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FONDAMENTI STORICO EPISTEMOLOGICI DELLE
SCIENZE MOTORIE 2005/2006
Docente Attilio Carraro
Tutor online Alessandro Grainer
LEZIONE 2 (1° Modulo On-line, 13 Marzo 2006)
Orientarsi tra problemi e definizioni
ƒ
Le parole chiave dell’epistemologia
ƒ
La prospettiva popperiana
ƒ
La ricerca filosofica e le attività fisiche
Città del Messico, 1968, podio olimpico dei 200 metri:
John Carlos e Tom Smith alzano il pugno in segno
di protesta contro la discriminazione razziale.
Attenzione alla verifica al termine di questo modulo!
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Orientarsi tra i problemi e le definizioni
Al termine di questa lezione lo specializzando dovrebbe individuare alcune questioni
cruciali dell’analisi epistemologica, per riferirle al dibattito sulle scienze motorie:
1. riconoscere il problema della demarcazione tra scienza e pseudoscienza ed i
concetti di verificazione e falsificazione (una teoria può essere smentita dai dati
dell’esperienza);
2. riconoscere la dicotomia tra linguaggio teorico e linguaggio osservativo;
3. chiedersi se le costruzioni teoriche delle scienze sono descrizioni più o meno
particolareggiate della natura, oppure comodi strumenti intellettuali con cui gli
uomini organizzano le loro rappresentazioni mentali della realtà;
4. riconoscere l’esistenza di condizionamenti storici dell’opera degli scienziati (si
pensi ad esempio al fenomeno del doping) e delle implicazioni sociali delle
scoperte scientifiche.
Le domande su cui è articolata questa lezione sono le seguenti:
ƒ
Quali sono gli elementi che devono essere considerati per ragionare di
fondamenti epistemologici?
ƒ
Quali sono i campi fondamentali di applicazione della filosofia della scienza?
ƒ
Le parole chiave dell’epistemologia popperiana, metodo scientifico, principio di
falsicabilità, induzione, errore, verità, verosimiglianza, corroborazione, possono
essere declinate in un tentativo di elaborazione di una epistemologia delle
Scienze Motorie?
Vengono presentate tre chiavi per introdursi a questi problemi (badate che si tratta
solamente di un’introduzione, perché ben altri approfondimenti sarebbero necessari
per sviluppare approfonditamente le tematiche evidenziate):
-
una definizione enciclopedica di EPISTEMOLOGIA;
-
un contributo tratto da un saggio M. Baldini, uno dei più importanti studiosi italiani
di Karl R. Popper;
-
la prospettiva della ricerca filosofica nelle attività fisiche secondo Scott Kretchmar.
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Epistemologia,
termine coniato sulle parole greche epistémé (scienza) e lògos
(discorso), con cui si indica quella branca della teoria generale della conoscenza che si
occupa di problemi quali i fondamenti, la natura, i limiti e le condizioni di validità del
sapere scientifico, tanto delle scienze cosiddette esatte (logica e matematica), quanto
delle scienze cosiddette empiriche (fisica, chimica, biologia, …; psicologia, sociologia,
storiografia, …). L’epistemologia è quindi lo studio dei criteri generali che permettono
di distinguere i giudizi di tipo scientifico da quelli di opinione tipici delle costruzioni
metafisiche e religiose, delle valutazioni etiche, ecc. In questo senso l’epistemologia è
considerata parte essenziale della filosofia della scienza.
I campi fondamentali d’applicazione della filosofia della scienza possono venire distinti,
per comodità di esposizione, in cinque gruppi fondamentali, pur essendo naturalmente
numerosi e tutt’altro che trascurabili i legami fra tali raggruppamenti.
1. Problemi relativi a quella che può essere chiamata un’opera di chiarimento e di
precisazione delle nozioni strutturali del discorso scientifico
2. Classificazione delle diverse discipline scientifiche e fondamenti delle varie scienze
3. Rapporto teoria-esperienza nella ricerca scientifica
4. Processo di sviluppo della conoscenza scientifica e portata conoscitiva delle teorie
scientifiche
5. Rapporti intercorrenti tra la scienza da una parte e le altre forme della cultura
(arte, religione, politica, morale, …), nonché l’organizzazione economico-sociale
dall’altra.
[da Enciclopedia Garzanti di Filosofia, 1991]
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LE PAROLE CHIAVE DELL’EPISTEMOLOGIA POPPERIANA
[Da M. Baldini Introduzione a Karl R. Popper, Armando Editore 2002]
“Tutta la mia concezione del metodo scientifico consiste di questi
tre passi: 1. inciampiamo in un problema; 2. tentiamo di
risolverlo, ad esempio proponendo qualche nuova teoria; 3.
impariamo dai nostri sbagli, specialmente da quelli che ci sono
resi presenti nella discussione critica dei nostri tentavi di
risoluzione. O, per dirla in tre parole: problemi-teorie-critiche”.
Karl R. Popper [Vienna 1902-1994]
1. Le regole del gioco della scienza
Le opere ed i saggi epistemologici di Karl Popper, da quelli della gioventù a quelli degli
ultimi anni sono caratterizzati da una sostanziale continuità e, quindi da un ritornare
con continui approfondimenti sulle stesse tematiche. È possibile, quindi individuare
con facilità i termini chiave delle sue posizioni teoriche e attraverso una loro sintetica
illustrazione rendere più agevole la comprensione del pensiero di questo filosofo da
parte di chi si accosta ad esso per la prima volta.
a. Il metodo scientifico
Popper afferma che il metodo scientifico non esiste o, per meglio dire, che non
esiste in diversi sensi. Tale affermazione suona, di primo acchito, incredibile e
paradossale, dato che Popper è stato il più importante epistemologo del Novecento.
Tuttavia se andiamo a guardare le motivazioni che egli adduce troviamo che queste
risultano decisamente convincenti.
In primo luogo, egli afferma che non esiste una disciplina che si occupa del metodo
scientifico perché ritiene che in generale le discipline non esistano. “Non ci sono
discipline egli afferma né rami del sapere o, piuttosto, di indagine: ci sono soltanto
problemi e l’esigenza di risolverli. Una scienza come la botanica o la chimica (o,
diciamo, la chimica fisica, o l’elettrochimica) è, a mio avviso, soltanto un’unità
amministrativa”.
Le discipline, dunque, sono per Popper inesistenti, esse vivono esclusivamente per
motivi burocratici-amministrativi; ciò che esiste sono soltanto i problemi e questi
vanno affrontati con tutte le armi teoriche che di volta in volta sono disponibili.
In secondo luogo, la disciplina che si occupa del metodo scientifico è "persino meno
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esistente di altre inesistenti discipline" per un ulteriore motivo. Essa, infatti, non esiste
neppure nei modi in cui è stata concepita dai suoi fondatori. «Platone, Aristotele,
Bacone e Cartesio - osserva Popper -, così come la maggior parte dei loro successori,
ad esempio, John Stuart Mill, credevano che esistesse un metodo per trovare la verità
scientifica. In un periodo più recente e un po' più scettico, ci furono dei metodologi
che credevano che esistesse un metodo, se non per trovare una teoria vera, almeno
per accertare se una data ipotesi fosse o no vera; o (in un modo ancor più scettico) se
una data ipotesi fosse almeno "probabile" in qualche grado accertabile».
Ma tali concezioni metodologiche sono, per Popper decisamente erronee. Infatti, a
suo avviso: «1. Non c'è alcun metodo per scoprire una teoria scientifica; 2. Non c'è
alcun metodo per accertare la verità di un'ipotesi scientifica, cioè nessun metodo di
verificazione; 3. Non c'è alcun metodo per accertare se un'ipotesi è "probabile", o
probabilmente vera».
Dalla metodologia della scienza, dunque, secondo il nostro epistemologo, non ci si
deve aspettare l'individuazione di una serie di norme che garantiscano quasi
meccanicamente la scoperta di nuove teorie. Non esiste una logica della scoperta, ma
una logica della ricerca. Le teorie cioè vengono scoperte solo grazie alla fantasia e alla
creatività degli uomini di scienza e non già in seguito all'applicazione di procedimenti
routinieri.
L’epistemologia, inoltre, non può fornire consigli metodologici che consentano di
affermare, in modo ultimo e definitivo, che una qualsivoglia teoria scientifica è vera
per l'eternità. Nessuno tra gli uomini possiede un criterio di verità e tutta la
conoscenza umana è fallibile, congetturale, ipotetica.
b. Il principio di falsificabilità
I neopositivisti, i membri cioè del "Circolo di Vienna" negli anni venti sostennero
che avevano senso solo le proposizioni che erano empiricamente, fattualmente
verificabili (cioè solo gli asserti scientifici), mentre tutte le altre (quelle ad esempio
metafisiche, religiose o etiche), che non erano passibili di tale verifica, erano prive di
senso. Il principio di verificazione, dunque, si presentava come un criterio di
significanza in grado di delimitare la sfera del linguaggio sensato da quello privo di
senso.
.
Intorno alla metà degli anni trenta, però, Popper avanzò un nuovo principio: il
principio di falsificabilità. Quest'ultimo, a differenza di quello dei neopositivisti, è un
criterio di demarcazione e non di significanza. Serve a distinguere ciò che è scientifico
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da ciò che scientifico non è, ma non esprime nessun giudizio sulla sensatezza o
insensatezza degli asserti non scientifici.
«Come criterio di demarcazione non si deve pretendere – afferma Popper - la
verificabilità, ma la falsificabilità di un sistema. In altre parole: da un sistema
scientifico non esigerò che sia capace di essere scelto, in senso positivo, una volta per
tutte ma esigerò che la sua forma logica sia tale che possa essere messo in evidenza,
per mezzo di controlli empirici, in senso negativo: un sistema empirico deve poter
essere confutato dall'esperienza».
Di fatto, Popper si è accorto che «le teorie non sono mai verificabili empiricamente. E
una teoria non può mai essere verificata in maniera conclusiva, in quanto è sempre
possibile che un’osservazione successiva alla sua formulazione possa smentirla. Le
teorie, dunque, per motivi logici, non sono verificabili, ma soltanto falsificabili. In
effetti, tra la verificabilità e la falsificabilità vi è una asimmetria e tale asimmetria
risulta dalla forma logica delle asserzioni universali, cioè dalla forma logica che è
propria delle leggi scientifiche. Tali asserzioni, infatti, «non possono mai esser derivate
da asserzioni singolari, ma possono venir contraddette da asserzioni singolari».
Per il nostro epistemologo, una teoria è candidata ad entrare nel corpus scientiarum
solo se è falsificabile di principio e può essere considerata scientifica, almeno
temporaneamente, solo se, nonostante i vari tentativi di confutazione che sono stati
intrapresi, non è stata falsificata di fatto. In breve, una teoria scientifica, nella misura
in cui parla della realtà, deve essere falsificabile e nella misura in cui non è falsificabile
non parla della realtà. In altre parole, secondo Popper, «una ipotesi acquista status
scientifico solo quando viene presentata in una forma in cui possa essere falsificata,
cioè a dire solo quando è divenuto possibile il decidere empiricamente tra essa e
qualche teoria rivale». Pertanto, di fronte ad un uomo di scienza che pretenda che la
sua teoria debba essere ritenuta scientifica, Popper sostiene che si deve porgli la
seguente domanda: «Puoi descrivere una qualsiasi osservazione possibile che,
effettivamente compiuta, confuterebbe la tua teoria? Se non lo puoi allora è chiaro che
la teoria non ha il carattere di una teoria empirica; infatti, se tutte le osservazioni
concepibili vanno d'accordo con la tua teoria, allora non hai il diritto di pretendere che
una qualsiasi osservazione particolare offra un sostegno empirico alla tua teoria.
Oppure, per dirla più in breve: solo se puoi dirmi il modo in cui la tua teoria possa
essere confutata, o falsificata, possiamo accettare la pretesa che la tua teoria abbia il
carattere di una teoria empirica».
Il criterio di falsificabilità o criterio di confutabilità «non implica come afferma
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Popper - che le teorie inconfutabili sono false, e non implica neppure che sono prive di
significato. Ma implica che, finché non possiamo dare una descrizione dell'aspetto che
ha una possibile confutazione della teoria, allora quella teoria è al di fuori della scienza
empirica. Il criterio di confutabilità o falsificabilità può anche essere chiamato criterio
di controllabilità. Infatti, controllare una teoria, o la parte di un macchinario, significa
tentare di coglierlo in fallo. Così una teoria, di cui sappiamo in anticipo che non può
essere colta in fallo o confutata, non è controllabile». In ultima analisi una teoria è
controllabile se è confutabile e controllare una teoria significa tentare di trovare i suoi
punti deboli.
Occorre,
tuttavia,
distinguere
la
falsificazione
logica
dalla
falsificazione
metodologica. Infatti, se da un punto di vista logico la conferma di una teoria non è
mai logicamente definitiva, la sua confutazione è sempre logicamente definitiva.
Infatti, è sufficiente vedere un cigno nero per smentire l'asserto universale: «Tutti i
cigni sono neri». Tuttavia, sul piano metodologico la falsificazione di una teoria è
sempre non definitiva. «Nessuna falsificazione - scrive Popper - può essere
assolutamente certa, a causa del fatto che non possiamo mai essere del tutto certi
che gli asserti di base che accettiamo siano veri». Inoltre, non si può mai falsificare
una teoria isolatamente, ma solo sistemi di teorie (le nostre teorie, infatti, sono
sempre tra loro interrelate in modo da formare una fitta rete, rete che costituisce il
nostro sapere-di-sfondo).
c. L'induzione
Per l'epistemologia tradizionale il progresso della scienza è dovuto all'accumularsi di
teorie, cioè all'accumularsi di osservazioni ed esperimenti. Secondo l'epistemologo
tradizionale, gli scienziati iniziano col collezionare e classificare i fatti, coll'accumulare
quanti più dati è loro possibile. E soltanto quando le osservazioni raccolte e gli
esperimenti compiuti sono divenuti particolarmente numerosi i ricercatori formulano
quelle teorie che induttivamente è possibile trarre da essi. In altre parole,
l'epistemologo tradizionale ritiene che la scienza si distingua dalla pseudoscienza
grazie al suo metodo induttivo. In tal modo l'induzione è stata considerata per secoli il
marchio di garanzia delle teorie scientifiche.
Ebbene secondo Popper, «L’induzione è un pasticcio», essa «non risulta giocare
nessuna parte autonoma nell'epistemologia o nel metodo della scienza o nello sviluppo
della conoscenza». E nella Logica della scoperta scientifica aveva affermato che l'uso
del metodo induttivo non può essere considerato come una valida garanzia di
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scientificità, in quanto ad un attento esame esso risulta essere del tutto «superfluo» e,
per di più conduce inevitabilmente a «contraddizioni logiche».
In genere si è soliti dire che un'inferenza è induttiva quando procede da asserzioni
singolari (come i resoconti dei risultati di osservazioni o di esperimenti) ad asserzioni
universali (come le ipotesi e le teorie). Ora, afferma Popper, «da un punto di vista
logico è tutt'altro che ovvio che si sia giustificati nell'inferire asserzioni universali da
asserzioni singolari per quanto numerose siano quest'ultime; infatti, qualsiasi
conclusione tratta in questo modo può sempre rivelarsi falsa: per quanto numerosi
siano i casi di cigni bianchi che possiamo avere osservato; ciò non giustifica la
conclusione che tutti i cigni sono bianchi».
In realtà, il problema della giustificazione delle inferenze induttive o, se vogliamo,
del modo per stabilire la verità di asserzioni universali basato sull'esperienza, noto
come il problema dell'induzione, non può essere risolto in maniera logicamente
soddisfacente in quanto tutti i tentativi volti a stabilire un principio di induzione sono
destinati a fallire. Di fatto, il principio di induzione, cioè un'asserzione con l'aiuto della
quale sia possibile giustificare logicamente le inferenze induttive, non può essere una
verità puramente logica, come una tautologia o come un'asserzione analitica. «In
realtà se esistesse qualcosa come un principio d'induzione puramente logico non ci
sarebbe alcun problema dell'induzione, perché in questo caso tutte le inferenze
induttive dovrebbero essere considerate come trasformazioni puramente logiche o
tautologiche, proprio come le inferenze della logica deduttiva. Dunque, il principio
d'induzione deve essere un'asserzione sintetica cioè un'asserzione la cui negazione
non è autocontraddittoria, ma logicamente possibile. Sorge così la questione: perché
un tale principio debba essere senz'altro accettato, e come sia possibile giustificare la
sua accettazione su basi razionali».
Del resto, «già dall'opera di Hume si sarebbe dovuto vedere chiaramente che in
relazione al principio di induzione possono facilmente sorgere contraddizioni; e si
sarebbe anche dovuto vedere che esse possono venire evitate, ammesso che lo
possano, soltanto con difficoltà. Infatti il principio di induzione deve essere a sua volta
un'asserzione universale. Dunque, se tentiamo di considerare la sua verità come nota
per esperienza, risorgono esattamente gli stessi problemi che hanno dato occasione
alla sua introduzione. Per giustificarlo dovremmo assumere un principio induttivo di
ordine superiore, e così via. In tal modo, il tentativo di basare il principio d'induzione
sull'esperienza induttiva fallisce, perché conduce necessariamente ad un regresso
all'infinito».
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L’arte dell'induzione valida, dunque, non esiste. In altri termini «l'induzione cioè
l'inferenza fondata su numerose osservazioni è un mito. Non è né un fatto psicologico,
né un fatto della vita quotidiana e nemmeno una procedura scientifica». Il metodo
induttivo, pertanto, non solo non riesce a rendere conto delle teorie scientifiche, ma
rimane anche sostanzialmente estraneo all'effettivo procedere della ricerca scientifica.
Di fatto, come tra breve vedremo, secondo Popper, «il successo della scienza non è
fondato su regole induttive, ma dipende dalla fortuna, dalla genialità e dalle regole
puramente deduttive dell'argomentazione critica».
d. Problemi, teorie e critiche
La scienza, sostiene a più riprese Popper, inizia sempre da problemi e questi sono il
frutto delle nostre aspettazioni, pratiche o teoriche, deluse.
E ciò vale non solo per noi, ma anche per quel nostro lontano avo che si risvegliò al
primo mattino del mondo. «lo asserisco - scrive Popper - che ogni animale è nato con
molte aspettazioni, solitamente inconsce, o, in altre parole, che è dotato fin dalla
nascita di qualcosa che corrisponde da vicino alle ipotesi, e così alla conoscenza
ipotetica. E asserisco che abbiamo sempre una conoscenza innata - innata in questo
senso da cui partire, anche se può ben darsi che di questa conoscenza innata non
possiamo fidarci affatto. Questa conoscenza innata, queste aspettazione innate se
disilluse, creeranno i primi nostri problemi, e l'accrescimento della conoscenza, che ne
segue, si può descrivere come un accrescimento che consiste interamente nelle
correzioni e nelle modificazioni della conoscenza precedente».
L’osservazione
(e
l'esperimento),
sostiene
Popper,
viene
sempre
dopo
l'aspettazione o l'ipotesi e questo per motivi logici. Si osserva, infatti, sempre da uno
specifico punto di vista. E le osservazioni ci permettono di fornire una risposta a
domande che abbiamo in testa. «Quando Galilei - scrive Kant - fece rotolare le sue
sfere su di un piano inclinato, con un peso scelto da lui stesso, e Torricelli fece
sopportare all'aria un peso, che egli stesso sapeva già uguale a quello di una colonna
d'acqua conosciuta [...] fu una rivelazione luminosa per tutti gli investigatori della
natura. Essi compresero che la ragione vede solo ciò che lei stessa produce secondo il
proprio disegno e che deve essa entrare innanzi e costringere la natura a rispondere
alle sue domande; e non lasciarsi guidare da lei, per così dire, colle redini, perché
altrimenti le nostre osservazioni, fatte a caso e senza un disegno prestabilito non mettono capo a una legge necessaria, che pure la ragione cerca e di cui ha bisogno».
Per Kant, come per Popper, è necessario mettere la natura a confronto con delle
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ipotesi ed esigere una risposta alle domande che sono state formulate. Infatti, qualora
manchino tali ipotesi, si possono compiere soltanto osservazioni casuali che non
condurranno mai alla formulazione di una legge scientifica. «Il semplice accertamento
dei fatti - scrive Claude Bernard - non arriverà mai a costruire la scienza. Si ha un bel
moltiplicare i dati e le osservazioni; tutto questo non insegnerà mai nulla». In realtà, il
dato non rappresenta nulla in sé e per sé, ma ha valore ed acquista significato solo in
relazione alla teoria che lo ha illuminato. L’ipotesi, per motivi logici, è «sempre il
punto di partenza di ogni ragionamento sperimentale. Senza di essa non si può fare
alcuna ricerca, né si può conoscere alcuna cosa; si possono solo accumulare
osservazioni sterili».
La scienza, dunque, è primariamente invenzione di ipotesi. Contro il mito baconiano
dell'induzione che pregiava l'osservativismo Popper afferma che il primum della ricerca
scientifica è l'attività teorica. «L’osservazione "pura" quella priva di ogni componente
teorica non esiste. Tutte le osservazioni - e in particolare quelle sperimentali - sono
interpretazioni dei fatti compiute alla luce di questa o di quella teoria».
E «sfido - egli aggiunge - quanti sono di parere contrario, e credono che le teorie
siano il risultato di osservazioni, a cominciare ad osservare qui ed ora, e a mostrarmi
il risultato delle osservazioni. Direte forse che è scorretto e che, qui ed ora, non c'è
nulla di notevole da osservare. Ma anche se conduceste tutta la vostra vita
annotando, taccuino alla mano quel che osservate, e infine lasciaste per testamento
l'importante libretto alla Royal Society, chiedendo che ne estraggano della scienza,
questa potrà anche conservarlo come curiosità, ma certamente non come fonte di
conoscenza. Esso resterebbe forse dimenticato in qualche sotterraneo del British
Museum [...] ma più probabilmente finirebbe nella spazzatura».
Popper, come abbiamo veduto, sostiene che la scienza non parte da osservazioni,
ma da problemi (problemi pratici e teorici) e quando l'uomo di scienza incappa in un
problema egli tenta di risolverlo per mezzo di congetture, che subito sottopone ad un
attento esame critico. Del resto, «il metodo migliore, se non il solo, per imparare
qualcosa intorno ad un problema, è quello di tentare di risolverlo, prima tentando di
indovinare, e quindi di isolare gli errori che abbiamo commesso».
Talvolta, può accadere che «un tentativo di indovinare, o una congettura,
sopportino per un bel po' le nostre critiche e i nostri controlli. Ma, di regola, troviamo
che le nostre congetture possono essere confutate, o che lo risolvono solo in parte; e
troviamo che anche le soluzioni migliori - quelle che sono in grado di resistere alle
critiche più severe delle menti più brillanti ed ingegnose - danno presto luogo a nuove
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difficoltà, a nuovi problemi. Dunque, possiamo dire che la nostra conoscenza si
accresce man mano che procediamo da vecchi problemi a nuovi problemi per mezzo di
congetture e di confutazioni; per mezzo della confutazione delle nostre teorie; o, più
generalmente, delle nostre aspettazioni».
Lo scienziato posto di fronte ad un problema può sperare di risolverlo grazie alla sua
fantasia. La fantasia, dunque, è estremamente importante per l'uomo di scienza,
anche se egli non può mai fidarsi di essa. Infatti, se può mostrargli la via migliore per
riuscire a risolvere i problemi che lo fronteggiano, può anche darsi il caso che lo porti
fuori strada. La fantasia, pertanto, è indispensabile, in quanto è la fonte principale
delle nostre teorie. Tuttavia, le creazioni scientifiche non sono libere allo stesso modo
di quelle artistiche, in quanto esse devono sopravvivere ad un confronto con
l'esperienza. Ciò che garantisce l'oggettività nelle scienze non è la mancanZa di
fantasia dei suoi addetti ai lavori, ma bensì il loro atteggiamento critico nei confronti di
tutte le congetture che vengono di volta in volta avanzate.
La scienza, per Popper, dunque, è in prima luogo invenzione di ipotesi e
l'esperienza (cioè l'osservazione e l'esperimento,) assolve il ruolo di controllo delle
teorie.
«La
funzione
più
impartante
-
egli
scrive
-
dell'osservazione
e
del
ragionamento, come pure dell'intuizione e dell'immaginazione, è quella di aiutarci ad
esaminare criticamente quelle congetture ardite che sono i mezzi con cui sondiamo
l'ignoto». In ultima analisi, l'epistemologia di Popper assegna alle osservazioni e agli
esperimenti la funzione maestra e tuttavia importante di controlli che possano,
aiutarci nella scoperta degli errori.
e. L'errore
L’epistemologia di Popper è, senza dubbia, una epistemologia che rende conto
dell'immane potenza dell'errore. La tesi di fondo di una delle sue opere principali è
propria questa: che «la nostra conoscenza si accresce nella misura in cui impariamo
dagli errori». «Nella scienza carne nella vita - afferma Popper - vige il metodo
dell'apprendimento, per prove ed errori, cioè di apprendimento dagli errori. L’ameba
ed Einstein procedono allo stesso modo: per tentativi ed errori e la sola differenza
rilevabile nella logica che guida le loro azioni è data dal fatto che i loro atteggiamenti
nei confronti dell'errore sono profondamente diversi. Einstein, infatti, diversamente
dall'ameba cerca consapevolmente di fare di tutto, ogni qualvolta gli capiti una nuova
soluzione, per coglierla in fallo e di scoprire in essa un errore: egli tratta a si avvicina
alle proprie soluzioni criticamente». Egli cioè assume un atteggiamento conAttilio Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2006
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sapevolmente critico nei confronti delle proprie idee, cosicché mentre l'ameba morirà
a causa dei suoi errori, Einstein sopravviverà proprio grazie ad essi.
I tentativi e gli errori degli scienziati consistono in ipotesi, cioè in supposizioni, in
tentativi di soluzione di problemi, in congetture. E queste congetture sono «soggette
al controllo della critica, cioè a tentativi di confutazione, includenti controlli
severamente critici. [...] La critica delle congetture è di importanza decisiva:
mettendo in evidenza i propri errori, essa ci fa comprendere le difficoltà del problema
che stiamo cercando di risolvere. È in questa modo che prendiamo meglio conoscenza
del problema e ci mettiamo in grado di proporre soluzioni più avanzate: la stessa
confutazione di una teoria - cioè, di qualsiasi serio tentativo di soluzione del problema
è sempre un passo avanti, che ci porta vicina alla verità. E questo è il modo in cui
possiamo imparare dagli errori».
Nella vita come nella scienza quanto più si tenta tanto più si impara anche se si
fallisce ogni volta. Infatti, dato che nella scienza non si sbaglia mai due volte alla
stessa modo, sono proprio gli errori, individuati mediante controlli critici, a indicarci la
via del progresso. Spesso le confutazioni sono state considerate «come sanzioni
dell'insuccesso di uno scienziato, o almeno della sua teoria. Si deve osservare afferma Popper - che questo è un pregiudizio induttivistico. Ogni confutazione
dovrebbe essere considerata un grande successa, non solo per lo scienziato che ha
confutata la teoria, ma anche per quella che suggerì originariamente, anche se solo
indirettamente,
l'esperimento,
confutante».
In
altre
parole,
nella
scienza
la
scalzamento delle teorie, anche di quelle più raffinate deve essere considerato «come
un buon trionfo, un progresso. Infatti, non è possibile scalzare una buona teoria senza
imparare una enorme quantità di case da essa e dal sua fallimento. Come sempre
impariamo dai nostri errori».
L’uomo di scienza sa che non esiste un criterio di verità, sa che egli può commettere
errori e che quanto prima li commetterà tanto meglio sarà, giacché nella scienza sono
proprio gli errori che ci forniscono i deboli segnali rossi che «ci aiutano, a trovare a
tentoni la via d'uscita dalle oscurità della caverna». Gli errori, dunque, sono i muri
maestri del nostro, sapere, non solo perché come dice Roger Martin du Gard «è già
qualcosa sapere dove non si trova la verità», ma anche e soprattutto perché soltanto
essi ci consentono di avvicinarci alla verità.
f. Verità, verosimiglianza e corroborazione
La verità nella scienza, afferma Popper, non è un possesso, ma un ideale
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regolativo. Dobbiamo abituarci, egli sostiene, all'idea che non si deve guardare alla
scienza come ad un corpo di conoscenze certe e definitive ma piuttosto come ad un
sistema di ipotesi, ad una rete di teorie con le quali lavoriamo sin quando superano i
controlli, ma delle quali non abbiamo mai il diritto di dire che sappiamo che sono vere,
o anche probabili.
«Prima di tutto - egli scrive - benché nella scienza noi facciamo del nostro meglio
per trovare la verità, siamo consapevoli del fatto che non possiamo mai essere sicuri
di averla trovata. Abbiamo imparato nel passato, da molte delusioni, che non
dobbiamo mai aspettarci nulla di definitivo. E abbiamo imparato a non più lasciarci
scoraggiare se le nostre teorie scientifiche sono smentite; infatti noi possiamo nella
maggior parte dei casi, stabilire con grande sicurezza quale di due teorie qualsivoglia
è la migliore. Possiamo quindi sapere che stiamo facendo dei progressi ed è questa
conoscenza che compensa la maggior parte di noi della perdita dell'illusione della
definitività e della certezza. In altre parole, sappiamo che le nostre teorie scientifiche
devono sempre restare delle ipotesi, ma che, in molti casi importanti, possiamo
stabilire se una nuova ipotesi è o non è superiore a un'altra vecchia ipotesi. Infatti se
esse sono diverse, daranno luogo a predizioni diverse che possono spesso essere
sperimentalmente accertate; e che, sulla base di siffatta decisiva sperimentazione,
possiamo talvolta scoprire che la nuova teoria porta risultati soddisfacenti; mentre la
vecchia finisce a pezzi. Così possiamo dire che, nella nostra ricerca della verità,
abbiamo sostituito la certezza scientifica con il progresso scientifico».
Il compito della scienza, anche per Popper, è la ricerca della verità nonostante non
si abbiano mai abbastanza ragioni per credere di averla raggiunta. Egli è ben
consapevole del fatto che la verità e spesso difficile da conseguire e che una volta che
l'abbiamo trovata, possiamo non sapere di averla trovata. Infatti, dal momento che
non possediamo nessun criterio di verità «anche se ci imbattiamo in una teoria vera,
di regola potremo solo indovinare che è vera, e può ben darsi che sia impossibile per
noi sapere che è vera».
In altre parole, non c'è nessuno strumento (logico od empirico) che consenta agli
scienziati di affermare che una qualsivoglia teoria è vera. Infatti, «una teoria è il suo
contenuto e il contenuto di una teoria sono le sue infinite conseguenze. Ma i controlli
effettivi sulle conseguenze di una teoria saranno sempre un numero limitato, per cui,
anche se avessimo avuto la fortuna di trovare una teoria vera (in tutte le sue infinite
conseguenze), noi questo non potremmo saperlo».
Ad ogni buon conto, osserva Popper, «la mancanza di un criterio di verità non rende
Attilio Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2006
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non-significante la nozione di verità più di quanto la mancanza di un criterio di salute
renda non-significante la nozione di salute. Un uomo malato può cercare la salute
anche se non dispone di alcun criterio per essa. Un uomo che erra può cercare la
verità anche se non dispone di alcun criterio per essa. Ed entrambi possono semplicemente cercare la salute o la verità senza troppo preoccuparsi del significato di questi
termini che essi (ed altri) conoscono abbastanza bene per i loro scopi».
Tuttavia, anche se non sappiamo quanto siamo vicini o lontani dalla verità,
possiamo e spesso riusciamo ad accostarci sempre di più ad essa e sono gli errori che
commettiamo i cartelli indicatori che ci mostrano quanto ci si sia avvicinati. Se
volessimo rendere con un'immagine la funzione che la verità come ideale regolativo
assolve nella scienza potremmo paragonarla alla cima di un monte avvolta in modo
permanente da nubi. «Non solo può darsi che lo scalatore incontri difficoltà nel
raggiungere la cima, ma può anche darsi che non sappia quando l'ha raggiunta,
perché non è capace di distinguere, fra le nubi, la cima principale da qualche cima più
bassa». E «benché per lo scalatore possa essere addirittura impossibile accorgersi di
aver raggiunto la cima, spesso sarà difficile, per lui, rendersi conto di non averla
raggiunta (o di non averla ancora raggiunta); ad esempio, quando è respinto da una
parete che lo sovrasta. Analogamente ci saranno casi in cui siano ben sicuri di non
aver raggiunto la verità».
Gli uomini di scienza non possono mai giustificare le teorie che avanzano, non
possono mai dichiarare di possedere la verità, tuttavia Popper è stato a lungo convinto
che, sebbene non esista un criterio di verità, esistesse almeno un criterio logico di
verosimiglianza. A suo avviso, tale criterio, di cui egli aveva fornito una definizione
logica, era in grado di farci individuare tra due o più teorie in competizione quella che
era più vicina alla verità. Ma negli anni settanta Popper è stato costretto a rinunciare
alla definizione logica che egli ne aveva fornito. Infatti, proprio in quegli anni, Pavel
Tichy, David Miller e John Harris hanno dimostrato che siffatta definizione popperiana
era logicamente inconsistente. Sotto l'incalzare delle critiche degli autori sopraccitati
Popper ha riconosciuto la loro fondatezza sul piano logico, ma ha anche affermato che
la sua teoria della conoscenza non era stata "minimamente scossa" da esse e che
nonostante tutto l'idea di verosimiglianza (che egli non ritiene una parte essenziale
della sua teoria) può essere ancora usata «come concetto non definito».
Ad ogni buon conto, all'interno della rete epistemologica popperiana è possibile
trovare un altro strumento in grado di giustificare razionalmente una preferenza per
una teoria tra due o più teorie in concorrenza: la corroborazione. Tra più teorie che si
Attilio Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2006
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fronteggiano, afferma Popper, sarà più razionale scegliere quella che ha il più alto
grado di corroborazione. E per grado di corroborazione di una teoria egli intende «un
conciso resoconto valutativo dello stato (ad un certo tempo t) della discussione critica
di una teoria, riguardo al modo in cui risolve i suoi problemi; il suo grado di
controllabilità; la severità dei controlli cui è stata sottoposta; il modo in cui li ha
superati. La corroborazione (o grado di corroborazione) è perciò un resoconto
valutativo di prove passate».
In tal modo però, Popper scivola dal piano logico al piano pragmatico, dalla sfera
temporale (propria della verità e della verosimiglianza) alla sfera temporale (propria
della corroborazione).
Attilio Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2006
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La ricerca filosofica applicata alle attività fisiche
[Adattato da Scott Kretchmar, in Thomas & Nelson, 2001]
Non
sempre
dovrebbero
sono
portare
chiare
a
le
ragioni
sviluppare
che
ricerche
filosofiche nel campo delle Scienze Motorie. La
ricerca filosofica è considerata da qualcuno come
un ossimoro. Questo è parzialmente dovuto al
grande sviluppo che hanno avuto le scienze
empiriche e ai dubbi - propri agli stessi filosofi,
come abbiamo appena letto - sulla validità delle
procedure di ricerca basate su un approccio riflessivo.
Una finalità fondamentale della filosofia è di esaminare la realtà usando procedure
riflessive piuttosto che gli strumenti empirici della scienza. Scienziati empirici e filosofi
non differiscono molto in base a ciò che osservano, ma sono molto diversi quando si
tratta di specificare come osservano. Entrambi i tipi di approccio sono interessanti;
per la conoscenza dell’esercizio i ricercatori empirici, ad esempio, utilizzano il
microscopio per indagare le modificazioni cellulari, raccolgono dati sulla respirazione,
monitorano i parametri cardiaci ed applicano procedure statistiche per confrontare i
dati e per attribuirvi validità e relazioni di causa. I filosofi, dall’altro lato, riflettono
sull’esercizio utilizzando strumenti quali idee e ideali, significati, esperienze vissute,
valori, relazioni logiche e ragioni, cercando, in questo modo, di gettare luce sul
fenomeno indagato.
Questo approccio, evidentemente diverso da quello delle scienze, mette i filosofi in
condizione di rispondere a domande che le metodologie empiriche non possono
risolvere. Dopo che i chimici, i fisiologi, i sociologi, gli psicologi e gli storici hanno
raccolto tutte le informazioni sull’esercizio a cui possono avere accesso, rimangono
ancora aperte questioni sui significati umani e sui valori associati a questo fenomeno.
Perché dovremmo praticare esercizio fisico? Per vivere più a lungo? Per vivere meglio?
Entrambi? Se entrambi, cosa è più importante la presenza di più vita in se, o
l’esistenza di una certa qualità di vita? Sulla base di quali criteri dovremmo
determinare la qualità della vita e, se possiamo identificare alcuni di questi criteri,
quali sono i principi e le relazioni logiche tra l’esercizio ed un buon vivere?
Le ricerche filosofiche sono necessarie non perché le metodologie empiriche siano
Attilio Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2006
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inefficaci, ma perché sono incomplete. Per esempio è da lungo tempo - se non da
sempre - una speranza della scienza scoprire i diversi meccanismi che governano i
processi naturali e il comportamento umano (si pensi alle recenti ricerche genetiche).
Se questo diverrà un giorno possibile, si potranno predire gli eventi e i comportamenti
futuri e alcuni di essi potrebbero essere, a quel punto, controllati, modificati o
addirittura manipolati.
Negli ultimi decenni sono stati compiuti considerevoli
progressi in moltissimi campi della scienza. Nell’area delle
attività
fisiche,
ad
esempio,
una
miglior
conoscenza
empirica di diversi meccanismi fisiologici, unita ad un più
alto livello di informazioni sulle sollecitazioni dell’esercizio,
ha permesso di precisare quali dovrebbero essere le
caratteristiche del movimento da associare ad uno stile di
vita attivo. Ma il movimento umano è un evento molto
complesso e la sua predizione e controllo sono stati sinora
solo tenuemente indagati. Questo è particolarmente vero
quando si consideri il gesto non nella riduzione artificiosa
del laboratorio o delle simulazioni sperimentali, ma nell’ambiente in cui si esplica.
Alcuni potrebbero sostenere che questa imprecisione è dovuta agli strumenti di
indagine
(è
ancora
impossibile,
ad
esempio,
eseguire
approfondite
indagini
biomediche ad una persona che si sposta in uno spazio ampio o nell’acqua), ma molti
filosofi potrebbero argomentare che la completa predizione è, in linea di principio,
impossibile (Merlau-Ponty, 1964; Shetts-Johnstone, 1999).
La ragione è che l’esercizio fisico è si un evento elettrochimico e biomeccanico, ma
è anche un fenomeno che si realizza solo in quanto riceve un’attribuzione di senso, di
significato. Reazioni elettriche e chimiche lineari o caotiche possono aiutarci a
comprendere l’esercizio, ma solo in una dimensione – quella delle modificazioni
elettriche appunto -, regole biomeccaniche lineari o dinamiche fanno luce su diversi
meccanismi dell’esercizio, ma ancora una volta solo all’interno di una singola
dimensione di indagine. Inevitabilmente (poiché si tratta di persone che si muovono e
non di macchine) ci sono anche significati, emozioni, interessi, speranze, esperienze
precedenti ed una specifica percezione nell’esercizio. Questi elementi giocano un ruolo
cruciale nel comportamento e non possono essere pienamente studiati guardando ad
essi come fenomeni elettrici, chimici o biomeccanici o attraverso ogni altra ristretta
finestra di osservazione. Le tecniche riflessive sono necessarie per analizzare i
Attilio Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2006
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significati e i valori così come li incontriamo nella vita quotidiana.
Sia che i filosofi stiano analizzando la natura delle cose concrete, come una partita
di calcio, o di oggetti intangibili, come la determinazione del fair play, la questione
trattata deve essere riflessivamente condotta alla mente. Conseguentemente, i loro
dati, dopo essere stati descritti, analizzati logicamente, o in altre parole elaborati,
devono essere presenti alla coscienza. Devono risiedere in quella che in termini
colloquiali viene definita la “scatola nera”. Questa scatola metaforica è colorata di nero
a sottolineare la sua impenetrabilità. Lo psicologo comportamentista Burrhus Skinner
raccomandava di ignorare il sistema nervoso centrale, perché non potrà mai essere
conosciuto così bene quanto lo si usa. Molti psicologi contemporanei riconoscono
l’importanza della cognizione, ma ancora tendono a ridurre l’esperienza a chimica,
fisiologia o teorie cibernetiche. Nonostante osino avventurarsi nella scatola nera, essi
spesso rifiutano di riconoscere i significati come tali! Come fecero molti di loro
predecessori, rifiutano di considerare l’esperienza vissuta e le idee seriamente.
Tra i ricercatori che prendono seriamente la coscienza vi sono coloro che utilizzano
metodi di ricerca qualitativi1, anche se filosofi e ricercatori qualitativi si occupano
dell’oggetto della loro indagine in modi molto differenti. Nonostante ai filosofi non sia
proibito usare informazioni raccolte appositamente per la loro ricerca (come viene
generalmente fatto dagli scienziati empiristi), normalmente questi non usano utilizzare
questo procedimento, ne è comune vedere qualche ragione per farlo. Essi,
comunemente, iniziano le loro ricerche partendo da un’idea, un esempio, un problema
teorico astratto dall’esperienza.
Entrambi, ricercatori qualitativi e filosofi, costruiscono giudizi, valutazioni o
interpretazioni che non possono essere provati, o comunque ridotti, a livello di
significatività statistica. Tuttavia, mentre il lavoro qualitativo è finalizzato ad
individuare che cosa un certo gruppo di persone realmente pensa o crede, i filosofi
sono meno interessati ad elaborare queste costruzioni individuali, in particolare a
conoscere che cosa attraversa la testa di qualcuno in un certo momento. I filosofi
dell’attività fisica riflettono su concetti, cercando di astrarli da situazioni specifiche (qui
ed ora), riflettono su che cosa andrebbe pensato a proposito dell’esercizio, che cosa
dovrebbe essere pensato a proposito del valore della salute, che cosa da senso
quando si compara l’esercizio allo sport, quali contenuti dovrebbero esserci in una
esperienza estetica di “fluidità” nel sollevamento pesi, quali ragioni possono stare
dietro ad un corretto comportamento etico di fronte all’uso di sostanze nello sport.
1
Le caratteristiche della ricerca qualitativa verranno illustrate in una delle lezioni successive
Attilio Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2006
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La finalità principale della filosofia, si potrebbe concludere, è di esaminare la realtà
attraverso tecniche riflessive, tipicamente in assenza di una collezione sistematica di
dati empirici e normalmente senza preoccuparsi di cosa una specifico gruppo pensa,
crede o sente nelle circostanze attuali. Poiché questa è una caratterizzazione molto
generale della ricerca filosofica , è utile identificare alcune suddivisioni o branche di
ricerca:
ƒ
la metafisica;
ƒ
l’assiologia;
ƒ
l’epistemologia;
ƒ
la poesia.
In metafisica i filosofi si interrogano sulla natura delle cose. Il campo d’indagine di
questa branca della filosofia copre una gamma che va dalla definizione di semplici
distinzioni (per esempio, esprimere la differenza tra sport e danza), sino a tesi più
complesse e controverse (per esempio, descrivere la natura dell’eccellenza negli
eventi competitivi).
Il lavoro nella seconda branca della filosofia, chiamata assiologia, si focalizza sul
valore delle cose, sul risultato, l’acquisizione o lo stato di questioni come fitness,
salute, conoscenza ed eccellenza (teorie di valore non-morale), sui comportamenti
umani, come infrangere o distorcere le regole di gioco (teorie sull’etica) e infine
sull’arte e sulla bellezza di certi gesti sportivi, ad esempio di certe figure della
ginnastica (ricerca estetica).
Una terza branca della filosofia, l’epistemologia, concerne la validità della
conoscenza (Come veniamo a conoscere le cose?) e la comprensione del suo status
(Quanto autorevole è la conoscenza e attraverso quali criteri possiamo determinare le
sue credenziali?). Ricerche nel campo dell’epistemologia dell’attività fisica possono
riguardare la logica (ad esempio per determinare la chiarezza e la forza delle relazioni
che intercorrono tra cooperazione e competizione nello sport), l’attribuzione di senso
(ad esempio per descrivere la differenza nella percezione individuale dello stesso
gesto tra l’atleta e lo spettatore) e l’uso della ragione (ad esempio per decidere se
crediamo che vi siano motivi validi per cui non si deve “umiliare lo sconfitto”
imponendogli un punteggio passivo eccessivo, oppure per non utilizzare il doping per
incrementare la performance sportiva).
Un’ultima branca della filosofia è emersa in tempi recenti, la poesia (Rosen, 1989).
È possibile incontrare questo approccio anche sotto il nome di decostruzionismo, e
spesso nel contesto della filosofia politica. Paradossalmente la poesia è un movimento
Attilio Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2006
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antifilosofico nato per liberare gli individui dai lacci della metafisica tradizionale,
dell’etica e dell’epistemologia. L’aspetto di liberazione riguarda il portare l’attenzione
sulle
possibili
contaminazioni
di
alcune
costruzioni
speculative
elaborate
tradizionalmente per rivendicazioni riguardo la natura ed il valore dell’attività fisica.
Potrebbe essere, per esempio, che alcune nozioni di salute e alcuni canoni estetici
ideali del corpo umano, che vengono considerati “universali”, siano in realtà
condizionati dalla cultura dominante e promulgati da questa a guisa di verità.
Potrebbe essere, per citare un altro esempio, che alcune definizioni di femminilità,
apparentemente unanimemente accettate, abbiano ristretto la partecipazione allo
sport delle donne e delle ragazze.
Questa breve discussione ha evidenziato cinque valide ragioni per intraprendere
ricerche filosofiche. La constatazione che i filosofi guardano alla realtà con strumenti
diversi da quelli usati dagli scienziati empirici. Essi riflettono piuttosto che attuare
misure e conteggi. Come risultato di questo, i filosofi individuano aspetti delle cose,
delle azioni, dei comportamenti che sono inaccessibili a coloro che lavorano solo con
immagini reali e dati dedotti dalle misure. I filosofi, al pari dei ricercatori che riflettono
sulla realtà usando metodi qualitativi, danno serio credito ai significati e alla riflessione
e sono riluttanti a ridurre l’esperienza a fenomeni elettrici, chimici o a qualche altra
manifestazione di questo genere. Tuttavia, a differenza dei ricercatori qualitativi, i
filosofi non collezionano dati (o report di osservazioni) aggregandoli in maniera
sistematica e non sono interessati a costruire elaborazioni basate sulla istanze del
singolo individuo e sulla specifica situazione (qui ed ora). Una recente rivalutazione
dell’interesse nei confronti della filosofia potrebbe risiedere in una crescita delle
consapevolezza che è impossibile arrivare a conoscere completamente (riuscire a
predire e a controllare) il comportamento dell’intera persona.
Vengono individuate quattro specifiche direzioni della ricerca filosofica, che includono:
il bisogno di conoscere la natura delle cose e le differenze tra di loro (metafisica);
l’attribuzione di un alto valore alla vita, i modi peculiari di comportarsi e la qualità
dell’arte e della bellezza (assiologia); le modalità attraverso cui gli uomini conoscono
le cose e i fondamenti in base ai quali le conoscenze si consolidano (epistemologia); i
pericoli di costruire sistemi filosofici che cerchino di dare suggestioni su che cosa
dovrebbe guidare la vita (poesia).
Le fasi della ricerca filosofica potrebbero essere le seguenti:
Attilio Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2006
21
ƒ
Identificare un problema. La buona ricerca filosofica inizia con la definizione, la
descrizione e la chiarificazione, in particolare quando l’oggetto di analisi è troppo
grande o eccessivamente vago.
ƒ
Analizzare un problema di ricerca. Sfortunatamente i filosofi non concordano
su quale sia la miglior tecnica per analizzare la realtà. In modo per così dire
grezzo, i metodi filosofici possono essere divisi in metodi ambiziosi (ottimisti) e in
metodi più cauti (pessimisti). Queste due posizioni riflettono un conflitto di giudizio
che gravità attorno a due poli: (1) il pensare o il riflettere in sé (l’atto del ricercare)
e (2) la cosa su cui si pensa o si riflette (l’oggetto della ricerca). I filosofi ambiziosi
(ad esempio Husserl, 1962) sono suggestionati dal potere della mente umana e
della ragione ed hanno, una sorta di visione ottimistica della ricerca filosofica,
tanto che pensano che questa possa superare in precisione le scienze. I ricercatori
pessimisti, dall’altra parte, dubitano del potere della ragione, guardano alle cose
come contaminate e considerano molte conclusioni filosofiche limitate, prive di
utilità o addirittura dannose. Alcuni di essi guardano alle conclusioni filosofiche
come a intenzionali o involontarie razionalizzazioni che sostengono sistemi
economici, ingiuste differenze di genere o sistemi di valori che comportano la
schiavitù degli individui.
Drammaticamente, la differenze di giudizio riguarda anche il secondo polo della
questione, l’individuazione e l’identificazione dell’oggetto di indagine. Le scuole di
filosofia più ambiziose vedono il modo come costituito da classi discrete di oggetti,
per esempio sedie, tavoli, automobili, giochi (play), competizione (game)2, danza,
buona etica, cattiva etica e quanto altro. Ciascuna di queste categorie ha una
natura che la distingue dalle altre cose che la circondano. Se i condizionamenti nel
processo di riflessione possono essere evitati, queste, ed altre categorie di cose
che popolano il mondo, possono essere fedelmente e completamente descritte in
ogni tempo. In altre parole, i filosofi scoprono (piuttosto che creare) e l’autentico
progresso filosofico è considerato possibile.
I
filosofi
più
cauti,
dall’altra
parte,
cambiano
le
ipotesi
sulla
netta
compartimentazione della realtà in classi separate di categorie. Gli oggetti nel
mondo, secondo questa visione, sono individuali, non c’è una essenza naturale
2
I termini anglosassoni play e game non hanno una corrispondenza diretta nella lingua italiana, play è
riferito al gioco autotelico, quello che si fa per il gusto in se di partecipare (mi incontro con tre amici e ci
mettiamo a palleggiare con un pallone); game si riferisce al gioco competitivo, alla partita ad una attività
organizzata che ha come epicentro il desiderio di prevalere sull’altro o sugli altri.
In questo corso ho scelto di tradurre play con gioco – anche se per noi questo è un termine ombrello che
comprende anche le attività competitive – e game con competizione – anche se nella lingua inglese ci
sono termini specifici anche per questo fenomeno, quali competition e match.
Attilio Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2006
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delle cose, non ci sono linee nette che possono essere tracciate tra categorie
astratte come “la non-sedia o il non-tavolo”, il gioco e la competizione, o le buone
ragioni morali e la loro controparte negativa. Sono piuttosto gli uomini che creano
il loro mondo, che tracciano le linee di distinzione per individuare le categorie e poi
le ridisegnano quando le idee invecchiano. Il progresso filosofico acquista poco
senso per questi ricercatori, poiché le classi sono arbitrariamente definite come
parti di una realtà continua di individui che inventano confortevoli o convenienti
finzioni.
Questa visione duale della ricerca filosofica si riflette anche nelle ricerche
filosofiche applicate allo sport e al movimento umano. I ricercatori pessimisti
credono che non sia importante una ricerca di base nel campo della filosofia
dell’attività fisica, e che i risultati conseguiti in questo ambito specifico dipendano
dal lavoro fatto in discipline parallele, dalla ricerca filosofica in sé (Mc Fee, 1998).
In altri termini, secondo questa impostazione non ci sarebbe la necessità di una
filosofia
dello
sport.
Una
visione
alternativa,
più
ottimistica,
parte
dal
riconoscimento dell’importanza del ruolo delle discipline parallele alla filosofia dello
sport, ma enfatizza l’unicità dei problemi di ricerca che si ritrovano (e il diverso
contesto in cui si sviluppano) in attività quali lo sport, la danza, il gioco e la
competizione.
Gli strumenti del pensiero induttivo e deduttivo e le strategie impiegate dai filosofi
descrittivi e speculativi sono generalmente rappresentativi delle scuole di ricerca
filosofica più ambiziose.
Utilizzare il ragionamento induttivo. È il pensiero che muove da un limitato
numero di osservazioni, per andare verso una generale conclusione sull’oggetto o sulla
classe dell’oggetto che era stato osservato. È correlato con l’attribuzione di potere alla
ragione nell’identificare, astraendoli da un contesto, elementi comuni o similari.
Utilizzare
il
ragionamento
deduttivo.
È
una
tecnica
complementare
al
ragionamento induttivo e molti filosofi combinano abilmente e spontaneamente le due
tecniche. La deduzione richiede un movimento intellettuale opposto a quello
dell’induzione, mentre il pensiero induttivo muove dal particolare all’astrazione
generale,
la
deduzione
inizia
con
una
affermazione
generale
da
l’osservazione dei particolari.
Attilio Carraro, Fondamenti Storico Epistemologici delle Scienze Motorie, 2006
cui
segue
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Orientarsi tra problemi e definizioni