Capitolo Secondo
La polizia sanitaria
Sommario: 1. La polizia sanitaria e la tutela della salute pubblica. - 2. Quadro normativo di riferimento in materia di igiene degli alimenti. - 3. Disciplina igienico-sanitaria nella produzione, trasformazione e vendita di
alimenti e bevande. - 4. Il sistema sanzionatorio. - 5. Igiene dell’abitato e dei luoghi di lavoro. - 6. Gestione
delle acque di balneazione. - 7. Il trattamento sanitario obbligatorio.
1. La polizia sanitaria e la tutela della salute pubblica
A)I controlli in generale
La polizia sanitaria è quella branca della polizia locale che si occupa di vigilare sul rispetto delle normative igienico-sanitarie destinate a tutelare la salute pubblica, intesa, secondo
la definizione di indirizzo fornita dall’Organizzazione mondiale della sanità, come la condizione di chi non solo è esente da malattie ma anche da turbative di tipo fisico e psichico.
La polizia sanitaria:
—provvede a prevenire e reprimere le frodi e le sofisticazioni alimentari (cd. igiene dell’alimentazione);
—controlla l’igiene degli abitati;
—esplica il servizio di sanità marittima, aerea e di confine al fine di evitare la trasmissione
delle malattie infettive e diffusive.
Sull’attività di controllo della polizia in questo settore, ha inciso molto la normativa comunitaria, sia sotto l’aspetto della prevenzione che della repressione. Il legislatore comunitario ha disegnato le attività di controllo sotto due aspetti:
1) anticipare l’attività di controllo alla fase di lavorazione del prodotto e non solo alla fase di
distribuzione;
2) sviluppare un’attività di controllo preventiva dell’azienda alimentare, intervenendo con
delle prescrizioni e ricorrendo a sanzioni solo in caso di reiterate infrazioni di carattere
sanitario.
B)La polizia sanitaria e il Sindaco
Nell’espletamento delle proprie attribuzioni la polizia sanitaria si pone in rapporto di
stretta collaborazione con il Sindaco che opera quale rappresentante della comunità locale ed
è responsabile dell’esecuzione di incombenze svolte a livello di autorità superiori (statali,
regionali e provinciali).
Specificamente a norma dell’art. 50 del D.Lgs. 267/2000 (T.U. enti locali), commi 5 e 6
(che hanno recepito le disposizioni di cui all’art. 117 del D.Lgs. 112/1998) il Sindaco è titolare di un potere di ordinanza in caso di emergenze sanitarie (es. insorgere di epidemie) o
di igiene pubblica (es.: problemi relativi alla potabilità dell’acqua), a carattere esclusivamente locale.
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Parte X: I servizi di polizia locale (urbana, rurale, sanitaria, veterinaria e mortuaria)
Negli altri casi l’adozione dei provvedimenti d’urgenza, ivi compresa la costituzione di
centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle Regioni in considerazione della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale coinvolgimento di più ambiti territoriali regionali.
In caso di emergenza (comma 6) che interessi il territorio di più Comuni, ogni Sindaco
adotta le misure necessarie fino a quando non intervengano i soggetti competenti ai sensi del
comma 5.
I regolamenti di igiene e sanità
La normativa di dettaglio, ovvero di esecuzione del Testo Unico delle leggi sanitarie (R.D. 1265/1934), è in
gran parte contenuta nei regolamenti locali di igiene e sanità, diretti ad evitare e rimuovere ogni causa di
insalubrità.
L’art. 344 del citato Testo Unico precisa che si tratta di quelle disposizioni, richieste dalla topografia del
Comune e dalle altre condizioni locali, per l’assistenza medica, la vigilanza sanitaria, l’igiene del suolo e
degli abitati, la purezza dell’acqua potabile, la salubrità e la genuinità degli alimenti e delle bevande, le
misure contro la diffusione delle malattie infettive, la polizia mortuaria e, in generale, l’esecuzione delle
disposizioni contenute nel T.U., dirette ad evitare e rimuovere ogni causa di insalubrità.
2. Quadro normativo di riferimento in materia di igiene degli
alimenti
A)Il regolamento CE 178/2002 sulla sicurezza alimentare
Con regolamento del Parlamento europeo del 28 gennaio 2002, n. 178 (pubblicato in GUCE
del 1° febbraio 2002 n. 31) l’Unione europea ha dato notevole impulso alla regolamentazione
sulla sicurezza alimentare stabilendo i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituendo l’Autorità europea per la sicurezza alimentare ed altresì fissando le
procedure da rispettare in questo campo.
Principali definizioni contenute nel Regolamento CE 178/2002
Alimento (o prodotto alimentare o derrata alimentare): qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente
che possa essere ingerito, da esseri umani.
Sono comprese le bevande, le gomme da masticare e qualsiasi sostanza, compresa l’acqua, intenzionalmente incorporata negli alimenti nel corso della loro produzione, preparazione o trattamento.
Legislazione alimentare: le leggi, i regolamenti e le disposizioni amministrative riguardanti gli alimenti in
generale, e la sicurezza degli alimenti in particolare, sia nella Comunità (ora Unione) che a livello nazionale; sono incluse tutte le fasi di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti e anche dei mangimi prodotti per gli animali destinati alla produzione alimentare o ad essi somministrati.
Impresa alimentare: ogni soggetto pubblico o privato, con o senza fini di lucro, che svolge una qualsiasi
delle attività connesse ad una delle fasi di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti.
Operatore del settore alimentare: la persona fisica o giuridica responsabile di garantire il rispetto delle
disposizioni della legislazione alimentare nell’impresa alimentare posta sotto il suo controllo.
Rischio: funzione della probabilità e della gravità di un effetto nocivo per la salute, conseguente alla presenza di un pericolo.
Analisi del rischio: processo costituito da tre componenti interconnesse: valutazione, gestione e comunicazione del rischio.
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Pericolo o elemento di pericolo: agente biologico, chimico o fisico contenuto in un alimento o mangime,
o condizione in cui un alimento o un mangime si trova, in grado di provocare un effetto nocivo sulla salute.
Rintracciabilità: la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale destinato alla produzione alimentare o di una sostanza destinata o atta ad entrare a far parte di un alimento o di un mangime attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione.
Fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione: qualsiasi fase, importazione compresa, a partire dalla produzione primaria di un alimento inclusa fino al magazzinaggio, al trasporto, alla vendita o erogazione al consumatore finale inclusi e, ove pertinente, l’importazione, la produzione, la lavorazione, il magazzinaggio, il trasporto, la distribuzione, la vendita e l’erogazione dei mangimi.
In base all’art. 5 del regolamento in questione la legislazione alimentare persegue uno o
più fra gli obiettivi generali di un livello elevato di tutela della vita e della salute umana,
della tutela degli interessi dei consumatori (comprese le pratiche leali nel commercio alimentare), tenuto eventualmente conto della tutela della salute e del benessere degli animali,
della salute vegetale e dell’ambiente. Essa, inoltre, mira al conseguimento della libertà di
circolazione all’interno della Comunità (ora Unione) degli alimenti e dei mangimi prodotti o
immessi sul mercato nel rispetto dei principi e dei requisiti fissati dal regolamento.
A tali fini la legislazione alimentare si basa (tranne quando ciò non sia confacente alle
circostanze o alla natura del provvedimento) sull’analisi del rischio da effettuarsi in modo
indipendente, obiettivo e trasparente sugli elementi scientifici a disposizione. Nella gestione
del rischio bisogna dunque tenr conto dei risultati ottenuti dalla valutazione, oltre che dei
pareri dell’Autorità e del principio di precauzione.
Quest’ultimo (art. 7 del regolamento) comporta che qualora, in circostanze specifiche a
seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, venga individuata la possibilità
di effetti dannosi per la salute, seppure permanga una situazione d’incertezza sul piano
scientifico, in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio, possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute perseguito dalla Comunità (ora
Unione).
Il regolamento (all’articolo 14) indica i requisiti di sicurezza alimentare secondo cui gli
alimenti a rischio non possono essere immessi sul mercato.
Gli alimenti sono considerati a rischio nei seguenti casi:
a) se dannosi per la salute;
b) se sono inadatti al consumo umano.
Importanza particolare rivestono gli obblighi sulla rintracciabilità. Ferma la definizione
data in precedenza (vedi box precedente), dall’analisi dell’articolo 18 del regolamento è possibile enucleare i punti fondamentali di tale principio in base ai quali:
1) è disposta in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione la
rintracciabilità degli alimenti, dei mangimi, degli animali destinati alla produzione alimentare e di qualsiasi altra sostanza destinata o atta a entrare a far parte di un alimento o di un
mangime;
2) gli operatori del settore alimentare e dei mangimi devono essere in grado di individuare
chi abbia fornito loro gli alimenti e prodotti di cui al punto 1;
3) gli operatori del settore alimentare e dei mangimi devono disporre di sistemi e procedure
per individuare le imprese alle quali hanno fornito i propri prodotti;
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4) gli alimenti o i mangimi che sono immessi sul mercato della Comunità o che probabilmente lo saranno devono essere adeguatamente etichettati o identificati per agevolarne la rintracciabilità, mediante documentazione o informazioni pertinenti secondo i requisiti previsti in materia da disposizioni più specifiche.
L’Autorità europea per la sicurezza alimentare
Il regolamento CE 178/2002, all’articolo 22, ha istituito l’Autorità europea per la sicurezza alimentare,
operativa a decorrere dal 1° gennaio 2002.
Tale organo svolge funzioni di elevata consulenza scientifica e di assistenza tecnica per la normativa e le
politiche della Comunità (ora Unione) in tutti i campi che hanno un’incidenza diretta o indiretta sulla sicurezza degli alimenti e dei mangimi. In particolare, essa fornisce alle istituzioni europee e agli Stati membri pareri scientifici; commissiona studi scientifici; promuove e coordina la definizione di metodi uniformi di valutazione del rischio; interviene per individuare e definire i rischi emergenti nei settori di sua competenza.
B)Il regolamento CE 852/2004 sull’igiene dei prodotti alimentari
Nell’ambito della normativa europea relativa all’igiene dei prodotti alimentari sono fondamentali anche i regolamenti CE 852/2004 e 853/2004 entrati in vigore il 1° gennaio 2006
in concomitanza con l’abrogazione di numerose direttive comunitarie così come disposto
dalla direttiva 2004/41/CE.
Quest’ultima è stata recepita in Italia con il D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 193 il quale,
pertanto, ha proceduto all’espressa abrogazione di tutti i provvedimenti normativi interni che
davano attuazione proprio a quelle direttive ora abrogate. Tra questi i decreti legislativi 155
e 156 del 26 maggio 1997, nonché il D.Lgs. 123/1993.
Ciò si traduce, in sostanza, nel ritorno della disciplina della materia sotto la guida pressoché esclusiva della normativa europea.
I principi generali in materia di igiene dei prodotti alimentari sono fissati all’art. 1 del
regolamento CE 852/2004 (modif. dal Reg. CE 219/2009) e sono:
1) la responsabilità principale per la sicurezza degli alimenti incombe all’operatore del
settore alimentare;
2) è necessario garantire la sicurezza degli alimenti lungo tutta la catena alimentare, a
cominciare dalla produzione primaria;
3) è importante il mantenimento della catena del freddo in particolare per gli alimenti
congelati e determinare criteri microbiologici e requisiti in materia di controllo delle temperature;
4) l’applicazione generalizzata di procedure basate sui principi del sistema HACCP (vedi
box infra), insieme ad una corretta prassi igienica, dovrebbe accrescere la responsabilità degli operatori del settore alimentare;
5) i manuali di corretta prassi costituiscono uno strumento prezioso per aiutare gli operatori del settore alimentare nell’applicazione dei principi del sistema HACCP e nell’osservanza delle norme di igiene a tutti i livelli della catena alimentare;
6) è necessario garantire che gli alimenti importati rispondano almeno agli stessi standard
igienici stabiliti per quelli prodotti nella Comunità (ora Unione), o a norme equivalenti.
Il regolamento all’art. 3 stabilisce l’obbligo generale cui sono sottoposti gli operatori del
settore alimentare ovvero garantire che tutte le fasi della produzione, della trasformazio-
Capitolo II: La polizia sanitaria
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ne e della distribuzione degli alimenti sottoposte al loro controllo soddisfino i pertinenti
requisiti di igiene fissati nel regolamento (vedi §3).
Il sistema di analisi dei pericoli e dei punti critici (HACCP)
L’Analisi dei Pericoli e dei Punti Critici, cd. HACCP (Hazard Analysis Critical Control Point) è un sistema di
controllo sulla salubrità degli alimenti messo a punto nell’ambito europeo al fine di eliminarne i rischi infettivi
che potrebbero verificarsi durante il ciclo produttivo. Gli operatori del settore alimentare, dunque, sono chiamati
a predisporre, attuare e mantenere una o più procedure permanenti basate sui principi del sistema in questione.
A seguito dell’abrogazione del D.Lgs. 155/1997 disposta dal D.Lgs. 193/2007 la fonte normativa in materia
è data dalla normativa europea e nello specifico dal regolamento CE 852/2004.
In particolare, all’art. 5 di tale regolamento sono riportati i principi del sistema HACCP, ovvero:
— identificare ogni pericolo che deve essere prevenuto, eliminato o ridotto a livelli accettabili;
— identificare i punti critici di controllo nella fase o nelle fasi in cui il controllo stesso si rivela essenziale
per prevenire o eliminare un rischio o per ridurlo a livelli accettabili;
— stabilire, nei punti critici di controllo, i limiti critici che differenziano l’accettabilità e l’inaccettabilità
ai fini della prevenzione, eliminazione o riduzione dei rischi identificati;
— stabilire ed applicare procedure di sorveglianza efficaci nei punti critici di controllo;
— stabilire le azioni correttive da intraprendere nel caso in cui dalla sorveglianza risulti che un determinato punto critico non è sotto controllo;
— stabilire le procedure da applicare regolarmente per verificare l’effettivo funzionamento delle misure
già elencate;
— predisporre documenti e registrazioni adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa alimentare al
fine di dimostrare l’effettiva applicazione di tutte le altre misure suddette.
Qualora intervenga un qualsiasi cambiamento nel prodotto, nel processo o in qualsivoglia altra fase, gli operatori del settore alimentare devono riesaminare la procedura ed apportarvi le necessarie conseguenze. Essi,
inoltre, sono tenuti a dimostrare alle autorità competenti di rispettare tutti i principi del sistema HACCP collaborando anche con esse, in particolare notificando, ai fini della registrazione, ciascuno stabilimento posto sotto
controllo che esegua una qualsiasi delle fasi di produzione, trasformazione, distribuzione di alimenti (art. 6).
L’art. 7 del regolamento CE 852/2004 impegna gli Stati membri dell’UE ad elaborare dei manuali nazionali
di corretta prassi operativa in materia di igiene e di applicazione dei principi del sistema HACCP, a
norma dell’art. 8.
L’omessa predisposizione di procedure di autocontrollo basate sui principi del sistema HACCP da parte di
operatori del settore alimentare di livello non primario è punita, ai sensi dell’art. 6, comma 6 del D.Lgs.
193/2007, con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 6.000 euro.
C)La normativa nazionale (L. 283/1962)
In Italia la norma principale di riferimento in materia è la L. 30 aprile 1962, n. 283 (Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande)
e il relativo regolamento di esecuzione emanato con D.P.R. 26 marzo 1980, n. 327.
L’art. 1 della L. 283/1962 sancisce che sono soggette a vigilanza per la tutela della pubblica salute la produzione ed il commercio delle «sostanze destinate alla alimentazione». In
tale ultima definizione rientrano non solo le sostanze edibili ma, anche tutte quelle che, di per
sé edibili (additivi, semilavorati etc.), concorrono alla produzione dell’alimento.
Il D.P.R. 327/1980 precisa all’articolo 2 che sono soggetti a vigilanza da parte dell’autorità sanitaria la produzione, il commercio e l’impiego:
a) delle sostanze destinate all’alimentazione;
b) degli utensili da cucina e da tavola;
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c) dei recipienti per conservare le sostanze alimentari, degli imballaggi e contenitori esterni
che, pur non venendo a contatto diretto con le sostanze alimentari, per la natura di queste
e per le condizioni di impiego, possono cedere i loro componenti alle sostanze stesse;
d) dei recipienti, utensili ed apparecchi che possono venire a contatto diretto con le sostanze
alimentari nelle normali fasi della produzione e del commercio;
e) dei prodotti usati in agricoltura per la protezione delle piante.
Sono, altresì, soggetti a vigilanza:
—i locali, gli impianti, gli apparecchi e le attrezzature usati nelle varie fasi della produzione
e del commercio delle sostanze alimentari;
—il personale addetto alla produzione, al confezionamento e al commercio delle sostanze
alimentari;
—i mezzi adibiti al trasporto delle sostanze alimentari.
Gli organi preposti al controllo possono accedere in qualunque momento e senza necessità
di alcun permesso per effettuare controlli e prelievi di campioni nelle strutture dove si producono, si conservano in deposito, si commercializzano e si consumano alimenti e bevande.
3. Disciplina igienico-sanitaria nella produzione, trasformazione e vendita di alimenti e bevande
A)Controlli ufficiali, registrazione e riconoscimento degli stabilimenti
L’art. 2, della L. 283/1962, ora abrogato ad opera del D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 193,
sottoponeva ad autorizzazione sanitaria l’esercizio di stabilimenti di produzione, preparazione e confezionamento, nonché di depositi all’ingrosso di sostanze alimentari.
Ai sensi dell’art. 7 del D.Lgs. 193/2007 gli stabilimenti e i depositi riconosciuti in base alla normativa ormai
soppressa si intendono ora riconosciuti in base al regolamento CE 853/2004.
La materia dei controlli sugli operatori del settore alimentare è dunque, come accennato, attualmente disciplinata dalla normativa europea ed in particolare dal già citato regolamento CE 852/2004.
Stando a quanto disposto dall’art. 6 di detto regolamento, gli operatori del settore alimentare sono tenuti a collaborare con le competenti autorità conformemente alla normativa comunitaria o, in mancanza, alla legislazione nazionale.
In particolare, ognuno di essi deve notificare all’opportuna autorità gli stabilimenti posti
sotto il proprio controllo che eseguono una qualsiasi delle fasi di produzione, trasformazione
e distribuzione di alimenti ai fini della registrazione.
Per quanto concerne le autorità competenti l’art. 2 del D.Lgs. 193/2007, modificato sul punto dal D.L. 135/2009
(conv. con modif. in L. 166/2009), ed altresì dal D.L. 102/2010 (conv. con modif. in L. 126/2010) precisa che ai
fini dell’applicazione dei regolamenti CE 852/2004, 853/2004, 854/2004 e 882/2004, per esse si intendono: il
Ministero della salute, le Regioni, le Province autonome di Trento e Bolzano e le Aziende USL.
Per le forniture destinate ai contingenti delle Forze armate impiegate nelle missioni internazionali l’autorità
competente è il Ministero della difesa che si avvale delle strutture tecnico-sanitarie istituite presso gli organi di
vigilanza militare.
Gli stabilimenti suddetti devono essere sottoposti ad almeno una ispezione da parte delle
autorità qualora ne sia prescritto necessariamente il riconoscimento da parte della legislazio-
Capitolo II: La polizia sanitaria
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ne nazionale dello Stato membro in cui sono situati o dalla stessa normativa europea (cioè dal
reg. 853/2004), oppure da una decisione della Commissione.
B)La soppressione del libretto di idoneità sanitaria
Il D.L. 21 giugno 2013, n. 69 (cd. decreto del fare), conv. con modif. in L. 9 agosto 2013,
n. 98, nell’ambito delle disposizioni volte a sopprimere la necessità di talune certificazioni
sanitarie nell’ottica della semplificazione amministrativa, ha provveduto (all’art. 42, comma
7bis) ad abrogare l’art. 14 della L. 283/1962 e l’art. 37 del D.P.R. 327/1980. Dette norme
prevedevano che il personale (cd. alimentaristi) addetto alla preparazione, manipolazione e
vendita di sostanze alimentari, ovvero di altre sostanze destinate a venire in contatto, anche
temporaneamente od occasionalmente, con quelle alimentari, dovesse essere munito di un
libretto di idoneità sanitaria.
Tale libretto era rilasciato dall’autorità sanitaria del Comune di residenza, previa visita medica ed accertamenti idonei a stabilire che il richiedente non fosse affetto da una malattia infettiva contagiosa o da malattia comunque trasmissibile ad altri, o fosse portatore di agenti patogeni.
Il personale era poi tenuto a sottoporsi a periodiche visite mediche di controllo e ad eventuali misure speciali
profilattiche.
Circa la non obbligatorietà del libretto sanitario in questione già si era espressa la Corte
costituzionale la quale, con la sent. n. 162 del 1° giugno 2004, aveva rigettato i ricorsi proposti contro alcune leggi regionali che disciplinavano la materia non considerando obbligatorio il possesso dello stesso. Sul punto la Consulta aveva precisato, infatti, che l’obbligo
imposto dall’art. 14 della L. 283/1962 non rispondeva ad un principio immodificabile dal
legislatore regionale, bensì alla sola esigenza di documentare dei controlli periodici effettuati sul personale.
C)Divieti particolari
A norma dell’art. 5 della L. 283/1962 è vietato impiegare nella preparazione di alimenti e bevande, detenere per vendere, somministrare o distribuire, sostanze alimentari:
— private, anche in parte, delle loro sostanze nutritive, mescolate a sostanze di qualità inferiore e trattate in modo
da variarne la composizione naturale;
— in cattivo stato di conservazione;
— contenenti cariche microbiche superiori ai limiti stabiliti dall’art. 69 del D.P.R. 327/1980 o da ordinanze ministeriali;
— insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive;
— con aggiunta di additivi chimici non autorizzati dal Ministero della sanità;
— contenenti residui di prodotti usati in agricoltura per la protezione delle piante, dichiarati tossici per l’uomo
(es.: anticrittogamici).
4. Il sistema sanzionatorio
Il D.Lgs. 507/1999 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio),
all’art. 1, ha previsto la trasformazione in illeciti amministrativi delle violazioni previste come
reato da talune leggi, tra cui la L. 283/1962, e da ogni altra disposizione in materia di produzione, commercio e igiene degli alimenti e delle bevande, nonché di tutela della denominazione di origine dei medesimi, ad eccezione dei reati previsti dal codice penale e dagli articoli 5, 6 e 12 della L. 283/1962.
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Le frodi alimentari
È bene precisare che nell’ambito della disciplina degli alimenti:
— per adulterazione si intende la variazione delle dosi dei componenti di un alimento che sia tale da alterarne il valore nutrizionale (ad es. vendita di latte scremato come latte intero, oppure di vino annacquato);
— per contraffazione si intende la commercializzazione di un prodotto alimentare con una composizione
diversa da quella dichiarata in etichetta o nei documenti commerciali (per la disciplina dell’etichettatura degli alimenti si rinvia il lettore alla Parte XI, Cap. VI);
— per sofisticazione si intende la sostituzione di taluni elementi dell’alimento con altri che siano di qualità inferiore, ovvero la variazione della composizione mediante aggiunte meno pregiate;
— per alterazione si intendono taluni fenomeni casuali che modificano i caratteri di genuinità e digeribilità dell’alimento rendendolo, nei casi più gravi, addirittura nocivo (ad es. irrancidimento dei grassi).
Fra i reati previsti in materia dal codice penale sono da ricordare:
1) Epidemia (art. 438).
Commette tale reato chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni. La pena prevista è l’ergastolo; analogamente, si applica tale pena se dal fatto deriva
la morte di più persone.
2) Avvelenamento di acque o di sostanze alimentari (art. 439).
Commette il delitto in esame chiunque avvelena acque o sostanze destinate alla alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo. La pena prevista è la reclusione non inferiore a quindici anni. Se dal fatto deriva la morte di alcuno o di più persone
si applica la pena dell’ergastolo.
3) Adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari (art. 440).
Commette tale reato chiunque corrompe o adultera acque o sostanze destinate all’alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo, rendendole pericolose alla
salute pubblica. La pena prevista è la reclusione da tre a dieci anni. La stessa pena si applica a chi contraffà, in modo pericoloso alla salute pubblica, sostanze alimentari destinate al
commercio. La pena è aumentata se sono adulterate o contraffatte sostanze medicinali.
4) Adulterazione e contraffazione di altre cose in danno della salute pubblica (art. 441).
Tale reato è commesso da chiunque adultera o contraffà, in modo pericoloso alla salute
pubblica, cose destinate al commercio, diverse da quelle indicate nell’articolo precedente. La pena prevista è la reclusione da uno a cinque anni o con la multa non inferiore a 309
euro.
5) Commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate (art. 442).
Il reato in esame è commesso da chiunque, senza essere concorso nei reati preveduti dagli
artt. 439-440-441, detiene per il commercio, pone in commercio, ovvero distribuisce per
il consumo acque, sostanze o cose che sono state da altri avvelenate, corrotte, adulterate
o contraffatte, in modo pericoloso alla salute pubblica. Si applicano le pene rispettivamente stabilite nei detti articoli.
6) Commercio di sostanze alimentari nocive (art. 444).
Commette tale delitto chiunque detiene per il commercio, pone in commercio, ovvero distribuisce per il consumo sostanze destinate all’alimentazione, non contraffatte né adulterate, ma pericolose alla salute pubblica. È prevista la punizione della reclusione da sei
mesi a tre anni e con la multa non inferiore a 51 euro. La pena è diminuita se la qualità
nociva delle sostanze è nota alla persona che le acquista o le riceve.
Capitolo II: La polizia sanitaria
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Per quanto concerne poi la violazione delle norme sull’igiene nel settore alimentare, il D.Lgs. 193/2007 all’art.
6, comma 3, punisce con la sanzione da 1.500 a 9.000 euro (salvo che il fatto non costituisca reato) chiunque, pur
essendovi tenuto ai sensi del reg. 852/2004, non notifichi all’autorità competente ogni stabilimento posto sotto il
suo controllo nel quale si svolga una qualsiasi delle fasi della produzione, trasformazione e distribuzione di alimenti, ovvero la effettua quando la registrazione è sospesa o revocata. La sanzione è da 500 a 3.000 euro, qualora, pur trattandosi di attività condotte presso uno stabilimento già registrato, non siano state comunicate all’autorità competente per l’aggiornamento della registrazione.
Il successivo comma 4, poi, stabilisce che, salvo che il fatto costituisca reato, l’operatore che non rispetti i
requisiti generali in materia di igiene di cui ai regolamenti CE 852/2004 e 853/2004 è punito con la sanzione
pecuniaria da 250 a 1.500 euro se opera nel settore della produzione primaria o in settori ad essa connessi, oppure da 500 a 3.000 euro se opera in un settore diverso da quello della produzione primaria.
5. Igiene dell’abitato e dei luoghi di lavoro
A)Igiene dell’abitato
La tutela dell’igiene dell’abitato è affidata per lo più ai regolamenti locali di igiene e sanità.
Il R.D. 1265/1934 (T.U. delle leggi sanitarie) all’articolo 218 stabilisce il contenuto dei
predetti regolamenti quanto all’aspetto della salubrità dell’aggregato urbano e rurale e delle
abitazioni. In proposito i regolamenti devono assicurare che nelle abitazioni:
a) non vi sia difetto di aria e luce;
b) lo smaltimento delle acque immonde, delle materie escrementizie e di altri rifiuti avvenga
in modo da non inquinare il sottosuolo;
c) gli scarichi delle acque reflue avvengano attraverso strutture che evitino esalazioni o infiltrazioni dannose;
d) non vi sia inquinamento nell’acqua potabile delle condutture o eventualmente di serbatoi
o pozzi.
Il regolamento di igiene deve anche contenere le norme per la razionale raccolta dei rifiuti e per il loro smaltimento.
In materia, inoltre, numerosi sono stati gli interventi legislativi nazionali e regionali che
hanno aggiornato e ampliato il concetto e la portata dei requisiti igienico-sanitari delle costruzioni, elevandolo a quello dell’igiene edilizio-urbana e ambientale e di cui si tiene conto nei
regolamenti edilizi più recenti.
In particolare tali requisiti consistono in:
—assenza di emissioni di sostanze nocive;
—smaltimento dei gas all’esterno;
—efficienza della rete di distribuzione di acqua igienico-sanitaria;
—umidità relativa e tenuta dell’acqua;
—illuminazione naturale e oscurabilità.
Può essere utile segnalare che ai sensi dell’art. 1, comma 2 della L. 1228/1954 (Ordinamento delle anagrafi e
della popolazione residente), inserito ad opera della L. 15 luglio 2009, n. 94 (cd. Nuovo pacchetto sicurezza),
l’iscrizione e la richiesta di variazione anagrafica possono dar luogo alla verifica, da parte dei competenti uffici
comunali, delle condizioni igienico-sanitarie dell’immobile in cui il richiedente intende fissare la propria residenza, ai sensi delle vigenti norme sanitarie.
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B)Igiene dei luoghi di lavoro: il D.Lgs. 81/2008
L’igiene dell’ambiente di lavoro è finalizzata a garantire che le attività lavorative vengano svolte in luoghi salutari ed al riparo da condizioni tali da ingenerare nei lavoratori malattie
e danni irreparabili alla loro integrità fisica.
La legislazione che disciplina la tutela della salute e della integrità fisica del lavoratore sul
luogo di lavoro ed in occasione di lavoro costituisce il fondamento normativo per affermare
l’esistenza di un «dovere di sicurezza» a carico del datore di lavoro.
Tale dovere di sicurezza si sostanzia in una serie di adempimenti finalizzati a garantire il
lavoratore nel luogo di lavoro in modo tale che l’attività lavorativa si svolga entro un accettabile margine di sicurezza.
La principale fonte normativa che disciplina il settore è rappresentata dal D.Lgs. 9 aprile 2008,
n. 81, emanato in ottemperanza alla delega contenuta nella L. 123/2007 (massicciamente modificato ad opera del D.Lgs. 106/2009 e, in ultimo, dalla L. 177/2012), il quale detta delle misure
generali in materia di tutela della salute e della sicurezza dei luoghi di lavoro, tra le quali assume
rilievo la valutazione dei rischi, inserita in apposito documento redatto dal datore di lavoro.
Detto decreto prevede, inoltre, in capo al datore di lavoro dei precisi obblighi per quanto
concerne l’informazione dei lavoratori circa i rischi per la salute e la sicurezza connessi all’attività di impresa e le misure di protezione e precauzione adottate.
C)Tutela della salute dei non fumatori
Un tema molto attuale è quello della tutela della salute «dal fumo»; si tratta di un problema
particolarmente avvertito sul piano sociale dal momento che i dati degli studi scientifici sono
sempre più allarmanti sul rischio di malattie cancerogene per i fumatori (attivi e passivi).
Di ciò si è occupata, tra le altre cose, la L. 16 gennaio 2003, n. 3 (recante Disposizioni
ordinamentali in materia di P.A.), che all’art. 51 (rubricato «Tutela della salute dei non fumatori») ha posto il divieto di fumare nei locali chiusi ad eccezione di quelli (comma 1):
a) privati non aperti ad utenti o al pubblico;
b) quelli riservati ai fumatori e come tali contrassegnati.
Il comma 1bis del suddetto art. 51 (aggiunto dal D.L. 12 settembre 2013, n. 104, conv.
con modif. in L. 8 novembre 2013, n. 128) estende il divieto anche alle aree all’aperto di
pertinenza delle istituzioni del sistema educativo di istruzione e formazione.
Con D.P.C.M. 23 dicembre 2003 (di attuazione del divieto in esame) sono stati dettati i
requisiti tecnici dei locali per fumatori, dei relativi impianti di ventilazione e di ricambio d’aria
e dei modelli dei cartelli connessi al divieto di fumare.
Il divieto di fumo nei luoghi pubblici è entrato in vigore il 10 gennaio 2005 (data prorogata ad opera del D.L. 266/2004 conv. con modif. nella L. 306/2004).
Il Ministero della salute ha fornito, con circolare del 17 dicembre 2004, i criteri interpretativi per l’applicazione del divieto, precisando alcuni punti:
—l’obbligo si estende a tutti i luoghi di lavoro (pubblici e privati), aperti a pubblico o ad
utenti, intendendo per «utenti» anche gli stessi dipendenti dell’azienda;
—la realizzazione di un’area apposita per i fumatori è una «facoltà» del datore di lavoro e
non un obbligo;
Capitolo II: La polizia sanitaria
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—il compito di vigilare sul rispetto della norma spetta al datore di lavoro o ad un suo collaboratore appositamente delegato.
Gli organi di vigilanza in materia sono individuati nella polizia locale e nella polizia
giudiziaria.
6. GESTIONE DELLE ACQUE DI BALNEAZIONE
Al fine di proteggere la salute umana dai rischi derivanti dalla scarsa qualità delle acque di
balneazione è stato emanato il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116 (recante attuazione della direttiva
2006/7/CE relativa alla gestione della qualità delle acque di balneazione). Esso attribuisce alle Regioni e alle Province di Trento e Bolzano il compito di individuare ogni anno (entro e non oltre il
31 dicembre) le acque di balneazione e di determinare la durata della stagione balneare (art. 6).
Ai sensi dell’art. 5 di detto decreto spetta invece ai singoli Comuni la delimitazione (prima dell’inizio della stagione balneare) delle acque ricadenti nel proprio territorio che, in
conformità a quanto stabilito dall’apposito provvedimento regionale, non sono adibite alla
balneazione e di quelle in cui la balneazione è permanentemente vietata.
Tale delimitazione deve effettuarsi anche qualora nel corso della stagione balneare si verifichi una situazione inaspettata che ha, o potrebbe verosimilmente avere, un impatto negativo sulla qualità delle acque di balneazione o sulla salute dei bagnanti.
I Comuni sono tenuti altresì ad apporre nelle zone interessate (in un’ubicazione facilmente
accessibile nelle immediate vicinanze di ciascuna acqua di balneazione) una segnaletica che
indichi i divieti di balneazione, nonché le previsioni di inquinamenti di breve durata.
Sui Comuni grava poi il compito di assicurare tempestivamente la divulgazione e la messa a disposizione (in
un’ubicazione facilmente accessibile nelle immediate vicinanze di ciascuna acqua di balneazione), durante la
stagione balneare, delle seguenti informazioni (art. 15):
a) classificazione corrente delle acque di balneazione ed eventuale divieto di balneazione mediante una simbologia che risponda agli indirizzi comunitari;
b) descrizione generale delle acque di balneazione, in un linguaggio non tecnico;
c) nel caso di acque di balneazione identificata a «rischio di inquinamento di breve durata»:
d)
e)
f)
g)
— avviso di acqua di balneazione a rischio di inquinamento di breve durata;
— indicazione del numero di giorni nei quali la balneazione era stata vietata durante la stagione balneare
precedente a causa dell’inquinamento di breve durata;
— avviso tempestivo di inquinamento, previsto o presente, con divieto temporaneo di balneazione;
informazioni sulla natura e la durata prevista delle situazioni anomale che impattano sulla qualità delle acque
di balneazione il cui verificarsi è previsto in media non più di una volta ogni quattro anni;
laddove la balneazione è vietata, avviso che ne informi il pubblico, precisandone le ragioni;
ogniqualvolta è introdotto un divieto di balneazione permanente, avviso che l’area in questione non è più
balneabile con la ragione del declassamento;
indicazione delle fonti da cui reperire informazioni più esaurienti.
7. Il trattamento sanitario obbligatorio
A)I contenuti della normativa di riferimento
Il trattamento sanitario obbligatorio è stato istituito nel nostro ordinamento con la L. 13
maggio 1978, n. 180, avente per oggetto «Accertamenti e trattamenti e sanitari volontari e
obbligatori».
688
Parte X: I servizi di polizia locale (urbana, rurale, sanitaria, veterinaria e mortuaria)
In materia deve essere sempre garantita l’applicazione del principio consacrato nell’art.
32 Cost. secondo il quale «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti nel rispetto della persona umana».
Talune disposizioni della L. 180/1978, pertanto, sono state riprese dalla L. 23 dicembre
1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale) che, in ottemperanza al disposto
costituzionale, prevede che la Repubblica tuteli la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, mediante il servizio sanitario nazionale.
Il servizio sanitario nazionale è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione
senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’uguaglianza di tutti i
cittadini. L’attuazione di esso compete allo Stato, alle Regioni ed agli enti locali.
Ai sensi dell’art. 33 della L. 833/1978 gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di
norma volontari. Nei casi previsti dalla legge, tuttavia, possono essere disposti dall’autorità
sanitaria accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori, secondo l’art. 32 della Costituzione, nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici, compreso per quanto possibile il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura.
Gli accertamenti ed i trattamenti in questione sono disposti con provvedimento del Sindaco nella sua qualità di autorità sanitaria, su proposta motivata di un medico.
Detti provvedimenti sono attuati dai presidi e servizi sanitari pubblici territoriali e, ove
necessiti la degenza, nelle strutture ospedaliere pubbliche o convenzionate.
Chiunque può rivolgere al Sindaco richiesta di revoca o di modifica del provvedimento
con il quale è stato disposto o prolungato il trattamento sanitario obbligatorio. Sulla richiesta
di revoca o di modifica il sindaco decide entro dieci giorni. I provvedimenti sono adottati con
lo stesso procedimento del provvedimento revocato o modificato.
Al riguardo, è a dire che, anche in virtù dell’attribuzione al Sindaco, nella qualità di capo dell’amministrazione e rappresentante della comunità locale, della competenza in ordine all’adozione delle ordinanze contingibili e
urgenti in materia di sanità ed igiene pubblica, operata dall’art. 50 del D.Lgs. 267/2000, non sussiste più dubbio
che egli agisce in tema di salute umana quale rappresentante della comunità locale e non già quale ufficiale
del Governo.
L’art. 34 della L. 833/1978, prevede, inoltre, norme specifiche per gli accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori per malattia mentale, prevedendo che la legge regionale, nell’ambito della unità sanitaria locale e nel complesso dei servizi generali per la tutela della salute,
disciplini l’istituzione di servizi a struttura dipartimentale che svolgano funzioni preventive,
curative e riabilitative relative alla salute mentale.
Gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione relativi alle malattie mentali sono attuati di norma dai servizi e presidi territoriali extraospedalieri.
Il trattamento sanitario obbligatorio per malattia mentale può prevedere che le cure vengano prestate in condizioni di degenza ospedaliera. Ciò può avvenire solo se esistano alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti
interventi terapeutici, se gli stessi non vengano accettati dall’infermo e se non vi siano le condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extraospedaliere. In tali ipotesi il provvedimento che dispone il T.S.O. deve essere preceduto dalla convalida della proposta da parte di un medico della
unità sanitaria locale e deve essere adeguatamente motivato. Il provvedimento di cui sopra, inoltre, deve essere notificato, entro 48 ore dal ricovero, tramite messo comunale, al giudice tutelare nella cui circoscrizione
rientra il Comune. Il giudice tutelare, entro le successive 48 ore, assunte le informazioni e disposti gli eventuali
Capitolo II: La polizia sanitaria
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accertamenti, provvede con decreto motivato a convalidare o non convalidare il provvedimento e ne dà comunicazione al sindaco. In caso di mancata convalida il sindaco dispone la cessazione del trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera.
Se il provvedimento che dispone il T.S.O. è disposto dal Sindaco di un Comune diverso da quello di residenza
dell’infermo, ne va data comunicazione al Sindaco di quest’ultimo Comune, nonché al giudice tutelare nella cui
circoscrizione rientra il comune di residenza. Se il provvedimento, invece, è adottato nei confronti di cittadini stranieri o apolidi, ne va data comunicazione al Ministero dell’Interno, e al consolato competente, tramite il Prefetto.
B)Il trattamento sanitario obbligatorio nei confronti dei minori
Particolare attenzione merita l’ipotesi in cui il trattamento sanitario obbligatorio debba
essere eseguito nei confronti dei minori.
Qualora il minore abbia bisogno di cure urgenti ed i genitori, o anche egli stesso, non siano consenzienti, il trattamento sanitario obbligatorio va sempre formalizzato, specificando dettagliatamente la motivazione, con lo scopo di coinvolgere comunque il giudice tutelare che oltre a garantire un
paziente sottoposto a restrizione della libertà personale, garantisce un minore in una situazione in cui,
quasi sempre, si associano il disagio psichico interiore a problematiche di tipo familiare.
Si ritiene opportuno, inoltre quantunque la L. 833/1978 non prescriva in proposito alcunché, che si proceda
alla segnalazione del fatto al Tribunale per i minorenni, soprattutto nel caso che si palesi un contrasto tra i genitori (che sono tenuti entrambi a dare o negare il consenso) o tra costoro e il figlio minore.
Il coinvolgimento del Tribunale è opportuno anche al fine di valutare il luogo di degenza del minore. Se è vero,
infatti, che i trattamenti sanitari obbligatori devono essere eseguiti presso una struttura ospedaliera pubblica è
altrettanto vero che i minori devono essere ricoverati in strutture adeguate alle loro esigenze.
Nel caso in cui entrambi i genitori siano stati dichiarati decaduti dalla potestà, così come nel caso in cui essi
siano deceduti, al minore sarà nominato un tutore che avrà funzioni analoghe a quelle dei genitori (compreso
quello della legale rappresentanza), sotto il controllo più esteso e profondo da parte del giudice tutelare.
Ricordiamo che nella Convenzione Internazionale sui diritti dell’uomo e la biomedicina, fatta a Oviedo il
4 aprile1997 (e ratificata dall’Italia con L. 28 marzo 2001, n. 145), si afferma che «anche l’opinione del minore,
come disabile mentale, dovrà essere presa in considerazione, come fattore determinante, ferma restando la responsabilità dei legali rappresentanti» e che «il consenso del minore è considerato come un fattore sempre più determinante in funzione della sua età e del suo grado di maturità».
C)Le procedure di intervento: il ruolo della Polizia locale
Esposti i contenuti della normativa relativa al trattamento sanitario obbligatorio, vanno ora
analizzate le procedure di esecuzione del provvedimento in trattazione che, sovente, sono
state oggetto di disaccordi tra le polizie locali e le strutture sanitarie.
Al riguardo vi è a dire che la problematica in questione è stata più volte affrontata dagli
organismi competenti, che hanno chiarito il dubbio se l’accompagnamento coattivo dei malati di mente ai luoghi di cura rientri tra le misure di polizia.
L’Avvocatura Generale dello Stato, ha risolto la questione in senso negativo, ritenendo
trattarsi di un’operazione precipuamente sanitaria, rivolta alla tutela della salute e della incolumità del malato, come tale di competenza del personale sanitario.
In proposito il Ministero della Sanità, negando ogni fuorviante contrapposizione fra operazione di polizia e operazione sanitaria, conferma il precipuo ruolo tecnico degli addetti al
servizio sanitario. Si tratta, infatti, «di un’operazione congiunta laddove il personale sanitario, lungi dall’essere deresponsabilizzato dalla presenza della forza pubblica, continua ad
essere titolare di un ruolo tecnico mirato alla tutela della salute del paziente, al rispetto ed
alla cura della sua persona, nonché di recupero di un suo consenso».
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Parte X: I servizi di polizia locale (urbana, rurale, sanitaria, veterinaria e mortuaria)
Sul punto è intervenuto anche il Ministero dell’Interno con una nota del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, nella quale si legge: «In considerazione del fatto che la legge demanda espressamente ai servizi psichiatrici
l’attuazione degli interventi di cura e che il paziente ha assunto la veste di ammalato e tenuto conto del carattere
precipuamente sanitario della procedura di trasferimento del predetto, ne discende che il potere-dovere di ricorrere alla coercizione fisica che si rendesse necessaria spetta innanzi tutto al personale specializzato medico ed
infermieristico.
Qualora il personale infermieristico, nonostante i tentativi esperiti, non riuscisse ad evitare il rifiuto al ricovero per opposizione attiva del malato ben potrà rivolgersi ai Vigili Urbani o Vigili Sanitari ai quali è consentito fare uso della forza, avendo essi il dovere di contribuire, come dipendenti dal Sindaco, all’esecuzione dell’ordinanza emanata dal predetto in qualità di autorità sanitaria locale. Nei termini sopra descritti appare corretta
la procedura prevista oggi dalla legge per il ricovero coatto del malato di mente».
Può essere utile, inoltre, menzionare la sent. 6 maggio 2005 emessa dal TAR Catania,
nella quale si afferma che se il malato di mente per il quale si rilevi necessario, a giudizio dei
sanitari, un T.S.O. con ospedalizzazione, per le specifiche condizioni psicofisiche possa essere prelevato al domicilio e trasportato all’ospedale di destinazione dal solo personale sanitario, non appare necessario anche l’intervento della polizia municipale, ed allora non
può che farsi applicazione della regola generale secondo cui gli interventi sanitari competono,
di norma, alle strutture sanitarie.
Nelle ipotesi in cui invece si sia in presenza di un atteggiamento di rifiuto del trattamento
sanitario, che renda necessaria la coazione anche fisica, essendo prevedibili resistenze e agitazioni, il malato stesso andrà prelevato dalla polizia municipale e da questa accompagnato al presidio ospedaliero di destinazione insieme con il personale medico e paramedico necessario alla somministrazione di terapie durante il viaggio, e comunque alla
continua supervisione degli aspetti medico-assistenziali.
Nella suddetta sentenza, i giudici amministrativi hanno, tra l’altro, evidenziato che una
soluzione come quella sopra descritta, non uniforme e soprattutto non predeterminabile, ma
da modulare di volta in volta sulle esigenze specifiche del caso concreto, richiede un atteggiamento di totale collaborazione fra autorità sanitaria e quella comunale, dovendo essere i
medici proponenti ad indicare motivatamente le ragioni sanitarie per le quali nei casi specifici si ritiene ovvero non si ritiene necessaria anche la presenza della polizia municipale.
Altro orientamento giurisprudenziale da tener presente in materia è poi dato dal Consiglio
di Giustizia per la Regione Siciliana (sentenza dell’11-7-2007 n. 187/08 Reg. Dec – n. 1098
Reg. Ric.) il quale ribadisce che il trattamento sanitario obbligatorio si inserisce come una
misura estrema che prevede quale presupposto una situazione di pericolo. Gli interessi posti
in pericolo sono, pertanto, sia quello del soggetto affetto dalla malattia, sia degli altri consociati e proprio per tale motivo il provvedimento amministrativo coercitivo è attribuito dalla
legge al Sindaco, e non già alla struttura sanitaria, perché egli è in grado di valutare, nella
veste di autorità sanitaria locale, il rapporto esistente tra la malattia mentale del soggetto e la
salvaguardia degli interessi sopra menzionati.
Non spetta quindi alla ASL sindacare il merito del provvedimento del Sindaco in quanto
non si tratta di una misura volta ad attuare una profilassi o una cura medica, bensì è uno strumento per fronteggiare una situazione contingibile ed urgente. Conseguentemente, anche la
successiva valutazione circa le modalità di esecuzione del provvedimento spetta solo al Sindaco quale autorità sanitaria locale e prescinde dalla valutazione che l’ASL abbia proposto
circa la non necessità dell’intervento delle proprie strutture (in sintesi dell’ambulanza e degli
addetti).
Capitolo II: La polizia sanitaria
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Il compito della polizia municipale, una volta coadiuvato il personale sanitario nella materiale «cattura» del paziente e conseguente trasporto sull’ambulanza, è unicamente quello di
scortare la stessa fino al luogo del ricovero, adempiendo in tal modo ad una duplice finalità:
scorta di sicurezza per la circolazione stradale e accertamento dell’esecuzione dell’ordinanza con la notifica al responsabile del servizio psichiatrico ospedaliero.
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