“PENSO CHE IL 2011 SARÀ UN ANNO INTERESSANTE
… IN SENSO CINESE …”
Intervista a Richard Heinberg, autore de “La festa è finita” e “Powerdown” in occasione in cui è
stato intervistato a Totnes per la presentazione del suo ultimo libro “The End of Growth”:
Questa è la traduzione dell’intervista comparsa sul blog di Rob Hopkins
http://transitionculture.org/2011/03/12/richard-heinberg-interviewed-in-totnes-i-think-2011-is-going-to-be-an-interesting-year-in-the-chinese-sense/
Benvenuto
a
Totnes,
è
bello
averti
nuovamente qui! La prima domanda è: il
tuo nuovo libro è sull’economia mentre
quello precedente parlava del carbone … ma
considerando i tuoi libri antecedenti sul
picco del petrolio, a che punto siamo su
questo ? Le tue analisi complessive sono
sempre le medesime?
Sì, certamente. Il nuovo libro, The End of
Growth (La fine della crescita) sostiene che la
crescita economica mondiale è giunta al
capolinea, sia per ragioni interne al sistema
monetario e finanziario globale che per ragioni
esterne a questo sistema e il fattore primario
all’esterno del sistema monetario è il petrolio. Ora, in una situazione in cui il sistema (finanziario,
politico, economico globale) – in teoria – è relativamente stabile, penso sia concepibile che
potremmo vedere un altro anno di incremento nella produzione globale di petrolio. Ovviamente non
c’è garanzia – non si può definire con certezza che siamo esattamente al picco, poco dopo oppure
poco prima. E’ quasi un esercizio accademico, perché chiaramente siamo nel periodo del picco –
una sorta di altopiano accidentato che tutti sapevano sarebbe stata la situazione tipica del periodo
del picco di produzione. Ma non abbiamo il lusso di una situazione economica e politica stabile a
livello globale. Quindi ogni tentativo di fare previsioni diventa un pasticcio. Prima di tutto abbiamo
un’economia molto fragile che potrebbe collassare in qualsiasi momento. Mettendo tutte queste
cose insieme ci troviamo in una situazione molto volatile.
Penso che il 2011 sarà un anno
interessante … in senso cinese …
Da una prospettiva del picco del petrolio, c’è sempre quella tensione che nei momenti di
recessione economica la domanda di petrolio si riduce che poi a sua volta attenua e
rimanda il picco nel tempo. Vedi una correlazione tra queste due cose?
Fino a qualche settimana fa, all’inizio delle rivoluzioni in Medio Oriente, sembrava …. non direi
evidente ma almeno comprensibile che, come abbiamo visto nel 2008 con il prezzo del greggio che
è arrivato quasi a 150$ al barile; l’economia è crollata e ha causato il declino della domanda; il
prezzo è sceso a 35$, che a sua volta ha fatto scendere gli investimenti nella produzione futura di
petrolio. Ci sono 3 variabili da seguire: il prezzo del petrolio, gli investimenti in future produzioni e
la produzione attuale. Si potrebbe quindi prevedere che la domanda aumenterà gradualmente
quando l’economia si riprenderà, particolarmente in posti come la Cina. Ma a un certo punto –
magari nel 2012 o 2013 – la domanda supererà la capacità di produzione e farà nuovamente salire
il prezzo come abbiamo visto nel 2008. Ma penso che l’instabilità del Medio Oriente ha aggiunto una
quarta variabile a questo mix, che sta facendo sì che questo ciclo si ripeta prima di quanto avrebbe
fatto altrimenti. Stiamo assistendo a prezzi alti che non sono solo causati da un’ulteriore domanda
cinese, ma sono i risultati delle rivoluzioni in Libia e quelle potenziali nel Bahrein e nell’Arabia
Saudita. Se questo continua, potremmo vedere un’impennata nei prezzi – nuovamente a 150$ o
addirittura a 200$ e questo porterebbe a un crollo immediato dell’economia e poi vedremo fino a
dove cadranno i prezzi in quel caso. Potrebbero anche non cadere così tanto se la produzione
globale di petrolio fosse seriamente limitata. Ricordatevi che nel 2008 non è stato un declino nella
produzione di petrolio a determinare la caduta del prezzo – era una caduta della domanda. Questa
volta vedremo una caduta della domanda in un contesto di problemi di approvvigionamento, una
situazione molto diversa. Potrebbe pertanto essere molto peggio.
Puoi riassumere l’argomento centrale del tuo nuovo libro “The End of Growth” (la fine
della crescita) ?
Ok, il tema centrale è che la crescita economica è giunta al capolinea. Naturalmente verrà obiettato
che stiamo ancora vedendo segnali di crescita economica in Cina, in India e in qualche altro paese.
Ma quello che sostengo nel libro che è solo un fenomeno temporaneo; la crescita economica in Cina
è insostenibile per una serie di ragioni che elenco. Una delle ragioni è che la Cina non dispone di
sufficiente carbone per mantenere in crescita la propria economia. Sostengo questa tesi basandomi
su fattori interni al sistema monetario internazionale, dicendo che abbiamo raggiunto il limite del
indebitamento, del indebitamento delle famiglie negli Stati Uniti D’America, e ci stiamo avvicinando
al limite del indebitamento pubblico. Non sono dei limiti teorici assoluti ma dei limiti politici. Molti
paesi non sono disposti ad indebitarsi ulteriormente per non mettere in pericolo la propria moneta
nazionale. Negli USA abbiamo una situazione in cui la FED (Federal Reserve) vorrebbe continuare a
pompare più soldi nell’economia, che è stata la cosa che è riuscita a mantenere in vita l’ec0nomia
durante i recenti anni passati, ma i partner commerciali come la Germania, la Cina ed altri stanno
reagendo in modo molto arrabbiato dicendo che è sleale dal punto di vista degli accordi commerciali
globali; far scendere il dollaro per rendere le esportazioni più attraenti e così via. Non penso che sia
in atto una guerra monetaria vera e propria ma comunque pone dei limiti agli interventi da parte di
governi per stimolare ancora una volta i consumi. Significa che stiamo assistendo alla fine della
crescita economica ? Penso che sia un grosso problema avere un sistema monetario e finanziario
che funziona solo nel contesto della crescita – il modo in cui per esempio creiamo moneta dal
debito. La nostra moneta non è supportata da metalli preziosi o similari, ma creiamo i soldi tramite
i prestiti bancari, e ciò significa che se le persone non contraggono altri debiti la disponibilità di
moneta inizia a decrescere mentre ripagano i debiti esistenti oppure diventano inadempienti.
Questo è essenzialmente quello a cui stiamo assistendo. E’ un sistema progettato per il fallimento
in assenza di crescita economica. Gli ultimi capitoli del libro illustrano quello che dovrebbe
succedere per evitare il collasso finanziario globale. Dobbiamo oltrepassare questa soglia e
confrontarci con tutti i problemi che abbiamo dinnanzi di cui quello finanziario è solo uno di questi.
Penso comunque che sia il problema più immediato e pressante, se non troviamo delle soluzioni
sarà quasi impossibile gestire le risorse economiche e politiche per confrontarci con il cambiamento
climatico, l’esaurimento delle risorse, ripensare l’infrastruttura dei trasporti e il nostro sistema
alimentare, ecc. Ma dobbiamo anche occuparci di queste cose – quindi dobbiamo superare questa
soglia e poi occuparci di tutte le altre cose. Questo è l’ordine delle cose! Al momento tutti i governi
non hanno voglia di fare questo. Se lo faranno sarà solo perché costretti dalla crisi. Nel frattempo
questa crisi andrà a colpire le persone e le loro comunità. Per questo l’ultimo capitolo del libro
elenca quello che noi persone normali dovremmo fare per proteggersi dalle peggiori conseguenze di
questo collasso.
Una delle domande che è giunta tramite Twitter diceva “ La
Svezia sta assistendo alla più grande crescita di tutti i tempi –
come posso convincere i miei politici che c’è qualcosa che non
va ?” Non è come in Gran Bretagna, dove l’economia è in
grande affanno, ma ci sono paesi – come la Cina e l’India,
come hai accennato – dove il tasso di crescita è alto.
Non ho studiato la situazione svedese e non so a cosa è dovuta la
crescita. Ma un paese come la Svezia non può completamente
dissociarsi dal resto dell’economia, e mentre la pressione sull’Euro e
sul Dollaro aumenta e il prezzo del petrolio sale – penso che la
Svezia si troverà sulla medesima barca come tutti quanti.
Come convincere i politici di questo? E’ molto difficile in quanto i
politici, come dalla loro “job description”, devono mantenere una
faccia felice e sorridente oppure dare la colpa al partito di
opposizione – quindi dicendo che è tutta colpa loro. Siamo in una
situazione in cui la colpa è di tutti – abbiamo tutti avvalorato
l’economia basata sulla crescita.
Tutti vogliamo più lavoro, più
rendita degli investimenti, e l’unico modo per ottenerlo è attraverso la crescita economica. Bene,
cosa facciamo allora quando non ci sarà più crescita economica? Di chi sarà la colpa? Dovremmo
tutti prendere questa medicina amara, cambiare le nostre aspettative e cambiare i nostri stili di
vita.
E’ il grande tabù dei politici, un’eresia: mettere in discussione pubblicamente la crescita
economica. Stavo parlando ieri con una persona che ha discusso la questione della
crescita zero con un politico, che ha detto “non sono un tipo da crescita zero”. C’è una
qualche speranza che i politici possano prendere la leadership su questo ?
No, non in modo pubblico, almeno non a breve. Vorrei però sperare che a porte chiuse, in tutto il
mondo ci siano persone nelle banche centrali e nei governi che si grattano il capo e dicono “ ma,
chissà, magari quello che dicevano per anni alcuni di queste persone ai margini come Herman Daly
è vero – forse ci sono dei limiti alla crescita e magari ci stiamo andando a fracassare contro questi.
Forse dovremmo avere un piano B. Forse dovremmo, se le cose si dovessero mettere veramente
male, fare questo e quello.”. Fino a questo momento non è successo e vorrei non perdere la
speranza. Ma se non sarà così, qualcuno comunque dovrà occuparsene e trovare delle strategie
alternative da implementare in una situazione di crisi.
A proposito di Herman Daly – questa è una veloce domanda da parte di Peter Lipman.
L’economia a crescita zero è sempre inserita all’interno del sistema capitalistico, ma il
sistema capitalista stesso è fondato sulla crescita. Come vedi questa relazione tra questi
due aspetti?
Penso che sia vero. La parola capitalismo è molto controversa – significa cose diverse per persone
diverse – e almeno negli USA è una di quelle parole chiave che fa irrigidire le persone
immediatamente. Se metti in discussione il capitalismo allora sei chiaramente un comunista perché
nel mondo ci sono solo queste due alternative. Ciononostante, il capitalismo come sistema, in
qualunque modo è definito, è apparso solo alcuni secoli fa grazie alla crescita economica basata
sull’energia a basso costo. Ha incorporato non solo aspettative psicologiche ma anche richieste
istituzionali per una crescita perpetua.
Questo rende il capitalismo veramente problematico in
quanto la sua sopravvivenza futura. Ma francamente anche gli altri sistemi hanno fatto in un certo
senso la medesima cosa – il socialismo e il comunismo richiedono anch’essi la crescita in un modo o
l’altro a meno che non iniziamo a considerare le assunzioni che stanno alla base di tutti questi
sistemi. Penso che dovremmo ritornare a re-inventare la moneta stessa – non come una moneta a
debito, ma come un sistema di mutuo credito o qualcosa di simile – dove la moneta può comparire
e scomparire a seconda delle necessità, senza che si debba pagare continui interessi sui prestiti. Se
dovessimo avere un sistema monetario fondamentalmente diverso si potrebbe comunque avere
proprietà privata del capitale produttivo e le cose potrebbero comunque funzionare anche se in
modo diverso da come lo vediamo oggi.
Dall’analisi che fai in The End of Growth, l’idea di un’economia a crescita zero è qualcosa
che ritieni fattibile?
Alla fine dovremo arrivarci comunque. Sarà un’economia più ridotta di quella odierna, perché siamo
oltre le capacità produttiva della Terra. Infine dovrà essere un’economia basata principalmente su
risorse rinnovabili usate a tassi inferiori del naturale ripristino; un’economia che utilizza risorse non
rinnovabili solo se possono essere riciclate o in quantità sempre minori. Al giorno d’oggi siamo
molto lontani da una tale situazione veramente molto lontani da una situazione del genere,
quindi dovremo affrontare una buona dose di contrazione economica per arrivare ad un economia
stabile e sostenibile.
Questa è un’altra domanda da parte di Peter – è un lunga domanda basata sul lavoro di
Kevin Ayres, su energia e crescita economica, e sul lavoro di Charles Hall sull’energia
netta (EROI – ritorno energetico sull’investimento energetico) ….assumendo che viviamo
sempre di più in un mondo dove l’EROI decresce ed influenza la disponibilità di energia,
fino a che punto Ayres ha ragione che la crescita deriva dall’energia netta in un mondo
dove questa continua a calare ? Significa, come sostiene Tainter, che la complessità
sociale scenderà e questo dove ci porterà ?
Questa è una domanda meravigliosa, ma la risposta è abbastanza semplice – sì! Sì, penso che
Ayres abbia ragione, che è l’energia a determinare la crescita economica – così è certamente stato
all’inizio del ciclo. E sì, Charles Hall ha ragione quando dice che l’energia netta disponibile per le
società industriali scende con il passaggio dai combustibili fossili alle alternative – e anche i
combustibili fossili vedono un declino nell’energia netta. Dove ci porta questo ? Significa che non
potremmo sostenere gli attuali livelli di complessità sociale ? Penso che sia vero. Non faceva parte
della domanda, ma Tainter ha detto recentemente che non ci sono esempi nella storia in cui una
società ha deciso in modo deliberato e metodico di ridurre la propria complessità invece di
collassare. Questa è una dura conclusione da considerare. Spero che possiamo essere la prima
società ad invertire questo trend – ma è contro ogni prognostico. Penso che andremo incontro ad
un certo livello di collasso, almeno in tante società in giro per il mondo. E’ solo questione di come
sarà questo collasso e cosa rimarrà dopo. Più ci impegneremo ora a costruire un’economia e delle
infrastrutture che potranno sopravvivere al collasso, meglio sarà per noi.
Come vedi le differenze tra l’Europa e gli USA ? Su queste cose c’è un maggiore spirito di
sopravvivenza e l’ideale purista dell’autosufficienza. Come pensi si possa arrivare ad un
approccio più collaborativo e come vedi le differenze culturali tra la Gran Bretagna e gli
USA?
Ci sono delle belle sfide su entrambe le sponde dell’Atlantico. Ma almeno gli Europei hanno una più
grande tradizione nella collaborazione e c’è maggiore senso della storia nell’infrastruttura costruita
prima dell’era dei combustibili fossili, molte più cose a cui ritornare. Negli USA, molto dello spirito
pionieristico è direttamente collegato alle automobili e alle armi – un senso di diritto di cavarsela da
soli e fare quello che si vuole; tutti gli altri sono condannati. Non sarà di grande utilità nella
situazione che temo dovremo affrontare. Come Americano a volte mi dispero all’idea di questo
paese in una situazione di sconvolgimento economico – non siamo preparati psicologicamente.
Vorrei poter dire qualcosa di allegro !
Una cosa di cui si è parlato tanto ultimamente è il shale gas estratto dalle rocce scistose e
come questo potrà mettere a disposizione una fonte nuova di energia a basso costo in
modo da poter alimentare tutto con combustibili liquidi e che ci sono giacimenti che
potranno bastare per centinaia di anni. Pensi che il shale gas possa cambiare i giochi in
tavola ?
L’applicazione tecnologica è abbastanza nuova per cui è difficile trarre delle conclusioni definitive e
veloci. Ma ci sono dei segnali allarmanti che i metodi estrattivi potrebbero essere ambientalmente
problematici – dei segnali molto allarmanti – ma probabilmente anche con più costi e meno
economici da quello che ci è stato raccontato. La produzione di gas naturale ha sorprendentemente
un EROI basso – sono rimasto veramente shoccato dai dati di Charles Hall. Ho anticipato che
potrebbe essere allo stesso livello del carbone oppure del petrolio convenzionale, ma è
considerabilmente meno – intorno ai 16:1, più o meno come gli impianti eolici. Ma se aggiungi la
tecnologia del “fracking” con la necessità di trasportare enormi quantità di acqua, chimici e sabbia,
ed iniettarli nella terra tramite esplosivi e perforazioni orizzontali – tutto questo consuma tantissima
energia e risorse. Abbasserà l’EROI in modo massiccio. Secondo me alla fine il fracking verrà visto
come una sorta di bolla in senso economico. Molti investimenti sono stati dedicati a questo e le
compagnie specializzate nel fracking si dedicano più agli investimenti che dalla vendita della
produzione. Proprio di recente abbiamo visto come la Chesapeake Energy, (una delle compagnie
specializzate nel fracking), si è messa a vendere le azioni dell’azienda. Perché dovrebbero farlo se
l’estrazione è così vantaggiosa ?
Questo suggerisce che stanno esaurendo il capitale d’investimento e stanno vendendo quello che
potrebbe essere il loro reddito futuro. Già questo preoccupa. Stiamo facendo un report – David
Hughes, un geologo canadese sta conducendo una ricerca sul shale gas che il Post Carbon Institute
pubblicherà ancora quest’anno.
In Powerdown, parli di quattro scenari: collasso, aspettando l’elisir magico, powerdown e
“ne rimarrà solo uno”. Vedi ancora questi scenari chiave ? Hai rivisitato qualcosa?
Non li ho rivisitati in modo sistematico – penso che David Holmgren li abbia ripresi e proposti in
modo differente ma in modo altrettanto utile di come li ho proposto io. Chiaramente, i governi a
livello globale sembra che stiano lavorando verso “ne rimarrà uno solo”. Chiaramente ,
“powerdown” (decrescita energetica) è la via migliore a livello collettivo e “costruire le scialuppe di
salvataggio” non è una cattiva idea – nel contesto di non programmare solamente una
sopravvivenza personale ma quella della comunità, nel senso di costruire un’infrastruttura collettiva
per la sopravvivenza e il rinnovo e non solo il fuggire sulle colline. Non penso ci sia molto futuro per
la nostra specie se si ragiona solo in termini di sopravvivenza personale.
Se si considera per esempio il cambiamento climatico e si cerca di capire meglio su quale
posizione stare, c’è un consenso scientifico e ci sono delle ricerche, cioè che ti servono a
capire cosa è giusto o sbagliato. Mentre con l’economia è come essere in un area grigia –
ci sono così tante opinioni – quindi come possiamo capire cosa sta succedendo su scala
globale, quali criteri utilizzare per capire quanto certe teorie possono essere valide
oppure no? Quali criteri hai utilizzato tu quando hai fatto le ricerche per il tuo libro ?
E’ una domanda interessante, un’ottima domanda. E’ molto complesso in quanto in gran parte
l’economia non è una scienza – è composta da una serie di filosofie e assunzioni alle quali è stata
abbinata una matematica molto complicata. La parte matematica sembra molto scientifica ad un
osservatore esterno, ma, nuovamente, è basata su tante assunzioni. Veramente, è stata filosofia
morale sin dagli inizi. Quindi come interpretarla e quali criteri utilizzare ? Mi sono avvicinato a
persone che prima di tutto utilizzavano alla base dei loro pensieri la realtà biofisica – invece di
considerare la teoria economica come un dato di fatto su cui basare tutto il resto. Si parte
dall’energia e dalle risorse e così via, che sono molto più tangibili e possono essere studiati
utilizzando il metodo scientifico. Si arriva molto velocemente a quello che molti economisti
considererebbero territorio marginale, in quanto la teoria economica standard ancora considera
l’ambiente come un sussidiario dell’economia e che le risorse sono infinitamente sostituibili, ecc. –
che in effetti è totalmente assurdo ma è un’eresia se metti ciò in dubbio. Sei costretto a rivolgerti
agli eretici, ma a quelli il cui pensiero è legato al mondo reale.
Quindi, in termini di comprensione della situazione finanziaria in termini di debito e di tutto il mondo
delle ipoteche e delle leve finanziarie e così via, ho cercato di trovare persone che avevano un buon
record in termini di previsioni – che avevano intuito il collasso prima che ciò accadesse, quelli che
sanno come è fatta una bolla e non si fanno intrappolare da essa, chi sa com’è fatta una bolla
assomiglia e non si fa intrappolare da essa. Non ce ne sono troppi.
La scorsa settimana abbiamo incontrato Chris Huhne – il Segretario di Stato per l’Energia
e il Cambiamento Climatico qui in GB – e parlava in modo eccitato di un rapporto che
avevano fatto e che mostrava che i loro piani per l’energia rinnovabile diventavano
convenienti con un costo del petrolio a oltre 100$ al barile, perché diventava più
conveniente dei sistemi energetici convenzionali. C’è sicuramente un punto debole in tale
asserzione ma mi chiedo … cosa risponderesti?
Sicuramente il problema è che una volta che il petrolio raggiunge i 100$ al barile, l’economia
incomincia a sgretolarsi e questo rende gli investimenti per le future risorse energetiche molto
problematici. Negli USA per esempio, sta crescendo la consapevolezza tra gli esperti energetici che
abbiamo un vero problema con il sistema elettrico, per mantenerlo. Anche ignorando i limiti del
carbone, continuare a bruciare tanto carbone sta diventando problematico dal punto di vista politico
per la questione dei gas serra e così via, e altre risorse per produrre energia elettrica non si stanno
affermando in modo sufficientemente veloce e quindi assistiamo ad una grande spinta per
incrementare il nucleare.
Ma l’economia è troppo debole per sostenere gli investimenti richiesti. Quindi ci si trova con
l’industria nucleare che vorrebbe subito costruire 20 nuovi impianti, anche il governo lo vorrebbe,
ma non ci sono soldi per i prestiti. La stessa cosa sta succedendo anche nell’industria delle
rinnovabili, ma quando aprono il libretto degli assegni non c’è nulla a supporto.
Con le rinnovabili, è veramente molto importante fare l’investimento con grande anticipo perché
non è solo questione di costruire impianti eolici e fotovoltaici ma dobbiamo riconfigurare la rete e
dobbiamo creare dei sistemi di accumulo in quanto si tratta di risorse energetiche intermittenti.
Non possiamo incrementare in modo consistente l’eolico e il fotovoltaico se non investiamo
cospicuamente anche nelle altri parti del sistema. Quindi il petrolio a 100$ superficialmente rende
le altre alternative energetiche più attraenti – ma quando vai più in profondità ti accorgi che
avremmo dovuto fare questo già tanto tempo fa e che ora manca il capitale per farlo.
Considerando i tagli sulla spesa pubblica in GB, c’è un movimento emergente che dice che
non sono necessari questi tagli. Ciononostante, si potrebbe argomentare, seguendo le tue
analisi, che questo è solo l’inizio, e opporsi a questi tagli pubblici è come opporsi alla
marea che si alza. Qual’è la tua posizione sui tagli della spesa pubblica, ed opporsi ad essi
può essere in qualche modo giustificato?
Stiamo assistendo ad un declino degli standard di vita materiali (misurato in termini di consumi
energetici e merci) indipendentemente da quello che faranno i governi. Se i governi e le banche
centrali continueranno a ignorare e mascherare l’emorragia deflazionistica che sta alla base
dell’economia proteggendo gli investitori dalle perdite, come risultato si avrà il taglio delle spese
pubbliche. L’economista americano Robert Reich sostiene invece che il governo dovrebbe sostenere
i consumi e che questo metterebbe nuovamente in moto il motore della crescita. Sfortunatamente,
quest’ultima aspettativa non è realistica, considerando le limitazioni alla crescita imposte dalla
disponibilità di energia e risorse e dai disastri ambientali sempre peggiori. Comunque la strategia
di Reich è più sensata di quello di affamare le persone per salvare le banche.
In teoria potrebbe essere possibile per governi e banche centrali creare una moneta libera da
interessi per mantenere i servizi di supporto, anche se questo a lungo andare creerebbe problemi
con i partner commerciali, che considererebbero una tale strategia come inflazionistica.
Comunque, anche se le persone dovessero avere più soldi nelle loro tasche, questo non
risusciterebbe le risorse (anche se gli economisti sostengono il contrario) Questa è la ragione per
cui gli standard di vita scenderanno in ogni caso. E’ veramente una questione se la contrazione
avverrà in modo controllata ed equa oppure in modo caotico il che aumenterebbe probabilmente le
sofferenze generali e la sommossa politica.
Mi stavo chiedendo se ti erano giunti dei segnali positivi dalla Cina su due punti: si dice
che ogni settimana la Cina apre una nuova centrale a carbone. Qualcuno che vive lì e
lavora come consulente su questi temi dice che ogni volta che una nuova centrale viene
aperta una vecchia viene chiusa. E anche uno scienziato del clima di nome David Wasdell,
che è uno specialista sulle retroazioni, ha raccontato che quando ha parlato ad gruppo di
alti funzionari cinesi questi lo hanno ascoltato con grande attenzione e hanno rievocato
la cultura cinese della “sufficienza”. Non austerità ma la consapevolezza che si dovrà
ridurre le aspettative.
Sì, penso che i cinesi si stanno preoccupando dei limiti alla loro crescita che si stanno avvicinando.
I limiti dati dall’inquinamento e dalla disponibilità delle risorse si fanno sempre più pressanti. Di
quanto spazio di manovra dispongono ancora lo andremo a scoprire. Temo che non sarà molto
perché i Cinesi hanno utilizzato la crescita economica come sollievo sociale durante gli ultimi
decenni. Il popolo cinese ha fatto sacrifici enormi per far avanzare la nazione nella speranza di
diventare ricchi. “Essere ricco è glorioso” diceva Deng Xiao Ping ma solo una piccola parte della
popolazione ci è riuscita.
Staranno anche chiudendo qualche vecchio ed inefficiente impianto a carbone ma in realtà il
consumo di carbone in Cina è raddoppiato durante gli ultimi dieci anni, e in nessun modo possono
mantenere un tasso di crescita annuo del 7-10% senza incrementare l’utilizzo di carbone. Stanno
diventando i leader mondiali nell’energia rinnovabile e pianificano di costruire 250 centrali nucleari
durante i prossimi vent’anni. Ma anche considerando tutto questo, un 7-10% di crescita economica
significa raddoppiare il consumo energetico ogni dieci anni, e l’unico modo in cui attualmente
possono farlo è continuare a bruciare più carbone – che probabilmente non ci sarà. Importeranno
più carbone dall’Australia, Indonesia e forse anche dall’Alaska! Si parla oggi dell’Alaska che esporta
carbone in Cina, ma in considerazione dell’infrastruttura globale non si sa quanto di questo
commercio sarà possibile per soddisfare gli appetiti della Cina.
Se fossi un funzionario cinese penserei esattamente quello che hai detto – penserei a come
contenere la crescita senza provocare sommosse civili ? La Cina sarà il prossimo Egitto? E’ quanto
sta passando per le loro menti ora.
Sai come la Shell fa i workshop sui scenari futuri ? Una persona che conosciamo ci è stato
e c’erano due scienziati cinesi dell’alimentazione che stavano speculando su problemi
alimentari imminenti legati al clima con delle previsioni di 150 milioni di persone in gravi
situazioni di alimentazione.
Questo è imminente a causa della siccità di quest’anno nel Nord della Cina che potrebbe significare
un mancato raccolto e che potrebbe a sua volta significare che la Cina cercherà di importare
quantità enormi di grano dal resto del mondo. Siamo già in una situazione, a causa delle
inondazioni in Australia, ecc., in cui stiamo riducendo le nostre riserve alimentari a livelli veramente
pericolosi.
E’ stato interessante quello che hai detto a proposito della contrazione economica … è
quello che abbiamo discusso nella Transition Town Totnes quando abbiamo parlato della
sussistenza e le competenze di cui le persone avranno bisogno. E’ una sorta di percorso in
cui non approcci le persone con delle competenze di cui avranno bisogno più avanti nel
tempo, che sono troppo difficili per essere comprese oggi e troppo lontane da come
stiamo vivendo attualmente. Stavamo pensando di cosa le persone potrebbero avere
bisogno … se si prova a far cambiare il consueto modo di concepire il lavoro e vederlo in
modo diverso. Cosa si potrebbe fare ora che potrebbe essere accolto ?
RobHopkins:
Una cosa che abbiamo fatto qui di recente è stato un workshop su
Transizione e impresa sociale a cui hanno partecipato anche il sindaco d Totnes e il capo
della Camera di Commercio e anche qualche persona chiave a livello locale. Quello che
faremo qui i prossimi mesi insieme alla Camera di Commercio, il Comune e alcune
organizzazioni strategiche è un progetto economico per la città che gira intorno al
concetto di transizione o impresa sociale per vedere da dove potrebbe arrivare la
rinascita di questo posto. Cosa dovrebbe includere un piano come questo ?
Certamente si dovrà aumentare l’autosufficienza in tutte le aree – probabilmente nessuna città
potrà essere completamente autosufficiente. Tutta la storia delle città è quella del imperialismo
regionale e delle risorse, non penso che questo cambierà in modo sostanziale. In ogni caso non
possiamo continuare a dipendere da questi reti di trasporto globale che dipendono totalmente da
combustibili fossili a basso prezzo. Quindi ogni piano economico che focalizza sull’autosufficienza
andrà nella direzione giusta.
Ma ci sarà l’esigenza di avere un vantaggio competitivo per Totnes tanto da chiedersi: “come
possiamo contribuire ad altre regioni in modo da rimanere economicamente vitali ?” Questo arriva
fino al livello individuale. Direi alle persone di chiedersi “ Cosa potrei fare in una situazione di
economia fragile?” Se hai un lavoro e se non hai tantissimi risparmi cercherai di mantenerlo e
investire il reddito per finanziare un processo di apprendimento dove imparare a fare più cose in
proprio e diventare maggiormente autosufficiente. Allo stesso tempo, inizia a chiederti se ci fossero
molto meno soldi in circolazione e con persone che vivono in situazioni economiche contratte, per
cosa sarebbero ancora disposti a pagare e prova a apprendere questa competenza.
Ancora qualche domanda. Hai utilizzato il termine “autosufficienza” per due volte –
sento sempre un campanello d’allarme quando lo sento o lo vedo scritto – proprio per il
mito dell’autosufficienza. Ho il sentore che puntare all’autosufficienza sia come erigere
un muro intorno alla città, mentre un modo molto più appropriato per descrivere quello
che dobbiamo fare è diventare molto meno dipendenti dalle reti globali, come hai detto, e
diventare più dipendenti dalle reti locali e regionali, che penso sia nettamente diverso
dall’essere autosufficiente.
Giusto, se preferisci il termine “sostituzione delle importazioni” – questo è un modo diverso per
descriverlo – trovare modi per sostituire le cose che attualmente importiamo con cose che
autoproduciamo o coltiviamo. Ma in un modo o l’altro importeremo meno, quindi se lo chiami
autosufficienza oppure sostituzione delle importazioni o qualcos’altro ancora, è la direzione generale
verso la quale tenderemo.
Non pensi che il termine “autosufficienza” predispone a una certa mentalità?
Sì, penso che particolarmente tra quelli vocati alla sopravvivenza potrebbe essere problematico.
C’è un libro fantastico scritto negli anni settanta da John Seymour sull’autosufficienza. Penso che
abbia fatto un gran lavoro per aiutare le persone a esplorare come farsi nuovamente le cose da soli.
Ok. Controbatto con un saggio di Tony Hemenway chiamatoThe myth of self reliance (il
mito dell’autosufficienza) che ritengo molto buono. L’altro termine che hai utilizzato è
“vantaggio competitivo”, che in genere contempla una visione economica in cui i costi
della manodopera e dei materiali compensano i costi di trasporto per portare qualcosa al
mercato. Tutti questi calcoli economici sono stati fatti con un costo dei combustibili quasi
a costo zero, per cui penso che il termine “vantaggio competitivo” debba essere ridefinito
oppure rimpiazzato.
Deve assolutamente esserlo. C’è il concetto classico del vantaggio competitivo. Ma nel mondo verso
il quale ci stiamo muovendo, il modo di intenderlo ora semplicemente non funzionerà. Tutto quello
che sembrava un vantaggio competitivo si trasformerà in svantaggio competitivo !
Questo sembra un buon titolo per un saggio – “ Quando il vantaggio competitivo si
trasforma in svantaggio competitivo”! E’ un’opportunità, vero?
Herman Daly direbbe che quello che sembra un vantaggio competitivo è un vantaggio assoluto –
ma non farmi spiegare questo.
L’ultima domanda che vorrei farti – sono circa 3 anni e mezzo dall’ultima volta che sei
venuto a Totnes, quando la Transition Town era appena sul nascere. Tante cose sono
successe da allora e mi chiedevo cosa sono i tuoi pensieri e riflessioni sul successo del
movimento della transizione negli ultimi anni e anche sulle sfide che dovrà affrontare nel
futuro? Recentemente ho intervistato Michael Shuman e quando gli ho chiesto cosa il
movimento della transizione potrebbe fare per aiutare seriamente la localizzazione lui ha
detto “andare alla scuola d’impresa. Tutti abbiamo bisogno di andare alla scuola
d’impresa” Mi chiedevo, proprio per le sfide che abbiamo davanti, cosa abbiamo bisogno
di fare …?
Penso sia vero. Certamente il successo della transizione negli ultimi anni sia stato spettacolare e
lodevole – è cresciuto in modo enorme e negli USA da zero siamo ora arrivati a 80 iniziative ufficiali.
La sfida è di andare oltre i pionieri. Penso che in ogni popolazione ci sia meno del 5% che si
potrebbero definire come pionieri – persone disposte a fare cose che potrebbero sembrare strane ai
vicini. Penso che questa sia la sfida. Per me il fatto che siamo dinanzi ad una crisi economica
potrebbe essere vista come una opportunità da cui cercare di trarre il massimo, in modo che il trend
di crescita possa veramente continuare e decollare. Per persone in situazioni economiche difficili in
tempi economici incerti, penso sia importante che un’organizzazione o movimento come la
Transizione possa offrire alle persone qualche speranza e benefici tangibili, qualcosa che possa
aiutarli nelle loro circostanze di vita. Durante tempi economici incerti, le persone sono meno
interessate in questioni intellettuali o idealiste, ma saranno maggiormente interessati a quelli che
possa aiutarli ad andare avanti, a mangiare, a prendersi cura della propria famiglia, ecc. Se la
Transizione riesce ad offrire delle reti cooperative all’interno della comunità che possa dare dei
vantaggi tangibili, penso che questo aiuterà enormemente.
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Int-Heinberg - BIT Budrio in Transizione