalle origini al restauro. L’idea di dotare Atessa di un teatro trovò la sua prima, provvisoria attuazione nel 1837, quando un gruppo di attori dilettanti avanzò agli amministratori comunali la richiesta, subito accolta, di poter utilizzare per rappresentazioni sceniche i locali del refettorio dell’ex convento dei Domenicani, soppresso nel 1809, acquisito dal Comune per decreto reale del 1814 ed oggi sede municipale. Venti anni più tardi, nel 1857, già si avvertiva il bisogno di un ampliamento dei locali adibiti a teatro e la Municipalità deliberava la concessione di altri ambienti. Lo sviluppo dell’attività teatrale in Atessa fu, però, tale da richiedere ben presto la necessità di una sede adeguata alle esigenze dello spettacolo e degli spettatori, come dimostra l’approvazione, nel 1863, di un progetto per la costruzione di un teatro vero e proprio, sempre all’interno dell’ex convento. I lavori, a cui si diede subito inizio, furono dopo breve tempo interrotti per sopraggiunte difficoltà economiche. Seguì un lungo periodo nel corso del quale il proposito della realizzazione dell’opera sembrava definitivamente accantonato. Fu solo nel 1891 che il problema tornò di attualità, quando venne proposto che il teatro fosse ultimato con il concorso di offerte in denaro da parte della cittadinanza. L’iniziativa della contribuzione popolare volontaria produsse, sia pure con lentezza, gli effetti sperati: le somme raccolte, integrate da interventi finanziari del Comune, consentirono la prosecuzione dei lavori, che furono finalmente portati a termine nel 1911. In quello stesso anno, a conclusione di tante traversie, il teatro comunale di Atessa, vanto dell’architettura locale, veniva ufficialmente aperto al pubblico. Dopo circa tre decenni di onorata attività, il teatro, anche per effetto dei danni provocati da un bombardamento durante l’ultima guerra, si ridusse a poco a poco in una condizione di degrado tanto deplorevole da rendere ormai indifferibile e urgente un radicale intervento di restauro. Preceduto da complessi lavori di consolidamento dell’intera struttura della sede municipale, il restauro, eseguito negli anni 1984-1988, è valso a sottrarre il teatro ad un destino fatto di rovina e di abbandono e a ricondurlo al decoro originario. Comune di Atessa, Il teatro comunale dalle origini al restauro, Tipolitografia Caporale, Atessa 1989. 97 1900 - Offerte in denaro di cittadini atessani per il completamento dei lavori di costruzione del Teatro. 98 Locandina, con il testo scritto a mano, di uno spettacolo di varietà del 1878. Teatro Municipale Atessa / Questa sera Mercoledì 17 Aprile 1878 / Ultima rappresentazione della compagnia romana a beneficio della primadonna Signora Virginia Ferrara / verrà eseguita l’opera Crispino e la Comare terminando all’atto 2º / quindi ne seguirà il primo atto della tanto applaudita opera in 3 atti Pipelé / Duetto dell’opera La bella Elena / Chiuderà la serata il passo a due Le rive del Danubio. / L’umile Beneficiata spera un numeroso concorso e ne anticipa i suoi sentiti ringraziamenti. 99 Locandina, con il testo scritto a mano, di un concerto per “armonium a bicchieri”, con musiche di Verdi, Bellini e Strauss (1880 circa). Nella Sala Comunale per la sera di giovedì ore 9 / Grande accademia di Armonium a bicchieri che darà il professore Antonio Logatto con l’intervento del Mº G. Amelia che accompagnerà a Pianoforte / Programma / 1º Fantasia sulla Traviata / 2º Concerto sull’Opera Aida / 3º Souvenir di Bellini / 4º Il pizzicato di G. Strauss. 100 Nel Teatro “illuminato a cera e decorato”, uno spettacolo di varietà del 14 marzo 1881 a beneficio della banda cittadina. 101 Omaggio in versi di un ammiratore atessano ad una commediante napoletana esibitasi in Atessa nello spettacolo teatrale del 14 marzo 1881. Un capocomico di Vasto, con cartolina postale del 29 luglio 1908, propone al Sindaco di Atessa la sua compagnia per l’inaugurazione del Teatro. La risposta interlocutoria del Sindaco. Vasto, 29.7.1908 Ill.mo Sig. Sindaco, ho saputo che da cotesta Spett. Direzione Teatrale viene desiderata una Compagnia per fare l’apertura del Teatro. Se non ha nulla in contrario, io le propongo la mia Compagnia con repertorio drammatico estesissimo, nonché delle Commedie di Scarpetta, ed in ultimo Café Concerto. La Compagnia è composta di tutti elementi giovani e ben vestiti, e con molto affiatamento e decoro, nonché onesta. Se non ha nulla in contrario, attendo Suo preg. riscontro acciò poter stabilire il tutto. Fiducioso che la proposta venga accolta favorevolmente, mi dico dev. Luigi Luigini Atessa, 31.7.1908 Questo Teatro non è per ora in grado di essere aperto, mentre potrà esserlo per la prossima stagione invernale. Allora potrà rinnovare la sua offerta. Il Sindaco 102 Gli artefici della realizzazione del Teatro Comunale celebrati con una lapide del 1909 apposta su una parete del foyer. 103 2º decennio del Novecento – Locandina con le “ultime novità” in programma al Cinematografo Edison. 104 Per gentile concessione dell’ “Archivio Di Jorio” di Atri. Locandina di una “grande serata musicale a beneficio dell’Ospedale Civile”, tenutasi il 21 aprile 1921, con l’esecuzione di canzoni napoletane, abruzzesi e italiane di Antonio Di Jorio. 105 Un’operetta rappresentata al Teatro Comunale nel 1927. 106 Il Teatro Comunale di Atessa classificato dal Ministero delle Finanze, nel 1923, pari per importanza al “Marrucino” di Chieti, al “Fenaroli” di Lanciano, al “Michetti” di Pescara e al “Rossetti” di Vasto. Manifestino del 1933 con propaganda pubblicitaria del Cinema Moderno (locale all’aperto). 107 1932, 1933, 1934: per la Filodrammatica Atessana anni di intensa e apprezzata attività. L’iniziativa teatrale, che era animata da uno stuolo di giovani professionisti, partì col piede giusto perché i principali componenti del gruppo avevano un’esperienza dell’arte teatrale di prim’ordine, essendo stati frequentatori assidui delle platee di varie città italiane durante gli studi universitari. La serietà operativa, che non aveva alcunché di improvvisato o dilettantistico, li portò, oltre che a scegliere le opere che allora andavano per la maggiore in tutt’Italia, anche a scrivere di teatro, sia pure a livello di “atti unici” o di “monologhi” o di “scenette comiche”. Che la qualità degli spettacoli fosse più che buona si ricava non solo dalle cronache dei giornali ma anche, ad esempio, dal fatto che la commedia drammatica “La nemica” di Niccodemi fu rappresentata dallo stesso gruppo al “Fenaroli” di Lanciano, a Casoli ed altrove. In quanto alle recensioni, esse sono tutte molto lunsinghiere e talvolta addirittura entusiastiche, anche sulla stampa specializzata nazionale. Il gruppo teatrale, in quei pochi anni, prese anche l’iniziativa di organizzare, con grande successo, feste e veglioni e memorabili edizioni del Carnevale. Talvolta basta proprio un piccolo gruppo di gente affiatata per creare un certo dinamismo di carattere culturale e ricreativo, che poi lascia sempre un segno positivo nella collettività! Tra i principali filodrammatici atessani di quel tempo, meritano di essere ricordati innanzi tutto Luigi Rancitelli, quindi Antonietta Di Iorio, Renato Cicchitti, Mario De Francesco, Giuseppe e Antonietta Vaselli, Settimia e Palmira Cinalli, Giuseppina Iacobucci, Teresa Minardi, Wanda Zaccaglia, Maria Rossi, Delia Mastrocecco, Camillo e Antonino Di Diego. Il difficile compito del suggeritore era svolto da Domenico Sabatino. Per quanto concerne le opere rappresentate, pur mancando al riguardo notizie precise, è certo che furono allestiti i seguenti spettacoli: Luce che torna di Riccardo Melani, La cena delle beffe di Sem Benelli, Un signore senza pace di Enrico Serretta, La nemica di Dario Niccodemi e L’ombra dello stesso autore. Alla conclusione dei lavori programmati venivano spesso rappresentati gli “atti unici” di Luigi Rancitelli (La lutterije di Tripule, Lu nigozie di Utèrje, Lu futtibballe) o di Giuseppe Antonio Di Nenno (La marrucchella rosce, La chiave di lu pajare, Lu prugresse di lu Pajese mè). A volte integravano gli spettacoli in cartellone canzonette, macchiette o monologhi dialettali, presentati da Antonietta Di Iorio e anche dalla giovanissima Pasquina, che erano rispettivamente nipote e figlia del maestro Di Iorio. Di solito le musiche erano del loro grande congiunto. L’informatore frentano, marzo 1987. 108 La Filodrammatica Atessana dei primi anni ’30 del Novecento. Le locandine di alcuni lavori teatrali messi in scena dalla Filodrammatica Atessana. 109 110 I complimenti dei giornali del tempo agli attori della Filodrammatica Atessana. Da Il Giornale d’Italia del 23 aprile 1932: ... “Luce che torna” ha suscitato la più viva ammirazione del pubblico, accorso numerosissimo allo spettacolo. L’interpretazione del lavoro è stata davvero perfetta. Il rag. Giuseppe Vaselli ha vissuto tutta la passione del giovane Piero. La parte di Silvia è stata sostenuta dalla prof.ssa Antonietta Vaselli. La figura di Tristano è stata personificata dal dott. Luigi Rancitelli. Il geom. Renato Cicchitti è stato indubbiamente felicissimo poi nella figura veneranda di Achille, nonno di Piero; ottimamente si è disimpegnata la signorina Settimia Cinalli nella parte di Irene; benissimo la signorina Wanda Zaccaglia in Viviana, vezzosa ed ilare, nonché i signori Antonino e Camillo Di Diego in Leo, giovane fidanzato, e Andrea... Da Il Giornale d’Italia del 29 aprile 1932: Un’altra magnifica serata di beneficenza al nostro Teatro Comunale abbiamo avuto il 24 aprile. La Filodrammatica del Dopolavoro ha dato per la seconda volta “Luce che torna”, dramma in tre atti di Riccardo Melani, e “La marrucchella rosce”, commedia brillante in un atto del nostro concittadino prof. Giuseppe Di Nenno. Il pubblico ha molto applaudito. La nostra Filodrammatica darà alcune recite in diverse cittadine della nostra Provincia. Da Il Giornale d’Italia del 2 febbraio 1933, in merito alla rappresentazione de “La cena delle beffe”: ... Il pubblico ha prodigato agli artisti volenterosi e intelligenti continue ovazioni e del successo va data lode al direttore artistico, dott. Luigi Rancitelli, che ha saputo fondere tutti gli elementi con maestria nella brillante e fedele interpretazione dello squisito lavoro drammatico... Da Il Popolo di Roma del 1º marzo 1934: ...È stato rappresentato il bellissimo lavoro di Serretta: “Un signore senza pace”, commedia in tre atti... Interprete del lavoro è stato il dott. Luigi Rancitelli, che ha confermato le sue doti di vero attore sagace e completo. Con una verve inarrivabile, con una padronanza di scena addirittura sorprendente, ha reso la figura di Andrea alla perfezione... Da Il Messaggero del 12 maggio 1934: ...La nuova Filodrammatica diretta dal dottore Rancitelli, che ha una vera passione pel teatro, ha dato davanti ad un numerosissimo pubblico il difficoltoso lavoro del Niccodemi: “La nemica”. L’interpretazione è stata perfetta in ogni sua parte... 111 Attori della Filodrammatica Atessana. A destra, Luigi Rancitelli, l’animatore del gruppo teatrale e suo direttore artistico. Manifestino del 1937 con l’elenco dei film in programma al Cinema Impero. 112 Il tributo di sangue nella guerra 1915-1918 135 i Caduti, di cui tre decorati di medaglia d’argento e tre di medaglia di bronzo . A tessa ne onorò la memoria col monumento in Piazza Centrale, inaugurato nel 1923 e realizzato anche grazie al sostegno finanziario dei concittadini residenti nelle Americhe. Militari deceduti e dispersi. 1) Alberico Vincenzo 2) Balboni Michele 3) Berardi Francesco 4) Berardi Teodoro 5) Camiscia Angelo 6) Carunchio Mario 7) Carunchio Pompeo 8) Castellini Vincenzo 9) Cellucci Nicola 10) Ciancaglini Cassiodoro 11) Ciccarelli Carlo 12) Cicolini Anselmo 13) Cinalli Antonio 14) Cinalli Donato Giuseppe 15) Cinalli Giuseppe 16) Cinalli Marco Filippo 17) Cinalli Nicola di Camillo 18) Cinalli Nicola di Gregorio 19) Cipulli Giacomo 20) Codagnone Giuseppe 21) Colonna Luzio 22) Colonna Nicola 23) D’Alò Luigi 24) De Francesco Carmine 25) Del Negro Domenicantonio 26) De Luca Casimiro 27) De Marco Alfonso 28) De Marco Carmine 29) De Marco Giovanni 30) Di Deo Giovanni 31) Di Deo Vincenzo 32) Di Giacomo Giuseppe 33) Di Pretoro Nicola 34) Faienza Nicola 35) Falcucci Pasquale 36) Fantasia Angelo 37) Fantasia Giovanni 38) Fantini Sebastiano 39) Farina Domenico 40) Fiadone Michele 41) Fidelibus Angelantonio 42) Fidelibus Vincenzo 43) Fioriti Emilio 44) Flocco Angelo 45) Flocco Francesco 46) Flocco Ignazio 47) Flocco Nicola 48) Gallucci Giuseppe 49) Giangiordano Giuseppe 50) Giannico Antonio 51) Giannico Luzio 52) Giarrocco Giulio 53) Giuliani Domenico 54) Giuliani Nicola di Luigi 55) Giuliani Nicola di Pasquale 56) Giusti Donatangelo 57) Grappasonno Ignazio 58) Iacobitti Giuseppe 59) Ianni Filippo 60) Iannucci Nicola 61) Intilangelo Angelo 62) Intilangelo Antonio 63) Intilangelo Domenico 64) Intilangelo Luigi 65) Intilangelo Pietro 66) Iovacchini Angelo 67) Iovacchini Pietro 68) Lazzaro Vincenzo 69) Manzini Giuseppe 70) Marcone Antonio 71) Marcucci Ambrogio 72) Marcucci Michele 73) Martelli Luigi 74) Massa Gaetano 75) Menna Alfredo 76) Menna Camillo di Antonio 113 77) Menna Camillo di Sebastiano 78) Menna Carmine 79) Menna Emanuele 80) Menna Francesco 81) Menna Gennaro Michele 82) Menna Giovanni 83) Menna Michele 84) Menna Nicola 85) Menna Raffaele 86) Menna Sebastiano 87) Menna Vincenzo 88) Milanese Filippo 89) Monaco Vito 90) Montechiaro Pantaleone 91) Natale Carmine 92) Natale Giacomo 93) Natale Giuseppe 94) Palena Matteo 95) Pascucci Nicola di Luzio 96) Pellegrini Giuseppe 97) Piccirilli Nicola 98) Pomilio Domenico 99) Primiani Filippo 100)Romagnoli Pietro 101)Rosati Rocco 102)Rossi Michele 103)Rossi Vincenzo 104)Rotolo Camillo 105)Rucci Giuseppe 106)Rucci Luzio di Filippo 107)Rucci Luzio di Pasquale 108)Rucci Nicola di Vincenzo 109)Rucci Nicola di Vincenzo 110)Scalella Giuseppe 111)Scalella Pasquale 112)Staniscia Angelo 113)Suriani Luzio 114)Tano Francesco 115)Tano Giulio di Giuseppe 116)Tano Giulio di Nicolantonio 117)Tano Nicola di Domenico 118)Tano Nicola di Pasquale 119)Taraborrelli Francesco 120)Tartaglia Ambrogio 121)Tiberio Vincenzo 122)Tinaro Nicola 123)Tucci Filippo 124)Tucci Nicola di Amadio 125)Tucci Nicola fu Donato 126)Tumini Luigi 127)Ventoso Zaccaria 128)Villafelice Nazario 129)Vitelli Nicola Registro “Morti in Guerra” conservato nell’Ufficio Anagrafe del Comune. Caduti decorati di medaglia al valor militare, loro grado e arma di appartenenza. Soldato CINALLI LUIGI di Antonio - 13. Regg. Fanteria Decorato di Medaglia d’Argento Sottotenente DE FRANCESCO MENOTTI di Vincenzo - 7. Regg. Fanteria Decorato di Medaglia d’Argento Caporale DI FERMO GIOVANNI di Ireneo - 7. Regg. Alpini Decorato di Medaglia di Bronzo Sergente DI TONDO GIACINTO di Giuseppe - 7. Regg. Alpini Decorato di Medaglia d’Argento Soldato PASCUCCI NICOLA di Filippo - 123. Regg. Fanteria Decorato di Medaglia di Bronzo Sergente TINARO DOMENICO di Giuseppe - 34. Regg. Artiglieria da campagna Decorato di Medaglia di Bronzo Federazione Provinciale Combattenti Chieti, Albo d’Oro dei Caduti per la Provincia di Chieti Guerra Italo-austriaca 1915-1918, Tipografia Ubaldi, Chieti 1931, p.I. 114 Documento attestante l’avvenuto conferimento della medaglia d’argento al valor militare al Sottotenente Menotti De Francesco, morto in combattimento nel 1916. 115 Cerimonia commemorativa e celebrativa, a guerra finita. Per il monumento ai Caduti: concorso finanziario del Comune, del Fondo per il Culto e degli Atessani residenti in America (Delibera Consiglio Comunale 15 settembre 1923). Presenti il sindaco cav. uff. Luigi Iovacchini e i consiglieri Carlucci Giuseppenicola, De Francesco Giuseppe, De Marco Umberto, D’Onofrio Alberto, Giannico Giuseppe, Marcone cav. Camillo, Marcone Giulio, Marcucci Pasquale, Menna Vincenzo, Orfeo cav. avv. Nicola, Rucci Silvino, Sorge Pasquale, Staniscia Ferdinando, Tano Giuseppe. 116 Proposta del Sindaco Luigi Iovacchini Il Sindaco riferisce che, con voto 27 maggio 1922, vistato con provvedimento sottoprefettizio 20 giugno successivo, N. 1681, questo Consiglio ha deliberato la erogazione della somma di L. 1.640, quale concorso del Comune nella spesa occorrente per onorare la memoria dei prodi atessani che hanno sublimata la loro vita nel sacrificio per la grandezza della Patria. Per unanime consenso, è stata prescelta la facciata laterale della Chiesa Parrocchiale di S. Giovanni Battista, prospiciente la Piazza Centrale, l’unico sito adatto pel collocamento del Ricordo. Ma perché detta facciata possa ricevere degnamente il segno tangibile del culto profondo e della riconoscenza della cittadinanza verso i valorosi Caduti, è necessario che venga convenientemente sistemata. Il Ricordo marmoreo, opera pregevole dello scultore Gildo Ricci di Ortona a Mare, a seguito di nuove determinazioni da parte del Comitato, verrà completato con trofeo in bronzo ed arricchito con angeli ed ornati allegorici e con altre decorazioni della facciata in marmo colorato. La spesa, di conseguenza, è aumentata considerevolmente, per modo che, tenendo conto delle offerte pervenute dai concittadini residenti nelle Americhe e del sussidio concesso dall’Amministrazione del Fondo per il Culto, il concorso del Comune, in aggiunta a quello deliberato in precedenza, può determinarsi nella cifra di L. 15.000. Il Comitato si prenderà cura di portare conoscenza ai cittadini emigrati che il ritado verificatosi nel rendere omaggio agli eroici morti in combattimento trova la sua ragione nel vivo desiderio espresso dalla cittadinanza di apportare sostanziali e importanti modifiche ed innovazioni al primitivo progetto, per meglio adempiere al più sacro dovere verso coloro che si sono offerti in olocausto per la Patria. Se, come non v’ha dubbio, i cittadini emigrati sapranno apprezzare il nobile intento cui si è ispirato il Comitato, essi che hanno sempre dato pruova di acceso fervore di amor patrio non mancheranno di raccogliere altre offerte, il cui importo andrà in diminuzione del contributo del Comune. Il Consiglio • Facendo eco e plauso a quanto è stato esposto dal Sindaco; • Ritenuto che, dopo compiuto il fato storico per il quale la Patria ha riconquistati i suoi giusti confini, è alto dovere onorare la memoria di coloro che, nell’immane tragedia, hanno sacrificato la vita; delibera Il contributo del Comune pel Ricordo in marmo e bronzo in onore dei gloriosi Atessani caduti nella grande guerra resta determinato in L. 15.000, salvo minore liquidazione in seguito al risultato delle sottoscrizioni private. 117 La sezione di Atessa dell’Associazione Nazionale Combattenti della guerra 1915-1918. 118 119 120 Gli Atessani e la musica: una passione di vecchia data La banda “Città di Atessa” e Antonio Di Jorio gli artefici principali della diffusione della cultura musicale. Storia di una prestigiosa istituzione musicale: la banda “Città di Atessa”. Per mancanza di fonti documentarie non è possibile precisare l’anno di nascita della banda musicale di Atessa. Sappiamo con certezza, sulla base di una testimonianza del Bartoletti, che già prima del 1832 esisteva nella nostra città una “compagnia di bandisti” e che di essa era direttore e istruttore un giovane e promettente musicista atessano, Giuseppe Grumelli, apprezzato autore di “composizioni di canti e di suoni”, destinato purtroppo a morte prematura. La banda di Atessa, come le tante altre che dalla fine del Settecento si stavano costituendo in tutta la regione, era formata in prevalenza da artigiani che, stimolati dalla speranza di incrementare i loro magri guadagni e ancor più dalla passione per la musica, alternavano la pratica bandistica all’esercizio dei loro mestieri. Col passar del tempo essa andò potenziando l’organico, qualificando il repertorio e affinando le capacità artistiche a tal punto che intorno al 1865, sotto la direzione di Costantino Montanari, era ormai in grado di reggere il confronto con le più agguerrite e titolate consorelle d’Abruzzo. La defininva consacrazione a complesso di prim’ordine arrivò per la nostra banda nel 1876, quando essa, chiamata con altre formazioni del mezzogiorno d’Italia negli Stati Uniti d’America in occasione dell’esposizione mondiale di Filadelfia, vi tenne con successo un lungo giro di esecuzioni, meritando tra l’altro il primo premio in un concorso indetto a New York da un circolo culturale italo-americano. La guidava dal 1870 il concittadino Giuseppe D’Amelio, un maestro dalle spiccate capacità professionali, che si rese benemerito in Atessa per l’impulso dato allo sviluppo della cultura musicale. Morto improvvisamente il D’Amelio nel 1884, il compito di dirigere il complesso bandistico della nostra città fu per sette anni (1888-1895) assegnato a Lelio De Francesco, campano di origine ma atessano di adozione, un giovane dai molteplici interessi culturali a cui il destino aveva riservato il privilegio di diventare in epoca successiva un fotografo di notorietà internazionale. Dal 1895 al 1898, come suole ancor oggi accadere nelle città pugliesi, litigi tra fazioni rivali fecero sorgere in Atessa una seconda banda, che si caratterizzò per l’ostinata e rabbiosa avversione con cui si contrappose a quella preesistente. Nel 1899, cessate le ostilità, i due complessi si fusero e la nuova formazione, diretta dal maestro Vincenzo 121 Finoli, solennizzò la ritrovata concordia con una fortunata tournée a Fiume e a Vienna. Nei primi anni del Novecento la nostra banda, con i maestri Stella e Tosé, vide crescere ulteriormente il suo prestigio in seguito a tre memorabili tournées: la prima in Ungheria, Russia e Turchia; la seconda in Austria, Serbia e Bulgaria; la terza in Spagna. In giro per il mondo andava allora con gli altri bandisti atessani un ragazzino che suonava il corno e aveva la musica nel sangue: Antonio Di Jorio, il futuro insigne compositore. Seguirono anni di decadenza, nel corso dei quali a stento il maestro Nicola Cinalli, sempre assillato da ristrettezze economiche, riuscì a conservare in vita il complesso affidato alle sue cure. Nel 1914 e, dopo la parentesi bellica, negli anni 1919/20/21 fu Antonio Di Jorio ad assumerne la direzione, senza che riuscisse però, a causa delle Mº Liberato Vagnozzi 122 solite insormontabili difficoltà di carattere finanziario, ad allestire un organico capace di rinnovare i fasti del passato. Né ebbero miglior fortuna il nipote Luzio Di Jorio e Carlo Titta, che guidarono il complesso atessano rispettivamente nel 1932 e nel 1936 dopo un lungo periodo di inattività. Atessa ritrovò finalmente la sua grande banda nel 1937 con il maestro Angelo Basilico D’Annunzio della vicina Casalanguida e soprattutto nel 1938,1939 e 1946 con il maestro Nicola Centofanti, allora agli inizi della sua prestigiosa carriera direttoriale. Dal 1948 al 1951 la banda di Atessa visse uno dei periodi più esaltanti di tutta la sua storia: composta da esecutori accuratamente scelti e provvista di un repertorio che per varietà e ampiezza esulava dalla normalità, essa assurse ad un livello artistico forse mai raggiunto in precedenza, affermandosi come una delle migliori formazioni in campo nazionale. Ne era direttore un Mº Giuliano Giuliani maestro di grande energia, il romano Liberato Vagnozzi, capace di esercitare sui singoli suonatori un forte ascendente e molto rigoroso nell’esigere da loro le prestazioni più convincenti. Dopo altri tre anni di attività più che dignitosa (1952 con il maestro Nicola Benvenuto di Lanciano, 1954 e 1955 con il maestro atessano Giuliano Giuliani), sopravvenne irrimediabilmente la fine: gli alti costi di gestione, unitamente al mutato gusto del pubblico sempre più orientato verso le dila- ganti orchestrine di musica leggera, stavano ormai uccidendo tutte le bande in Abruzzo ed anche il nostro glorioso complesso finì col soggiacere alla comune avversa sorte. Depositaria dei valori della nostra tradizione musicale è oggi in Atessa una banda amatoriale nata nel 1982 per iniziativa del maestro Antonio Finoli e passata dal 1987 sotto la direzione del maestro Antonio Zizi. Nicola Celiberti Confronto, luglio 1991. Epigrafe incisa sulla tomba del Mº Giuseppe D’Amelio, nel cimitero di Atessa. A GIUSEPPE D’AMELIO DISTINTO MAESTRO DI MUSICA SUONATORE E CONCERTATORE NATO IN ATESSA NEL 1836 MORTO A’ 10 AGOSTO 1884 CON ANIMO RICONOSCENTE A LUI CHE FECE AMMIRARE LA BANDA MUSICALE ATESSANA ALL’ESPOSIZIONE MONDIALE DI FILADELFIA AVVENUTA NELL’ANNO 1876 I DISCEPOLI RESIDENTI IN QUELLA CITTÀ POSERO QUESTA LAPIDE 123 Per gentile concessione dell’ “Archivio Di Jorio” di Atri. Foglietti volanti inneggianti alla banda musicale di Atessa, diretta dal Mº Antonio Di Jorio, fatti stampare dai cittadini di Petritoli (Ascoli Piceno) in occasione di due concerti che essa vi tenne il 17 e 18 settembre 1921. 124 Antonio Di Jorio, un artista sempreverde. Tutte le opere manoscritte, i cimeli, le lettere ed altro del Maestro Antonio Di Iorio sono stati donati dalla figlia Pasquina al Comune di Atri. Da qualche anno, in un salone del Teatro Comunale, ha sede l’Archivio Di Iorio, diretto con competenza dal Maestro Concezio Leonzi, musicista e musicologo, direttore della Corale Antonio Di Iorio e fondatore della Schola Cantorum A. Pacini di Atri. Antonio Di Iorio è ricordato ancora: «È una leggenda che non si spegne», osserva il Maestro Leonzi. Si continua ancora a studiare la produzione artistica del Maestro abruzzese, anche se molti sono ancora convinti che egli sia soltanto l’autore di stupende canzoni come Mare nostre e Paese mè; i musicologi riscoprono le sue operette, le sue pagine di musica sacra e da camera e quattro opere liriche di indubbio valore. Ora sarà il Maestro Leonzi, con i suoi collaboratori, a lanciare l’Archivio Di Iorio in Italia e nel mondo. È già in commercio un interessante CD che raccoglie musiche inedite del grande Maestro abruzzese e presto ne uscirà un altro. Antonio Di Iorio nacque ad Atessa, in provincia di Chieti, il 28 giugno 1890, ultimo di sette fratelli, cinque dei quali morirono in tenera età. La musica l’aveva nel sangue e ad 11 anni era già “cornista” in una piccola banda di Atessa. A 12 anni fece una prima tournée all’estero, visitando la Serbia, l’Austria, l’Ungheria, la Bulgaria, la Turchia e la Russia. Dopo aver chiesto il parere ad un altro grande abruzzese, Camillo De Nardis, che insegnava al San Pietro a Antonio Di Jorio Maiella di Napoli, i genitori iscrissero il piccolo Antonio al quel Conservatorio, dove nel 1909 si diplomò brillantemente [...] In quegli anni napoletani Di Iorio scrisse stupende canzoni, strinse amicizia con autorevoli suoi colleghi e fu compositore di operette, che anche oggi meriterebbero di essere rappresentate [...] Dopo la guerra mondiale e il soggiorno napoletano così ricco per la sua creatività, Di Iorio tornò ad Atessa e il Comune gli affidò la direzione della banda cittadina. In questo periodo nacque la sua passione per la canzone abruzzese e la sua collaborazione ed amicizia con poeti e letterati come Luigi Illuminati e Cesare De Titta. E qui dovremmo fare un elenco molto lungo delle sue opere: La canzone de l’amore, Caruline, Vuccuccia d’ore, Mare nostre, 125 Paese mè, Luntane cchiù luntane, Dindò, Teresine, e potremmo continuare. Ad Atri il Maestro Di Iorio venne nel 1921 e vi rimase fino al 1932 per dirigere la banda cittadina e la Cappella della Cattedrale. La parentesi atriana fu stupenda e Di Iorio in vita ne descrisse con amore e amicizia gli aspetti più interessanti. Si rinsaldò, qui, la sua amicizia con un grande atriano, l’umanista Luigi Illuminati, e, come si è detto, nacquero canzoni molto belle. Da Atri a Ripatransone, nelle Marche, e poi, come vincitore di concorso, professore e preside dell’Istituto Magistrale di Forlimpopoli fino al 1960, anno del suo collocamento a riposo. In Romagna Di Iorio scrisse opere sinfoniche, come La prima rapsodia abruzzese e il poema Terra d’Aligi. Nacquero anche pezzi di musica sacra, come quattro messe in latino ad una, due, tre voci con organo, «nelle quali - dice il Maestro Leonzi - sono particolarmente evi- denti la maestria contrappuntistica, la grandiosità della concezione compositiva e la ricerca di ricchezza e bellezza canora». Non mancò nemmeno un’Ave Maria, dolcissima. Fu anche in prima fila, Di Iorio, nella canzone italiana ed entusiasta fu la sua partecipazione, come direttore d’orchestra e autore, al Concorso Nazionale della Canzone Italiana che si tenne nel 1937 a Rimini. Il successo fu grande. Nel 1961 Di Iorio ebbe applausi e consensi al festival di canzoni nuove per bambini, Lo Zecchino d’Oro. Insomma, un ingegno multiforme, un musicista vero, un artista completo che forse in vita avrebbe meritato di più. Ora, intorno al suo Archivio sorgeranno diverse attività ed è da queste che bisognerà partire affinché la poliedrica produzione artistica di Antonio Di Iorio sia conosciuta in tutto il mondo. Giovanni Verna L’ECO Abruzzo, luglio-agosto 1998. In un discorso pronunciato ad Atessa nel 1950, il poeta napoletano Giuseppe Garofalo, legato ad Antonio Di Jorio da fraterna amicizia e suo paroliere prediletto, rievoca il primo incontro col musicista atessano allora ventenne e l’inizio del loro stretto e fecondo rapporto di collaborazione artistica. A Napoli [...] nel 1910, un gruppo di giovani artisti, senza pensieri e senza quattrini, ma ricchi solo di speranze, si lanciava all’assalto di una specie di fortilizio del tempo: la casa editrice musicale Izzo, in Piazza Dante, oggi, come tante altre, smantellata e distrutta dal mutato gusto dei tempi, ma allora raggiante della gloria dei più fulgidi nomi della canzone napoletana [...] Fu in uno dei due angusti bugigattoli di quel tempio della musica, ove a stento ci ficcavamo tra gli scaffali, il pancone e il pianoforte, che conobbi Antonio Di Jorio. Aveva vent’anni: suonava e componeva come un dio, imprecava in abruzzese perché non riusciva ad ottenere dieci lire per una canzone, e passava le giornate intere 126 davanti alla tastiera, che tentava, carezzava, tormentava con le dita convulse per strapparle l’eco delle note soavi che gli palpitavano in petto come ali di uccello prigioniero. Stavo a guardarlo affascinato: mi sentivo quasi un ragazzo, davanti a quella sua maturità e pienezza artistica. E quando da me egli volle dei versi - che furono i primi versi presentabili che io avessi mai scritti - sentii l’orgoglio dell’ingresso nel mondo, provai l’emozione di un battesimo: il battesimo dell’arte [...] Ma la sua vena melodica sgorgava invano: Don Carmine Izzo, l’editore, gli aveva ricordato più volte che Don Ferdinando Bideri, altro mecenate dell’epoca, aveva pagato O sole mio con la vistosa somma di Di Jorio, ventenne, a Napoli. dieci lire. Che cosa obiettare? Senonché, ecco sorgere una Casa straniera, la Poliphon, che operò un vero trust, accaparrando e stipendiando poeti e musicisti. Le Case napoletane dovettero correre ai ripari, e Don Carmine Izzo si decise a compensi mai visti, pur di non perdere il suo valoroso Maestro. Fu così che le prime dieci canzoni fruttarono a Totonno ben cinquecento lire! [...] E venne il giorno del primo successo. Il Politeama Giacosa, il più grande teatro di audizioni piedigrottesche, gremito di un pubblico aristocratico ed entusiasta, ci decretò un trionfo indimenticabile. Discorso tenuto da Giuseppe Garofalo in Atessa. 127 Frontespizio dello spartito della canzone napoletana Guardannete, composta da Di Jorio, su versi di Garofalo, per la “Piedigrotta” del 1911. 128 Frontespizio dello spartito di Giardeniello suspiruso, una canzone di Di Jorio del 1920 appartenente al repertorio di Peppino Villani, celebre cantante macchiettista napoletano dell’epoca. L’incontro del Maestro con Cesare De Titta e la nascita della canzone dialettale abruzzese. Era il 1919: 1’epoca della signora di trent’anni fa vestita di voile e di chiffon. Una nobile famiglia atessana, la De Marco, risiedeva a Lanciano ed era legata da viva amicizia a quella di Filippo Di Toro, di S. Eusanio, intimo del De Titta. Ci si ritrovava spesso in casa Di Toro e Don Cesare accondiscendeva a far sentire qualche sua primizia poetica. In un pomeriggio primaverile, dopo aver declamato alcune “cosucce” - come lui diceva - dialettali, espresse il desiderio di farle musicare. «C’è Totò», suggerì subito Donna Amelia De Marco. Totò era Antonio Di Jorio, un bel giovane romantico e scanzonato che aveva già un “passato” pur essendo il suo nome in Abruzzo ancora poco noto. A dodici anni aveva lasciato Atessa per percorrere, quale suonatore di corno (ma era padrone di vari altri strumenti), mezza Europa: Austria, Serbia, Bulgaria, Turchia, Russia. A diciannove, allievo di Camillo De Nardis, si era diplomato nel Conservatorio di Napoli ed aveva fatto presto ad imporsi sul mercato della canzone napoletana con “Primm’ammore”, “Nun te vojo”, “Nun tiene core” 129 e tanti altri motivi lanciati dalla Casa Musicale Izzo («Il genere partenopeo ha ritrovato - scrisse un giornalista del tempo - un interprete abruzzese geniale come Tosti»). Poi il servizio militare, sei lavori teatrali, la guerra, il ritorno in Atessa per una boccata di ossigeno natio prima di riprendere il cammino. Le signore e le ragazze ne dicevano un gran bene; i mariti e i fidanzati meno. Tutti gli riconoscevano un talento non comune, e al teatro o nei salotti privati, quando al piano c’era lui, rapimento generale. Fu, naturalmente, la signora De Marco a presentare Di Jorio a De Titta: «Lì per lì la tonaca e la dottrina mi misero in uno strano impaccio», racconterà più tardi lo scapigliato compositore; «Capii subito che c’era tanta stoffa», dirà il già conosciutissimo latinista. Divennero presto fraterni amici. “Caruline” fu fresca e spigliata primogenita di un felice connubio. L’esecuzione della canzone venne affidata alla Banda di Atessa, la prima ricostituita in Abruzzo, ad opera del Di Jorio, dopo la lunga parentesi bellica. Per l’occasione il Maestro cedeva la bacchetta a Pellecchia, l’insostituibile capobanda che si diceva non conoscesse una sola nota musicale e preferisse decisamente Bacco a Verdi. Malignità. I “signori” non affermavano pure che quella era una “ciabotta”, non una banda? Il fedele Pellecchia comunque, che era depositario di tutti i “segreti” del Maestro, a dispetto delle chiacchiere saliva sul podio col sussiego di un autentico direttore d’orchestra, si arricciava i lunghi mostacci e dava il via al “numero” cantando a voce spiegata. E guai se al ritornello (“Caruline, une cchiù bbelle nen si trov’a ’stu quartiere...”) il pubbli130 co non faceva coro! Era la nascita effettiva, anche se non ufficiale, della canzone abruzzese, che con “Caruline” spiccava il volo verso l’affermazione e la popolarità. Sempre di De Titta e Di Jorio seguiranno “Vuccuccia d’ore”, “La canzone de l’amore”, “La ciardiniera”, “Ere ’na vote”, “Nen ci abbadà”, “Dindò”, “Marattè”, “Amore mè”, “Sioscia mè”, “Famme murì”, “Caterine”. Nel 1922, a Lanciano, rassegna della canzone dialettale: «C’è stato un solo trionfatore - scriveva all’indomani Zopito Valentini - in questa festa, un solo affascinatore in questo torneo di canzoni: Antonio Di Jorio». Ed aggiungeva col tono un po’ enfatico allora in uso: «La voce limpida, chiara, piena di scintillii, bianca di purezza di Antonio Di Jorio non poteva che essere sola, tanto alta era l’ispirazione, tanto era il gaudio che ha saputo raggiare». Più tardi Maurizio De Juliis definirà Di Jorio “il padre della canzone abruzzese”. Ed a ragione: non tanto per primogenitura cronologica quanto per tecnica musicale. Comprendiamo perfettamente come certi testi oggi possano non sempre trovare rispondenza nel gusto e nella realtà. Ma ci sono “vecchie” e nuove cose di Di Jorio (musica e versi) che vorremmo invitare i dissacratori a sentire. Forse capirebbero perché Antonio Di Jorio piace anche a tanti giovani d’oggi; e perché anche quando avrà cent’anni, anche dopo, sarà sempre attuale. Giuseppe Falcucci Il Tempo, 28 settembre 1980. Frontespizio dello spartito per piano e voci di Inno ad Atessa, composto nel 1935 da Di Jorio su testo di Giuseppe Antonio Di Nenno e dedicato dal Comitato delle feste di S. Rocco ai concittadini di Filadelfia. 131 I miei appuntamenti con Pescara: un articolo scritto dal Maestro in occasione dei festeggiamenti tributatigli da quella città per il suo novantesimo compleanno. La prima volta che vidi Pescara, avevo 27 anni. Attraversai la città, anzi le due cittadine contigue, in treno, quando fui richiamato per la Grande Guerra e andavo a Siena dov’ero stato destinato dal Distretto di Chieti. Guardai distrattamente le case che sfilavano davanti al convoglio; seguii per qualche istante il lento fluire del fiume; ma osservai tutto molto superficialmente, perché pensavo alla guerra, al fronte che mi aspettava e alle persone care che avevo lasciato a casa e che non sapevo se avrei più rivisto. Ci fu poi qualche fuggevole occasione di incontro con questa città, dove nel ‘22 però ritornai in una circostanza non casuale, ma anzi piuttosto importante per la storia del nostro folklore. In quell’anno, l’avvocato D’Ovidio, che era stato mio compagno di scapigliatura a Napoli (ora vive a Roma), aveva organizzato a Lanciano una manifestazione folk, diretta da me; fu la seconda del genere in Abruzzo, dopo quella di Ortona del ‘20. Essa ebbe un tale successo che Zopito Valentini, di Loreto Aprutino, nello stesso anno, mi sembra ad agosto, volle organizzare qualcosa di simile, a quanto mi risulta rimettendoci di tasca propria, nella parte di Pescara allora chiamata Castellammare, in occasione della famosa Settimana Abruzzese alla quale fu presente Mussolini. Alla manifestazione, allestita per mettere in luce i valori della tradizione popolare abruzzese, furono invitati i cori di Atessa e di Ortona, diretti rispettivamente da me e da Guido Albanese. Ci fu prima una sfilata di carri agricoli festosamente addobbati, con gruppi di giovani canterini in costume. A sera, poi, al Teatro Pomponi, si tenne il vero e proprio spettacolo canoro che, anche per un certo suo sapore di novità, riscosse un successo indimenticabile. Ma fu nel 1928 che ebbi l’incontro in un certo senso più popolare con questa bella città adriatica. A propiziarlo fu una canzoncina pubblicitaria, che poi si fece tanta strada da diventare quasi l’inno... ufficiale di Pescara. È una marcetta che da allora è stata suonata e risuonata da tutte le bande, è stata parodiata in cento modi diversi, e forse è nota a tutti i pescaresi, che magari tante volte l’hanno canticchiata o fischiettata senza ricordare, o sapere, chi ne ha scritto le parole e la musica: mi riferisco a “Lu Parrozze”. Luigi D’Amico, il produttore del noto dolce, pensò di reclamizzarlo con una canzone, della quale pregò di comporre i versi Cesare De Titta, il maggior poeta dialettale abruzzese del momento; e chiamò me, che allora risiedevo nelle Marche, per musicarla. Accettai subito di collaborare con don Cesare, che tra l’altro era anche mio compare, avendo tenuto a battesimo mia figlia. In tre giorni, la canzone era bell’e pronta e la feci sentire a don Luigi suonandola al pianoforte di casa sua. A lui piacque molto; assai meno entusiasta ne fu sua 132 moglie, che dubitava delle possibilità, del pezzo, di diventare facilmente popolare. Sta di fatto che, pronto il pezzo, fu organizzata a Pescara una serata musicale nella piazza antistante il locale di D’Amico. Un coretto di Chieti (allora i complessi corali non erano numerosi e consistenti come oggi) si esibì davanti ad una folla di varia composizione: pubblico elegante ai tavoli e, intorno, in piedi, tanti altri spettatori. Fu così che prese il volo “Lu Parrozze”, la canzone che esalta i “tesori” di Pescara. Per questo lavoro, come mia abitudine, non volli alcun compenso; mia figlia, però, allora settenne, ebbe piena facoltà di mangiare parrozzetti ad libitum, quanti ne desiderasse. A proposito di questo incontro con D’Amico, voglio ricordare un episodio: don Luigi, che era in grande dimestichezza, come è noto, con Gabriele D’Annunzio, mi disse in quell’occasione che il poeta, al quale le mie musiche erano molto piaciute, voleva assolutamente conoscermi. Beh, un po’ perché ero assai occupato, un po’ perché sono schivo di natura, ed un po’, infine, perché due miei cari amici atriani, il poeta ed umanista Luigi Illuminati ed il pittore Verdecchia, mi... scoraggiarono descrivendomi D’Annunzio come “un uomo molto strano”, declinai l’invito a quell’incontro che invece avrebbe potuto rappresentare una svolta decisiva per la mia vita. Tornando in argomento, devo subito annotare che col mio trasferimento in Romagna, nel lontano 1935, ebbe inizio un lungo periodo di interruzione dei miei contatti con l’Abruzzo e, ovviamente, anche con Pescara. Vi tornai nel 1960, per battezzarvi la mia opera lirica “La Magalda”. Pescara non era più quella del ‘17, e neanche l’elegante, provinciale e salottiera cittadina del ‘28: era già quel grande ed importante centro della vita abruzzese che tutti conoscono, e per questo desiderai tenervi a battesimo il mio lavoro più impegnativo; cosa che realizzai con l’aiuto di molti amici. Così, al Teatro Massimo, ebbi un buon successo di critica ed anche di pubblico, a dispetto della pioggia torrenziale, un vero diluvio, che imperversò in quella serata impedendo l’affluenza di tanti altri da ogni parte d’Abruzzo, che si erano ripromessi di assistere all’avvenimento. Comunque, da allora i miei contatti con Pescara e con i numerosi amici che in essa conto sono diventati sempre più assidui ed intensi, tanto che posso dire, in tutta sincerità, di sentirmi, in questa bella simpatica città, come a casa mia. Antonio Di Iorio Il Tempo, 28 settembre 1980. 133 15 agosto 1972 – Il Mº Di Jorio, mentre dirige in Piazza Garibaldi la rappresentazione dell’opera lirica “La Magalda”. La morte del Mº Di Jorio (1981) e la traslazione delle spoglie da Rimini ad Atessa (1982). È morto Antonio Di Iorio, il musicista dell’Abruzzo Il grande Maestro si è spento a Rimini all’età di 91 anni – I funerali si svolgeranno domani nella città romagnola; ma la salma, per volontà dell’estinto, tornerà ad Atessa. Alle 7,30 di questa mattina ha cessato di vivere a Rimini Antonio Di Jorio, il più grande musicista abruzzese degli ultimi decenni, che godeva nella regione e fuori di essa di larghissima popolarità. I funerali si svolgeranno a Rimini, nel Santuario di S. Antonio dei Padri Paolotti, lunedì 14, alle ore 15. La salma sarà provvisoriamente collocata nel cam134 posanto di quella città, per tornare nei prossimi giorni in Abruzzo ed essere definitivamente tumulata, per volontà dell’estinto, nel cimitero di Atessa, dove Antonio Di Jorio nacque nel 1890. Alla figlia Pasquina ed ai congiunti tutti dello scomparso le più sentite condoglianze de Il Tempo. Il Tempo, 13 dicembre 1981. Torna la salma del “cantore d’Abruzzo” Antonio Di Jorio riposerà in pace nella sua Atessa La salma del maestro Antonio Di Jorio, musicista e cantore d’Abruzzo, tornerà in Atessa per essere tumulata nel locale cimitero, accanto alla consorte Caterina. L’arrivo è previsto per le ore 16 di sabato 24 aprile nella Cattedrale di S. Leucio e, dopo la messa concelebrata, i gruppi folkloristici d’Abruzzo renderanno il loro omaggio corale al padre della canzone abruzzese recentemente scomparso. In Piazza Oberdan il sindaco prof. Angelo Staniscia, anche a nome della cittadinanza, renderà l’estremo saluto al Maestro, la cui salma sarà accompagnata in corteo, seguito dal concerto musicale di Ripatransone, al cimitero. Il Tempo, 24 aprile 1982. Per sempre Antonio Di Jorio è tornato nel suo Abruzzo La salma del grande compositore traslata da Rimini al cimitero di Atessa Atessa, un lontanissimo Ferragosto: in piazza Garibaldi c’è una marea di folla, giunta anche da tanti altri centri della regione. Sul palco eretto nel fondo, un coro in costumi tradizionali; sul podio, a dirigere le sue canzoni, Antonio Di Jorio; giù, a qualche passo, la moglie Caterina. È la prima festa canora che si torna ad organizzare in Abruzzo dopo la tremenda bufera della guerra; quasi un atto di fede nella ricostruzione e nella rinascita: d’intorno si ammucchiano ancora le rovine della battaglia del Sangro. Atessa, aprile 1982: la stessa vasta piazza è gremita come sette lustri or sono. Sono le 16,30: i lenti rintocchi della campana di S. Rocco annunciano che “lu mastre” sta arrivando; e con lui, come allora, l’inseparabile signora Caterina. Alcuni robusti ragazzi delle “Voci dijoriane” prendono a spalla le due bare: il corteo si muove tra le note struggenti ed insieme rasserenatrici della marcia funebre di Chopin; il lungo corso Vittorio Emanuele diventa troppo corto e ancora più stretto. Una sosta: Antonio Di Jorio nacque giù in quel vicolo a sinistra “nghi cinche, si’ scalelle”, nella “casarelle puverelle” che avrebbe ricercato tanti anni dopo, inutilmente, perché “tutt’è scumparite / lu tempe l’ha finite / ddù prete accatastate / ’na porta sgangarate”. Ora è il coro di Don Lino a nascondersi nella “ruella” e a diffondere da lì il bellissimo canto che fu uno degli ultimi del poeta e compositore. Si prosegue fino alla Cattedrale di S. Leucio: le cinque navate sfavillano di luci e di ori temperati dalla mestizia. Dietro l’altare maggiore s’intravede Ottavio Cinalli, avviato verso la novantina ma ancora in gamba: fu interprete bravissimo di “Gioventù, gioventù”, una romanza del Maestro che fin dal primo lancio, a Napoli, fece furore. Quello è l’organo cui durante i suoi soggiorni atessani Di Jorio si accostava «con discrezione e devozione», come ha 135 ricordato mons. Giovanni Sorge, «per suonare quel che l’estro gli suggeriva». Al centro, attorno alla bara, con altri, il gonfalone municipale di Rimini dove il grande musicista, a novantadue anni, si è spento nello scorso dicembre e dal cui cimitero la salma è stata traslata; più in là i familiari, i sindaci e i rappresentanti dei vari Comuni, autorità e personalità provinciali e regionali. Nelle navate laterali i cori abruzzesi, gli amici, gli estimatori, i cultori dell’arte giunti da ogni dove, e tanti, tantissimi giovani a conferma del loro interesse per la riscoperta di valori fondamentali. La magistrale esecuzione di una stupenda pagina della “Magalda”, la più meritatamente conosciuta delle opere liriche dell’estinto, conclude il sacro rito. Si ricompone il corteo per raggiungere piazza Oberdan, dove è in attesa altra gente che non ha trovato posto in chiesa. Il sindaco Angelo Staniscia, nel dare l’estremo saluto del paese natio, rievoca le principali tappe, ben note ai nostri lettori, della vita e dell’attività artistica del Di Jorio, sottolineando il “respiro universale” delle sue melodie ed impegnando l’amministrazione civica a salvaguardare con adeguate iniziative il prezioso patrimonio culturale da lui lasciato. Toccante il messaggio agli atessani della figlia Pasquina, che non ha avuto la forza di intervenire alla cerimonia: «Esaudendo il suo desiderio, vi affido ciò che ho di più caro al mondo: amatelo sempre come lui vi ha amati e come io l’ho amato e lo amo». Significative, per capire la spiritualità del Maestro, le testimonianze dei rappresentanti di Rimini, di Forlimpopoli, di Ortona, di Atri, di Ripatransone, di tutte le città in cui Di Jorio è passato lasciando il 136 segno di un vigoroso fervore intellettuale e di una straordinaria ricchezza umana. Il sole si è già nascosto dietro la Maiella quando la duplice fila verde e silente dei cipressi accoglie le salme. Si va fin su, in uno spiazzo delimitato da alcune cappelle. L’ultima benedizione; poi i cori intonano “Paese mè”. “Quanda sente tristezz’e ddulore / o ’na pene fa piagne ’stu core / baste sole che pens’a ’su colle / ca le forze d’incante m’arvè!”. Ora ci sei sul colle. Vedi? In alto, a sinistra, ancora intatto il Monte Pallano che tante cose sapeva dirti; in basso, a destra, la pianura di Piazzano animata (o deturpata?) dalle industrie; più oltre il mare, che è sempre mare, anche se forse non più “de latte e d’argente” come quello tuo e di Illuminati. “Paese mè / ’n te pozze ma’ scurdà... / Vulesse mò venì vicin’a tte / pe’ ddirte amore mè / ’n ti lasse cchiù”. Contento? Non lo lasci più davvero: il tuo lunghissimo viaggio è finito; non c’è più “picundrije” ora: stai qui a casa tua, come avevi sempre desiderato. Scendono le ombre della sera. “Quanda sente ssunà ’Vemmarije...”: ma che succede! Non sono più soltanto i ragazzi in costume a cantare: la gente si unisce ai cori prima timidamente, poi a voce spiegata. Cantano tutti: anche quelli che sono rimasti indietro o si sono sparpagliati tra i viali. Da canzone abruzzese, “Paese mè” diventa preghiera abruzzese. Per i morti e per i vivi. Giuseppe Falcucci Il Tempo, 27 aprile 1982. Il coro folcloristico atessano, da sempre legato alla figura e all’opera del Mº Di Jorio. Il coro di Atessa è legato alla figura e all’opera del maestro Antonio Di Jorio, che ha sempre cercato di promuovere, anche attraverso l’indispensabile e valido contributo del non mai tanto compianto suo nipote Luzio Di Jorio, la formazione di una corale atessana. Nel 1949 fu riorganizzato un gruppo corale di circa cento elementi; a prepararlo e a dirigerlo fu chiamato lo stesso Maestro, che compose per quella circostanza “Paese mè”. Il coro debuttò in Atessa, a conclusione delle feste patronali di mezz’agosto, di fronte ad una folla numerosa ed entusiasta. Tornarono allora a riecheggiare i motivi di “Mamma”, “La bbanda di zi’ Nicò”, “Ahh! Ciccì” ed altri, che ebbero larga diffusione tra le nuove generazioni. L’anno successivo lo stesso coro, arricchito nell’organico e nel repertorio, oltre che in Atessa si esibì a Pescara in occasione della festa di S. Cetteo, riportando grande successo, e in seguito non mancò quasi mai di allietare le feste paesane anche dei paesi circonvicini, partecipando alle manifestazioni più svariate. Nel 1961/62 esso fu il punto di forza della partecipazione atessana al concorso della “Conca d’Argento”, organizzato dalla RAI di Pescara, in cui Atessa ottenne il secondo posto superata di un soffio da Castel di Sangro. Allora il coro fu diretto dal maestro Antonio Cecere dei Padri Oblati. Successivamente la bacchetta passò ancora nelle mani del maestro Di Jorio e il coro si avvalse anche della partecipazione del dott. Lino Di Nenno, che vi portò il brio delle macchiette e degli sketch in vernacolo atessano attinti dalla vena paterna. Agli inizi degli anni ‘70, valorizzando l’iniziativa di Suor Adriana Recinella, che aveva formato un piccolo gruppo corale, l’Associazione Pro-Loco diede impulso alla creazione di un vero e proprio coro folkloristico, che, passato più tardi sotto la direzione di Don Lino De Ritis e denominatosi “Giovani Voci Dijoriane” su suggerimento dello stesso Maestro, continua tuttora a portare sulle piazze d’Abruzzo e d’Italia le immortali melodie del musicista atessano. Ma le prime origini del coro di Atessa si possono far risalire addirittura agli anni ’20 e fu proprio Antonio Di Jorio a propiziarne la nascita. Ne fa fede la seguente lettera inviata recentemente dalla figlia Pasquina a Don Lino De Ritis, che le chiedeva notizie in merito: Rimini, 23/4/80 Carissimo Don Lino, rispondo subito a ciò che mi ha chiesto. Un po’ faticosamente ho attinto qualche notizia da papà: mi ha detto tutto ciò che ricordava ed è fatica, anche per i più giovani, ricordare cose tanto antiche, anche perché non si hanno documenti. A detta di papà, dunque, il primo coro organizzato in forma stabile e conti137 nuativa è il suo (Le “Giovani Voci Dijoriane”, n.d.r.). Le prime canzoni – “Caruline”, “Oilì! Oilà!”, “Dindò” – furono propagandate dai bandisti del concerto atessano diretto da papà: parte dei suonatori, in maniera un po’ improvvisata, cantavano accompagnati dagli altri suonatori; questi canti furono diffusi in tutte le località dove la banda prestava servizio e durante l’audizione venivano venduti foglietti volanti con la stampa dei versi. Questo negli anni ’19-’20 circa. Poi nel ’22, a Lanciano, un certo avvocato D’Ovidio, che era stato compagno di scapigliatura di papà a Napoli, organizzò una manifestazione corale folk, diretta da papà. Il successo fu tale che un certo Zopito Valentini, di Loreto Aprutino, volle organizzare qualche cosa di simile a Pescara, nella parte della città detta allora Castellammare, in occasione della Settimana Abruzzese, presente Mussolini. Alla manifestazione parteciparono il coro di Atessa diretto da Di Jorio e quello di Ortona diretto da Albanese. Poi papà andò a Ripatransone, quindi ad Atri, a Chieti, ad Atessa e a Rimini, e bisogna arrivare al secondo dopoguerra per risentire dei grandi buoni cori organizzati nel giro di 15 o 20 giorni, quando lui tornava apposta in Atessa per queste manifestazioni canore [...] Papà starebbe bene se non fosse per le gambe molto deboli; lo spirito è sempre in gamba. Quando lei scrive e manda notizie del coro, ci fa sempre un grande piacere: papà legge tanto volentieri le sue lettere! Egli la esorta a continuare nella sua attività musicale per il buon nome di Atessa. Fa bene a migliorare i costumi, che hanno una grandissima importanza spettacolare, cosa da non trascurarsi oggi. Aff.ma Pasquina “Ad Antonio Di Jorio per i Suoi novant’anni”, Tipolitografia Busico & Caporale, Atessa 15 agosto 1980. I componenti del coro di Atessa del 1949. Direttore: M° Antonio Di Iorio. Soprani: Giuliani Anna, Pizzi Rina, Flocco Chiara, Grappasonno Anna, Codagnone Maria Rita, Flocco Maria, De Ritis Norma, Di Blasio Carolina, Giuliani Maria, Tano Anna, Codagnone Amalia, Cinalli Vittoria, Codagnone Matilde, Codagnone Giuseppina, Sorge Maria, Di Croce Concetta, Mancini Maria, Simone Gina, D’Alonzo Antonietta, Sorge Teresa, Gentile Maria, Simone Rita, Di Iorio Emma, Giordano Anna Maria, Di Iorio Amalia, Cinalli Erminia, Rucci Lucia, Cicchitti Domenica, D’Alonzo Gabriella. 138 Contralti: Russi Violetta, Pizzi Amalia, Pizzi Giuseppina, Rossi Filomena, Cinalli Maria, Colonna Angelina, Ianni Carolina, Travaglini Liberata, Cinalli Lucia, Grappasonno Natalina, Ciancaglini Rosa, Pizzi Erminia, Pizzi Rita, Prota Nicoletta, Grappasonno Bambina, Marcolongo Anna, Pellegrini Rosaria, Nardone Ginevra, Giordano Grazia, Fidelibus Giacinta, Di Iorio Antonietta, D’Alonzo Giovina. Tenori: Litterio Felice, Litterio Mario, Litterio Renato, Rucci Gabriele, Totaro Mario, Antonini Salvatore, Mancini Giuseppe, Mancini Filiberto, Tartaglia Tommaso, Pizzi Vito, Grappasonno Angelo, Rossi Giovanni, Tinaro Giuseppe, Finoli Olindo, Cancelmo Sebastiano, Cinalli Giuseppe, Litterio Domenico, Nasuti Umberto, Giannico Gennaro, Cicchitti Nicola, Cicchitti Gerardo, Cellucci Luzio, Litterio Amedeo, Tano Gabriele, D’Amario Ruggero. Bassi: Del Sindaco Pasquale, Sorge Alfredo, Paglione Luigi, Tumini Giacomo, Cattafesta Dino, Serra Francesco, Fioriti Luigi, Aloisi Gabriele, Canuto Marcello, De Ritis Fernando, Codagnone Romano, Canuto Ernesto, Rotolo Donato, Di Diego Francesco, Buonavista Giuseppe, Laudadio Pietro, Nardone Aristide, Rancitelli Nicola, Pasquini Cesare. Il Momento, 13 agosto 1949. Coriste del 1949. 139 Il coro di Atessa del 1950. 140 Per gentile concessione dell’ “Archivio Di Jorio” di Atri. Il coro di Atessa, con la partecipazione straordinaria del tenore atessano Riccardo Tenaglia, al “Festival della Canzone” di Pescara del 21 agosto 1950, interamente dedicato alla produzione musicale di Antonio Di Jorio. 141 142 Per gentile concessione dell’ “Archivio Di Jorio” di Atri. La scuola tecnica (1921) e la scuola media (1944) Due tappe Atessa. fondamentali per lo sviluppo dell’istruzione in Istituzione della Scuola Tecnica, con sede al primo piano dell’Asilo “Giardino d’Infanzia” (Delibera Consiglio Comunale 28 agosto 1921). Presenti il sindaco cav. uff. Luigi Iovacchini e i consiglieri Carunchio Manfredi, Ciccarelli Alfonso, Cinalli Luzio, D’Alonzo Nicola, De Francesco Giuseppe, De Marco Umberto, Di Pasquale Gaetano, D’Onofrio Alberto, Giannico avv. Camillo, Giannico Giuseppe, Marcolongo Ugo, Marcone Camillo, Marcone Giulio, Marcucci Pasquale, Menna Vincenzo, Orfeo cav. avv. Nicola, Romagnoli Giovanni, Rucci Silvino, Sorge Pasquale, Staniscia Ferdinando, Tano Giuseppe. Dietro relazione del Sindaco Luigi Iovacchini, Il Consiglio • Ritenuto che la istituzione di una Scuola Tecnica in questo Comune è riconosciuta, non solo da questa Amministrazione, sibbene da tutta la cittadinanza, veramente utile all’incremento dell’istruzione e rispondente ai bisogni locali; • Veduta la precedente propria deliberazione, adottata in sede di bilancio per la parte riguardante lo stanziamento della spesa all’uopo necessaria, in merito alla quale niuna obiezione è stata fatta dalla competente superiore autorità; • Tenute presenti le disposizioni degli Articoli 133 e seguenti del Regolamento 21 giugno 1885, n. 3413, che provvedono all’apertura di Scuole Tecniche da parte dei Comuni; il Regio Decreto 16 febbraio 1913, n. 202, riguardante le norme per il pareggiamento delle Scuole Classiche, Tecniche e Normali; l’Articolo 24 della Legge 8 aprile 1906, n. 142, per la parte finanziaria; e la Legge 6 luglio 1919, n. 1186, relativa agli stipendi ed alla carriera del personale direttivo ed insegnante delle scuole medie; • Ritenuto che l’edifizio dell’Asilo “Giardino d’Infanzia” – primo piano – destinato a sede della Scuola è adatto per ampiezza e salubrità; • Ritenuto che le somme allegate in bilancio soddisfano alle spese pel personale insegnante, per gl’inservienti e, occorrendo, pel segretario, nonché alle altre per materiale scientifico, mobili e suppellettili, acquisto di libri per la biblioteca, attrezzi per la ginnastica, riscaldamento, illuminazione ed oggetti di cancelleria; • Ritenuto che questo Comune ha sempre adempito a tutti gli obblighi imposti dalla legge sulla istruzione elementare di grado inferiore e superiore, e che 143 gl’insegnanti da nominarsi saranno prescelti fra persone munite di titoli legali, di abilitazione per le materie di studio che saranno loro affidate; Delibera • Di istituire in questo Comune una Scuola Tecnica, mettendola in grado di ottenere il pareggiamento nel più breve termine consentito dalle leggi in materia; • Di provvedere, mediante concorso da bandirsi dalle superiori autorità scolastiche, al conferimento dei posti d’insegnante, a norma della Legge 6 luglio 1919, n. 1186; • Di fare istanza all’ill.mo Sig. Prefetto della Provincia, perché, in vista della ristrettezza del tempo, si piaccia autorizzare l’abbreviazione, a cinque giorni, del termine richiesto per l’approvazione in seconda lettura del presente deliberato. Intitolazione della Scuola Tecnica al nome di Dante Alighieri, nella ricorrenza del 6º centenario della morte del Sommo Poeta (Delibera Consiglio Comunale 4 settembre 1921). Presenti il sindaco cav. uff. Luigi Iovacchini e i consiglieri Carunchio Manfredi, Ciccarelli Alfonso, Cinalli Luzio, D’Alonzo Nicola, De Francesco Giuseppe, De Francesco Ottorino, De Marco Umberto, D’Onofrio Alberto, Flocco Luigi, Giannico Giuseppe, Iovacchini Giovanni, Marcolongo Ugo, Marcone Camillo, Marcone Giulio, Orfeo cav. avv. Nicola, Romagnoli Giovanni, Rucci Silvino, Sorge Pasquale, Staniscia Ferdinando, Tinaro Anselmo. Proposta del Sindaco Luigi Iovacchini Il Sindaco comunica che la istituzione della Scuola Tecnica in questo Comune può dirsi ora un fatto compiuto. E poiché tale istituzione è avvenuta in quest’anno di ricorrenza del 6º centenario della morte del Sommo Poeta, nella certezza di interpretare i sentimenti del Consiglio propone che la Scuola s’intitoli “Dante Alighieri”. A ricordo poi della realizzazione del voto ed aspirazione della cittadinanza, propone che venga istituita una borsa di studio di L. 100 dal titolo pure di “Dante Alighieri”, da concedersi a quell’alunno che, avendo superato felicemente le altre materie, siasi distinto nella storia e nell’italiano. Il Consiglio Approva ad unanimità. 144 Istituzione della Scuola Media, sezione distaccata di Lanciano (Delibera Giunta Comunale 18 novembre 1944). Presenti il sindaco dott. prof. Luigi Marcucci; gli assessori effettivi dott. De Marco Tommaso, notar De Simone Antonio, mons. Pili Francesco, sig. Vaselli Gennaro; gli assessori supplenti ins. De Marco Alfredo, sig. Rossetti Antonio. Relazione del Sindaco Luigi Marcucci Il Sindaco rende edotti gli assessori della istituzione e funzionamento di una Regia Scuola Media inferiore – sezione distaccata di Lanciano – e all’uopo dà lettura della lettera 12 ottobre c.a., n. 5269, del R. Provveditorato agli Studi di Chieti con cui si dispone il funzionamento della Scuola suddetta. Indi fa presente la necessità di provvedere allo stanziamento di L. 60.000, da prelevarsi dal fondo gestione calce, allo scopo di far avere i mezzi necessari per lo sviluppo iniziale della Scuola in parola e anche di quella d’Avviamento. La Giunta • Vista la relazione del Sindaco; • Considerato che il Comune ai primi tempi dell’occupazione alleata si preoccupò di far produrre da una impresa privata della calce occorrente alla riparazione delle opere stabili di questa cittadinanza; Che da tale gestione si è avuto un ricavato di circa L. 210.000 con l’utilizzazione del frascame del bosco Fontecampana; Che pertanto è agevole e di nessun aggravio finanziario il fatto di stanziare nel bilancio 1945 la somma di L. 60.000 per il motivo sopra indicato; Delibera • Di prendere atto dell’avvenuta istituzione di una sezione distaccata di Scuola Media inferiore in questo Comune; • Di ringraziare le superiori autorità per l’appoggio dato alla risoluzione di un problema che era nei voti di questa cittadinanza; • Di stanziare nel bilancio dell’esercizio 1945 in entrata il ricavato della gestione della calce, impegnando in uscita la somma di L. 60.000, da servire anche per la Scuola d’Avviamento. 145 Intitolazione della Scuola Media al nome di Domenico Ciampoli (Decreto Ministeriale 18 gennaio 1949). I primi alunni e insegnanti della Scuola Tecnica. 146 I primi alunni e insegnanti della Scuola Media. 147 Fascismo e antifascismo Diffuso consenso, in Atessa, per il regime, ma anche una consistente presenza di sentimenti ad esso ostili. Conferimento della cittadinanza onoraria a Benito Mussolini (Delibera Consiglio Comunale 21 maggio 1924). Presenti il sindaco cav. uff. Luigi Iovacchini e i consiglieri Carunchio Manfredi, Ciccarelli Alfonso, Cinalli Luzio, De Francesco Giuseppe, De Marco Umberto, Di Pasquale Gaetano, Giannico Giuseppe, Iovacchini Giovanni, Marcolongo Ugo, Marcone cav. Camillo, Marcone Giulio, Orfeo cav. avv. Nicola, Sorge Pasquale, Tano Giuseppe, Tinaro Anselmo. Proposta del Sindaco Luigi Iovacchini In seguito all’esito delle ultime elezioni politiche, che ha segnato il trionfo completo del Partito Nazionale Fascista e del suo degno Capo e Condottiero Sua Eccellenza Benito Mussolini, la Giunta Comunale, sapendo di interpretare il pensiero della gran maggioranza dei cittadini di Atessa e per dar prova di attaccamento e devozione verso quest’Uomo Insigne che ha ben meritato della Patria, vi propone la Sua nomina a Cittadino Onorario di Atessa. Modesto onore per Lui, quando si pensi che proprio in questi giorni Egli, dall’alto del Campidoglio, è stato proclamato “Civis Romanus”; grande onore per noi se Egli tale titolo vorrà accettare e gradire. Mi dispenso ora dal ricordare a voi oggi le Sue grandi benemerenze, persuaso che chi ha seguito con cuore d’italiano gli avvenimenti di questi ultimi venti mesi di governo, le Sue infinite provvidenze, non può non averlo nel cuore e non può non sentire un senso di viva gratitudine verso quest’Uomo che, dopo aver ridato pace, ordine e disciplina all’interno, dopo aver provveduto con sane e acconce leggi ed oculate economie a rinsaldare il bilancio dello Stato, ha saggiamente curato, con sano accorgimento e fini arti di diplomatico, a rialzare anche il nostro prestigio all’Estero. Padrone della volontà della vecchia Camera, dopo aver espletato un programma immane che sarebbe stato follia di svolgere in altri tempi, Egli avrebbe potuto governare indisturbato con essa; invece, con gesto nuovo e squisitamente delicato, indice i nuovi comizi per sentire la voce del paese sull’opera Sua. Ed il paese la sua voce l’ha fatta sentire alta e potente e prima, tra le regioni d’Italia, il nostro Abruzzo, col suo plebiscitario consenso e, non ultima fra le città di esso, la nostra Atessa, che dando al Fascio Littorio la sua grande maggioranza ha creduto di compiere un atto di gratitudine, di fede, di patriottismo. Ed ora, mentre vi invito a conferire, per acclamazione, la Cittadinanza Onoraria a Sua Eccellenza Benito Mussolini, formulo voti solenni che la Divina Provvidenza ancora per molti anni lo conservi al governo d’Italia per le future e più fulgide fortune della Patria. 148 Il Consiglio Facendo eco e plauso alla proposta della Giunta; per acclamazione Conferisce la Cittadinanza Onoraria Atessana a Sua Eccellenza Benito Mussolini, Duce e Maestro del Fascismo, esprimendo l’augurio sincero che il ferrigno Uomo di Romagna, a cui l’Italia guarda con fervido cuore, continui per lunga serie di anni a reggere le sorti della Nazione ed a guidarla nelle vie gloriose che il destino le ha tracciato nel mondo. Ordinanza di chiusura (notificata il 24 dicembre 1932) per il Caffè Piretti, ritenuto un “abituale ritrovo” di sovversivi. IL QUESTORE DELLA PROVINCIA DI CHIETI Ritenuto che l’esercizio pubblico gestito da Sorge Annantonia di Michelangelo in Atessa, Piazza Centrale, è divenuto abituale ritrovo di individui notoriamente sospetti in linea politica, vociferatori e propalatori di notizie false ed allarmistiche raccolte dalle radio nemiche; Considerato che è necessario stroncare ogni attività che anche in apparenza possa avere deleteria ripercussione sullo spirito pubblico; Visto l’art. 10 del Testo delle Leggi di P.S. 18-6-1931, n. 773; ORDINA La licenza di esercizio a Sorge Annantonia è sospesa a tempo indeterminato, con immediata chiusura del locale. Il Comando Stazione Carabinieri Reali di Atessa è incaricato della esecuzione della presente ordinanza, che sarà, nei modi di legge, notificata all’interessata. L’Ispettore Generale Regg. la Questura (Cavallo) 149 Lettera circolare del 1928 per la raccolta di mezzi finanziari a sostegno dell’Opera Nazionale Balilla. 150 Quanto costava l’uniforme fascista, con la giubba di orbace, panno di lana di pecora prodotto in Sardegna e utilizzato dal 1933 su prescrizione del segretario del partito Achille Starace. 151 Approvazione del regolamento per la concessione dei premi di nuzialità e di natalità voluti dalle direttive del governo fascista (Delibera Podestarile 3 giugno 1936). Il Podestà cav. dott. Attilio Falcucci DETERMINA approvare il seguente Regolamento per la concessione dei premi di nuzialità e di natalità per questo Comune: Premi di nuzialità Art. 1º Nel Comune di Atessa, a carico del bilancio comunale, sono istituiti n. 14 premi di nuzialità di L. 500 ciascuno da sorteggiarsi il 28 ottobre di ogni anno, a cominciare da quello in corso, nella ricorrenza della Marcia su Roma, di cui n. 6 a favore dei militari; Art. 2º Per aspirare ai premi di nuzialità gli sposi interessati devono farne domanda, in carta semplice, al Podestà e dimostrare: a) di aver contratto matrimonio, valido agli effetti civili, entro il precedente anno fascista; b) di non trovarsi in notorie condizioni agiate; c) che almeno uno degli sposi risieda in questo Comune da oltre sei mesi, anteriori alla celebrazione di matrimonio; d) di essere iscritti al Partito Nazionale Fascista; Art. 3º Il termine utile per la presentazione delle domande alla Segreteria Comunale scadrà alle ore 12 del giorno che precede quello stabilito per l’estrazione; Art. 4º Nelle ore antimeridiane del giorno 28 ottobre, in una sala della Residenza Municipale, aperta al pubblico, ovvero all’aperto, ove il tempo lo consenta, verranno imbussolati in un’urna i nomi delle coppie che abbiano fatta domanda e per le quali concorrono le condizioni tutte previste al precedente art. 2º; quindi il Podestà, assistito dal Segretario Comunale, che ne redigerà verbale, procederà all’estrazione dei nomi di 14 coppie di sposi, alle quali sarà assegnato un premio di nuzialità per ciascuna; Art. 5º I premi da erogarsi a favore dei militari saranno concessi in conformità alle disposizioni vigenti, emanate o da emanarsi in materia dalle autorità competenti. Premi di natalità Art. 1º Nel Comune di Atessa sono istituiti i seguenti premi di natalità, a carico del bilancio comunale, con decorrenza dall’anno in corso: a) n. 10 premi di L. 100 ognuno per il secondo e terzo figlio nati da coniugi 152 entro l’anno solare precedente; b) n. 10 premi di L. 200 ognuno per i figli nati da coniugi oltre il terzo entro l’anno solare precedente; Art. 2º I premi di natalità verranno assegnati, ogni anno, il 24 dicembre, giorno dedicato alla Festa della Madre e del Fanciullo; Art. 3º Per aspirare ai premi di natalità i genitori interessati devono farne domanda al Podestà, in carta semplice, e oltre a verificarsi le condizioni tutte richieste per i singoli casi dall’art. 1º devono dimostrare: a) di non trovarsi in condizioni finanziarie di notoria agiatezza; b) di risiedere in questo Comune da almeno tre mesi, anteriori alla nascita dei figli che danno diritto ai premi; c) di essere iscritti al Partito Nazionale Fascista; Art. 4º Il termine utile per la presentazione delle domande alla Segreteria Comunale scadrà alle ore 12 del giorno che precede quello dell’assegnazione dei premi. Visita del Vice Comandante Federale alla Scuola Polifonica del Comando G.I.L. di Atessa. 153 Frasi di Mussolini riprodotte in Atessa, negli anni ’30, sulla superficie esterna dei muri delle case. 154 Ultima lettera di Pietro Benedetti ai figli, scritta dalle carceri “Regina Coeli” pochi giorni prima che egli venisse fucilato. 11 aprile 1944 Ai miei cari figli, quando voi potrete forse leggere questo doloroso foglio, miei cari e amati figli, forse io non sarò più fra i vivi. Questa mattina alle 7 mentre mi trovavo ancora a letto sentii chiamare il mio nome. Mi alzai subito. Una guardia aprì la porta della mia cella e mi disse di scendere che ero atteso sotto. Discesi, trovai un poliziotto che mi attendeva, mi prese su di una macchina e mi accompagnò al Tribunale di Guerra di Via Lucullo n. 16. Conoscevo già quella triste casa per aver avuto un altro processo il 29 febbraio Pietro Benedetti (Atessa 1902-Roma scorso quando fui condannato a 15 1944). Condannato a morte per la sua attivianni di prigione. Ma questa contà antifascista e fucilato il 29 aprile 1944. danna non soddisfece abbastanza il comando tedesco il quale mandò l’ordine di rifare il processo. Così il processo, se tale possiamo chiamarlo, ebbe luogo in dieci minuti e finì con la mia condanna alla fucilazione. Il giorno stesso ho fatto la domanda di grazia, seppure con repulsione verso questo straniero oppressore. Tale suprema rinuncia alla mia fierezza offro in questo momento d’addio alla vostra povera mamma e a voi, miei cari disgraziati figli. Amatevi l’un l’altro, miei cari, amate vostra madre e fate in modo che il vostro amore compensi la mia mancanza. Amate lo studio e il lavoro. Una vita onesta è il migliore ornamento di chi vive. Dell’amore per l’umanità fate una religione e siate sempre solleciti verso il bisogno e le sofferenze dei vostri simili. Amate la libertà e ricordate che questo bene deve essere pagato con continui sacrifici e qualche volta con la vita. Una vita in schiavitù è meglio non viverla. Amate la madrepatria, ma ricordate che la patria vera è il mondo e, ovunque vi sono vostri simili, quelli sono i vostri fratelli. Siate umili e disdegnate l’orgoglio; questa fu la religione che seguii nella vita. Forse, se tale è il mio destino, potrò sopravvivere a questa prova; ma se così non può essere io muoio nella certezza che la primavera che tanto io ho atteso brillerà presto anche per voi. E questa speranza mi dà la forza di affrontare serenamente la morte. Lettere di condannati a morte della Resistenza europea, Einaudi Editore, Torino 1967, pp. 515-516. 155 Curiosità Poesie d’occasione di fine Ottocento: gli auguri del tipografo Baker per l’onomastico di un amico (1881) e due sonetti nuziali (1888). 156 Riconciliatosi con la Chiesa Cattolica dopo essersi lasciato “sedurre” dalle “menzogne” del protestantesimo, un atessano del 1897 fa pubblica ammenda del suo errore. 157 Cronaca di una cerimonia nuziale del 1926 con l’elenco dei doni per gli sposi. . La sera del 14 corrente, nella dolce intimità dell’eletta parentela e degli amici, più che cento tra dame e cavalieri, nelle sale di casa De Ritis splendenti di luci ed olezzanti di magnifici fiori, si sono celebrate le nozze dell’egregio dott. Mario Serafini con la bella e gentile signorina Ernestina De Ritis. Funzionò da ufficiale dello stato civile il commissario prefettizio comm. Vittorio Costa, che pronunciò brevi ed ispirate parole di augurio. Testimoni furono i signori Francesco Falcucci, cav. avv. Guglielmo Serafini, cav. Nicola De Francesco, avv. Domenico Ferri. La cerimonia religiosa, celebrata dal parroco di S. Michele Don Nicola Cibotti, si svolse in profondo, commosso raccoglimento. Una orchestrina, formata dalla baronessa Teresa Ferri (piano), signori Emilio Sabatini e Gaetano Falcucci (violini), Giovanni Rossi (violoncello) e Federico Piretti (contrabbasso), accompagnò in sordina la vecchia ma sempre deliziosa “Ave Maria” del Gounod, mirabilmente can- tata dalla signorina Maria Ferri. Il celebrante pronunciò un eloquente discorso, spiegando alla giovane coppia i doveri nuovi degli sposi cristiani e beneaugurando. Compiuto il rito, la Sposa, candida e bionda nel vaporoso velo, distribuì agl’invitati i suoi fiori d’arancio. L’avv. Domenico Ferri lesse una sua stornellata d’amore di squisito humour e di elegante fattura. L’orchestrina suonò uno scelto repertorio classico. Agl’invitati furono offerti, con signorile abbondanza, geli, dolci, confetti, liquori. I confetti ed i bombons furono forniti dalla ditta D’Amico di Pescara; i geli, i dolci, i liquori dalla ditta locale Piretti. Fecero gli onori di casa, con l’usata cortesia, i signori Antonino e Caterina De Ritis, genitori della Sposa, il sig. Angelo Serafini, padre dello Sposo, le signorine Massa e Trippitelli, i signori Serafini, Trippitelli ed avv. Marcolongo, parenti degli Sposi. Paggetti d’onore i graziosi bambini Gino Ferri e Wally Serafini. I DONI ♥Lo Sposo: anello con brillanti, orecchini con brillanti, pendentif con brillanti, altro pendendif con brillanti e perle, anello con brillanti e rubini, orologio d’oro da polso, tavolino-nécessaire da lavoro in mogano. ♥La Sposa: orologio “Longines ”, gemelli d’oro per polsini. ♥Sig. Angelo Serafini, padre dello Sposo: servizio completo di posate in argento massiccio per 12. ♥Sig. Antonio De Ritis, padre della Sposa: artistico finimento in diamanti, catena d’oro massiccio per ventaglio. ♥Signora Caterina De Ritis, madre della Sposa: finimento in ametiste e perle. ♥Signori Guido ed Erminia Serafini, fratello e cognata dello Sposo: servizio giapponese da tè completo per 12. 158 ♥Wally e Dino Serafini, nipotini dello Sposo: dodici cucchiaini d’argento per tè. ♥Zii dello Sposo: Avv. cav. Guglielmo Serafini: orologio a pendolo – Avv. cav. Gaetano Cardona: servizio d’argento da dessert per 12 – Signora Rosa Cardona: saliera e portastecchini in argento e cristallo, posata d’argento per insalata – Comm. Tito Codagnone e signora: braccialetto d’oro – Cav. Francesco Farina: servizio in argento da dessert per 6 – Cav. uff. Angelo dei Baroni Ferri e signora: servizio d’argento per pesce – Sig. Antonio dei Baroni Ferri e famiglia: servizio d’argento per dolci – Baronessa Vittoria Castelli ved. Ferri: laccio d’oro per ventaglio in maglia veneziana. ♥Zii della Sposa: Signora Giuseppina Rancitelli ved. Mayer e comm. Ernesto Mayer: artistico orologio regolatore da tavolino – Signora Camilla Rancitelli ved. Mucci: chèque – Signora Antonietta Cardona ved. De Francesco e avv. Umberto De Francesco: servizio da toletta per mani in argento – Cav. Tommaso Marcolongo e signora: servizio da dessert in argento per 12 – Sig. Pelino e signora Doralice Trippitelli: chèque – Parroco D. Vincenzantonio Marcolongo: arazzo – Sacerdote D. Guglielmo De Ritis: libro da messa rilegato in pelle di coccodrillo e corona d’argento – Sig. Silvino De Francesco e famiglia: orologio e portafiori in biscuit – Signora Lubia Genovesi ved. De Francesco e signorina Clementina De Francesco: servizio in argento per pesce, portatovaglioli e centro per tavola ricamati – Sig. Pasquale Nervegna: servizio da toletta in argento per mani – Signori Giuseppe e Margherita Auterio: due coppe d’argento e cristallo – Signora Amalia Tonno Giacchesio: trinciante e forchettone d’argento – Signora Isabella Lisio ved. Pelino: forchettone e trinciante in argento – Signora Antonietta Giacchesio: sei cucchiaini d’argento dorato – Dott. Giovanni cav. uff. De Marco: formaggiera e saliera d’argento e cristallo – Signori Carlo e Maria Boschetti: salierine e portastecchini in argento e cristallo – Signori Gaetano ed Elvira Falcucci: servizio da dessert in argento per 6. ♥Cugini dello Sposo: Avv. Domenico dei Baroni Ferri e famiglia: servizio da tavola d’argento e cristallo di oliere, saliere e portastecchini – Dott. Gennaro Marcone e signora: servizio per arrosto, insalata, salsa e dolci in argento – Tenente Oscar Pinzauti e signora: servizio da liquori d’argento e cristallo per 6 – Dott. Renato Spaventa: portadolci e portasigarette da salotto – Signorine Maria e Vittoria Ferri: centro da tavola ricamato ad intaglio. ♥Cugini della Sposa: Signorina Maria Massa: servizio da tavola in cristallo di Boemia per 12 – Signori Francesco ed Enrica dei Baroni Sardi De Letto: portadolci in argento e cristallo – Signori Fratelli Trippitelli: salierine e portastecchini in argento e cristallo – Signori Gino e Maria Girolami: sei coppe d’argento da champagne – Avv. Giuseppe Marcolongo: servizio da dessert in porcellana – Signori Nicola ed Eleonora Giansante: lampadario in ferro battuto della ditta Ranieri di Guardiagrele – Signori Giuseppe e Bice Costantini: servizio da liquori d’argento e cristallo – Avv. Ettore De Francesco e signora: servizio da caffè di porcellana per 12 – Signori Nicola e Amalia Fini: tête a tête in porcellana e argento – Signori Enrico e Filippo Flocco: tête a tête in porcellana e argento – Dott. Aldo e Margherita Flocco: tête a tête in porcellana e argento. ♥Amici degli Sposi: Donna Elvira De Chellis ved. Simone, comare della Sposa: 159 portagioie in argento massiccio cesellato, corona di granato legato in oro – Signori Francesco e Antonietta Falcucci: quattro marenghi d’oro – Dott. Nino Falcucci, compare dello Sposo: tre grandi artistici cabarets in argento cesellato – Dott. Guido Falcucci e signora: trinciante e forchettone in argento – Parroco D. Nicola Falcucci: coroncina d’argento – Signora Cherubina Trippitelli Giustizia: due abatjour d’argento – Signori Pietro e Rosa Siboni: servizio da tavola in porcellana per 12 – Cav. Nicola De Francesco e signora: servizio da dessert in porcellana –Avv. cav. Alfredo De Francesco e signora: servizio d’argento da liquori – Dott. cav. Felice Troiano: orologio a pendolo in mogano – Signora Angiolina Falcucci ved. Rancitelli: sei cucchiaini e molla in argento – Signori avv. Bonaventura e Lorenzina Ventura: servizio da caffè in argento e porcellana, con guantiera per 6 – Barone Felice Mascitelli e famiglia: tête a tête in argento e porcellana – Prof. Luigi Marcucci e signora: artistico portadolci in argento e cristallo – Sig. Nicola Giorgio e famiglia: servizio da caffè in porcellana per 12 – Signora Maria Merlino: due portatovaglioli in argento – Notaio Michele D’Ambrosio e famiglia: servizio da dessert in argento per 6 – Sig. Emilio Sabatini: matita d’oro – Canc. Nicola Zaccaglia e famiglia: bouquet di fiori di stoffa – Signorina Rina D’Onofrio fu Alberto: têtê a tête in argento e porcellana – Signorine Egle e Bianca Rotolo: servizio per geli d’argento per 6 – Signorina Vera Cardona: sei bicchierini d’argento e cristallo – Dott. Giovanni Giannico e signora: trinciante e pala per gelato in argento – Sig. Panfilo Ciancaglini e famiglia: artistica statuetta con orologio a sveglia – Sig. Luigi Cichetti: artistico servizio da toletta in argento – Sig. Giuseppe Ragni e signora: artistica anfora portafiori – Famiglie Marcucci e Carlucci: artistico orologio da salotto in biscuit – Signora Chiarina Iovacchini: vaso da fiori in argento – Sig. .Antonio Pesce: vaso da fiori e portaritratti in argento – Sig. Francesco Vizioli: servizio per antipasto in argento e cristallo – Signori Riccardo e Rosa Chinni: sei cucchiaini d’argento – Signori Luigi e Domenica Giordano: finimento d’oro per camicia – Signora Bambina Giuliani: servizio da liquori in cristallo per 6 – Signori Filippo e Concetta Jommi: salierine d’argento e cristallo – Signora Anna Cellucci: sei bicchierini di cristallo con vassoio – Signora Teresina Bomba, vecchia domestica di casa De Ritis: libretto di risparmio di L. 750 – Signora Maria Santa Vacca: immagine sacra con acquasantiera d’argento e alabastro – Signora Maria Vincenza Berardinucci: specchio molato. ♥Inviarono fiori: Avv. Domenico dei Baroni Ferri e signora – Prof. Felice Troiano – Dott. Giovanni Giannico – Signora Matilde Marchesano – Suore dell’Asilo Infantile – Wally Serafini–Dott. Renato Spaventa – Sig. Filippo Jommi – Signorina Nenella Cardone – Famiglie Carlucci e Marcucci. È impossibile elencare i telegrammi che a centinaia giunsero agli Sposi da ogni parte d’Abruzzo e d’Italia. Moltissimi d’ogni parte scrissero parole di vibrante augurio. Alla bella coppia, ch’è in un lungo giro di nozze, rinnoviamo l’augurio d’ogni compiuta felicità. Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, 24 ottobre 1926. 160 Il treno ad Atessa-centro Arrivò il 1º febbraio 1929 dal preesistente scalo di S. Luca (in esercizio dal 1913), calorosamente accolto dalla folla che, nonostante il rigore del clima, si era radunata numerosa nella stazione da poco sorta ai piedi dell’abitato. Il prolungamento della linea ferroviaria fino ad Atessacentro rispondeva ad una esigenza profondamente avvertita nel capoluogo, al quale sino ad allora la ferrovia Sangritana non aveva arrecato i benefici sperati a causa della notevole distanza che lo separava dallo scalo di S. Luca. Sussidio del Comune per il prolungamento della ferrovia da Atessa Scalo (S. Luca) ad Atessa Città (Delibera Consiglio Comunale 25 maggio 1924). Presenti il sindaco cav. uff. Luigi Iovacchini e i consiglieri Carlucci Giuseppenicola, Carunchio Manfredi, Ciccarelli Alfonso, De Francesco Giuseppe, De Marco Umberto, Iovacchini Giovanni, Marcolongo Ugo, Marcone cav. Camillo, Marcone Giulio, Marcucci Pasquale, Orfeo cav. avv. Nicola, Tano Giuseppe, Tinaro Anselmo. Proposta del sindaco Luigi Iovacchini Il Sindaco riferisce che Atessa, importante centro di popolazione, dove si riversano anche gl’interessi di buon numero dei paesi della montagna, ha risentito ben poco beneficio dalla costruzione della ferrovia Adriatico-Appennino, a causa della notevole distanza che intercede tra la Stazione e la Città, resa ancora più grave dal fatto che la strada attraversa una collina molto ripida e scoscesa. Eppure Atessa è una città ricca di prodotti agricoli e di capitali, che la ferrovia, prossima all’abitato, può far convergere in proficui commerci ed industrie. Tale è stato il vivo desiderio mai sempre espresso dalla Rappresentanza Comunale e che ora si ha fondata speranza che venga finalmente accolto. Ne fa fede il progetto diggià allestito dal Comm. Ing. Besenzanica per la elettrificazione della Sangritana, che comprende anche il prolungamento della ferrovia dallo Scalo di Atessa in Città. Aggiungasi pure che giorni or sono il Comm. Gentile, Direttore del Circolo delle Ferrovie e Tramvie di Ancona, in unione agli altri Ingegneri, si sono recati espressamente in Atessa per esaminare l’indicato progetto e riferire in merito al competente Ministero; il che autorizza a ritenere che la pratica si avvia alla sua soluzione. 161 Non resta quindi che determinare la misura del sussidio da corrispondersi per tale opera di massima utilità pubblica. Il Consiglio • Condividendo le ragioni esposte dal Sindaco; • Ritenuto che con la costruzione del tronco ferroviario Atessa Scalo-Atessa Città viene a compiersi uno dei voti più ardenti e più giusti da lungo tempo manifestato dalla cittadinanza; • Ritenuto che il vantaggio immenso che ne deriva alla cittadinanza dall’opera costruenda impone l’obbligo alla Rappresentanza Comunale di stabilire un adeguato sussidio da corrispondersi per l’esercizio della ferrovia; delibera • Di assumere formale obbligo, per sé e per gli Enti locali interessati, di corrispondere per la durata di anni 50, alla Società per le Ferrovie AdriaticoAppennino, il sussidio di lire 10.000 annue, a decorrere dalla data di attuazione del servizio ferroviario elettrico sulla rete esistente e sul nuovo tronco da costruirsi dallo Scalo di Atessa ad Atessa Città; • Di assumere anche impegno di costruire, a spese del Comune, la strada di accesso alla stazione Atessa Superiore; • Riserva di provvedere in sede di bilancio agli stanziamenti occorrenti per far fronte a dette spese. Ansiosa attesa dell’attivazione del tronco ferroviario Atessa Scalo (S. Luca) – Atessa Città e preparativi per i festeggiamenti. Siamo informati che ai primi dell’anno verrà inaugurato il tronco Atessa Scalo-Atessa Città della Ferrovia Elettrica Adriatico-Appennino. La nostra cittadinanza, che ha seguito con cuore fedele dal loro inizio i lavori per questo importantissimo tronco che accrescerà l’importanza dell’industre città, attende con ansia che si realizzi il suo antico voto e che l’aspettativa non subisca ulteriori rinvii. Una Commissione – nominata dal nostro beneamato Podestà avv. cav. Nicola Orfeo e composta dei signori dott. Luigi Rancitelli, Vice Podestà, cav. 162 uff. Giulio Borrelli, Giovanni Rossi, dott. Giovanni Riccio, Emilio Sabatini, dott. Enrico Flocco, Umberto Rancitelli, Giovanni Iovacchini, dott. Giovanni Giannico, Pasquale Sorge, dott. Nino Falcucci, dott. Luigi Rossi, Cassio D’Onofrio, ing. Luigi Di Iorio, Guido Serafini, Giovanni Rucci, Pasquale Falcucci, dott. Giuseppe Ferri, Antonino Di Diego, geometra Renatino Cicchitti – lavora alacremente per preparare degni festeggiamenti nel giorno della inaugurazione. Il Popolo di Roma, 22 dicembre 1928. Orario di servizio del 22 maggio 1937 relativo alla tratta Atessa-Capragrassa-S. Luca-Piazzano-Perano-Archi, con l’indicazione delle coincidenze per Crocetta e Castel di Sangro. La stazione ferroviaria nel 1929. 163 La stazione ferroviaria nel 1931 (sopra) e nel 1935 (sotto). 164 Il nuovo acquedotto urbano L’opera, 1928 e iniziata l’anno dopo, fu condotta a termine nel 1938, con notevole ritardo rispetto ai tempi preventivati per difficoltà insorte nel corso dell’esecuzione dei lavori. appaltata nel 16 ottobre 1928 - Espletamento della gara d’appalto per l’aggiudicazione dei lavori del nuovo acquedotto e brindisi augurale, al Circolo di Conversazione, per un rapido e felice compimento dell’opera. Tra le egregie opere che va realizzando il Podestà di Atessa, avv. Nicola Orfeo, è da segnalare in prima linea il compimento del nuovo acquedotto per alimentare la città di acque sane e pure che dalle sorgenti del “Pianelle”, nascente dai contrafforti del Monte Pallano, a circa 700 metri dal livello del mare, saranno portate per mezzo di una conduttura forzata nell’abitato di Atessa. L’acquedotto attraverserà, con una breve galleria, il “Montrione” per scendere fin presso il casino di Giampietro, da dove raggiungerà la località “Pietragrossa” sopra il bosco Vallaspra e, giungendo per il rapido pendio del terreno sino al nuovo viadotto della strada rotabile di Tornareccio, salirà all’abitato di Atessa, ove l’ottima acqua sarà distribuita. Il progetto, opera poderosa dell’ing. Lino De Cecco di Castellammare Adriatico, è stato rielaborato ed aggiornato dal valente ing. Cassio De Marco dello Studio del cav. ing. Federico De Marco di Pescara. L’ammontare complessivo delle opere da eseguire è di circa L. 1.247.000. Il compimento dei lavori è stabilito in mesi 24. In dipendenza della deliberazione podestarile 15 settembre 1928 – Anno VI, l’onorevole Amministrazione ha indetto per il giorno 16 u.s., nella sede del Palazzo Comunale, l’appalto per l’aggiudicazione del lavoro. Alla gara hanno partecipato numerose ed importanti ditte di costruzioni, restando tra queste vincitrice l’impresa dell’ing. Luigi Cicchitti di Roma. L’ing Luigi Cicchitti, notissimo a Roma per essere stato a capo della Sezione Progetti e Lavori del Governatorato, è un competente in lavori del genere ed è conosciuto ed apprezzato come libero professionista anche in Abruzzo, ove ha eseguiti e diretti importanti lavori; ed oltre che come libero professionista, altresì come esperto costruttore, ha dato saggio della sua mirabile e versatile attività. Facciamo voti che l’acquedotto, sotto l’abile direzione dell’ing. De Marco e la diligente esecuzione dell’ing. Cicchitti, possa presto giungere a felice compimento, cosicché, insieme alle altre opere che si stanno tuttora svolgendo, la città di Atessa potrà assurgere a nuova e radiosa vita. La Ferrovia, prossima ad 165 essere aperta all’esercizio, contribuirà prodigiosamente ad un maggior sviluppo commerciale e ad un miglioramento delle condizioni agricole ed economiche della popolosa città. Ci rallegriamo con l’egregio Podestà e con i suoi zelanti collaboratori, Vice Podestà avv. Gino Rancitelli e Segretario Sulmonetti, per questo energico impulso che si va imprimendo all’Amministrazione, augurando che altre belle ed ardite iniziative producano una più compiuta e radicale trasformazione. Atessa è grata al suo Podestà per la realizzazione di quest’opera. Noi conosciamo l’ing. Cicchitti e possiamo dirci fortunati, perché egli farà opera certamente degna del suo nome. Alla sera, riuniti nella bella sala del Circolo di Conversazione, gli amici vollero esprimere all’ing. Cicchitti tutta la fiducia per la buona riuscita dell’opera gravosa che gli è affidata. Il bel ricevimento si prolungò fino a tarda ora. Allo champagne l’avv. Marcolongo, interprete del pensiero di tutti, brindò all’avvenire di Atessa, salutando con belle parole il festeggiato, il quale commosso ringraziò. Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, 25 ottobre 1928. 26 maggio 1929 - Posa della prima pietra del nuovo acquedotto e benedizione delle sorgenti. L’altra mattina, alle ore 11, uno stuolo di eleganti macchine accompagnava alla contrada Acquachiara autorità, rappresentanti della stampa ed amici dell’ing. Luigi Cicchitti, appaltatore dei lavori del nuovo acquedotto, per la cerimonia della posa della prima pietra della briglia di presa delle sorgenti. A mezzogiorno si era già sul posto, quanto mai pittoresco e suggestivo, ove gli invitati ricevettero cordiali accoglienze dall’ing. Cicchitti e furono accompagnati alle sorgenti. Queste sorgenti, ubicate nella parte montana del torrente Pianelle al Pallano, sono costituite in tre gruppi: il primo, formato di numerosi affioramenti, defluisce da un banco di roccia fratturata ed anticlinale; il secondo, più a monte, si raccoglie alla base di uno 166 sbarramento roccioso, ha una polla grande che si sprigiona da una fessura profonda e costituisce il più importante affioramento; il terzo gruppo è sulla sinistra del torrente, su un piccolo ripiano, a quota superiore alle precedenti sorgenti. Tutte queste acque si stanno ora captando e verranno diligentemente raccolte con gallerie, camere, pozzi ed altre opportune opere di presa in muratura, per essere riunite nel bottino di carico e convogliate nella nuova conduttura. L’Impresa Cicchitti inizia tali importanti opere con la costruzione di una briglia fra il secondo ed il terzo salto. Dopo aver ammirato gli interessanti lavori già eseguiti dall’Impresa, il nostro podestà cav. avv. Nicola Orfeo ha proceduto alla posa della prima pietra della briglia di presa, indi il reverendo don Vincenzo De Francesco ha impartito la santa benedizione alle sorgenti. Dopo la cerimonia l’ing. Cicchitti ha offerto un ricchissimo rinfresco, servito dalla premiata Ditta Piretti Federico, che anche in questa occasione ha rivelata tutta la sua arte nei finissimi lavori in pasticceria. Sono stati inaugurati i lavori dell’acquedotto di Atessa. Subito dopo l’aggiudicazione, l’impresa iniziò, sin dall’autunno, i saggi e le ricerche per la determinazione delle sorgenti. Con difficoltà non lievi, malgrado l’invernata insolitamente rigida, i lavori sono stati continuati, sino a raggiungere, con sbancamenti e movimenti di terra rilevanti e demolizioni di imponenti massi rocciosi, il piano impermeabile di argilla compatta, sul quale poggiano i banchi rocciosi fessurati, attraverso i quali defluiscono le abbondanti sorgenti. L’inizio di queste importanti opere è stato ieri festeggiato dall’intelligente ed attivo appaltatore ing. Luigi Cicchitti, un professionista che deve tutto a se stesso e che onora veramente la sua città. Il podestà cav. avv. Nicola Orfeo ha posta la prima pietra, che il sacerdote don Vincenzo De Francesco ha benedetta. Dopo una minuziosa visita alle sorgenti ed ai lavori, invitati ed operai sopra una spianata verde han consumato, con un appetito che la fresca aura montanina aguzzava, montagne di panini, pieni d’ogni ben di Dio, paste e vermouth e vino e champagne. Nessun discorso, ché il gorgoglio festoso delle sorgenti cantava l’impareg- giabile inno alla natura ed all’uomo; solo dei possenti “alalà” all’ing. Cicchitti e molti auguri per la sua bella opera. Tra gl’invitati: il podestà cav. avv. Nicola Orfeo, il vice podestà dott. Luigi Rancitelli, l’avv. Domenico Ferri, il comm. Tito Codagnone, il cav. uff. Luigi Iovacchini, il cav. dott. Giovanni De Marco, il cav. uff. Giulio Borrelli, il dott. Mario e Guido Serafini, il cav. avv. Alfredo De Francesco, il dott. Giuseppe Ferri, il sig. Giovanni Iovacchini, i dottori Giannetto Giannico e Nino D’Onofrio, il sig. Giovanni Rossi, i signori Giuseppe Giannico, Panfilo Ciancaglini e Franceschino Marcone, il segretario del Comune Sulmonetti, il sig. Filippo Flocco. Gli onori di casa, oltre che dall’ospite, venivano fatti dal figliolo Luzio, dal cugino Domenico Cicchitti e dal sig. Mario Piccirilli. Mentre si svolgeranno con alacre lavoro le opere di presa delle sorgenti, si porrà mano alla costruzione del grande serbatoio, che sorgerà nella località “Pietragrossa”, e alla posa delle tubazioni dell’ultimo sifone. L’ing. Cassio De Marco, direttore dei lavori, sta intanto redigendo il progetto della fognatura, necessario complemento dell’impianto e della distribuzione delle acque. Il Popolo di Roma, 29 maggio 1929. Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, 2 giugno 1929. 167 Gli invitati alla cerimonia della posa della prima pietra. Il rinfresco. 168 Le feste patronali di mezz’agosto Quattro giorni attesi per tutto l’anno: un’occasione per evadere dalla dura normalità e concedersi momenti di svago e divertimento, per riallacciare ed estendere relazioni sociali, trovare stimoli culturali, concludere affari, rinnovare il tributo di devozione ai Nelle Santi Patroni. feste di un tempo, molte iniziative oggi del tutto abbandonate: le cuccagne, le riffe, i voli di palloni aerostatici, le fiaccolate, le tombole, le gare di tiro alla fune, i panegirici predicati da valenti oratori, le mostre dei doni offerti ai Santi, le grandi fiere di bestiame. Un’orazione a S. Rocco e l’immagine del Santo a ricordo delle feste patronali del 1899. Glorioso S. Rocco, che, colpito da morbo pestilenziale nell’atto di servire ad altri infetti e posto da Dio alla prova de’ più spasmodici dolori, domandaste ed otteneste di essere posto lungo la strada, indi da quella scacciato fuori dalla Città vi ricoveraste in povera capanna, ove da un angelo vennero risanate le vostre piaghe e da un cane pietoso ristorata la vostra fame, recandovi ogni giorno un pane tolto alla mensa del suo padrone Gottardo, procurate a tutti e specialmente a questo popolo di Atessa, tanto a voi divoto, la grazia di soffrire con inalterabile rassegnazione le infermità, le tribolazioni, le disgrazie tutte di questa vita, aspettando sempre dal ciel il necessario soccorso. – Gloria. 169 Manifesto del 1899 con il programma dei festeggiamenti. 170 Il banditore. [...] Ed ecco sulla piazza che il nobile banditore fa sentire i gravi squilli del suo corno; tutte le orecchie sono tese e ansiose, da quelle del pacifico speziale a quelle del moccioso garzone. Si fa silenzio intorno. E il banditore, tra il serio e il grottesco, declama il magico programma della festa in onore dei Santi Patroni del paese con le Madonne Miracolosissime della Cintura e della Piana, della Libera e del Carmelo. Ed avverte tutta la cittadinanza che l’alba del domani sarà salutata dal suono di tutte le campane e spari di mortaretti, seguiti dal grandioso bombardamento del re della pirotecnica abruzzese; che si sentirà tosto la reale marcia e il passo doppio della grande banda di Pescasseroli; che il giro della città sarà fedelmente eseguito dalla banda rinomata di Castelguidone. E tra gli sgarri e gli sfondoni, egli scandisce le frasi mirabolanti imparate a memoria: «Si avverto tutta la cittadinanze ch’a dumane, appena jouorne, s’abbalange tutte le campane e s’appiccie il grando sparatorio nghi quaranta crolle di mattarielli aunite a un finalo di cinquanta chicoccie tra mortale e bomm’a risposte. Signori miei, si avverto che il finalo è state composte dal grande matto di Perano, vincitore de lu Casale e re de l’artificio». E qui calca le parole: «Li deputate della festa mandano il salute alle cittadinanze». E il banditore va seguitando la sua cantilena, annunciando le processioni, i divertimenti popolari, i pezzi di musica in piazza, le solenni funzioni in chiesa, lo scoppio di granate, gl’incendi di fuochi pirotecnici, la musica sacra, il panegirico di un valente oratore, i vespri solenni e le riffe e i bombardamenti colorati. Il corno suona a più riprese, mentre il venticello serotino ne porta gli echi giù nelle valli, su per i colli, sino alle borgate vicine. E il buon popolo, fatti i commenti necessari, se ne va beatamente a dormire, sognando i godimenti che l’alba del novello giorno porterà a ricchi e poveri, a mercanti ed artigiani [...] Dino Cicchitti Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, 18 luglio 1926. La fiera. [...] È la festa, è la fiera. È il risveglio di tutta la vallata del Sangro, è il fremito di voluttà che corre tra le corolle odorose dei fiori campestri ergentisi superbi sullo stelo. La folla più variopinta si aggira per la fiera, ed è un gridìo assordante; là, il mercante di maiali protesta per il prezzo, mentre il garzone vestito a festa sfugge al torsolo di ravizzone tiratogli dalla donna fruttivendola per averle preso di sotterfugio una manciata di lupini; qui, la sposa, agghindata come una madonna, fa le lunghe con un rivendugliolo per avere a minor prezzo un anello di oro grosso; là, una contadina, con la toccata di seta striata a vivi colori, contratta ad alta voce una coppia di pollastri, ed il “bardascia” con la coppola nuova dà fiato al palloncino col fischietto, ed il cittadino autorevole parla con enfasi di questioni demaniali. Padroni e garzoni hanno messo in buon assetto le loro merci; il calderaio 171 ha disposto con ordine e simmetria le sue conche e i suoi paiuoli luccicanti, il negoziante ha messo in bella mostra le sue stoffe, il ferraio le sue catene e i suoi arnesi agricoli. Si vede una gran folla intorno ad un tavolo sgangherato, su cui è seduta una donna bendata: è la sonnambula che indovina il futuro [...] Dino Cicchitti Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, 18 luglio 1926. Festa di S. Rocco del 1925. 172 Sport, musica bandistica e spettacoli pirotecnici, le principali attrazioni del Ferragosto Atessano 1933 e 1937. 173 174 Poesia di Giuseppe Antonio Di Nenno per le feste di S. Rocco del 1933. LA FESTE DI SANT’ROCCHE L’annuale contributo degli “affezionati” concittadini d’America. Con la solita puntualità gli atessani di Filadelfia hanno fatto pervenire il loro generoso contributo annuale per le nostre feste patronali di mezz’agosto. Il Comitato promotore di Filadelfia, formato di attivi componenti quali sono gli amici Falcucci Nicola, D’Onofrio Michelangelo, Pompetti Angiolina, Pascucci Beniamino e la vedova del compianto Filippo Zaccagni, ha fatto già pervenire per le feste di quest’anno il contributo di dollari 434,25, pari a lire italiane 269.235. Questa generosa contribuzione annuale degli affezionati concittadini di America deve essere di sprone e di incitamento per il Comitato locale, onde mantenere le feste di S. Rocco all’altezza delle sue tradizioni. San Rocco è festa classica per tutta la comunità atessana; in questa celebrazione, materialmente od in spirito, tutti i figli di Atessa si ritrovano nella loro Città. L’Altoparlante, agosto 1957. 175 Una mostra d’arte e una “sagra” folcloristica tra le manifestazioni del Ferragosto Atessano 1949. Ferragosto atessano 1949 15, 16, 17, 18 agosto icol concorso dei pr Audizioni musicali sandistici di Ate mari complessi b stro Comm. Liberato ae m l da tto re di , sa , s a li n c o n tr a d a Ca i d , zi oz gn a V Cav. Nicola Centodiretto dal maestro o. fanti, e di Piccian Solenni Riti re ligiosi con l’inte rvento di famosi Predicator i e di S.E. Mons. Epimenio Giannico, Vescovo di Trivento. Gare di fuochi pirotecnici a premi. Manifestazioni sportive, grande fiera gastronomica, lotterie speciali e divertimenti vari. ettiva a retrosp r t s o m le Ecceziona URA dell’OTTOCENTO PITT A DELL uole Medie). c S e ll e d o z (Palaz Spettacolare sagra della canzone abruzzese, patrocinata da “Il Momento” e diretta dal maestro Cav. Antonio Di Iorio, con una fantasmagorica sfilata di carri allegorici (18 agosto, ore 18). Il Momento, 13 agosto 1949. 176 Volantino con le manifestazioni in programma per le feste patronali del 1966. 177 L’ i n c r e m e n to d e ll a p r at i c a sportiva negli anni ’30 del secolo scorso Si svolgevano frequentemente , specie durante le feste patronali, competizioni di vario genere: tornei di calcio, corse ciclistiche e ippiche, gare di tiro al piattello, di atletica leggera, di tiro alla fune. Determinante per lo sviluppo dello sport fu la costruzione del campo di gioco sul Colle S. Cristoforo prima e a Fontecicala poi. “Per lo sviluppo dell’educazione fisica della gioventù cittadina”, un campo sportivo – il primo in Atessa – sul Colle S. Cristoforo, in un’area un tempo adibita a cimitero (Delibera Podestarile 18 luglio 1929). Il Podestà Cav. Avv. Nicola Orfeo • Ritenuta la necessità imprescindibile ed improrogabile di provvedere alla costruzione di un campo sportivo per lo sviluppo della educazione fisica della gioventù cittadina; • Considerato che, stante la posizione naturale del paese sulla cresta di una collina terminante quasi a picco da tutti i lati, non è stato possibile trovare nelle vicinanze immediate un sito adatto che, mentre non si tenesse molto lontano dall’abitato – il che sarebbe non agevole né opportuno –, non richiedesse spese enormi per ridurlo in piano; Che perciò è sorta l’idea di costruire il campo sportivo su una spianata comunale nel Colle S. Cristoforo vicinissimo ed attiguo al paese, ove era un antico Cimitero abbandonato da quasi un cinquantennio; • Ritenuto che in tale occasione si può realizzare un nobile e pietoso voto della intera cittadinanza, di togliere cioè le ossa dei suoi avi da un luogo abbandonato e ridotto quasi immondo per raccoglierle e religiosamente riporle nel nuovo Cimitero; • Visto che su tale sito indicato dall’Amministrazione l’ingegnere cav. Luigi Di Iorio si è offerto di eseguire gratuitamente un progetto di campo sportivo, e con ammirevole sollecitudine lo ha presentato redatto in data odierna; • Esaminato il detto progetto in ogni sua parte [...] 178 • Visto che il detto progetto ammontante alla complessiva somma di lire ventiduemila (L. 22.000) merita approvazione; • Ritenuto che la suddetta spesa è contenuta in limiti possibili a sostenersi dal corrente bilancio, in modo da non doversi ricorrere a mutui, il che importerebbe ancora ritardo di tempo [...] determina • Approvare in ogni sua parte il progetto in data di oggi dell’ingegnere Luigi Di Iorio, per la costruzione di un campo sportivo nel Comune di Atessa, per la somma complessiva di L. 22.000 [...] • Provvedere al finanziamento dell’opera con i mezzi del bilancio corrente 1929 [...] Il campo sportivo sul Colle S. Cristoforo, subito dopo l’ultimazione dei lavori di costruzione. 179 1931 - Incontro di calcio nel campo sportivo sul Colle S. Cristoforo. Tessera d’iscrizione, relativa all’anno 1930, rilasciata ad un suo socio dal Club Sportivo “Pro Atessa” aderente al Dopolavoro Comunale. 180 Le manifestazioni sportive del Ferragosto Atessano degli anni 1933, 1934 e 1937. 181 182 Giorno 17 agosto 1934 Corsa ciclistica “II Coppa Città di Atessa” Valevole quale seconda prova del Campionato Abruzzese Dilettanti L’entusiasmo degli sportivi e l’interessamento della cittadinanza per il felice esito della “I Coppa Città di Atessa”, che si corse durante le feste del ferragosto del passato anno, hanno costituito lo sprone perché s’indicesse anche quest’anno una competizione dello stesso genere. Si è accollato questa volta il compito dell’organizzazione il Fascio Giovanile di Combattimento, che già si è messo al lavoro perché la corsa riesca imponente ed assuma vera figura di manifestazione valida per la misurazione delle capacità dei partecipanti e per la valorizzazione di qualche elemento avente requisiti ed attitudini speciali, finora allo stato latente. Il percorso scelto è quanto mai indovinato: la prima parte, e cioè i primi 34 chilometri fino a Castiglione, darà modo agli arrampicatori di sbizzarrirsi nei seicento metri di dislivello da superare; la seconda parte, anch’essa di 34 chilometri fino al bivio di Liscia, costituirà il cavallo di battaglia dei temerari dell’equilibrio e della velocità; l’ultima parte, di chilometri 40, contraddistinta dalla intermittenza di discese e salite e dalla presenza di un gran numero di curve a raggio bassissimo (di speciale rilevanza quelle di Gissi, Carpineto e Casalanguida), solleciterà nei corridori la mobilitazione sincronica della perizia, dell’astuzia e della resistenza. Dal punto di vista tecnico, perciò, il percorso si rivela ottimo. Insuperabile esso è poi dal punto di vista panoramico: boschi meravigliosi dalla gradevole frescura, rocce mastodontiche, valli ubertose di ortaggi fiancheggiano la strada; panorami incantevoli danno all’occhio il senso dell’ammirazione e dell’estasi. I migliori corridori della regione hanno già inviato la loro entusiastica adesione: Falcone, Diodati, De Panfilis figurano già tra gl’iscritti, che finora hanno raggiunto il numero di venti. Anche i paesi attraversati dalla corsa hanno aderito all’invito ed interessamento di questo Fascio Giovanile ed hanno stabilito premi di traguardo come appresso: Tornareccio L. 50, Montazzoli L. 50, Carunchio L. 50, San Buono L. 50, Gissi L. 50, Carpineto L. 20, Casalanguida L. 25. Premi di traguardo vi saranno anche a Castiglione, Guardiabruna e Torrebruna, ma non ancora ci pervengono le cifre esatte, che saranno comunicate ai corridori prima dell’inizio della corsa. Ci risulta ancora che molti appassionati seguiranno la corsa in automobile ed allo scopo hanno fatto già pervenire al Comando di questo Fascio Giovanile domanda per ottenere l’autorizzazione prevista dal regolamento. Tutto quindi lascia prevedere una giornata sportiva meravigliosa: la “II Coppa Città di Atessa” sarà indubbiamente la migliore e la più interessante fra le prove del Campionato Abruzzese. Il Ciclismo, 13 agosto 1934 - XII. 183 Giorno 16 37 agosto 19 iovani ggera tra i G le a c ti e tl Coppa e di a disputa della Grandi gar la r e p , a n 1ª zo Fascisti della ieti”. ederale di Ch F o d n a m o C “ dre di io tra squa lc a c i d contro Importante in isti. Giovani Fasc la para fune con ll a o r ti i he are d opolavoristic d re d Interessanti g a u sq delle migliori tecipazione ia. della Provinc Giorno 18 agosto 1937 Gara ciclistica per corridori indipendenti, dilettanti e Giovani Fascisti 1ª Coppa “Medaglia d’Argento Tano Sante” Valevole per il campionato abruzzese dilettanti Percorso: Atessa - Tornareccio - Archi - Perano - Piazzano - S. Luca - Atessa - Tornareccio B. Colledimezzo - B. Montazzoli - Castiglione M.M. - B. Guardiabruna - Torrebruna Carunchio - B. Liscia - B. S. Buono - Gissi - B. Carpineto Sinello - Casalanguida - Atessa (Km. 138,2). Premi: Classifica generale: al 1. L. 500 - al 2. L. 250 - al 3. L. 100 - al 4. L. 75 - al 5. L. 60 al 6. L. 40 - al 7. L. 25 - all’8. L. 20 - al 9. L. 15 - al 10. L. 15. Categoria inferiore: al 1. L. 40 - al 2. L. 20 - al 3. L. 10. Al 1. Giovane Fascista arrivato L. 30. Premi di traguardo: Tornareccio (1º passaggio) al 1. L. 20 - Archi al 1. L. 30 - Perano al 1. L. 30 - Piazzano al 1. L. 30 - S. Luca al 1. L. 20 - Tornareccio (2º passaggio) al 1. L. 30 - Bivio Montazzoli al 1º L. 30 - Castiglione M.M. al 1º L. 50 - Torrebruna al 1. L. 40 Carunchio al 1. L. 50 - Bivio S. Buono al 1. L. 30 - Gissi al 1. L. 40 - Bivio Carpineto Sinello al 1. L. 30 - Casalanguida al 1. L. 30. Premio di L. 50 al movimentatore della gara. 184 Atessa e i suoi figli illustri Ettore Janni (1875-1956) Redattore per 23 anni al “Corriere della Sera”, di cui all’indomani della caduta del fascismo fu anche direttore per un brevissimo periodo, si affermò come uno dei giornalisti italiani di maggior prestigio del suo tempo. libri di successo. Ebbe anche, come Fu autore di molti deputato liberale, una breve esperienza di vita parlamentare. Tra letteratura e giornalismo. 1) La formazione e l’esordio (1895-1902). Fin dagli anni della giovinezza, Ettore Janni si divide tra letteratura e giornalismo, caratteristica che lo accompagnerà per tutto l’arco della sua esistenza. In entrambi i campi, riuscirà a conquistare vasta popolarità presso i suoi contemporanei. Giornalista, sarà una delle principali e più produttive firme del “Corriere della Sera” di Luigi Albertini. Scrittore, sarà un prolifico e fortunato autore di biografie che godranno di notevole successo: il suo In piccioletta barca, per molte generazioni, costituirà il primo approccio a Dante. Janni esordisce, nel 1895, in Abruzzo, nella duplice veste di scrittore e giornalista. Lo scrittore pubblica, ventenne, la novella Vecchia fede a Chieti. Nello stesso anno, dà alle stampe una raccolta di versi, Accordi lirici, in cui si avverte netto l’influsso carducciano. Il giornalista, intanto, collabora al giornale Domani, diretto dall’anarchico (tale almeno lo definisce la Regia Prefettura di Chieti) Camillo Di Sciullo. Lo stesso Janni, nei rapporti, viene qualificato come “socialista schedato”. Ettore Janni La collaborazione con Domani termina Olio su tela, di Nicola De Francesco, 1992, Biblioteca Comunale. nel 1898. 185 Janni intanto si trasferisce a Napoli e in seguito a Firenze, dove si trattiene sino al 1901. Qui fonda e dirige Il Novello, giornale dalla brevissima esistenza che cessa le pubblicazioni nel 1900. L’anno successivo, nel 1901, Janni si trasferisce a Milano e prende a collaborare con il quotidiano La Lombardia. È, anche questa, una collaborazione di breve durata perché il giovane Janni, che nel frattempo è divenuto liberale (posizione politica, questa, che il giornalista-scrittore conserverà per tutta la vita), viene notato da Luigi Albertini, che lo assume al “Corriere della Sera”. Il periodo di formazione di Janni è importante perché, negli anni giovanili, prendono corpo tre costanti della sua attività: un giornalismo “di intervento” più che di cronaca, come è del resto nel costume dell’epoca; un forte interesse per la letteratura, che lo porterà a farsi apprezzato scrittore in proprio e, come giornalista, creatoredemiurgo del gusto letterario dell’epoca; un forte attaccamento alla sua regione natale, l’Abruzzo, che lo accompagnerà nell’arco degli anni: all’Abruzzo Janni ha dedicato molti articoli e molti saggi. 2) Il “Corriere della Sera” di Albertini (1902-1925). Ettore Janni, come abbiamo detto, entra al “Corriere della Sera” nel 1902. Vi rimarrà per ventitre anni e lo lascerà nel 1925 quando il proprietario-direttore, Luigi Albertini, viene estromesso dal fascismo che, superato il punto critico del delitto Matteotti, si avvia a diventare regime. Nel complesso, Ettore Janni è in sintonia di vedute e di umori con Albertini, anche se fra i due le differenze di opinioni, anche su questioni importanti, non mancano (Janni, per esempio, avversa il fascismo dal primo momento, a differenza di Albertini). E nel “Corriere della Sera”, che proprio allora acquisisce la sua statura, Janni svolge un’attività multiforme scrivendo, per molti anni, anche due articoli al giorno. È, tanto per incominciare, l’elzevirista principe del quotidiano milanese: quasi tutti i giorni, i lettori vanno alla ricerca del suo pezzo, firmato “Praetor de minimis”. È, inoltre, uno dei principi della terza pagina, uno degli scrittori che più contribuiscono a plasmare il gusto del pubblico. A settimane alterne, pubblica articoli piuttosto lunghi dedicati alle novità librarie. E il suo parere, nel mondo letterario, conta: secondo gli storici del giornalismo, la figura di Janni come critico letterario godette di molto prestigio e venne ricordata a lungo anche dopo il suo abbandono del “Corriere”. Riuscì a soppiantarlo, molti anni dopo, soltanto Pietro Pancrazi. Janni è, infine, un notista politico importante per comprendere gli umori del tempo e i dissidi che agitavano il campo liberale. Alcuni suoi editoriali antigiolittiani (quello contro il discorso del Dronero, per esempio, dove Giolitti viene definito “il bolscevico dell’Annunziata”) sono tuttora citati. Alla politica Janni non si dedica soltanto da commentatore: eletto deputato di Chieti alla XXV legislatura, nel 1919, si iscrive al “Gruppo di Rinnovamento”, fondato dagli ex combattenti. L’esperienza parlamentare gli ispira un libro di notevole interesse, Memorie di un deputato, edito nel 1921 da un editore ai primi passi: Arnol186 do Mondadori. Tra il 1922 e il 1925 Janni partecipa alla fondazione del partito liberale. Nel 1924, è uno dei sottoscrittori del “manifesto degli intellettuali” redatto da Benedetto Croce in contrapposizione al “manifesto degli intellettuali fascisti” di Giovanni Gentile. Sempre in quel periodo, Ettore Janni è uno degli esponenti più in vista dell’Associazione dei Giornalisti, il sindacato della categoria. A partire dal 1925, dopo l’abbandono del “Corriere”, comincia per Janni un periodo ai margini della professione, che durerà sino al 1943. 3) L’esilio in patria (1926-1943). Lasciato il “Corriere”, Ettore Janni si terrà ai margini del giornalismo per quasi un ventennio: saltuarie – e poco impegnative – collaborazioni con un quotidiano torinese (La Stampa? La Gazzetta del Popolo? I biografi non lo riportano), la direzione di una rivista destinata ai medici, Il giardino di Esculapio. Si tratta di un’esperienza, quest’ultima, meno stravagante di quanto a prima vista possa sembrare. Il giardino di Esculapio infatti, nonostante il nome, non è una rivista medica in senso stretto; anzi, di tecnico non ha niente. È, piuttosto, una rivista di umanità varia, dove il talento dello Janni elzevirista e glossatore dei classici rifulge. Il giardino di Esculapio, durante il ventennio, diventa per Janni, che oltre a dirigerlo lo redige quasi tutto lui, la principale risorsa economica. Parallelamente, si sviluppa l’attività dello scrittore. Nel 1924, appaiono due libri fortunati, Colombo e In piccioletta barca. Libro della prima conoscenza di Dante, editi entrambi da Alpes. Nel 1925 è la volta di Savoia (Bertieri e Vanzetti), a cui fanno seguito nel 1927 Machiavelli (Cogliati) e Le vie del santo. Spiriti e luoghi del poema francescano (Istituto Italiano di Arti Grafiche). Dopo questi libri, c’è un periodo di silenzio che dura per nove anni. Viene interrotto, nel 1936, dalla pubblicazione di Rapsodia abruzzese (Moneta) e, nel 1940, da Vita di Antonio Raimondi (Mondadori). Oltre a queste opere, l’impegno letterario di Janni in questo periodo è testimoniato dalla traduzione di due opere francesi di Gabriele D’Annunzio (Il martirio di San Sebastiano e La Parisina). La vita di Ettore Janni che è più agevole documentare, per il periodo 1926-1943, è tutta qui. Quanto all’impegno politico, si sa che il Casellario Centrale continua ad essere alimentato da rapporti che lo descrivono “avverso al Governo fascista”. In una delle sue opere, lo storico Tranfaglia cita di sfuggita Ettore Janni come uno dei promotori del nucleo originario di Giustizia e Libertà, nel 1929: del giornalista abruzzese però non appare traccia nelle vicende successive dell’opposizione antifascista. È verosimile pertanto che egli, come molte altre figure del liberalismo prefascista, si sia limitato al dissenso intellettuale senza però impegnarsi in attività politiche specifiche. 4) La fine del fascismo, la Resistenza e il dopoguerra (1943-1956). Il 25 luglio 1943, Ettore Janni viene chiamato dai Crespi, proprietari del “Corriere della Sera”, a dirigere il quotidiano milanese. La sua vicenda di direttore durerà 187 per i quarantacinque giorni che vanno dal 25 luglio all’8 settembre. La nomina di Janni a direttore, voluta dalla proprietà nell’illusione di far rinascere un “Corriere” prefascista, è avversata dai redattori più giovani, che vorrebbero al suo posto oppositori al regime un po’ più impegnati. Il brevissimo periodo della direzione Janni non lascia comunque molte tracce, anche perché, con il razionamento della carta, i quotidiani di allora, “Corriere” compreso, sono ben misera cosa: due pagine scritte e stampate alla meno peggio. L’8 settembre del 1943, Ettore Janni ripara in Svizzera, dove darà vita a un giornale di profughi antifascisti, L’Italia e il Secondo Risorgimento. Molti degli scritti di questo periodo confluiranno nel volume L’Italia ieri e domani (Dall’Oglio, 1946). Con la Liberazione, Janni ritorna a Milano, dove dirigerà sino al 1946 il quotidiano liberale L’Italia, sostituendo Giustino Arpesani. Poi, il ritiro definitivo dal giornalismo attivo: continuerà a collaborare a quotidiani e periodici lombardi (Corriere Lombardo, Il Sabato del Lombardo), prenderà parte all’attività associativa della categoria (nel 1950, al terzo congresso della stampa italiana, interviene sull’etica giornalistica), ma la sua attività prevalente tornerà ad essere quella di scrittore. Quattro, oltre al volume citato, i libri di Ettore Janni editi nel dopoguerra: Galileo (Ed. Genio, 1948), Elogio di Luigi Albertini (Stamperia Artistica Nazionale, 1952), Un tempo, un uomo: Bartolo Belotti (Ceschina, 1952) ed il romanzo postumo Il secondo uomo (Zambolin, 1958). Assieme all’attività di scrittore Janni si dedica in quel periodo all’opera di curatore di classici. Curati da lui, Rizzoli pubblica il Marco Visconti di Tommaso Grossi (1953), Il Principe di Nicolò Machiavelli (1950) ed i Ricordi di Francesco Guicciardini (1951). L’ultimo lavoro di Ettore Janni come curatore di testi letterari è il monumentale Poeti minori dell’Ottocento pubblicato in due volumi, sempre da Rizzoli, nel 1955-58. L’ultimo periodo di attività di Janni va inquadrato nel clima di mutamento che caratterizza la stampa italiana. Liberata dal bavaglio della censura fascista, la stampa italiana abbandona il modello del “giornalismo di opinione” che, ereditato dall’Ottocento, l’aveva contraddistinta soprattutto durante il periodo giolittiano. Per il pubblico assetato di novità del dopoguerra emergono, in campo politico, nuove formazioni che relegano il partito liberale ad un ruolo marginale; e in campo giornalistico si afferma la figura del cronista, del “narratore di fatti”. Per Janni, in questo panorama, c’è sempre meno spazio: continuerà ad occupare un ruolo dignitoso ed importante di giornalista-scrittore, ma sarà quest’ultimo aspetto della sua attività a prevalere. Nadja Bartolucci Roberto Casalini Gian Marco Walch Proposta di schema per un Convegno di Studio su Ettore Janni, Dattiloscritto inedito, 1984. 188 Atessa e i suoi figli illustri Giuseppe Menotti De Francesco (1885-1979) Provveditore agli Studi a 27 anni, sei volte eletto alla carica di rettore dell’Università di Milano, deputato al Parlamento, presidente o componente del consiglio direttivo di prestigiose istituzioni culturali, giurista insigne, autore di innumerevoli pubblicazioni. Una vita di studio e di laboriosa attività, costellata di grandi traguardi. Nato ad Atessa, studiava da sé, mentre insegnava, per ottenere la licenza liceale. Laureato in legge, era nominato per concorso segretario al Ministero della Pubblica Istruzione. Provveditore agli Studi a 27 anni, prima a Reggio Calabria e poi a Catania, a seguito di concorso nazionale. Già Libero Docente di diritto amministrativo e scienze dell’amministrazione, ebbe all’Università di Catania l’incarico di diritto costituzionale. Nei primi mesi del 1918, durante la prima guerra mondiale, mentre era Provveditore a Catania, fu scelto dal Capo del Governo Vittorio Emanuele Orlando a capo della censura della stampa di Milano. Dopo la soppressione degli uffici autonomi di censura nella stampa, nel settembre 1919, per quanto lusingato nel suo amor proprio da una possibile più alta destinazione offertagli dal Presidente Nitti, si dimise anche da Provveditore per riprendere gli studi sospesi. Dopo pochi anni, era professore di ruolo nelle Università di Urbino, Messina, Pavia e Milano in diritto amministrativo o diritto costituzionale. Preside della facoltà di legge dell’Uni- Giuseppe Menotti De Francesco, versità di Milano dal 1935 al 1943 e suc- nelle vesti di Rettore dell’Università di Milano. 189 cessivamente Rettore, rieletto per sei trienni consecutivi. Eletto Senatore nel II collegio di Milano e Deputato nel collegio Bari-Foggia. Componente del Primo Consiglio Superiore della Magistratura sino al 1963, ne presiedette tutte le commissioni. Presidente della Conferenza permanente dei Rettori delle Università italiane dalla fondazione, confermato sempre dai colleghi anche dopo il collocamento a riposo. Presidente dell’Accademia Lombarda di Scienze e Lettere e, per oltre 22 anni, dell’Istituto del Medio ed Estremo Oriente (IS.M.E.O.), sorto a Milano a sua iniziativa per la diffusione della cultura e delle lingue giapponese, cinese, hindi, arabo, russo. Presidente dell’associazione dei cittadini benemeriti del Comune e della Provincia di Milano. Componente del Consiglio Direttivo del Centro Nazionale di Prevenzione e Difesa Sociale, del Consiglio Superiore delle Accademie e Biblioteche presso il Ministero della Pubblica Istruzione e dell’Unione Nazionale delle Accademie. Già componente del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione e dell’Ordine degli avvocati di Milano. Fu autore di oltre 80 pubblicazioni in diritto amministrativo, costituzionale, internazionale, di parecchi discorsi parlamentari ed extraparlamentari e di molte relazioni inaugurali degli anni accademici dell’Università, dell’Accademia Lombarda di Scienze e Lettere, dell’ IS.M.E.O. e di altre istituzioni. Giuseppe M. de Francesco, Una vita dedicata alla Scuola e al Paese, Edizioni Virgilio, Milano 1974, risvolti di copertina. 190 Busto di bronzo elevato a Giuseppe Menotti De Francesco all’entrata principale dell’Università di Milano. Pagine autobiografiche: L’infanzia e la fanciullezza in Atessa. Una nascita da modesti genitori la mia: una mamma maestra elementare giovanissima di appena ventidue anni e un papà presso a poco della stessa età, semplice scrivano avventizio del Comune di Atessa, ove sono nato, centro piuttosto importante a quei tempi, con una popolazione di oltre diecimila abitanti comprese le frazioni e, come tale, tra i comuni più popolati della provincia di Chieti, dopo il capoluogo della provincia e i comuni di Lanciano e di Vasto, allora entrambi capiluogo di circondario. Il bambino si mantenne sano e rigoglioso nei mesi che seguirono alla nascita, se non che, ad un certo momento, una precocità insolita nella pronuncia delle prime parole, una precocità che meravigliò il medico di casa, e si diffuse a parenti ed amici in tutto il vicinato, determinò, dopo breve periodo, una grave menomazione del fisico del bambino e un arresto così grave precisamente nella parola, arresto che durò per quasi due anni, suscitando profonda preoccupazione nei genitori e nei parenti. Finalmente il fisico si riebbe, la parola tornò e fu una festa che il papà, la mamma, i nonni ricordavano ancora con commozione quando io ero ormai più grandetto e frequentavo le scuole elementari. E a scuola, dalla prima elementare alla quinta, dicono che ero davvero uno scolaro non comune: sempre attento, pronto, disciplinato, sempre primo della classe con distacco sensibile dai compagni anche bravi. Soprattutto nel comporre non avevo rivali, e questo lo dovevo in gran parte alla mamma, che mi obbligava a leggere pagine e pagine di libri adatti alla mia età e alla mia preparazione, e a mandare a memoria brani di prosa scelta di letteratura infantile, che finivano col giovare a predisporre quasi l’orecchio al periodare degli autori. Ma se a scuola ero bravo e disciplinato, non altrettanto ero fuori della scuola. Qui una vivacità persino eccessiva, una forza fisica esuberante, uno spirito talora audace e orgoglioso non poteva non manifestarsi, e manifestarsi specialmente con i compagni della stessa età anche se non compagni di scuola, e con questi ultimi non poteva non avere qualche riflesso la consapevolezza del primato nella classe, che essi mi riconoscevano con onesta arrendevolezza. Nei giochi, nelle sfide, nelle lotte fanciullesche di gruppi in contrasto, nelle iniziative più svariate, specie nei giorni di festa, nelle marce con sciabolette e armi di canna ad imitazione dei soldati, quasi sempre unanime era la mia designazione al comando da parte dei compagni, ma se qualche volta mancava o era contrastato questo riconoscimento, allora spesso testarda e prepotente si affermava la mia ragione ed erano quasi sempre botte agli avversari ed oppositori e si finiva male per tutti. In famiglia da parte mia e di mio fratello Gigino, nato poco più di un anno dopo di me, si doveva filare diritto: non era tanto il papà a trattarci severamente con scappellotti e peggio, ma lo faceva a tratti, e solo al momento in cui veniva a scoprire certe nostre marachelle, mentre la severità della mamma era continuativa: erano rimproveri ad ogni passo falso, ammonimenti talora aspri, tal’altra affettuosi, ma assolu191 tamente immancabili, e soltanto in via eccezionale si manifestava attraverso qualche schiaffo e qualche digiuno. Per fortuna la severità dei genitori era addolcita dalle preferenze dei nonni e della zia, la sorella di papà che viveva con noi, per i quali i due nipoti erano la costante loro cura affettuosa e la generosa copertura delle tante numerose scappatelle dei piccoli. [...] un episodio mi sembra meritevole di richiamo, perché altamente significativo per il domani del giovinetto. Questo: Si svolgevano le elezioni politiche col sistema uninominale per la rinnovazione della Camera dei deputati. Ad Atessa, capoluogo del collegio, passavano i candidati che, in comizi più o meno affollati, sostenevano la loro candidatura. Fra questi candidati era l’on.le Giampietro, che credo fosse il deputato uscente. Mio padre volle partecipare al comizio pro Giampietro, e condusse anche me ad ascoltare il discorso del candidato, che parlò dal balcone del palazzo Spaventa, il palazzo del sindaco di Atessa, principale sostenitore di Giampietro. Cosa disse l’oratore, io, giovinetto di nove o dieci anni, non compresi tutto, ma compresi una parte, sia pure minima, forse perché espressa con parole più semplici e intelligibili. Tornato a casa sentii un bisogno irresistibile; salii su una sedia e mi diedi ad alta voce ad imitare Giampietro nel gesto e a ripetere, con fare serio, come potevo, quel poco che avevo capito del suo discorso, mentre il papà e la mamma e tutti di casa mi ascoltavano sorpresi e ridendo insieme. Alla fine, sceso dalla sedia, mentre i miei mi prendevano in giro, gridai alto e forte: « Vedrai, papà, che farò un giorno anch’io come Giampietro, e parlerò anch’io dai balconi delle case come lui! ». Profeta di se stesso quel bambino? Forse. Ad ogni modo, cinque anni dopo, proprio il giovinetto che, salito sulla sedia cinque anni prima, imitava l’on.le Giampietro e ne riferiva, come poteva, il discorso elettorale ai suoi cari sorpresi e ridenti, era colui che commemorava ad Atessa, alla presenza delle autorità e della cittadinanza, la morte di Sua Maestà il Re Umberto I assassinato a Monza nel 1900, suscitando la sorpresa, ma anche l’ammirazione di tutti, anche se il discorso non poteva essere che il discorso retorico di un modesto studente appena appena fornito del diploma della scuola tecnica, conseguito brillantemente proprio in quei giorni. I cinque anni della scuola elementare erano trascorsi ed io avevo conseguito brillantemente la relativa licenza. Si trattava ora di sapere che cosa fare di questo giovinetto promettente: avviarlo ad un mestiere o agli studi? A quei tempi non vi era, al mio paese, che la sola scuola elementare, onde le famiglie che volevano che i loro figli continuassero gli studi alle scuole secondarie, dovevano decidersi a mandarli fuori di Atessa e a sopportare le relative spese. Non vi era altra via. Il problema, dopo la mia licenza elementare, si presentò così ai miei genitori; ma il piccolo stipendio di L. 720 annue della povera maestra elementare, una somma che oggi non è sufficiente come compenso del lavoro di una sola ora di una cameriera, e il pochissimo guadagno di mio padre, non incoraggiavano, certo, a sopportare la spesa necessaria perché il primogenito potesse continuare gli studi fuori di Atessa. E in famiglia la mamma, per una decisione positiva a favore del figlio, doveva superare le resistenze di mio padre, il quale, preoccupato dei bisogni familiari, non 192 era sostanzialmente ben disposto per la continuazione degli studi da parte del primogenito, tanto più che, a distanza di poco più di un anno, seguiva l’altro figlio, cui non poteva non farsi – e ciò sarebbe stato impossibile – lo stesso trattamento che si faceva per me, anche perché mio fratello già dimostrava spiccata, notevole attitudine per quegli studi di musica, per cui un giorno sarà apprezzato in America come direttore di orchestra nei primi anni dei trionfali richiami di Hollywood, e successivamente come autore di molte pubblicazioni nel campo della musica adatte all’ambiente americano. Si aggiunga che, proprio in quel tempo, era nato il terzo figlio maschio, il che rendeva ancora più preoccupante una decisione come quella voluta dalla mamma. Ma la fermezza di lei la fece tetragona nel suo proposito, e fu questa fermezza, fu questa disposizione ad ogni privazione, ad ogni ostacolo materiale e, occorrendo, ad ogni sacrificio, che consentì di superare l’indecisione dei famigliari e permise il mio avvio agli studi secondari. E qui sorse un’altra indecisione. Quale scuola secondaria iniziare? Bisognava scegliere tra la scuola tecnica ed il ginnasio, non essendovi allora funzionante una scuola media unica. La mamma e il mio maestro dell’ultima classe elementare riconoscevano che le prove date da me sino allora avrebbero chiaramente consigliato l’iscrizione al ginnasio, ma prevalse, e non poteva essere diversamente, date le condizioni economiche della famiglia, l’iscrizione alla scuola tecnica, che avrebbe consentito una più facile inserzione, una volta conseguito il relativo diploma di licenza, in qualche modesta forma di lavoro retribuito. Ed eccomi studente alla scuola tecnica di Lanciano, città ad una quarantina di chilometri distante da Atessa, e centro importante pure nel campo degli studi, dove da poco era stato istituito anche un liceo classico pareggiato. L’anno scolastico trascorse alla scuola di Lanciano con risultati molto soddisfacenti, ma poteva trascorrere meglio se non fossi stato tormentato da una nostalgia del paese natio, della famiglia, dei vecchi compagni di scuola, che mi faceva soffrire non poco ad intervalli, così che la stessa severità della mamma finiva col cedere, e consentire frequenti ritorni al mio paese, profittando della vicinanza tra Lanciano e Atessa e la relativa facilità dei trasporti. Per quanto la promozione dalla 1ª alla 2ª classe fosse avvenuta con votazioni brillanti in tutte le materie, specie in italiano, tuttavia la mamma pensò bene di evitare un ritorno alla scuola tecnica di Lanciano, e sentì l’opportunità, nel mio interesse, di mandarmi in collegio a vivere insieme con altri scolari, in una comunione più calda di amicizie, e di scegliere una sede lontana da Atessa, senza vie di comunicazioni agevoli e frequenti, in modo che, anche volendo, non sarebbero state facili le interruzioni di scuola col ritorno in paese ogni tanto e conseguente immancabile mio danno. Fui così mandato ad Agnone, al Collegio Bonanni, un convitto privato che godeva buon nome, non solo in provincia di Campobasso, di cui faceva parte il comune di Agnone, ma anche nella mia provincia di Chieti, contigua a quella di Campobasso [...] Giuseppe M. de Francesco, Una vita dedicata alla Scuola e al Paese, op. cit., pp. 11 sgg. L’invito, da parte di Mussolini, ad accettare la carica di 193 Ministro dell’Educazione Nazionale o della Giustizia (27 maggio 1944). Particolarmente lusinghiero e delicato fu l’invito ad accettare la carica di Ministro dell’educazione o della giustizia che, il 27 maggio 1944, mi venne offerta dal capo del governo della Repubblica sociale con una comunicazione scritta di propria mano da Benito Mussolini e indirizzata al capo della polizia Parini, così formulata: «Caro Parini, domandate al prof. de Francesco, rettore magnifico dell’Università di Milano, se sia disposto ad accettare la carica di Ministro dell’Educazione Nazionale o della Giustizia. Tutto ciò col massimo riserbo da parte vostra e sua. Mussolini». Risposi ringraziando, come mio dovere, ma nel contempo facendo presente le mie scuse se non potevo accettare, perché impegnato senza possibilità di sostituzioni per la vita stessa dell’Università di Milano, la quale correva il rischio della chiusura e della rovina se non avesse potuto contare sull’opera mia. Giuseppe M. de Francesco, Una vita dedicata alla Scuola e al Paese, op. cit., pp. 163-164. 12-13 ottobre 1973 - L’ultimo soggiorno di Giuseppe Menotti De Francesco ad Atessa, in occasione delle onoranze rese dalla Scuola Elementare alla memoria di sua madre, maestra Elisabetta De Marco. Ad iniziativa della Scuola Primaria, la cittadinanza di Atessa ha reso solenni onoranze alla memoria della luminosa figura della maestra Elisabetta De Marco De Francesco, adorata madre del Magnifico Rettore dell’Università di Milano. Al suo arrivo, il prof. Giuseppe Menotti De Francesco veniva invitato dal comitato organizzatore all’Hotel Cicala, dove è stato servito un lauto pranzo. Al levar delle mense, il pubblicista avv. Giuseppe Marcolongo brindava, con belle parole, in onore dell’illustre ospite tornato nel paese che ha l’orgoglio di avergli dato i natali. Il Professore lo ringraziava, abbracciandolo e pronunziando commosse parole. Chiu194 deva la prima parte delle manifestazioni il Sindaco prof. Benedetti con un vibrante “bentornato” a nome della cittadinanza. A sera veniva poi offerto un ricevimento al Circolo degli Amici e per l’occasione il dott. Nino Falcucci porgeva il saluto suo e dei soci al prof. De Francesco. Faceva seguito un divertente recital del dott. Di Nenno che, tra scroscianti applausi, declamava le poesie dialettali del padre. Il mattino seguente nella sala consiliare, gremitissima, dopo un breve intervento dell’Assessore alla P.I. prof. Castronovo, pronunziava il discorso ufficiale il Sindaco, che rievocava, in brillante sintesi, i grandi meriti dell’in- dimenticabile educatrice. Subito dopo, un’altra significativa cerimonia si svolgeva nelle scuole elementari, alla presenza del Vescovo Don Benedetto Falcucci, di una larga rappresentanza della scolaresca, nonché dell’élite della cittadinanza. Dopo un bel coro di bambini, diretto da mons. Giuseppe Pili, prendevano la parola il Direttore Didattico prof. Giuliano Sabàto, l’Ispettore Scolastico in rappresentanza del Provveditore agli Studi impossibilitato a partecipare, l’Assessore Regionale avv. Angelucci, l’ins. Antonietta Di Iorio e l’avv. Luigi Rancitelli. Rispondeva a tutti, con forbito eloquio, il prof. De Francesco. Nell’atrio della scuola veniva, infine, scoperta la lapide commemorativa. Il merito delle riuscitissime manifestazioni va attribuito principalmente al comitato organizzatore, egregiamente presieduto dall’ins. Ivana Cinalli. Per l’occasione è stato redatto un giornale, con belle fotografie della Maestra e dei suoi tre figli, a cura di un comitato composto da Ivana Cinalli, Giuseppe Marcolongo, Nino Falcucci, Nicola Simone, Tommaso Marcolongo, Giovino Scogno, Adele Cicchitti, Diego Castronovo, Nicola Colantonio e Gino Pomilio. La Voce, ottobre-novembre 1973. 13 ottobre 1973 - Giuseppe Menotti De Francesco festeggiato nella sala consiliare del Comune al suo ritorno in Atessa in occasione dell’intitolazione della Scuola Elementare al nome di sua madre. 195 Miscellanea 3 aprile 1875 - Il Consiglio Comunale delibera la costruzione di un nuovo cimitero, in conformità delle disposizioni emanate in proposito dalle superiori autorità. Presenti l’assessore anziano Giacinto Vaselli, facente funzioni di Sindaco, e i consiglieri Ciancaglini Gennaro, Codagnone Nicola, De Francesco Tito, De Marco Tommaso, De Ritis Ernesto, Falcucci Francesco, Falcucci Luigi, Ferri Tito, Flocco Filippo, Grumelli Francesco, Lizzi Tito, Marcolongo Giuseppe, Mastrocecco Gennaro, Rossi Oreste, Rotolo Clemente, Rucci Tommaso, Spaventa cav. Vincenzo. Proposta dell’assessore anziano Giacinto Vaselli, facente funzioni di Sindaco È disposizione superiore che ogni Comune per tutto il volgente anno abbia un cimitero costruito a sistema d’inumazione, e non di tumulazione espressamente vietata per ragion d’igiene, salva la eccezione di cui all’Art. 59 del Regolamento sulla Sanità Pubblica approvato con Regio Decreto 6 Settembre 1874, N. 2120, per la sola parte dell’area riservata a sepolcri privati. Questo novello cimitero, secondo le istruzioni date, dev’essere dieci volte più esteso dello spazio necessario pel numero presunto de’ morti che debbono essere sepolti in ciascun anno e dev’essere chiuso all’interno di un muro, in modo che la sua area non può essere minore di metri quadrati 8.457,80, oltre lo spazio occorrente pei viali e oltre quello per le sepolture private, per la camera mortuaria e per ogni altra fabbrica che si credesse aggiugnere, sia ad uso di cappella sia ad altro uso. Per tutto il resto che riguarda tale costruzione potete leggere, oltre al citato Regolamento che vi esibisco, la nota benanche del Signor Sotto-Prefetto del Circondario, in data 25 Marzo ultimo, N. 1834, con la quale autorizzando la vostra convocazione straordinaria ha dato delle delucidazioni in proposito. Urgendo quindi di provvedere senz’altro a questo importante ramo di servizio, io v’invito a mettere a pronta disposizione della Giunta una competente somma per la formazione del progetto d’arte del cimitero in parola e per la scelta del luogo in cui dev’essere costruito, mentre nell’attualità la cassa comunale non presenta alcuna somma di cui si possa disporre, quantunque nel bilancio corrente fosse stabilita la somma di L. 11.442,11 per tale costruzione. Il Consiglio • Lette le note del Signor Sotto-Prefetto del Circondario, in data 25 Marzo ultimo, N. 1834; 196 • Letto il Regolamento sulla Sanità Pubblica approvato col Regio Decreto 6 Settembre 1874, N. 2120; • Visto che nel Bilancio in corso è stanziata la somma di L. 11.442,11 in complesso per la costruzione di un cimitero in questo Comune [...] • Attesoché la cassa comunale non presenta attualmente alcuna somma di cui si possa disporre ed urge di far fronte alla spesa occorrente per la formazione del parlato progetto e per la scelta del luogo ove debba essere costruito il cimitero in discorso; • Attesoché il Tesoriere Municipale, quando la cassa è in deficit, è tenuto a fare degli anticipi in forza della deliberazione di esso Consiglio in data del dì 29 Gennaio ultimo, N. 85, superiormente approvata [...] Delibera Che il Tesoriere Municipale Sig. Floro Falcucci faccia l’anticipo di L. 500 al Comune per la spesa del progetto d’arte del cimitero suddetto e per la scelta del locale in cui devono gettarsi le sue fondamenta. Egli avrà diritto all’interesse dell’uno per cento al mese sulla prefata somma di L. 500, conformemente alla deliberazione del 29 Gennaio ultimo, N. 85. Una croce in contrada Pili, a ricordo della “Missione” del 1900. Per causa del cattivo tempo, non prima di domenica 16 corrente poté piantarsi la Croce nella contrada Pili, come ricordo della Missione predicatavi da Mons. Camillo Tiberio e dal suo fratello benedettino. Quei buoni fedeli, avvertiti già la domenica precedente, si fecero trovare raccolti nella loro chiesina all’arrivo di Mons. Tiberio, ricevuto con segni di sentita riverenza ed affetto. Dopo la celebrazione della S. Messa, in cui vi fu opportuna omelia, mossero verso il luogo destinato all’impianto della Croce, recitando divotamente il Santo Rosario. Quivi giunti, si procedé alla benedizione ed alla adorazione della Croce; dopo di che lo stesso Mons. Tiberio rivolgeva alla devota adunanza un affettuoso fervorino. Era veramente uno spettacolo edificante vedere su quella amena collinetta e sotto un cielo di zaffiro quei fedeli, tutti prostrati e silenziosi, ascoltare con vivo trasporto la parola del Signore. S’intuonò poi l’inno Evviva la Croce e divotamente cantando si fe’ ritorno in Chiesa. Possa quel Santo Segno di nostra Redenzione rendere sempre più viva in quel popolo la tradizionale religiosità e riempire intelletti e cuori, persone e famiglie della sua benedizione salvatrice! L’Eco degli Abruzzi, 29 dicembre 1900. 197 20 febbraio 1902 – “Simpatica riunione” in casa dei Baroni Mascitelli, con ballo e tradizionale rottura delle pignatte. Le beghine si battano il petto ed i preti si facciano il segno della croce. Anche la prima domenica di quaresima, il tempo delle penitenze e dei digiuni, la famiglia dei Baroni Mascitelli, sempre squisitamente cortese, ha riunito nelle sue sale una folla di Signore e Signorine ed una turba maschile più o meno irrequieta. La rottura delle rituali pentole di creta dette causa alla simpatica riunione; ma, credetemi, i poveri cocci videro squarciarsi il ventre per un puro convenzionalismo, e gl’invitati, tutti autori materiali o complici necessarii dello sterminio, non meritarono davvero la generosità dei poveri pignatti, che river- sarono fiori e bomboni nella sala. Gli onori di casa furono fatti, con quella signorilità che li distingue, dai fratelli Mascitelli, dalla Baronessa Giulia e dal figlio Felicetto, un geniale cantore di canzoni napolitane. Fra le intervenute, ricordo le Signore Elisabetta Serafini, Teresa Grumelli, Caterina De Ritis, Clotilde Esposito, Maria De Francesco, Barbara, Maddalena e Giovannina Falcucci e le Signorine Marcolongo, Ferri, Falcucci e Vaselli. Alle undici fu aperto il buffet, ricchissimo; alle quattro... i ballerini si ricordarono ch’era quaresima. Lo Svegliarino, 23 febbraio 1902. 5 novembre 1903 – Un matrimonio evangelico. Ieri sera la nostra Chiesa presentava un aspetto imponente. Oltre 200 persone si trovavano nel nostro locale per assistere ad un matrimonio evangelico. Il pastore spiegò prima come il matrimonio sia un fatto civile e davanti alla legge civile debba essere compiuto, poi la Chiesa domanda a Dio di benedire la unione. Poi fu benedetto il matrimonio del nostro fratello Giuseppe N. Pellegrini colla Sig.na Rosaria Costantini. Il numeroso uditorio fu soddisfatto della semplicità della cerimonia. L’Evangelista, 12 novembre 1903. Un’ “allegra brigata” di dame e cavalieri del 1905 in trattenimento conviviale a Vallaspra. Io penso che mai le mura del convento, posto sull’amena collina, abbiano visto spettacolo più bello di quello che la eletta schiera di dame e la brigata gioconda di cavalieri offrivano domeni198 ca in quel pomeriggio che resterà impresso come vago ricordo nelle memorie nostre. E la sala, che accolse i banchettanti, quasi un centinaio fra grossi e piccini, tutta verde per festoni ed olezzante di fiori, dové ascoltare meravigliata, in luogo delle preci dei frati salmodianti pur nel desinare, tanto lieto rumore di voci incrociantisi dall’una all’altra estremità con espressione palese di gaudio. Fuori, dell’addobbo s’era presa la cura madre natura. Erano i prati verdi, gli alberi folti d’ombra e attorno attorno tanti fiori dalle corolle strane, dai colori vivaci e dal profumo tenue. Tre ore durò l’allegro banchettare, ché molte erano le portate e molti furoni i brindisi. Ecco il menu: Antipasti - Timpano - Genovese Bracioline - Petits pâtés e cotolette Zuppa inglese guarnita - Formaggi e frutta - Vini da pasto e desserts - Caffè. Della cucina s’erano prese la pesante cura delle signore gentilissime, le quali si ebbero nutriti applausi di gratitudine. Ad ogni piatto con la solita verve l’Avv. Nicola Orfeo fece un brindisi rimato. In fine brindarono i signori Attilio Falcucci e G. Amedeo De Francesco, ringraziando le signore intervenute e compiacendosi della splendida riuscita della festa; e l’Avv. Domenico Ferri, il quale bevve alla giovinezza. Tutti furono applauditissimi. Poi cominciarono le danze sul prato e sotto il porticato del convento. Alle otto l’allegra brigata, dolente, prese la via del ritorno in una massa di signore, di signorine, di cavalieri. Precedeva un concertino mandolinistico, composto dai signori Ciccillo Vaselli, Carlo ed Emilio Sabatini e Federico Piretti, che durante tutta la via suonò marce e ballabili. La strana processione, lumeggiata da lampade d’acetilene, rientrò in Atessa alle nove, e nelle sale del Circolo con un brillante cotillon a mezzanotte si pose fine alla festa. Agli ordinatori della giornata veramente magnifica, signori Attilio Falcucci, Giuseppe Marcone, Giulio Borrelli, tutti gl’intervenuti espressero grazie vivissime per la diligente e geniale preparazione. Ecco ora un elenco di nomi, completo il più ch’è possibile: Signore: Barbara Falcucci, Virginia Falcone, Rosalinda Vaselli, Sofia Orfeo, Amalia Codagnone, Giacinta Marcone, Giovannina Falcucci, Concettina Ferri, Adelina Marcone, Concettina Colalé, Elisabetta Serafini, Maria De Francesco, Rosa De Ritis-Siboni, Maria Marcone, Teresa Carunchio. Signorine: Giulia ed Ester Marcone, Alba Zucchi, Margherita Castracane, Carmela Ferri, Ninetta Vaselli, Giocondina Spaventa, Maria Sabelli, Ida ed Evelina Marcone, Palmina Melocchi, Maria Marcolongo, Dina Marcone. E per una volta tanto, ecco anche un elenco di cavalieri: Attilio e Raffaele Falcucci, Antonio Ferri, Camillo Marcone, Tito Codagnone, Federico Ing. De Marco, Avv. Domenico Ferri, Giulio Borrelli, Emilio Rossi, Avv. Francesco Vaselli, Angelo Serafini, Vittorio Colalé, Nicola De Francesco, Giuseppe Marcone, Avv. Nicola Orfeo, Vincenzo Marcone, Luigi Marcolongo, Gennaro e Luigi Marcone, Pietro Siboni, Avv. Alfredo e Giuseppe De Francesco, Michele D’Ambrosio, Guglielmo Iovacchini, Guido Falcucci, Alfredo Baiocco, Beniamino Marcolongo, Carlo, Emilio ed Ottavio Sabatini, Camillo Giannico, Guido Serafini, Nino D’Onofrio, Luzio Carunchio. Il Nuovo Sangro, 7 maggio 1905. 199 1905 – Neonata “esposta” in un vicolo di S. Michele. Mercoledì sera, verso le undici, una donna che passava pel rione S. Michele sentiva, da uno dei vicoli che mettono al corso, partire delle grida fievoli di neonata. Recatasi sul luogo, trovava una creaturina di sesso femminile dell’età apparente di giorni tre, ivi abbandonata. La bimba ebbe sollecite cure ed ora sta agli esposti. Le autorità indagano. Il Nuovo Sangro, 7 maggio 1905. 1905 - Monaca del Monastero di S. Giacinto, dell’Ordine delle Clarisse. Il convento raccoglieva, depositati nella “ruota degli esposti”, i neonati che venivano abbandonati dai genitori. 200 Gennaro Nasuti, un artista del ferro battuto. [...] Una città dell’Abruzzo Citra, Atessa, antica città monastica, ha avuto molti veri artisti modellatori di statue religiose, rappresentanti Santi e Madonne, che si possono ammirare nelle sue chiese: queste statue sono in terracotta ed in cartapesta ed hanno verità espressive efficacissime. In questa città, Ate nella leggenda, si fanno anche dei lavori in ferro battuto di grande valore artistico, che l’occhio esperto riconoscerà subito per interessanti. L’esecutore è un abilissimo artefice: Gennaro Nasuti, che durante la guerra lavorò indefessamente nelle acciaierie di Terni. Questo artista del ferro battuto ci ha fatto ammirare alcuni suoi lavori che mostrano tutta la sua valentia: ferro bruno che s’allunga in fili, abbracciati da rigogliosi pampini; in aste che, imprigionate da torcigli e da fioriture, rendono solidi puntali ed anse; ferro e ferro che abbellisce, coi capricciosi giri e rigiri dei suoi nastri, bacini austeri e tripodi miniati, che veste con simmetria di rose ed ardiglioni lampadari mirabili e costruzioni traforate, e variando in cancelli stilizzati finisce in armille e decorazioni floreali. V’ha vasi da cui spuntano steli gemmati e crisantemi, tutti neri, di abbrunito ferro [...] Gennaro Nasuti è coadiuvato dai figli, che s’incaricano di stare al corrente con riviste artistiche e decorative per uniformarsi agli stili classici; suo figlio Mario ci mostra alcuni suoi lavori e ci informa dei premi e delle onorificenze ottenute dal padre: Gran Targa d’Onore, Gran Premio Medaglia d’Oro, guadagnato a Venezia nel 1922 [...] Dino Cicchitti Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, 6 maggio 1928. Gennaro Nasuti Cancello gotico in ferro battuto. Aprile 1928 – Una “duplice festa di fede e d’amore”. Due lieti e gentili eventi hanno avuto luogo durante il bell’aprile in fiore nell’ospitalissima casa dei signori Gaetano ed Elvira Falcucci. Il figliuolo, Benedetto, reduce dal seminario pontificio di Roma, ove si è sempre distinto per bontà ed intelligen- za, nel giorno di Pasqua canta la prima messa solenne nella Chiesa Maggiore di S. Leucio, in Atessa, gremita di popolo. Il giorno 12 aprile poi rivediamo questo simpatico sacerdote di Cristo, nella sala della sua casa, tra una festa di luci e di fiori, benedire le fauste e liete 201 nozze della sorella sua Aura Falcucci, fiore di bontà e di bellezza, che si unisce con il prof. Gaetano Pollice, apprezzatissimo ed amato nostro direttore didattico. Una musica lieve e dolce, come l’eco di un sogno bello, l’Ave Maria del Gounod, suonata al piano dalla distinta signora Teresa Ferri con l’accompagnamento del violino del sig. Emilio Sabatini, segue la cerimonia religiosa. Poi subito gli sposi, oramai felici per sempre, passano tra il lieto stuolo di dame e cavalieri per dispensare il tradizionale fiore di arancio. Ricchi ed ottimi rinfreschi sono offerti agli invitati. Duplice festa dunque di fede e d’amore, riuscita benissimo. Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, 6 maggio 1928. Un “riuscitissimo” veglione del 1928. Sabato sera, 15, ha avuto luogo, a cura della locale sezione dell’O.N.D., nel nostro Teatro Comunale un riuscitissimo veglione. Il Teatro, addobbato meravigliosamente, era gremito in ogni ordine di posti. Molto simpatica l’orchestra, diretta dal cav. Carlo Alberto Sabatini, che suonò all’inizio “Giovinezza” e la “Marcia Reale” ed accompagnò le danze con scelto repertorio, intramezzandovi riuscitissime esecuzioni, fra le quali fu applauditissima la sinfonia dell’opera “Norma” di Bellini. Fu distribuita una cartolina-ricordo con significativa fine allegoria disegnata per l’occasione dal nostro concittadino Dino Cicchitti. Le danze, animatissime, si protrassero fino all’alba sotto la direzione del dott. Giovanni Riccio, direttore dell’Ospedale Civile e vice-commissario di questa sezione fascista. Bene assortito il servizio di buffet, che rispose in modo inappuntabile. Ci congratuliamo col presidente del locale Dopolavoro dott. Giannico e con la infaticabile Commissione nelle per202 Cartolina-ricordo del veglione. sone dei signori Renato Cicchitti, Camillo Di Diego, Mario De Francesco, Mario Nasuti, Filippo Di Jorio, Girolamo Di Jorio, Antonio Benedetti, Luzio Antonini, Crescentino Pellegrini, che nulla tralasciarono per la buona riuscita della festa. Il Popolo di Roma, 22 dicembre 1928. Novembre 1937 – Solenne ingresso di Mons. Epimenio Giannico ad Atessa, dopo la sua elevazione alla dignità di Vescovo della Diocesi di Trivento. Atessa ha vissuto una giornata di fede e di entusiasmo che difficilmente potrà dimenticare. Uno dei figli più attaccati a questo lembo di terra d’Abruzzo, assunto alla dignità di Vescovo della Diocesi di Trivento, ha fatto il suo ingresso trionfale nella città che l’ha visto nascere, tra i suoi concittadini che lo ammirano, tra i suoi amici e compagni che lo venerano per le sue doti di mente e di cuore. Alle ore 9, in piazza Garibaldi, dove erano assiepati con le autorità il capitolo, le confraternite, i circoli cattolici femminili e maschili e gran massa di popolo accorso dal contado e dai paesi limitrofi, mons. Giannico è sceso dall’automobile fra scroscianti applausi della immensa folla. II podestà cav. uff. dott. Attilio Falcucci, con belle e sentite parole, ha offerto al novello Vescovo, a nome della cittadinanza tutta, un ricchissimo pastorale finemente lavorato a bulino; ha accompagnato il dono con un bellissimo album con le firme di tutti i cittadini. Mons. Giannico ha ringraziato commosso, poi è entrato nella chiesa del Carmine, dove ha indossato i paramenti pontificali, e in solenne processione, fra due fitte ali di popolo plaudente, fra il continuo lancio di fiori e di cartellini inneggianti al presule novello, si è recato alla cattedrale. Tutte le strade attraversate dal corteo erano addobbate di ricchi drappi. Alla cattedrale è stato celebrato un solenne pontificale; la “Schola Cantorum” ha magistralmente eseguito la messa Te Deum del Perosi. Dopo il vangelo mons. Giannico ha tenuto una dotta omelia, tratteggiando che la chiesa militante non potrà mai morire, perché la provvidenza divina, pur servendosi qualche volta di umili sacerdoti che eleva alla dignità episcopale, fa sì che la face della fede resti sempre viva e venga agitata in alto e dovunque imperversano le lotte, le persecuzioni e le traversie della vita. Ha detto che egli prova consolazione nell’incominciare la sua ardua missione sotto buoni auspici, in un momento in cui Chiesa e Stato sono in Italia in piena armonia, per volere di un uomo, il Duce, che combatte il male per il trionfo del bene. Ha terminato impartendo a tutti la pastorale benedizione. Dopo il pontificale tutto il popolo, con a capo il clero e le autorità, ha accompagnato l’illustre cittadino fino a casa, dove egli ha abbracciato teneramente la madre, che commossa l’attendeva al portone. Chiamato dalle continue ovazioni della folla, si è affacciato al balcone e ha ringraziato vivamente tutti che hanno voluto così solennemente onorare nella sua modesta persona un prescelto da Dio, umile strumento nelle mani dell’Altissimo per il trionfo del regno di Cristo. Alle ore 16 ha avuto luogo nel salone dell’asilo un riuscito trattenimento in onore del vescovo Giannico e alle ore 18 nella cattedrale è stato cantato un solenne Te Deum, in cui il novello Vescovo ha impartito la benedizione del Santissimo. La Tribuna, 6 novembre 1937. 203 Mons. Epimenio Giannico ad Atessa, dopo la sua assunzione alla dignità di Vescovo. 204 Manifesto del 13 settembre 1952 con il programma dei festeggiamenti per la riapertura al culto della Chiesa dell’Addolorata, semidistrutta dall’esplosione di mine tedesche nel novembre 1943. 205 Operatori economici della prima metÀ DEL NOVECENTO E LE LORO INDICAZIONI PUBBLICITARIE 206 207 208 209 210 211 212 213 214 Indice La fondazione dell’Ospedale Civile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 4 La partecipazione agli ideali del Risorgimento . . . . . . . . . . . . » 9 Il brigantaggio post-unitario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 16 L’abbattimento dell’Arco di S. Lorenzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 32 La prima condotta di acqua potabile e la fontana monumentale » 35 La Società Operaia di Mutuo Soccorso . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 41 Domenico Ciampoli (1852-1929) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 45 Lelio De Francesco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 49 Le origini dell’Asilo “Giardino d’Infanzia” . . . . . . . . . . . . . . . » 55 Vincenzo Riccio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 61 Il lutto per l’uccisione di Re Umberto I . . . . . . . . . . . . . . . . . » 65 La nascita della Cassa Rurale Cattolica di depositi e prestiti . . » 68 Atessani d’America . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 73 La morte del sindaco Luigi Spaventa (9 gennaio 1907) e le onoranze tributate alla sua memoria . . . . . . . . . . . . . . . . . » 79 Il primo servizio di trasporto automobilistico . . . . . . . . . . . . . » 84 Scritti polemici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 87 Il Teatro e i cinematografi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 97 Il tributo di sangue nella guerra1915-1918 . . . . . . . . . . . . . . . » 113 Gli Atessani e la musica: una passione di vecchia data . . . . . . . » 121 La Scuola Tecnica (1921) e la Scuola Media (1944) . . . . . . . . » 143 Fascismo e antifascismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 148 Curiosità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 156 Il treno ad Atessa-centro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 161 Il nuovo acquedotto urbano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 165 Le feste patronali di mezz’agosto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 169 L’incremento della pratica sportiva negli anni ’30 del secolo scorso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 178 Ettore Janni (1875-1956) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 185 Giuseppe Menotti De Francesco (1885-1979) . . . . . . . . . . . . » 189 Miscellanea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 196 Operatori economici della prima metà del Novecento e le loro indicazioni pubblicitarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 206 215 Finito di stampare Progetto Stampa s.n.c. nel giorno di San Gennaro Vescovo il 19 settembre 2001 presso la Tipografia 216