Studi e ricerche
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A cura di
Nicola Celiberti
Hanno concorso al reperimento dei documenti, degli articoli di stampa,
del materiale illustrativo e di quant’altro riprodotto nel presente volume:
Gabriele D’Amico
Annunziato Finoli
Domenicangelo La Penna
Alfredo Massa
Celestino Pellegrini
Si ringraziano per la collaborazione gentilmente prestata:
l’Archivio Storico del Comune di Atessa, l’Archivio Prepositurale di Atessa, l’Archivio di Stato di Chieti, l’Archivio Di Jorio di Atri, la Biblioteca Comunale di Atessa,
la Biblioteca Dino Cicchitti di Atessa, la Biblioteca Comunale di Lanciano, la
Biblioteca Provinciale di Chieti, la Biblioteca del Senato della Repubblica, l’Amministrazione Comunale di Atessa, la Banca di Credito Cooperativo Sangro-Teatina, il
Coro delle Giovani Voci Dijoriane di Atessa, la Confraternita Maria SS. Addolorata
di Atessa, l’Associazione Amici della Ribalta di Lanciano, e i Signori Bravo Pasquale,
Cauli Ariberto, Celiberti Carmela, Cinalli Ivana, De Francesco Nicola, Di Giacomo
Pier Giorgio, Di Pietro Mario, D’Onofrio Onorina, Falcucci Antonietta, Falcucci
Attilio, Giannico Bartolomeo, Giannico Carlo, Giannico Giulio, Mancini Filiberto,
Marchetti Antonietta, Marcolongo Gina, Marcolongo Giovanni, Marcolongo Tommaso, Profenna Luigi, Rossi Giovanni, Sabatini Paolina, Sforza Luigi, Staniscia
Angelo, Tinaro Giuseppe, Tumini Teresa.
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È davvero strampalato, lo sappiamo bene, questo
nostro libro. Strampalato e sgangherato. Un abbozzo
con tanti spazi vuoti, informe e incompiuto, nel quale
a fatti di portata storica per la nostra Città – la costruzione del primo acquedotto o del teatro comunale, la
lotta per la repressione del brigantaggio, l’istituzione
dell’ospedale civile o delle scuole post-elementari,
l’arrivo del treno o anche del primo autobus di linea si affiancano alla rinfusa cose di poco o nessun conto,
banalità, piccole vicende della normale quotidianità,
particolari stravaganti immeritevoli di considerazione
quali, ad esempio, la festicciola del 1902 per la rottura
delle pignatte in casa dei Baroni Mascitelli, l’omaggio
in versi di un ammiratore ad una sciantosa napoletana
venuta ad esibirsi in Atessa nel 1881, l’elenco arido e
senza fine dei doni ricevuti per le loro nozze da una
coppia di sposi del 1926 o, peggio, la lista delle vivande servite ad un’allegra brigata di amici in trattenimento conviviale a Vallaspra nel 1905. Un libro un po’
“pazzo”, insomma, privo di continuità, organicità e
compiutezza.
Ma allora perché pubblicarlo? Perché ci sembra che,
nonostante i difetti e le manchevolezze, esso possa
assolvere una duplice funzione: quella di accendere
nei lettori – i giovani in particolare – il bisogno di
conoscenza del nostro passato, di recupero della
nostra memoria storica, e quella di offrire spunti e
indicare suggerimenti per nuove, più corrette e approfondite indagini.
Foto Club “Il diaframma” - Atessa
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L a fondazione dell’Ospedale
Civile
Con poche disponibilità finanziarie, ma molto “zelo e sentimento di carità e di civismo”.
Così nel 1851, grazie alla buona volontà di pochi cittadini animati da
“filantropico sentimento”, si posero le basi per l’apertura, nel pianterreno
dell’ex Convento dei Carmelitani, di un Ospedale Civile in Atessa (Delibera Consiglio Comunale 20 dicembre 1851).
Presenti il 2º Eletto D. Luigi Rossi, facente funzioni di Sindaco, e i consiglieri Bartoletti
Cipriano, Cardone Ignazio, Carunchio Cassiodoro, Cinalli Anicassio, De Francesco Giovanni, D’Onofrio Pietrangelo, Falcucci Camillo, Falcucci Gaetano, Ferri Giovanni, Fidelibus
Alessandro, Marcolongo Vincenzo, Marcone Nicolangelo, Mascitelli barone Felice, Nardone
Vincenzo, Pompilio Angelo, Rancitelli Salvatore, Rancitelli Tommaso, Scalella Policarpo.
Proposta del 2° Eletto Luigi Rossi,
facente funzionI di sindaco
Da qualche tempo si vagheggiava il pensiero di stabilire in questa popolosa
città un Ospedale Civile tanto necessario per farvi curare nelle malattie la gente
povera.
Si proponeva in conseguenza addirvisi lo stipendio fissato pel medico e chirurgo a condotta, nonché qualche altro fondo onde raggiungere, se non tutto
prontamente, almeno nel corso di parecchi anni il desiderato scopo. Il chirurgo
D. Daniele Rossi ineriva alla rinunzia della sua condotta, ed ora associandosi a
questo filantropico sentimento anche il medico D. Ignazio De Marco pensa
pur egli di fare simigliante rinunzia.
Sentendo voi i professori anzidetti e bilanciando le cose con la finanza comunale, piacciavi dare al riguardo una deliberazione corrispondente.
Il Consiglio
• Uditi oralmente i professori D. Ignazio De Marco e D. Daniele Rossi i quali
come medico e chirurgo a condotta, invitati a concorrere anch’essi allo stabilimento di un Ospedale Civile in questo Comune, han detto che, animati
eglino egualmente di zelo e di carità cristiana, prestano la loro adesione acciò
venga progettato dal Consiglio Municipale, perciò i medesimi rinunciano a’
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di loro stipendi fissati nello Stato di Variazione, da cominciare nel dì primo
del prossimo futuro Gennaio 1852 in avanti, semprecché accada a verificarsi
la fondazione di detto Ospedale e che per mancanza di fondi non dovesse
aver luogo un tanto bene per questa cittadinanza; a queste sole condizioni i
professori contattati rinunciano a’ loro stipendi, conservando però i titoli
rispettivi tanto di medico che di chirurgo comunale, essendo del di loro
onore e dilicatezza di ritenere le nomine suddette legalmente loro conferite
da’ Superiori e riconosciute pel corso di tanti anni da questa cittadinanza.
Finalmente vi rinunciano sotto l’altra condizione di essere soddisfatti de’ loro
stipendi attrassati fin oggi per quattro anni, cioè dal 1848 a tutto il corrente
anno 1851, che essi professori non han potuto mai risapere il motivo di essere stato loro ritardato siffatto oneroso pagamento;
Sentiti pure gli altri professori medici e cerusici del Comune D. Leucio De
Francesco, D. Pompeo Agrifoglio, D. Federico Rodini, D. Lorenzo Carunchio, D. Cassio De Marco e D. Filandro Serafini, che assieme ai signori D.
Ignazio De Marco e D. Daniele Rossi spontaneamente han promesso di gratuitamente prestare la di loro opera dal 1º di gennaio 1852 in avanti così agli
indigenti ed ai proietti come allo Spedale da farsi, e ciò per puro sentimento
di carità e di civismo;
Vedute le domande del rev. cappellano e rettore del camposanto D. Emidio
Marcolongo che offre rilasciare sui di lui soldi annui ducati 6 a pro del novello Ospedale; di D. Luigi Mastrocecco farmacista che offre di rilasciare la
metà, più il venti per cento sull’altra metà del valore annuo de’ medicinali
che da lui saranno ai poveri esclusivamente somministrati per conto del
Comune e dell’Ospedale quando sarà aperto; e de’ sacerdoti D. Filindo Forchetti e D. Errico De Francesco i quali, offrendosi di celebrare la messa mattutina in tutti i dì festivi per annui ducati 30, offrono rilasciare ducati 14
all’anno in vantaggio del detto Ospedale;
[...] attesocché i ducati 14 che si sono pagati sin ora per ratizzi alla casa de’
bambini in Solmona possono bene addirsi all’annunciato novello Ospizio di
Atessa, e che il Comune possa per ora concorrervi anche con altra somma di
annui ducati 50 [...]
Poiché i ducati 12 annui che si pagano ai sagrestani di S. Leucio per la paratura della chiesa non sono più dovuti, perché la paratura medesima non più
si esegue per essersi i damaschi distrutti dal tempo né rinnovati, e quindi tale
somma può egualmente impiegarsi all’Ospedale ripetuto [...]
delibera
essere suo ardente voto di stabilirsi in questa città di Atessa un civile Nosocomio; e perciò assegna per la formazione di esso, per la prima messa e pel mantenimento correlativo:
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1.Gli annui ducati 105 che formano lo stipendio del medico e chirurgo
a condotta del comune di Atessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105
2.I ducati 14 che si pagavano di ratizzi all’orfanotrofio di Solmona
anche in ciascun anno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
3.Altri annui ducati 50 da stabilirsi per lo stato finanziario del Comune 50
4.L’offerta annua di ducati 6 fatta dal rettore e cappellano del
camposanto D. Emidio Marcolongo sui suoi stipendi . . . . . . . . . . . . . 6
5.Annui ducati 14 che rilasceranno sui ducati 30 della messa dell’aurora
i reverendi sacerdoti D. Filindo Forchetti e D. Errico De Francesco . . 14
6.Annui ducati 12 soliti a pagarsi al sagrestano di S. Leucio . . . . . . . . . . 12
Sono ducati duecentouno . . . 201
Altri ducati 50 annui che si offrono da D. Lorenzo Carunchio che sovranamente sarà nominato percettore circondariale di Atessa al fondo delle limosine
delle diverse cappelle e congreghe del Comune.
La somma totale sarà messa in deposito presso di un cassiere speciale; e quando si crederà in tempo la deputazione delle opere pubbliche comunali, presieduta dal Sindaco, proporrà i mezzi della esecuzione dell’opera, la quale, comecché eminentemente cristiana, si augura il Comunal Consiglio che venga superiormente e sollicitamente approvata.
In segno di adesione i signori sunnominati si sono qui sotto scritti.
Ignazio De Marco - Daniele Rossi - Pompeo Agrifoglio - Cassio De Marco Leucio De Francesco - Federico Rodini - Lorenzo Carunchio
Luigi Rossi, uno dei fondatori dell’Ospedale
Civile.
Presiedette, in qualità di 2º Eletto con funzioni
di Sindaco, la seduta del Consiglio Comunale del
20 dicembre 1851, nella quale fu deliberata l’istituzione del nosocomio atessano.
Riproduzione fotografica, eseguita nel 1894 da Lelio De
Francesco, di un dipinto ad olio della metà dell’Ottocento di autore ignoto.
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13 agosto 1860 – Nomina, da parte del Consiglio Comunale, di una
Commissione per la “regolare” amministrazione dell’Ospedale, provvisoriamente tenuta fino ad allora dal Comune.
Presenti il sindaco D. Raffaele Falcucci e i consiglieri Bartoletti Tommaso, Carunchio Paolantonio, Codagnone Nicola, D’Ameljo Filindo, De Francesco Leucio, Del Sindaco Domenico,
De Marco Luzio, Di Mattia Domenico, Ferri Giovanni, Flocco Filippo, Giannico Fiorentino,
Iovacchini Fiorindo, Marcone Luigi, Marra Pasquale, Menna Vincenzo, Mascitelli barone
Felice, Nardone Paolo, Pompilio Luigi, Rancitelli Giacomo, Serafini Ermindo.
Proposta del sindaco Raffaele Falcucci
L’Ospedale Civile “S. Francesco d’Assisi” di questa Città ha bisogno di una
regolare amministrazione, che sin ora è stata provvisoriamente tenuta.
Vi prego di volerne nominare i soggetti incaricati del governo e contemporaneamente presceglierne il cassiere. Medesimamente vorrete provvedere ai turni
di servizio dei professori sanitari.
Il Consiglio
Rilevando essere indispensabile che l’Ospedale Civile “S. Francesco d’Assisi”
di questa Città sia, nel rapporto dei suoi interessi, guardato più da vicino ed
amministrato con ogni zelo e premura,
è di avviso
• Procedersi in prima alla elezione d’un cassiere, in seguito di analoga terna,
per la regolare conservazione di qualsiasi somma e rendita ad esso appartenenti;
• Nominarsi una Commissione, composta di due reverendi canonici e due altri
probi ed onesti cittadini, la quale potesse brigarsi del regolare andamento del
servizio e della convenevole amministrazione dello Stabilimento;
• Stabilirsi infine, in modo anche regolare, l’assistenza dei professori per gl’infermi.
Quindi, coerentemente al già detto, propone in terna per cassiere i signori
D. Pompeo Coccio, D. Luigi Rossi e D. Gennaro Marcone.
Per componenti poi la Commissione anzicennata, rimangono nominati i
reverendi canonici D. Michele Carunchio e D. Federico D’Onofrio ed i due
altri cittadini D. Luzio De Marco e D. Giovanni Ferri, tutti pur troppo noti
per zelo e filantropia.
In ordine all’assistenza dei professori, stabilisce la surroga di essi in ogni
quindici giorni, ed ove in caso di urgenza fosse necessaria l’assistenza di altro,
quello in servizio lo sceglierà a suo piacimento.
In fine, il Consiglio stesso, dato uno sguardo alla lista delle spese quotidiane
occorrenti all’Ospedale surriportato, trova, più di ogni altra, esorbitante quella
del combustibile, dal perché, onde concorrere di vantaggio al bene del luogo
pio, propone che, previa la intelligenza del Guardia Generale, si stabilisca
annualmente un numero di mozzoni del bosco Archiano bastevoli al consumo
dello Stabilimento.
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13 ottobre 1874 – Cessione dell’Ospedale, da parte del Comune, alla
Congrega di Carità, istituzione pubblica di beneficenza e assistenza, alle
cui dipendenze esso sarebbe poi rimasto fino al 1937.
Presenti l’assessore anziano Giacinto Vaselli, facente funzioni di sindaco, e i consiglieri Carunchio Ferdinando, Carunchio Lorenzo, Codagnone Nicola, De Marco Luzio, Flocco Filippo,
Grumelli Francesco, Marcolongo Giuseppe, Rancitelli Francesco, Rotolo Clemente, Spaventa
cav. Vincenzo.
Proposta dell’assessore anziano Giacinto Vaselli,
facente funzionI di sindaco
Allo scopo di ridurre l’Ospedale Civile in miglior condizione, sarebbe di
bene che quella parte a ciò destinata si cedesse alla Congrega di Carità, la quale
penserebbe al suo miglioramento.
Se ciò convenga le SS.VV. vorranno deliberarvi e stabilire quelle condizioni
che crederanno opportune.
Il Consiglio
All’unanimità accetta, in massima, la cessione a favore di questa Congrega di
Carità di quella parte del comprensorio dell’ex Convento del Carmine che
attualmente è addetta ad uso di Ospedale Civile. Però la stessa cessione avrà
luogo dopoché la prefata Congrega avrà fatto elaborare un progetto d’arte per
ridurre l’anzidetto Ospedale in migliore e più decente condizione.
Il dott. Manfredi Campana, la figura
più rappresentativa nella lunga storia
dell’Ospedale Civile di Atessa.
Vi prestò servizio come direttore sanitario e
primario chirurgo per un quarantennio (dal
1932 ai primi anni ’70), meritando la riconoscenza della cittadinanza per le sue elevate doti
professionali e lo spirito di dedizione.
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La Partecipazione agli ideali del
Risorgimento
Il compimento dell’Unità d’Italia festeggiato con calorose
“dimostrazioni di gioia”: spettacoli pirotecnici, luminarie,
archi trionfali, concerti bandistici, voli di aerostati, suoni
di campane, elargizioni ai poveri.
Garibaldi, tra i protagonisti del Risorgimento, il più amato
dagli Atessani.
Antonio D’Onofrio (1835-1917), un garibaldino atessano.
Il 7 settembre 1860, quando stava
ormai per portare a compimento la
liberazione dell’Italia meridionale dal
regime borbonico, dando così un contributo determinante all’attuazione
dell’unità nazionale, Giuseppe Garibaldi entrava a Napoli, trionfalmente
accolto dalla popolazione.
Tra la folla osannante che in quella
storica giornata si strinse attorno al
condottiero nizzardo e alle sue truppe
vittoriose c’era anche, in preda ad
incontenibile esultanza, un giovane di
Atessa: si chiamava Antonio D’Onofrio
ed era studente di medicina all’Università partenopea.
Patriota fervente, da Napoli egli
aveva col pensiero accompagnato Garibaldi in tutti i momenti della sua leggendaria spedizione nel Mezzogiorno
d’Italia: aveva saputo, con l’animo
sospeso fra la speranza e il timore, dello
sbarco a Marsala dell’11 maggio; aveva
accolto in tripudio le notizie delle fulminee vittorie di Calatafimi, Palermo e
Milazzo e della conquista del primo
lembo di Calabria; si era inebriato di
felicità quando aveva appreso che lo
Stato borbonico si stava sfasciando, con
i soldati che si sbandavano o si arrendevano senza combattere e il re che fuggiva a rintanarsi nella fortezza di Gaeta.
Poi la trepida, febbrile attesa di vedere
Garibaldi a Napoli.
Ed eccolo là finalmente, in carne ed
ossa, davanti ai suoi occhi estasiati,
l’eroe prediletto con la camicia rossa e il
fazzoletto ad armacollo e con la “faccia
da Padre-eterno”! Il giovane patriota
atessano si sentì allora “impazzito per la
gioia”, incapace di tenere a freno il suo
entusiasmo delirante.
L’indomani, “stracco e rauco” per gli
applausi, le grida di giubilo, i canti e le
altre “diavolerie” del giorno precedente,
egli espresse mirabilmente il suo stato
d’animo in una lettera al fratello traboccante di ardore patriottico.
Giungeva, a questo punto, a definitiva maturazione un proposito che Antonio D’Onofrio da tempo coltivava
segretamente nel suo animo, quello di
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interrompere temporaneamente gli
studi e di arruolarsi fra i garibaldini per
non far mancare il suo contributo alla
causa italiana: fu così che, con la dedizione di chi si sente chiamato a compiere una missione, egli si unì all’eroe
che aveva conquistato il suo cuore e in
più occasioni si ritrovò a combattere
accanto a lui, dando prova di ardimento, come dimostrano le due medaglie
d’argento meritate nel corso della III
guerra d’indipendenza.
Ritornò, poi, ai suoi libri e si laureò
in medicina, fiero di non essere rimasto
inerte spettatore dei grandi avvenimenti
del suo tempo.
Nicola Celiberti
Confronto, novembre-dicembre 1991.
Lettera di Antonio D’Onofrio al fratello, scritta a Napoli all’indomani
dell’ingresso di Garibaldi nella città.
Napoli, 8 settembre 1860
Caro fratello,
Viva Garibaldi! Non so quel che ti scrivo, perché qua ci siamo quasi tutti
impazziti per la gioia. Ieri entrò Garibaldi, accompagnato da una parte del
suo Stato Maggiore. È impossibile che ti puoi figurare la calca, lo schiamazzo, la quantità delle bandiere, l’illuminazione, il va e vieni delle carrozze
zeppe d’uomini, donne, preti, frati con enormi torce, gridando e dimenandosi
come energumeni. Son cose che mai si son viste e mai più si vedranno, perché
una volta si nasce. Avresti dovuto vedere Garibaldi in calzone bigio, camicia
rossa, fazzoletto ad armacollo e con quella sua faccia da Padre-eterno! Il dolce
passaggio di cui parli l’avete bell’e fatto. Vi addormiste con Borbone sullo stomaco e vi svegliate con Garibaldi a cavalcioni sulle spalle. Viva l’Italia! Oggi
arriverà un primo distaccamento di 3 mila uomini. Tra domani e dopodomani saranno 30 mila. Si tratterranno poco, dovendosi ultimare i conti con
Borbone e poi col S. Padre ed i suoi sagrestani e baciazampe, che ne toccheranno delle belle se i piedi ci porteranno là. L’ex-re si è rintanato a Gaeta,
dove aspetta il resto del carlino, come dicono i Piemontesi. Io sto stracco,
rauco per le diavolerie di ieri. Cadono le città, cadono i regni, ed ora cade
l’acqua a meraviglia, che c’interrompe la festa e la parata che si farà domani,
tempo permettendo. Le truppe si sono accantonate tra Caserta e Capua per
capitolare, ma gli sbandamenti sono continui e difficilmente ci si potrà raccapezzare qualche brigata più o meno sana.
Statti buono. Tanti saluti alla famiglia.
Viva l’Italia, Viva Vittorio Emanuele, Viva Garibaldi Dittatore!
Addio Addio, ti saluto e sono
Antonio
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Feste popolari in Atessa per l’entrata delle truppe garibaldine a Napoli e
per l’attuazione dell’unità nazionale (Delibera Consiglio Comunale 14
novembre 1860).
Presenti il sindaco D. Raffaele Falcucci e i consiglieri Carunchio Paolantonio, Codagnone
Nicola, De Francesco Leucio, De Marco Luzio, Di Mattia Domenico, D’Onofrio Filoteo,
D’Onofrio Pietrangelo, Ferri Giovanni, Flocco Filippo, Iovacchini Fiorindo, Marcolongo
Giuseppe, Marra Pasquale, Mascitelli Enrico, Mascitelli barone Felice, Mastrocecco Gennaro,
Menna Vincenzo, Nardone Paolo, Pompilio Luigi, Rancitelli Giacomo, Serafini Ermindo,
Spaventa Vincenzo.
Proposta del Sindaco Raffaele Falcucci
Quando il nostro Municipio riceveva l’avviso del felice ingresso in Napoli
dell’illustre Generale Dittatore Giuseppe Garibaldi, precursore invitto del Re
destinato alla redenzione d’Italia, non seppe contenersi dalla gioia; quindi una
festa improvvisata – con archi trionfali, bande musicali, fuochi pirotecnici, atti
di gioia, torelli, luminarie, voli di aerostati, maritaggi, suono di sacri bronzi,
inni ambrosiani, vestimenta pei poveri, elimosine in denaro, pane, sale, ed altre
dimostrazioni che sarebbe lungo il noverare – portò la spesa a ducati 395, dei
quali ducati 80 furono per impronto anticipati dalla cassa comunale. Il dippiù
si ebbe da offerte volontarie dei cittadini.
Ora che trattasi dell’arrivo trionfale del Re galantuomo Vittorio Emanuele,
della sua solenne accettazione al plebiscito, della sua salita al trono d’Italia una
volta liberata e fatta sovrana di se stessa, pare che debbono le dimostrazioni di
gioia non solo rinnovarsi, ma raddoppiarsi, triplicarsi ancora.
Propongo quindi (seguendo il voto della intera cittadinanza) che sia in piacere vostro di nominare una deputazione di chiari cittadini per festeggiare un
avvenimento tanto sospirato dall’Italia intera. Medesimamente di indicare i
fondi donde prelevare le somme così pei ducati 80 spesi dal Comune nella precedente festa come per l’altra che deve celebrarsi ad onore della prelodata Maestà Sua Vittorio Emanuele.
Il Municipio di Atessa,
a niuno secondo nello aspirare a grandi riforme politiche cui solo Vittorio
Emanuele Re magnanimo era dato compiere con prodigioso senno e con mano
per quanto benedetta altrettanto forte ed ardita, volendo mandare alla posterità
una memoria imperitura di sì grandi avvenimenti quali sono la proclamazione
dell’Italia una ed indivisibile sotto lo scettro costituzionale della lodata Maestà
Sua; ad appagare inoltre l’entusiasmo cittadino che sente il bisogno di esternare
la sua gioia per gli avvenimenti medesimi altamente provvidenziali;
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Delibera
• Di solennizzarsi una festa per simigliante preziosa ricordanza;
• Di nominare, come nomina, una deputazione nelle persone dei Signori D.
Nicola Codagnone, D. Vincenzo cav. Spaventa, D. Giuseppe Marcolongo,
D. Giacinto Iovacchini, D. Vincenzo De Ritis e D. Vincenzo De Francesco;
• Assegna per la spesa di questa festa la somma di ducati 520, dei quali ducati
440 da servire per far fronte alla spesa della festa da solennizzarsi e ducati 80
per rivalere la cassa comunale dell’impronto fatto in eguale somma nella festa
precedente [...]
Per la morte di Giuseppe Garibaldi (1882): invito del Sindaco ad intervenire alle pubbliche onoranze.
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6 luglio 1907 - Celebrazione, con discorso commemorativo di Alfonso
Iovacchini e con “musica, illuminazione, bandiere e caldo affetto”, del
centenario della nascita di Garibaldi.
La gioventù operaia ha solennizzato
con musica, illuminazione, bandiere e
caldo affetto il centenario di Garibaldi,
invitando il Prof. Alfonso Iovacchini a
pronunziare un discorso nel locale del
Comitato liberale.
[...] dopo aver tratteggiato la figura
dell’Eroe, l’egregio parlatore [...] con
parola calda di entusiasmo ne illustrava
man mano le gloriose gesta, avvincendo
l’attenzione di tutto l’uditorio.
E così chiudeva volgendosi ai concittadini operai: «[...] Dopo 25 anni dalla
sua morte, il mondo civile oggi festeggia il centenario della sua nascita; noi
cittadini di Atessa, qui convenuti, ci
uniamo in ispirito all’immenso popolo
che onora il difensore e liberatore
dell’oppressa umanità e che, in ispecial
modo, fu il gran fattore del risorgimento d’Italia, sollevata a dignità di nazione
libera e grande al cospetto della civile
Europa.
Ed ispirandoci alle gesta dell’immortale Eroe dei due mondi condotte a pro
della redenzione civile e morale delle
popolazioni, animosi ed impavidi difenderemo ovunque chi lotta per la libertà
o pel bene pubblico contro i nuovi
tirannelli che, disconoscendo la luce
intellettuale e la civiltà dei nuovi tempi,
vogliono ricondurre gli operai sotto il
regime feudale, togliendo loro ogni
libertà d’azione, ogni nobile iniziativa
che conduce al benessere generale della
classe diseredata.
Ogni qual volta si lotti per la giustizia sociale noi onoriamo la memoria
sacra di Garibaldi che, nato in seno del
popolo, difese i veri diritti e i vitali
interessi delle popolazioni oppresse
dalle tirannidi».
La Provincia - Corriere dell’Italia Centrale e Meridionale, luglio 1907.
Lapide apposta in Piazza Benedetti nel 1961, a cento anni dalla proclamazione del Regno d’Italia.
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Manifesto, pubblicato il 10 marzo 1961, per la celebrazione del primo
centenario dell’Unità d’Italia.
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1961, 27 marzo – Celebrazione del primo centenario dell’Unità d’Italia. In testa al corteo, tra gli assessori comunali, il sindaco Antonio De Laurentiis.
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Il brigantaggio post-unitario
Un
fenomeno che in
Atessa
assunse dimensioni particolar-
mente gravi.
In contrada Pili, al tempo dei briganti.
La “miseranda” fine del guardaboschi Giovanni Marcucci.
[...] il nonno era tenuto d’occhio dai briganti più temuti: Domenico Valerio, Giuseppe Delle Donne, Nicola Natale, Policarpo Romagnoli.
Non ancora veniva in Atessa Chiaffredo Bergia, un piemontese che per due anni, il
1862 e il 1863, tenne in rispetto i briganti della zona, che spesso nelle feste di
mezz’agosto osavano venire a sentire le bande che suonavano nel piano di S. Rocco in
grazia alle compiacenti famiglie dei manutengoli che abitavano nelle casette vicine.
Chiaffredo Bergia era un analfabeta, ma dotato di uno spirito eroico e di un coraggio
leonino. Spesso nella notte sorprendeva nei pagliai isolati briganti temibili e li affrontava a corpo a corpo, annientandoli. Raggiunse il grado di capitano ed è ricordato in
una lapide apposta in suo onore nel Comando dei Reali Carabinieri di Chieti.
Or avvenne che il nonno si teneva in sospetto e sulle difese [...]
Una volta, davanti alla vecchia casa del Calvario, così detta per una croce con gli
strumenti della passione che aveva vicino, si presentò Domenico Valerio con una
ventina di briganti. Chiamò il nonno: «Giuseppe, ho una cosa importante da comunicarti». Era costui un ortolano di Piazzano, nativo di Casoli, ma che, avendo le più
spiccate qualità fisiche e morali del ruolo di brigante, s’era per amor di avventure
gettato a quel mestiere in caccia di successi. Salì frettolosamente le scale e con fare di
amico lo invitò fuori. Il nonno era seduto presso il focolare. Il suo secondogenito
Luzio, diciassettenne, sospettoso dapprima, intuì il pericolo, si avventò sulle scale,
imbracciò il fucile e da una finestrella della camera superiore prese la mira. Il vecchio, distaccandosi dal focolare e facendo buon viso a cattivo giuoco, si avviò lentamente sulla porta. Il brigante, appena ne ebbe la possibilità, dopo i convenevoli
d’uso, piegando al peggio lo prese per il bavero per trascinarlo fuori sul pianerottolo
della scala esterna. Non era più tempo di far cerimonie e il nonno gridò: «Tira,
Luzio!». Luzio tirò. Il brigante, ferito al braccio, fuggì; gli altri lo avevano preceduto.
Questo cortese affronto il nonno lo pagò un mese dopo con un esborso di mille e
duecento ducati e che fu pagato con una bisaccia di piastre. Fu ricattato parecchie
volte prima che la legge Pica lo obbligasse al ritiro in paese.
Ma le ire si riversarono terribili su zio Luzio, che la scampò bella in una successiva
circostanza, quando, sorpreso a mietere con altri, ebbe il sangue freddo, tra il grano
e un fossetto, di travestirsi da donna e non fu avvertito [...]
Il maggiore degli zii, Angelantonio, mi narrava tutte le più memorabili battute
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delle guardie nazionali per le contrade di Atessa [...]
Ma i delitti, le grassazioni, le estorsioni, le minacce si seguivano come le ciliege e
quello che colpì Giovanni Marcucci, altro parente, fece rabbrividire per la sua crudeltà.
Era costui guardaboschi del Capitolo di Atessa. “Trovandosi il 20 marzo 1866 nel
bosco Turricchio nel tenimento di Tornareccio, veniva catturato da Vincenzo Rucci e
condotto in mezzo ad una comitiva d’oltre 20 briganti che si trovava non molto
lungi, sotto il comando del noto brigante Domenico Valerio alias Cannone, che a
colpi di scure trucidava quel meschino, lasciandolo esanime nella località denominata Due Acque. Lo stato orrendamente mutilato e mal concio nel quale si rinvenne il
cadavere del Marcucci, cui per un feroce raffinamento di efferatezza eransi strappate
le visceri riponendole a guisa di ornamento sulla fronte, basta a dimostrare senz’altro
la sua miseranda e violenta fine” .
Luigi Marcucci
AA.VV., 27 marzo 1861 – Atessa – 27 marzo 1961, Celebrazione primo centenario dell’Unità d’Italia,
Cooperativa Editoriale Tipografica, Lanciano 1961, pp. 12-13.
Altri atti di particolare efferatezza del brigantaggio atessano, a danno di
persone sospettate di essere spie al servizio delle forze dell’ordine.
Verso le 5 pomeridiane del 2 Novembre 1863, i briganti Pasquantonio Giannico e
Luzio Colonna, armati di fucili, si presentarono alla masseria di Francesco Di Maulo
(tenimento di Atessa). Questi, che si trovava sulla soglia, li salutò; ma il Colonna
rispose: «Che? Vuoi farmi uccidere dalla forza? Sei una spia del Governo, che ti paga
cinque carlini al giorno; ora devi pagarne il fio». E non ostante le proteste d’innocenza
del Di Maulo, i briganti l’obbligarono a seguirli, per circa cento metri, nella contrada Osento, precisamente nel fosso detto Guardata Rancitelli, ove gli tolsero la vita
con tre ferite d’arma da fuoco.
Verso le 7 pomeridiane del 14 Febbraio 1864, Giuseppe Delle Donne, accompagnato da uno sconosciuto, si recò in casa di Ignazio Intilangelo (tenimento di Atessa) e, con modi cortesi, lo invitò a seguirlo, facendogli credere gli dovesse comunicare cose di rilievo. Lo Intilangelo, nulla sospettando, lo seguì. Trascorso qualche
tempo, la famiglia, inquieta per l’assenza del suddetto, si dié a ricercarlo, ma lo ritrovò cadavere (nella contrada Fornelli) con 27 ferite, quattro delle quali erano mortali.
La causa principale dell’omicidio provenne dal fatto che il suddetto Intilangelo era
avverso al brigantaggio e concorse all’estinzione di esso anche mediante offerte di
denaro.
Isidoro Faienza, già manutengolo di briganti, erasi indotto, per lucro, ad adoperarsi per l’arresto di alcuni di essi. Venuto questo fatto a conoscenza dei capi briganti
Domenico Valerio e Policarpo Romagnoli, costoro determinarono di vendicarsi; e,
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recatisi nella masseria del Faienza (tenimento di Atessa, contrada Santa Mica), nelle
prime ore della notte del 26 Aprile 1864, lo pregarono di seguirli nella contrada
Capragrassa per trasportare degli oggetti. L’incauto accettò e la moglie Concezia Sacchetti volle seguirli. I briganti allora le dissero di portarsi uno staio di legno per mettervi della roba. Strada facendo, il Romagnoli esternò al Faienza che temeva d’essere
arrestato dietro le di costui rivelazioni. Ma mentre il Faienza cercava discolparsi, il
Romagnoli gli esplodeva contro il fucile, ferendolo alla spalla destra, e il Valerio faceva altrettanto con la Sacchetti, ma senza colpirla. Il Faienza si dié alla fuga e riuscì a
sottrarsi, aiutato dall’oscurità, ai briganti che l’inseguivano, scaricando i fucili. Poco
dopo, il disgraziato sentì altri scoppi d’arma da fuoco e pensò fossero diretti contro
la moglie. Il suo presentimento non fu vano, giacché, il giorno dopo, si rinveniva,
nella contrada Capragrassa, la Sacchetti avente reciso il padiglione dell’orecchio sinistro, la faccia bruciacchiata e parecchie ferite nel torace.
Nel mattino del 29 Maggio 1864, mentre Simone Cinalli con tre figli lavorava in
un terreno del tenimento di Atessa, contrada Sciola, fu avvicinato dal capobanda
Domenico Valerio e da un altro brigante sconosciuto, che lo pregarono di seguirli
nel vicino bosco. Il Cinalli, sospettando qualche insidia, si rifiutò, ma poi, rassicurato dai modi amichevoli dei briganti, li seguì. Dopo mezz’ora, si udirono tre colpi di
fucile. Accorsi i figli del Cinalli, trovarono il cadavere del genitore con le mani legate
in croce sul petto, i calzoni, la camicia e il dorso della mano anneriti, tagliati i padiglioni delle orecchie, e una larga ferita sul petto. Scopo dell’omicidio fu la vendetta,
giacché l’estinto era stato zelante cooperatore per l’estinzione del brigantaggio, prestando, a tal uopo, un servizio attivo nelle file della Guardia Nazionale.
Sull’imbrunire del 9 Maggio 1864, il giovinetto Pasquale Tano, di Atessa, s’imbatté, nella contrada Pili, nel brigante Giuseppe Cellucci, che gli disse: «Io debbo estirpare
la tua famiglia ed i tuoi, perché fai la spia», e poi, detto fatto, non sentendo scuse, gli
scaricò contro il fucile a due colpi e la pistola. Non contento, rinnovò la carica,
lasciandolo esanime sul terreno, ove fu trovato il giorno seguente, intriso di sangue,
con una ferita nella faccia, due ferite nella mano sinistra e frattura di due dita.
Sull’imbrunire del 2 Luglio 1864, il contadino Vincenzo Tano e suo figlio Giuseppe, di Atessa, tornavano dalla campagna, quando furono fermati da un brigante
armato. Il figlio Giuseppe, spaventato, si dié alla fuga, ma non tardò ad udire due
fucilate. Dubitando di qualche sinistro, si affrettò a denunciare il fatto, ed accedutosi
sul luogo, si trovò spento il genitore. Il suddetto Giuseppe Tano, nelle sue deposizioni, sospettò che il brigante fosse Giuseppe Delle Donne, ravvisato specialmente dalla
statura, contrariamente a quanto si diceva nel pubblico che designava l’assassino
nella persona di Giuseppe Cellucci.
Il 5 Aprile 1866, fu trovato nella contrada Berato S. Paolo, in tenimento di Atessa,
il cadavere di Federico Menna (già assente di casa dal 28 Marzo) con le visceri avvol18
te alle braccia. Si ritenne che fosse stato ucciso da cinque briganti, fra cui Giuseppe
Delle Donne, già appartenenti alla banda Valerio e ad opera principale di Cannone.
Motivo dell’assassinio fu che il Menna, prima partigiano, anzi manutengolo de’ briganti, aveva dato a dubitare a costoro sulla sua fedeltà.
B. Costantini, Azione e reazione, Casa Editrice C. Di Sciullo, Chieti 1902, pp. 224 sgg.
11 maggio 1862 – Contro i malviventi che sempre più numerosi scorrazzano impunemente per le contrade e minacciano d’invadere la città, il
Consiglio Comunale auspica l’immediato invio, da parte delle superiori
autorità, di un “drappello di Truppa”, non ritenendo adeguata alle necessità, perché indisciplinata e inaffidabile, la Guardia Nazionale costituitasi
da quasi due anni in Atessa.
Presenti il sindaco Nicolantonio Genovesi e i consiglieri Bartoletti Corinto, Carunchio Ferdinando, Carunchio Paolantonio, Cibotti Filippo, D’Amelio Filindo, De Marco Giovanni, De Ritis
Ernesto, D’Onofrio Giovannantonio, D’Onofrio Ignazio, D’Onofrio Salvatore, Falcucci Luigi,
Falcucci Raffaele, Iovacchini Giacinto, Lizzi Tito, Marra Pasquale, Mastrocecco Gennaro, Rancitelli Anchise, Rotolo Clemente, Serafini Ermindo, Spaventa cav. Vincenzo, Suriani Domenico, Vaselli
Girolamo.
Proposta del Sindaco Nicolantonio Genovesi
Signori! Conoscono a ribocco come le orde brigantesche infestano le nostre
contrade, e le loro continue minacce di far man bassa su questa città, nonché i
non interrotti furti con aggressioni ed i biglietti di ricatto che spediscono.
A tutelare pertanto la sicurezza e rianimare lo spirito pubblico per tali avvenimenti depresso, vorrete avvisare con la vostra saggezza sui mezzi a tenersi.
Il Consiglio osserva
• Che sia verità inconcussa di aggirarsi impunemente per questo vasto agro di
malviventi, che di giorno in giorno si aumentano, inabilitando i proprietari
di visitare le proprie campagne non solo, ma facendoli segno ancora delle
loro prave voglie col chieder denari, armi e munizioni e col minacciare d’incendio le proprietà qualora si mostrassero restii a soddisfare le loro pretese;
• Che, come compendio della loro riprovevole condotta, commettono giornalmente de’ furti con aggressioni e minacciano d’invadere la nostra città;
• Che tali lamentevoli avvenimenti succedono sol perché non avvi forza che li
perseguiti, mentre la Guardia non è alla portata di render simigliante servizio,
per la ragione che non è disciplinata e perché composta al di là di trecento
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contadini, i quali, abitando continuamente in campagna, lungi dall’avversare
i malviventi, li favoriscono e si accumunano alle loro idee;
• Che sia più che necessario l’invio e lo stanziamento di un drappello di Truppa, onde finirla una volta, la quale Truppa potrebb’essere coadiuvata da’ veri
patrioti nazionali, che al presente si negano per non essere trucidati dai loro
compagni, i quali nutrono affetto ai malviventi ed avversano le loro idee liberali;
• Che, non essendo i ducati cento deliberati dalla Giunta bastevoli ad oggetto
di mantenere l’ordine pubblico, è d’uopo investirsi altri fondi, acciò non
manchino per simigliante uso; e che a bene spenderli è d’uopo che il Sig. Sindaco e la Giunta se ne occupino.
Quindi delibera
• Che sia della giustizia de’ Superiori inviare un numero di Truppa, facendola
stanziare fino all’estirpazione de’ malviventi;
• Che, per mantenere l’ordine pubblico, ai ducati cento deliberati dalla Giunta
si aggiungano altri ducati duecentosettantaquattro [...]
• Che le somme anzidette sien messe a disposizione del Sindaco e della Giunta.
30 maggio 1863 – Per “l’estirpazione” dei briganti che ancora infestano il
territorio comunale, la civica Amministrazione delibera, oltre che il prosieguo del servizio della locale Guardia Nazionale, l’istituzione di premi
da assegnarsi a chiunque si adoperi per la cattura dei malfattori o per la
loro presentazione alla Giustizia.
Presenti il sindaco Ernesto De Ritis e i consiglieri Agrifoglio Pompeo, Bartoletti Corinto, Carunchio Ferdinando, Carunchio Paolantonio, De Marco Cassio, De Marco Giovanni, D’Onofrio
Ignazio, Falcucci Luigi, Giannico Alfonso, Lizzi Tito, Marcolongo Giuseppe, Rotolo Clemente,
Rucci Pietro, Spaventa cav. Vincenzo, Vaselli Girolamo.
Proposta del Sindaco Ernesto De Ritis
Il Sig. Prefetto della Provincia, col riverito foglio circolare del 20 girante, che
vi presento, lodando i servizi prestati dalle Guardie mobili, autorizza il prosieguo della mobilizzazione per l’estirpazione de’ briganti che tuttavia scorrazzano
pel nostro tenimento.
Le SS.LL., trovando utile il saggio divisamento del lodato Superiore, vorranno provvedere ad altri fondi per le competenze dovute alle Guardie medesime,
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stanteché della prima somma votata trovansi disponibili solo ducati 164,70, che
non basterebbero pel bisogno di che trattasi.
Il Consiglio
• Lette le pregevoli circolari prefettizie del 3 aprile e 20 girante mese;
• Considerando che sia molto lodevole il divisamento del Superiore, attesoché
con esso cercasi di far distruggere l’orda dei malviventi e ridonare la pace e la
tranquillità generale;
• Considerando che pel prosieguo della mobilizzazione è necessario provvedere
ad altri fondi, onde soddisfare le diarie alle Guardie mobili in ragione di 85
centesimi a carico di questo Comune ed altrettanti a carico del Real Governo;
• Considerando che a potersi ottenere la presa o l’eccidio de’ malviventi, è
d’uopo che il servizio si presti negli stretti sensi della circolare prefettizia del 3
aprile ultimo;
• Considerando, infine, che a raggiungere lo scopo dell’arresto de’ briganti o
della loro presentazione, è mestieri animare i buoni mercè premii a darsi a
coloro che procureranno sia la cattura sia la presentazione;
Delibera
• Che la mobilizzazione della Guardia Nazionale si prosiegua fino all’estirpazione de’ briganti e nei sensi della circolare prefettizia del 3 aprile ultimo;
• Che alle Guardie sia retribuita la diaria giornaliera di 85 centesimi per conto
di questo Comune, mentre altrettanta somma verrà pagata dal Governo;
• Che alla resta dei ducati 164,70 sieno aggiunti altri ducati 200 desumibili
dalla Categoria 6ª “Manutenzione delle strade interne”;
• Che a promuovere sia la presentazione de’ briganti sia la loro cattura, si retribuisca a coloro che le procureranno le seguenti somme, e nelle proporzioni
qui sotto dettagliate:
- A colui che prenderà un brigante sarà pagato il premio di L. 429,09;
- A quello che farà prendere uno o più briganti L. 254,99;
- A quello che prenderà un capo-brigante si corrisponderà L. 849,98 ed a
colui che lo farà presentare L. 429,09;
- A colui che farà prendere un drappello di briganti non minore di cinque si
pagherà il premio di L. 2124,95;
- E finalmente a colui che si coopererà di far presentare uno o più malviventi
si corrisponderà il premio di L. 203,99 per ciascun malvivente.
Le somme che al riguardo dovranno erogarsi saranno precapite da qualsiasi
fondo disponibile.
Il Consiglio in fine si augura che i degni Superiori, plaudendo a questa determinazione, vorranno munirla della loro approvazione.
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In un manifesto scritto a mano del 27 aprile 1864, un accorato e vibrante
appello del Comando Militare della Zona agli Atessani, perché non restino indifferenti alle atrocità commesse dai malviventi, ma collaborino con
le autorità per assicurali alla Giustizia.
Comando Militare della Zona
48º Reggimento Fanteria
4º Battaglione
Atessani!
Questa notte un atroce misfatto fu commesso, furon sacrificate due innocenti creature dalla ferocia di uomini perduti, che, sordi alla voce della clemenza della
Legge e più ancora ai rimorsi della propria coscienza, non hanno altra prospettiva pel presente che la esecrazione di tutti gli onesti, per l’avvenire una morte
ignominiosa.
Atessani!
Lo stare indifferenti alle atrocità di questi malandrini è una tacita complicità;
il paventarli è inconcepibile codardia.
Ricordatevi che voi siete UNDICIMILA CITTADINI ed essi sono OTTO
ASSASSINI; che avete con voi il sostegno morale della Giustizia, il materiale
della Truppa.
Scuotetevi una volta; imitate i circonvicini paesi che, piccoli e sguarniti, sanno
difendere le proprietà e le vite; non permettete più oltre che otto malandrini
impunemente si approprino le vostre ricchezze, uccidano i vostri animali, sacrifichino i vostri fratelli; voi, che colla distruzione del brigantaggio tutto avete a
guadagnare, nulla a perdere, imitate il Soldato che tutto può perdere, nulla
guadagnare, eppure con rara abnegazione si sacrifica per voi soli.
La coscienza del vostro dovere siavi di stimolo a dare quelle indicazioni che
ponno condurre le Autorità a scoprire e distruggere i malfattori; nulla avete a
temere: un inviolabile secreto vi è assicurato.
La Legge, inoltre, accorda anche vistosi premi, come già vi è noto; approfittatene: questo è un denaro acquistato con una buona azione.
Atessa, addì 27 Aprile 1864
Visto
Il Sindaco Ernesto De Ritis
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Il Maggiore Comandante il Battaglione
Serra
5 agosto 1864 – Constatata l’infruttuosità dei mezzi adoperati nella lotta
contro i briganti, il Consiglio Comunale delibera di intensificare l’azione
repressiva mediante opportuni appostamenti della Truppa, coadiuvata da
cittadini.
Presenti il sindaco Ernesto De Ritis e i consiglieri Agrifoglio Pompeo, Cardona Luigi, D’Amelio
Filindo, De Francesco Errico, De Marco Cassio, De Marco Gaetano, D’Onofrio Ignazio, Falcucci
Luigi, Falcucci Raffaele, Iovacchini Giacinto, Lizzi Tito, Mastrocecco Gennaro, Rancitelli Anchise,
Rotolo Clemente, Serafini Ermindo, Spaventa cav. Vincenzo, Vaselli Girolamo.
Proposta del Sindaco Ernesto De Ritis
La permanenza costante di pochi malviventi in questo tenimento è un’onta
per questa popolosa Città. Vani sono riusciti tutti i tentativi per distruggerli; ma
potrà raggiungersi questo scopo quando, a mio parere, vi concorreranno indistintamente i cittadini in unione della regolare Forza, e mercé quei temperamenti che la vostra illuminatezza potrà suggerire. A qual oggetto siete stati qui
convocati, e voi vorrete benignarvi dare il vostro avviso sui temperamenti stessi
da adottarsi.
Il Consiglio
• Intesi i notabili del Paese a questo scopo invitati ed i rilievi del Sig. SottoPrefetto, del Maggiore della Truppa qui stanziata, del Sig. Tenente de’ Reali
Carabinieri e del Sig. Delegato di Pubblica Sicurezza del Mandamento di
Vasto, anch’essi intervenuti per quest’oggetto dietro formale invito loro praticato;
• Penetrato della necessità di dar termine una volta allo scandalo di vedere scorrazzare per questo tenimento pochi malviventi con positivo danno de’ buoni
ed onesti cittadini;
• Considerando che tutti i mezzi adoperati per raggiungere un tale scopo son
riusciti infruttuosi, epperò la necessità di adottarne altri per conseguirlo;
Delibera
• Che i malviventi siano colti una volta ne’ loro ricoveri mercé appostamenti
della Truppa, in concorso di cittadini, nelle diverse località ove vi è più probabilità che possano aggirarvisi.
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Giuseppe Delle Donne, nativo di Montenero di
Bisaccia, uno dei capibanda del brigantaggio atessano. Fu catturato il 10 novembre 1866.
Dati informativi, compilati dal Comune, sui capibanda Policarpo Romagnoli Scocchino e Nicola Natale Turiello, sulle loro famiglie e sui loro
parenti.
Romagnoli Policarpo
La sua statura è vantaggiosa. Il padre, tuttavia vivente con la madre, ed i fratelli
viveano, come tuttavia vivono, coltivando le terre dei particolari. Nella leva del
1861, avendo preso un numero marciabile, per esentarsi dal servizio militare si unì
ai malviventi che scorrevano la campagna. Egli appartiene ad Atessa.
Natale Nicola
La sua statura è regolare e di bello aspetto. La moglie con i figli vivono in una
masseria di campagna di pertinenza dei Signori Piscicelli e coltivando le terre di
ragione dei medesimi. Il Nicola ereditava dal padre suo terre e masseria, che venivano vendute dallo stesso, addicendone il prodotto a sregolatezze. Suscitatosi il brigantaggio, stretto da bisogni si dié a scorrere la campagna insieme al di lui figlio Stefano.
Egli appartiene ad Atessa.
Dall’elenco, relativo al 1865, dei briganti atessani, conservato nell’Archivio Comunale.
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Famiglie e parenti del brigante Policarpo Romagnoli fu Saverio
Nome e cognome
Età
Condizione
Grado di
affinità
Annotazioni
Angela Pellegrini
56
Contadina
nullatenente
Madre
È pessima sotto tutti gli aspetti;
va superba di avere il figlio brigante ed occultamente s’insinua
per le case facendo ricatti a nome
del figlio.
Amadio Romagnoli
19
Idem
Fratello
Di pessimi sentimenti ed in piena
relazione col fratello, a cui porge
protezioni ed aiuto.
Luigi Romagnoli
16
Idem
Idem
Come sopra.
Maria Rosa Romagnoli
13
Idem
Sorella
Giuseppe Pellegrini
53
Pastore
Zio
È domiciliato in Paese, obbligato
a rimanere in casa per la eccessiva gotta che lo tormenta continuamente.
Donato Romagnoli
50
Contadino
nullatenente
Idem
È di pieno accordo col nepote, a
cui tien mano sfacciatamente.
Alberto Romagnoli
40
Idem
Cugino
Idem
36
Idem
Idem
Pessimo soggetto ed accanito
manutengolo, ed è ritenuto per
uno dei più fedeli esploratori.
Giuseppenicola Lazzaro 42
Idem
Idem
Fedele spione del brigante.
Idem
È guardia mobile e si è mostrato
sempre accanito persecutore dei
briganti.
Idem
È di buona condotta e la pubblica
opinione lo ha sempre ritenuto
incapace a prestar l’opera sua ai
briganti, e vive a sé.
Luigi Lazzaro
Camillo Pellegrini
Angelomaria Pellegrini
26
51
Idem
Contadino di
piccole proprietà
Dal prospetto, relativo al 1866, delle famiglie e dei parenti dei briganti atessani, conservato nell’Archivio Comunale.
25
Famiglie e parenti del brigante Nicola Natale fu Nobile
Nome e cognome
Età
Condizione
Grado di
Annotazioni
affinità
Mariagiuseppa Serafini
42
Contadina
piccola proprietaria
Moglie
È di pieno accordo col marito,
avendo obbligati taluni contadini
a dei matrimoni, a discendere da
contratti, e detta leggi in campagna con minacce di vita, essendo
temuta.
Maddalena Natale
18
Idem
Figlia
Di piena connivenza colla madre.
Maria Carmela Natale
21
Idem
Idem
Ritirata in Paese perché decaduta
dalla grazia del padre unitamente
al marito Francesco Cinalli sotto
notato, la quale vive a sé e nulla
ha più di comune col padre.
Filomena Natale
19
Idem
Idem
Di piena connivenza con la
madre.
Giovina Natale
16
Idem
Idem
Idem
Sebastiano Natale
14
Idem
Idem
Idem
Nobile Natale
9
Idem
Idem
Filippo Natale
4
Idem
Idem
Stefano Natale
65
Proprietario
Zio
Non è affatto in relazione col
nepote, da cui è malveduto, e vive
ritirato in Atessa, badando a sé.
Figlio
È al servizio militare fin da prima
che il padre si desse al brigantaggio, il quale, venuto in permesso,
si trattenne in casa del zio Stefano
e riprovò l’agire del padre.
Nuora
È moglie del suddetto Gennaro, a
cui si fece sposare per forza dal di
lui padre pria che andasse in milizia, perché era di lui druda, ed
attualmente continua la tresca.
Genero
È di pieno accordo col brigante, a
cui per forza si volle congiunto
colla figlia Maddalena, che ora
favorisce assai.
Idem
Si è dovuto ritirare in Paese perché il suocero suddetto voleva
ucciderlo, e per vivere, da contadino, ha dovuto prendere il
mestiere di calzolaio, e non sorte
più in campagna.
Gennaro Natale
25
Contadina
Felicia Sciorilli
24
Ferdinando Iacobitti
Contadino di
20
mediocre proprietà
Francescopaolo Cinalli
26
Contadino
ora calzolaio
Dal prospetto, relativo al 1866, delle famiglie e dei parenti dei briganti atessani, conservato nell’Archivio Comunale.
26
14 novembre 1866 – Per stimolare la popolazione a “perseguire e distruggere l’orda brigantesca” ridottasi ormai “a mal partito e quasi in dissoluzione”, il Consiglio Comunale delibera l’assegnazione dei premi a diversi
cittadini che se ne sono resi meritevoli per aver catturato il brigante Vincenzo Carlucci e favorito l’uccisione del suo compagno Luigi Finoli e la
presentazione alla Giustizia di altri sei malfattori.
Presenti il sindaco Felice barone Mascitelli e i consiglieri Carunchio Gennaro, Cinalli Anicassio,
Codagnone Nicola, De Francesco Giuseppe, De Marco Luzio, D’Onofrio Ignazio, D’Onofrio Salvatore, Falcucci Giuseppe, Falcucci Raffaele, Ferri Giovanni, Genovesi Domenico, Giannico Tommaso, Orfeo Pompilio, Rotolo Clemente, Verna Vincenzo.
1ª proposta del sindaco Felice Mascitelli
Vi presento due diverse domande avanzate da coloro che, avendo catturato il
brigante Vincenzo Carlucci e preso l’altro brigante Luigi Finoli, si rivolgono al
Municipio per essere guiderdonati.
Le SS.VV., prendendole in considerazione, vorranno emettervi favorevole
avviso per sempre più incoraggiare i cittadini a perseguire e distruggere l’orda
brigantesca, che, grazie alle recenti ordinanze emesse, si è ridotta agli estremi.
Il Consiglio
• Letti gli esposti di coloro che, avendo catturato il brigante Vincenzo Carlucci,
e di quelli che, avendo preso il di lui compagno Luigi Finoli, domandano il
premio stabilito nella Deliberazione del 30 maggio 1863, a cui si appoggiano
per conseguirlo;
• Considerando che il brigantaggio più infieriva che negli attuali tempi in cui,
per le emanate recenti disposizioni, si è ridotto a mal partito e quasi in dissoluzione per la ripresentazione di molti malviventi;
• Considerando da altra parte che l’opera che si presta dai cittadini per la repressione e distruzione del brigantaggio tenersi deve in gran conto da interessare il
Consiglio a rimunerarla nel modo che sia soddisfacente;
• Considerando che l’opera prestata dai dieci cittadini che catturarono Carlucci è
più premebiabile di quella degli altri otto che dietro combattimento frenarono
l’orda brigantesca d’un malvivente che rimaneva estinto, imperocché i primi,
mossi dal desiderio di rendere un servizio alla patria in tempo in cui il brigantaggio ferveva ancora e di corrispondere così ai voti di questo Consiglio, ebbero
il coraggio, senza il concorso della Forza regolare, di perseguitare il brigante Carlucci e catturarlo, mentre, in quanto agli altri, benché mossi dagli stessi lodevoli
sentimenti, non concorsero nell’opera loro tutte le su accennate circostanze, perché accompagnati da due Reali Carabinieri e dal Sig. Delegato di Pubblica Sicurezza ed era inoltre noto il luogo ove appiattavasi il brigante Finoli;
• Considerando che questi ultimi, nel numero di otto, hanno già un premio
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dall’egregio Sig. Reggente la Prefettura di Chieti;
è di parere
• Che si revochi la Deliberazione del giorno 30 maggio 1863 e si stabilisca,
nelle occorrenze, dal Consiglio i premi a darsi a coloro che si cooperino alla
distruzione del brigantaggio, secondo i meriti dell’opera che si presta;
• Che Domenico Pizzi, Carlo Suriani, Ermindo Pompilio, Battista Bellini,
Girolamo Giuliani, Giuseppe Prata, Giuseppe Spaventa, Federico Massa,
Nicola Massa e Filippo Giuliani conseguano, in parti eguali tra loro, il premio
di L. 429,09 fissato colla Deliberazione del 30 maggio 1863, per aver catturato il brigante Vincenzo Carlucci; e gli altri, Signori Ferdinando Marcolongo,
Salvatore Scerni, Battista Bellini, Nicola Massa, Carlo Suriani, Girolamo Giuliani, Giuseppe Prata ed Andrea Prata, sieno guiderdonati con L. 160, da
ripartirsi egualmente tra loro, pel fatto del brigante Finoli. L’una e l’altra
somma, per non esservi fondo disponibile da cui desumersi, sieno stanziate
nel novello Bilancio 1867.
2ª proposta del Sindaco Felice Mascitelli
Avendo Giacinta De Marco fu Domenico domandato, unitamente a Leonardo D’Amelio, Federico De Francesco ed Anna Domenica Farina, una gratificazione dal Comune per essersi adoperati a far presentare sei briganti alla Giustizia, il che è ben noto, io vi raccomando di avere a cuore la loro domanda, concedendo ai medesimi la chiesta gratificazione di cui son meritevoli. Nel rincontro vi esibisco ancora, per tenerlo in considerazione, un esposto di Carlo Suriani, il quale chiede il premio di L. 254,99, di cui è parola nell’atto deliberativo
del 30 maggio 1863, per consegnarlo alla persona che fece prendere il brigante
Luigi Finoli e che da lui non si è creduto nominare.
Il Consiglio
• Letta la domanda di Giacinta De Marco fu Domenico, Leonardo D’Amelio,
Federico De Francesco ed Anna Domenica Farina, che si sono cooperati a far
presentare alla Giustizia sei briganti;
• Letta altresì la domanda di Carlo Suriani, tendente ad ottenenre il premio di
L. 254,99, di cui è parola nell’atto deliberativo del 30 maggio 1863, per consegnarlo alla persona che fece prendere il brigante Luigi Finoli e che da lui
non si è creduto nominare;
• Considerando pel Suriani ch’egli, tenendo occulto il nome della persona che
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ebbe indicato il luogo dove nascondevasi il brigante Finoli, offende in certo
qual modo il decoro del Consiglio;
Che se la di lui riservatezza dipende dalla volontà del suo innominato, fa
d’uopo che il medesimo si faccia almeno palese ad un Consigliere in cui possa
riposare nella segretezza, ed allora il Consiglio si determinerà ad accordare il
domandato premio;
• Considerando, per gli altri quattro, che essi son meritevoli e di lode e di premio;
• Considerando che nessun fondo in bilancio si trova disponibile per l’accennato premio;
Delibera
• Accordarsi a Leonardo D’Amelio, Federico De Francesco, Giacinta De Marco
ed Anna Domenica Farina la somma di L. 51 per ciascuno, stanziandosi nel
Bilancio 1867 la complessiva somma di L. 204 per fare tale pagamento; e si
riserva di emettere il suo avviso sul premio a darsi all’uomo occulto del Suriani, quando egli si farà conoscere ad un Consigliere di cui possa fidarsi.
Il testo della domanda di sussidio avanzata al Sindaco, il 24 novembre
1866, da una donna ridotta in stato di grave bisogno per aver avuto il
marito assassinato e un figlio mutilato per mano dei briganti.
Al Signor Sindaco, Presidente della Commissione danneggiati dal brigantaggio.
Antonia Tano, vedova del fu Vincenzo Tano di Atessa, espone alla S.V. Ill.ma
che l’immane presenza del brigantaggio per questo vasto agro, se arrecò dei
danni al generale, sfogò l’ira feroce particolarmente contro la famiglia della
esponente; ed in vero, se dopo di aver mutilato lo sventurato di lei figlio
Pasquale, rendendolo inabile al lavoro proficuo, si fossero accontentati, sarebbe non lamentevole lo stato della propria famiglia, ma essi, desiosi della sua
estirpazione, dopo di un mese e pochi giorni prendevano lo sventurato di lei
marito e miseramente trucidavanlo, orbando la famiglia predetta del suo
sostegno, e particolarmente di essa deducente. Lo stato in cui essa trovasi non
è al certo florido, abbisognando di tutto; egli è perciò che rivolgesi alla S.V.
Ill.ma onde, nella innata bontà, si compiaccia provocare un sussidio onde
poter tirare innanzi i suoi giorni e quelli de’ propri nati. L’avrà come da Dio.
Atessa, 24 Novembre 1866
+ Segno di croce di Antonia Tano illetterata
29
L’elenco dei malviventi – molti dei quali atessani – catturati, costituitisi e uccisi in conflitto dal 20 aprile al 28 novembre 1866 nel Circondario di Vasto, in un manifesto della locale Sotto-Prefettura.
30
12 maggio 1869 – Per scongiurare il pericolo di una riviviscenza del brigantaggio, il Consiglio Comunale delibera “l’armamento dei proprietari
abitualmente dimoranti in campagna”.
Presenti il sindaco Giuseppe Falcucci e i consiglieri Carunchio Gennaro, Codagnone Nicola, De
Francesco Giuseppe, Falcucci Raffaele, Giannico Tommaso, Mastrocecco Gennaro, Rucci Pietro,
Spaventa Vincenzo, Vaselli Giacinto, Verna Vincenzo.
Proposta del Sindaco Giuseppe Falcucci
Ultimamente che l’egregio Sig. Tenente Colonnello Sironi fu in questo
Comune, per non far ripullulare il brigantaggio nel nostro tenimento, giacché si
ha notizia certa che nei limitrofi paesi pochi malviventi vi si aggirano, mi fece
delle più vive raccomandazioni di armare i proprietari abitualmente dimoranti
in campagna, che li perseguitassero.
Detto divisamento è più che lodevole. Se nella vostra prudenza e saggezza
credete di metterlo in atto, sarete cortesi di deliberarvi.
il Consiglio
• Facendo plauso alla proposta del Sindaco, per la considerazione che col mezzo
dell’armamento di quelli che abitualmente dimorano in campagna può ottenersi lo scopo di combattere quei pochi malviventi che volessero disturbare la
tranquillità e l’ordine pubblico, e così vedendosi perseguitati, non avverrà mai
che altri ingrossassero il loro numero;
delibera
• Che l’agro atessano sia ripartito in 56 sezioni, secondo lo stato formato, a ciascuna delle quali sia preposto un capo, il quale avrà la facoltà di scegliere
individui di sua fiducia e darli in nota, con obbligo di sorvegliare assieme ad
essi la zona affidatagli, di combattere il brigantaggio e d’adoperare tutti quei
mezzi che crederà convenienti per ottenere l’intento;
• Che la Giunta Municipale chiami a sé questi capi, notati nel suddetto stato,
nel più breve tempo possibile, invitando ad intervenire alla riunione il Sig.
Pretore di questo Mandamento, il Sig. Maresciallo dei Reali Carabinieri, il
Sig. Comandante il Distaccamento di Linea qui stanziato e benanche il Sig.
Tenente Colonnello Sironi, se sia possibile, onde prendere con loro quei concerti che si crederanno più opportuni a non far rivivere il brigantaggio in
queste sventurate contrade;
• Che sia facultata la Giunta stessa a crescere il numero delle sezioni qualora il
bisogno lo esiga;
• E che le spese occorrenti pel cennato armamento sian desunte dal fondo stabilito in bilancio alla Categoria 5ª, Art. 33.
31
L’abbattimento dell’Arco di S.
Lorenzo
Era
la principale porta di accesso alla
Città,
una delle sue
memorie storiche più significative.
Dove si trovava l’Arco di S. Lorenzo e perché si chiamava così.
Un grande arco con fabbricato e porta, simile o forse più grande di quello di S.
Nicola, era nei macelli; si chiamava Porta di S. Lorenzo, perché poco distante vi era
la chiesa di S. Lorenzo, chiusa nel 1771 e poi caduta.
Quest’arco medioevale, che era da un lato attaccato al macello di Giuseppe Cicchitti nel muro della chiesa dell’Addolorata e dall’altro lato a case allora esistenti, fu
abbattuto insieme con queste case nell’anno 1872 per far sorgere il Largo della Fontana; l’anno dopo venne l’acqua, benedetta dal prevosto Lannutti Olindo.
A. e D. Iovacchini, per una storia di Atessa, Tipolitografia Caporale, Atessa 1993, p. 172.
Consiglio Comunale del 16 febbraio 1861 – Il sindaco Raffaele Falcucci
propone che l’Arco sia abbattuto per scongiurare il pericolo di un possibile crollo e per facilitare alle carrozze l’ingresso alla Città.
Il Consiglio non adotta, al riguardo, alcun provvedimento.
Proposta del sindaco Raffaele Falcucci
Signori!
La porta S. Lorenzo, che imbocca alla strada rotabile di questo Comune, è in
imminente pericolo di crollare; egli è perciò che sarebbe utilissima cosa di
abbatterla onde evitare qualche danno, ed anche perché con tale temperamento
si raggiungerebbe il doppio scopo di abbellire l’entrata in questa città e togliere
l’incomodo alle carrozze di voltare per entrare, mentre – come conoscete – la
traversa predetta va a terminare in corrispondenza di uno dei pilastri dell’arco.
Io ne ho fatto già elaborare la perizia che vi presento, e voi, prendendo in
considerazione questo oggetto, vorrete designare il fondo per sopperire alla
spesa.
32
Consiglio Comunale del 9 maggio 1867 – L’assessore delegato alla funzione di sindaco, Giuseppe Falcucci, ribadisce l’opportunità della demolizione dell’Arco.
Il Consiglio, questa volta, delibera favorevolmente.
Presenti l’assessore delegato alla funzione di sindaco, Giuseppe Falcucci, e i consiglieri Bartoletti
Corinto, Cardone Giacinto, Carunchio Gennaro, Cinalli Anicassio, Codagnone Nicola, De Francesco Giuseppe, De Marco Luzio, D’Onofrio Gianantonio, D’Onofrio Salvatore, Falcucci Raffaele,
Ferri Giovanni, Flocco Vincenzo, Iovacchini Luigi, Orfeo Pompilio, Rotolo Clemente, Sorge
Pasquale, Verna Vincenzo.
Proposta dell’assessore CON funzioni di sindaco
Giuseppe Falcucci
L’arco della Porta S. Lorenzo non è di bella architettura, che per conservarlo
saria necessità di farvi delle riattazioni; invece è di cattivo aspetto, non è in corrispondenza della strada rotabile che ad esso mette capo e può ad altro poco
tempo minacciar rovina.
Io quindi credo convenienza di demolirlo. Convenendovi, le SS.VV. saranno
compiacenti di darvi l’analogo assenso.
Il Consiglio
Ritenendo quanto nella proposta è detto e considerando che con la demolizione del suddetto arco a Porta S. Lorenzo si allargherebbe maggiormente la
strada e si otterrebbe un bello ingresso alla città,
delibera
che sia abbattuto. I materiali saranno serbati per l’uso cui parrebbero occorrere.
La spesa per la demolizione e del rimbercio della parete a cui l’arco è appoggiato
sarà desunta dal fondo stabilito all’Art. 37, Cat. 6ª, per la strada comunale.
33
Particolare della “Pianta dimostrativa della Città di Atessa - 1855”, conservata nell’Archivio Prepositurale.
34
L a prima condot ta di acqua
potabile e l a fontana monumentale
Esultanza
popolare in
Atessa,
il
28
settembre
1873,
per il
compimento di un’opera di primaria importanza per il miglioramento delle condizioni civili del paese.
La fontana monumentale dalla cerimonia d’inaugurazione (1873) alla
demolizione (1939).
II giorno 28 settembre 1873 si
festeggiò in Atessa un evento di grandissima rilevanza, destinato ad incidere
positivamente, forse come pochi altri,
sulle condizioni di vita della cittadinanza: l’inaugurazione della prima condotta di acqua potabile e della fontana
monumentale che di essa, al centro di
Largo S. Lorenzo, oggi Piazza Oberdan,
costituiva il punto terminale.
Verso questa fontana la condotta,
realizzata in tubi di ghisa, convogliava
attraverso un percorso vario e sinuoso
le acque captate da gruppi di sorgenti
di due località, Pianelle e Fontanelle S.
Martino, poste a sud-ovest del paese e
da esso distanti, in linea retta, rispettivamente quattro chilometri e due chilometri e mezzo.
L’esecuzione dell’opera aveva presentato notevoli difficoltà a causa dello stato
naturale del terreno, caratterizzato da
una successione di dossi, burroni e dirupi.
È facile immaginare quanto viva
fosse l’esultanza popolare nel corso
della cerimonia dell’inaugurazione, specie allorquando dalle dodici cannelle
della grande fontana si vide per la
prima volta sgorgare, abbondante
nonostante un lungo periodo di siccità,
la tanto attesa acqua. Al discorso del
sindaco Raffaele Falcucci, tutto incentrato sulla straordinaria utilità dell’opera realizzata che veniva a soddisfare
finalmente un bisogno vitale della
popolazione, faceva seguito quello
dell’ingegner Felice Abate, autore del
progetto e direttore dei lavori, il quale,
dopo avere svolto una succinta relazione tecnica, concludeva il suo intervento
inneggiando, com’era di rito in quei
tempi, al “senno e patriottismo” della
deputazione municipale e all’ “abnegazione, perseveranza e amore superiori
ad ogni encomio” del Sindaco, meritevole dell’ “imperitura riconoscenza”
della cittadinanza. Poneva solennemente fine alla cerimonia la funzione religiosa della benedizione.
A partire da quel giorno memorabile
la fontana monumentale rappresentò a
lungo in Atessa il principale centro di
aggregazione, l’abituale luogo d’incontro
e di amichevole intrattenimento di tutti
gli abitanti del paese, che vi convenivano
35
da ogni quartiere per dissetarsi o per
approvvigionarsi dell’acqua necessaria
agli usi domestici. Attorno ad essa regnava sempre una grande animazione: si
conversava su argomenti frivoli e seri, si
scherzava, si pettegolava, si trattavano
affari, si combinavano matrimoni.
Col passare del tempo, però, poiché
l’avvenuta costruzione di un nuovo
acquedotto urbano consentiva ormai
attraverso una quindicina di fontanini
l’erogazione dell’acqua potabile in tutte
le principali vie cittadine, l’importanza
della fontana di Largo S. Lorenzo andò
gradatamente scemando.
Si arrivò così al 1939, quando l’allora
commissario prefettizio al Comune
Bruno Mastrovick ne decretava, dopo
soli 66 anni di vita, la demolizione perché rea, come si desume dalla deliberazione del 17 giugno, di non avere più
“alcuna ragione pratica di esistere e
parimente veruna utilità”, di non van-
tare “alcun requisito artistico-estetico”,
di essere “priva di qualsiasi pregio da
consigliarne la conservazione”, di rappresentare “un inutile e brutto ingombro anche dal lato panoramico” e,
soprattutto, di costituire dal punto di
vista igienico-sanitario “un grave inconveniente per la salute pubblica, non
presentando essa nessuna garenzia contro l’inquinamento dell’acqua”.
Nei giorni 26 giugno - 8 luglio, tra
l’indifferenza pressoché generale, la fontana venne abbattuta e sostituita con
un insignificante fontanino posto ad un
angolo della piazza: Atessa perdeva,
così, una delle sue testimonianze storiche più suggestive.
Ora essa sopravvive nella memoria
degli anziani e nel nome di “Piazza
della Fontana” con cui ancora ai nostri
giorni si suole comunemente indicare
Piazza Oberdan.
Largo della Fontana alla fine del primo decennio del Novecento.
36
Nicola Celiberti
Confronto, gennaio 1991.
Manifesto del 1873 con il discorso pronunciato, per l’inaugurazione
dell’acquedotto e della fontana, dall’ing. Felice Abate, progettista dell’opera e direttore dei lavori.
Nel giorno 28 del passato settembre inauguravasi la condotta delle
acque potabili in Atessa, in mezzo alla più viva esultanza di quella popolazione, che vedeva soddisfatto, con quell’opera, un immenso suo bisogno, anche oltre ai limiti delle concepite speranze, pel cospicuo volume
d’acqua che scaturivasi da una fontana monumentale, termine della condottura. La funzione religiosa della benedizione veniva aperta da un
applaudito discorso del Sindaco, al quale l’Ingegnere Felice Abate, autore
del progetto e direttore dell’opera, aggiungeva di questa una succinta
descrizione, con le seguenti parole.
Signori!
L’inaugurazione di un’opera comunale è sempre una festa cittadina, perché vuol
dire la soddisfazione di un bisogno più o meno sentito, un miglioramento nelle condizioni civili del paese, un accrescimento della pubblica prosperità; ma quando trattisi di un’opera di tanta necessità ed utilità qual è una condotta di acque potabili in
un Comune che ne manchi, il suo compimento non può che destare nella popolazione quella gioia entusiasta e riconoscente verso il Municipio che voi già dimostraste fin dal primo scaturirsi delle acque da questa fontana [...]
Dappoiché questo onorevole Municipio deliberava di provvedere la città di acque
potabili, delle quali pativa gravissima penuria, ed incaricavami di progettarne il
modo e dirigere la esecuzione dell’opera, [...] perlustrando dapprima i dintorni di
questa città mi persuasi bentosto che da’ monti a sud-ovest di essa, e propriamente
da’ due siti che han nome Pianelle e Fontanelle, dovessero le acque derivarsi; e che il
modo della loro condottura esser dovesse quello che costituisce il mezzo sovrano
dell’arte moderna di menar le acque da sito a sito, cioè un condotto tubolare di
ghisa, massimamente perché la distanza fra i detti luoghi e l’abitato (4.685 metri) è
tramezzata da colli e valli, queste ultime assai ampie e profonde, che non altrimenti
potrebbero superarsi [...]
Signori!
L’opera di cui è proposito ha presentato nella esecuzione non poche difficoltà, per
le condizioni naturali del terreno, le maggiori delle quali si sono avute: per ridurre la
strada di Valle Aspra, ben propriamente così chiamata, allo stato da sopportare il passaggio lungh’essa del condotto; e per circuire con questo, a mezza costa, il Monterione. Ognun di voi rammenta quale orrido e diruposo sentiero era quella strada, massimamente a motivo delle frane del terreno; la si è dovuta perciò prima regolarizzare e
consolidare alla meglio, per varie opere, senza trasmodare nelle spese, e poi allogarvi
37
sotterra il condotto (con che il Municipio ha reso pure un altro gran servizio al
Comune ed a diversi altri vicini nelle reciproche loro relazioni commerciali). Il Monterione poi [...] presentava una successione di dossi, burroni e precipizî, nei quali si è
dovuto incastrare profondamente il condotto, spesso nella roccia calcarea [...]
Signori!
Il volume d’acqua che or vedete scaturirsi da questa fontana, malgrado la eccezionale siccità che ha inaridite tutte le sorgenti, è già considerevole e soprabbondante ai
bisogni vitali ed igienici di questa popolazione; ma sarà certamente assai più copioso
nella maggior parte dell’anno e nelle annate normali, per il che son lieto di potervi
ora confermare con la sicurtà del fatto la mia primitiva dichiarazione: di esser, cioè,
possibilissimo animare col supero di tali acque de’ molini da grano ed altri opifici,
nella lunga discesa di questo colle fino al fondo della valle, impiegando all’uopo de’
turbini idraulici, efficacissima macchina motrice de’ nostri tempi [...]
Sono questi, o Signori, i beneficî dovuti al senno ed al patriottismo dell’attuale
Municipio, che deliberava e compiva la condotta delle acque nella città. Al quale, e
specialmente al degno Sindaco, che con abnegazione, perseveranza ed amore superiori ad ogni encomio consacravasi al successo della magnanima impresa, va dovuta
la eterna gratitudine di questa popolazione; la quale comprenderà che, acciò una
buona amministrazione del Comune sia possibile, fa d’uopo che venga secondata dal
concorso e dal buon volere di tutt’i cittadini, ognuno dei quali debba pur avere la
virtù di sacrificare, quand’occorra, il proprio interesse allo interesse supremo e santissimo del pubblico bene.
Ancona, 1873 - Tip. del Commercio.
Largo della Fontana nel secondo decennio del Novecento.
38
Atessa, 28 settembre 1873
Le ragioni per le quali nel 1939 il Comune, allora retto da un commissario prefettizio, ravvisò l’opportunità di abbattere la fontana monumentale
(Delibera 17 giugno 1939).
Il Commissario Prefettizio del Comune
cav. dott. Bruno Mastrovich
• Ritenuta l’assoluta ed inderogabile necessità di dover provvedere ad una
migliore e più decorosa sistemazione della Piazza Oberdan, una delle più
grandi piazze cittadine, situata all’ingresso della Città, della superficie di mq.
900, sede di importanti mercati pubblici e fiere che si svolgono in questo centro capoluogo;
• Rilevato che in detta piazza, in posizione quasi centrale, trovasi una vecchia
fontana con dodici getti, alimentata dal vecchio acquedotto, non avente alcun
requisito artistico-estetico, priva di qualsiasi pregio da consigliarne la conservazione;
Che dal punto di vista igienico-sanitario costituisce un grave inconveniente
per la salute pubblica in quanto essa non presenta nessuna garenzia contro
l’inquinamento dell’acqua, come ben risulta dalle apposite relazioni dell’Ufficiale Sanitario di questo Comune in data 15 luglio 1935 e 20 maggio c.a.;
• Tenuto presente che, non avendo più alcuna ragione pratica di esistere e parimente veruna utilità dopo la costruzione del nuovo civico acquedotto che alimenta abbondantemente l’abitato con una quindicina di fontanini, questa
vecchia fontana rappresenta un inutile e brutto ingombro, anche dal lato
panoramico;
• Ritenuto che per i su esposti ed evidenti motivi si evince come sia di imprescindibile convenienza la sua demolizione e venga molto appropriatamente
sostituita con un fontanino a quattro getti, posto in un angolo della piazza
medesima;
• Vista la perizia all’uopo redatta dall’Ing. Guido D’Onofrio in data 9 corrente,
in cui è prevista una spesa per l’importo di L. 3.000 per l’esecuzione di tutti i
lavori necessari e comprendenti: la demolizione della vecchia fontana, la ricostruzione del nuovo fontanino con le relative opere di presa e di scarico ed il
ripristino delle pavimentazioni stradali, sia in calcestruzzo che a selciato;
• Atteso che, data la poca entità della spesa, i lavori suddetti possono farsi in
economia, facendovi fronte con lo stanziamento dei fondi ordinari di bilancio
e precisamente con imputazione della spesa all’Art. 71 “Manutenzione di
strade”, che offre sufficiente disponibilità;
• Considerato infine che per l’esecuzione di tali lavori sarà occupata la mano
d’opera locale, onde andare incontro alle pressanti richieste di disoccupati, e
in tal modo si andrà a lenire un po’ la disoccupazione di alcune maestranze di
categoria;
• Vista la vigente legge comunale e provinciale;
39
determina
• Approvare la perizia su indicata per l’ammontare massimo previsto in L. 300,
salvo liquidazioni finali, prelevando la somma necessaria all’Art. 71 del bilancio corrente “Manutenzione strade e piazze”;
• Eseguire in economia i lavori indicati in narrativa e riportati nella perizia
dell’Ing. D’Onofrio e cioè: demolizione della vecchia fontana, costruzione di
un fontanino e lavori accessori.
La fonte si ni... va
Ire matine, appena so’ calate
verze l’Addulurate, chi so’ viste?!...
La fonte, ch’ere tante prilibbàte,
li lume stave pruoprie a massacrà.
Sbotte Nicole: «Uè, gna sa da faje
si a ddùdece pirzàne te’ ‘rrizzure?...
Sti’ fresche, scì, la file j da faje
si vu’ veve, si nnò... ni vive, no.
Chi martillav-a manch-e chi a ritte,
chi j rumpè lu piatte cuvutète,
chi tuiè la làpide nchi la scritte,
chi li cannelle j stav-a luuà.
Nu fiume d’acque!... Dùdece cannelle!...
Mezze monne ci si putè saziàje!...
Ca da’ fà sta mischina funtanelle
quand’è Sant-Rocch-e ttu ni mpù passà?...».
Attuorn-a chi facè chi lu dirràcche
‘na morre di pirzane s’è runnite;
di chiacchiere si ni facè nu sacche
e chi cott-e chi crude li vulè.
«Piagne lu morte è lacrime spricate,
cumpà Nicò (dice nu filòsime).
La morte di la font-è dicritàte!...
Pirciò ni nserve chiù a chiacchiarià.
Li viecchie spicialmente ci piagnèje
a vidè arruvinè chi la funtane:
«La prime di l’Abbruzze!... E... li tinèje
sole l’Atesse e nisciun-atre cchiù».
Pi l’Atesse sta vinte funtanelle,
ti pu’ bbuttà, si vu’, gne ‘na scupìne!...
Lass-a ripusà ‘mpace lu ciuruèlle.
Lu male sanghe chi ti li fa fà?...».
«È custate nu bbosche sta funtane
(dicè nu viecchie) e mo, cume niente,
si iette ‘nterre pi farci nu spiane!...
Sta tante larghe,... a ecch-ha da ‘ntruncà?...».
Senza pijtàje vatte li martielle
e la fonte scumparisce a viccùne.
Suspir-e si ni va li vicchiarielle;
chi sta a spasse riman-a curiusà.
«Ma quesse ni nsirvìje chiù a niente
(dice nu giuvinotte chi ci-ha uste).
Fusse state almene n’abbillimente!...
Nu cacatàre viecchie!... Chi ci-ha da fà?...».
40
Giuseppe Antonio Di Nenno
L a Società Operaia di Mutuo
Soccorso
Nata
nel 1865
(quella
atessana, per ordine di data, fu la
Abruzzo e tra le
prime ad essere giuridicamente riconosciuta), perseguì un
duplice scopo: sovvenire, nelle situazioni di difficoltà, ai
bisogni dei soci e concorrere ad elevarne il livello di formazione umana e culturale.
seconda società operaia a costituirsi in
Le finalità, la classificazione dei soci, i requisiti richiesti per l’ammissione,
i diritti e i doveri dei soci.
Finalità
La Società Operaia di Mutuo Soccorso, costituitasi in Atessa addì 8 ottobre 1865, ha
per scopo di assicurare un sussidio ai soci nei casi di malattia o d’impotenza al lavoro
per estrema vecchiezza e di cooperare all’educazione dei soci e delle loro famiglie.
Classificazione dei soci
I soci si distinguono in tre categorie:
1. Soci effettivi;
2. Soci contribuenti;
3. Soci onorari.
Sono soci effettivi quelli che, adempiendo ai doveri loro prescritti dal presente statuto, fruiscono di tutti i vantaggi che la Società loro accorda.
Sono soci contribuenti quelli che col pagamento d’una contribuzione mensile procurano l’incremento della Società senza fruirne i vantaggi.
Possono essere nominate soci onorari le persone che, per opere compiute a beneficio dell’umanità, della patria o di questa associazione, abbiano acquistato titolo alla
gratitudine della classe operaia.
Requisiti richiesti per l’ammissione
Per essere ammesso alla Società come socio effettivo occorrono i seguenti requisiti:
1.
2.
3.
4.
5.
Essere cittadino italiano.
Avere stabilito la residenza almeno da un anno nel comune di Atessa.
Avere compiuto il 12° anno di età e non oltrepassato il 45°.
Essere di sana costituzione fisica.
Esercitare una professione, un impiego, un’arte, un mestiere, un’industria o un
41
6.
7.
8.
9.
commercio.
Non essere stato condannato per reati che escludano dall’elettorato pubblico.
Non essere in istato d’interdetto, inabilitato o fallito.
Non avere impugnato le armi contro la patria o disertato dall’esercito nazionale.
Non essere abitualmente dedito al giuoco, all’ozio od al vizio dell’ubriachezza.
Può essere ammesso come socio contribuente qualsiasi individuo, purché abbia i
requisiti richiesti dai nn. 6, 7, 8 e 9.
Diritti dei soci
Ogni socio effettivo colpito da malattia acuta che lo renda inabile assolutamente al
lavoro, purché si trovi iscritto da un anno alla Società e sia al corrente nel pagamento dei contributi mensili, ha diritto ad un sussidio giornaliero di centesimi 50 ed alla
somministrazione gratuita delle medicine per la durata di cento giorni nel corso di
un anno solare.
Per le malattie croniche il Consiglio Direttivo ha facoltà di accordare sovvenzioni
straordinarie a seconda dei casi e delle condizioni economiche dei soci che ne fossero
affetti, nonché nei limiti consentiti dal bilancio del Fondo speciale.
Non sarà dato sussidio a coloro che venissero colpiti da malattia derivante da
abuso di vino o di liquori, da immoralità o da provocate risse.
Alla morte del socio effettivo la Società provvede alle spese funerarie, consistenti in
quelle indispensabili per la tumulazione dell’estinto.
La Società accorda inoltre ai soci effettivi un sussidio di vecchiaia, il cui ammontare sarà determinato dall’assemblea nei limiti dei fondi disponibili e del numero dei
sussidiandi in base al bilancio tecnico.
La Società fornisce gratuitamente di libri scolastici i figli dei soci effettivi, ascritti
alle scuole elementari di Atessa. Perché il socio possa godere di questo beneficio,
bisogna che sia ascritto alla Società almeno da un anno.
Nel fine di onorare 1’augusta memoria del primo Re d’Italia e promuovere nell’un
tempo l’istruzione popolare, è istituito a favore dei figli dei soci effettivi, ascritti alle
scuole elementari di Atessa, un premio annuo di lire 10, che sarà chiamato Premio
Vittorio Emanuele II.
Ogni socio di qualsiasi categoria ha diritto di usufruire della biblioteca circolante,
pel cui incremento la Società stabilirà annualmente nel suo bilancio quella somma
che sarà compatibile colle sue condizioni finanziarie. In ogni caso 1’assegno alla
biblioteca non sarà maggiore di centesimi 35 per ogni socio effettivo.
Doveri dei soci
Il socio, con l’atto della sua ascrizione alla Società, contrae il dovere di:
1. Difendere la fama e l’onore dei consoci e sostenere l’istituzione sociale nella sua
integrità, servendosi di mezzi civili senza trascendere ad atti vietati dalla legge.
42
2. Far frequentare le scuole dai figli, dagli apprendisti e dai lavoranti suoi dipendenti. Mancando a questo dovere, potrà essere punito con una multa.
3. Serbare una condotta irreprensibile, la quale faccia onore a sé ed alla Società cui
appartiene.
4. Versare nella cassa sociale una tassa d’ammissione, che pei soci contribuenti sarà
di lire 3 e per gli effettivi sarà proporzionata alla loro età; cioè:
da
»
»
»
»
»
»
12
18
21
26
31
36
41
a
»
»
»
»
»
»
17 anni L. 1
20 »
» 2
25 »
» 3
30 »
» 4
35 »
» 5
40 »
» 8
45 »
» 10
Il contrassegno ufficiale del
la Società.
5. Pagare una contribuzione mensile di centesimi 50.
I militari e gli emigrati non sono tenuti al pagamento di tale contribuzione, ma
non hanno diritto ad alcun sussidio, e degli anni da loro trascorsi sotto le armi
(purché non trattisi di servizio obbligatorio) o fuori d’Italia, non sarà tenuto
conto nel computo del tempo utile per acquistare il diritto al sussidio di vecchiaia; salvo il caso che preferissero pagare annualmente i contributi dovuti.
I soci onorari non sono tenuti al pagamento di alcuna contribuzione.
Statuto 14 maggio 1890, con modifiche del 2 novembre 1898 e 24 aprile 1899, della Società Operaia di
Mutuo Soccorso in Atessa, Casa Tipografico-Editrice Cav. Giov. Colitti e Figli, Campobasso 1916, pp. 3
sgg.
“Festa della Bandiera” celebrata dalla Società Operaia di Mutuo Soccorso nel 1910.
43
La Società Operaia di Atessa premiata con medaglia d’oro all’Esposizione
Nazionale di Torino del 1898.
Il Giurì dell’Esposizione Nazionale di Torino ha conferito alla Società
Operaia di Atessa la medaglia d’oro.
Essa che, per ordine di data, è la seconda negli Abruzzi e fu tra le prime a
costituirsi ente giuridico, ha istituito una biblioteca circolante ricca di oltre
duemila volumi e una pensione di vecchiaia, la quale funziona regolarmente;
epperò era meritevole del distintissimo premio.
Corrienre Frentano, 7 dicembre 1898.
I diritti dei soci pubblicizzati con un manifestino del 1899.
44
Atessa e i suoi figli illustri
Domenico Ciampoli (1852-1929)
Narratore, critico letterario, fervente studioso e divulgatore delle letterature straniere, ebbe un ruolo di primo
piano nell’ambito della cultura abruzzese di fine Ottocento e del primo Novecento.
Domenico Ciampoli in un saggio di Giuseppe Marcolongo.
Dopo aver compiuto il corso elementare in Atessa, dov’era nato nel 1852, e
proseguito gli studi in Vasto e Lanciano, Domenico Ciampoli, circa cento
anni fa, venne a frequentare il secondo
e terzo liceo all’Aquila; ed è probabile
che qui conoscesse Teofilo Patini, maggiore di lui di dodici anni, il quale già si
era trionfalmente affermato, con un
nudo e un bozzetto, nella gara per il
pensionato artistico svoltasi in Firenze
nel 1868.
Certo è che anche il Ciampoli, come
il Patini, fu pervaso in tutte le sue opere
da uno spirito di rivolta contro la miseria, la prepotenza e l’ingiustizia sociale.
«I primi quadri del pittore dei cenci
dovettero scuotere la sua sensibilità
tanto da risentirne nella vita e nell’arte»: così scrive, acutamente, nel pregevole saggio Domenico Ciampoli - Riflessi
della vita e delle opere (Solfanelli, Chieti
1963-64), Giuseppe Marcolongo.
Atessano di puro sangue; avvocato e
pubblicista insigne, che Ettore Ianni
volle con sé al Corriere della Sera; “Premio di cultura” da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri e Socio
corrispondente della Deputazione di
storia patria per gli Abruzzi, l’amico
Marcolongo ha il culto delle memorie
patrie e dei Grandi che onorarono la
sua città e l’Italia. Su di essi eccelle,
indubbiamente, Domenico Ciampoli.
Laureatosi nella Università di Napoli,
dove pubblicò i suoi versi giovanili in
una rivista studentesca, il Ciampoli fu
DOMENICO CIAMPOLI, in una foto di Lelio
De Francesco del 1890.
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docente nei licei di Campobasso, Ancona, Foggia, Acireale, e poi nelle Università di Sassari e di Catania, suscitando
dovunque ammirazione per la vastità
della cultura.
Dopo 25 anni d’insegnamento, riuscito primo nel concorso per le biblioteche nazionali, accettò la direzione di
quella di S. Marco a Venezia, e si dette
allo studio delle antiche scritture,
dando alla luce i codici paleoslavi, che,
insieme con le traduzioni di opere di
prosa e in poesia dalle lingue straniere,
gli dettero rinomanza in tutta Europa.
Egli, infatti, che a Capri aveva conosciuto Gorkij, Lenin e Volinski, illustratore di Leonardo, tradusse pagine di
Sienkiewicz, Dostoewskij, Salov, Tolstoi, Turgenev, Gogol, nonché canti
bulgari, armeni, montenegrini, senza
contare gli autori polacchi, ungheresi,
inglesi, tedeschi, francesi e spagnoli.
A sua richiesta, fu poi trasferito a
Roma, donde gli era più agevole tornare
con la famiglia, d’estate, alla sua Atessa,
tra le querce del Convento di Vallaspra;
e in Roma rimase, anche dopo la perdita dell’amata compagna, fino alla morte
avvenuta il 23 marzo 1929.
Non era un misantropo il Ciampoli;
sapeva figurare anche nella vita mondana della belle époque. Partecipò, come il
Cavallotti, a brillanti duelli per difendere l’onore di qualche dama o la reputazione di amici cari. Amava tuttavia la
semplicità, che si riscontrava anche
nella vita di casa, assai modesta, e negli
stessi mobili assai comuni e di poco
valore.
Quel che contava erano i grandi scaffali zeppi di libri preferiti, che si trovavano dappertutto, sui comodini, sulle
sedie, sui divani, per cui il Ciampoli
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diceva essere essi gli unici suoi beni di
fortuna; non gli mancavano edizioni
rarissime e di grande importanza.
Nelle pareti v’erano, in prevalenza,
molte fotografie di illustri personaggi
del mondo della politica, dell’arte e
della mondanità, spesso con interessanti
autografi e dediche come quelle dello
Zar, di Tolstoi, di Gorkij, di Lenin, di
Cecov, della Rubinstein, in abito del S.
Sebastiano dannunziano, del Byron, del
Milton, del Dickens, nonché di molti
italiani, come Croce, D’Annunzio,
Pascoli, Scarfoglio, Tosti, Verga, Capuana, e dei due scultori Gemito e Barbella.
Vastissima l’opera letteraria del
Ciampoli, che il Marcolongo passa in
rassegna con rapidi tocchi: dal racconto
romanzato abruzzese del secolo XII
Bianca del Sangro, edito dalla Tipografia Marsicana di Avezzano nel 1878, a
La rupe della Zita, leggenda pubblicata
in due puntate da La Palestra dei giovani di Napoli; da Racconti abruzzesi (Brigola, Milano 1880) a Trecce nere (Treves, Milano 1882), una raccolta di
novelle che commosse molte anime,
soprattutto per la pietosa storia di Mariuccia di Canzano che, costretta a sposare un ricco contadino e non riuscendo
a dimenticare il primo amore che l’aveva resa madre, viene dal marito geloso
strangolata con le proprie trecce; ad
altre raccolte, come Cicuta (Sommaruga, Roma 1884), Fra le selve, in due
volumi (Giannotta, Catania 1890-91),
ecc.
Dei cinque romanzi del Ciampoli ci
limitiamo a riprodurre i titoli: Diana,
Roccamarina, Il Pinturicchio, L’invisibile, Il Barone di S. Giorgio. Essi sono
pressoché introvabili nelle stesse biblio-
teche d’Abruzzo: «di quell’Abruzzo –
come dice Ettore Ianni nella prefazione
al libro – che fu il vero protagonista
della sua letteratura»; né si troverebbe,
oggi, un editore disposto a ristamparli.
«Essi sono storie – aggiunge il grande
giornalista – e soprattutto forme di presentar le storie in contrasto ormai col
nostro tempo. Vi manca, d’altra parte,
quella potenza d’arte che fa universale
ed eterno ciò che nel semplice fatto è
ristretto ad una età, ad un luogo».
Il Ciampoli stesso definì l’insieme
dei suoi libri “la torre di Babele”, a
significare quella folla di padroni e
servi, violenti e pavidi, fatui signorotti e
politicanti fasulli, ragazze procaci e
bagasce bettoliere, fattucchiere, briganti, accoltellatori, e insieme anime elette
pronte alla sofferenza e al sacrificio, che
parlano mille lingue e dialetti diversi.
Eppure quei personaggi sono spesso
tratti dal vero, come afferma lo stesso
Ciampoli nella prefazione al suo secondo romanzo: «Roccamarina è, come
tante altre, una storia d’amore tolta dal
vero, ma io sarei ben contento se fosse
creduta creazione di fantasia, perché la
simpatia per i personaggi non si tramuti in pietà per le persone viventi».
Quel che talvolta appesantisce la narrativa del Ciampoli sono le analisi, le
digressioni, le descrizioni, anche quando queste rappresentino, con squisito
senso d’arte, stati di coscienza, passioni,
folklore.
Comunque, sarebbe da ponderare
seriamente la proposta, lanciata dal
compianto e indimenticabile autore di
Memorie di un deputato, di raccogliere i
capitoli più significativi, a sé stanti, dei
romanzi e alcune delle novelle più vive
e fresche del Ciampoli in un volume
commemorativo, che tramandi alle
future generazioni il meglio del grande
scrittore abruzzese.
A ciò potrebbe contribuire, tanto per
cominciare, la ristampa del bel volume
di Giuseppe Marcolongo, opportunamente riveduto e ampliato.
Antonio Silveri
La Gazzetta, 5 luglio 1970.
DOMENICO CIAMPOLI
Olio su tela, di Nicola De Francesco, 1992, Biblioteca
Comunale.
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Manifesto del Comune di Atessa per la ricorrenza del centenario della
nascita di Domenico Ciampoli.
Comune di Atessa
Centenario della nascita
di
Domenico Ciampoli
23 Agosto 1852 - 23 Agosto 1952
Cento anni or sono nasceva in questa città che ha antiche e gloriose tradizioni di arte e di cultura Domenico Ciampoli, noto
scrittore, illustratore di importanti codici, documentari di storia e
di vita, rievocatore delle opere del genio italiano dal Petrarca al
Savonarola, al Galilei, al Campanella, e dei pionieri del Risorgimento italiano, alla cui epoca diede largo contributo di pensiero, ma
soprattutto profondo conoscitore delle letterature straniere e, tra i
primissimi, divulgatore delle opere dei popoli slavi.
Atessa, che si onora di avergli dato i natali e che ha costituito un
apposito Comitato, avrebbe voluto tributare, nella ricorrenza di
questo centenario, una degna celebrazione, con l’intervento dei
migliori figli di questa terra.
Difficoltà diverse di carattere organizzativo, non facilmente sormontabili, hanno impedito di compiere, per ora, questo rito celebrativo. Esso, però, sarà compiuto in una prossima occasione con l’apposizione, fra l’altro, di una lapide nella facciata esterna delle Scuole Medie e con l’intitolazione anche di una strada al suo illustre
nome, perché è doveroso ricordare e celebrare chi, con la mente e
con le opere, diede onore alla patria di origine.
Atessa, 23 Agosto 1952
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Il Sindaco
Santarone
Atessa e i suoi figli illustri
Lelio De Francesco
Un
appassionato cultore della musica, del disegno e, in par-
ticolare, della fotografia, alla quale seppe dare dignità
d’arte.
La passione per l’arte: una costante della sua vita.
Lelio De Francesco nacque in Caivano (Napoli) nel 19 novembre del 1865 da padre
atessano, che lo condusse fin dall’età di cinque anni nella sua simpatica terra di origine.
[...] lo vediamo, fanciullo ancora, aver dimestichezza con righe, squadre, compassi, matite, e guidato dal solo istinto dilettarsi in quell’arte che formava già allora la
sua occupazione prediletta.
[...] il padre, lieto di vederlo dedito al lavoro nobile e bello, decise alla fine di
appagarlo nell’ardente suo sogno e così, all’età di tredici anni, lo affidò al prof. Nicola Grumelli di Atessa per l’apprendimento dei primi elementi di disegno; e più tardi,
a quattordici anni, al maestro Giuseppe D’Amelio per quello della musica; sotto il
quale in breve tempo il giovinetto fece notevolissimi progressi.
[...] Nel dicembre del 1881, a sedici anni compiuti, confortato dai continui progressi del figlio, il padre, non senza gravissimi sacrifizi, lo mandò a Napoli ove, studiando musica nel Conservatorio di S. Pietro a Maiella e belle arti nell’Accademia,
ebbe agio di sviluppare e disciplinare le varie sue doti artistiche.
[...] Nel 1885, a vent’anni, andò militare e fu assegnato all’87º Reggimento Fanteria di stanza a Milano.
[...] Il suo Colonnello gli consentì di frequentare l’Accademia di Brera in Milano,
nelle ore in cui il De Francesco era dispensato da alcuni servizi militari.
Dal 1885 al 1887, durante gli studi che compiva nella detta Accademia di Brera,
studiava musica sotto il compianto illustre maestro Ponchielli ed incominciò lo studio della fotografia sotto esperti tecnici milanesi.
Nel settembre del 1888, adempiuti gli obblighi di leva, tornò in Atessa, dove era
vivamente atteso dai suoi e da tutti i concittadini che avevano saputo del suo progredire nell’arte, e da allora, nell’intima cordialità paesana, cominciò lo svolgimento
prodigioso di quanto aveva portato nel campo delle sue attitudini.
Lelio De Francesco era musicista bravo, specialmente nel ramo strumentale bandistico; e come professore di clarino, suo strumento di base, organizzò un concerto il
quale esordì il 1º novembre dello stesso anno [...] e che diresse per sette anni lodevolmente, mentre dava pure lezione di pianoforte.
Durante il suo periodo di insegnamento scrisse molte composizioni musicali che
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furono apprezzatissime dalla critica tecnica. Scrisse anche un metodo speciale illustrato di grammatica musicale con un corso pratico progressivo di “solfeggio parlato”, facilitando di molto l’insegnamento; e per questi pregevoli lavori, raccolse i
primi allori con premi ottenuti in vari concorsi ed esposizioni musicali.
Mentre il De Francesco andava affermandosi nell’arte musicale, fondò una scuola
municipale di disegno applicato alle arti che, dal gennaio 1889, diresse per nove anni,
facendo adottare come modelli di disegno quelli propri da lui appositamente elaborati
così come meglio potevan riuscire utili più ad un’arte che all’altra, uniformandosi alle
diverse esigenze dei mestieri degli alunni, facilitandone sempre più l’apprendimento.
[...] né in tal guisa esauriva la sua prodigiosa e multiforme attività; ché mentre noi
lo vediamo, appassionato maestro, dedicarsi a tale insegnamento ed a quello della
calligrafia, lo vediamo altresì coltivare con febbrile ardore l’arte fotografica.
[...] Nell’ottobre 1889 egli fondò in Atessa un modesto studio fotografico, che
man man poi andò sempre più elevando.
Nel novembre del 1898, per importanti ragioni personali e per meglio dedicarsi
allo studio della fotografia, sua arte prediletta, si ritirò dal pubblico insegnamento
con vivo dispiacere della intera cittadinanza che sapeva di perdere così una delle più
benemerite attività del paese.
Qui ha termine il primo periodo della sua vita paesana e nel febbraio del 1900, in
seguito ad inviti e premure di amici e ammiratori che avevano conosciuto la sua
perizia, si recò a Foggia, dove contava di rimanere pochi giorni soltanto per eseguirvi
lavori fotografici; ma, quivi giunto, per i suoi speciali meriti e per le simpatie acquistate, i lavori si moltiplicarono di giorno in giorno sempre più, cosicché fu costretto
a prolungare il suo soggiorno per circa quattro mesi!
[...] Nella sua permanenza a Foggia diede anche alcune sedute di proiezioni luminose fisse, presentando i suoi migliori lavori e raccogliendo il plauso di tutta la stampa locale indistintamente.
In seguito, per sentimento nostalgico e anche perché invitato dalle migliori personalità di Chieti che da molti anni avevan conosciuto e pregiato le sue doti artistiche,
si trasferì in questa città, nel settembre del 1900, dove è sempre rimasto e dove egli
ebbe agio di continuare il suo prodigioso ascendere verso la meta della perfezione
sempre più ideale, ammiratissimo da quanti hanno squisito il senso del bello e il
gusto dell’arte.
[...] Chi visita lo studio fotografico del De Francesco rimane impressionato nel
vedere lavori d’ogni genere: musica, calligrafia, disegni, acquerelli e fotografie di ogni
sistema, tutti improntati a genialità e perfezione sorprendenti.
Nello studio si nota una collezione di diplomi di associazioni artistiche, enti
morali, sodalizi, accademie, e numerosi attestati di ammirazione e compiacimento di
personalità tecniche e politiche, le quali affermano concordemente quanto sia singolare l’arte del De Francesco.
Vi si ammira altresì un gran numero di premi, medaglie, croci e decorazioni ufficiali.
Onoranze a Lelio De Francesco 1889-1914, Arti Grafiche M. Fracchia & C., Pescara 1914, pp. 23 sgg.
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Lo studio fotografico atessano di Lelio De Francesco in una pubblicità
del 1897.
51
I suoi lavori fotografici valutati dalla stampa.
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Lelio De Francesco nel ricordo di Domenico Ciampoli.
[...] E in Atessa, dove tornavo a goder la gioconda ebrezza de’ monti, de’ boschi,
delle acque, dove, quasi per incantamento, dal colle sorgon lontananze nitide di
poggi e di marine, io lo conobbi; e come fui il primo a provarne la delicata vigoria
del tocco nel disegno, quasi incredulo agli occhi ch’egli, senza maestro, compisse
prodigi di grazia, così fui il primo ad essere ritratto quando egli, nello scegliere una
delle tante arti cui era propenso, elesse la fotografia.
La fotografia? Ma egli era un artista nato; uno di quegli artisti che da fanciullo
fiammeggian d’entusiasmo e cercan per mille vie di rivelarsi nella esuberante potenza
che li spinge; era un musico, un pittore, uno scultore, uno scienziato, capace d’ogni
mestiere, d’ogni capriccio, poiché tutto gli era facile nella festosa fecondità dell’ingegno. Io divinai ch’egli sarebbe riescito al bene, al grande; aveva la tempra che da
ragazzi avevano avuto il Michetti, il Barbella, il Tosti, sacra triade dell’arte nostra; e
sarebbe volato via nelle lontananze, come quei falchi delle nostre rupi, che van di
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Pallano alla Maiella, dominando greppi e fiumane e foreste.
[...] In me dunque nessuna maraviglia quando giornali e riviste ne disser le lodi;
quando i Congressi lo tennero in alto conto, ne ascoltarono la voce autorevole, lo
onoraron di cariche ambite; quando le Accademie lo nominaron socio, le Esposizioni lo fregiaron di medaglie, i Governi lo decoraron; quando insomma la fama del
suo nome e del suo valore si diffuse quasi contro sua voglia; quando la sua terra poté
dirsi orgogliosa di lui e gli stranieri resero omaggio al suo fervido ingegno [...]
Aprile 1914
Domenico Ciampoli
Onoranze a Lelio De Francesco 1889-1914, op. cit., pp. 17-18.
Espressioni di plauso e di ammirazione del Consiglio Comunale per Lelio
De Francesco nel 25º anniversario della sua carriera artistica e della fondazione del suo studio fotografico (Delibera 7 novembre 1913).
Presenti il sindaco cav. avv. Nicola Orfeo e i consiglieri Cardano Filippo, Carunchio Alfonso, Ciccarelli Luigi, Cicchitti Angelantonio, De Francesco Gennaro, De Ritis Antonino, Di Giacomo Isidoro, D’Onofrio Alberto, Iovacchini Alfonso, Iovacchini Guglielmo, Marcolongo Ferdinando,
Marcone Camillo, Marcone Nicola, Mastrocecco Domenico.
Il Consiglio
• [...] Considerato che, festeggiandosi fra non molto il 25º anniversario della
vita artistica del nostro concittadino Lelio De Francesco, artisti e letterati
esimi concorrono a rendergli onori, con attestati ed omaggi, e con essi anche
le associazioni di cui egli fa parte;
• Considerato che a tanti attestati di affetto, di ammirazione, di stima non può
rimanere indifferente la nostra città, che nel nome del De Francesco si vede
onorato un suo figlio egregio che mai ha dimenticato la sua città ove per tanti
anni visse, ove spiegò tanta energia ed ove ha lasciato segni indelebili del suo
impegno, della sua mente aperta a tutte le bellezze, della sua operosità, della sua
integrità di carattere, della sua correttezza professionale, della sua abnegazione;
delibera
• D’inviare all’illustre prof. Lelio De Francesco il suo plauso e l’attestazione di
sincera ammirazione anche da parte della cittadinanza, che considera in lui un
cittadino che altamente onora questa terra diletta, augurando al suo studio artistico fotografico sempre maggiore sviluppo, pel decoro del nostro Abruzzo.
• Incarica il Sindaco di comunicare la presente deliberazione al prof. De Francesco in Chieti.
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Le origini dell’Asilo “Giardino
d’Infanzia”
Un’istituzione “sana ed utile” a beneficio dei figli del popolo, frutto della tenace e intelligente operosità di un notaio atessano.
La realizzazione dell’opera legata al nome di Salvatore Scerni e propiziata
da una sua felice intuizione.
Chi arriva con la corriera in Atessa nota subito, fra le molte case che si allungano
su una cresta collinosa, una costruzione che per mole e linee architettoniche si
distingue nettamente da tutte le altre: è l’Asilo. Si vuol qui rievocare brevemente
l’origine dell’edificio e del nome, ritenendo che si tratti di una vicenda del tutto
insolita e di qualche interesse.
Nel settembre 1844 moriva in Atessa Pietro Scerni, un modesto possidente di
terre, lasciando la moglie, Antonia De
Marco, con sei figli in giovane età (la più
grande aveva 14 anni, il più piccolo 9
mesi). La vedova affrontò, con coraggio e
abnegazione di madre, la difficile situazione, cercando di far fruttare il meglio
possibile il magro patrimonio e di aiutare
la barca lavorando come tessitrice col tradizionale telaio a mano. Ebbe momenti
molto difficili, tanto che i sacerdoti locali
vollero venirle incontro dandole modo di
ricoverare in un collegio religioso quello
che sembrava il più sveglio dei suoi ragazzi.
Il giovane Salvatore Scerni si trovò così
accolto, a titolo gratuito o quasi, nel collegio annesso alla Chiesa di San Bernardino in Aquila, ove conseguì un titolo di
studio equivalente alla maturità classica
odierna. Per poter proseguire gli studi,
senza gravare sulla famiglia, Salvatore
diveniva poi istitutore del Collegio
Nazionale di Chieti, cominciando così la
Salvatore Scerni (1840-1916)
sua prima attività redditizia, con compiti
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educativi.
Dopo circa due anni conseguì l’abilitazione alla professione notarile e si ritirò nel
paese natio per aprirvi uno studio professionale. Divenne notaio-conservatore, cioè
riscattò a sue spese (e con sacrificio) i volumi (“ schede”) degli atti dei vecchi notai
del paese a cominciare dal 1559, per tenerli a disposizione del pubblico. Nuove leggi
abolirono poi gradualmente tale sistema, ma egli rimase tale fino alla fine e fu forse
l’ultimo notaio conservatore del territorio dell’ex Regno di Napoli.
A quei tempi non vi era abbondanza di diplomati e laureati; fu offerto perciò al
giovane notaio di assumere anche le funzioni di maestro elementare, ed egli accettò.
Insegnò per parecchi anni, finché lo sviluppo della sua attività notarile gli impose di
abbandonare la scuola. Rimase però in lui, per sempre, oltre che una certa esperienza, un interesse ed un amore sincero per i problemi attinenti all’educazione della
gioventù. Il che, qualche decennio più tardi, doveva portarlo, in circostanze particolari, ad assumere e concludere favorevolmente una iniziativa che forse, in quel
tempo, non ebbe riscontri neanche nelle altre regioni d’Italia.
Correvano gli anni in cui furono emanati ed ebbero attuazione molti provvedimenti legislativi intesi a regolare la destinazione e la utilizzazione degli ingenti patrimoni immobiliari degli enti e comunità religiose esistenti al momento della unificazione politica della Penisola. Il notaio Scerni, per ragioni professionali ed anche per
la sua intelligenza e buona preparazione, divenne esperto della complessa materia.
Ad un certo momento un ex feudo ricco e pregiato, già appartenente ad un beneficio ecclesiastico, avrebbe dovuto essere incamerato dallo Stato fra i beni detti della
Mano Morta. Il notaio, ex educatore, ebbe allora l’idea di evitare l’incameramento
creando un Ente morale che destinasse i proventi dell’ex feudo a scopi educativi a
beneficio dei figli dei propri concittadini.
Egli nel frattempo aveva trovato anche modo di conoscere e seguire gli sviluppi
delle teorie e dei metodi fröbeliani che allora costituirono nella regione una vera
novità (1). Perciò come prima realizzazione pensò ad un Asilo fröbeliano. Nella sua
mente, peraltro, sorse pure, e rimase sempre, l’idea di una prima scuola post-elementare che permettesse anche ai giovani meno abbienti di avviarsi agli studi superiori
senza doversi allontanare troppo presto, a dieci o undici anni, dalla propria casa e dal
proprio paese, come allora accadeva normalmente, con oneri e disagi che solo poche
famiglie benestanti erano in grado di sostenere.
La sua iniziativa fu accolta, in genere, con bonario ed un po’ ironico scetticismo,
come chi è pratico della vita dei nostri paesi nei decenni scorsi può facilmente
immaginare. Ebbe degli oppositori, ma anche adesioni benevole e comprensive.
All’inizio fece, si può dire, tutto da solo. Svolse le pratiche legali necessarie per il
riconoscimento dell’Ente morale, studiò e compilò lo statuto dell’Ente stesso, ne fu
(1)Friedrich Wilhem August Fröbel, educatore e pedagogista tedesco vissuto tra la fine del Settecento e
la prima metà dell’Ottocento, ha espresso il suo pensiero nell’opera “L’educazione dell’uomo”.Nel
1837, a Blankenburg, fondò il suo primo Asilo Infantile, che egli chiamò “Giardino di Infanzia”, e vi
attuò il suo metodo educativo basato sul gioco, ritenuto da lui l’autentica espressione della libera attività creatrice del bambino, quella cioè in cui si esprime la sua fantasia.
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il primo dirigente. Dal patrimonio immobiliare su cui l’Ente si basava, senza alcun
contributo statale o comunale, furono tratti i mezzi per costruire, ex novo, un grande palazzo destinato a sede dell’Asilo.
Solo il sedime, un vecchio orto, fu donato da un sacerdote che lo aveva in proprietà privata, e che aveva rapporti di parentela e, soprattutto, di stima e fiducia con
Salvatore Scerni. Questo degno sacerdote si chiamava Don Giuliano De Marco ed
era parroco della Chiesa di S. Michele, nel cui ambito l’edificio doveva sorgere.
La compilazione del progetto e la direzione dei lavori di costruzione fu assunta, a
condizioni di favore, dall’Ing. Pomilio, oriundo di Archi e padre del noto industriale
costruttore di aerei durante la prima guerra mondiale. Egli era a capo dell’ufficio tecnico provinciale di Chieti; come tale si recava spesso in missione ad Atessa, ove era
divenuto buon amico dello Scerni.
L’edificio, di decorose linee ottocentesche, è a tre piani oltre quello terreno e la
soffitta. Nella parte posteriore comprende un giardino all’aperto attiguo ad una
grande sala da ginnastica, che a sua volta abbraccia quasi tutto il terzo piano.
Prima dell’inaugurazione, avvenuta nel 1896, l’Asilo venne dotato di tutte le più
nuove ed aggiornate attrezzature fröbeliane; l’Ente fu subito in grado di provvedere
alla refezione gratuita dei bimbi, cosa del tutto insolita per quei tempi. L’entrata in
funzione dell’Asilo (nome ormai rimasto nella tradizione locale che serve ancora a
designare sia l’Ente che l’edificio) costituì una novità importante per le vecchie mentalità locali e segnò, forse, per il paese e per la zona, il primo decisivo contatto con i
nuovi moderni orientamenti dei metodi educativi.
Sembra comunque notevole e degno di ricordo l’esempio di questo modesto ex
educatore, relegato in un piccolo centro di provincia, tutto preso dalle cure della sua
professione e da quelle della sua numerosa famiglia (sei figli) che viveva solo del suo
lavoro, non senza assilli e difficoltà provocate dai contrasti della piccola politica locale. Superando ogni ostacolo, egli volle e seppe trovare capacità e tempo per realizzare
un’opera sana ed utile, che ancora oggi esiste e dà benefici frutti, dopo un’esperienza
di circa 80 anni. Forse per la prima volta nella regione i redditi di un ex feudo, invece che per fortilizi e castelli oppure per chiese e conventi, servirono alla creazione di
un Ente ed al sorgere di un notevole edificio, adeguati alle democratiche necessità
dei nuovi tempi per il diretto vantaggio dei figli del popolo. Il tutto fu fatto dallo
Scerni con sincera dedizione e con assoluto disinteresse. Erano i tempi della così
detta “Italietta Umbertina”, modesta e un po’ romantica, in cui gli uomini che si
dedicavano alla cosa pubblica, a qualsiasi livello, lo facevano normalmente con la più
sincera buona fede e rettitudine.
Peraltro si sa bene che nelle cose umane nulla può essere perfetto e che, come si
suol dire, ogni medaglia ha il suo rovescio. Anche per Salvatore Scerni la creazione
dell’Asilo finì perciò per essere fonte di qualche delusione ed amarezza, di cui è
doveroso far cenno in questa rievocazione.
Fu criticata principalmente l’ubicazione dell’edificio, addossato ad un terrapieno
naturale che rese umidi ed anti-igienici una parte dei locali del piano terra e del
primo piano. A questo si potrebbe oppore che Salvatore Scerni non era un tecnico e
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che, se mai, le critiche dovrebbero valere solo per il progettista e direttore dei lavori.
Ma anche l’Ing. Pomilio deve essere doverosamente scagionato, in quanto egli aveva
previsto una larga intercapedine realizzata però limitatamente al secondo piano (il
terzo era ed è interamente al di sopra del terrapieno), non estesa ai piani sottostanti
solo in via provvisoria e sperimentale, per tentare di evitare la conseguente maggiore
spesa. Fu forse un errore tecnico la creazione nel terrapieno, in corrispondenza del
giardino, di una grande cisterna per acque piovane, la quale, malgrado tutti gli
accorgimenti costruttivi consentiti dai materiali e mezzi allora in uso, favoriva ed
accresceva le dannose infiltrazioni di umidità. Ma, come inizialmente indicato dallo
stesso Ing. Pomilio, gli inconvenienti potevano essere eliminati senza soverchie difficoltà sopprimendo la cisterna e approfondendo l’intercapedine. Per molti anni si
preferì criticare piuttosto che provvedere, forse perché i locali rimasti perfettamente
asciutti ed efficienti bastavano già largamente per le esigenze dell’Asilo. Quando si
volle o si poté intervenire, la bonifica completa fu senz’altro realizzata senza difficoltà particolari.
Altra fonte di delusione e di amarezza per Salvatore Scerni, che fu indotto perfino
a lasciare la carica di direttore dell’Asilo che aveva assunto nei primi anni, fu la sostituzione delle maestre fröbeliane (erano tre “forestiere”, lombarde e piemontesi) con
suore di un ordine religioso, nonché la mancata realizzazione di una scuola media
post-elementare. La preferenza per le maestre laiche non era affatto ispirata a sentimenti anticattolici. La sua fede nella religione degli avi era sincera, senza contare il
senso di gratitudine per il decisivo aiuto ricevuto nell’adolescenza. Riteneva però più
adatte le maestre giardiniere fröbeliane, preparate con appositi studi, rispetto alle
religiose forse ancora troppo legate agli antichi ed ormai superati schemi tradizionali.
Per l’istituzione di corsi di istruzione media (che non potevano esser posti a carico
esclusivo dell’Ente morale e richiedevano perciò contributi finanziari, sia pure modesti, agli interessati) i tempi non erano ancora maturi e la cittadinanza non rispose in
misura adeguata all’appello.
L’Asilo Infantile è ancora in funzione e, per quanto risulta, non ha mai avuto
bisogno di contributi statali. L’edificio ospita ormai da tempo anche una scuola
media. Durante l’ultima guerra è stato per qualche tempo adibito ad ospedale delle
truppe indiane “Sich”, i guerrieri asiatici dai lunghi capelli. Una destinazione che
neanche la più accesa fantasia avrebbe potuto prevedere all’epoca della fondazione.
Si è ritenuto doveroso rievocare tutto questo per rendere postumo omaggio ad un
probo, operoso e benemerito cittadino atessano, ma anche e soprattutto per additare
l’esempio ai giovani abruzzesi della nuova generazione. È auspicabile che essi possano così essere indotti a considerare con rispetto ed orgoglio il bell’edificio che,
accanto alle più antiche chiese, conventi e castelli degli avi, domina le case del paese,
tangibile testimonianza di una precorritrice affermazione di civiltà e di democrazia.
Maria Scerni
Origini dell’Asilo d’Infanzia atessano, Tipografia Lanzi, Roma 1976.
Il saggio di istruzione e di educazione morale e religiosa del 1899
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nell’Asilo d’Infanzia.
Sia come membro del Consiglio di
Amministrazione di questo benemerito
Istituto, sia, dopo, in qualità di cittadino amante del progresso civile del mio
paese, ho avuto sempre a cuore questa
istituzione dell’Asilo d’Infanzia, che ha
segnato un’orma incancellabile di civiltà fra noi.
Assistendo il giorno 15 e 17 del volgente mese al saggio di istruzione ed
educazione morale e religiosa impartite
dalle attuali maestre ai bimbi del nostro
Asilo, ebbi a compiacermi vivamente
del profitto da essi tratto nell’insegnamento di quest’anno scolastico, abbreviato da più di un mese essendo stato
chiuso l’Istituto per ragione d’igiene e
sanità pubblica.
Nello scorso anno non mancai di
assistere al saggio di ginnastica, canto e
conversazione che diedero i nostri
bimbi col magistero di due maestre laiche e con la solerte direzione della
signora Anna Viandé, milanese; e posso
affermare che le prove eseguite furono
eccellenti. Orbene il saggio dato
quest’anno dai bimbi, tanto nel canto e
nella conversazione che nel dialogo e
nella declamazione di brevi poesie, è
stato, per espressione di parole, per
modulazione di voce, per calor di sentimento e per gesti ed atteggiamento
delle creaturine, qualche cosa di superiore a quanto si è ammirato negli anni
precedenti in quest’Asilo.
Il lungo programma di saggio fu
espletato brillantemente. Il pubblico
udì con ordine: la Invocazione al Signore; il Prologo; il Duetto; i dialoghi L’Asilo, Dio è amore, La signorina e la contadina, Il ringraziamento; poi i cori Nel
vicino boschetto, Alle bimbe d’Italia, La
partenza per la campagna, Le vocali; indi
le declamazioni delle poesie La Regina,
I progressi di Luigina, Il gatto, Ai benefattori dell’Asilo, Per il Direttore, con
sentimento artistico. Ma dove più il
pubblico ammirò l’arte comica dei
bimbi si fu nel bozzetto drammatico in
un atto dal titolo Il demonietto, nei cori
I gatti e Angel che adesso siam..., nella
Preghiera al Signore, e nei quadri Gesù
che benedice i fanciulli e L’Ascensione. In
questi due quadri vi fu il colpo scenico
di vesti pompose con serici drappi,
atteggiamenti drammatici, estasi e contemplazioni estetiche con illuminazione
a varii colori di un effetto magico!
Noi non possiamo astenerci dal tributare lodi sincere alle due maestre
monache pallottine Suora Maddalena
Facacci e Suora Maria Edvige Miele.
Quest’ultima è giovane, intelligente,
agile, attiva, ed alla bella istruzione e
squisita educazione unisce la freschezza
della gioventù, la delicatezza dei lineamenti, la venustà delle forme e un
occhio espressivo, penetrante, fulmineo.
E ciò senza detrarre merito alcuno alle
doti intellettuali, morali e fisiche della
signora Direttrice Giovannina Sacerdoti, giovane colta e gentile, tutt’affetto e
zelo, tutta bontà e diligenza verso i
bimbi, che educa con tenerezza e cura
59
speciali ed istruisce con coscienza e
cuore di madre. Da sì scelto personale
insegnante per educazione, per istruzione, virtù e religiosità non si poteva
attendere che un esito soddisfacente,
lodevole, ottimo sotto ogni rapporto
didattico.
Dobbiamo pure, per debito di lealtà,
dare una lode sincera al Consigliere di
amministrazione Sig. Luigi Ferri, che
accompagnò felicemente col pianoforte
i canti dei bimbi e tenne divertito il
pubblico negl’intermezzi suonando
scelti ballabili.
Per chi ami confronti, dirò che i
bimbi sotto la direzione della Viandé
negli scorsi anni diedero segno di maggior spirito militare rispetto ai ragazzi
attuali, mostrandosi più di costoro
esperti nella ginnastica, nei giuochi,
nella nomenclatura; in compenso i
bimbi affidati alla direzione della Sacerdoti han mostrato maggior coltura ed
educazione della mente e del cuore, ed
uno spirito ed un fervore di sentimento
alle idee di religione, della carità e di
ogni fiore di gentilezza e moralità. Questa coltura alle idee morali e sociali è in
maggior grado di quella data dai bimbi
negli scorsi anni e forma la caratteristica delle attuali insegnanti: e noi, conoscendo i cattivi istinti dell’uomo nella
prima età, non possiamo non lodare
quell’insegnamento che educa all’affetto, all’amore ed alla pietà le corde sensibili del cuore [...]
Ma torniamo al nostro Asilo. Chi ha
veduto i disegni, i lavori di cartonaggio,
di plastica, di punteggiatura e ricamo
dei bimbi e delle bimbe si può assicura60
re del progresso fatto in questo ramo di
insegnamento dai fanciulli tutti del
nostro Asilo sotto il ministero delle
attuali insegnanti, con la direzione della
brava ed ottima Sacerdoti. Si rimane
sorpresi come i fanciulli abbiano saputo
riprodurre in creta frutta, fiori, bambole ed altri oggetti sportivi dell’infanzia
con tanta perfezione.
È doloroso però che i lavoretti dei
bimbi esposti dalle maestre in apposita
sala non han ricevuto che pochi visitatori. Questo scetticismo che i padri di
famiglia mostrano verso le scuole pubbliche del paese, senza incoraggiare chi
lavora con coscienza ed efficacia per
l’educazione dei figli del popolo, è cosa
dolorosa e sconfortante.
Ciò non ostante le signore maestre
dell’Asilo seguitino a lavorare con
coscienza verso i bimbi a loro affidati,
facciano sempre il loro dovere, ché non
le mancherà l’applauso dei pochi, che
sono i buoni e gl’intelligenti.
Atessa, 10 giugno 1899
Alfonso Iovacchini
i 3 Abruzzi, 4 luglio 1899.
Vincenzo Riccio
Un
avvocato - giornalista di
Parlamento
legislature consecutive.
elettori di
Atessa
Napoli
al
rappresentante degli
nazionale per ben otto
Note biografiche.
Nato il 27 novembre 1858 a Napoli, morto il 20 agosto 1928 a Roma.
Laureatosi giovanissimo in Legge, esercitò l’avvocatura, acquisendo una particolare
competenza nella giurisprudenza elettorale e quindi patrocinando questa o quella parte
politica nelle elezioni contestate. Esercitò con successo anche la professione di pubblicista, collaborando in vari giornali e riviste, quali il Piccolo e il Don Marzio di Napoli,
la Gazzetta di Venezia, il Secolo XIX di Genova, l’Italia al Plata di Buenos Aires.
Si presentò candidato politico per la
prima volta nel 1895 ad Ortona a Mare e
fu vinto per pochi voti nel ballottaggio
dal prof. Masci. Due anni dopo, nel
1897, risultò eletto deputato per la 20ª
legislatura nel collegio di Atessa, superando l’on. Emilio Giampietro, deputato
dello stesso collegio durante la legislatura
precedente. Da allora in poi fu sempre
confermato nel mandato politico dai suoi
elettori per altre sette legislature consecutive, dalla 21ª alla 27ª, nel collegio uninominale di Atessa fino al 1919 e poi,
per effetto della riforma elettorale instaurata in quell’anno, nella circoscrizione di
Chieti-Aquila-Teramo. Alla Camera prese
posto a destra, fra i liberali moderati.
Fece parte come sottosegretario agli
Interni del ministero Sonnino dal dicembre 1909 al marzo 1910; come ministro
delle Poste e Telegrafi del ministero Salan- Vincenzo Riccio, in una foto di Lelio De
dra dal marzo 1914 al giugno 1916; come Francesco (fine Ottocento).
ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio del ministero Orlando dal gennaio
al giugno 1919; come ministro dei Lavori Pubblici del ministero Facta dal febbraio
all’ottobre 1922. In principio della 26ª legislatura (1921) venne eletto vicepresidente
61
della Camera e tenne la carica sino alla sua nomina a ministro nel Gabinetto Facta.
Fece parte di commissioni e fu relatore di vari progetti di legge.
Si distinse per la diligenza nell’adempimento dei doveri del mandato parlamentare, per la piacevole e convincente facilità di parola e per lo spirito polemico.
T. Sarti, Il parlamento italiano nel cinquantenario dello Statuto, Tipografia Agostiniana, Roma 1898, pp. 461-462.
A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, Enciclopedia Biografica e Bibliografica “Italiana”, Istituto Editoriale Italiano B. C. Tosi, Roma, Serie XLIII - Vol. II, p. 60.
A. Tortoreto, I parlamentari italiani della XXIII legislatura, Casa Editrice “Roma”, Roma 1910, pp. 305-306.
Emilio Giampietro (1844-1928), antagonista di Riccio in accanite competizioni elettorali nel collegio di Atessa.
Nacque a Salerno, da madre – Anna
Sciorilli Borrelli – appartenente ad una
illustre famiglia di Tornareccio. A sedici
anni seguì Garibaldi nella spedizione dei
Mille. Giovanissimo ancora, si diede
all’industria, dimostrandosi capace di
ardite iniziative. Ricoprì varie cariche, tra
le quali quelle di membro della Camera di
Commercio di Napoli e del Consiglio
d’amministrazione del Banco di Napoli.
Fu deputato del 2º collegio di Salerno
nella 16ª e 17ª legislatura e del collegio di
Atessa nella 19ª. Nel 1897 si presentò
candidato per la 20ª legislatura nel collegio di Atessa e in quello di Sala Consilina:
sconfitto da Riccio nel primo, risultò eletto nel secondo. Rappresentò poi al Parlamento, nel corso della 24ª legislatura, gli
Emilio Giampietro, in una foto di
elettori del collegio di Montecorvino
Lelio De Francesco del 1895.
Rovella. Militò nelle file della sinistra,
configurandosi alla Camera come luogotenente di Cavallotti e suo portavoce ogniqualvolta questi era assente o non voleva intervenire nelle discussioni.
T. Sarti, Il parlamento subalpino e nazionale, Tipografia Editrice dell’Industria, Terni 1890, pp. 511-512.
T. Sarti, Il parlamento italiano nel cinquantenario dello Statuto, Tipografia Agostiniana, Roma 1898, p. 308.
A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, Enciclopedia Biografica e Bibliografica “Italiana”, Istituto Editoriale Italiano B. C. Tosi, Roma, Serie XLIII - Vol. II, p. 29.
Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, 2 agosto 1928.
Cartolina postale inneggiante alla vittoria di Riccio su Giampietro nelle
62
elezioni politiche del 1909.
Vincenzo Riccio, in una caricatura
del vignettista atessano Gino Flocco
(1924).
63
Conferimento della cittadinanza onoraria a S.E. Vincenzo Riccio in occasione del 25º anniversario di vita politica (Delibera Consiglio Comunale
12 giugno 1922).
Presenti il sindaco cav. uff. Luigi Iovacchini e i consiglieri Carlucci Giuseppenicola, Carunchio Manfredi, Ciccarelli Alfonso, Cinalli Luzio, D’Alonzo Nicola, De Francesco Giuseppe,
De Francesco avv. Ottorino, De Marco Umberto, De Ritis cav. avv. Fileno, Di Pasquale Gaetano, D’Onofrio Alberto, Flocco Luigi, Giannico avv. Camillo, Giannico Giuseppe, Iovacchini Giovanni, Marcolongo Ugo, Marcone Camillo, Marcone Giulio, Orfeo cav. avv. Nicola,
Sorge Pasquale, Tano Giuseppe, Tinaro Anselmo, Vaselli Giuseppe.
Si assentano dalla Sala i consiglieri Carunchio Manfredi, D’Alonzo Nicola e De Francesco
avv. Ottorino, dichiarando di non voler prendere parte alla trattazione del punto all’O.d.G.
Proposta del Sindaco Luigi Iovacchini
Il Sindaco riferisce che S.E. Riccio compie nel prossimo luglio il 25º anniversario di vita politica. Ricorda che nel marzo 1897 Atessa ebbe il vanto della
sua prima elezione e con suffragi sempre maggiori lo volle suo rappresentante
nelle successive legislature, nel collegio uninominale prima, nel collegio allargato nei due ultimi scrutini.
Della fiducia di Atessa, l’Uomo si rivelò subito meritevole e degno. Pur
fermo nella fedeltà al suo partito, seppe, con la onestà della sua vita parlamentare, con l’obiettività serena dei suoi atti, colla cortesia della forma, cattivarsi la
benevolenza di tutti i colleghi. Così rapida e sicura fu la sua carriera di Deputato, Commissario, Relatore, Presidente di molte importanti commissioni, VicePresidente della Camera, quattro volte onorato dalla fiducia del Re e chiamato
al Governo del Paese. Né, nella molteplice attività di deputato, Egli ha dimenticato giammai gl’interessi dell’Abruzzo, e di Atessa in ispecial modo. Tutta l’attività che si svolge attorno al nostro paese, a risanarlo dalle frane minacciose, a
reintegrarlo nel civile consorzio con nuove, agevoli vie, a ridare al vasto agro le
comodità di comunicazione col capoluogo, è tutta opera sua, suo merito e suo
vanto.
Atessa vuole dare al suo Deputato ora la prova tangibile della sua gratitudine,
conferendogli la cittadinanza onoraria, perché il vincolo fra l’Eletto e gli elettori
si faccia più intimo e profondo.
Il Consiglio
Plaudendo, unanime nel voto, accoglie la proposta del Sindaco.
64
Il lutto per l’uccisione di Re
Umberto I
Negozi
chiusi, manifesti listati a nero sui muri, bandiere
abbrunate alle finestre, imponenti manifestazioni pubbliche.
Manifesto del Comune con l’annuncio ufficiale della morte del re Umberto I, assassinato a Monza il 29 luglio 1900 dall’anarchico Gaetano Bresci.
Il testo dei telegrammi inviati dal sindaco Luigi Spaventa alla regina Margherita e al re Vittorio Emanuele III.
Marchesa Villamarina, dama onore Sua Maestà Regina Margherita - Monza
Questa cittadinanza, costernata ferale notizia assassinio amatissimo Sovrano, prega
Vostra Eccellenza esprimere Sua Maestà la Regina vivissime condoglianze, sentimenti devozione gloriosa Dinastia Savoia.
Sindaco Spaventa
Primo aiutante di Campo Sua Maestà Vittorio Emanuele III - Roma
Prego Vostra Eccellenza rendersi interprete presso Sua Maestà Vittorio Emanuele III
del lutto questa cittadinanza, sempre devota gloriosa Dinastia Savoia, infame assassinio amatissimo magnanimo Sovrano Umberto Primo.
Sindaco Spaventa
65
Manifesto-programma per le onoranze funebri al re Umberto I, pubblicato il 9 agosto 1900 da un Comitato appositamente nominato dalla Giunta
Municipale.
Cronaca della manifestazione del 10 agosto 1900: la commemorazione
civile nel salone dell’Asilo d’Infanzia, il corteo per le vie cittadine, la
messa funebre nella chiesa di S. Leucio.
Le onoranze funebri a S.M. il Re
Umberto ebbero luogo il 10 agosto.
La sera del 9 un manifesto listato a
nero, firmato dal Comitato eletto dalla
Giunta Municipale e composto dei
66
Signori Cap.no Nicola De Francesco,
Avv. Antonino Scerni uditore giudiziario, Antonino De Ritis, Alfredo Scalella, Dottor Attilio Falcucci e Cicchitti
Gennaro, annunziava che la mattina
seguente nella sala del Giardino Asilo
d’Infanzia sarebbe avvenuta la commemorazione civile del compianto Re;
subito dopo, un corteo di popolo, autorità ed associazioni si sarebbe recato ad
assistere ad una messa funebre nella
Chiesa di S. Leucio. Invitava i cittadini
ad astenersi dal lavoro, a chiudere i
negozi ed esporre la bandiera abbrunata.
I cittadini di Atessa risposero all’appello in modo degno di un popolo
patriottico e civile, e le onoranze riuscirono una solenne manifestazione, commovente per unanimità di concorso e
sincerità di adesione.
La immensa sala del Giardino Asilo
d’Infanzia, adornata di piante e di fiori
a cura della benemerita direzione, era
quasi piena. Parlarono, applauditi, il
pretore Avv. Iannelli, l’Avv. Scerni, il
Sig. Cicchitti ed il Sig. Giuseppe De
Francesco, alunno del Convitto di
Agnone.
La parte più bella della cerimonia fu
il corteo. Alle 9,30 era già ordinato
lungo la via esterna che congiunge Piazza Garibaldi al Largo della Fontana.
Precedevano l’asilo infantile, le scuole
elementari e un gruppo di studenti. Un
drappello di sei carabinieri in grande
uniforme chiudeva questa prima parte
del corteo. A dieci passi di distanza
seguivano le autorità: Pretore, Sindaco,
Tenente dei Carabinieri, Ufficiali in
congedo, Vice-Pretori e Conciliatori,
Presidenti di Amministrazioni, bandiera municipale, Giunta e Consiglio.
Venivano poi le associazioni cittadine:
le tre società operaie, la casa di compagnia, il circolo operaio, un lunghissimo
stuolo di altri cittadini. In tutto più di
tre mila persone, tutta la parte maschile
dell’abitato, con otto bandiere ed una
diecina di corone. Sulle botteghe chiuse
era una lunga scritta con le parole
“Lutto nazionale”; da tutte le finestre
era esposta la bandiera abbrunata; sui
muri frequentissimi cartelloni ricordavano le date più gloriose, le più belle
parole di Re Umberto. Il corteo procedeva lentamente, silenzioso, ordinatissimo.
In chiesa, in mezzo alla navata centrale, era eretto un tumulo rettangolare:
uno zoccolo a gradini sormontato da
quattro sottili colonne; in alto la figura
d’Italia piangente, agli angoli trofei di
armi, tutto in giro corone di alloro: un
insieme semplice, severo ed elegante
eseguito sotto la direzione del Sig.
Alfredo Scalella.
Con pensiero opportuno e gentile il
parroco Marcolongo lesse la bella preghiera della Regina. Celebrò la messa
Mons. Tiberio, presente tutto il clero
cittadino; la filarmonica eseguiva la
splendida messa funebre del Cipollone.
Notevole, sinceramente degna di lode
fu la condotta del clero, che permise
l’ingresso in chiesa alle bandiere e
rinunziò agli emolumenti che gli sarebbero spettati. Va lodata anche la Confraternita del SS. Sacramento e Monte
dei Morti, proprietaria della Chiesa di
S. Leucio, il cui priore Sig. Oreste Rossi
mise a disposizione del Comitato la
cera e quant’altro potesse occorrere per
la cerimonia. E così la filarmonica, che
volle prestar gratuitamente l’opera sua e
ricusò il rimborso delle spese sostenute.
Lo stesso giorno dal Sindaco e dal
Comitato furono spediti telegrammi al
Sottoprefetto, al Prefetto, al Presidente
del Consiglio, alle LL. MM.
Lo Svegliarino, 2 settembre 1900.
67
La nascita della Cassa Rurale
Cattolica di depositi e prestiti
Sorta nel 1903 per iniziativa del clero locale (“La banca dei
preti”, la chiamano ancor oggi i più anziani) e con l’intento
di “migliorare la condizione morale e materiale dei suoi
soci”, seppe ben presto, sotto la guida del parroco di S. Croce
Don Epimenio Giannico, conquistarsi un posto di tutto
rispetto nel novero degli istituti di credito abruzzesi.
L’atto costitutivo del 3 marzo 1903.
Regnando S.M. Vittorio Emanuele III per grazia di Dio e per volontà della nazione Re d’Italia.
L’anno 1903, il giorno 3 del mese di Marzo, nel Comune di Atessa; nella casa parrocchiale di Santa Croce, posta in Via della Vittoria, Nº civ. 113.
Avanti di me Francesco Grumelli fu Antonio, notaio residente nel Comune di
Atessa ed inscritto presso il Consiglio notarile del Distretto di Lanciano, ed in presenza dei Signori Giuseppe Rucci del vivente Michelangelo, civile e proprietario, e
Giovanni Pellegrini del vivente Valentino, sarto, entrambi nati, domiciliati e residenti in Atessa, testimoni da me personalmente conosciuti ed aventi le qualità volute
dalla legge, si sono di persona costituiti i Signori:
– Don Epimenio Giannico del fu Signor Camillo, reverendo sacerdote, rettor curato della Chiesa parrocchiale di Santa Croce in Atessa e proprietario;
– Don Luigi Carunchio del fu Signor Nicola, reverendo sacerdote e proprietario;
– Don Salvatore Marra del fu Signor Pasquale, reverendo sacerdote e proprietario;
– Don Guglielmo De Ritis del vivente Signor Gennaro, reverendo sacerdote e proprietario;
– Tito Codagnone del fu Signor Nicola, civile e proprietario;
– Vincenzo Falcucci del fu Signor Luigi, civile e proprietario;
– Gaetano Falcucci del vivente Signor Francesco, civile e proprietario;
– Domenico Tinaro del fu Signor Gennaro, civile e proprietario;
– Luigi Marra del fu Signor Pasquale, civile e proprietario;
– Giuseppe Menna del fu Vincenzo, proprietario;
– Giuseppe Menna del vivente Fiorinto, proprietario;
68
– Giuseppe Cinalli del fu Anicassio, proprietario;
– Pasquale De Francesco del fu Giuseppe, proprietario e falegname;
– Alfonso Menna del vivente Gennaro, proprietario;
– Luigi D’Onofrio del fu Domenico, proprietario.
I costituiti suddetti sono nati, domiciliati e residenti in Atessa e da me notaio personalmente conosciuti, ed hanno concordemente dichiarato di voler costituire, conforme col presente atto pubblico costituiscono, fra loro una Società in nome collettivo sotto la denominazione: “Cassa Rurale Cattolica di depositi e prestiti, San Francesco d’Assisi, in Atessa, Società cooperativa in nome collettivo”.
La Società istessa ha per iscopo di migliorare la condizione morale e materiale dei
suoi soci, fornendo loro il denaro a ciò necessario, nei modi determinati dallo Statuto, che, quale parte integrante di questo atto, firmato dalle parti e da me notaio, qui
si allega sotto la lettera A, da considerarsi come se fosse qui letteralmente trascritto.
La Società medesima avrà la durata di 99 anni dalla data della pubblicazione del
presente atto costitutivo ed annesso Statuto nel Bollettino Ufficiale delle Società, a
senso degli articoli 90, 93, 95 e 220 del vigente Codice di Commercio, con facoltà
di prorogarsi.
Il Signor Ciro Alfredo De Francesco del fu Signor Tito, avvocato e proprietario,
nato, domiciliato e residente in Atessa, viene incaricato dalle costituite parti alle
pubblicazioni di legge del presente atto costitutivo ed annesso Statuto, a senso dei
citati articoli 90, 93, 95, 220 del vigente Codice di Commercio.
Compiute le pratiche per la legale costituzione della Società, il nominato Signor
Ciro Alfredo De Francesco convocherà dentro un mese l’Assemblea Generale per
deliberare quanto sarà del caso e per addivenire alle nomine delle cariche sociali.
Tutti i costituiti, a senso dell’articolo 43 della legge notarile, firmano i fogli intermedi del presente atto e dell’inserito Statuto a margine ed in fine, spiegandosi che il
tutto è composto di fogli 5, di cui sono scritte 17 facciate.
Convengono e vogliono tutte le costituite parti che le pubblicazioni si facciano
nel giornale “Il Popolo” di Sulmona ed altri giornali cattolici, a scelta del Consiglio
di Presidenza.
Tanto dalle costituite parti si è dichiarato, stabilito ed accettato.
Fatto e da me ricevuto il presente atto, che è stato scritto da persona di mia fiducia in Nº 2 fogli ed in Nº 6 pagine, compresa la seguente, ed è stato sottoscritto dai
contraenti medesimi (omessi i nomi), dai testimoni e da me notaio.
Quindi, prima delle sottoscrizioni, è stata data lettura ad alta voce dell’intero atto
ed allegato Statuto da me notaio in presenza dei testimoni alle parti suddette, che da
me interpellate hanno dichiarato essere l’atto stesso conforme alla loro volontà.
Giuseppe Rucci, Giovanni Pellegrini, testimoni.
Francesco Grumelli, notaio residente in Atessa.
69
Don Epimenio Giannico nel ricordo di un suo estimatore.
Era un uomo buono, nel più bel senso della
parola, dolce nello sguardo, mite nel gesto,
consolante nella voce; un uomo che seppe soltanto amare ed amò di un amore operoso,
vasto, benefico specialmente i deboli. S’intravedeva per questo nel suo spirito un che di
quello del poverello d’Assisi, S. Francesco, e,
in realtà, egli godeva nel sentirsi annoverato
fra i Terziari del Santo, nel dedicargli con
pompa solenne un’artistica statua nella sua
Chiesa, e, meglio ancora, nel suo paese un’istituzione fatta in molta parte d’ideali Francescani, la Cassa Rurale.
Quanto egli fosse amato è qui ad attestarlo
un’intera cittadinanza e massime coloro in
pro dei quali prevalentemente spese l’opera
sua, i bambini dell’Asilo d’Infanzia, di
quell’asilo le cui sorti da tanti anni reggeva
Don Epimenio Giannico
con tanto amore e competenza, sì da far
(1852-1911)
assorgere la benefica istituzione a perfetta
Fondò la Cassa Rurale e la guidò nella
corrispondenza dei bisogni del paese.
sua prima fase di sviluppo.
Anima profondamente religiosa, egli
amava i poveri e non fu solamente caritatevole con essi, ma seppe far fiorire la carità con l’arduo precetto evangelico: “Non sappia
la tua sinistra quel che fa la tua destra”. I poveri veri, i derelitti che con pudico orgoglio tentano dissimulare la tristezza delle proprie condizioni, trovarono in lui uno
dei migliori, dei più segreti e sinceri protettori.
Antonio Cardona
Per l’anniversario della morte di Epimenio Giannico,
Tipografia G. Carabba, Lanciano 1913, pp. 16-17.
Cronache della manifestazione del 28 marzo 1909 per l’inaugurazione
della Bandiera.
(G.D.F.) Grato nell’animo dei Socii è
rimasto e rimarrà il ricordo della bella
festa di domenica scorsa (28 a.m.) in
occasione della benedizione della Bandiera della Cassa Rurale.
Già da parecchi giorni era stato diramato l’invito alle autorità, ai Socii ed
70
alla parte più eletta della cittadinanza,
e, con lettere speciali, erano stati pure
invitati il Consiglio Municipale, la
Congrega di Carità e le due Società
Operaie, e tutte queste Associazioni con
le rispettive bandiere.
Tutti indistintamente aderirono ben
volentieri all’invito, ed alle 9,30 a.m. la
nostra Cattedrale di S. Leucio era gremita, oltreché d’invitati, d’una infinità
di popolo d’ogni classe.
Quattro furono le madrine, e con
pensiero speciale si scelsero esse fra le
più distinte ed anche cospicue famiglie
del paese; e cioè: la Signora D. Amalia
Codagnone, moglie del Cav. Tito
Codagnone, Deputato Provinciale e
Capo Sindaco della Cassa Rurale; la
Signora D. Rosina Falcucci, moglie del
Dott. Attilio Falcucci, Sindaco del
nostro Comune; la Signora D. Carlotta
ved. Giannico, cognata del Presidente
della Cassa; e la Signora D. Maria
Iovacchini, moglie del Sig. Guglielmo
Iovacchini, Sindaco effettivo della Cassa
Rurale.
L’illustre Monsignor Pili, Prevosto di
Atessa, con la sua parola calda ed affascinante e con frase incisiva ed efficace,
prima della benedizione, disse del significato religioso della bandiera, esortando i Socii a non staccarsi mai da essa.
All’uscita dalla Chiesa si formò il
corteo: precedeva il locale concerto
musicale cittadino, seguivano i Socii
della Cassa Rurale con avanti la bandiera fiancheggiata dal Capo Sindaco e dal
V. Presidente Sig. Gaetano Pulcini; indi
il Consiglio Municipale con la Congrega di Carità e le altre autorità del paese;
poi la Società Operaia “Mutuo Soccorso” e l’altra Società Operaia “Patria e
Lavoro”; chiudeva il corteo una quantità di popolo.
Attraversato Piazza Centrale, Corso
Vittorio Emanuele e Piazza Garibaldi, il
corteo, svoltando in Via “Duca degli
Abruzzi”, si è recato nei locali del Giardino Asilo d’Infanzia. Quivi, nella vasta
e grandiosa Sala, addobbata per la circostanza, presero posto tutti gl’invitati
ed i Socii.
Il discorso d’inaugurazione fu fatto
dal giovane e colto Professore Rev. D.
Ireneo Tinaro. Riassumere anche per
sommi capi ciò che egli disse con tanta
enfasi, saggezza e con forma veramente
smagliante, la mia povera penna di
modesto cronista non mel consente.
Posso dire che parlò a lungo, posso dire
che affascinò l’immenso e scelto uditorio, e posso anche dire che le sue parole
furono tratto tratto interrotte ed alla
fine coronate da un lungo scroscio di
applausi. Non altro...
Dopo di lui il nostro carissimo amico
Rev. D. Evandro Marcolongo lesse una
riuscitissima ode di sua composizione,
ed anche lui fu vivamente applaudito.
Infine, il Presidente, ringraziato le
autorità, rappresentanze ed invitati,
dichiarò aperta la seduta per dar principio alla discussione dell’Ordine del
Giorno per l’annua Assemblea Generale
dei Socii.
Istituto fiorentissimo, che nella regione abruzzese ha acquistato già larghe
simpatie, diretto dall’egregio sacerdote
D. Epimenio Giannico, ha voluto il giorno 28 corrente inaugurare la bandiera
con eccellente pubblica manifestazione.
Alle ore 9 convennero nella chiesa di
S. Leucio tutti gli invitati ed una folla
straordinaria di gente chiamata dalla
eccezionale festa. La rappresentanza
Lo Svegliarino, articolo datato 31 marzo 1909.
71
civica con a capo il distinto sindaco D.
Falcucci Attilio, la Congregazione di
Carità, la Società Operaia, la “Patria e
Lavoro” e gli altri Sodalizi, con rispettive badiere. Spiccava il vessillo bianco
della Cassa in attesa del momento
solenne. Largo concorso di signore.
Benedisse il prevosto prof. Francesco
Pili, pronunziando poche parole ma
nobili e piene di slancio e di fede.
Fecero da madrine alla bandiera le
signore Rosina Falcucci, Amalia Codagnone, Carlotta Giannico e Maria
Iovacchini.
Finita la cerimonia in chiesa, gli invitati convennero nella grande sala
dell’Asilo Infantile, dove il prof. Ireneo
Tinaro pronunciò il discorso di rito.
Riprodurlo è impossibile, e, francamente, il cronista teme di guastarne tutto
l’alto significato e tutta la schietta bellezza toccandone i punti principali. Tuttavia non può tacersi che la conferenza
assurse tavolta a nobiltà di forma elevatissima e che i concetti – nuovi e originalissimi – detti con tutto uno slancio
di fede e di ardire giovanile ebbero
manifeste e frequenti attestazioni di
plauso. Il giovane sacerdote accennò
allo scopo della filantropica istituzione,
ne disse la natura, la vitalità, i passi fatti
attraverso lo scetticismo e l’incuria,
segnò il punto al quale si è giunti attraverso gli ostacoli e le delusioni e le
nuove audacie, parlò della fede e del
concorso che devon muovere a vigile
sostegno dell’Opera pia, accennò ai
bisogni del Mezzogiorno, alla necessità
di evolvere in affermazioni concrete che
traggano ad avvenire radiosi, espresse
con sintesi gagliarda il pensiero che la
terra ha tesori e le braccia del lavoratore
vigorie insperate, e discusse infine il
significato della bandiera: concezione di
pace e di vittoria, in cui il fulgore dei
segni nazionali appariscenti nel nastro
che ne ornava l’asta dava l’alto significato di devozione alla patria, che il Clero,
scevro da lenocini di coscienza, ha il
dovere di guardare dignitosa e forte nel
cammino della civiltà.
Il sac. Tinaro lodò, infine, l’opera
sinora breve e già intensa e proficua del
nuovo sindaco, dott. Falcucci Attilio,
ebbe parole di viva lode per il cav.
Codagnone Tito, il quale, inaugurando
la nuova illuminazione elettrica, dà ad
Atessa la manifestazione più schietta di
un’affermazione morale che traccia la
via a più validi destini, e rivolse, infine,
una parola ammirata e nobilissima per
il direttore D. Epimenio Giannico, per
l’Uomo che ha altissimo il culto della
carità e che, con personale sacrificio,
eleva assai la dignità della Cassa Rurale
e rende fiorentissimo l’Asilo d’Infanzia,
che è vanto e gloria della Regione.
Dopo il discorso del prof. Tinaro, il
sac. Evandro Marcolongo, con squisito
sentimento che lo rivela dicitore eletto e
poeta egregio, disse, in proposito,
un’Ode generalmente ammirata, che fu
anche distribuita a stampa.
Un bravo di cuore ai vari componenti la gloriosa istituzione, della quale i
sacerdoti Carlo De Francesco e Guglielmo De Ritis sono entusiasti e validi
propugnatori, ed auguri di prosperità
feconda, specialmente ora che essa s’avvia più grave di speranze e più altera e
gagliarda, dopo che le gentili madrine le
hanno dato, col loro nome, come un
sincero e alto soffio di gentile affermazione che deve assai lusingare quest’opera generosa, alla quale sorriderà sicuramente un lieto avvenire.
La Gazzetta degli Abruzzi, articolo datato 30 marzo 1909.
72
Atessani d’America
Per sempre legati da vincoli indissolubili alla terra d’origine.
La Società di Mutuo Soccorso degli Atessani di Filadelfia: sue origini e
sue attività umanitarie.
Nel 1872 pochi erano gli Atessani residenti in Filadelfia. A partire da quell’anno,
arrivarono da Atessa scaglioni di emigranti sempre più numerosi.
Nel 1876 la città ospitò la Banda Musicale del Mº D’Amelio, che venne trionfalmente ricolmata di onori in occasione dei suoi concerti alla Esposizione Centenaria
nel Fairmount Park. Durante il suo soggiorno al Continental Hotel il complesso
bandistico atessano fu ossequiato da Don Pedro d’Alcantara, Imperatore del Brasile,
e dall’Imperatrice.
Parecchi degli Atessani di Filadelfia si dedicarono all’arte edilizia, altri all’industria
dell’ago, molti al commercio. I loro affari col passare degli anni cominciarono ad
andar bene ed oggi, nelle 300 e più famiglie atessane, si contano professionisti ed
operatori economici di valore, quali medici, farmacisti, avvocati, notai pubblici, contabili, ragionieri, maestri e maestre di scuola, commercianti, industriali, che onorano
la loro patria di origine e di adozione.
Sempre animati da spirito di fratellanza, gli Atessani organizzarono il Club “Vallaspra” e la Società “San Rocco”, diretti inizialmente da Giovanni Ciancaglini e Antonio D’Eramo, uomini di ottimi costumi, e in seguito da Giovanni Simone e Giuseppe D’Alonzo. Nell’anno 1904 Filippo Serafini fu Olindo fondò il “Tailor” Club,
assumendone la carica di presidente, ricoperta più tardi dal fratello Teodoro. Furono
anche fondate altre due associazioni: la “Italia Abruzzese”, di cui fu presidente Gennaro Cattafesta, e la “Duca degli Abruzzi”, diretta da Pompeo Scalella.
Nel 1906, 34 anni dopo aver messo piede nella città di Filadelfia, gli Atessani
pensarono di costituire una Società di Mutuo Soccorso, allo scopo di tenere sempre
accesa la fiaccola della fede e della fratellanza tra i figli della stessa terra d’origine. Fu
nominato presidente, fra il tripudio dei presenti, il signor Tito Ianni; segretario l’ingegnere Luigi Ciancaglini, vice-presidente Giuseppe Cancelmo, censore Gaetano
Cicchitti fu Alessandro e tesoriere Luigi D’Angelo.
Oggi, dopo 32 anni di vita operosa, la Società è attiva più che mai. Sempre presente per le opere di beneficenza, raccolse per i colpiti dal terremoto calabro-siculo
200 dollari. Fece parte del “Columbus Committee”. Partecipò alle iniziative a favore
della Croce Rossa Italiana e ne divenne socia perpetua. Collaborò alla raccolta di
offerte per la guerra italo-turca. Durante la grande guerra raccolse 405 dollari per
l’assistenza civile in Atessa, 145 dollari per l’acquisto di titoli del Prestito della Salvezza, più di 200 dollari per aiutare la famiglie dei richiamati sotto le armi. Elargì
una buona somma per il monumento ai Caduti, eretto nella piazza centrale di Ates73
sa, e per l’abbellimento della Villa Comunale. Contribuì al fondo per la costruzione
del Columbus Hospital e ne sostenne il mantenimento. Aiutò con contribuzioni il
Pennsylvania Hospital. Erogò contributi per i terremotati della Marsica e di altre
contrade d’Abruzzo. Comprò Liberty Bonds. Partecipò al Comitato “Amici d’Italia”
di Filadelfia in occasione della guerra italo-abissina e infine, per quella fede che è
sempre accesa nei cuori dei suoi membri, concorse all’erezione del monumento al
grande scomparso Guglielmo Marconi.
Filadelfia, 11 febbraio 1938
Antonio Gentile
Souvenir Program, Mutual Relief Society Atessani, february 11th 1938.
1926 - Festa della Società di Mutuo Soccorso degli Atessani di Filadelfia
per il 20º anniversario della sua fondazione.
Superiore ad ogni aspettativa riuscì la festa della Società di Mutuo Soccorso Atessana che ebbe luogo domenica scorsa nelle sale della Columbus Hall di Philadelphia,
in ricorrenza del 20º anniversario della fondazione del fiorente sodalizio.
Il sorprendente programma, preparato dal solerte Comitato-Festa, si svolse fra la
generale concordia ed allegria.
Alle 6 p.m. precise, il presidente Signor Giulio Cesare Carunchio, con un breve
discorso, rifacendo la storia dell’Associazione, disse che questa, dopo 20 anni di vita,
oggi conta un bel numero di compaesani ed un solido fondo di cassa e si mostra
sempre prima in tutte le manifestazioni patriottiche.
Un prolungato applauso coronò la fine del bel discorso, indi prese la parola il presidente del Comitato-Festa, Ing. L. Ciancaglini, il quale, ricordando quel pittoresco
lembo di terra che diede i natali a molti dei presenti, incitò tutti gli Atessani residenti in Philadelphia e dintorni a riunirsi in un sol fascio e passò poi ad assolvere un
gentile incarico presentando, a nome della Società, un anello d’oro, con lo stemma
di Atessa, all’esimio presidente Giulio Cesare Carunchio, che ringraziò commosso
fino alle lacrime.
Su proposta del socio Antonio Gentile, l’assemblea per acclamazione elesse Giulio
Cesare Carunchio presidente a vita.
Il neo-socio Emidio Pistilli di Aniceto fece un bel discorso in lingua inglese, in
risposta al discorso fatto da Antonio Gentile circa la partecipazione della Società alla
parata del 12 ottobre.
Mentre si svolgeva, tra la generale allegria, il rituale smoker, entrò in sala il Comm.
Baldi, direttore dell’ “Opinione” di Philadelphia, che fu accolto da una imponente
ovazione. Presentato dal presidente del Comitato-Festa, il Comm. Baldi rivolse belle
74
ed ispirate parole all’assemblea, dicendo che nell’aula spirava un’aria di pace e di
concordia e che egli si sentiva come in famiglia.
I rinfreschi furono, dal Comitato, serviti a profusione.
La Banda “Palermo”, diretta dal bravo maestro R.B. Salerno, gentilmente invitata
fece della splendida musica. Il maestro Malizia, della banda omonima, non potendo
intervenire, mandò il bravo suo capobanda Umberto Rubeis, che con il chitarrista
Antonio Teti suonò della musica scelta per l’occasione, accompagnando il macchiettista Nicola Carnevale, che esilarò i compaesani con macchiette popolari.
Nicola Santangini non volle essere da meno e recitò delle belle poesie e così pure
il vecchio socio Giuseppe De Francesco, che fece gustare “La lega lombarda”.
Una sopresa fece l’ottimo giovane Alfredo Ciccarelli che, invitato a parlare, si rivelò un oratore di prim’ordine e l’assemblea lo applaudì lungamente.
Va data lode al solerte Comitato-Festa, un comitato che ha lavorato febbrilmente.
Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, 31 ottobre 1926.
Locandina di una festa danzante di beneficenza organizzata nel 1938
dalla Società di Mutuo Soccorso degli Atessani di Filadelfia.
75
19 maggio 1957 - Si scioglie, dopo 51 anni di vita “prospera e feconda”,
la Società di Mutuo Soccorso degli Atessani di Filadelfia.
La Società Atessana di Mutuo Soccorso di Filadelfia, dopo mezzo secolo
di vita prospera e feconda, ha cessato la
sua attività. I pochi soci superstiti – per
la precisione 29 – nell’ultima seduta
del 19 maggio 1957 ne hanno deliberato lo scioglimento. Ha cessato così di
esistere in America una nobile e gloriosa istituzione cittadina, che è stata per
51 anni la fiaccola di solidarietà umana
e sociale fra i nostri emigranti e la fonte
di un amore infinito per la Patria e per
Atessa [...]
In genere tutto ciò che di buono finisce per sempre, riempie l’animo di tristezza. Questo accoramento è forse più
grande in me che ho l’onore di essere
socio onorario del Sodalizio da ben 20
anni [...]
Nel corso dei miei interventi a Filadelfia alle sedute della Società e dei
miei contatti con i componenti della
collettività atessana, mi resi conto che
l’Associazione – onusta di gloria – si
andava spegnendo, per cause che saltavano evidenti all’attenzione di un
osservatore.
Negli anni compresi tra le due guerre
mondiali ed anche prima, gli atessani
che raggiungevano Filadelfia prendevano dimora in pochi quartieri della Città
accentrati in una ristretta zona e quindi
restavano a continuo diretto contatto.
Col passare degli anni e con lo sviluppo
del progresso, essi si inserirono in nuove
evolute forme di vita e cercarono in un
largo raggio il soddisfacimento delle
loro necessità. Così i contatti di vici76
nanza vennero attenuandosi ed i nostri
emigranti si sparpagliarono in zone
notevolmente ampie.
Nel contempo non si sentiva più il
beneficio della modesta assistenza
mutualistica, in quanto essi, operando
in campi più vasti e redditizi dell’industria, del commercio, delle professioni e
del lavoro, avevano tutti raggiunto una
stabilità economica, consolidata da operazioni assicurative. Così era venuto a
mancare il fine sostanziale della istituzione della Società, rivelato dalla sua
stessa denominazione.
Peraltro le perdite dei componenti in
seno al Sodalizio non venivano proporzionatamente recuperate con nuove
immissioni, cosicché in questi ultimi
anni gli aderenti erano rimasti in pochi
e tutti di età piuttosto avanzata.
In sintesi l’istituzione si andava lentamente consumando, sotto l’ineluttabile azione del tempo e degli eventi.
All’atto dello scioglimento della
Società erano rimasti i seguenti 29 soci,
non tutti di origine atessana: Carnevale
Giuseppe, Carunchio Domenico, Cinquino Giuseppe, Cirucci Giuseppe, Di
Bello Vincenzo, D’Onofrio Michelangelo, Flocco Luigi, Gentile Antonio,
Iannacchione Oreste, Losinno Giuseppe, Mascio Roberto, Mascio Angelo,
Milani Ulderico, Nardone dott. Antonio, Nasuti Camillo, Orsatti Guglielmo, Pascucci Beniamino, Perucci Italo,
Rossi Vito, Rucci Giovanni, Rucci Giuseppe, Rucci Nicola, Santangini Nicola,
Scalzone Antonio, Sciorilli Tommaso,
Smargiassi Luigi, Serafini Teodoro,
Vitelli Alfredo, Cicchitti Giuseppe.
Il 16 giugno scorso tutti i componenti convennero in un locale tipicamente atessano – “La corona di ferro” –
per un banchetto di commiato.
Tre anni prima, nello stesso locale e
con gli stessi intervenuti ed altri atessani ed abruzzesi, fu organizzato un altro
banchetto per festeggiare il mio arrivo a
Filadelfia. In un ambiente di sana e gioiosa allegria, allietata da pietanze tipicamente atessane e con discorsi di circo-
stanza, rifulsero il patriottismo dei
nostri fratelli di America ed il loro
amore indefettibile per la nostra Terra.
Oggi una gloriosa bandiera è stata
ammainata! Ma nel vorticoso dinamismo delle metropoli americane, nell’attività fervorosa di un paese che non
conosce soste, due nomi brilleranno
sempre di luce vivida nel cuore dei
nostri concittadini: Italia ed Atessa.
Guido D’Onofrio
L’Altoparlante, 16 agosto 1957.
16 agosto 1926 - Festeggiamenti, a Filadelfia, degli Atessani della Congrega di S. Rocco in onore del loro Patrono.
Il giorno 16 agosto 1926, data della
ricorrenza del Santo Patrono della Congrega di San Rocco, formata dagli Atessani residenti in Philadelphia, è stato
festeggiato solennemente.
Alle ore 8 a.m., la rinomata Banda
“Rossi” ha aperto la festa col giro della
colonia italiana.
Alle 9,30 è stata celebrata la Messa
solenne con panegirico nella Chiesa di
Santa Maria Maddalena dei Pazzi, ove il
nuovo rettore, rev. padre A. Garritano,
che ha già incominciato dal giorno 13
il Triduo in onore del Santo, ha invitato
tutti i devoti a recarsi a domandare grazie al taumaturgo nel giorno della sua
ricorrenza.
Dopo la Messa ha avuto luogo la
processione con musica, alla quale han
preso parte il rettore della Chiesa con
gli assistenti, la statua del Santo, altre
immagini, una moltitudine di bambine
bianco-vestite che hanno seguito San
Rocco con ceri e trofei floreali, il comitato organizzatore e un gran numero di
fedeli.
Alle ore 6 p.m., la Banda “Rossi”,
diretta dal suo valente maestro, ha eseguito uno svariato programma sulla
piattaforma che è stata eretta alla 11ª
Strada.
Il programma, bene organizzato, non
mancò di richiamare sul posto un gran
numero di Italiani.
Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, 24 ottobre 1926.
77
Un inventore atessano a Buenos Aires.
Un nostro concittadino che tiene
alto il nome della Patria e della città
natia oltre oceano è il giovane Nicola
Nasuti, che a Buenos Aires ha destato
grande ammirazione per una sua invenzione nel campo della ingegneria industriale.
Dal giornale Il Mattino d’Italia di
Buenos Aires del 17 novembre 1932
siamo lieti di riportare il seguente articolo:
“Fra i problemi che si presentano ai
grandi stabilimenti che hanno come
attività la produzione e l’invasamento
dei liquidi, principalissimo è quello
della lavatura dei recipienti, soprattutto
delle bottiglie. E poiché troppo lungo e
dispendioso ed anche imperfetto riuscirebbe nel caso il lavoro degli uomini,
supplisce ad esso la macchina, di cui
sono in commercio ed in uso vari tipi
che, essendo però tutti di fabbricazione
straniera, hanno fra gli altri l’inconveniente del prezzo altissimo.
Non può quindi essere appresa senza
soddisfazione la notizia che da qualche
tempo anche questa lacuna nella meccanica industriale locale è stata colmata
e che anche l’Argentina possiede una
sua macchina per lavare le bottiglie:
una macchina perfetta, tanto da rivaleggiare con i tipi migliori e di grandissimo rendimento.
Ne è inventore e costruttore un italiano: un giovane italiano anzi, Nicola
Nasuti, venuto da qualche anno a Buenos Aires, dove in Via Lavalleja 1159
78
ha impiantato una moderna officina in
cui la macchina viene interamente
costruita.
I vantaggi che essa presenta sono
notevolissimi: della lunghezza di poco
più di sette metri, può lavare contemporaneamente 6.000 bottiglie del tipo
usato per la birra, in modo perfetto,
con grandissima rapidità e ad un costo
ridottissimo, mediante una successione
di cinque getti di soda caustica e di
acqua calda, seguiti da altri undici di
acqua fredda che servono a levare le
ultime impurità.
Oltre che questo modello, adatto alle
grandi aziende, il Nasuti ne ha costruito un altro di proporzioni molto minori, ugualmente pratico e di semplice
funzionamento, tale da servire ottimamente per bar, caffè, rivendite, ecc.”.
I concittadini che da lontano seguono con amore l’intelligente operosità, le
geniali invenzioni e le virtù congenite
della stirpe, si rallegrano col giovane
amico Nicola Nasuti del trionfo ottenuto nel campo industriale, augurandogli nuovi e maggiori successi e le più
belle fortune.
Atessa - Rassegna civica di storia, arte, scienze,
demografia, statistica e opere pubbliche,
15 gennaio 1933.
L a m o rt e d e l s i n d aco Lu i g i
Spaventa (9 gennaio 1907) e le onoranze
tributate alla sua memoria
Per
oltre
25
anni era stato ininterrottamente alla guida
dell’Amministrazione
Comunale e,
per le molte altre cari-
che pubbliche da lui a lungo ricoperte, aveva acquistato
vasta notorietà anche fuori di
di
Atessa, nell’intera provincia
Chieti.
Da un giornale dell’epoca, i particolari dell’improvviso, prematuro decesso e dei funerali, memorabili per solennità e commossa partecipazione di
popolo.
La mattina del 9 gennaio 1907, alle ore 6, in una stanza dell’albergo “Marano” di
Lanciano, città nella quale si trovava occasionalmente per esservi stato chiamato ad
adempiere le mansioni di giurato, moriva improvvisamente all’età di soli 53 anni
Luigi Spaventa, sindaco di Atessa dal lontano 1881.
Nemmeno sei mesi prima, il 14 luglio
1906, egli era stato festeggiato in Atessa
per il 25º anno della sua ininterrotta
attività di capo dell’amministrazione
comunale e in quella circostanza ai
numerosi suoi estimatori era apparso di
aspetto florido e sano e fornito come
sempre della sua grande, proverbiale carica di vitalità.
A dicembre, quando già era a Lanciano, fu colpito da broncopolmonite
accoppiata a nefrite, ma le cure attente e
premurose dei medici locali valsero ben
presto a dissipare ogni timore sulle sue
possibilità di recupero. Ai primi di gennaio, ai tanti amici che gli fecero visita
per presentargli gli auguri per il nuovo
anno l’infermo diede segno di essere in
netta ripresa e di avviarsi ormai a ritrova- LUIGI SPAVENTA, in una foto di Lelio De
Francesco del 1900.
re la piena efficienza fisica.
Niente allora lasciava presagire l’immi79
nente catastrofe. Pochi giorni dopo, invece, sopraggiunse rapido e inatteso il decesso
per paralisi cardiaca.
Qualche anno dopo aver conseguito la laurea in legge all’Università di Napoli,
Luigi Spaventa, fatto ritorno al paese natio, oltre ad assolvere l’incarico di sindaco
era stato a lungo investito di molte altre cariche pubbliche, tra le quali quelle di consigliere provinciale, membro del Comitato Forestale Provinciale, presidente della
Commissione Mandamentale delle Imposte Dirette e presidente della Società Operaia di Mutuo Soccorso.
L’esercizio di tante funzioni aveva fatto sì ch’egli godesse di vasta notorietà e popolarità anche fuori di Atessa, nell’intera provincia di Chieti, dove era stato largamente
apprezzato non solo per la puntualità e la risolutezza con cui teneva fede agli impegni assunti ma anche per la sua onestà, rettitudine e magnanimità.
Si può facilmente immaginare, pertanto, il senso di vivo cordoglio con cui Atessa,
quella mattina del 9 gennaio, apprese la triste notizia della scomparsa del suo sindaco, annunziata dai mesti rintocchi delle campane di S. Leucio.
Cittadini di ogni ceto, commossi e increduli, si portarono nella casa comunale,
dove per deliberare in merito alle onoranze funebri da tributare all’estinto si era riunita d’urgenza la Giunta, composta dal prosindaco Fileno De Ritis e da Nicola
Orfeo, Isidoro Di Giacomo e Guglielmo Iovacchini.
Intanto si affiggevano per tutto il paese manifesti commemorativi e in segno di
lutto si socchiudevano le botteghe, i caffè e i circoli pubblici, si issavano a mezz’asta
alle abitazioni private e agli uffici pubblici bandiere abbrunate e si coprivano con
veli neri i fanali della pubblica illuminazione. Moltissime, sui muri delle case e sulle
porte dei negozi, le strisce con la scritta “Lutto cittadino”.
La salma, dopo essere stata solennemente onorata a Lanciano con grande concorso di autorità e semplici cittadini, fu traslata in Atessa la sera del 10 gennaio, alle ore
19,30. All’entrata del paese, tra una densa e fitta nebbia che accentuava l’angoscia
generale, essa fu accolta da una folla strabocchevole e accompagnata con intensa partecipazione emotiva fino all’interno della cattedrale, dove rimase esposta per tutto il
giorno seguente tra veli, drappi, ceri, bandiere, innumerevoli corone di fiori e concittadini che si alternavano alla guardia d’onore.
Non mancarono episodi di toccante umanità: durante il tragitto da Lanciano ad
Atessa, ad esempio, contadini di Altino, Archi e Perano si raccolsero in gran numero ai
bordi della strada per dare, inginocchiati e coi cappelli levati, l’estremo saluto al defunto.
La mattina del 12 gennaio le manifestazioni toccarono il loro momento culminante con le funzioni religiose e il corteo che ad esse fece seguito.
Nella cattedrale gremitissima, in un’atmosfera di imponente ma raccolta grandiosità,
fu celebrata una messa da requiem dai sacerdoti Don Vittorio De Ritis, Don Tommaso
De Francesco e Don Vincenzo Marcone, alla presenza di tutto il clero cittadino, capeggiato dal vicario foraneo Don Epimenio Giannico, e col supporto musicale della filarmonica atessana, coadiuvata per l’occasione da cantori venuti da Lanciano.
Subito dopo si snodò fino a Piazza Garibaldi un lungo, interminabile corteo, a cui
80
presero parte non meno di quattromila persone. Davanti al carro funebre sfilarono
gli alunni di tutte le scuole col corpo insegnante, le congreghe religiose, la banda di
Atessa con gli strumenti parati a lutto e i sacerdoti; dietro il carro, tra un’immensa
moltitudine di uomini e donne di varia estrazione sociale, i parenti e gli amici, i consiglieri e i dipendenti comunali, le autorità civili e militari, le rappresentanze dei
comuni vicini e dei sodalizi cittadini e la banda di Tornareccio.
In Piazza Garibaldi furono pronunziati, tutti contrassegnati da forte intensità di
sentimenti, i discorsi commemorativi da Guido Falcucci per la famiglia e i parenti,
Antonino De Ritis per il Consiglio Comunale, Tito Codagnone per il Consiglio
Provinciale, Gabriele Impicciatore per gli amici di Bomba, Giuseppe Amedeo De
Francesco per la Società Operaia di Mutuo Soccorso e per gli atessani residenti in
America, Beniamino De Francesco per gli insegnanti, Alfredo Bajocco per l’Unione
Magistrale del circondario di Vasto, Nicola Daniele per il Comune di Tornareccio e
Don Nicola Carpineto per il Comune di Archi.
Il corteo proseguì, quindi, fino alla cappella gentilizia della famiglia dell’estinto, dove
Nicola D’Amelio a nome del Circolo Operaio rivolse alla bara accorate parole di saluto.
Il pomeriggio dello stesso giorno, alle ore 16, si riunì il Consiglio Comunale che,
per bocca del prosindaco Fileno De Ritis, diede al grande sindaco scomparso l’ultimo tributo di stima e affetto.
N. C.
Esposizione riassuntiva di quanto pubblicato, sulla morte di Luigi Spaventa e sugli estremi onori resi al
defunto, dalla Gazzetta degli Abruzzi del 17 febbraio 1907, che a quell’evento dedicò amplissimo spazio.
I manifesti della Giunta Comunale, della Società Operaia di Mutuo Soccorso e della Società Operaia “Patria e Lavoro”.
Giunta Municipale
Cittadini!
Mentre sorridevaci la speranza, stamane un triste annunzio ha colpito
l’animo nostro.
Alle ore 6 improvvisamente, per sopravvenuta paralisi cardiaca, spirava
il nostro amato Sindaco ed ottimo cittadino
avv. cav. uff. LUIGI SPAVENTA.
Nell’ora dei dolori le parole non riescono né a dimostrare tutta l’immensa perdita, né a lenire il profondo cordoglio in cui siamo immersi.
Raccogliamoci e uniamoci nel pianto, a prova dell’imperitura riconoscenza a chi dedicava una vita intera per il bene del suo Paese.
Dal Palazzo Municipale, addì 9 gennaio 1907
La Giunta Municipale: Fileno De Ritis, Nicola Orfeo, Guglielmo Iovacchini, Isidoro Di Giacomo.
81
Società Operaia di Mutuo Soccorso
Soci!
Il nostro amato Presidente
cav. uff. LUIGI avv. SPAVENTA
alle ore 6 di stamani per sopraggiunta paralisi cardiaca spirava, lasciando
immersi tutti in profondo cordoglio.
Noi che lo vedemmo, sempre affettuoso amico degli operai, curare con
intelletto ed amore le sorti della Società, in quest’ora triste per la immensa jattura che colpisce una cittadinanza, uniamoci a dimostrare con sincerità di compianto tutto l’affetto che a lui ci legava.
Dalla sede sociale, 9 gennaio 1907
Il Vice Presidente: Fileno De Ritis
Società Operaia “Patria e Lavoro”
Operai!
La morte inaspettata dell’egregio nostro Sindaco
avv. cav. uff. LUIGI SPAVENTA
ne ha immersi tutti nel più profondo dolore.
Nel darvi la triste notizia v’invito a versare per lui una lagrima, ad
innalzare al Cielo una fervida preghiera.
Atessa, 9 gennaio 1907
Il Presidente: Pasquale Farina
Il telegramma dell’on. Vincenzo Riccio, deputato del collegio di Atessa, al
vicesindaco Fileno De Ritis.
De Ritis Prosindaco - Atessa
Divido dolore cittadinanza Atessa grandissima perdita. Nessun cittadino
amò tanto Atessa come Luigi Spaventa. Morte straziante mia diletta moglie
avvenuta iersera impediscemi accompagnare salma Spaventa. Pregato Colalè
rappresentarmi.
Vincenzo Riccio
82
Un’immagine dei funerali di Luigi Spaventa: il corteo per il Corso (12 gennaio 1907).
83
Il primo servizio di trasporto
automobilistico
Istituito nel 1911 per il collegamento di Atessa con Lanciano, fu gestito, col sostegno di un sussidio governativo, da
una società per azioni nata dalla collaborazione tra i
Atessa e Casoli e
blico bene”, dei due centri.
Comuni
di
tra cittadini,
“amanti
del pub-
Iniziative del Comune per l’attivazione del servizio Atessa-Lanciano e la
costituzione della “Società Casoli-Atessa per trasporti automobilistici”
(Delibera Consiglio Comunale 3 maggio 1911).
Presenti il sindaco cav. avv. Nicola Orfeo e i consiglieri Cancelmo Gaetano, Carunchio Alfredo,
Ciccarelli Luigi, Cicchitti Angelantonio, De Francesco Gennaro, De Ritis Antonino, D’Onofrio Alberto, Iovacchini Alfonso, Iovacchini Guglielmo, Marcolongo Ferdinando, Marcone
Camillo, Marcone dott. Nicola, Mastrocecco Domenico, Rancitelli Giuseppe, Rucci Giuseppe.
Proposta del Sindaco Nicola Orfeo
Per la nostra città, che compendia le necessità di una industre e popolosa
regione, era più che sentito il bisogno di un mezzo di locomozione più comodo
e celere, in vista della considerevole distanza che la separa dalla ferrovia e dalla
città di Lanciano, verso cui ogni traffico per mercati, fiere, rifornimenti ed affari
giudiziari viene orientato.
Con lodevole iniziativa, quindi, l’Amministrazione di questo Comune ha
intavolato e condotto a termine le pratiche per ottenere dal Governo la concessione del massimo sussidio consentito dalla legge per l’impianto di un servizio
automobilistico Atessa-Lanciano, la cui utilità, generalmente riconosciuta, viene
integrata dall’esistenza di altre due linee: Casoli-Torino di Sangro e LancianoSan Vito, che con esso si completano a vicenda.
Le giuste aspirazioni manifestate da questo capoluogo, anche nell’interesse
dei molteplici altri Comuni della montagna, che pur ritrarranno immenso vantaggio dall’istituendo servizio, non potranno non incontrare il favore del
Governo, il quale, in vista della dimostrata utilità e necessità di esso, ha accordato un sussidio di L. 453 a chilometro. E di ciò va data meritata lode al nostro
rappresentante politico, On. Riccio, pel vivo interessamento addimostrato per
soddisfare al giusto desiderio ed ai bisogni di questa nostra regione.
Dopo ottenuto il sussidio governativo, questa Amministrazione, col concorso
84
anche di altri egregi concittadini amanti del pubblico bene, si è data premura
per assicurare il proficuo esercizio della linea, raccogliendo una somma totale
per azioni di L. 50.000 e promuovendo la costituzione di un’unica Società tra
questa città e la consorella Casoli. Fu così che, nell’assemblea generale tenuta
domenica scorsa in Casoli, il capitale sociale di L. 50.000 precedentemente
costituito dalla locale Società è stato portato a L. 100.000, cambiandosi il nome
di “Società Casolana” in quello di “Società Casoli-Atessa per trasporti automobilistici” e provvedendosi, in pari tempo, all’approvazione dell’atto costitutivo e
relativo Statuto.
Non rimane ora che proporre al Consiglio la cessione, in favore della nuova
Società, del sussidio governativo assegnato pel servizio automobilistico AtessaLanciano e viceversa, ed è per ciò che invito l’adunanza a deliberare.
Il Consiglio
Plaudendo all’opera della Giunta e degli altri privati cittadini che si sono adoperati per rendere un segnalato servizio a questa città, non meno che agli altri
Comuni che vi fanno capo; ed aderendo di buon grado alla proposta del Sindaco [...]
Delibera
Di approvare, come approva, la cessione del sussidio, nella misura di L. 453 a
chilometro, assegnato dal Governo per la linea automobilistica Atessa-Lanciano
e viceversa, in favore della “Società Casoli-Atessa per trasporti automobilistici”,
facendo voti per la sollecita attivazione dell’importante servizio.
Autobus utilizzato per il collegamento di Atessa con Lanciano.
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La foto-ricordo dell’inaugurazione del servizio automobilistico Atessa-Lanciano (21 maggio 1911), contornata da versi di una poesia composta per l’occasione da Domenico Rossetti di Casoli e letta dall’autore durante i festeggiamenti in Casa Codagnone.
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Scritti polemici
1876 – Pesanti accuse, in un manifesto scritto a mano, contro il sindaco
Vincenzo Spaventa per aver egli impedito agli elettori dell’on. Silvio Spaventa di festeggiarne la venuta in Atessa con banda musicale e sparo di
mortaretti.
Niuno più pericoloso, più crudele dell’uomo senza lumi
e senza educazione, rivestito di recente autorità, massime
se ha animo vile.
Thiers
Queste parole, con le quali il sommo Storico francese stigmatizzava
quella feccia della società che, venuta a galla nei ribollimenti della
Francese Rivoluzione, la macchiava d’ogni maniera di eccessi e
misfatti, esprimono una incontestabile verità che si riproduce per sempre, quando la passione di parte, anziché il bene del paese, pone alla
testa della amministrazione uomini destituiti d’ogni coltura e senza educazione letteraria e morale.
Il Sindaco di Atessa ha, col suo operato, messo un nuovo suggello
di conferma all’apoftegma dello Storico della grande Rivoluzione.
Uomo senza coltura non solo, ma vero ignorante, ha mancato:
1) Ai doveri di pubblico magistrato;
2) Ai doveri di gentiluomo.
3) Ha mentito!
1) Nella sua qualità di Sindaco si è servito dei poteri della sua carica per recare oltraggio al Deputato Spaventa, proibendo la manifestazione di simpatia che i suoi elettori atessani volevano effettuare. Quindi
proibito il suono della Banda Musicale, proibiti gli spari ed altre pubbliche manifestazioni di gioia, ed affissione ufficiale – con assistenza e
guardia di Carabinieri – di cartelli nei quali tra i viva al Re e al Ministero si alternava, in senso di dileggio, abbasso la consorteria. E tutto
ciò per astio personale contro il Deputato del proprio collegio, del
quale egli combatte la probabile rielezione.
Con ciò egli ha violato la libertà dei cittadini atessani, abusando
dei poteri che la legge gli conferiva.
Ha riferito di probabili disordini, mentre egli solo li provocava con
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la sua condotta; tanto da far riaffiggere e guardare dai Carabinieri i
cartelli istessi, sfidando la pubblica opinione; e se disordini non vi sono
stati è da darne il merito alla temperanza e al senno della cittadinanza,
e non alla intemperanza del Sindaco.
2) Egli ha mancato, non dirò ai doveri di gentiluomo, ma a quelli del
più elementare galateo. Un uomo qualsiasi (si voglia o non si voglia illustre) che, come vostro rappresentante, viene a visitarvi, merita sempre
qualcosa che non si nega neppure a qualsiasi uomo che venga in vostra
casa a visitarvi. Qui finisce la quistione politica e comincia quella del
gentiluomo; qui non è più quistione di principii, ma di semplice galateo.
3) Egli è un mentitore. Ha mentito al Prefetto della Provincia telegrafandogli probabili disordini per coonestare le violenze adoperate.
Ha mentito ai cittadini di Atessa concedendo prima il permesso e poi
negandolo. Ha mentito a se stesso in fine non osando affermare essere
opera sua la stampa ed affissione
dei cartelli provocatori.
E pure questi uomini, borbonici
sfegatati fino a ieri e cavalieri
dell’antico regime,osano oggi tanto,
camuffati da liberali, e sfidano la
pubblica coscienza col nome di “Progressisti”!!!
Vincenzo SPAVENTA, il Sindaco “progressista” oggetto delle aspre critiche degli avversari
politici della “destra”.
Riproduzione fotografica, eseguita nel 1894 da Lelio De
Francesco, di un dipinto ad olio della metà dell’Ottocento di autore ignoto.
Chiarimenti a difesa dell’operato del sindaco Vincenzo Spaventa in occasione della visita dell’on. Silvio Spaventa ad Atessa.
Il Fanfulla di ieri sera recava una
disposizione del Sindaco di Atessa, il
quale vietava, per ragioni d’ordine pubblico, alla banda musicale del paese di
suonare per far degna accoglienza
all’on. Silvio Spaventa, che doveva arrivare colà.
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Affinché dalla semplice lettura di
quell’ordine non si giudichi troppo leggermente l’operato dell’autorità, crediamo utili e necessari alcuni schiarimenti.
Fin dal mattino sapevasi in Atessa
che parecchi fra i più caldi amici
dell’on. Spaventa si erano proposti di
festeggiare l’arrivo con musica, sparo di
mortaretti, acclamazioni, e via dicendo.
Dinanzi a questi apparecchi gli avversari politici dell’on. Spaventa fecero
affiggere sulle cantonate numerosi cartelli a stampa, dicenti:
Viva il Re!
Viva il Ministero!
Abbasso la consorteria!
Questi cartelli venivano però qua e là
lacerati, senz’uopo di dire per opera di
chi. Naturalmente ne derivava un’agitazione che poteva aver conseguenze
imprevedibili.
Il Sindaco, giustamente impensierito,
ricorreva per istruzioni alla prefettura,
donde gli si telegrafava che provvedesse
energicamente ad impedire disordini,
lasciandogli però ampia facoltà, se credeva, di concedere la banda. Il Sindaco
però, nella difficile situazione del paese,
credette prudente vietar anche questa.
L’on. Spaventa, del resto, giunse; la
popolazione serbossi calma e silenziosa.
Questa attitudine della gran maggioranza dei cittadini ne impose talmente
che i fautori delle feste per l’on. Spaventa desistettero e l’ordine pubblico
non venne turbato, né si ebbero lagnanze o reclami di sorta.
Questa è la pura e semplice verità che
nessun artifizio varrebbe ad alterare.
Il Bersagliere, 22 settembre 1876.
Puntualizzazioni del consigliere di Corte d’Appello Gennaro Codagnone
dopo la pubblicazione, da parte di alcuni giornali, di notizie lesive della
sua dignità a proposito del viaggio dell’on. Silvio Spaventa in Atessa.
Onorevole Sig. Direttore del Diritto.
Oggi appena, ho saputo che alcuni giornali di destra, parlando del viaggio
testé fatto dall’ex ministro Spaventa nel suo collegio di Atessa, si sono occupati
anche di me per dire “che mi trovavo in quei giorni in Montazzoli, mia
patria, una delle sezioni del collegio, e che ho creduto bene di andarmene per
non assistere al trionfo del mio rivale e già mio protettore”.
Ora tutto ciò è falso da cima a fondo.
Io non sono mai stato in Montazzoli, che non è mia patria. Quando l’ex
ministro Spaventa faceva il suo viaggio trionfale nel collegio di Atessa, io mi
trovavo a Perugia per ragioni d’uffizio, né mi sono mai mosso da Perugia
sino al 23 scorso Settembre, quando partii per recarmi ad occupare il nuovo
ufficio conferitomi di Consigliere alla Corte d’Appello di Napoli.
E non è punto vero che l’on. Spaventa sia stato il mio protettore. Nella mia
carriera di 30 anni io non ho avuto altra protezione che quella delle mie fatiche.
La ringrazio del favore che ella mi farà pubblicando questa mia e mi dico
Roma, 4 Ottobre 1876
Suo devotissimo servo
Gennaro Codagnone
Consigliere di Corte d’Appello
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1902 – Esortazione ai giovani perché si mobilitino contro il prosperare
del “male amministrativo” e per il “retto governo della cosa pubblica”.
[...] In Atessa non vi ha chi non
vegga come il disordine amministrativo
abbia raggiunto il più alto grado possibile. Impotenza di un’opposizione
disorganizzata e sfiduciata, inettezza
degli uomini chiamati dal suffragio
delle urne a curare i pubblici interessi,
partigianeria e prepotenza elevate a
sistema di governo, acquiescenza più o
meno manifesta da parte delle autorità
superiori, furono coefficienti più che
valevoli perché il male amministrativo
si manifestasse e prosperasse.
Ed è così che noi, di un patrimonio
di 1500 ettari di terre demaniali, conserviamo appena un rimasuglio di 300
ettari, lasciando che comunità e privati
godano tranquillamente i beni usurpati
al Comune, senza che gli onesti propositi di reintegra e di successiva quotizzazione ai non abbienti possano attuarsi.
Ed è così che Atessa, il paese forse
più ricco della provincia, paga tutti i
balzelli che mente di finanziere usuraio
abbia potuto immaginare.
Ed è così che il bilancio è ricco di stipendi elettorali, mentre i pubblici servizi sono trascurati.
Le strade secondarie costituiscono un
continuo attentato alla sicurezza personale del povero contribuente, il quale
paga al Comune, per vedersi così trattato, il 22,50% di soprattassa sulle imposte.
La istruzione obbligatoria, cui l’occhio vigile dei preposti al governo della
cosa pubblica dovrebbe amorosamente
mirare con ogni possibile cura, è negletta e trascurata in malo modo: locali
indecenti, assegnamento in bilancio
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insufficiente e, quel che più importa,
pettegolezzi e prepotenze partigiane trascinate fin nelle aule, dove si dovrebbe
solo insegnare ed educare.
Ed è così che tutto ciò che rivela sentimento di arte in Atessa non può sorgere o, se forza volenterosa di iniziativa
personale porta alla luce, è destinato a
perire. Vedete? Tre volte o quattro da
noi si è costruito in legno un teatro
decente, dove una qualche compagnia
più o meno raccogliticcia faceva passare
alla men peggio le lunghe sere d’inverno, e tutte le tre o quattro volte, dopo
un tempo più o meno breve, il teatro è
stato raso al suolo. E quando un comitato geniale pose in giro un foglio per
raccogliere le oblazioni volontarie degli
atessani per costruire un teatro degno di
un paese di 12.000 abitanti, allorché si
vide che le famiglie, entusiaste, largamente offrivano l’obolo loro per un
generoso sentimento d’arte, nel più
bello sparve il foglio rivelatore e tutto
finì lì.
Se dunque le cose sono così, come
son venuto esponendo, e non c’è anima
nata che varrà a smentirmi, sembra a
voi, amici concittadini, che debbano
più oltre durar le lamentele della cronaca quotidiana, o non sia piuttosto venuta l’ora di buttar giù, con un colpo di
pialla, tutto questo immondo edificio,
costruito da un ventennio di governo?
[...] questo dovere hanno soprattutto
i giovani [...] Ad essi il lavoro di incitamento e di sprone; ad essi il compito di
disciplinare e dirigere la massa che già si
agita e freme e non aspetta che i condottieri per lanciarsi alla riscossa; ad essi
l’incarico di propalare presso gl’increduli il nuovo verbo di giustizia amministrativa e di retto governo della cosa
pubblica; ad essi i primi onori della
lotta e della vittoria e la nobile missione
della pacificazione [...]
Atessa, 20 febbraio 1902
Drifer
Lo Svegliarino, 23 febbraio 1902.
Dettagliate accuse mosse, nei primi anni del Novecento, da un direttore
didattico all’Amministrazione Comunale per le gravi anomalie e disfunzioni da lui riscontrate nell’andamento della scuola elementare.
L’obbligo della scuola elementare
inferiore non viene adempito. Gl’insegnamenti speciali (ginnastica, disegno,
lavoro manuale, agraria, igiene, economia domestica) in diverse scuole nostre
non s’insegnano affatto, o s’insegnano
poco e male. Le scuole si riaprono senza
nessuno preavviso al pubblico. Si adotta
un orario quotidiano contrario ad ogni
buona regola igienica e didattica. Le
Commissioni per gli esami si formano
senza rispetto alcuno alla legge.
I locali scolastici sono pessimi senza
cessi e senz’acqua, gli arredi meschinissimi e i sussidi didattici obbligatori
manchevoli. Non viene provveduto al
riscaldamento delle aule scolastiche
sparse in vari punti del paese, ed una,
incredibile, entro, e non attiguo al locale della ruota ove si espongono i trovatelli.
Nel corpo insegnante ci stanno i
maestri protetti e i bersagliati; ai primi
si condonano le mancanze, ai secondi
non se ne passa veruna, anzi la si aggrava. Le disposizioni in materia didattica
bene spesso dal Sindaco o dal Segretario vengono emesse, e non dal Direttore Scolastico chiamato al riordinamento e al miglioramento delle scuole.
Il Nuovo Sangro, 7 maggio 1905.
1911 – Appello ai cittadini perché condannino l’inerzia degli amministratori comunali, incapaci di fronteggiare efficacemente l’epidemia colerica.
Cittadini!
[...] In questo momento in cui le
nostre contrade vengono visitate dal
morbo crudele [...] la nostra Amministrazione s’è addimostrata impari al
compito che ha assunto nel giorno in
cui, chiamata dalla fiducia nostra, veniva ad installarsi nel civico Consiglio.
Ed invero non avete visto voi come
nel tempo del bisogno e del pericolo i
nostri amministratori si son ritratti in
disparte, paghi soltanto di aver fatto
venire l’onorevole a promettere mari e
monti per gettarvi la polvere negli
occhi? Essi nell’ora triste dovevano aprire delle cucine economiche per la pove91
ra gente malata, dar consigli a quelli
soltanto dopo la venuta del medico
che ignoravano le norme igieniche e le
provinciale il Sindaco s’è deciso finalmisure profilattiche, recarsi magari nelle
mente ad emanare delle ordinanze tencampagne per provvedere alla disinfedenti a provvedere a un po’ d’igiene rafzione dei casolari, permettere che altri
forzata alla meglio. Però dobbiamo far
cittadini volenterosi istruissero e tranconoscere a chi non intende di sapere
quillizzassero il popolo con pubbliche
che dette ordinanze, oltreché emanate
conferenze.
con ritardo, quando già il morbo aveva
Niente di tutto questo han fatto e
cominciato la sua strage, vengono male
siamo sicuri che non faranno nulla di
eseguite. Se ne vuole una prova?
buono, perché le loro energie non posUna squadra di bravi giovanotti
sono sperperarle per una pubblica calaaddetti alla pubblica igiene, avuto ordimità, sibbene devono immagazzinarle
ne di ispezionare le vie della Città per
per poi farne uso quando sarà il tempo
rendersi certi se le galline fossero state
delle elezioni ed avranno bisogno dei
ritirate e non andassero liberamente
nostri voti per seguitare a tenere la
vaganti, elevarono parecchie contravsomma del comando e mandare a rotoli
venzioni per inosservanza dell’ordine
questo disgraziadel medico proto paese.
vinciale; ma,
Anarchia nell’Amministrazione
A voi, containcredibile a
Comunale. Comitato di salute
dini, che più di
dirsi!, con loro
pubblica acefalo. Presidente
tutti siete presi
somma meraviche
fugge
per
timore
del
colera.
di mira dal
glia, quando
Assessore
che
rassegna
le
dimismorbo asiatico,
andarono in
sioni
nell’ora
triste
che
volge
spetta dare il
Municipio per
per la nostra Città.
responso in una
l’ a p p l i c a z i o n e
futura lotta eletdell’ammenda ai
torale; vorrete in
contravventori,
avvenire riconfermare al potere quelli
seppero che non si poteva procedere
che, dopo aver ridotto il bilancio comuperché il Sindaco (in tutt’altre faccende
nale al fallimento, dopo aver chiuse
affaccendato, nel pubblico caffè in piazparecchie scuole, oggi, per colmo di
za centrale!) aveva dimenticato il meglio
sventura, trascurano anche di salvare la
dell’opera: non aveva fatto affiggere
vostra vita?
avviso al pubblico dell’ordinanza porI concittadini atessani possono farsi
tante il divieto di far girare i polli.
un’idea chiara dell’ignoranza crassa dei
Ed anarchia completa esiste nell’Amnostri amministratori seguendoci nelle
ministrazione [...]
constatazioni di fatti rilevati dal
S’è costituito, è vero, un comitato di
momento in cui si ebbero i primi casi
salute pubblica e al momento della
di colera nell’agro di Atessa.
costituzione aveva anche un capo nella
È ormai a tutti noto che nessun
persona del sig. Luigi Iovacchini, presiprovvedimento igienico e sanitario era
dente della Congrega di Carità per
stato preso prima del 18 Agosto e che
giunta e membro di varie altre commis92
sioni e sotto-commissioni, compare del
Sindaco [...] Ebbene il sig. Iovacchini,
eletto presidente del comitato di salute
pubblica, accolse con soddisfazione
l’onorifico incarico, ma quando si trattava di esporsi al cimento, di cominciare a dirigere l’azione di una schiera di
baldi e volenterosi giovani che spiegano
tutte le loro energie per la salvezza di
un’intera cittadinanza, ha preferito
coraggiosamente di fuggire per tema del
colera, recandosi colla famiglia in una
stazione balneare per dimenticare nelle
feste e nei tripudii che qui si muore fulmineamente. E dire, ripetiamo, che è
anche presidente di un’Opera Pia. Bella
carità pelosa, in verità!
E che ne pensano i nostri cari concittadini dell’assessore per la Pubblica
Istruzione, il negoziante Giuseppe
Amedeo De Francesco? Egli s’è dimostrato zelante dei proprii affari, non di
quelli del pubblico, quando per fare
aver luogo feste e fiere trovò modo di
organizzare una dimostrazione, per
quanto puerile altrettanto ridicola, collo
scopo di strappare al Prefetto la revoca
del divieto: telegrafò all’immancabile
Vincenzo Riccio, il quale, poveretto,
questa volta non poté contentare i voti
del suo fido elettore, gridò ai quattro
venti che qui si godeva perfetta salute,
che nei paesi circonvicini non esisteva
colera, e così ebbe la soddisfazione di
vedere che la fiera si facesse un po’ lontano dall’abitato. E questa fiera abusivamente fatta noi fermamente crediamo sia stata una delle cause dello scoppio del terribile morbo! Oggi, invece,
nell’ora del dolore, nell’ora grigia che
volge nel nostro paese per questa pubblica calamità, quando tutti dovremmo
fare a gara per soccorrere, coll’opera e
col consiglio, la povera gente che
muore, il solerte assessore, come è suo
costume, nei momenti difficili abbandona il campo di azione e si dimette,
per dare forse esempio ai suoi colleghi
che, con uno sforzo estremo, cercano
ancora di mantenere la fila della pericolante baracca comunale.
Cittadini!
A voi sta dedurre le conseguenze di
questo triste stato di cose e fare le legittime riflessioni sull’opera della vostra
Amministrazione, non più nostra, giacché fin da questo momento la ripudiamo, perché indegna di rappresentare le
nostre giuste idee, le nostre pure e sante
aspirazioni di uomini civili.
La finanza comunale e l’igiene
pubblica in Atessa.
Oramai son trenta anni che dura lo
sfacelo finanziario nell’amministrazione
comunale del nostro paese, senza interruzione alcuna; né l’autorità tutoria, né
i Sindaci che si sono succeduti in questo periodo di tempo vi han posto alcun
riparo [...]
Facciamo rapidamente un po’ di storia a conferma delle nostre asserzioni.
Nel Maggio del 1880 morì il sindaco
cav. Vincenzo Spaventa, ottimo amministratore, integerrimo funzionario
pubblico, il quale lasciò il nostro
Comune in buone condizioni finanziarie. Successe a lui nel sindacato per
breve tempo l’avv. Tommaso Rucci; ma
nessun’orma lasciò costui di sé, perché
combattuto ferocemente dagli oligarchi, indispettiti nel vedere agitata la
quistione demaniale. Venne in
quell’epoca il perito Venanzio Lalli a
93
rilevare le terre usurpate al Comune per
la reintegra amministrativa.
Dimessosi nel corso dell’anno 1881
il Rucci dalla carica di Sindaco, venne
in seguito nominato il giovane cav.
Luigi Spaventa, avido di potere e di
ambizioni. Apparente difensore dei
diritti dell’operaio, si comportava da
generoso democratico per vedersi
rispettato ed applaudito dalla folla.
Ben presto il Comune cominciò a
contrarre debiti piccoli e grossi, la cui
concessione veniva festeggiata a suon di
banda, ma il denaro si sperperava qua e
là e nessun’opera pubblica igienica e di
risanamento si poté compiere durante
la sua amministrazione. Molte somme
furono spese in economia ed empiricamente per le riparazioni della tubolatura della fontana e pei guasti della strada
lungo il percorso della condottura. Ma
senza efficacia alcuna perché strada e
fontana erano e sono in uno stato
deplorevolissimo.
Si è parlato in Consiglio più volte di
costruire un serbatoio di acqua, e non
si è fatto; si è insistito molto e ripetutamente per la costruzione di un pubblico lavatoio ed abbeveratoio, e l’opera
non si è fatta ancora, quantunque per
essa da più di un anno ci è stata concessa a mite interesse la somma di L.
14.000 dalla Cassa Depositi e Prestiti.
Altrettanto dicasi per l’erezione di un
edificio scolastico igienico e decente,
per la fognatura mancante in molti
rioni della Città: di fatto parecchie
famiglie di operai abitano case senza
latrine e sono costrette a buttare i loro
rifiuti sulla pubblica via. Anche la salita
del Castello, dove sono molti palazzi di
famiglie civili, è priva di fognatura.
Nessun provvedimento per la nettezza e
94
decenza del mattatoio, come pel mantenimento delle stalle con le norme
delle vigenti leggi sanitarie.
Tale lo stato igienico del paese durante il potere d’un quarto di secolo dello
Spaventa. Morto costui a Lanciano nel
9 Gennaio 1907, funzionò da Sindaco
per oltre sei mesi l’assessore anziano
Fileno De Ritis e provvedimenti di
carattere igienico non si ebbero durante
questo tempo.
Nominato Sindaco il dott. Attilio
Falcucci nel 1º Agosto 1907, l’igiene
fece dei progressi. In primo luogo egli
fece constatare coscienziosamente nel
bilancio preventivo del 1908 un disavanzo di circa 70 mila lire, e molte
magagne ed irregolarità amministrative
furono prese in chiaro. Trovò, in tanto
dissesto finanziario, i mezzi pecuniari
occorrenti per riparare ad una grossa
frana verificatasi nella strada consorziale
di Tornareccio, che si sarebbe dovuto
da gran tempo riconsegnare alla provincia, e diede una certa stabilità al corso
delle acque della fontana. Fece ripulire
ed accomodare il mattatoio, facendo
pratica per la nettezza d’introdurvi un
fontanino. Accomodò e pavimentò il
largo vicino alla fontana, dov’era la vecchia taverna, e lo fece circondare di
alberi, bonifacendo e sistemando un
punto al paese molto lurido con lo
scopo di crearvi una igienica piazza per
la vendita delle frutta e della verdura.
Abbellì con doppia fila di alberetti il
Largo o Piazza Garibaldi; e questa igienica piantagione è abbandonata alla
distruzione, oggi che domina il Re Travicello. Sia come membro della commissione teatrale sia come Sindaco si
adoperò efficacemente per ultimare e
decorare il teatro del Comune, non
ancora inaugurato. Si dirà che
quest’opera non riguarda propriamente
l’igiene; noi diremo di sì, perché si riferisce alla nobile igiene dello spirito, che
ricrea l’intelletto. Pensò alla costruzione
del lavatoio ed abbeveratoio ed all’uopo
fece eseguire il progetto dell’ing. Di
Iorio, preventivandone la somma occorrente nel prestito da contrarsi alla Cassa
Depositi e Prestiti. Fece anche eseguire
dal Genio Civile il progetto di consolidamento della strada consorziale con
Tornareccio in vista della sistemazione
dell’acquedotto secondo l’ing. De
Cecco. Pensò che ormai si dovesse
attuare una vecchia idea di sventrare un
punto centralissimo della Città, oggi
luridissimo, davanti anche ad una certa
sistemazione igienica con l’abbattimento di parecchie case e formazione di una
igienica piazza a S. Leucio, ed all’uopo
istituì le prestazioni d’opera e diede
incarico all’ing. Sargiacomo di Lanciano per il relativo progetto. Avviò le pratiche per l’arginatura del fiume Sangro
ed insistette presso le superiori autorità
per rimuovere le cause micidiali all’allagamento del torrente Appello.
Dimessosi nel 31 Maggio 1909 il
Falcucci dalla carica di Sindaco per dissapori sorti in seno del partito di maggioranza, i cui capi vedevano di mal’occhio la sua operosità rinnovatrice,
subentrò a lui nella carica l’avv. Orfeo,
uomo di nessuna iniziativa e capacità,
esecutore incosciente degl’interessi non
della cittadinanza, ma dei privati.
In questi due anni che l’Orfeo è a
capo dell’Amministrazione, soltanto di
nome, le cose peggiorano a vista d’occhio irreparabilmente. La condottura
della fontana e la strada consorziale
dove poggia, specie nei pressi del paese,
sono in uno stato deplorevole. Di nessuna efficacia le riparazioni che vi si
fanno, l’abisso si avvicina e minaccia
d’inghiottire il paese. Il locale delle
scuole da un lato si rabberica, dall’altro
si sfascia, senza autorizzazione del Consiglio e delle autorità competenti. La
nettezza pubblica e l’igiene sono completamente trascurate. La finanza
comunale è nello stato di sfacelo. Non
si pensa alle fognature, né si provvede ai
cessi nelle case operaie, come è obbligo
ai Sindaci delle nuove leggi comunali e
provinciali. L’opera del lavatoio e dell’
abbeveratoio, benché i fondi sono
pronti, non si è cominciata.
Scoppiata nelle nostre campagne
l’epidemia colerica nella notte del 18
del volgente Agosto, il nostro Sindaco
si è trovato come un pulcino avvolto
dalla stoppa; si è nascosto alla venuta
del medico circondariale, è rimasto
come babbeo di fronte ai provvedimenti sanitari invocati due giorni dopo dal
medico provinciale, che ha trovato il
paese sporco e puzzolente, privo di lazzaretto, di disinfettanti e di quanto
occorre in questa terribile epidemia. Si
è burlato dell’autorità, fingendo di aver
fatto un lazzaretto igienico nel convento di Vallaspra, mentre non è vero, e si
è dovuto poi costruire una baracca
micidiale improvvisamente vicino al
camposanto, dove la gente muore senza
soccorso.
Corbellando l’autorità e ponendo
con leggerezza massima in non cale le
prescrizioni igieniche e i provvedimenti
sanitari, ha gettato il paese nella costernazione, e le dolorose conseguenze non
si potranno definire per ora. Non è
stato al caso per venti giorni, benché
abbia nella Giunta uomini denarosi, di
95
raggranellare un centinaio di lire per
ritirare nella stazione di Torino di Sangro un barile di cloruro di calce. Mancano all’occorrenza assistenti, infermieri, necrofori, disinfettanti, aiuti, soccorsi. Nessun slancio di carità, nessuno
aiuto ai poveri.
I medici tutti del paese, che spendono con energia la loro operosità compiendo opera altamente umanitaria,
mancando di mezzi protestano contro
l’Amministrazione incosciente; ma il Re
Travicello se la ride. Una squadra di
simpatici, intelligenti e coraggiosi giovanotti si son posti al servizio dei poveri
colerosi; ma si trovano scoraggiati dalla
penuria dei mezzi che dispongono.
Ecco un breve quadro delle condizioni
economiche e sanitarie del nostro paese,
adagiato irreparabilmente nella desolazione, nella solitudine [...]
L’Unione Democratica Liberale
L’accusa, Numero unico, 5 settembre 1911.
Le condizioni di arretratezza di Atessa lamentate da Alfonso Iovacchini in
un suo scritto del 1913.
In generale il paese non è curato e l’igiene lascia a desiderare; mancano fognature
ed acqua nelle case ed altre comodità. Le strade non sono mantenute pulite, sebbene
il Comune paghi quattro spazzini pubblici, perché nel paese si allevano e mantengono molti animali, come capre, galline, muli, cavalli, asini, cani e maiali, che passano
per le strade anche dopo avvenuta la pulitura e le sporcano di nuovo. Vi sono le stalle e non sono curate. Si svuotano del letame anche in pieno giorno e con esso, in
sacchi o sui carretti, si attraversa il paese per portarlo nelle campagne. Mancano
anche abbeveratoi e lavatoi.
I fabbricati, che dovrebbero essere disposti con ordine, che dovrebbero alzarsi con
le regole dei piani, con buone porte, e finestre e balconi simmetrici, vengono costruiti a casaccio; e quel che più morde, d’una medesima casa a due padroni, una parte è
tenuta in un modo e l’altra di diverso ordine. Questo non si nota tanto nelle strade
principali, dove prevale il buon senso dei benestanti, ma in tutte le altre.
Il paese manca perfino del locale scolastico, che quasi tutti i paesi della provincia
hanno; a ciò vi supplisce il convento delle monache: una barbarie di architettura, di
porte, di finestre, di luce.
Le buone istituzioni, i miglioramenti, il progresso, la civiltà penetrano a stento in
Atessa. Spesso avviene per iniziativa privata, ma il grosso e ricco Comune non si
muove per queste cose che non riguardano il cieco individualismo e tornaconto.
A. e D. Iovacchini, per una storia di Atessa, op. cit., p. 178.
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Il Teatro e i cinematografi
Edificato nel primo Novecento (l’ultimazione dei lavori
risale al 1911) all’interno dell’ex Convento dei Domenicani, in spazi già utilizzati per rappresentazioni sceniche sin
dalla metà dell’Ottocento, il Teatro Comunale, “vanto
dell ’ architettura locale ”, diede lustro e prestigio alla
città, favorendone la crescita civile e culturale.
L’“Edison” di Luigi Colonna: il primo locale destinato in
Atessa a proiezioni cinematografiche.
Il Teatro Comunale dalle origini al restauro.
L’idea di dotare Atessa di un teatro trovò la sua prima, provvisoria attuazione nel
1837, quando un gruppo di attori dilettanti avanzò agli amministratori comunali la
richiesta, subito accolta, di poter utilizzare per rappresentazioni sceniche i locali del
refettorio dell’ex convento dei Domenicani, soppresso nel 1809, acquisito dal
Comune per decreto reale del 1814 ed oggi sede municipale.
Venti anni più tardi, nel 1857, già si avvertiva il bisogno di un ampliamento dei
locali adibiti a teatro e la Municipalità deliberava la concessione di altri ambienti.
Lo sviluppo dell’attività teatrale in Atessa fu, però, tale da richiedere ben presto
la necessità di una sede adeguata alle esigenze dello spettacolo e degli spettatori,
come dimostra l’approvazione, nel 1863, di un progetto per la costruzione di un
teatro vero e proprio, sempre all’interno dell’ex convento.
I lavori, a cui si diede subito inizio, furono dopo breve tempo interrotti per
sopraggiunte difficoltà economiche. Seguì un lungo periodo nel corso del quale il
proposito della realizzazione dell’opera sembrava definitivamente accantonato.
Fu solo nel 1891 che il problema tornò di attualità, quando venne proposto che il
teatro fosse ultimato con il concorso di offerte in denaro da parte della cittadinanza.
L’iniziativa della contribuzione popolare volontaria produsse, sia pure con lentezza, gli
effetti sperati: le somme raccolte, integrate da interventi finanziari del Comune, consentirono la prosecuzione dei lavori, che furono finalmente portati a termine nel 1911.
In quello stesso anno, a conclusione di tante traversie, il teatro comunale di Atessa, vanto dell’architettura locale, veniva ufficialmente aperto al pubblico.
Dopo circa tre decenni di onorata attività, il teatro, anche per effetto dei danni
provocati da un bombardamento durante l’ultima guerra, si ridusse a poco a poco in
una condizione di degrado tanto deplorevole da rendere ormai indifferibile e urgente un radicale intervento di restauro. Preceduto da complessi lavori di consolidamento dell’intera struttura della sede municipale, il restauro, eseguito negli anni
1984-1988, è valso a sottrarre il teatro ad un destino fatto di rovina e di abbandono
e a ricondurlo al decoro originario.
Comune di Atessa, Il teatro comunale dalle origini al restauro, Tipolitografia Caporale, Atessa 1989.
97
1900 - Offerte in denaro di cittadini atessani per il completamento dei
lavori di costruzione del Teatro.
98
Locandina, con il testo scritto a mano, di uno spettacolo di varietà del
1878.
Teatro Municipale Atessa / Questa sera Mercoledì 17 Aprile 1878 / Ultima rappresentazione della compagnia romana a beneficio della primadonna Signora
Virginia Ferrara / verrà eseguita l’opera Crispino e la Comare terminando all’atto 2º / quindi ne seguirà il primo atto della tanto applaudita opera in 3
atti Pipelé / Duetto dell’opera La bella Elena / Chiuderà la serata il passo a
due Le rive del Danubio. / L’umile Beneficiata spera un numeroso concorso
e ne anticipa i suoi sentiti ringraziamenti.
99
Locandina, con il testo scritto a mano, di un concerto per “armonium a
bicchieri”, con musiche di Verdi, Bellini e Strauss (1880 circa).
Nella Sala Comunale per la sera di giovedì ore 9 / Grande accademia di
Armonium a bicchieri che darà il professore Antonio Logatto con
l’intervento del Mº G. Amelia che accompagnerà a Pianoforte / Programma
/ 1º Fantasia sulla Traviata / 2º Concerto sull’Opera Aida / 3º Souvenir di Bellini /
4º Il pizzicato di G. Strauss.
100
Nel Teatro “illuminato a cera e decorato”, uno spettacolo di varietà del
14 marzo 1881 a beneficio della banda cittadina.
101
Omaggio in versi di un ammiratore atessano ad una commediante napoletana esibitasi in Atessa nello spettacolo teatrale del 14 marzo 1881.
Un capocomico di Vasto, con cartolina postale del 29 luglio 1908, propone al Sindaco di Atessa la sua compagnia per l’inaugurazione del Teatro.
La risposta interlocutoria del Sindaco.
Vasto, 29.7.1908
Ill.mo Sig. Sindaco,
ho saputo che da cotesta Spett. Direzione Teatrale viene desiderata una Compagnia
per fare l’apertura del Teatro. Se non ha nulla in contrario, io le propongo la mia Compagnia con repertorio drammatico estesissimo, nonché delle Commedie di Scarpetta, ed in
ultimo Café Concerto. La Compagnia è composta di tutti elementi giovani e ben vestiti,
e con molto affiatamento e decoro, nonché onesta. Se non ha nulla in contrario, attendo
Suo preg. riscontro acciò poter stabilire il tutto.
Fiducioso che la proposta venga accolta favorevolmente, mi dico dev.
Luigi Luigini
Atessa, 31.7.1908
Questo Teatro non è per ora in grado di essere aperto, mentre potrà esserlo per la prossima stagione invernale.
Allora potrà rinnovare la sua offerta.
Il Sindaco
102
Gli artefici della realizzazione del Teatro Comunale celebrati con una
lapide del 1909 apposta su una parete del foyer.
103
2º decennio del Novecento – Locandina con le “ultime novità” in programma al Cinematografo Edison.
104
Per gentile concessione dell’ “Archivio Di Jorio” di Atri.
Locandina di una “grande serata musicale a beneficio dell’Ospedale Civile”, tenutasi il 21 aprile 1921, con l’esecuzione di canzoni napoletane,
abruzzesi e italiane di Antonio Di Jorio.
105
Un’operetta rappresentata al Teatro Comunale nel 1927.
106
Il Teatro Comunale di Atessa classificato dal Ministero delle Finanze, nel
1923, pari per importanza al “Marrucino” di Chieti, al “Fenaroli” di Lanciano, al “Michetti” di Pescara e al “Rossetti” di Vasto.
Manifestino del 1933 con propaganda pubblicitaria del Cinema Moderno
(locale all’aperto).
107
1932, 1933, 1934: per la Filodrammatica Atessana anni di intensa e
apprezzata attività.
L’iniziativa teatrale, che era animata da uno stuolo di giovani professionisti, partì
col piede giusto perché i principali componenti del gruppo avevano un’esperienza
dell’arte teatrale di prim’ordine, essendo stati frequentatori assidui delle platee di
varie città italiane durante gli studi universitari.
La serietà operativa, che non aveva alcunché di improvvisato o dilettantistico, li
portò, oltre che a scegliere le opere che allora andavano per la maggiore in tutt’Italia,
anche a scrivere di teatro, sia pure a livello di “atti unici” o di “monologhi” o di “scenette comiche”.
Che la qualità degli spettacoli fosse più che buona si ricava non solo dalle cronache dei giornali ma anche, ad esempio, dal fatto che la commedia drammatica “La
nemica” di Niccodemi fu rappresentata dallo stesso gruppo al “Fenaroli” di Lanciano, a Casoli ed altrove.
In quanto alle recensioni, esse sono tutte molto lunsinghiere e talvolta addirittura
entusiastiche, anche sulla stampa specializzata nazionale.
Il gruppo teatrale, in quei pochi anni, prese anche l’iniziativa di organizzare, con
grande successo, feste e veglioni e memorabili edizioni del Carnevale. Talvolta basta
proprio un piccolo gruppo di gente affiatata per creare un certo dinamismo di carattere culturale e ricreativo, che poi lascia sempre un segno positivo nella collettività!
Tra i principali filodrammatici atessani di quel tempo, meritano di essere ricordati
innanzi tutto Luigi Rancitelli, quindi Antonietta Di Iorio, Renato Cicchitti, Mario
De Francesco, Giuseppe e Antonietta Vaselli, Settimia e Palmira Cinalli, Giuseppina
Iacobucci, Teresa Minardi, Wanda Zaccaglia, Maria Rossi, Delia Mastrocecco,
Camillo e Antonino Di Diego. Il difficile compito del suggeritore era svolto da
Domenico Sabatino.
Per quanto concerne le opere rappresentate, pur mancando al riguardo notizie
precise, è certo che furono allestiti i seguenti spettacoli: Luce che torna di Riccardo
Melani, La cena delle beffe di Sem Benelli, Un signore senza pace di Enrico Serretta,
La nemica di Dario Niccodemi e L’ombra dello stesso autore.
Alla conclusione dei lavori programmati venivano spesso rappresentati gli “atti
unici” di Luigi Rancitelli (La lutterije di Tripule, Lu nigozie di Utèrje, Lu futtibballe)
o di Giuseppe Antonio Di Nenno (La marrucchella rosce, La chiave di lu pajare, Lu
prugresse di lu Pajese mè).
A volte integravano gli spettacoli in cartellone canzonette, macchiette o monologhi dialettali, presentati da Antonietta Di Iorio e anche dalla giovanissima Pasquina,
che erano rispettivamente nipote e figlia del maestro Di Iorio. Di solito le musiche
erano del loro grande congiunto.
L’informatore frentano, marzo 1987.
108
La Filodrammatica Atessana dei primi anni ’30 del Novecento.
Le locandine di alcuni lavori teatrali messi in scena dalla Filodrammatica
Atessana.
109
110
I complimenti dei giornali del tempo agli attori della Filodrammatica
Atessana.
Da Il Giornale d’Italia del 23 aprile 1932:
... “Luce che torna” ha suscitato la più viva ammirazione del pubblico, accorso
numerosissimo allo spettacolo. L’interpretazione del lavoro è stata davvero perfetta.
Il rag. Giuseppe Vaselli ha vissuto tutta la passione del giovane Piero. La parte di Silvia è stata sostenuta dalla prof.ssa Antonietta Vaselli. La figura di Tristano è stata
personificata dal dott. Luigi Rancitelli. Il geom. Renato Cicchitti è stato indubbiamente felicissimo poi nella figura veneranda di Achille, nonno di Piero; ottimamente si è disimpegnata la signorina Settimia Cinalli nella parte di Irene; benissimo la
signorina Wanda Zaccaglia in Viviana, vezzosa ed ilare, nonché i signori Antonino e
Camillo Di Diego in Leo, giovane fidanzato, e Andrea...
Da Il Giornale d’Italia del 29 aprile 1932:
Un’altra magnifica serata di beneficenza al nostro Teatro Comunale abbiamo avuto il
24 aprile. La Filodrammatica del Dopolavoro ha dato per la seconda volta “Luce che
torna”, dramma in tre atti di Riccardo Melani, e “La marrucchella rosce”, commedia
brillante in un atto del nostro concittadino prof. Giuseppe Di Nenno. Il pubblico ha
molto applaudito. La nostra Filodrammatica darà alcune recite in diverse cittadine
della nostra Provincia.
Da Il Giornale d’Italia del 2 febbraio 1933, in merito alla rappresentazione de “La
cena delle beffe”:
... Il pubblico ha prodigato agli artisti volenterosi e intelligenti continue ovazioni e
del successo va data lode al direttore artistico, dott. Luigi Rancitelli, che ha saputo
fondere tutti gli elementi con maestria nella brillante e fedele interpretazione dello
squisito lavoro drammatico...
Da Il Popolo di Roma del 1º marzo 1934:
...È stato rappresentato il bellissimo lavoro di Serretta: “Un signore senza pace”,
commedia in tre atti... Interprete del lavoro è stato il dott. Luigi Rancitelli, che ha
confermato le sue doti di vero attore sagace e completo. Con una verve inarrivabile,
con una padronanza di scena addirittura sorprendente, ha reso la figura di Andrea
alla perfezione...
Da Il Messaggero del 12 maggio 1934:
...La nuova Filodrammatica diretta dal dottore Rancitelli, che ha una vera passione
pel teatro, ha dato davanti ad un numerosissimo pubblico il difficoltoso lavoro del
Niccodemi: “La nemica”. L’interpretazione è stata perfetta in ogni sua parte...
111
Attori della Filodrammatica Atessana.
A destra, Luigi Rancitelli, l’animatore del
gruppo teatrale e suo direttore artistico.
Manifestino del 1937 con l’elenco dei film in programma al Cinema
Impero.
112
Il tributo di sangue nella guerra
1915-1918
135 i Caduti, di cui tre decorati di medaglia d’argento e tre
di medaglia di bronzo . A tessa ne onorò la memoria col
monumento in Piazza Centrale, inaugurato nel 1923 e realizzato anche grazie al sostegno finanziario dei concittadini residenti nelle Americhe.
Militari deceduti e dispersi.
1) Alberico Vincenzo
2) Balboni Michele
3) Berardi Francesco
4) Berardi Teodoro
5) Camiscia Angelo
6) Carunchio Mario
7) Carunchio Pompeo
8) Castellini Vincenzo
9) Cellucci Nicola
10) Ciancaglini Cassiodoro
11) Ciccarelli Carlo
12) Cicolini Anselmo
13) Cinalli Antonio
14) Cinalli Donato Giuseppe
15) Cinalli Giuseppe
16) Cinalli Marco Filippo
17) Cinalli Nicola di Camillo
18) Cinalli Nicola di Gregorio
19) Cipulli Giacomo
20) Codagnone Giuseppe
21) Colonna Luzio
22) Colonna Nicola
23) D’Alò Luigi
24) De Francesco Carmine
25) Del Negro Domenicantonio
26) De Luca Casimiro
27) De Marco Alfonso
28) De Marco Carmine
29) De Marco Giovanni
30) Di Deo Giovanni
31) Di Deo Vincenzo
32) Di Giacomo Giuseppe
33) Di Pretoro Nicola
34) Faienza Nicola
35) Falcucci Pasquale
36) Fantasia Angelo
37) Fantasia Giovanni
38) Fantini Sebastiano
39) Farina Domenico
40) Fiadone Michele
41) Fidelibus Angelantonio
42) Fidelibus Vincenzo
43) Fioriti Emilio
44) Flocco Angelo
45) Flocco Francesco
46) Flocco Ignazio
47) Flocco Nicola
48) Gallucci Giuseppe
49) Giangiordano Giuseppe
50) Giannico Antonio
51) Giannico Luzio
52) Giarrocco Giulio
53) Giuliani Domenico
54) Giuliani Nicola di Luigi
55) Giuliani Nicola di Pasquale
56) Giusti Donatangelo
57) Grappasonno Ignazio
58) Iacobitti Giuseppe
59) Ianni Filippo
60) Iannucci Nicola
61) Intilangelo Angelo
62) Intilangelo Antonio
63) Intilangelo Domenico
64) Intilangelo Luigi
65) Intilangelo Pietro
66) Iovacchini Angelo
67) Iovacchini Pietro
68) Lazzaro Vincenzo
69) Manzini Giuseppe
70) Marcone Antonio
71) Marcucci Ambrogio
72) Marcucci Michele
73) Martelli Luigi
74) Massa Gaetano
75) Menna Alfredo
76) Menna Camillo di Antonio
113
77) Menna Camillo di Sebastiano
78) Menna Carmine
79) Menna Emanuele
80) Menna Francesco
81) Menna Gennaro Michele
82) Menna Giovanni
83) Menna Michele
84) Menna Nicola
85) Menna Raffaele
86) Menna Sebastiano
87) Menna Vincenzo
88) Milanese Filippo
89) Monaco Vito
90) Montechiaro Pantaleone
91) Natale Carmine
92) Natale Giacomo
93) Natale Giuseppe
94) Palena Matteo
95) Pascucci Nicola di Luzio
96) Pellegrini Giuseppe
97) Piccirilli Nicola
98) Pomilio Domenico
99) Primiani Filippo
100)Romagnoli Pietro
101)Rosati Rocco
102)Rossi Michele
103)Rossi Vincenzo
104)Rotolo Camillo
105)Rucci Giuseppe
106)Rucci Luzio di Filippo
107)Rucci Luzio di Pasquale
108)Rucci Nicola di Vincenzo
109)Rucci Nicola di Vincenzo
110)Scalella Giuseppe
111)Scalella Pasquale
112)Staniscia Angelo
113)Suriani Luzio
114)Tano Francesco
115)Tano Giulio di Giuseppe
116)Tano Giulio di Nicolantonio
117)Tano Nicola di Domenico
118)Tano Nicola di Pasquale
119)Taraborrelli Francesco
120)Tartaglia Ambrogio
121)Tiberio Vincenzo
122)Tinaro Nicola
123)Tucci Filippo
124)Tucci Nicola di Amadio
125)Tucci Nicola fu Donato
126)Tumini Luigi
127)Ventoso Zaccaria
128)Villafelice Nazario
129)Vitelli Nicola
Registro “Morti in Guerra” conservato nell’Ufficio Anagrafe del Comune.
Caduti decorati di medaglia al valor militare, loro grado e arma di appartenenza.
Soldato CINALLI LUIGI di Antonio - 13. Regg. Fanteria
Decorato di Medaglia d’Argento
Sottotenente DE FRANCESCO MENOTTI di Vincenzo - 7. Regg. Fanteria
Decorato di Medaglia d’Argento
Caporale DI FERMO GIOVANNI di Ireneo - 7. Regg. Alpini
Decorato di Medaglia di Bronzo
Sergente DI TONDO GIACINTO di Giuseppe - 7. Regg. Alpini
Decorato di Medaglia d’Argento
Soldato PASCUCCI NICOLA di Filippo - 123. Regg. Fanteria
Decorato di Medaglia di Bronzo
Sergente TINARO DOMENICO di Giuseppe - 34. Regg. Artiglieria da campagna
Decorato di Medaglia di Bronzo
Federazione Provinciale Combattenti Chieti, Albo d’Oro dei Caduti per la Provincia di Chieti Guerra Italo-austriaca 1915-1918, Tipografia Ubaldi, Chieti 1931, p.I.
114
Documento attestante l’avvenuto conferimento della medaglia d’argento
al valor militare al Sottotenente Menotti De Francesco, morto in combattimento nel 1916.
115
Cerimonia commemorativa e celebrativa, a guerra finita.
Per il monumento ai Caduti: concorso finanziario del Comune, del Fondo
per il Culto e degli Atessani residenti in America (Delibera Consiglio
Comunale 15 settembre 1923).
Presenti il sindaco cav. uff. Luigi Iovacchini e i consiglieri Carlucci Giuseppenicola, De Francesco
Giuseppe, De Marco Umberto, D’Onofrio Alberto, Giannico Giuseppe, Marcone cav. Camillo,
Marcone Giulio, Marcucci Pasquale, Menna Vincenzo, Orfeo cav. avv. Nicola, Rucci Silvino, Sorge
Pasquale, Staniscia Ferdinando, Tano Giuseppe.
116
Proposta del Sindaco Luigi Iovacchini
Il Sindaco riferisce che, con voto 27 maggio 1922, vistato con provvedimento
sottoprefettizio 20 giugno successivo, N. 1681, questo Consiglio ha deliberato
la erogazione della somma di L. 1.640, quale concorso del Comune nella spesa
occorrente per onorare la memoria dei prodi atessani che hanno sublimata la
loro vita nel sacrificio per la grandezza della Patria.
Per unanime consenso, è stata prescelta la facciata laterale della Chiesa Parrocchiale di S. Giovanni Battista, prospiciente la Piazza Centrale, l’unico sito adatto
pel collocamento del Ricordo. Ma perché detta facciata possa ricevere degnamente
il segno tangibile del culto profondo e della riconoscenza della cittadinanza verso i
valorosi Caduti, è necessario che venga convenientemente sistemata.
Il Ricordo marmoreo, opera pregevole dello scultore Gildo Ricci di Ortona a
Mare, a seguito di nuove determinazioni da parte del Comitato, verrà completato con trofeo in bronzo ed arricchito con angeli ed ornati allegorici e con altre
decorazioni della facciata in marmo colorato.
La spesa, di conseguenza, è aumentata considerevolmente, per modo che,
tenendo conto delle offerte pervenute dai concittadini residenti nelle Americhe
e del sussidio concesso dall’Amministrazione del Fondo per il Culto, il concorso
del Comune, in aggiunta a quello deliberato in precedenza, può determinarsi
nella cifra di L. 15.000.
Il Comitato si prenderà cura di portare conoscenza ai cittadini emigrati che il
ritado verificatosi nel rendere omaggio agli eroici morti in combattimento trova la
sua ragione nel vivo desiderio espresso dalla cittadinanza di apportare sostanziali e
importanti modifiche ed innovazioni al primitivo progetto, per meglio adempiere
al più sacro dovere verso coloro che si sono offerti in olocausto per la Patria.
Se, come non v’ha dubbio, i cittadini emigrati sapranno apprezzare il nobile
intento cui si è ispirato il Comitato, essi che hanno sempre dato pruova di acceso fervore di amor patrio non mancheranno di raccogliere altre offerte, il cui
importo andrà in diminuzione del contributo del Comune.
Il Consiglio
• Facendo eco e plauso a quanto è stato esposto dal Sindaco;
• Ritenuto che, dopo compiuto il fato storico per il quale la Patria ha riconquistati i suoi giusti confini, è alto dovere onorare la memoria di coloro che,
nell’immane tragedia, hanno sacrificato la vita;
delibera
Il contributo del Comune pel Ricordo in marmo e bronzo in onore dei gloriosi Atessani caduti nella grande guerra resta determinato in L. 15.000, salvo
minore liquidazione in seguito al risultato delle sottoscrizioni private.
117
La sezione di Atessa dell’Associazione Nazionale Combattenti della guerra
1915-1918.
118
119
120
Gli Atessani e la musica:
una passione di vecchia data
La
banda
“Città
di
Atessa”
e
Antonio Di Jorio
gli artefici
principali della diffusione della cultura musicale.
Storia di una prestigiosa istituzione musicale: la banda “Città di Atessa”.
Per mancanza di fonti documentarie
non è possibile precisare l’anno di nascita della banda musicale di Atessa. Sappiamo con certezza, sulla base di una
testimonianza del Bartoletti, che già
prima del 1832 esisteva nella nostra città
una “compagnia di bandisti” e che di
essa era direttore e istruttore un giovane
e promettente musicista atessano, Giuseppe Grumelli, apprezzato autore di
“composizioni di canti e di suoni”, destinato purtroppo a morte prematura.
La banda di Atessa, come le tante
altre che dalla fine del Settecento si stavano costituendo in tutta la regione,
era formata in prevalenza da artigiani
che, stimolati dalla speranza di incrementare i loro magri guadagni e ancor
più dalla passione per la musica, alternavano la pratica bandistica all’esercizio
dei loro mestieri.
Col passar del tempo essa andò
potenziando l’organico, qualificando il
repertorio e affinando le capacità artistiche a tal punto che intorno al 1865,
sotto la direzione di Costantino Montanari, era ormai in grado di reggere il
confronto con le più agguerrite e titolate consorelle d’Abruzzo.
La defininva consacrazione a complesso di prim’ordine arrivò per la
nostra banda nel 1876, quando essa,
chiamata con altre formazioni del mezzogiorno d’Italia negli Stati Uniti
d’America in occasione dell’esposizione
mondiale di Filadelfia, vi tenne con successo un lungo giro di esecuzioni, meritando tra l’altro il primo premio in un
concorso indetto a New York da un circolo culturale italo-americano. La guidava dal 1870 il concittadino Giuseppe
D’Amelio, un maestro dalle spiccate
capacità professionali, che si rese benemerito in Atessa per l’impulso dato allo
sviluppo della cultura musicale.
Morto improvvisamente il D’Amelio
nel 1884, il compito di dirigere il complesso bandistico della nostra città fu
per sette anni (1888-1895) assegnato a
Lelio De Francesco, campano di origine ma atessano di adozione, un giovane
dai molteplici interessi culturali a cui il
destino aveva riservato il privilegio di
diventare in epoca successiva un fotografo di notorietà internazionale.
Dal 1895 al 1898, come suole ancor
oggi accadere nelle città pugliesi, litigi
tra fazioni rivali fecero sorgere in Atessa
una seconda banda, che si caratterizzò
per l’ostinata e rabbiosa avversione con
cui si contrappose a quella preesistente.
Nel 1899, cessate le ostilità, i due
complessi si fusero e la nuova formazione, diretta dal maestro Vincenzo
121
Finoli, solennizzò la ritrovata concordia
con una fortunata tournée a Fiume e a
Vienna.
Nei primi anni del Novecento la
nostra banda, con i maestri Stella e
Tosé, vide crescere ulteriormente il suo
prestigio in seguito a tre memorabili
tournées: la prima in Ungheria, Russia
e Turchia; la seconda in Austria, Serbia
e Bulgaria; la terza in Spagna. In giro
per il mondo andava allora con gli altri
bandisti atessani un ragazzino che suonava il corno e aveva la musica nel sangue: Antonio Di Jorio, il futuro insigne
compositore.
Seguirono anni di decadenza, nel
corso dei quali a stento il maestro
Nicola Cinalli, sempre assillato da
ristrettezze economiche, riuscì a conservare in vita il complesso affidato alle
sue cure.
Nel 1914 e, dopo la parentesi bellica, negli anni 1919/20/21 fu Antonio
Di Jorio ad assumerne la direzione,
senza che riuscisse però, a causa delle
Mº Liberato Vagnozzi
122
solite insormontabili difficoltà di carattere finanziario, ad allestire un organico
capace di rinnovare i fasti del passato.
Né ebbero miglior fortuna il nipote
Luzio Di Jorio e Carlo Titta, che guidarono il complesso atessano rispettivamente nel 1932 e nel 1936 dopo un
lungo periodo di inattività.
Atessa ritrovò finalmente la sua grande banda nel 1937 con il maestro
Angelo Basilico D’Annunzio della vicina Casalanguida e soprattutto nel
1938,1939 e 1946 con il maestro Nicola Centofanti, allora agli inizi della sua
prestigiosa carriera direttoriale.
Dal 1948 al 1951 la banda di Atessa
visse uno dei periodi più esaltanti di
tutta la sua storia: composta da esecutori accuratamente scelti e provvista di
un repertorio che per varietà e ampiezza esulava dalla normalità, essa assurse
ad un livello artistico forse mai raggiunto in precedenza, affermandosi
come una delle migliori formazioni in
campo nazionale. Ne era direttore un
Mº Giuliano Giuliani
maestro di grande energia, il romano
Liberato Vagnozzi, capace di esercitare
sui singoli suonatori un forte ascendente e molto rigoroso nell’esigere da loro
le prestazioni più convincenti.
Dopo altri tre anni di attività più
che dignitosa (1952 con il maestro
Nicola Benvenuto di Lanciano, 1954 e
1955 con il maestro atessano Giuliano
Giuliani), sopravvenne irrimediabilmente la fine: gli alti costi di gestione,
unitamente al mutato gusto del pubblico sempre più orientato verso le dila-
ganti orchestrine di musica leggera, stavano ormai uccidendo tutte le bande in
Abruzzo ed anche il nostro glorioso
complesso finì col soggiacere alla comune avversa sorte.
Depositaria dei valori della nostra
tradizione musicale è oggi in Atessa
una banda amatoriale nata nel 1982
per iniziativa del maestro Antonio
Finoli e passata dal 1987 sotto la direzione del maestro Antonio Zizi.
Nicola Celiberti
Confronto, luglio 1991.
Epigrafe incisa sulla tomba del Mº Giuseppe D’Amelio, nel cimitero di
Atessa.
A
GIUSEPPE D’AMELIO
DISTINTO MAESTRO DI MUSICA
SUONATORE E CONCERTATORE
NATO IN ATESSA NEL 1836
MORTO A’ 10 AGOSTO 1884
CON ANIMO RICONOSCENTE
A LUI CHE FECE AMMIRARE
LA BANDA MUSICALE ATESSANA
ALL’ESPOSIZIONE MONDIALE DI FILADELFIA
AVVENUTA NELL’ANNO 1876
I DISCEPOLI RESIDENTI IN QUELLA CITTÀ
POSERO QUESTA LAPIDE
123
Per gentile concessione dell’ “Archivio Di Jorio” di Atri.
Foglietti volanti inneggianti alla banda musicale di Atessa, diretta dal Mº
Antonio Di Jorio, fatti stampare dai cittadini di Petritoli (Ascoli Piceno)
in occasione di due concerti che essa vi tenne il 17 e 18 settembre 1921.
124
Antonio Di Jorio, un artista sempreverde.
Tutte le opere manoscritte, i cimeli,
le lettere ed altro del Maestro Antonio
Di Iorio sono stati donati dalla figlia
Pasquina al Comune di Atri. Da qualche anno, in un salone del Teatro
Comunale, ha sede l’Archivio Di Iorio,
diretto con competenza dal Maestro
Concezio Leonzi, musicista e musicologo, direttore della Corale Antonio Di
Iorio e fondatore della Schola Cantorum
A. Pacini di Atri. Antonio Di Iorio è
ricordato ancora: «È una leggenda che
non si spegne», osserva il Maestro
Leonzi. Si continua ancora a studiare la
produzione artistica del Maestro abruzzese, anche se molti sono ancora convinti che egli sia soltanto l’autore di
stupende canzoni come Mare nostre e
Paese mè; i musicologi riscoprono le sue
operette, le sue pagine di musica sacra e
da camera e quattro opere liriche di
indubbio valore. Ora sarà il Maestro
Leonzi, con i suoi collaboratori, a lanciare l’Archivio Di Iorio in Italia e nel
mondo. È già in commercio un interessante CD che raccoglie musiche inedite
del grande Maestro abruzzese e presto
ne uscirà un altro.
Antonio Di Iorio nacque ad Atessa,
in provincia di Chieti, il 28 giugno
1890, ultimo di sette fratelli, cinque dei
quali morirono in tenera età. La musica
l’aveva nel sangue e ad 11 anni era già
“cornista” in una piccola banda di Atessa. A 12 anni fece una prima tournée
all’estero, visitando la Serbia, l’Austria,
l’Ungheria, la Bulgaria, la Turchia e la
Russia.
Dopo aver chiesto il parere ad un
altro grande abruzzese, Camillo De
Nardis, che insegnava al San Pietro a
Antonio Di Jorio
Maiella di Napoli, i genitori iscrissero il
piccolo Antonio al quel Conservatorio,
dove nel 1909 si diplomò brillantemente [...] In quegli anni napoletani Di
Iorio scrisse stupende canzoni, strinse
amicizia con autorevoli suoi colleghi e
fu compositore di operette, che anche
oggi meriterebbero di essere rappresentate [...]
Dopo la guerra mondiale e il soggiorno napoletano così ricco per la sua
creatività, Di Iorio tornò ad Atessa e il
Comune gli affidò la direzione della
banda cittadina. In questo periodo nacque la sua passione per la canzone
abruzzese e la sua collaborazione ed
amicizia con poeti e letterati come Luigi
Illuminati e Cesare De Titta. E qui
dovremmo fare un elenco molto lungo
delle sue opere: La canzone de l’amore,
Caruline, Vuccuccia d’ore, Mare nostre,
125
Paese mè, Luntane cchiù luntane, Dindò,
Teresine, e potremmo continuare.
Ad Atri il Maestro Di Iorio venne nel
1921 e vi rimase fino al 1932 per dirigere la banda cittadina e la Cappella
della Cattedrale. La parentesi atriana fu
stupenda e Di Iorio in vita ne descrisse
con amore e amicizia gli aspetti più
interessanti. Si rinsaldò, qui, la sua amicizia con un grande atriano, l’umanista
Luigi Illuminati, e, come si è detto,
nacquero canzoni molto belle.
Da Atri a Ripatransone, nelle Marche, e poi, come vincitore di concorso,
professore e preside dell’Istituto Magistrale di Forlimpopoli fino al 1960,
anno del suo collocamento a riposo. In
Romagna Di Iorio scrisse opere sinfoniche, come La prima rapsodia abruzzese
e il poema Terra d’Aligi. Nacquero
anche pezzi di musica sacra, come quattro messe in latino ad una, due, tre voci
con organo, «nelle quali - dice il Maestro Leonzi - sono particolarmente evi-
denti la maestria contrappuntistica, la
grandiosità della concezione compositiva e la ricerca di ricchezza e bellezza
canora». Non mancò nemmeno un’Ave
Maria, dolcissima. Fu anche in prima
fila, Di Iorio, nella canzone italiana ed
entusiasta fu la sua partecipazione,
come direttore d’orchestra e autore, al
Concorso Nazionale della Canzone Italiana che si tenne nel 1937 a Rimini. Il
successo fu grande. Nel 1961 Di Iorio
ebbe applausi e consensi al festival di
canzoni nuove per bambini, Lo Zecchino d’Oro. Insomma, un ingegno multiforme, un musicista vero, un artista
completo che forse in vita avrebbe
meritato di più.
Ora, intorno al suo Archivio sorgeranno diverse attività ed è da queste che
bisognerà partire affinché la poliedrica
produzione artistica di Antonio Di
Iorio sia conosciuta in tutto il mondo.
Giovanni Verna
L’ECO Abruzzo, luglio-agosto 1998.
In un discorso pronunciato ad Atessa nel 1950, il poeta napoletano Giuseppe Garofalo, legato ad Antonio Di Jorio da fraterna amicizia e suo
paroliere prediletto, rievoca il primo incontro col musicista atessano allora ventenne e l’inizio del loro stretto e fecondo rapporto di collaborazione
artistica.
A Napoli [...] nel 1910, un gruppo di giovani artisti, senza pensieri e senza quattrini, ma ricchi solo di speranze, si lanciava all’assalto di una specie di fortilizio del
tempo: la casa editrice musicale Izzo, in Piazza Dante, oggi, come tante altre, smantellata e distrutta dal mutato gusto dei tempi, ma allora raggiante della gloria dei più
fulgidi nomi della canzone napoletana [...]
Fu in uno dei due angusti bugigattoli di quel tempio della musica, ove a stento ci
ficcavamo tra gli scaffali, il pancone e il pianoforte, che conobbi Antonio Di Jorio.
Aveva vent’anni: suonava e componeva come un dio, imprecava in abruzzese perché
non riusciva ad ottenere dieci lire per una canzone, e passava le giornate intere
126
davanti alla tastiera, che tentava, carezzava, tormentava con le dita convulse per
strapparle l’eco delle note soavi che gli palpitavano in petto come ali di uccello prigioniero. Stavo a guardarlo affascinato: mi
sentivo quasi un ragazzo, davanti a quella
sua maturità e pienezza artistica. E quando da me egli volle dei versi - che furono i
primi versi presentabili che io avessi mai
scritti - sentii l’orgoglio dell’ingresso nel
mondo, provai l’emozione di un battesimo: il battesimo dell’arte [...]
Ma la sua vena melodica sgorgava invano: Don Carmine Izzo, l’editore, gli aveva
ricordato più volte che Don Ferdinando
Bideri, altro mecenate dell’epoca, aveva
pagato O sole mio con la vistosa somma di
Di Jorio, ventenne, a Napoli.
dieci lire. Che cosa obiettare? Senonché,
ecco sorgere una Casa straniera, la Poliphon, che operò un vero trust, accaparrando e stipendiando poeti e musicisti. Le
Case napoletane dovettero correre ai ripari, e Don Carmine Izzo si decise a compensi
mai visti, pur di non perdere il suo valoroso Maestro. Fu così che le prime dieci canzoni fruttarono a Totonno ben cinquecento lire! [...] E venne il giorno del primo successo. Il Politeama Giacosa, il più grande teatro di audizioni piedigrottesche, gremito
di un pubblico aristocratico ed entusiasta, ci decretò un trionfo indimenticabile.
Discorso tenuto da Giuseppe Garofalo in Atessa.
127
Frontespizio dello spartito della canzone napoletana Guardannete, composta da Di Jorio, su versi di Garofalo, per la “Piedigrotta” del 1911.
128
Frontespizio dello spartito di Giardeniello suspiruso, una canzone di Di
Jorio del 1920 appartenente al repertorio di Peppino Villani, celebre cantante macchiettista napoletano dell’epoca.
L’incontro del Maestro con Cesare De Titta e la nascita della canzone dialettale abruzzese.
Era il 1919: 1’epoca della signora di
trent’anni fa vestita di voile e di chiffon. Una nobile famiglia atessana, la De
Marco, risiedeva a Lanciano ed era legata da viva amicizia a quella di Filippo
Di Toro, di S. Eusanio, intimo del De
Titta. Ci si ritrovava spesso in casa Di
Toro e Don Cesare accondiscendeva a
far sentire qualche sua primizia poetica.
In un pomeriggio primaverile, dopo
aver declamato alcune “cosucce” - come
lui diceva - dialettali, espresse il desiderio di farle musicare. «C’è Totò», suggerì subito Donna Amelia De Marco.
Totò era Antonio Di Jorio, un bel
giovane romantico e scanzonato che
aveva già un “passato” pur essendo il
suo nome in Abruzzo ancora poco noto.
A dodici anni aveva lasciato Atessa per
percorrere, quale suonatore di corno
(ma era padrone di vari altri strumenti),
mezza Europa: Austria, Serbia, Bulgaria,
Turchia, Russia. A diciannove, allievo di
Camillo De Nardis, si era diplomato
nel Conservatorio di Napoli ed aveva
fatto presto ad imporsi sul mercato della
canzone napoletana con “Primm’ammore”, “Nun te vojo”, “Nun tiene core”
129
e tanti altri motivi lanciati dalla Casa
Musicale Izzo («Il genere partenopeo ha
ritrovato - scrisse un giornalista del
tempo - un interprete abruzzese geniale
come Tosti»). Poi il servizio militare, sei
lavori teatrali, la guerra, il ritorno in
Atessa per una boccata di ossigeno natio
prima di riprendere il cammino.
Le signore e le ragazze ne dicevano
un gran bene; i mariti e i fidanzati
meno. Tutti gli riconoscevano un talento non comune, e al teatro o nei salotti
privati, quando al piano c’era lui, rapimento generale.
Fu, naturalmente, la signora De
Marco a presentare Di Jorio a De Titta:
«Lì per lì la tonaca e la dottrina mi
misero in uno strano impaccio», racconterà più tardi lo scapigliato compositore; «Capii subito che c’era tanta
stoffa», dirà il già conosciutissimo latinista. Divennero presto fraterni amici.
“Caruline” fu fresca e spigliata primogenita di un felice connubio. L’esecuzione della canzone venne affidata
alla Banda di Atessa, la prima ricostituita in Abruzzo, ad opera del Di Jorio,
dopo la lunga parentesi bellica. Per l’occasione il Maestro cedeva la bacchetta a
Pel­lecchia, l’insostituibile capobanda
che si diceva non conoscesse una sola
nota musicale e preferisse decisa­mente
Bacco a Verdi. Mali­gnità. I “signori”
non af­fermavano pure che quella era
una “ciabotta”, non una banda? Il fedele Pellecchia comunque, che era
deposita­rio di tutti i “segreti” del Maestro, a dispetto delle chiacchiere saliva
sul podio col sussiego di un autentico
direttore d’orchestra, si ar­ricciava i lunghi mostacci e dava il via al “numero”
cantando a voce spiegata. E guai se al
ritornello (“Caruline, une cchiù bbelle
nen si trov’a ’stu quartiere...”) il pubbli130
co non faceva coro!
Era la nascita effettiva, anche se non
ufficiale, della canzone abruzzese, che
con “Caruline” spiccava il volo verso
l’affermazione e la popolarità. Sempre
di De Titta e Di Jorio seguiranno “Vuccuccia d’ore”, “La canzone de l’amore”,
“La ciardiniera”, “Ere ’na vote”, “Nen ci
abbadà”, “Dindò”, “Marattè”, “Amore
mè”, “Sioscia mè”, “Famme murì”,
“Caterine”.
Nel 1922, a Lanciano, rassegna della
canzone dialettale: «C’è stato un solo
trionfatore - scriveva all’indomani Zopito Valentini - in questa festa, un solo
affascinatore in questo torneo di canzoni: Antonio Di Jorio». Ed aggiungeva col
tono un po’ enfatico allora in uso: «La
voce limpida, chiara, piena di scintillii,
bianca di purezza di Antonio Di Jorio
non poteva che essere sola, tanto alta era
l’ispirazione, tanto era il gaudio che ha
saputo raggiare». Più tardi Maurizio De
Juliis definirà Di Jorio “il padre della
canzone abruzzese”. Ed a ragione: non
tanto per primogenitura cronologica
quanto per tecnica musicale.
Comprendiamo perfettamente come
certi testi oggi possano non sempre trovare rispondenza nel gusto e nella realtà.
Ma ci sono “vecchie” e nuove cose di Di
Jorio (musica e versi) che vorremmo
invitare i dissacratori a sentire. Forse
capirebbero perché Antonio Di Jorio
piace anche a tanti giovani d’oggi; e perché anche quando avrà cent’anni, anche
dopo, sarà sempre attuale.
Giuseppe Falcucci
Il Tempo, 28 settembre 1980.
Frontespizio dello spartito per piano e voci di Inno ad Atessa, composto
nel 1935 da Di Jorio su testo di Giuseppe Antonio Di Nenno e dedicato
dal Comitato delle feste di S. Rocco ai concittadini di Filadelfia.
131
I miei appuntamenti con Pescara: un articolo scritto dal Maestro in occasione dei festeggiamenti tributatigli da quella città per il suo novantesimo
compleanno.
La prima volta che vidi Pescara, avevo 27 anni. Attraversai la città, anzi
le due cittadine contigue, in treno, quando fui richiamato per la Grande
Guerra e andavo a Siena dov’ero stato destinato dal Distretto di Chieti.
Guardai distrattamente le case che sfilavano davanti al convoglio; seguii per
qualche istante il lento fluire del fiume; ma osservai tutto molto superficialmente, perché pensavo alla guerra, al fronte che mi aspettava e alle persone
care che avevo lasciato a casa e che non sapevo se avrei più rivisto.
Ci fu poi qualche fuggevole occasione di incontro con questa città, dove nel
‘22 però ritornai in una circostanza non casuale, ma anzi piuttosto importante per la storia del nostro folklore. In quell’anno, l’avvocato D’Ovidio, che
era stato mio compagno di scapigliatura a Napoli (ora vive a Roma), aveva
organizzato a Lanciano una manifestazione folk, diretta da me; fu la seconda del genere in Abruzzo, dopo quella di Ortona del ‘20. Essa ebbe un tale
successo che Zopito Valentini, di Loreto Aprutino, nello stesso anno, mi sembra ad agosto, volle organizzare qualcosa di simile, a quanto mi risulta
rimettendoci di tasca propria, nella parte di Pescara allora chiamata Castellammare, in occasione della famosa Settimana Abruzzese alla quale fu presente Mussolini­. Alla manifestazione, allestita per mettere in luce i valori
della tradizione popolare abruzzese, furono invitati i cori di Atessa e di
Ortona, diretti rispettivamente da me e da Guido Albanese. Ci fu prima una
sfilata di carri agricoli festosamente addobbati, con gruppi di giovani canterini in costume. A sera, poi, al Teatro Pomponi, si tenne il vero e proprio
spettacolo canoro che, anche per un certo suo sapore di novità, riscosse un successo indimenticabile.
Ma fu nel 1928 che ebbi l’incontro in un certo senso più popolare con
questa bella città adriatica. A propiziarlo fu una canzoncina pubblicitaria,
che poi si fece tanta strada da diventare quasi l’inno... ufficiale di Pescara. È
una marcetta che da allora è stata suonata e risuonata da tutte le bande, è
stata parodiata in cento modi diversi, e forse è nota a tutti i pescaresi, che
magari tante volte l’hanno canticchiata o fischiettata senza ricordare, o sapere, chi ne ha scritto le parole e la musica: mi riferisco a “Lu Parrozze”. Luigi
D’Amico, il produttore del noto dolce, pensò di reclamizzarlo con una canzone, della quale pregò di comporre i versi Cesare De Titta, il maggior poeta
dialettale abruzzese del momento; e chiamò me, che allora risiedevo nelle
Marche, per musicarla. Accettai subito di collaborare con don Cesare, che tra
l’altro era anche mio compare, avendo tenuto a battesimo mia figlia. In tre
giorni, la canzone era bell’e pronta e la feci sentire a don Luigi suonandola al
pianoforte di casa sua. A lui piacque molto; assai meno entusiasta ne fu sua
132
moglie, che dubitava delle possibilità, del pezzo, di diventare facilmente
popolare. Sta di fatto che, pronto il pezzo, fu organizzata a Pescara una serata musicale nella piazza antistante il locale di D’Amico. Un coretto di Chieti
(allora i complessi corali non erano numerosi e consistenti come oggi) si esibì
davanti ad una folla di varia composizione: pubblico elegante ai tavoli e,
intorno, in piedi, tanti altri spettatori. Fu così che prese il volo “Lu Parrozze”, la canzone che esalta i “tesori” di Pescara. Per questo lavoro, come mia
abitudine, non volli alcun compenso; mia figlia, però, allora settenne, ebbe
piena facoltà di mangiare parrozzetti ad libitum, quanti ne desiderasse.
A proposito di questo incontro con D’Amico, voglio ricordare un episodio:
don Luigi, che era in grande dimestichezza, come è noto, con Gabriele D’Annunzio, mi disse in quell’occasione che il poeta, al quale le mie musiche erano
molto piaciute, voleva assolutamente conoscermi. Beh, un po’ perché ero assai
occupato, un po’ perché sono schivo di natura, ed un po’, infine, perché due
miei cari amici atriani, il poeta ed umanista Luigi Illuminati ed il pittore
Verdecchia, mi... scoraggiarono descrivendomi D’Annunzio come “un uomo
molto strano”, declinai l’invito a quell’incontro che invece avrebbe potuto
rappresentare una svolta decisiva per la mia vita.
Tornando in argomento, devo subito annotare che col mio trasferimento in
Romagna, nel lontano 1935, ebbe inizio un lungo periodo di interruzione
dei miei contatti con l’Abruzzo e, ovviamente, anche con Pescara. Vi tornai
nel 1960, per battezzarvi la mia opera lirica “La Magalda”. Pescara non era
più quella del ‘17, e neanche l’elegante, provinciale e salottiera cittadina del
‘28: era già quel grande ed importante centro della vita abruzzese che tutti
conoscono, e per questo desiderai tenervi a battesimo il mio lavoro più impegnativo; cosa che realizzai con l’aiuto di molti amici. Così, al Teatro Massimo,
ebbi un buon successo di critica ed anche di pubblico, a dispetto della pioggia
torrenziale, un vero diluvio, che imperversò in quella serata impedendo l’affluenza di tanti altri da ogni parte d’Abruzzo, che si erano ripromessi di assistere all’avvenimento.
Comunque, da allora i miei contatti con Pescara e con i numerosi amici
che in essa conto sono diventati sempre più assidui ed intensi, tanto che posso
dire, in tutta sincerità, di sentirmi, in questa bella simpatica città, come a
casa mia.
Antonio Di Iorio
Il Tempo, 28 settembre 1980.
133
15 agosto 1972 – Il Mº Di Jorio, mentre dirige in Piazza Garibaldi la rappresentazione dell’opera lirica
“La Magalda”.
La morte del Mº Di Jorio (1981) e la traslazione delle spoglie da Rimini
ad Atessa (1982).
È morto Antonio Di Iorio, il musicista dell’Abruzzo
Il grande Maestro si è spento a Rimini all’età di 91 anni – I funerali si svolgeranno domani nella città romagnola; ma la salma, per volontà dell’estinto, tornerà ad Atessa.
Alle 7,30 di questa mattina ha cessato
di vivere a Rimini Antonio Di Jorio, il
più grande musicista abruzzese degli
ultimi decenni, che godeva nella regione
e fuori di essa di larghissima popolarità.
I funerali si svolgeranno a Rimini, nel
Santuario di S. Antonio dei Padri Paolotti, lunedì 14, alle ore 15. La salma
sarà provvisoriamente collocata nel cam134
posanto di quella città, per tornare nei
prossimi giorni in Abruzzo ed essere
definitivamente tumulata, per volontà
dell’estinto, nel cimitero di Atessa, dove
Antonio Di Jorio nacque nel 1890.
Alla figlia Pasquina ed ai congiunti
tutti dello scomparso le più sentite condoglianze de Il Tempo.
Il Tempo, 13 dicembre 1981.
Torna la salma del “cantore d’Abruzzo”
Antonio Di Jorio riposerà in pace nella sua Atessa
La salma del maestro Antonio Di
Jorio, musicista e cantore d’Abruzzo,
tornerà in Atessa per essere tumulata
nel locale cimitero, accanto alla consorte Caterina. L’arrivo è previsto per le
ore 16 di sabato 24 aprile nella Cattedrale di S. Leucio e, dopo la messa concelebrata, i gruppi folkloristici d’Abruzzo renderanno il loro omaggio corale al
padre della canzone abruzzese recentemente scomparso. In Piazza Oberdan il
sindaco prof. Angelo Staniscia, anche a
nome della cittadinanza, renderà l’estremo saluto al Maestro, la cui salma sarà
accompagnata in corteo, seguito dal
concerto musicale di Ripatransone, al
cimitero.
Il Tempo, 24 aprile 1982.
Per sempre Antonio Di Jorio è tornato nel suo Abruzzo
La salma del grande compositore traslata da Rimini al cimitero di Atessa
Atessa, un lontanissimo Ferragosto:
in piazza Garibaldi c’è una marea di
folla, giunta anche da tanti altri centri
della regione. Sul palco eretto nel
fondo, un coro in costumi tradizionali;
sul podio, a dirigere le sue canzoni,
Antonio Di Jorio; giù, a qualche passo,
la moglie Caterina. È la prima festa
canora che si torna ad organizzare in
Abruzzo dopo la tremenda bufera della
guerra; quasi un atto di fede nella ricostruzione e nella rinascita: d’intorno si
ammucchiano ancora le rovine della
battaglia del Sangro.
Atessa, aprile 1982: la stessa vasta
piazza è gremita come sette lustri or
sono. Sono le 16,30: i lenti rintocchi
della campana di S. Rocco annunciano
che “lu mastre” sta arrivando; e con lui,
come allora, l’inseparabile signora Caterina. Alcuni robusti ragazzi delle “Voci
dijoriane” prendono a spalla le due
bare: il corteo si muove tra le note
struggenti ed insieme rasserenatrici
della marcia funebre di Chopin; il
lungo corso Vittorio Emanuele diventa
troppo corto e ancora più stretto.
Una sosta: Antonio Di Jorio nacque
giù in quel vicolo a sinistra “nghi cinche, si’ scalelle”, nella “casarelle puverelle” che avrebbe ricercato tanti anni
dopo, inutilmente, perché “tutt’è scumparite / lu tempe l’ha finite / ddù prete
accatastate / ’na porta sgangarate”. Ora
è il coro di Don Lino a nascondersi
nella “ruella” e a diffondere da lì il bellissimo canto che fu uno degli ultimi
del poeta e compositore.
Si prosegue fino alla Cattedrale di S.
Leucio: le cinque navate sfavillano di
luci e di ori temperati dalla mestizia.
Dietro l’altare maggiore s’intravede
Ottavio Cinalli, avviato verso la novantina ma ancora in gamba: fu interprete
bravissimo di “Gioventù, gioventù”,
una romanza del Maestro che fin dal
primo lancio, a Napoli, fece furore.
Quello è l’organo cui durante i suoi
soggiorni atessani Di Jorio si accostava
«con discrezione e devozione», come ha
135
ricordato mons. Giovanni Sorge, «per
suonare quel che l’estro gli suggeriva».
Al centro, attorno alla bara, con altri, il
gonfalone municipale di Rimini dove il
grande musicista, a novantadue anni, si
è spento nello scorso dicembre e dal cui
cimitero la salma è stata traslata; più in
là i familiari, i sindaci e i rappresentanti
dei vari Comuni, autorità e personalità
provinciali e regionali. Nelle navate
laterali i cori abruzzesi, gli amici, gli
estimatori, i cultori dell’arte giunti da
ogni dove, e tanti, tantissimi giovani a
conferma del loro interesse per la riscoperta di valori fondamentali. La magistrale esecuzione di una stupenda pagina della “Magalda”, la più meritatamente conosciuta delle opere liriche
dell’estinto, conclude il sacro rito.
Si ricompone il corteo per raggiungere piazza Oberdan, dove è in attesa
altra gente che non ha trovato posto in
chiesa. Il sindaco Angelo Staniscia, nel
dare l’estremo saluto del paese natio,
rievoca le principali tappe, ben note ai
nostri lettori, della vita e dell’attività
artistica del Di Jorio, sottolineando il
“respiro universale” delle sue melodie
ed impegnando l’amministrazione civica a salvaguardare con adeguate iniziative il prezioso patrimonio culturale da
lui lasciato. Toccante il messaggio agli
atessani della figlia Pasquina, che non
ha avuto la forza di intervenire alla cerimonia: «Esaudendo il suo desiderio, vi
affido ciò che ho di più caro al mondo:
amatelo sempre come lui vi ha amati e
come io l’ho amato e lo amo». Significative, per capire la spiritualità del Maestro, le testimonianze dei rappresentanti
di Rimini, di Forlimpopoli, di Ortona,
di Atri, di Ripatransone, di tutte le città
in cui Di Jorio è passato lasciando il
136
segno di un vigoroso fervore intellettuale e di una straordinaria ricchezza
umana.
Il sole si è già nascosto dietro la
Maiella quando la duplice fila verde e
silente dei cipressi accoglie le salme. Si
va fin su, in uno spiazzo delimitato da
alcune cappelle. L’ultima benedizione;
poi i cori intonano “Paese mè”.
“Quanda sente tristezz’e ddulore / o
’na pene fa piagne ’stu core / baste sole
che pens’a ’su colle / ca le forze d’incante m’arvè!”.
Ora ci sei sul colle. Vedi? In alto, a
sinistra, ancora intatto il Monte Pallano
che tante cose sapeva dirti; in basso, a
destra, la pianura di Piazzano animata
(o deturpata?) dalle industrie; più oltre
il mare, che è sempre mare, anche se
forse non più “de latte e d’argente”
come quello tuo e di Illuminati.
“Paese mè / ’n te pozze ma’ scurdà...
/ Vulesse mò venì vicin’a tte / pe’ ddirte
amore mè / ’n ti lasse cchiù”.
Contento? Non lo lasci più davvero:
il tuo lunghissimo viaggio è finito; non
c’è più “picundrije” ora: stai qui a casa
tua, come avevi sempre desiderato.
Scendono le ombre della sera.
“Quanda sente ssunà ’Vemmarije...”:
ma che succede! Non sono più soltanto
i ragazzi in costume a cantare: la gente
si unisce ai cori prima timidamente, poi
a voce spiegata. Cantano tutti: anche
quelli che sono rimasti indietro o si
sono sparpagliati tra i viali.
Da canzone abruzzese, “Paese mè”
diventa preghiera abruzzese. Per i morti
e per i vivi.
Giuseppe Falcucci
Il Tempo, 27 aprile 1982.
Il coro folcloristico atessano, da sempre legato alla figura e all’opera del
Mº Di Jorio.
Il coro di Atessa è legato alla figura e all’opera del maestro Antonio Di Jorio, che
ha sempre cercato di promuovere, anche attraverso l’indispensabile e valido contributo del non mai tanto compianto suo nipote Luzio Di Jorio, la formazione di una
corale atessana.
Nel 1949 fu riorganizzato un gruppo corale di circa cento elementi; a prepararlo e
a dirigerlo fu chiamato lo stesso Maestro, che compose per quella circostanza “Paese
mè”. Il coro debuttò in Atessa, a conclusione delle feste patronali di mezz’agosto, di
fronte ad una folla numerosa ed entusiasta. Tornarono allora a riecheggiare i motivi
di “Mamma”, “La bbanda di zi’ Nicò”, “Ahh! Ciccì” ed altri, che ebbero larga diffusione tra le nuove generazioni.
L’anno successivo lo stesso coro, arricchito nell’organico e nel repertorio, oltre che
in Atessa si esibì a Pescara in occasione della festa di S. Cetteo, riportando grande
successo, e in seguito non mancò quasi mai di allietare le feste paesane anche dei
paesi circonvicini, partecipando alle manifestazioni più svariate.
Nel 1961/62 esso fu il punto di forza della partecipazione atessana al concorso
della “Conca d’Argento”, organizzato dalla RAI di Pescara, in cui Atessa ottenne il
secondo posto superata di un soffio da Castel di Sangro. Allora il coro fu diretto dal
maestro Antonio Cecere dei Padri Oblati.
Successivamente la bacchetta passò ancora nelle mani del maestro Di Jorio e il
coro si avvalse anche della partecipazione del dott. Lino Di Nenno, che vi portò il
brio delle macchiette e degli sketch in vernacolo atessano attinti dalla vena paterna.
Agli inizi degli anni ‘70, valorizzando l’iniziativa di Suor Adriana Recinella, che
aveva formato un piccolo gruppo corale, l’Associazione Pro-Loco diede impulso alla
creazione di un vero e proprio coro folkloristico, che, passato più tardi sotto la direzione di Don Lino De Ritis e denominatosi “Giovani Voci Dijoriane” su suggerimento dello stesso Maestro, continua tuttora a portare sulle piazze d’Abruzzo e
d’Italia le immortali melodie del musicista atessano.
Ma le prime origini del coro di Atessa si possono far risalire addirittura agli anni
’20 e fu proprio Antonio Di Jorio a propiziarne la nascita. Ne fa fede la seguente lettera inviata recentemente dalla figlia Pasquina a Don Lino De Ritis, che le chiedeva
notizie in merito:
Rimini, 23/4/80
Carissimo Don Lino,
rispondo subito a ciò che mi ha chiesto. Un po’ faticosamente ho attinto qualche notizia da papà: mi ha detto tutto ciò che ricordava ed è fatica, anche
per i più giovani, ricordare cose tanto antiche, anche perché non si hanno
documenti.
A detta di papà, dunque, il primo coro organizzato in forma stabile e conti137
nuativa è il suo (Le “Giovani Voci Dijoriane”, n.d.r.).
Le prime canzoni – “Caruline”, “Oilì! Oilà!”, “Dindò” – furono propagandate dai bandisti del concerto atessano diretto da papà: parte dei suonatori,
in maniera un po’ improvvisata, cantavano accompagnati dagli altri suonatori; questi canti furono diffusi in tutte le località dove la banda prestava servizio e durante l’audizione venivano venduti foglietti volanti con la stampa
dei versi.
Questo negli anni ’19-’20 circa. Poi nel ’22, a Lanciano, un certo avvocato
D’Ovidio, che era stato compagno di scapigliatura di papà a Napoli, organizzò una manifestazione corale folk, diretta da papà. Il successo fu tale che
un certo Zopito Valentini, di Loreto Aprutino, volle organizzare qualche cosa
di simile a Pescara, nella parte della città detta allora Castellammare, in
occasione della Settimana Abruzzese, presente Mussolini. Alla manifestazione
parteciparono il coro di Atessa diretto da Di Jorio e quello di Ortona diretto
da Albanese. Poi papà andò a Ripatransone, quindi ad Atri, a Chieti, ad
Atessa e a Rimini, e bisogna arrivare al secondo dopoguerra per risentire dei
grandi buoni cori organizzati nel giro di 15 o 20 giorni, quando lui tornava
apposta in Atessa per queste manifestazioni canore [...]
Papà starebbe bene se non fosse per le gambe molto deboli; lo spirito è sempre
in gamba. Quando lei scrive e manda notizie del coro, ci fa sempre un grande piacere: papà legge tanto volentieri le sue lettere! Egli la esorta a continuare nella sua attività musicale per il buon nome di Atessa. Fa bene a migliorare i costumi, che hanno una grandissima importanza spettacolare, cosa da
non trascurarsi oggi.
Aff.ma Pasquina
“Ad Antonio Di Jorio per i Suoi novant’anni”,
Tipolitografia Busico & Caporale, Atessa 15 agosto 1980.
I componenti del coro di Atessa del 1949.
Direttore: M° Antonio Di Iorio.
Soprani: Giuliani Anna, Pizzi Rina, Flocco Chiara, Grappasonno Anna, Codagnone
Maria Rita, Flocco Maria, De Ritis Norma, Di Blasio Carolina, Giuliani Maria,
Tano Anna, Codagnone Amalia, Cinalli Vittoria, Codagnone Matilde, Codagnone
Giuseppina, Sorge Maria, Di Croce Concetta, Mancini Maria, Simone Gina,
D’Alonzo Antonietta, Sorge Teresa, Gentile Maria, Simone Rita, Di Iorio Emma,
Giordano Anna Maria, Di Iorio Amalia, Cinalli Erminia, Rucci Lucia, Cicchitti
Domenica, D’Alonzo Gabriella.
138
Contralti: Russi Violetta, Pizzi Amalia, Pizzi Giuseppina, Rossi Filomena, Cinalli
Maria, Colonna Angelina, Ianni Carolina, Travaglini Liberata, Cinalli Lucia, Grappasonno Natalina, Ciancaglini Rosa, Pizzi Erminia, Pizzi Rita, Prota Nicoletta,
Grappasonno Bambina, Marcolongo Anna, Pellegrini Rosaria, Nardone Ginevra,
Giordano Grazia, Fidelibus Giacinta, Di Iorio Antonietta, D’Alonzo Giovina.
Tenori: Litterio Felice, Litterio Mario, Litterio Renato, Rucci Gabriele, Totaro
Mario, Antonini Salvatore, Mancini Giuseppe, Mancini Filiberto, Tartaglia Tommaso, Pizzi Vito, Grappasonno Angelo, Rossi Giovanni, Tinaro Giuseppe, Finoli Olindo, Cancelmo Sebastiano, Cinalli Giuseppe, Litterio Domenico, Nasuti Umberto,
Giannico Gennaro, Cicchitti Nicola, Cicchitti Gerardo, Cellucci Luzio, Litterio
Amedeo, Tano Gabriele, D’Amario Ruggero.
Bassi: Del Sindaco Pasquale, Sorge Alfredo, Paglione Luigi, Tumini Giacomo, Cattafesta Dino, Serra Francesco, Fioriti Luigi, Aloisi Gabriele, Canuto Marcello, De
Ritis Fernando, Codagnone Romano, Canuto Ernesto, Rotolo Donato, Di Diego
Francesco, Buonavista Giuseppe, Laudadio Pietro, Nardone Aristide, Rancitelli
Nicola, Pasquini Cesare.
Il Momento, 13 agosto 1949.
Coriste del 1949.
139
Il coro di Atessa del 1950.
140
Per gentile concessione dell’ “Archivio Di Jorio” di Atri.
Il coro di Atessa, con la partecipazione straordinaria del tenore atessano
Riccardo Tenaglia, al “Festival della Canzone” di Pescara del 21 agosto
1950, interamente dedicato alla produzione musicale di Antonio Di
Jorio.
141
142
Per gentile concessione dell’ “Archivio Di Jorio” di Atri.
La scuola tecnica (1921) e la scuola
media (1944)
Due tappe
Atessa.
fondamentali per lo sviluppo dell’istruzione in
Istituzione della Scuola Tecnica, con sede al primo piano dell’Asilo “Giardino d’Infanzia” (Delibera Consiglio Comunale 28 agosto 1921).
Presenti il sindaco cav. uff. Luigi Iovacchini e i consiglieri Carunchio Manfredi, Ciccarelli
Alfonso, Cinalli Luzio, D’Alonzo Nicola, De Francesco Giuseppe, De Marco Umberto, Di
Pasquale Gaetano, D’Onofrio Alberto, Giannico avv. Camillo, Giannico Giuseppe, Marcolongo Ugo, Marcone Camillo, Marcone Giulio, Marcucci Pasquale, Menna Vincenzo, Orfeo cav.
avv. Nicola, Romagnoli Giovanni, Rucci Silvino, Sorge Pasquale, Staniscia Ferdinando, Tano
Giuseppe.
Dietro relazione del Sindaco Luigi Iovacchini,
Il Consiglio
• Ritenuto che la istituzione di una Scuola Tecnica in questo Comune è riconosciuta, non solo da questa Amministrazione, sibbene da tutta la cittadinanza,
veramente utile all’incremento dell’istruzione e rispondente ai bisogni locali;
• Veduta la precedente propria deliberazione, adottata in sede di bilancio per la
parte riguardante lo stanziamento della spesa all’uopo necessaria, in merito
alla quale niuna obiezione è stata fatta dalla competente superiore autorità;
• Tenute presenti le disposizioni degli Articoli 133 e seguenti del Regolamento
21 giugno 1885, n. 3413, che provvedono all’apertura di Scuole Tecniche da
parte dei Comuni; il Regio Decreto 16 febbraio 1913, n. 202, riguardante le
norme per il pareggiamento delle Scuole Classiche, Tecniche e Normali; l’Articolo 24 della Legge 8 aprile 1906, n. 142, per la parte finanziaria; e la Legge
6 luglio 1919, n. 1186, relativa agli stipendi ed alla carriera del personale
direttivo ed insegnante delle scuole medie;
• Ritenuto che l’edifizio dell’Asilo “Giardino d’Infanzia” – primo piano – destinato a sede della Scuola è adatto per ampiezza e salubrità;
• Ritenuto che le somme allegate in bilancio soddisfano alle spese pel personale
insegnante, per gl’inservienti e, occorrendo, pel segretario, nonché alle altre
per materiale scientifico, mobili e suppellettili, acquisto di libri per la biblioteca, attrezzi per la ginnastica, riscaldamento, illuminazione ed oggetti di cancelleria;
• Ritenuto che questo Comune ha sempre adempito a tutti gli obblighi imposti
dalla legge sulla istruzione elementare di grado inferiore e superiore, e che
143
gl’insegnanti da nominarsi saranno prescelti fra persone munite di titoli legali,
di abilitazione per le materie di studio che saranno loro affidate;
Delibera
• Di istituire in questo Comune una Scuola Tecnica, mettendola in grado di
ottenere il pareggiamento nel più breve termine consentito dalle leggi in
materia;
• Di provvedere, mediante concorso da bandirsi dalle superiori autorità scolastiche, al conferimento dei posti d’insegnante, a norma della Legge 6 luglio
1919, n. 1186;
• Di fare istanza all’ill.mo Sig. Prefetto della Provincia, perché, in vista della
ristrettezza del tempo, si piaccia autorizzare l’abbreviazione, a cinque giorni,
del termine richiesto per l’approvazione in seconda lettura del presente deliberato.
Intitolazione della Scuola Tecnica al nome di Dante Alighieri, nella ricorrenza del 6º centenario della morte del Sommo Poeta (Delibera Consiglio
Comunale 4 settembre 1921).
Presenti il sindaco cav. uff. Luigi Iovacchini e i consiglieri Carunchio Manfredi, Ciccarelli
Alfonso, Cinalli Luzio, D’Alonzo Nicola, De Francesco Giuseppe, De Francesco Ottorino, De
Marco Umberto, D’Onofrio Alberto, Flocco Luigi, Giannico Giuseppe, Iovacchini Giovanni,
Marcolongo Ugo, Marcone Camillo, Marcone Giulio, Orfeo cav. avv. Nicola, Romagnoli Giovanni, Rucci Silvino, Sorge Pasquale, Staniscia Ferdinando, Tinaro Anselmo.
Proposta del Sindaco Luigi Iovacchini
Il Sindaco comunica che la istituzione della Scuola Tecnica in questo Comune può dirsi ora un fatto compiuto. E poiché tale istituzione è avvenuta in
quest’anno di ricorrenza del 6º centenario della morte del Sommo Poeta, nella
certezza di interpretare i sentimenti del Consiglio propone che la Scuola s’intitoli “Dante Alighieri”.
A ricordo poi della realizzazione del voto ed aspirazione della cittadinanza,
propone che venga istituita una borsa di studio di L. 100 dal titolo pure di
“Dante Alighieri”, da concedersi a quell’alunno che, avendo superato felicemente le altre materie, siasi distinto nella storia e nell’italiano.
Il Consiglio
Approva ad unanimità.
144
Istituzione della Scuola Media, sezione distaccata di Lanciano (Delibera
Giunta Comunale 18 novembre 1944).
Presenti il sindaco dott. prof. Luigi Marcucci; gli assessori effettivi dott. De Marco Tommaso,
notar De Simone Antonio, mons. Pili Francesco, sig. Vaselli Gennaro; gli assessori supplenti
ins. De Marco Alfredo, sig. Rossetti Antonio.
Relazione del Sindaco Luigi Marcucci
Il Sindaco rende edotti gli assessori della istituzione e funzionamento di una
Regia Scuola Media inferiore – sezione distaccata di Lanciano – e all’uopo dà
lettura della lettera 12 ottobre c.a., n. 5269, del R. Provveditorato agli Studi di
Chieti con cui si dispone il funzionamento della Scuola suddetta.
Indi fa presente la necessità di provvedere allo stanziamento di L. 60.000, da
prelevarsi dal fondo gestione calce, allo scopo di far avere i mezzi necessari per
lo sviluppo iniziale della Scuola in parola e anche di quella d’Avviamento.
La Giunta
• Vista la relazione del Sindaco;
• Considerato che il Comune ai primi tempi dell’occupazione alleata si preoccupò di far produrre da una impresa privata della calce occorrente alla riparazione delle opere stabili di questa cittadinanza;
Che da tale gestione si è avuto un ricavato di circa L. 210.000 con l’utilizzazione del frascame del bosco Fontecampana;
Che pertanto è agevole e di nessun aggravio finanziario il fatto di stanziare nel
bilancio 1945 la somma di L. 60.000 per il motivo sopra indicato;
Delibera
• Di prendere atto dell’avvenuta istituzione di una sezione distaccata di Scuola
Media inferiore in questo Comune;
• Di ringraziare le superiori autorità per l’appoggio dato alla risoluzione di un
problema che era nei voti di questa cittadinanza;
• Di stanziare nel bilancio dell’esercizio 1945 in entrata il ricavato della gestione della calce, impegnando in uscita la somma di L. 60.000, da servire anche
per la Scuola d’Avviamento.
145
Intitolazione della Scuola Media al nome di Domenico Ciampoli (Decreto Ministeriale 18 gennaio 1949).
I primi alunni e insegnanti della Scuola Tecnica.
146
I primi alunni e insegnanti della Scuola Media.
147
Fascismo e antifascismo
Diffuso
consenso, in
Atessa,
per il regime, ma anche una
consistente presenza di sentimenti ad esso ostili.
Conferimento della cittadinanza onoraria a Benito Mussolini (Delibera
Consiglio Comunale 21 maggio 1924).
Presenti il sindaco cav. uff. Luigi Iovacchini e i consiglieri Carunchio Manfredi, Ciccarelli Alfonso,
Cinalli Luzio, De Francesco Giuseppe, De Marco Umberto, Di Pasquale Gaetano, Giannico Giuseppe, Iovacchini Giovanni, Marcolongo Ugo, Marcone cav. Camillo, Marcone Giulio, Orfeo cav.
avv. Nicola, Sorge Pasquale, Tano Giuseppe, Tinaro Anselmo.
Proposta del Sindaco Luigi Iovacchini
In seguito all’esito delle ultime elezioni politiche, che ha segnato il trionfo
completo del Partito Nazionale Fascista e del suo degno Capo e Condottiero
Sua Eccellenza Benito Mussolini, la Giunta Comunale, sapendo di interpretare
il pensiero della gran maggioranza dei cittadini di Atessa e per dar prova di
attaccamento e devozione verso quest’Uomo Insigne che ha ben meritato della
Patria, vi propone la Sua nomina a Cittadino Onorario di Atessa. Modesto
onore per Lui, quando si pensi che proprio in questi giorni Egli, dall’alto del
Campidoglio, è stato proclamato “Civis Romanus”; grande onore per noi se
Egli tale titolo vorrà accettare e gradire.
Mi dispenso ora dal ricordare a voi oggi le Sue grandi benemerenze, persuaso
che chi ha seguito con cuore d’italiano gli avvenimenti di questi ultimi venti
mesi di governo, le Sue infinite provvidenze, non può non averlo nel cuore e
non può non sentire un senso di viva gratitudine verso quest’Uomo che, dopo
aver ridato pace, ordine e disciplina all’interno, dopo aver provveduto con sane
e acconce leggi ed oculate economie a rinsaldare il bilancio dello Stato, ha saggiamente curato, con sano accorgimento e fini arti di diplomatico, a rialzare
anche il nostro prestigio all’Estero.
Padrone della volontà della vecchia Camera, dopo aver espletato un programma immane che sarebbe stato follia di svolgere in altri tempi, Egli avrebbe potuto governare indisturbato con essa; invece, con gesto nuovo e squisitamente
delicato, indice i nuovi comizi per sentire la voce del paese sull’opera Sua. Ed il
paese la sua voce l’ha fatta sentire alta e potente e prima, tra le regioni d’Italia, il
nostro Abruzzo, col suo plebiscitario consenso e, non ultima fra le città di esso,
la nostra Atessa, che dando al Fascio Littorio la sua grande maggioranza ha creduto di compiere un atto di gratitudine, di fede, di patriottismo.
Ed ora, mentre vi invito a conferire, per acclamazione, la Cittadinanza Onoraria a Sua Eccellenza Benito Mussolini, formulo voti solenni che la Divina
Provvidenza ancora per molti anni lo conservi al governo d’Italia per le future e
più fulgide fortune della Patria.
148
Il Consiglio
Facendo eco e plauso alla proposta della Giunta;
per acclamazione Conferisce
la Cittadinanza Onoraria Atessana a Sua Eccellenza Benito Mussolini, Duce e
Maestro del Fascismo, esprimendo l’augurio sincero che il ferrigno Uomo di
Romagna, a cui l’Italia guarda con fervido cuore, continui per lunga serie di
anni a reggere le sorti della Nazione ed a guidarla nelle vie gloriose che il destino
le ha tracciato nel mondo.
Ordinanza di chiusura (notificata il 24 dicembre 1932) per il Caffè Piretti, ritenuto un “abituale ritrovo” di sovversivi.
IL QUESTORE DELLA PROVINCIA DI CHIETI
Ritenuto che l’esercizio pubblico gestito da Sorge Annantonia di Michelangelo in Atessa, Piazza Centrale, è divenuto
abituale ritrovo di individui notoriamente sospetti in linea
politica, vociferatori e propalatori di notizie false ed allarmistiche raccolte dalle radio nemiche;
Considerato che è necessario stroncare ogni attività che
anche in apparenza possa avere deleteria ripercussione sullo
spirito pubblico;
Visto l’art. 10 del Testo delle Leggi di P.S. 18-6-1931, n. 773;
ORDINA
La licenza di esercizio a Sorge Annantonia è sospesa a
tempo indeterminato, con immediata chiusura del locale.
Il Comando Stazione Carabinieri Reali di Atessa è incaricato della esecuzione della presente ordinanza, che sarà, nei
modi di legge, notificata all’interessata.
L’Ispettore Generale Regg. la Questura
(Cavallo)
149
Lettera circolare del 1928 per la raccolta di mezzi finanziari a sostegno
dell’Opera Nazionale Balilla.
150
Quanto costava l’uniforme fascista, con la giubba di orbace, panno di
lana di pecora prodotto in Sardegna e utilizzato dal 1933 su prescrizione
del segretario del partito Achille Starace.
151
Approvazione del regolamento per la concessione dei premi di nuzialità e
di natalità voluti dalle direttive del governo fascista (Delibera Podestarile
3 giugno 1936).
Il Podestà cav. dott. Attilio Falcucci
DETERMINA
approvare il seguente Regolamento per la concessione dei premi di nuzialità e di
natalità per questo Comune:
Premi di nuzialità
Art. 1º Nel Comune di Atessa, a carico del bilancio comunale, sono istituiti n.
14 premi di nuzialità di L. 500 ciascuno da sorteggiarsi il 28 ottobre di
ogni anno, a cominciare da quello in corso, nella ricorrenza della Marcia
su Roma, di cui n. 6 a favore dei militari;
Art. 2º Per aspirare ai premi di nuzialità gli sposi interessati devono farne
domanda, in carta semplice, al Podestà e dimostrare: a) di aver contratto
matrimonio, valido agli effetti civili, entro il precedente anno fascista;
b) di non trovarsi in notorie condizioni agiate; c) che almeno uno degli
sposi risieda in questo Comune da oltre sei mesi, anteriori alla celebrazione di matrimonio; d) di essere iscritti al Partito Nazionale Fascista;
Art. 3º Il termine utile per la presentazione delle domande alla Segreteria
Comunale scadrà alle ore 12 del giorno che precede quello stabilito per
l’estrazione;
Art. 4º Nelle ore antimeridiane del giorno 28 ottobre, in una sala della Residenza Municipale, aperta al pubblico, ovvero all’aperto, ove il tempo lo
consenta, verranno imbussolati in un’urna i nomi delle coppie che
abbiano fatta domanda e per le quali concorrono le condizioni tutte
previste al precedente art. 2º; quindi il Podestà, assistito dal Segretario
Comunale, che ne redigerà verbale, procederà all’estrazione dei nomi di
14 coppie di sposi, alle quali sarà assegnato un premio di nuzialità per
ciascuna;
Art. 5º I premi da erogarsi a favore dei militari saranno concessi in conformità
alle disposizioni vigenti, emanate o da emanarsi in materia dalle autorità
competenti.
Premi di natalità
Art. 1º Nel Comune di Atessa sono istituiti i seguenti premi di natalità, a carico
del bilancio comunale, con decorrenza dall’anno in corso: a) n. 10
premi di L. 100 ognuno per il secondo e terzo figlio nati da coniugi
152
entro l’anno solare precedente; b) n. 10 premi di L. 200 ognuno per i
figli nati da coniugi oltre il terzo entro l’anno solare precedente;
Art. 2º I premi di natalità verranno assegnati, ogni anno, il 24 dicembre, giorno
dedicato alla Festa della Madre e del Fanciullo;
Art. 3º Per aspirare ai premi di natalità i genitori interessati devono farne
domanda al Podestà, in carta semplice, e oltre a verificarsi le condizioni
tutte richieste per i singoli casi dall’art. 1º devono dimostrare: a) di non
trovarsi in condizioni finanziarie di notoria agiatezza; b) di risiedere in
questo Comune da almeno tre mesi, anteriori alla nascita dei figli che
danno diritto ai premi; c) di essere iscritti al Partito Nazionale Fascista;
Art. 4º Il termine utile per la presentazione delle domande alla Segreteria
Comunale scadrà alle ore 12 del giorno che precede quello dell’assegnazione dei premi.
Visita del Vice Comandante Federale alla Scuola Polifonica del Comando G.I.L. di Atessa.
153
Frasi di Mussolini riprodotte in Atessa, negli anni ’30, sulla superficie
esterna dei muri delle case.
154
Ultima lettera di Pietro Benedetti ai figli, scritta dalle carceri “Regina
Coeli” pochi giorni prima che egli venisse fucilato.
11 aprile 1944
Ai miei cari figli,
quando voi potrete forse leggere
questo doloroso foglio, miei cari e
amati figli, forse io non sarò più
fra i vivi.
Questa mattina alle 7 mentre
mi trovavo ancora a letto sentii
chiamare il mio nome. Mi alzai
subito. Una guardia aprì la porta
della mia cella e mi disse di scendere che ero atteso sotto. Discesi, trovai un poliziotto che mi attendeva,
mi prese su di una macchina e mi
accompagnò al Tribunale di Guerra di Via Lucullo n. 16. Conoscevo
già quella triste casa per aver avuto
un altro processo il 29 febbraio
Pietro Benedetti (Atessa 1902-Roma
scorso quando fui condannato a 15
1944). Condannato a morte per la sua attivianni di prigione. Ma questa contà antifascista e fucilato il 29 aprile 1944.
danna non soddisfece abbastanza il
comando tedesco il quale mandò
l’ordine di rifare il processo. Così il processo, se tale possiamo chiamarlo, ebbe
luogo in dieci minuti e finì con la mia condanna alla fucilazione.
Il giorno stesso ho fatto la domanda di grazia, seppure con repulsione verso questo
straniero oppressore. Tale suprema rinuncia alla mia fierezza offro in questo
momento d’addio alla vostra povera mamma e a voi, miei cari disgraziati figli.
Amatevi l’un l’altro, miei cari, amate vostra madre e fate in modo che il
vostro amore compensi la mia mancanza. Amate lo studio e il lavoro. Una vita
onesta è il migliore ornamento di chi vive. Dell’amore per l’umanità fate una
religione e siate sempre solleciti verso il bisogno e le sofferenze dei vostri simili.
Amate la libertà e ricordate che questo bene deve essere pagato con continui
sacrifici e qualche volta con la vita. Una vita in schiavitù è meglio non viverla. Amate la madrepatria, ma ricordate che la patria vera è il mondo e, ovunque vi sono vostri simili, quelli sono i vostri fratelli.
Siate umili e disdegnate l’orgoglio; questa fu la religione che seguii nella vita.
Forse, se tale è il mio destino, potrò sopravvivere a questa prova; ma se così
non può essere io muoio nella certezza che la primavera che tanto io ho atteso
brillerà presto anche per voi. E questa speranza mi dà la forza di affrontare
serenamente la morte.
Lettere di condannati a morte della Resistenza europea,
Einaudi Editore, Torino 1967, pp. 515-516.
155
Curiosità
Poesie d’occasione di fine Ottocento: gli auguri del tipografo Baker per
l’onomastico di un amico (1881) e due sonetti nuziali (1888).
156
Riconciliatosi con la Chiesa Cattolica dopo essersi lasciato “sedurre” dalle
“menzogne” del protestantesimo, un atessano del 1897 fa pubblica
ammenda del suo errore.
157
Cronaca di una cerimonia nuziale del 1926 con l’elenco dei doni per gli
sposi.
.
La sera del 14 corrente, nella dolce
intimità dell’eletta parentela e degli
amici, più che cento tra dame e cavalieri, nelle sale di casa De Ritis splendenti
di luci ed olezzanti di magnifici fiori, si
sono celebrate le nozze dell’egregio
dott. Mario Serafini con la bella e gentile signorina Ernestina De Ritis.
Funzionò da ufficiale dello stato civile il commissario prefettizio comm. Vittorio Costa, che pronunciò brevi ed
ispirate parole di augurio. Testimoni
furono i signori Francesco Falcucci, cav.
avv. Guglielmo Serafini, cav. Nicola De
Francesco, avv. Domenico Ferri.
La cerimonia religiosa, celebrata dal
parroco di S. Michele Don Nicola
Cibotti, si svolse in profondo, commosso raccoglimento. Una orchestrina, formata dalla baronessa Teresa Ferri
(piano), signori Emilio Sabatini e Gaetano Falcucci (violini), Giovanni Rossi
(violoncello) e Federico Piretti (contrabbasso), accompagnò in sordina la
vecchia ma sempre deliziosa “Ave
Maria” del Gounod, mirabilmente can-
tata dalla signorina Maria Ferri. Il celebrante pronunciò un eloquente discorso, spiegando alla giovane coppia i
doveri nuovi degli sposi cristiani e beneaugurando.
Compiuto il rito, la Sposa, candida e
bionda nel vaporoso velo, distribuì
agl’invitati i suoi fiori d’arancio. L’avv.
Domenico Ferri lesse una sua stornellata d’amore di squisito humour e di elegante fattura. L’orchestrina suonò uno
scelto repertorio classico. Agl’invitati
furono offerti, con signorile abbondanza, geli, dolci, confetti, liquori. I confetti ed i bombons furono forniti dalla
ditta D’Amico di Pescara; i geli, i dolci,
i liquori dalla ditta locale Piretti.
Fecero gli onori di casa, con l’usata
cortesia, i signori Antonino e Caterina
De Ritis, genitori della Sposa, il sig.
Angelo Serafini, padre dello Sposo, le
signorine Massa e Trippitelli, i signori
Serafini, Trippitelli ed avv. Marcolongo,
parenti degli Sposi. Paggetti d’onore i
graziosi bambini Gino Ferri e Wally
Serafini.
I DONI
♥Lo Sposo: anello con brillanti, orecchini con brillanti, pendentif con brillanti,
altro pendendif con brillanti e perle, anello con brillanti e rubini, orologio d’oro
da polso, tavolino-nécessaire da lavoro in mogano.
♥La Sposa: orologio “Longines ”, gemelli d’oro per polsini.
♥Sig. Angelo Serafini, padre dello Sposo: servizio completo di posate in argento
massiccio per 12.
♥Sig. Antonio De Ritis, padre della Sposa: artistico finimento in diamanti, catena
d’oro massiccio per ventaglio.
♥Signora Caterina De Ritis, madre della Sposa: finimento in ametiste e perle.
♥Signori Guido ed Erminia Serafini, fratello e cognata dello Sposo: servizio giapponese da tè completo per 12.
158
♥Wally e Dino Serafini, nipotini dello Sposo: dodici cucchiaini d’argento per tè.
♥Zii dello Sposo: Avv. cav. Guglielmo Serafini: orologio a pendolo – Avv. cav. Gaetano Cardona: servizio d’argento da dessert per 12 – Signora Rosa Cardona: saliera e portastecchini in argento e cristallo, posata d’argento per insalata – Comm.
Tito Codagnone e signora: braccialetto d’oro – Cav. Francesco Farina: servizio in
argento da dessert per 6 – Cav. uff. Angelo dei Baroni Ferri e signora: servizio
d’argento per pesce – Sig. Antonio dei Baroni Ferri e famiglia: servizio d’argento
per dolci – Baronessa Vittoria Castelli ved. Ferri: laccio d’oro per ventaglio in
maglia veneziana.
♥Zii della Sposa: Signora Giuseppina Rancitelli ved. Mayer e comm. Ernesto
Mayer: artistico orologio regolatore da tavolino – Signora Camilla Rancitelli ved.
Mucci: chèque – Signora Antonietta Cardona ved. De Francesco e avv. Umberto
De Francesco: servizio da toletta per mani in argento – Cav. Tommaso Marcolongo e signora: servizio da dessert in argento per 12 – Sig. Pelino e signora Doralice Trippitelli: chèque – Parroco D. Vincenzantonio Marcolongo: arazzo – Sacerdote D. Guglielmo De Ritis: libro da messa rilegato in pelle di coccodrillo e corona d’argento – Sig. Silvino De Francesco e famiglia: orologio e portafiori in biscuit – Signora Lubia Genovesi ved. De Francesco e signorina Clementina De Francesco: servizio in argento per pesce, portatovaglioli e centro per tavola ricamati –
Sig. Pasquale Nervegna: servizio da toletta in argento per mani – Signori Giuseppe e Margherita Auterio: due coppe d’argento e cristallo – Signora Amalia Tonno
Giacchesio: trinciante e forchettone d’argento – Signora Isabella Lisio ved. Pelino:
forchettone e trinciante in argento – Signora Antonietta Giacchesio: sei cucchiaini d’argento dorato – Dott. Giovanni cav. uff. De Marco: formaggiera e saliera
d’argento e cristallo – Signori Carlo e Maria Boschetti: salierine e portastecchini
in argento e cristallo – Signori Gaetano ed Elvira Falcucci: servizio da dessert in
argento per 6.
♥Cugini dello Sposo: Avv. Domenico dei Baroni Ferri e famiglia: servizio da tavola
d’argento e cristallo di oliere, saliere e portastecchini – Dott. Gennaro Marcone e
signora: servizio per arrosto, insalata, salsa e dolci in argento – Tenente Oscar
Pinzauti e signora: servizio da liquori d’argento e cristallo per 6 – Dott. Renato
Spaventa: portadolci e portasigarette da salotto – Signorine Maria e Vittoria Ferri:
centro da tavola ricamato ad intaglio.
♥Cugini della Sposa: Signorina Maria Massa: servizio da tavola in cristallo di Boemia per 12 – Signori Francesco ed Enrica dei Baroni Sardi De Letto: portadolci
in argento e cristallo – Signori Fratelli Trippitelli: salierine e portastecchini in
argento e cristallo – Signori Gino e Maria Girolami: sei coppe d’argento da champagne – Avv. Giuseppe Marcolongo: servizio da dessert in porcellana – Signori
Nicola ed Eleonora Giansante: lampadario in ferro battuto della ditta Ranieri di
Guardiagrele – Signori Giuseppe e Bice Costantini: servizio da liquori d’argento e
cristallo – Avv. Ettore De Francesco e signora: servizio da caffè di porcellana per
12 – Signori Nicola e Amalia Fini: tête a tête in porcellana e argento – Signori
Enrico e Filippo Flocco: tête a tête in porcellana e argento – Dott. Aldo e Margherita Flocco: tête a tête in porcellana e argento.
♥Amici degli Sposi: Donna Elvira De Chellis ved. Simone, comare della Sposa:
159
portagioie in argento massiccio cesellato, corona di granato legato in oro – Signori Francesco e Antonietta Falcucci: quattro marenghi d’oro – Dott. Nino Falcucci,
compare dello Sposo: tre grandi artistici cabarets in argento cesellato – Dott.
Guido Falcucci e signora: trinciante e forchettone in argento – Parroco D. Nicola
Falcucci: coroncina d’argento – Signora Cherubina Trippitelli Giustizia: due abatjour d’argento – Signori Pietro e Rosa Siboni: servizio da tavola in porcellana per
12 – Cav. Nicola De Francesco e signora: servizio da dessert in porcellana –Avv.
cav. Alfredo De Francesco e signora: servizio d’argento da liquori – Dott. cav.
Felice Troiano: orologio a pendolo in mogano – Signora Angiolina Falcucci ved.
Rancitelli: sei cucchiaini e molla in argento – Signori avv. Bonaventura e Lorenzina Ventura: servizio da caffè in argento e porcellana, con guantiera per 6 – Barone
Felice Mascitelli e famiglia: tête a tête in argento e porcellana – Prof. Luigi Marcucci e signora: artistico portadolci in argento e cristallo – Sig. Nicola Giorgio e
famiglia: servizio da caffè in porcellana per 12 – Signora Maria Merlino: due portatovaglioli in argento – Notaio Michele D’Ambrosio e famiglia: servizio da dessert in argento per 6 – Sig. Emilio Sabatini: matita d’oro – Canc. Nicola Zaccaglia e famiglia: bouquet di fiori di stoffa – Signorina Rina D’Onofrio fu Alberto:
têtê a tête in argento e porcellana – Signorine Egle e Bianca Rotolo: servizio per
geli d’argento per 6 – Signorina Vera Cardona: sei bicchierini d’argento e cristallo – Dott. Giovanni Giannico e signora: trinciante e pala per gelato in argento –
Sig. Panfilo Ciancaglini e famiglia: artistica statuetta con orologio a sveglia – Sig.
Luigi Cichetti: artistico servizio da toletta in argento – Sig. Giuseppe Ragni e
signora: artistica anfora portafiori – Famiglie Marcucci e Carlucci: artistico orologio da salotto in biscuit – Signora Chiarina Iovacchini: vaso da fiori in argento –
Sig. .Antonio Pesce: vaso da fiori e portaritratti in argento – Sig. Francesco Vizioli: servizio per antipasto in argento e cristallo – Signori Riccardo e Rosa Chinni:
sei cucchiaini d’argento – Signori Luigi e Domenica Giordano: finimento d’oro
per camicia – Signora Bambina Giuliani: servizio da liquori in cristallo per 6 –
Signori Filippo e Concetta Jommi: salierine d’argento e cristallo – Signora Anna
Cellucci: sei bicchierini di cristallo con vassoio – Signora Teresina Bomba, vecchia
domestica di casa De Ritis: libretto di risparmio di L. 750 – Signora Maria Santa
Vacca: immagine sacra con acquasantiera d’argento e alabastro – Signora Maria
Vincenza Berardinucci: specchio molato.
♥Inviarono fiori: Avv. Domenico dei Baroni Ferri e signora – Prof. Felice Troiano –
Dott. Giovanni Giannico – Signora Matilde Marchesano – Suore dell’Asilo
Infantile – Wally Serafini–Dott. Renato Spaventa – Sig. Filippo Jommi – Signorina Nenella Cardone – Famiglie Carlucci e Marcucci.
È impossibile elencare i telegrammi che a centinaia giunsero agli Sposi da ogni
parte d’Abruzzo e d’Italia. Moltissimi d’ogni parte scrissero parole di vibrante augurio.
Alla bella coppia, ch’è in un lungo giro di nozze, rinnoviamo l’augurio d’ogni
compiuta felicità.
Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, 24 ottobre 1926.
160
Il treno ad Atessa-centro
Arrivò il 1º febbraio 1929 dal preesistente scalo di S. Luca
(in esercizio dal 1913), calorosamente accolto dalla folla
che, nonostante il rigore del clima, si era radunata numerosa nella stazione da poco sorta ai piedi dell’abitato.
Il prolungamento della linea ferroviaria fino ad Atessacentro rispondeva ad una esigenza profondamente avvertita
nel capoluogo, al quale sino ad allora la ferrovia
Sangritana non aveva arrecato i benefici sperati a causa della notevole distanza che lo separava dallo scalo di S. Luca.
Sussidio del Comune per il prolungamento della ferrovia da Atessa Scalo
(S. Luca) ad Atessa Città (Delibera Consiglio Comunale 25 maggio
1924).
Presenti il sindaco cav. uff. Luigi Iovacchini e i consiglieri Carlucci Giuseppenicola, Carunchio
Manfredi, Ciccarelli Alfonso, De Francesco Giuseppe, De Marco Umberto, Iovacchini Giovanni,
Marcolongo Ugo, Marcone cav. Camillo, Marcone Giulio, Marcucci Pasquale, Orfeo cav. avv.
Nicola, Tano Giuseppe, Tinaro Anselmo.
Proposta del sindaco Luigi Iovacchini
Il Sindaco riferisce che Atessa, importante centro di popolazione, dove si
riversano anche gl’interessi di buon numero dei paesi della montagna, ha risentito ben poco beneficio dalla costruzione della ferrovia Adriatico-Appennino, a
causa della notevole distanza che intercede tra la Stazione e la Città, resa ancora
più grave dal fatto che la strada attraversa una collina molto ripida e scoscesa.
Eppure Atessa è una città ricca di prodotti agricoli e di capitali, che la ferrovia,
prossima all’abitato, può far convergere in proficui commerci ed industrie.
Tale è stato il vivo desiderio mai sempre espresso dalla Rappresentanza
Comunale e che ora si ha fondata speranza che venga finalmente accolto. Ne fa
fede il progetto diggià allestito dal Comm. Ing. Besenzanica per la elettrificazione della Sangritana, che comprende anche il prolungamento della ferrovia dallo
Scalo di Atessa in Città. Aggiungasi pure che giorni or sono il Comm. Gentile,
Direttore del Circolo delle Ferrovie e Tramvie di Ancona, in unione agli altri
Ingegneri, si sono recati espressamente in Atessa per esaminare l’indicato progetto e riferire in merito al competente Ministero; il che autorizza a ritenere che
la pratica si avvia alla sua soluzione.
161
Non resta quindi che determinare la misura del sussidio da corrispondersi per
tale opera di massima utilità pubblica.
Il Consiglio
• Condividendo le ragioni esposte dal Sindaco;
• Ritenuto che con la costruzione del tronco ferroviario Atessa Scalo-Atessa
Città viene a compiersi uno dei voti più ardenti e più giusti da lungo tempo
manifestato dalla cittadinanza;
• Ritenuto che il vantaggio immenso che ne deriva alla cittadinanza dall’opera
costruenda impone l’obbligo alla Rappresentanza Comunale di stabilire un
adeguato sussidio da corrispondersi per l’esercizio della ferrovia;
delibera
• Di assumere formale obbligo, per sé e per gli Enti locali interessati, di corrispondere per la durata di anni 50, alla Società per le Ferrovie AdriaticoAppennino, il sussidio di lire 10.000 annue, a decorrere dalla data di attuazione del servizio ferroviario elettrico sulla rete esistente e sul nuovo tronco da
costruirsi dallo Scalo di Atessa ad Atessa Città;
• Di assumere anche impegno di costruire, a spese del Comune, la strada di
accesso alla stazione Atessa Superiore;
• Riserva di provvedere in sede di bilancio agli stanziamenti occorrenti per far
fronte a dette spese.
Ansiosa attesa dell’attivazione del tronco ferroviario Atessa Scalo (S.
Luca) – Atessa Città e preparativi per i festeggiamenti.
Siamo informati che ai primi dell’anno verrà inaugurato il tronco Atessa Scalo-Atessa Città della Ferrovia Elettrica
Adriatico-Appennino. La nostra cittadinanza, che ha seguito con cuore fedele
dal loro inizio i lavori per questo importantissimo tronco che accrescerà l’importanza dell’industre città, attende con
ansia che si realizzi il suo antico voto e
che l’aspettativa non subisca ulteriori rinvii.
Una Commissione – nominata dal
nostro beneamato Podestà avv. cav.
Nicola Orfeo e composta dei signori
dott. Luigi Rancitelli, Vice Podestà, cav.
162
uff. Giulio Borrelli, Giovanni Rossi,
dott. Giovanni Riccio, Emilio Sabatini,
dott. Enrico Flocco, Umberto Rancitelli, Giovanni Iovacchini, dott. Giovanni
Giannico, Pasquale Sorge, dott. Nino
Falcucci, dott. Luigi Rossi, Cassio
D’Onofrio, ing. Luigi Di Iorio, Guido
Serafini, Giovanni Rucci, Pasquale Falcucci, dott. Giuseppe Ferri, Antonino
Di Diego, geometra Renatino Cicchitti
– lavora alacremente per preparare
degni festeggiamenti nel giorno della
inaugurazione.
Il Popolo di Roma, 22 dicembre 1928.
Orario di servizio del 22 maggio 1937 relativo alla tratta Atessa-Capragrassa-S. Luca-Piazzano-Perano-Archi, con l’indicazione delle coincidenze
per Crocetta e Castel di Sangro.
La stazione ferroviaria nel 1929.
163
La stazione ferroviaria nel 1931 (sopra) e nel 1935 (sotto).
164
Il nuovo acquedotto urbano
L’opera,
1928 e iniziata l’anno dopo, fu condotta a termine nel 1938, con notevole ritardo rispetto ai
tempi preventivati per difficoltà insorte nel corso dell’esecuzione dei lavori.
appaltata nel
16 ottobre 1928 - Espletamento della gara d’appalto per l’aggiudicazione
dei lavori del nuovo acquedotto e brindisi augurale, al Circolo di Conversazione, per un rapido e felice compimento dell’opera.
Tra le egregie opere che va realizzando il Podestà di Atessa, avv. Nicola
Orfeo, è da segnalare in prima linea il
compimento del nuovo acquedotto per
alimentare la città di acque sane e pure
che dalle sorgenti del “Pianelle”, nascente dai contrafforti del Monte Pallano, a
circa 700 metri dal livello del mare,
saranno portate per mezzo di una conduttura forzata nell’abitato di Atessa.
L’acquedotto attraverserà, con una
breve galleria, il “Montrione” per scendere fin presso il casino di Giampietro, da
dove raggiungerà la località “Pietragrossa”
sopra il bosco Vallaspra e, giungendo per
il rapido pendio del terreno sino al nuovo
viadotto della strada rotabile di Tornareccio, salirà all’abitato di Atessa, ove l’ottima acqua sarà distribuita.
Il progetto, opera poderosa dell’ing.
Lino De Cecco di Castellammare
Adriatico, è stato rielaborato ed aggiornato dal valente ing. Cassio De Marco
dello Studio del cav. ing. Federico De
Marco di Pescara.
L’ammontare complessivo delle opere
da eseguire è di circa L. 1.247.000. Il
compimento dei lavori è stabilito in
mesi 24.
In dipendenza della deliberazione
podestarile 15 settembre 1928 – Anno
VI, l’onorevole Amministrazione ha
indetto per il giorno 16 u.s., nella sede
del Palazzo Comunale, l’appalto per
l’aggiudicazione del lavoro. Alla gara
hanno partecipato numerose ed importanti ditte di costruzioni, restando tra
queste vincitrice l’impresa dell’ing.
Luigi Cicchitti di Roma.
L’ing Luigi Cicchitti, notissimo a
Roma per essere stato a capo della
Sezione Progetti e Lavori del Governatorato, è un competente in lavori del
genere ed è conosciuto ed apprezzato
come libero professionista anche in
Abruzzo, ove ha eseguiti e diretti
importanti lavori; ed oltre che come
libero professionista, altresì come esperto costruttore, ha dato saggio della sua
mirabile e versatile attività.
Facciamo voti che l’acquedotto, sotto
l’abile direzione dell’ing. De Marco e la
diligente esecuzione dell’ing. Cicchitti,
possa presto giungere a felice compimento, cosicché, insieme alle altre
opere che si stanno tuttora svolgendo,
la città di Atessa potrà assurgere a nuova
e radiosa vita. La Ferrovia, prossima ad
165
essere aperta all’esercizio, contribuirà
prodigiosamente ad un maggior sviluppo commerciale e ad un miglioramento
delle condizioni agricole ed economiche della popolosa città.
Ci rallegriamo con l’egregio Podestà
e con i suoi zelanti collaboratori, Vice
Podestà avv. Gino Rancitelli e Segretario Sulmonetti, per questo energico
impulso che si va imprimendo all’Amministrazione, augurando che altre belle
ed ardite iniziative producano una più
compiuta e radicale trasformazione.
Atessa è grata al suo Podestà per la
realizzazione di quest’opera.
Noi conosciamo l’ing. Cicchitti e possiamo dirci fortunati, perché egli farà
opera certamente degna del suo nome.
Alla sera, riuniti nella bella sala del
Circolo di Conversazione, gli amici vollero esprimere all’ing. Cicchitti tutta la
fiducia per la buona riuscita dell’opera
gravosa che gli è affidata. Il bel ricevimento si prolungò fino a tarda ora. Allo
champagne l’avv. Marcolongo, interprete del pensiero di tutti, brindò all’avvenire di Atessa, salutando con belle
parole il festeggiato, il quale commosso
ringraziò.
Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, 25 ottobre 1928.
26 maggio 1929 - Posa della prima pietra del nuovo acquedotto e benedizione delle sorgenti.
L’altra mattina, alle ore 11, uno stuolo di eleganti macchine accompagnava
alla contrada Acquachiara autorità, rappresentanti della stampa ed amici
dell’ing. Luigi Cicchitti, appaltatore dei
lavori del nuovo acquedotto, per la cerimonia della posa della prima pietra
della briglia di presa delle sorgenti.
A mezzogiorno si era già sul posto,
quanto mai pittoresco e suggestivo, ove
gli invitati ricevettero cordiali accoglienze dall’ing. Cicchitti e furono
accompagnati alle sorgenti.
Queste sorgenti, ubicate nella parte
montana del torrente Pianelle al Pallano, sono costituite in tre gruppi: il
primo, formato di numerosi affioramenti, defluisce da un banco di roccia
fratturata ed anticlinale; il secondo, più
a monte, si raccoglie alla base di uno
166
sbarramento roccioso, ha una polla
grande che si sprigiona da una fessura
profonda e costituisce il più importante
affioramento; il terzo gruppo è sulla
sinistra del torrente, su un piccolo
ripiano, a quota superiore alle precedenti sorgenti.
Tutte queste acque si stanno ora captando e verranno diligentemente raccolte con gallerie, camere, pozzi ed altre
opportune opere di presa in muratura,
per essere riunite nel bottino di carico e
convogliate nella nuova conduttura.
L’Impresa Cicchitti inizia tali importanti opere con la costruzione di una
briglia fra il secondo ed il terzo salto.
Dopo aver ammirato gli interessanti
lavori già eseguiti dall’Impresa, il nostro
podestà cav. avv. Nicola Orfeo ha proceduto alla posa della prima pietra della
briglia di presa, indi il reverendo don
Vincenzo De Francesco ha impartito la
santa benedizione alle sorgenti.
Dopo la cerimonia l’ing. Cicchitti ha
offerto un ricchissimo rinfresco, servito
dalla premiata Ditta Piretti Federico,
che anche in questa occasione ha rivelata tutta la sua arte nei finissimi lavori in
pasticceria.
Sono stati inaugurati i lavori dell’acquedotto di Atessa.
Subito dopo l’aggiudicazione, l’impresa iniziò, sin dall’autunno, i saggi e
le ricerche per la determinazione delle
sorgenti. Con difficoltà non lievi, malgrado l’invernata insolitamente rigida, i
lavori sono stati continuati, sino a raggiungere, con sbancamenti e movimenti di terra rilevanti e demolizioni di
imponenti massi rocciosi, il piano
impermeabile di argilla compatta, sul
quale poggiano i banchi rocciosi fessurati, attraverso i quali defluiscono le
abbondanti sorgenti.
L’inizio di queste importanti opere è
stato ieri festeggiato dall’intelligente ed
attivo appaltatore ing. Luigi Cicchitti,
un professionista che deve tutto a se
stesso e che onora veramente la sua
città.
Il podestà cav. avv. Nicola Orfeo ha
posta la prima pietra, che il sacerdote
don Vincenzo De Francesco ha benedetta.
Dopo una minuziosa visita alle sorgenti ed ai lavori, invitati ed operai
sopra una spianata verde han consumato, con un appetito che la fresca aura
montanina aguzzava, montagne di
panini, pieni d’ogni ben di Dio, paste e
vermouth e vino e champagne.
Nessun discorso, ché il gorgoglio
festoso delle sorgenti cantava l’impareg-
giabile inno alla natura ed all’uomo;
solo dei possenti “alalà” all’ing. Cicchitti e molti auguri per la sua bella opera.
Tra gl’invitati: il podestà cav. avv.
Nicola Orfeo, il vice podestà dott. Luigi
Rancitelli, l’avv. Domenico Ferri, il
comm. Tito Codagnone, il cav. uff.
Luigi Iovacchini, il cav. dott. Giovanni
De Marco, il cav. uff. Giulio Borrelli, il
dott. Mario e Guido Serafini, il cav.
avv. Alfredo De Francesco, il dott. Giuseppe Ferri, il sig. Giovanni Iovacchini,
i dottori Giannetto Giannico e Nino
D’Onofrio, il sig. Giovanni Rossi, i
signori Giuseppe Giannico, Panfilo
Ciancaglini e Franceschino Marcone, il
segretario del Comune Sulmonetti, il
sig. Filippo Flocco.
Gli onori di casa, oltre che dall’ospite, venivano fatti dal figliolo Luzio, dal
cugino Domenico Cicchitti e dal sig.
Mario Piccirilli.
Mentre si svolgeranno con alacre
lavoro le opere di presa delle sorgenti, si
porrà mano alla costruzione del grande
serbatoio, che sorgerà nella località
“Pietragrossa”, e alla posa delle tubazioni dell’ultimo sifone.
L’ing. Cassio De Marco, direttore dei
lavori, sta intanto redigendo il progetto
della fognatura, necessario complemento dell’impianto e della distribuzione
delle acque.
Il Popolo di Roma, 29 maggio 1929.
Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, 2 giugno 1929.
167
Gli invitati alla cerimonia della posa della prima pietra.
Il rinfresco.
168
Le feste patronali di mezz’agosto
Quattro
giorni attesi per tutto l’anno: un’occasione per
evadere dalla dura normalità e concedersi momenti di
svago e divertimento, per riallacciare ed estendere relazioni sociali, trovare stimoli culturali, concludere affari, rinnovare il tributo di devozione ai
Nelle
Santi Patroni.
feste di un tempo, molte iniziative oggi del tutto
abbandonate: le cuccagne, le riffe, i voli di palloni aerostatici, le fiaccolate, le tombole, le gare di tiro alla fune, i
panegirici predicati da valenti oratori, le mostre dei doni
offerti ai
Santi, le grandi fiere di bestiame.
Un’orazione a S. Rocco e l’immagine del Santo a ricordo delle feste patronali del 1899.
Glorioso S. Rocco,
che, colpito da morbo pestilenziale nell’atto di servire ad altri infetti e posto da Dio
alla prova de’ più spasmodici dolori,
domandaste ed otteneste di essere posto
lungo la strada, indi da quella scacciato
fuori dalla Città vi ricoveraste in povera
capanna, ove da un angelo vennero risanate le vostre piaghe e da un cane pietoso
ristorata la vostra fame, recandovi ogni
giorno un pane tolto alla mensa del suo
padrone Gottardo,
procurate
a tutti e specialmente a questo popolo di
Atessa, tanto a voi divoto, la grazia di
soffrire con inalterabile rassegnazione le
infermità, le tribolazioni, le disgrazie
tutte di questa vita, aspettando sempre
dal ciel il necessario soccorso. – Gloria.
169
Manifesto del 1899 con il programma dei festeggiamenti.
170
Il banditore.
[...] Ed ecco sulla piazza che il nobile
banditore fa sentire i gravi squilli del
suo corno; tutte le orecchie sono tese e
ansiose, da quelle del pacifico speziale a
quelle del moccioso garzone. Si fa silenzio intorno. E il banditore, tra il serio e
il grottesco, declama il magico programma della festa in onore dei Santi
Patroni del paese con le Madonne
Miracolosissime della Cintura e della
Piana, della Libera e del Carmelo. Ed
avverte tutta la cittadinanza che l’alba
del domani sarà salutata dal suono di
tutte le campane e spari di mortaretti,
seguiti dal grandioso bombardamento
del re della pirotecnica abruzzese; che si
sentirà tosto la reale marcia e il passo
doppio della grande banda di Pescasseroli; che il giro della città sarà fedelmente eseguito dalla banda rinomata di
Castelguidone.
E tra gli sgarri e gli sfondoni, egli
scandisce le frasi mirabolanti imparate
a memoria: «Si avverto tutta la cittadinanze ch’a dumane, appena jouorne,
s’abbalange tutte le campane e s’appiccie il grando sparatorio nghi quaranta
crolle di mattarielli aunite a un finalo
di cinquanta chicoccie tra mortale e
bomm’a risposte. Signori miei, si avverto che il finalo è state composte dal
grande matto di Perano, vincitore de lu
Casale e re de l’artificio». E qui calca le
parole: «Li deputate della festa mandano il salute alle cittadinanze».
E il banditore va seguitando la sua
cantilena, annunciando le processioni, i
divertimenti popolari, i pezzi di musica
in piazza, le solenni funzioni in chiesa,
lo scoppio di granate, gl’incendi di fuochi pirotecnici, la musica sacra, il panegirico di un valente oratore, i vespri
solenni e le riffe e i bombardamenti
colorati.
Il corno suona a più riprese, mentre
il venticello serotino ne porta gli echi
giù nelle valli, su per i colli, sino alle
borgate vicine. E il buon popolo, fatti i
commenti necessari, se ne va beatamente a dormire, sognando i godimenti che
l’alba del novello giorno porterà a ricchi
e poveri, a mercanti ed artigiani [...]
Dino Cicchitti
Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, 18 luglio 1926.
La fiera.
[...] È la festa, è la fiera. È il risveglio
di tutta la vallata del Sangro, è il fremito di voluttà che corre tra le corolle
odorose dei fiori campestri ergentisi
superbi sullo stelo.
La folla più variopinta si aggira per la
fiera, ed è un gridìo assordante; là, il
mercante di maiali protesta per il prezzo, mentre il garzone vestito a festa
sfugge al torsolo di ravizzone tiratogli
dalla donna fruttivendola per averle
preso di sotterfugio una manciata di
lupini; qui, la sposa, agghindata come
una madonna, fa le lunghe con un
rivendugliolo per avere a minor prezzo
un anello di oro grosso; là, una contadina, con la toccata di seta striata a vivi
colori, contratta ad alta voce una coppia di pollastri, ed il “bardascia” con la
coppola nuova dà fiato al palloncino
col fischietto, ed il cittadino autorevole
parla con enfasi di questioni demaniali.
Padroni e garzoni hanno messo in
buon assetto le loro merci; il calderaio
171
ha disposto con ordine e simmetria le
sue conche e i suoi paiuoli luccicanti, il
negoziante ha messo in bella mostra le
sue stoffe, il ferraio le sue catene e i suoi
arnesi agricoli.
Si vede una gran folla intorno ad un
tavolo sgangherato, su cui è seduta una
donna bendata: è la sonnambula che
indovina il futuro [...]
Dino Cicchitti
Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, 18 luglio 1926.
Festa di S. Rocco del 1925.
172
Sport, musica bandistica e spettacoli pirotecnici, le principali attrazioni
del Ferragosto Atessano 1933 e 1937.
173
174
Poesia di Giuseppe Antonio Di Nenno per le feste di S. Rocco del 1933.
LA FESTE DI SANT’ROCCHE
L’annuale contributo degli “affezionati” concittadini d’America.
Con la solita puntualità gli atessani di Filadelfia hanno fatto pervenire il loro
generoso contributo annuale per le nostre feste patronali di mezz’agosto. Il Comitato
promotore di Filadelfia, formato di attivi componenti quali sono gli amici Falcucci
Nicola, D’Onofrio Michelangelo, Pompetti Angiolina, Pascucci Beniamino e la
vedova del compianto Filippo Zaccagni, ha fatto già pervenire per le feste di
quest’anno il contributo di dollari 434,25, pari a lire italiane 269.235.
Questa generosa contribuzione annuale degli affezionati concittadini di America
deve essere di sprone e di incitamento per il Comitato locale, onde mantenere le
feste di S. Rocco all’altezza delle sue tradizioni.
San Rocco è festa classica per tutta la comunità atessana; in questa celebrazione,
materialmente od in spirito, tutti i figli di Atessa si ritrovano nella loro Città.
L’Altoparlante, agosto 1957.
175
Una mostra d’arte e una “sagra” folcloristica tra le manifestazioni del
Ferragosto Atessano 1949.
Ferragosto atessano 1949
15, 16, 17, 18 agosto
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Audizioni musicali
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Gare
di fuochi pirotecnici a premi.
Manifestazioni
sportive,
grande fiera gastronomica,
lotterie speciali e divertimenti vari.
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Spettacolare sagra della canzone abruzzese, patrocinata da “Il Momento” e diretta dal maestro Cav. Antonio Di
Iorio, con una fantasmagorica sfilata di carri allegorici
(18 agosto, ore 18).
Il Momento, 13 agosto 1949.
176
Volantino con le manifestazioni in programma per le feste patronali del
1966.
177
L’ i n c r e m e n to d e ll a p r at i c a
sportiva negli anni ’30 del secolo
scorso
Si
svolgevano frequentemente , specie durante le feste
patronali, competizioni di vario genere: tornei di calcio,
corse ciclistiche e ippiche, gare di tiro al piattello, di atletica leggera, di tiro alla fune.
Determinante per lo sviluppo dello sport fu la costruzione
del campo di gioco sul Colle S. Cristoforo prima e a Fontecicala poi.
“Per lo sviluppo dell’educazione fisica della gioventù cittadina”, un
campo sportivo – il primo in Atessa – sul Colle S. Cristoforo, in un’area
un tempo adibita a cimitero (Delibera Podestarile 18 luglio 1929).
Il Podestà Cav. Avv. Nicola Orfeo
• Ritenuta la necessità imprescindibile ed improrogabile di provvedere alla
costruzione di un campo sportivo per lo sviluppo della educazione fisica della
gioventù cittadina;
• Considerato che, stante la posizione naturale del paese sulla cresta di una collina terminante quasi a picco da tutti i lati, non è stato possibile trovare nelle
vicinanze immediate un sito adatto che, mentre non si tenesse molto lontano
dall’abitato – il che sarebbe non agevole né opportuno –, non richiedesse
spese enormi per ridurlo in piano;
Che perciò è sorta l’idea di costruire il campo sportivo su una spianata comunale nel Colle S. Cristoforo vicinissimo ed attiguo al paese, ove era un antico
Cimitero abbandonato da quasi un cinquantennio;
• Ritenuto che in tale occasione si può realizzare un nobile e pietoso voto della
intera cittadinanza, di togliere cioè le ossa dei suoi avi da un luogo abbandonato e ridotto quasi immondo per raccoglierle e religiosamente riporle nel
nuovo Cimitero;
• Visto che su tale sito indicato dall’Amministrazione l’ingegnere cav. Luigi Di
Iorio si è offerto di eseguire gratuitamente un progetto di campo sportivo, e
con ammirevole sollecitudine lo ha presentato redatto in data odierna;
• Esaminato il detto progetto in ogni sua parte [...]
178
• Visto che il detto progetto ammontante alla complessiva somma di lire ventiduemila (L. 22.000) merita approvazione;
• Ritenuto che la suddetta spesa è contenuta in limiti possibili a sostenersi dal
corrente bilancio, in modo da non doversi ricorrere a mutui, il che importerebbe ancora ritardo di tempo [...]
determina
• Approvare in ogni sua parte il progetto in data di oggi dell’ingegnere Luigi
Di Iorio, per la costruzione di un campo sportivo nel Comune di Atessa, per
la somma complessiva di L. 22.000 [...]
• Provvedere al finanziamento dell’opera con i mezzi del bilancio corrente
1929 [...]
Il campo sportivo sul Colle S. Cristoforo, subito dopo l’ultimazione dei lavori di costruzione.
179
1931 - Incontro di calcio nel campo sportivo sul Colle S. Cristoforo.
Tessera d’iscrizione, relativa all’anno 1930, rilasciata ad un suo socio dal
Club Sportivo “Pro Atessa” aderente al Dopolavoro Comunale.
180
Le manifestazioni sportive del Ferragosto Atessano degli anni 1933, 1934
e 1937.
181
182
Giorno 17 agosto 1934
Corsa ciclistica “II Coppa Città di Atessa”
Valevole quale seconda prova del Campionato Abruzzese Dilettanti
L’entusiasmo degli sportivi e l’interessamento della cittadinanza per il felice esito
della “I Coppa Città di Atessa”, che si corse durante le feste del ferragosto del passato anno, hanno costituito lo sprone perché s’indicesse anche quest’anno una competizione dello stesso genere. Si è accollato questa volta il compito dell’organizzazione
il Fascio Giovanile di Combattimento, che già si è messo al lavoro perché la corsa
riesca imponente ed assuma vera figura di manifestazione valida per la misurazione
delle capacità dei partecipanti e per la valorizzazione di qualche elemento avente
requisiti ed attitudini speciali, finora allo stato latente.
Il percorso scelto è quanto mai indovinato: la prima parte, e cioè i primi 34 chilometri fino a Castiglione, darà modo agli arrampicatori di sbizzarrirsi nei seicento
metri di dislivello da superare; la seconda parte, anch’essa di 34 chilometri fino al
bivio di Liscia, costituirà il cavallo di battaglia dei temerari dell’equilibrio e della
velocità; l’ultima parte, di chilometri 40, contraddistinta dalla intermittenza di
discese e salite e dalla presenza di un gran numero di curve a raggio bassissimo (di
speciale rilevanza quelle di Gissi, Carpineto e Casalanguida), solleciterà nei corridori
la mobilitazione sincronica della perizia, dell’astuzia e della resistenza. Dal punto di
vista tecnico, perciò, il percorso si rivela ottimo.
Insuperabile esso è poi dal punto di vista panoramico: boschi meravigliosi dalla
gradevole frescura, rocce mastodontiche, valli ubertose di ortaggi fiancheggiano la
strada; panorami incantevoli danno all’occhio il senso dell’ammirazione e dell’estasi.
I migliori corridori della regione hanno già inviato la loro entusiastica adesione:
Falcone, Diodati, De Panfilis figurano già tra gl’iscritti, che finora hanno raggiunto
il numero di venti.
Anche i paesi attraversati dalla corsa hanno aderito all’invito ed interessamento di
questo Fascio Giovanile ed hanno stabilito premi di traguardo come appresso: Tornareccio L. 50, Montazzoli L. 50, Carunchio L. 50, San Buono L. 50, Gissi L. 50,
Carpineto L. 20, Casalanguida L. 25. Premi di traguardo vi saranno anche a Castiglione, Guardiabruna e Torrebruna, ma non ancora ci pervengono le cifre esatte, che
saranno comunicate ai corridori prima dell’inizio della corsa.
Ci risulta ancora che molti appassionati seguiranno la corsa in automobile ed allo
scopo hanno fatto già pervenire al Comando di questo Fascio Giovanile domanda
per ottenere l’autorizzazione prevista dal regolamento.
Tutto quindi lascia prevedere una giornata sportiva meravigliosa: la “II Coppa
Città di Atessa” sarà indubbiamente la migliore e la più interessante fra le prove del
Campionato Abruzzese.
Il Ciclismo, 13 agosto 1934 - XII.
183
Giorno 16
37
agosto 19
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Giorno 18 agosto 1937
Gara ciclistica per corridori indipendenti, dilettanti e Giovani Fascisti
1ª Coppa
“Medaglia d’Argento Tano Sante”
Valevole per il campionato abruzzese dilettanti
Percorso:
Atessa - Tornareccio - Archi - Perano - Piazzano - S. Luca - Atessa - Tornareccio B. Colledimezzo - B. Montazzoli - Castiglione M.M. - B. Guardiabruna - Torrebruna Carunchio - B. Liscia - B. S. Buono - Gissi - B. Carpineto Sinello - Casalanguida - Atessa
(Km. 138,2).
Premi:
Classifica generale: al 1. L. 500 - al 2. L. 250 - al 3. L. 100 - al 4. L. 75 - al 5. L. 60 al 6. L. 40 - al 7. L. 25 - all’8. L. 20 - al 9. L. 15 - al 10. L. 15.
Categoria inferiore: al 1. L. 40 - al 2. L. 20 - al 3. L. 10. Al 1. Giovane Fascista arrivato
L. 30.
Premi di traguardo: Tornareccio (1º passaggio) al 1. L. 20 - Archi al 1. L. 30 - Perano al
1. L. 30 - Piazzano al 1. L. 30 - S. Luca al 1. L. 20 - Tornareccio (2º passaggio) al 1.
L. 30 - Bivio Montazzoli al 1º L. 30 - Castiglione M.M. al 1º L. 50 - Torrebruna al
1. L. 40 Carunchio al 1. L. 50 - Bivio S. Buono al 1. L. 30 - Gissi al 1. L. 40 - Bivio Carpineto
Sinello al 1. L. 30 - Casalanguida al 1. L. 30. Premio di L. 50 al movimentatore della
gara.
184
Atessa e i suoi figli illustri
Ettore Janni (1875-1956)
Redattore per 23 anni al “Corriere della Sera”, di cui all’indomani della caduta del fascismo fu anche direttore per un
brevissimo periodo, si affermò come uno dei giornalisti italiani di maggior prestigio del suo tempo.
libri di successo.
Ebbe
anche, come
Fu autore di molti
deputato liberale, una
breve esperienza di vita parlamentare.
Tra letteratura e giornalismo.
1) La formazione e l’esordio (1895-1902).
Fin dagli anni della giovinezza, Ettore Janni si divide tra letteratura e giornalismo,
caratteristica che lo accompagnerà per tutto l’arco della sua esistenza.
In entrambi i campi, riuscirà a conquistare vasta popolarità presso i suoi contemporanei. Giornalista, sarà una delle principali e più produttive firme del “Corriere
della Sera” di Luigi Albertini. Scrittore, sarà un prolifico e fortunato autore di biografie che godranno di notevole successo: il suo In piccioletta barca, per molte
generazioni, costituirà il primo approccio a Dante.
Janni esordisce, nel 1895, in Abruzzo,
nella duplice veste di scrittore e giornalista.
Lo scrittore pubblica, ventenne, la
novella Vecchia fede a Chieti. Nello stesso anno, dà alle stampe una raccolta di
versi, Accordi lirici, in cui si avverte
netto l’influsso carducciano.
Il giornalista, intanto, collabora al
giornale Domani, diretto dall’anarchico
(tale almeno lo definisce la Regia Prefettura di Chieti) Camillo Di Sciullo.
Lo stesso Janni, nei rapporti, viene
qualificato come “socialista schedato”.
Ettore Janni
La collaborazione con Domani termina
Olio su tela, di Nicola De Francesco, 1992, Biblioteca
Comunale.
nel 1898.
185
Janni intanto si trasferisce a Napoli e in seguito a Firenze, dove si trattiene sino al
1901. Qui fonda e dirige Il Novello, giornale dalla brevissima esistenza che cessa le
pubblicazioni nel 1900.
L’anno successivo, nel 1901, Janni si trasferisce a Milano e prende a collaborare
con il quotidiano La Lombardia. È, anche questa, una collaborazione di breve durata
perché il giovane Janni, che nel frattempo è divenuto liberale (posizione politica,
questa, che il giornalista-scrittore conserverà per tutta la vita), viene notato da Luigi
Albertini, che lo assume al “Corriere della Sera”.
Il periodo di formazione di Janni è importante perché, negli anni giovanili, prendono corpo tre costanti della sua attività: un giornalismo “di intervento” più che di
cronaca, come è del resto nel costume dell’epoca; un forte interesse per la letteratura,
che lo porterà a farsi apprezzato scrittore in proprio e, come giornalista, creatoredemiurgo del gusto letterario dell’epoca; un forte attaccamento alla sua regione natale, l’Abruzzo, che lo accompagnerà nell’arco degli anni: all’Abruzzo Janni ha dedicato molti articoli e molti saggi.
2) Il “Corriere della Sera” di Albertini (1902-1925).
Ettore Janni, come abbiamo detto, entra al “Corriere della Sera” nel 1902. Vi
rimarrà per ventitre anni e lo lascerà nel 1925 quando il proprietario-direttore, Luigi
Albertini, viene estromesso dal fascismo che, superato il punto critico del delitto
Matteotti, si avvia a diventare regime.
Nel complesso, Ettore Janni è in sintonia di vedute e di umori con Albertini,
anche se fra i due le differenze di opinioni, anche su questioni importanti, non mancano (Janni, per esempio, avversa il fascismo dal primo momento, a differenza di
Albertini).
E nel “Corriere della Sera”, che proprio allora acquisisce la sua statura, Janni svolge un’attività multiforme scrivendo, per molti anni, anche due articoli al giorno.
È, tanto per incominciare, l’elzevirista principe del quotidiano milanese: quasi
tutti i giorni, i lettori vanno alla ricerca del suo pezzo, firmato “Praetor de minimis”.
È, inoltre, uno dei principi della terza pagina, uno degli scrittori che più contribuiscono a plasmare il gusto del pubblico. A settimane alterne, pubblica articoli
piuttosto lunghi dedicati alle novità librarie. E il suo parere, nel mondo letterario,
conta: secondo gli storici del giornalismo, la figura di Janni come critico letterario
godette di molto prestigio e venne ricordata a lungo anche dopo il suo abbandono
del “Corriere”. Riuscì a soppiantarlo, molti anni dopo, soltanto Pietro Pancrazi.
Janni è, infine, un notista politico importante per comprendere gli umori del
tempo e i dissidi che agitavano il campo liberale. Alcuni suoi editoriali antigiolittiani
(quello contro il discorso del Dronero, per esempio, dove Giolitti viene definito “il
bolscevico dell’Annunziata”) sono tuttora citati.
Alla politica Janni non si dedica soltanto da commentatore: eletto deputato di
Chieti alla XXV legislatura, nel 1919, si iscrive al “Gruppo di Rinnovamento”, fondato dagli ex combattenti. L’esperienza parlamentare gli ispira un libro di notevole
interesse, Memorie di un deputato, edito nel 1921 da un editore ai primi passi: Arnol186
do Mondadori.
Tra il 1922 e il 1925 Janni partecipa alla fondazione del partito liberale. Nel
1924, è uno dei sottoscrittori del “manifesto degli intellettuali” redatto da Benedetto
Croce in contrapposizione al “manifesto degli intellettuali fascisti” di Giovanni Gentile.
Sempre in quel periodo, Ettore Janni è uno degli esponenti più in vista dell’Associazione dei Giornalisti, il sindacato della categoria.
A partire dal 1925, dopo l’abbandono del “Corriere”, comincia per Janni un
periodo ai margini della professione, che durerà sino al 1943.
3) L’esilio in patria (1926-1943).
Lasciato il “Corriere”, Ettore Janni si terrà ai margini del giornalismo per quasi un
ventennio: saltuarie – e poco impegnative – collaborazioni con un quotidiano torinese (La Stampa? La Gazzetta del Popolo? I biografi non lo riportano), la direzione
di una rivista destinata ai medici, Il giardino di Esculapio.
Si tratta di un’esperienza, quest’ultima, meno stravagante di quanto a prima vista
possa sembrare. Il giardino di Esculapio infatti, nonostante il nome, non è una rivista
medica in senso stretto; anzi, di tecnico non ha niente. È, piuttosto, una rivista di
umanità varia, dove il talento dello Janni elzevirista e glossatore dei classici rifulge. Il
giardino di Esculapio, durante il ventennio, diventa per Janni, che oltre a dirigerlo lo
redige quasi tutto lui, la principale risorsa economica.
Parallelamente, si sviluppa l’attività dello scrittore. Nel 1924, appaiono due libri
fortunati, Colombo e In piccioletta barca. Libro della prima conoscenza di Dante, editi
entrambi da Alpes. Nel 1925 è la volta di Savoia (Bertieri e Vanzetti), a cui fanno
seguito nel 1927 Machiavelli (Cogliati) e Le vie del santo. Spiriti e luoghi del poema
francescano (Istituto Italiano di Arti Grafiche).
Dopo questi libri, c’è un periodo di silenzio che dura per nove anni. Viene interrotto, nel 1936, dalla pubblicazione di Rapsodia abruzzese (Moneta) e, nel 1940, da
Vita di Antonio Raimondi (Mondadori). Oltre a queste opere, l’impegno letterario di
Janni in questo periodo è testimoniato dalla traduzione di due opere francesi di
Gabriele D’Annunzio (Il martirio di San Sebastiano e La Parisina).
La vita di Ettore Janni che è più agevole documentare, per il periodo 1926-1943, è
tutta qui. Quanto all’impegno politico, si sa che il Casellario Centrale continua ad
essere alimentato da rapporti che lo descrivono “avverso al Governo fascista”. In una
delle sue opere, lo storico Tranfaglia cita di sfuggita Ettore Janni come uno dei promotori del nucleo originario di Giustizia e Libertà, nel 1929: del giornalista abruzzese
però non appare traccia nelle vicende successive dell’opposizione antifascista. È verosimile pertanto che egli, come molte altre figure del liberalismo prefascista, si sia limitato
al dissenso intellettuale senza però impegnarsi in attività politiche specifiche.
4) La fine del fascismo, la Resistenza e il dopoguerra (1943-1956).
Il 25 luglio 1943, Ettore Janni viene chiamato dai Crespi, proprietari del “Corriere della Sera”, a dirigere il quotidiano milanese. La sua vicenda di direttore durerà
187
per i quarantacinque giorni che vanno dal 25 luglio all’8 settembre.
La nomina di Janni a direttore, voluta dalla proprietà nell’illusione di far rinascere un “Corriere” prefascista, è avversata dai redattori più giovani, che vorrebbero al
suo posto oppositori al regime un po’ più impegnati. Il brevissimo periodo della
direzione Janni non lascia comunque molte tracce, anche perché, con il razionamento della carta, i quotidiani di allora, “Corriere” compreso, sono ben misera cosa: due
pagine scritte e stampate alla meno peggio.
L’8 settembre del 1943, Ettore Janni ripara in Svizzera, dove darà vita a un giornale di profughi antifascisti, L’Italia e il Secondo Risorgimento. Molti degli scritti di questo periodo confluiranno nel volume L’Italia ieri e domani (Dall’Oglio, 1946).
Con la Liberazione, Janni ritorna a Milano, dove dirigerà sino al 1946 il quotidiano liberale L’Italia, sostituendo Giustino Arpesani.
Poi, il ritiro definitivo dal giornalismo attivo: continuerà a collaborare a quotidiani e periodici lombardi (Corriere Lombardo, Il Sabato del Lombardo), prenderà parte
all’attività associativa della categoria (nel 1950, al terzo congresso della stampa italiana, interviene sull’etica giornalistica), ma la sua attività prevalente tornerà ad essere
quella di scrittore.
Quattro, oltre al volume citato, i libri di Ettore Janni editi nel dopoguerra: Galileo
(Ed. Genio, 1948), Elogio di Luigi Albertini (Stamperia Artistica Nazionale, 1952),
Un tempo, un uomo: Bartolo Belotti (Ceschina, 1952) ed il romanzo postumo Il
secondo uomo (Zambolin, 1958).
Assieme all’attività di scrittore Janni si dedica in quel periodo all’opera di curatore
di classici. Curati da lui, Rizzoli pubblica il Marco Visconti di Tommaso Grossi
(1953), Il Principe di Nicolò Machiavelli (1950) ed i Ricordi di Francesco Guicciardini (1951). L’ultimo lavoro di Ettore Janni come curatore di testi letterari è il
monumentale Poeti minori dell’Ottocento pubblicato in due volumi, sempre da Rizzoli, nel 1955-58.
L’ultimo periodo di attività di Janni va inquadrato nel clima di mutamento che
caratterizza la stampa italiana. Liberata dal bavaglio della censura fascista, la stampa
italiana abbandona il modello del “giornalismo di opinione” che, ereditato dall’Ottocento, l’aveva contraddistinta soprattutto durante il periodo giolittiano. Per il
pubblico assetato di novità del dopoguerra emergono, in campo politico, nuove
formazioni che relegano il partito liberale ad un ruolo marginale; e in campo giornalistico si afferma la figura del cronista, del “narratore di fatti”. Per Janni, in questo panorama, c’è sempre meno spazio: continuerà ad occupare un ruolo dignitoso
ed importante di giornalista-scrittore, ma sarà quest’ultimo aspetto della sua attività
a prevalere.
Nadja Bartolucci
Roberto Casalini
Gian Marco Walch
Proposta di schema per un Convegno di Studio su Ettore Janni, Dattiloscritto inedito, 1984.
188
Atessa e i suoi figli illustri
Giuseppe Menotti De Francesco
(1885-1979)
Provveditore agli Studi a 27 anni, sei volte eletto alla carica di rettore dell’Università di Milano, deputato al Parlamento, presidente o componente del consiglio direttivo di
prestigiose istituzioni culturali, giurista insigne, autore di
innumerevoli pubblicazioni.
Una vita di studio e di laboriosa attività, costellata di grandi traguardi.
Nato ad Atessa, studiava da sé, mentre insegnava, per ottenere la licenza liceale.
Laureato in legge, era nominato per concorso segretario al Ministero della Pubblica Istruzione.
Provveditore agli Studi a 27 anni, prima a Reggio Calabria e poi a Catania, a
seguito di concorso nazionale.
Già Libero Docente di diritto amministrativo e scienze dell’amministrazione,
ebbe all’Università di Catania l’incarico di
diritto costituzionale.
Nei primi mesi del 1918, durante la
prima guerra mondiale, mentre era Provveditore a Catania, fu scelto dal Capo del
Governo Vittorio Emanuele Orlando a
capo della censura della stampa di Milano.
Dopo la soppressione degli uffici autonomi di censura nella stampa, nel settembre 1919, per quanto lusingato nel suo
amor proprio da una possibile più alta
destinazione offertagli dal Presidente
Nitti, si dimise anche da Provveditore per
riprendere gli studi sospesi. Dopo pochi
anni, era professore di ruolo nelle Università di Urbino, Messina, Pavia e Milano
in diritto amministrativo o diritto costituzionale.
Preside della facoltà di legge dell’Uni- Giuseppe Menotti De Francesco,
versità di Milano dal 1935 al 1943 e suc- nelle vesti di Rettore dell’Università di Milano.
189
cessivamente Rettore, rieletto per sei trienni consecutivi.
Eletto Senatore nel II collegio di Milano e Deputato nel collegio Bari-Foggia.
Componente del Primo Consiglio
Superiore della Magistratura sino al 1963,
ne presiedette tutte le commissioni.
Presidente della Conferenza permanente dei Rettori delle Università italiane
dalla fondazione, confermato sempre dai
colleghi anche dopo il collocamento a
riposo.
Presidente dell’Accademia Lombarda di
Scienze e Lettere e, per oltre 22 anni,
dell’Istituto del Medio ed Estremo Oriente (IS.M.E.O.), sorto a Milano a sua iniziativa per la diffusione della cultura e
delle lingue giapponese, cinese, hindi,
arabo, russo.
Presidente dell’associazione dei cittadini
benemeriti del Comune e della Provincia
di Milano.
Componente del Consiglio Direttivo
del Centro Nazionale di Prevenzione e
Difesa Sociale, del Consiglio Superiore
delle Accademie e Biblioteche presso il
Ministero della Pubblica Istruzione e
dell’Unione Nazionale delle Accademie.
Già componente del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione e dell’Ordine degli avvocati di Milano.
Fu autore di oltre 80 pubblicazioni in
diritto amministrativo, costituzionale,
internazionale, di parecchi discorsi parlamentari ed extraparlamentari e di molte
relazioni inaugurali degli anni accademici
dell’Università, dell’Accademia Lombarda
di Scienze e Lettere, dell’ IS.M.E.O. e di
altre istituzioni.
Giuseppe M. de Francesco, Una vita dedicata alla
Scuola e al Paese, Edizioni Virgilio, Milano 1974,
risvolti di copertina.
190
Busto di bronzo elevato a Giuseppe Menotti De
Francesco all’entrata principale dell’Università
di Milano.
Pagine autobiografiche:
L’infanzia e la fanciullezza in Atessa.
Una nascita da modesti genitori la mia: una mamma maestra elementare giovanissima di appena ventidue anni e un papà presso a poco della stessa età, semplice scrivano avventizio del Comune di Atessa, ove sono nato, centro piuttosto importante a
quei tempi, con una popolazione di oltre diecimila abitanti comprese le frazioni e,
come tale, tra i comuni più popolati della provincia di Chieti, dopo il capoluogo
della provincia e i comuni di Lanciano e di Vasto, allora entrambi capiluogo di circondario.
Il bambino si mantenne sano e rigoglioso nei mesi che seguirono alla nascita, se
non che, ad un certo momento, una precocità insolita nella pronuncia delle prime
parole, una precocità che meravigliò il medico di casa, e si diffuse a parenti ed amici
in tutto il vicinato, determinò, dopo breve periodo, una grave menomazione del fisico del bambino e un arresto così grave precisamente nella parola, arresto che durò
per quasi due anni, suscitando profonda preoccupazione nei genitori e nei parenti.
Finalmente il fisico si riebbe, la parola tornò e fu una festa che il papà, la mamma, i
nonni ricordavano ancora con commozione quando io ero ormai più grandetto e
frequentavo le scuole elementari.
E a scuola, dalla prima elementare alla quinta, dicono che ero davvero uno scolaro
non comune: sempre attento, pronto, disciplinato, sempre primo della classe con
distacco sensibile dai compagni anche bravi. Soprattutto nel comporre non avevo
rivali, e questo lo dovevo in gran parte alla mamma, che mi obbligava a leggere pagine e pagine di libri adatti alla mia età e alla mia preparazione, e a mandare a memoria brani di prosa scelta di letteratura infantile, che finivano col giovare a predisporre
quasi l’orecchio al periodare degli autori.
Ma se a scuola ero bravo e disciplinato, non altrettanto ero fuori della scuola. Qui
una vivacità persino eccessiva, una forza fisica esuberante, uno spirito talora audace e
orgoglioso non poteva non manifestarsi, e manifestarsi specialmente con i compagni
della stessa età anche se non compagni di scuola, e con questi ultimi non poteva non
avere qualche riflesso la consapevolezza del primato nella classe, che essi mi riconoscevano con onesta arrendevolezza. Nei giochi, nelle sfide, nelle lotte fanciullesche di
gruppi in contrasto, nelle iniziative più svariate, specie nei giorni di festa, nelle
marce con sciabolette e armi di canna ad imitazione dei soldati, quasi sempre unanime era la mia designazione al comando da parte dei compagni, ma se qualche volta
mancava o era contrastato questo riconoscimento, allora spesso testarda e prepotente
si affermava la mia ragione ed erano quasi sempre botte agli avversari ed oppositori e
si finiva male per tutti.
In famiglia da parte mia e di mio fratello Gigino, nato poco più di un anno dopo
di me, si doveva filare diritto: non era tanto il papà a trattarci severamente con scappellotti e peggio, ma lo faceva a tratti, e solo al momento in cui veniva a scoprire
certe nostre marachelle, mentre la severità della mamma era continuativa: erano rimproveri ad ogni passo falso, ammonimenti talora aspri, tal’altra affettuosi, ma assolu191
tamente immancabili, e soltanto in via eccezionale si manifestava attraverso qualche
schiaffo e qualche digiuno. Per fortuna la severità dei genitori era addolcita dalle preferenze dei nonni e della zia, la sorella di papà che viveva con noi, per i quali i due
nipoti erano la costante loro cura affettuosa e la generosa copertura delle tante
numerose scappatelle dei piccoli.
[...] un episodio mi sembra meritevole di richiamo, perché altamente significativo
per il domani del giovinetto. Questo: Si svolgevano le elezioni politiche col sistema
uninominale per la rinnovazione della Camera dei deputati. Ad Atessa, capoluogo
del collegio, passavano i candidati che, in comizi più o meno affollati, sostenevano la
loro candidatura. Fra questi candidati era l’on.le Giampietro, che credo fosse il
deputato uscente. Mio padre volle partecipare al comizio pro Giampietro, e condusse anche me ad ascoltare il discorso del candidato, che parlò dal balcone del palazzo
Spaventa, il palazzo del sindaco di Atessa, principale sostenitore di Giampietro. Cosa
disse l’oratore, io, giovinetto di nove o dieci anni, non compresi tutto, ma compresi
una parte, sia pure minima, forse perché espressa con parole più semplici e intelligibili. Tornato a casa sentii un bisogno irresistibile; salii su una sedia e mi diedi ad alta
voce ad imitare Giampietro nel gesto e a ripetere, con fare serio, come potevo, quel
poco che avevo capito del suo discorso, mentre il papà e la mamma e tutti di casa mi
ascoltavano sorpresi e ridendo insieme. Alla fine, sceso dalla sedia, mentre i miei mi
prendevano in giro, gridai alto e forte: « Vedrai, papà, che farò un giorno anch’io
come Giampietro, e parlerò anch’io dai balconi delle case come lui! ».
Profeta di se stesso quel bambino? Forse. Ad ogni modo, cinque anni dopo, proprio il giovinetto che, salito sulla sedia cinque anni prima, imitava l’on.le Giampietro e ne riferiva, come poteva, il discorso elettorale ai suoi cari sorpresi e ridenti, era
colui che commemorava ad Atessa, alla presenza delle autorità e della cittadinanza, la
morte di Sua Maestà il Re Umberto I assassinato a Monza nel 1900, suscitando la
sorpresa, ma anche l’ammirazione di tutti, anche se il discorso non poteva essere che
il discorso retorico di un modesto studente appena appena fornito del diploma della
scuola tecnica, conseguito brillantemente proprio in quei giorni.
I cinque anni della scuola elementare erano trascorsi ed io avevo conseguito brillantemente la relativa licenza. Si trattava ora di sapere che cosa fare di questo giovinetto promettente: avviarlo ad un mestiere o agli studi?
A quei tempi non vi era, al mio paese, che la sola scuola elementare, onde le famiglie che volevano che i loro figli continuassero gli studi alle scuole secondarie, dovevano decidersi a mandarli fuori di Atessa e a sopportare le relative spese. Non vi era
altra via.
Il problema, dopo la mia licenza elementare, si presentò così ai miei genitori; ma
il piccolo stipendio di L. 720 annue della povera maestra elementare, una somma
che oggi non è sufficiente come compenso del lavoro di una sola ora di una cameriera, e il pochissimo guadagno di mio padre, non incoraggiavano, certo, a sopportare
la spesa necessaria perché il primogenito potesse continuare gli studi fuori di Atessa.
E in famiglia la mamma, per una decisione positiva a favore del figlio, doveva
superare le resistenze di mio padre, il quale, preoccupato dei bisogni familiari, non
192
era sostanzialmente ben disposto per la continuazione degli studi da parte del primogenito, tanto più che, a distanza di poco più di un anno, seguiva l’altro figlio, cui
non poteva non farsi – e ciò sarebbe stato impossibile – lo stesso trattamento che si
faceva per me, anche perché mio fratello già dimostrava spiccata, notevole attitudine
per quegli studi di musica, per cui un giorno sarà apprezzato in America come direttore di orchestra nei primi anni dei trionfali richiami di Hollywood, e successivamente come autore di molte pubblicazioni nel campo della musica adatte all’ambiente americano. Si aggiunga che, proprio in quel tempo, era nato il terzo figlio
maschio, il che rendeva ancora più preoccupante una decisione come quella voluta
dalla mamma. Ma la fermezza di lei la fece tetragona nel suo proposito, e fu questa
fermezza, fu questa disposizione ad ogni privazione, ad ogni ostacolo materiale e,
occorrendo, ad ogni sacrificio, che consentì di superare l’indecisione dei famigliari e
permise il mio avvio agli studi secondari.
E qui sorse un’altra indecisione. Quale scuola secondaria iniziare? Bisognava scegliere tra la scuola tecnica ed il ginnasio, non essendovi allora funzionante una scuola media unica. La mamma e il mio maestro dell’ultima classe elementare riconoscevano che le prove date da me sino allora avrebbero chiaramente consigliato l’iscrizione al ginnasio, ma prevalse, e non poteva essere diversamente, date le condizioni
economiche della famiglia, l’iscrizione alla scuola tecnica, che avrebbe consentito
una più facile inserzione, una volta conseguito il relativo diploma di licenza, in qualche modesta forma di lavoro retribuito.
Ed eccomi studente alla scuola tecnica di Lanciano, città ad una quarantina di
chilometri distante da Atessa, e centro importante pure nel campo degli studi, dove
da poco era stato istituito anche un liceo classico pareggiato. L’anno scolastico trascorse alla scuola di Lanciano con risultati molto soddisfacenti, ma poteva trascorrere meglio se non fossi stato tormentato da una nostalgia del paese natio, della famiglia, dei vecchi compagni di scuola, che mi faceva soffrire non poco ad intervalli,
così che la stessa severità della mamma finiva col cedere, e consentire frequenti ritorni al mio paese, profittando della vicinanza tra Lanciano e Atessa e la relativa facilità
dei trasporti.
Per quanto la promozione dalla 1ª alla 2ª classe fosse avvenuta con votazioni brillanti in tutte le materie, specie in italiano, tuttavia la mamma pensò bene di evitare
un ritorno alla scuola tecnica di Lanciano, e sentì l’opportunità, nel mio interesse, di
mandarmi in collegio a vivere insieme con altri scolari, in una comunione più calda
di amicizie, e di scegliere una sede lontana da Atessa, senza vie di comunicazioni
agevoli e frequenti, in modo che, anche volendo, non sarebbero state facili le interruzioni di scuola col ritorno in paese ogni tanto e conseguente immancabile mio
danno. Fui così mandato ad Agnone, al Collegio Bonanni, un convitto privato che
godeva buon nome, non solo in provincia di Campobasso, di cui faceva parte il
comune di Agnone, ma anche nella mia provincia di Chieti, contigua a quella di
Campobasso [...]
Giuseppe M. de Francesco, Una vita dedicata alla Scuola e al Paese, op. cit., pp. 11 sgg.
L’invito, da parte di Mussolini, ad accettare la carica di
193
Ministro dell’Educazione Nazionale o della Giustizia
(27
maggio 1944).
Particolarmente lusinghiero e delicato fu l’invito ad accettare la carica di Ministro
dell’educazione o della giustizia che, il 27 maggio 1944, mi venne offerta dal capo
del governo della Repubblica sociale con una comunicazione scritta di propria mano
da Benito Mussolini e indirizzata al capo della polizia Parini, così formulata: «Caro
Parini, domandate al prof. de Francesco, rettore magnifico dell’Università di Milano,
se sia disposto ad accettare la carica di Ministro dell’Educazione Nazionale o della
Giustizia. Tutto ciò col massimo riserbo da parte vostra e sua. Mussolini».
Risposi ringraziando, come mio dovere, ma nel contempo facendo presente le mie
scuse se non potevo accettare, perché impegnato senza possibilità di sostituzioni per
la vita stessa dell’Università di Milano, la quale correva il rischio della chiusura e
della rovina se non avesse potuto contare sull’opera mia.
Giuseppe M. de Francesco, Una vita dedicata alla Scuola e al Paese, op. cit., pp. 163-164.
12-13 ottobre 1973 - L’ultimo soggiorno di Giuseppe Menotti De Francesco ad Atessa, in occasione delle onoranze rese dalla Scuola Elementare
alla memoria di sua madre, maestra Elisabetta De Marco.
Ad iniziativa della Scuola Primaria, la
cittadinanza di Atessa ha reso solenni
onoranze alla memoria della luminosa
figura della maestra Elisabetta De
Marco De Francesco, adorata madre del
Magnifico Rettore dell’Università di
Milano.
Al suo arrivo, il prof. Giuseppe
Menotti De Francesco veniva invitato
dal comitato organizzatore all’Hotel
Cicala, dove è stato servito un lauto
pranzo. Al levar delle mense, il pubblicista avv. Giuseppe Marcolongo brindava, con belle parole, in onore dell’illustre ospite tornato nel paese che ha l’orgoglio di avergli dato i natali. Il Professore lo ringraziava, abbracciandolo e
pronunziando commosse parole. Chiu194
deva la prima parte delle manifestazioni
il Sindaco prof. Benedetti con un
vibrante “bentornato” a nome della cittadinanza.
A sera veniva poi offerto un ricevimento al Circolo degli Amici e per l’occasione il dott. Nino Falcucci porgeva il
saluto suo e dei soci al prof. De Francesco. Faceva seguito un divertente recital
del dott. Di Nenno che, tra scroscianti
applausi, declamava le poesie dialettali
del padre.
Il mattino seguente nella sala consiliare, gremitissima, dopo un breve
intervento dell’Assessore alla P.I. prof.
Castronovo, pronunziava il discorso
ufficiale il Sindaco, che rievocava, in
brillante sintesi, i grandi meriti dell’in-
dimenticabile educatrice.
Subito dopo, un’altra significativa
cerimonia si svolgeva nelle scuole elementari, alla presenza del Vescovo Don
Benedetto Falcucci, di una larga rappresentanza della scolaresca, nonché
dell’élite della cittadinanza. Dopo un
bel coro di bambini, diretto da mons.
Giuseppe Pili, prendevano la parola il
Direttore Didattico prof. Giuliano
Sabàto, l’Ispettore Scolastico in rappresentanza del Provveditore agli Studi
impossibilitato a partecipare, l’Assessore
Regionale avv. Angelucci, l’ins. Antonietta Di Iorio e l’avv. Luigi Rancitelli.
Rispondeva a tutti, con forbito eloquio,
il prof. De Francesco. Nell’atrio della
scuola veniva, infine, scoperta la lapide
commemorativa.
Il merito delle riuscitissime manifestazioni va attribuito principalmente al
comitato organizzatore, egregiamente
presieduto dall’ins. Ivana Cinalli.
Per l’occasione è stato redatto un
giornale, con belle fotografie della Maestra e dei suoi tre figli, a cura di un
comitato composto da Ivana Cinalli,
Giuseppe Marcolongo, Nino Falcucci,
Nicola Simone, Tommaso Marcolongo,
Giovino Scogno, Adele Cicchitti, Diego
Castronovo, Nicola Colantonio e Gino
Pomilio.
La Voce, ottobre-novembre 1973.
13 ottobre 1973 - Giuseppe Menotti De Francesco festeggiato nella sala consiliare del Comune al suo
ritorno in Atessa in occasione dell’intitolazione della Scuola Elementare al nome di sua madre.
195
Miscellanea
3 aprile 1875 - Il Consiglio Comunale delibera la costruzione di un
nuovo cimitero, in conformità delle disposizioni emanate in proposito
dalle superiori autorità.
Presenti l’assessore anziano Giacinto Vaselli, facente funzioni di Sindaco, e i consiglieri Ciancaglini
Gennaro, Codagnone Nicola, De Francesco Tito, De Marco Tommaso, De Ritis Ernesto, Falcucci
Francesco, Falcucci Luigi, Ferri Tito, Flocco Filippo, Grumelli Francesco, Lizzi Tito, Marcolongo
Giuseppe, Mastrocecco Gennaro, Rossi Oreste, Rotolo Clemente, Rucci Tommaso, Spaventa cav.
Vincenzo.
Proposta dell’assessore anziano Giacinto Vaselli,
facente funzioni di Sindaco
È disposizione superiore che ogni Comune per tutto il volgente anno abbia
un cimitero costruito a sistema d’inumazione, e non di tumulazione espressamente vietata per ragion d’igiene, salva la eccezione di cui all’Art. 59 del Regolamento sulla Sanità Pubblica approvato con Regio Decreto 6 Settembre 1874,
N. 2120, per la sola parte dell’area riservata a sepolcri privati.
Questo novello cimitero, secondo le istruzioni date, dev’essere dieci volte più
esteso dello spazio necessario pel numero presunto de’ morti che debbono essere
sepolti in ciascun anno e dev’essere chiuso all’interno di un muro, in modo che la
sua area non può essere minore di metri quadrati 8.457,80, oltre lo spazio occorrente pei viali e oltre quello per le sepolture private, per la camera mortuaria e per
ogni altra fabbrica che si credesse aggiugnere, sia ad uso di cappella sia ad altro uso.
Per tutto il resto che riguarda tale costruzione potete leggere, oltre al citato
Regolamento che vi esibisco, la nota benanche del Signor Sotto-Prefetto del
Circondario, in data 25 Marzo ultimo, N. 1834, con la quale autorizzando la
vostra convocazione straordinaria ha dato delle delucidazioni in proposito.
Urgendo quindi di provvedere senz’altro a questo importante ramo di servizio, io v’invito a mettere a pronta disposizione della Giunta una competente
somma per la formazione del progetto d’arte del cimitero in parola e per la scelta del luogo in cui dev’essere costruito, mentre nell’attualità la cassa comunale
non presenta alcuna somma di cui si possa disporre, quantunque nel bilancio
corrente fosse stabilita la somma di L. 11.442,11 per tale costruzione.
Il Consiglio
• Lette le note del Signor Sotto-Prefetto del Circondario, in data 25 Marzo
ultimo, N. 1834;
196
• Letto il Regolamento sulla Sanità Pubblica approvato col Regio Decreto 6
Settembre 1874, N. 2120;
• Visto che nel Bilancio in corso è stanziata la somma di L. 11.442,11 in complesso per la costruzione di un cimitero in questo Comune [...]
• Attesoché la cassa comunale non presenta attualmente alcuna somma di cui si
possa disporre ed urge di far fronte alla spesa occorrente per la formazione del
parlato progetto e per la scelta del luogo ove debba essere costruito il cimitero
in discorso;
• Attesoché il Tesoriere Municipale, quando la cassa è in deficit, è tenuto a fare
degli anticipi in forza della deliberazione di esso Consiglio in data del dì 29
Gennaio ultimo, N. 85, superiormente approvata [...]
Delibera
Che il Tesoriere Municipale Sig. Floro Falcucci faccia l’anticipo di L. 500 al
Comune per la spesa del progetto d’arte del cimitero suddetto e per la scelta del
locale in cui devono gettarsi le sue fondamenta. Egli avrà diritto all’interesse
dell’uno per cento al mese sulla prefata somma di L. 500, conformemente alla
deliberazione del 29 Gennaio ultimo, N. 85.
Una croce in contrada Pili, a ricordo della “Missione” del 1900.
Per causa del cattivo tempo, non
prima di domenica 16 corrente poté
piantarsi la Croce nella contrada Pili,
come ricordo della Missione predicatavi
da Mons. Camillo Tiberio e dal suo fratello benedettino.
Quei buoni fedeli, avvertiti già la
domenica precedente, si fecero trovare
raccolti nella loro chiesina all’arrivo di
Mons. Tiberio, ricevuto con segni di
sentita riverenza ed affetto.
Dopo la celebrazione della S. Messa,
in cui vi fu opportuna omelia, mossero
verso il luogo destinato all’impianto
della Croce, recitando divotamente il
Santo Rosario.
Quivi giunti, si procedé alla benedizione ed alla adorazione della Croce;
dopo di che lo stesso Mons. Tiberio
rivolgeva alla devota adunanza un affettuoso fervorino.
Era veramente uno spettacolo edificante vedere su quella amena collinetta
e sotto un cielo di zaffiro quei fedeli,
tutti prostrati e silenziosi, ascoltare con
vivo trasporto la parola del Signore.
S’intuonò poi l’inno Evviva la Croce
e divotamente cantando si fe’ ritorno in
Chiesa.
Possa quel Santo Segno di nostra
Redenzione rendere sempre più viva in
quel popolo la tradizionale religiosità e
riempire intelletti e cuori, persone e
famiglie della sua benedizione salvatrice!
L’Eco degli Abruzzi, 29 dicembre 1900.
197
20 febbraio 1902 – “Simpatica riunione” in casa dei Baroni Mascitelli,
con ballo e tradizionale rottura delle pignatte.
Le beghine si battano il petto ed i
preti si facciano il segno della croce.
Anche la prima domenica di quaresima,
il tempo delle penitenze e dei digiuni,
la famiglia dei Baroni Mascitelli, sempre squisitamente cortese, ha riunito
nelle sue sale una folla di Signore e
Signorine ed una turba maschile più o
meno irrequieta.
La rottura delle rituali pentole di
creta dette causa alla simpatica riunione; ma, credetemi, i poveri cocci videro
squarciarsi il ventre per un puro convenzionalismo, e gl’invitati, tutti autori
materiali o complici necessarii dello
sterminio, non meritarono davvero la
generosità dei poveri pignatti, che river-
sarono fiori e bomboni nella sala.
Gli onori di casa furono fatti, con
quella signorilità che li distingue, dai
fratelli Mascitelli, dalla Baronessa Giulia e dal figlio Felicetto, un geniale cantore di canzoni napolitane.
Fra le intervenute, ricordo le Signore
Elisabetta Serafini, Teresa Grumelli,
Caterina De Ritis, Clotilde Esposito,
Maria De Francesco, Barbara, Maddalena e Giovannina Falcucci e le Signorine
Marcolongo, Ferri, Falcucci e Vaselli.
Alle undici fu aperto il buffet, ricchissimo; alle quattro... i ballerini si
ricordarono ch’era quaresima.
Lo Svegliarino, 23 febbraio 1902.
5 novembre 1903 – Un matrimonio evangelico.
Ieri sera la nostra Chiesa presentava
un aspetto imponente. Oltre 200 persone si trovavano nel nostro locale per
assistere ad un matrimonio evangelico.
Il pastore spiegò prima come il
matrimonio sia un fatto civile e davanti
alla legge civile debba essere compiuto,
poi la Chiesa domanda a Dio di benedire la unione. Poi fu benedetto il
matrimonio del nostro fratello Giuseppe N. Pellegrini colla Sig.na Rosaria
Costantini. Il numeroso uditorio fu
soddisfatto della semplicità della cerimonia.
L’Evangelista, 12 novembre 1903.
Un’ “allegra brigata” di dame e cavalieri del 1905 in trattenimento conviviale a Vallaspra.
Io penso che mai le mura del convento, posto sull’amena collina, abbiano visto spettacolo più bello di quello
che la eletta schiera di dame e la brigata
gioconda di cavalieri offrivano domeni198
ca in quel pomeriggio che resterà
impresso come vago ricordo nelle
memorie nostre. E la sala, che accolse i
banchettanti, quasi un centinaio fra
grossi e piccini, tutta verde per festoni
ed olezzante di fiori, dové ascoltare
meravigliata, in luogo delle preci dei
frati salmodianti pur nel desinare, tanto
lieto rumore di voci incrociantisi
dall’una all’altra estremità con espressione palese di gaudio.
Fuori, dell’addobbo s’era presa la
cura madre natura. Erano i prati verdi,
gli alberi folti d’ombra e attorno attorno tanti fiori dalle corolle strane, dai
colori vivaci e dal profumo tenue.
Tre ore durò l’allegro banchettare,
ché molte erano le portate e molti furoni i brindisi. Ecco il menu:
Antipasti - Timpano - Genovese Bracioline - Petits pâtés e cotolette Zuppa inglese guarnita - Formaggi e
frutta - Vini da pasto e desserts - Caffè.
Della cucina s’erano prese la pesante
cura delle signore gentilissime, le quali
si ebbero nutriti applausi di gratitudine.
Ad ogni piatto con la solita verve l’Avv.
Nicola Orfeo fece un brindisi rimato.
In fine brindarono i signori Attilio Falcucci e G. Amedeo De Francesco, ringraziando le signore intervenute e compiacendosi della splendida riuscita della
festa; e l’Avv. Domenico Ferri, il quale
bevve alla giovinezza.
Tutti furono applauditissimi.
Poi cominciarono le danze sul prato
e sotto il porticato del convento.
Alle otto l’allegra brigata, dolente,
prese la via del ritorno in una massa di
signore, di signorine, di cavalieri. Precedeva un concertino mandolinistico,
composto dai signori Ciccillo Vaselli,
Carlo ed Emilio Sabatini e Federico
Piretti, che durante tutta la via suonò
marce e ballabili.
La strana processione, lumeggiata da
lampade d’acetilene, rientrò in Atessa
alle nove, e nelle sale del Circolo con
un brillante cotillon a mezzanotte si
pose fine alla festa.
Agli ordinatori della giornata veramente magnifica, signori Attilio Falcucci,
Giuseppe Marcone, Giulio Borrelli, tutti
gl’intervenuti espressero grazie vivissime
per la diligente e geniale preparazione.
Ecco ora un elenco di nomi, completo il più ch’è possibile:
Signore: Barbara Falcucci, Virginia
Falcone, Rosalinda Vaselli, Sofia Orfeo,
Amalia Codagnone, Giacinta Marcone,
Giovannina Falcucci, Concettina Ferri,
Adelina Marcone, Concettina Colalé,
Elisabetta Serafini, Maria De Francesco,
Rosa De Ritis-Siboni, Maria Marcone,
Teresa Carunchio.
Signorine: Giulia ed Ester Marcone,
Alba Zucchi, Margherita Castracane,
Carmela Ferri, Ninetta Vaselli, Giocondina Spaventa, Maria Sabelli, Ida ed
Evelina Marcone, Palmina Melocchi,
Maria Marcolongo, Dina Marcone.
E per una volta tanto, ecco anche un
elenco di cavalieri: Attilio e Raffaele
Falcucci, Antonio Ferri, Camillo Marcone, Tito Codagnone, Federico Ing.
De Marco, Avv. Domenico Ferri, Giulio Borrelli, Emilio Rossi, Avv. Francesco Vaselli, Angelo Serafini, Vittorio
Colalé, Nicola De Francesco, Giuseppe
Marcone, Avv. Nicola Orfeo, Vincenzo
Marcone, Luigi Marcolongo, Gennaro
e Luigi Marcone, Pietro Siboni, Avv.
Alfredo e Giuseppe De Francesco,
Michele D’Ambrosio, Guglielmo Iovacchini, Guido Falcucci, Alfredo Baiocco,
Beniamino Marcolongo, Carlo, Emilio
ed Ottavio Sabatini, Camillo Giannico,
Guido Serafini, Nino D’Onofrio, Luzio
Carunchio.
Il Nuovo Sangro, 7 maggio 1905.
199
1905 – Neonata “esposta” in un vicolo di S. Michele.
Mercoledì sera, verso le undici, una
donna che passava pel rione S. Michele
sentiva, da uno dei vicoli che mettono
al corso, partire delle grida fievoli di
neonata.
Recatasi sul luogo, trovava una creaturina di sesso femminile dell’età apparente di giorni tre, ivi abbandonata. La
bimba ebbe sollecite cure ed ora sta agli
esposti. Le autorità indagano.
Il Nuovo Sangro, 7 maggio 1905.
1905 - Monaca del Monastero di S. Giacinto, dell’Ordine delle Clarisse. Il convento
raccoglieva, depositati nella “ruota degli esposti”, i neonati che venivano abbandonati
dai genitori.
200
Gennaro Nasuti, un artista del ferro battuto.
[...] Una città dell’Abruzzo Citra, Atessa, antica città monastica, ha avuto molti
veri artisti modellatori di statue religiose, rappresentanti Santi e Madonne, che si
possono ammirare nelle sue chiese: queste statue sono in terracotta ed in cartapesta
ed hanno verità espressive efficacissime.
In questa città, Ate nella leggenda, si fanno anche dei lavori in ferro battuto di
grande valore artistico, che l’occhio esperto riconoscerà subito per interessanti. L’esecutore è un abilissimo artefice: Gennaro Nasuti, che durante la guerra lavorò indefessamente nelle acciaierie di Terni.
Questo artista del ferro battuto ci ha fatto
ammirare alcuni suoi lavori che mostrano
tutta la sua valentia: ferro bruno che s’allunga
in fili, abbracciati da rigogliosi pampini; in
aste che, imprigionate da torcigli e da fioriture, rendono solidi puntali ed anse; ferro e ferro
che abbellisce, coi capricciosi giri e rigiri dei
suoi nastri, bacini austeri e tripodi miniati,
che veste con simmetria di rose ed ardiglioni
lampadari mirabili e costruzioni traforate, e
variando in cancelli stilizzati finisce in armille
e decorazioni floreali. V’ha vasi da cui spuntano steli gemmati e crisantemi, tutti neri, di
abbrunito ferro [...]
Gennaro Nasuti è coadiuvato dai figli, che
s’incaricano di stare al corrente con riviste artistiche e decorative per uniformarsi agli stili
classici; suo figlio Mario ci mostra alcuni suoi
lavori e ci informa dei premi e delle onorificenze ottenute dal padre: Gran Targa d’Onore,
Gran Premio Medaglia d’Oro, guadagnato a
Venezia nel 1922 [...]
Dino Cicchitti
Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, 6 maggio 1928.
Gennaro Nasuti
Cancello gotico in ferro battuto.
Aprile 1928 – Una “duplice festa di fede e d’amore”.
Due lieti e gentili eventi hanno avuto
luogo durante il bell’aprile in fiore
nell’ospitalissima casa dei signori Gaetano ed Elvira Falcucci.
Il figliuolo, Benedetto, reduce dal
seminario pontificio di Roma, ove si è
sempre distinto per bontà ed intelligen-
za, nel giorno di Pasqua canta la prima
messa solenne nella Chiesa Maggiore di
S. Leucio, in Atessa, gremita di popolo.
Il giorno 12 aprile poi rivediamo
questo simpatico sacerdote di Cristo,
nella sala della sua casa, tra una festa di
luci e di fiori, benedire le fauste e liete
201
nozze della sorella sua Aura Falcucci,
fiore di bontà e di bellezza, che si unisce con il prof. Gaetano Pollice, apprezzatissimo ed amato nostro direttore
didattico.
Una musica lieve e dolce, come l’eco
di un sogno bello, l’Ave Maria del Gounod, suonata al piano dalla distinta
signora Teresa Ferri con l’accompagnamento del violino del sig. Emilio Sabatini, segue la cerimonia religiosa.
Poi subito gli sposi, oramai felici per
sempre, passano tra il lieto stuolo di
dame e cavalieri per dispensare il tradizionale fiore di arancio. Ricchi ed ottimi rinfreschi sono offerti agli invitati.
Duplice festa dunque di fede e
d’amore, riuscita benissimo.
Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, 6 maggio 1928.
Un “riuscitissimo” veglione del 1928.
Sabato sera, 15, ha avuto luogo, a
cura della locale sezione dell’O.N.D.,
nel nostro Teatro Comunale un riuscitissimo veglione.
Il Teatro, addobbato meravigliosamente, era gremito in ogni ordine di
posti.
Molto simpatica l’orchestra, diretta
dal cav. Carlo Alberto Sabatini, che
suonò all’inizio “Giovinezza” e la “Marcia Reale” ed accompagnò le danze con
scelto repertorio, intramezzandovi riuscitissime esecuzioni, fra le quali fu
applauditissima la sinfonia dell’opera
“Norma” di Bellini.
Fu distribuita una cartolina-ricordo
con significativa fine allegoria disegnata
per l’occasione dal nostro concittadino
Dino Cicchitti.
Le danze, animatissime, si protrassero fino all’alba sotto la direzione del
dott. Giovanni Riccio, direttore
dell’Ospedale Civile e vice-commissario
di questa sezione fascista.
Bene assortito il servizio di buffet,
che rispose in modo inappuntabile.
Ci congratuliamo col presidente del
locale Dopolavoro dott. Giannico e con
la infaticabile Commissione nelle per202
Cartolina-ricordo del veglione.
sone dei signori Renato Cicchitti,
Camillo Di Diego, Mario De Francesco, Mario Nasuti, Filippo Di Jorio,
Girolamo Di Jorio, Antonio Benedetti,
Luzio Antonini, Crescentino Pellegrini,
che nulla tralasciarono per la buona riuscita della festa.
Il Popolo di Roma, 22 dicembre 1928.
Novembre 1937 – Solenne ingresso di Mons. Epimenio Giannico ad Atessa, dopo la sua elevazione alla dignità di Vescovo della Diocesi di Trivento.
Atessa ha vissuto una giornata di fede
e di entusiasmo che difficilmente potrà
dimenticare.
Uno dei figli più attaccati a questo
lembo di terra d’Abruzzo, assunto alla
dignità di Vescovo della Diocesi di Trivento, ha fatto il suo ingresso trionfale
nella città che l’ha visto nascere, tra i
suoi concittadini che lo ammirano, tra i
suoi amici e compagni che lo venerano
per le sue doti di mente e di cuore.
Alle ore 9, in piazza Garibaldi, dove
erano assiepati con le autorità il capitolo, le confraternite, i circoli cattolici
femminili e maschili e gran massa di
popolo accorso dal contado e dai paesi
limitrofi, mons. Giannico è sceso
dall’automobile fra scroscianti applausi
della immensa folla.
II podestà cav. uff. dott. Attilio Falcucci, con belle e sentite parole, ha
offerto al novello Vescovo, a nome della
cittadinanza tutta, un ricchissimo
pastorale finemente lavorato a bulino;
ha accompagnato il dono con un bellissimo album con le firme di tutti i cittadini.
Mons. Giannico ha ringraziato commosso, poi è entrato nella chiesa del
Carmine, dove ha indossato i paramenti pontificali, e in solenne processione,
fra due fitte ali di popolo plaudente, fra
il continuo lancio di fiori e di cartellini
inneggianti al presule novello, si è recato alla cattedrale. Tutte le strade attraversate dal corteo erano addobbate di
ricchi drappi.
Alla cattedrale è stato celebrato un
solenne pontificale; la “Schola Cantorum” ha magistralmente eseguito la
messa Te Deum del Perosi.
Dopo il vangelo mons. Giannico ha
tenuto una dotta omelia, tratteggiando
che la chiesa militante non potrà mai
morire, perché la provvidenza divina,
pur servendosi qualche volta di umili
sacerdoti che eleva alla dignità episcopale, fa sì che la face della fede resti
sempre viva e venga agitata in alto e
dovunque imperversano le lotte, le persecuzioni e le traversie della vita. Ha
detto che egli prova consolazione
nell’incominciare la sua ardua missione
sotto buoni auspici, in un momento in
cui Chiesa e Stato sono in Italia in
piena armonia, per volere di un uomo,
il Duce, che combatte il male per il
trionfo del bene. Ha terminato impartendo a tutti la pastorale benedizione.
Dopo il pontificale tutto il popolo,
con a capo il clero e le autorità, ha
accompagnato l’illustre cittadino fino a
casa, dove egli ha abbracciato teneramente la madre, che commossa l’attendeva al portone. Chiamato dalle continue ovazioni della folla, si è affacciato
al balcone e ha ringraziato vivamente
tutti che hanno voluto così solennemente onorare nella sua modesta persona un prescelto da Dio, umile strumento nelle mani dell’Altissimo per il trionfo del regno di Cristo.
Alle ore 16 ha avuto luogo nel salone
dell’asilo un riuscito trattenimento in
onore del vescovo Giannico e alle ore
18 nella cattedrale è stato cantato un
solenne Te Deum, in cui il novello
Vescovo ha impartito la benedizione del
Santissimo.
La Tribuna, 6 novembre 1937.
203
Mons. Epimenio Giannico ad Atessa, dopo la sua assunzione alla dignità di Vescovo.
204
Manifesto del 13 settembre 1952 con il programma dei festeggiamenti
per la riapertura al culto della Chiesa dell’Addolorata, semidistrutta
dall’esplosione di mine tedesche nel novembre 1943.
205
Operatori economici della prima
metÀ DEL NOVECENTO E LE LORO
INDICAZIONI PUBBLICITARIE
206
207
208
209
210
211
212
213
214
Indice
La fondazione dell’Ospedale Civile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
4
La partecipazione agli ideali del Risorgimento . . . . . . . . . . . . »
9
Il brigantaggio post-unitario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
16
L’abbattimento dell’Arco di S. Lorenzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
32
La prima condotta di acqua potabile e la fontana monumentale
»
35
La Società Operaia di Mutuo Soccorso . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
41
Domenico Ciampoli (1852-1929) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
45
Lelio De Francesco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
49
Le origini dell’Asilo “Giardino d’Infanzia” . . . . . . . . . . . . . . . »
55
Vincenzo Riccio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
61
Il lutto per l’uccisione di Re Umberto I . . . . . . . . . . . . . . . . . »
65
La nascita della Cassa Rurale Cattolica di depositi e prestiti . . »
68
Atessani d’America . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
73
La morte del sindaco Luigi Spaventa (9 gennaio 1907)
e le onoranze tributate alla sua memoria . . . . . . . . . . . . . . . . . »
79
Il primo servizio di trasporto automobilistico . . . . . . . . . . . . . »
84
Scritti polemici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
87
Il Teatro e i cinematografi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
97
Il tributo di sangue nella guerra1915-1918 . . . . . . . . . . . . . . . »
113
Gli Atessani e la musica: una passione di vecchia data . . . . . . . »
121
La Scuola Tecnica (1921) e la Scuola Media (1944) . . . . . . . . »
143
Fascismo e antifascismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
148
Curiosità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
156
Il treno ad Atessa-centro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
161
Il nuovo acquedotto urbano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
165
Le feste patronali di mezz’agosto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
169
L’incremento della pratica sportiva negli anni ’30
del secolo scorso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
178
Ettore Janni (1875-1956) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
185
Giuseppe Menotti De Francesco (1885-1979) . . . . . . . . . . . . »
189
Miscellanea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
196
Operatori economici della prima metà del Novecento
e le loro indicazioni pubblicitarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
206
215
Finito di stampare
Progetto Stampa s.n.c.
nel giorno di San Gennaro Vescovo
il 19 settembre 2001
presso la Tipografia
216
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II Coppa Città di Atessa