DEL POPOLO Boris Frković il pesce a modo mio Pagina 2 Bobici e fagioli quando la minestra è DOC Pagina 3 Olivicoltura la scommessa istriana Pagine 4 e 5 «Véin de rusa» dolce elisir dignanese Pagine 4 e 5 Tutti i segreti degli agrumi Pagine 6 e 7 A Castua l’arte dello slow-food Pagina 8 cucina ce vo /la .hr dit w.e ww Come il latte materno L’ANTIPASTO An no I di Fabio Sfiligoi • n. 7 005 • Sabato, 26 novembre 2 Olivo, «prima omnium arbum» Prima omnium arbum, primo fra tutti gli alberi. La dicitura, relativa all’olivo, risale al tempo dell’Antica Roma, ma trova una perfetta applicazione anche oggi in Istria, dove, del resto, la civiltà di Romolo e Remo ha lasciato profonde tracce. La penisola dei “tre colori” nel periodo più recente ha seguito quel trend mondiale che oltre a un’offerta turistica di alto livello esige un “menù” di prodotti caratteristici del luogo. La coltivazione più marcata dell’olivo, per ordine di tempo, non certo per qualità del prodotto, è l’ultima arrivata dopo tartufo e viticoltura. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un fiorire di produttori di olio d’oliva, piccoli imprenditori che sono riusciti a fare breccia a livello internazionale, su un mercato affermato ad alto livello come quello italiano (Toscana, Puglia e Umbria sono dei “mostri”), con tanto di attestati di qualità dei quali andare orgogliosi. È il frutto di un lavoro ben programmato e serio, agevolato dalla bontà della materia prima e anche dall'appoggio della “politica” a livello regionale che sa valorizzare in maniera esemplare tutte le risorse della sua terra. Ma non bisogna dimenticare il “fattore umano”, quella gente d’Istria legata indissolubilmente al proprio solco e ai suoi frutti, come un’infinita storia d’amore nella quale la parola “tradimento” non è mai esistita. La storia dell’olivo è profondamente legata a quella dell’umanità; nelle origini dell'olio, prezioso liquido dorato, storia e mitologia si intrecciano strettamente, fino a confondersi. Fin dai tempi più remoti l’olivo fu considerato un simbolo trascendente di spiritualità e sacralità. Sinonimo di fertilità e rinascita, di resistenza alle ingiurie del tempo e delle guerre, simbolo di pace e valore, rappresentava nella mitologia, come nella religione, un elemento naturale di forza e di purificazione. Oggi è risaputo che l’olio extravergine di oliva fa bene alla salute e lo confermano tutti gli esperti in materia. Questo prezioso alimento, grazie all’elevato contenuto di acido oleico, protegge cuore e arte- rie, rallenta l’invecchiamento celebrale, previene l’arteriosclerosi. E non basta: abbassa il livello dei colesterolo LCI, (colesterolo “cattivo”), mentre innalza quello HDL (“buono”). Come prescrivono i nutrizionisti, l’olio extravergine d’oliva è quel prodotto che, sia in cottura che a crudo, viene facilmente digerito dall’organismo perché la percentuale di acidi grassi è molto simile a quello del latte materno, alimento perfetto sotto qualsiasi punto di vista. Stando ad alcune ricerche scientifiche si consiglia vivamente di consumare olio crudo extravergine d’oliva in modo da assumerne 8 milligrammi al giorno per il sesso maschile e 10 per il sesso femminile, pari a circa 50 grammi nel primo caso e 60 nel secondo. In questa si ha un aiuto consistente contro l'ossidazione e quindi l'invecchiamento del nostro corpo. Ma attenzione, non tutti gli oli d’oliva sono buoni. L’industrializzazione porta a trovare sugli scaffali anche dei prodotti artefatti, magari “tagliati” con dell’olio di semi e spacciati per olio e.v.o. È bene sapere alcune cose. Al momento dell’acquisto è meglio preferire oli confezionati in bottiglie scure o ricoperte di carta dorata adatte a proteggere l’olio dalle alterazioni provocate da una esposizione eccessiva alla luce. Dallo scaffale è consigliabile prelevare le bottiglie che non siano state vicino a fonti di calore, capaci di rovinare la qualità dell’olio contenuto. È molto importante anche un’attenta lettura dell’etichetta, facendo attenzione alla zona di produzione, all’origine delle olive utilizzate e ai metodi di lavorazione. Tra i dati essenziali non devono mancare l’identità del produttore e tutte le informazioni utili al suo reperimento, la quantità contenuta, la data di confezionamento e quella di scadenza (che dovrebbe rientrare nei 24 mesi dal confezionamento). Sull’etichetta deve essere riportato anche il valore dell’acidità libera, che se inferiore allo 0,3 p.c., rappresenta un ottimo livello qualitativo. E poi, “purtroppo”, un ottimo olio d’oliva lo si riconosce dal prezzo. Se costa poco, lasciate perdere, c’è di mezzo l’inganno. 2 cucina Sabato, 26 novembre 2005 PESCE Sub di successo e appassionato di cucina Boris Frković, il cuoco di Nettuno Testo e foto di Valentina Prokić P ovile è un posticino sulla Litoranea subito dopo Novi Vinodolski. Passata una curva molto pericolosa a destra, sulla parte opposta c’è un filare di case, fra le quali ne spicca una con la porta del garage dipinta di color blu. È circondata da una cinquantina di pini marittimi e dista soli 30 metri dal mare. È il regno di Boris Frković, Frka per gli amici, e di sua madre Marija. Frković appartiene al Gotha della pesca sportiva subacquea nazionale, i successi non si contano. Non tanto tempo fa viveva a Fiume, ma ha lasciato alle proprie spalle caos e stress cittadini per rifugiarsi a Povile dove può stare a stretto contatto con l’unico e il più grande amore della sua vita: il mare. “Frka” ossia dalla preparazione degli ingredienti alla presentazione”. Frković ai ristoranti ci va, non lo nasconde, ma solo per accumulare esperienze, per cogliere i segreti degli altri o scoprire qualche dettaglio da applicare magari alle sue ricette già collaudate. “Il massimo per ogni sub – racconta – è saper preparare bene in cucina quello che è riuscito a procacciarsi da solo. Ogni cosa del mare è commestibile, la condizione per renderla tale è sapere preparare bene gli ingredienti. Non c’è niente di più sbagliato quando si afferma che preparare delle specialità di mare sia difficile, un’operazione ‘mostruosa’. Secondo me la gente non ha il tempo necessario per una giusta preparazione. È la vita di oggi che ti costringe a fare tutto in fretta. Vanno di moda il cibo precotto o gli alimenti surgelati perché nessun vuol perder tempo in cucina. Pochi sanno, però che ci si mette meno tempo a preparare delle acciughe lesse che cucinare della pasta. Ci vogliono 10 minuti ed è un piatto da re”. Sei un grande intenditore di pesce e anche di altre delizie di provenienza marina. Qual’è il pesce migliore? “È quello più fresco. Se dovessi valutare un’occhiata appena pescata e un dentice che sta in frigo da tre giorni, credimi l’occhiata è degno di esser chiamato pesce pregiato. La freschezza non ha paragoni indipendentemente dal tipo di pesce. È un dato di fatto che questo tipo di pesce difficilmente è accessibile a tutti, in pescheria ad esempio. Devo, però, dire che quella di Fiume è ben fornita in questo senso”. Oltre alle specialità a base di pesce, la tua cucina si distingue per una forte presenza di erbe aromatiche. Spicca il finocchio marino, una piante dalle foglie carnose che cresce in prossimità del mare. Ce ne puoi parlare? “Tempo fa sono stato ospite al ristorante ‘Orsan’ a Zaton, in Dalmazia e ho avuto modo di provare il finocchio marino con del formaggio del posto. Sono rimasto così colpito da questo sapore che al ritorno mi son messo a cer- ... e con una bella ricciola Stella della TV Le ricette di Boris Frković non sono un segreto di... stato, anche perché le ha presentate in televisione. In due apparizioni nella popolare trasmissione dedicata alla cucina con sponsor il marchio “Vegeta”, ha realizzato in versione live il patè di grongo e il polipo alla marinara. Recentemente Frković è stato ospite di Goran Milić nella trasmissione “Brisani prostor”, occasione in cui ha presentato una delizia unica, ossia il finocchio marino sott’aceto. Boris Frković con il polipo alla marinara... è noto a tutti a Novi Vinodolski e dintorni, la sua popolarità va anche oltre, nel resto della costa o sulle isole. E poi, ad agevolare il “personaggio” è senz’altro la straordinaria abilità in cucina. Sono pochi, in questa parte del Quarnero, a non aver assaggiato le ricette di “Frka”, dal grande successo proprio perché uniche. A Frković tra poco cominceranno a crescere delle... branchie visto che trascorre dai 180 ai 200 giorni all’anno in mare, dalle quattro alle sei ore. Il resto del tempo, e questo è un’altra curiosità, lo dedica alla montagna essendo maestro di sci. Il tempo libero, che non è mai troppo, lo passa in cucina, a dilettarsi tra i fornelli. Il piatto forte sono le specialità di mare. Rispetto ad altri cuochi provetti parte avvantaggiato perché lui la “materia prima” se la procura da solo. Spesso ama dire che “per lui la cucina è arte, ogni piatto è una creazione assestante, da costruire dall’inizio alla fine Insalata di bordo Ingredienti Filetti di tonno in scatola Formaggio a pasta semidura Erbe aromatiche (origano, timo) Olio extravergine d’oliva Aceto di vino Aceto balsamico Finocchio marino sott’aceto Olive snocciolate Formaggio alle spezie con olio d’oliva e finocchio marino care se ce n’era. Con grande sorpresa nella mia zona ne ho trovato tantissimo, segno evidente che non è conosciuto e soprattutto che non viene usato per scopi alimentari. Il finocchio marino ha un sapore salmastro, può essere abbinato alle patate come contorno oppure può venir aggiunto a delle insalate o a dei risotto. Personalmente lo preferisco sott’aceto, con del formaggio e con un filo di ottimo olio d’oliva”. Una parte della tua popolarità è dovuta anche come pescatore di polipi. Il tuo congelatore ne è pieno, immagino... “È un prodotto del mare molto accessibile, mantiene sempre la sua freschezza e ha il vantaggio di poter esser preparato in tantissimi modi. Deve riposare nel freezer per almeno due giorni. Così il freddo e il ghiaccio possono ammorbidire i muscoli longitudinali. È per questo che il polipo rimane sempre fresco. Non va mai salato perché no di acqua marina. Se ne possono ricavare gustose alate, polpette, può venir impanato e fritto, cotto alla race sotto la campana o al forno. Anche essiccato è una delizia”. Patè di grongo Pepe Prendete una terrina da insalata di dimensioni più grandi e metteteci i filetti di tonno privati dell’olio di conservazione. Aggiungete il formaggio tagliato a dadini, le olive, il finocchio marino sott’aceto e la verdura di stagione che più vi piace. Aggiungete una bella manciata di pepe, poi le erbe aromatiche, l’olio d’oliva, l’aceto e l’aceto balsamico. Lasciate riposare per una decina di minuti, mescolate e servite. Quattro-cinque spicchi d’aglio Un decilitro di olio extravergine d’oliva Quattro-cinque capperi Sale e pepe q.b. Tagliate il grongo a pezzi grossi e mettetelo in una pentola dove ver- Polipo alla marinara Ingredienti Un polipo di un chilogrammo circa 700 grammi di patate Un decilitro di olio extravergine d’oliva Prezzemolo tritato q.b. Tre spicchi d’aglio / Pepe q.b. Lessate il polipo e tagliatelo a pezzi. Nell’acqua in cui è stato cotto, fate bollire le patate precedentemente private della buccia e tagliate a cubetti. In una pentola fate scaldare l’olio d’oliva, quindi aggiungete l’aglio sminuzzato grossolanamente. Imbiondire leggermente. Con l’aiuto di un mestolo mettete nella padella prima i pezzetti di polipo e poi le patate con l’acqua. Continuate alternando gli ingredienti fino all’esaurimento. Fate cuocere per un breve tempo, il piatto non ha bisogno di una lunga cottura perché gli ingredienti sono stati già cotti in precedenza; quindi ci vuole il tempo necessario affinché si amalghino tutti i sapori. Prima di servire aggiungete il prezzemolo e il pepe. Non mescolate il composto, scuotetelo e servite. Da consumarsi preferibilmente con il cucchiaio. serete l’acqua per farlo lessare. È importante che l’acqua ricopra il pesce. Aggiungete aceto di vino, alloro, l’aglio tagliato a pezzettini, i rametti di rosmarino e un po’ di sale. Lasciate bollire per una ventina di minuti. A cottura ultimata togliete il grongo dalla pentola e lasciatelo raffreddare. Quindi procedete manualmente a dividere la carne dall’osso. Mettete i pezzi di grongo in una terrina nella quale aggiungerete olio d’oliva, capperi, 2-3 spicchi d’aglio e pepe quanto basta. Prende- te il mixer e frullate gli ingredienti fino ad ottenere un composto spumoso. Il patè così ottenuto va messo subito in frigorifero, un’operazione necessaria per dargli compattezza. Su un piatto mettete delle foglie di insalata, prendete il patè dal frigo e con l’aiuto di due cucchiai create delle quennelle (gnocchetti). Potete usare anche delle forme diverse se avete gli stampini necessari. Per gustare meglio il patè, spalmatelo su delle fette di pane casereccio lievemente tostate in forno. cucina 3 Sabato, 26 novembre 2005 ISTRIA La «minestra di bobici», storia e leggende Il piatto DOC dell’Alto Adriatico di Marino Vocci Q ualcuno osa chiamarla impropriamente minestra istriana o triestina invece è non solo la minestra di tutti gli istriani, ma di tutte le genti dell’Alto Adriatico. Di quelle campagne che spesso arrivano fino al mare. Fatte di pianure e colline a partire dalla costa istriana punteggiata da isole e intersecata dai Valloni, poi il ciglione rettilineo dell’Altipiano carsico, l’estremo lembo della pianura alluvionale friulana e infine la pianura veneta. La minestra di bobici è un piatto di fine estate e di inizio autunno la stagione dei colori e dei sapori, quando l’Istria mette in mostra i suoi gioielli di famiglia. E la natura dopo aver fatto maturare durante tutta l’estate i fiori e i germogli della primavera, se Giove pluvio non ha fatto i capricci, sa essere estremamente generosa di messi e di frutti. Anche il mais (Zea mays nome spagnolo di origine arauca o dal nome atzeco mahiz), è pronto per essere raccolto. Viene chiamato soprattutto “formenton”, ma anche granoturco non perché di origine turca ma perché un tempo tutto quello che era “foresto” era una cosa... turca. Dai tempi di Colombo... Introdotto in Europa dopo la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, resti di mais scoperti in Messico risalgono a 3.000 anni avanti Cristo. Il grande navigatore genovese a Cuba nel suo “Giornale di bordo” del 6 novembre 1492 descrive una terra fertilissima e ben coltivata, narra di fagioli, fave e... mais. Il grande storico francese Fernand Braudel (1902-1985), mette in relazione il Ricetta di Ani e Paolo Cigui (Muggia-Fiume) La minestra di bobici Ingredienti (per 6 persone) Un chilogrammo di mais giovane (circa 9 pannocchie) 250 grammi di fagioli freschi 6-9 patate Una costa di sedano Due carote Uno spicchio d’aglio 50 grammi di costa affumicata o cotica Sale e pepe q.b. Un cucchiaio di olio extra vergine d’oliva Mettere in un casseruola il mais, i fagioli, le patate, il sedano, le carote, lo spicchio d’aglio, le coste, il pepe e il sale e l’olio e.v.o.. Coprire il tutto e lasciare bollire lentamente almeno per tre ore. Passare al setaccio un po’ di fagioli e di patate - per addensare la minestra -, il sedano e le carote. La crema dovrà risultare piuttosto densa e saporita. Presentazione Servire calda, se necessario aggiungere un po’ d’olio e.v.o. e per chi lo desidera, accompagnare con del pane ben cotto e appena sfornato. mais alla costruzione di opere monumentali. L’autore di “Mediterraneo” ricorda come il mais infatti richiedeva e richiede poco lavoro in campagna – pensiamo ad esempio a quanto ne richiede la vite – e lasciava quindi ai contadini molto tempo libero. Tempo che fu dedicato alla costruzione delle gigantesche piramidi dei Maya e degli Atzechi, alle mura ciclopiche di Cuzco e alle meraviglie di Machu Pichu. Il mais ha segnato la storia della nostra civiltà, anche perché è tra i cereali più diffusi per l’abbondanza dei raccolti e la facilità di coltivazione (anche in terreni non irrigabili) e fu destinato quindi ad usi diversi. Non solo per l’alimentazione umana, ma anche per quella degli animali di allevamento (pollame, suini, bovini, cavalli e ovini). Ha significato soprattutto polenta che, in particolare dopo le pestilenze e le carestie del 1600, ha sfamato intere generazioni e milioni di persone. Ha sostituito sia il pane che buona parte del companatico, proprio per la sua capacità di riempire la pancia e zittire i morsi della fame. Un cereale povero, però. Il mais infatti non contiene due amminoacidi importanti: la lisina presente in tutti gli altri cereali (grano compreso) e il triptofano, mentre un’altra importante vitamina, la niacina è si presente nel mais, ma è difficilmente assimilabile dall’organismo umano. Love story col fagiolo Ecco perché si è diffusa nel secolo scorso, in particolare tra le popolazioni europee, la pellagra. Una malattia e poi anche un’epidemia dovuta proprio alla carenza di proteine e di vitamine. Anche per combattere la pellagra e soprattutto grazie all’ingegno delle La descrizione di Tomizza «Deve sprizzare latte sotto la pressione dell’unghia» Fulvio Tomizza scrive così della minestra de bobici, in un piccolo e prezioso libretto intitolato “Menu d’autore” dedicato alla cucina istriana “...una minestra rinfrescante che utilizza il granoturco tenero, il quale deve sprizzare latte sotto la pressione dell’unghia...”. Una descrizione importante perché viene da chi è stato il più grande narratore dell’Istria e proprio i bobici sono uno dei piatti, che sono parte della cultura e della civiltà della tavola. Diego de Castro lo considerava il mahatma istriano e anche per me è stato la nostra grande anima. Uno scrittore profondamente legato alla sua, alla nostra terra, un microcosmo che ha fatto conoscere al mondo. Un uomo che con pazienza ed intelligenza ha saputo cogliere nel profondo le diverse sfumature di questi nostri bellissimi e complessi territori. Con la sua sofferta coerenza ha avuto il grande merito di volere e di saper parlare, a tutti gli istriani, di qua e di là dai confini. La minestra dI bobici è uno dei piatti simbolo che rappresenta tutti gli istriani. Un piatto che si tramanda di generazione in generazione e un tempo esclusivamente stagionale. Oggi che ci sono i congelatori e nei negozi troviamo tutto l‘anno le scatole di granoturco e anche di fagioli, non è più così. Fulvio Tomizza popolazioni contadine e alla disponibilità di altri prodotti della terra e di allevamento, i nostri bisnonni sono arrivati alla... minestra di bobici. Fatta si con le panne fresche e dolci del mais, ma alle quali si aggiungevano i fagioli che contenevano proteine vegetali, patate con i carboidrati (in tempi con scarsa disponibilità di pasta), un pezzo di maiale con i grassi e soprattutto le proteine animali e le carote con il suo alto valore vitaminico (B, C e soprattutto A) e ricche anche di minerali (il ferro supera qualitativamente quello degli spinaci!). Anche per questi motivi spesso in mezzo e tra le piante di “formenton” venivano seminati dei fagioli rampicanti. Si attorcigliavano alla gamba di granoturco e procuravano la mancata maturazione della pannocchia. Certo si perdeva qualche sacco di pannocchie, ma in compenso si guadagnava una quantità abbondante di fagioli spesso sufficiente per il consumo familiare di tutto un anno. Pericolo OGM Il mais/granoturco/formenton è stato uno dei cerali più coltivati. Un prodotto disponibile in diverse varietà e anche per gli usi diversi. Ne ricordo alcune varietà italiane di antica introduzione: Rostrato bianco, Perla, Invernengo, Agostano ellittico, Conico farinoso. Tra quelle di minore importanza: Pignolo, Cilindrico rosso, Pignoletto, Scagliola gialla, Dentati bianchi, e di notevole importanza colturale Rostrato, Agostano, Bianco perla, Conico poliranghi, Ottofile precocissimo, Cilindrico semifarinoso, quarantino conico bianco e Cinquantino. Tutto questo esisteva prima della “globalizzazione agroalimentare” e della “omogeneizzazione-standardizzazione” anche nella produzione del granoturco. Un problema che dovrebbe farci pensare anche considerato la diffusione, durante il secondo conflitto mondiale della dorifera da parte americana contro il nemico tedesco Purtroppo già la diffusione di mais ibridi, spesso molto più produttivi ma con semi spesso molto più farinosi, meno saporiti e meno nutrienti, hanno reso quasi impossibile la conservazione dei mais nostrani. Una situazione che oggi è ancor di più peggiorata, direi tragicamente in questo nostro mondo egemonizzato dagli OGM (Organismi geneticamente modificati). Che portano all’eliminazione delle specie autoctone che rappresentato e sono parte della nostra storia e della cultura del territorio. Dobbiamo ripensare al nostro sistema agroalimentare e soprattutto rilanciare le qualità autoctone. Il cinquantin Per la nostra minestra il migliore è certamente il cinquantin. Un mais dolce che è per nostra fortuna ancora presente in molte parti dell’Istria. Un mais a ciclo vegetale breve (50 giorni per la maturazione, anche per in alcuni casi servono 100 giorni) che viene spesso seminato dopo il raccolto del frumento ed in altre regioni dell’orzo. Così in particolare in Istria e pure per i territori che soffrivano paurosamente per la mancanza d’acqua e di adeguati sistemi di irrigazione artificiale, si riusciva a sfuggire al rischio estivo della siccità. Nelle giornate di fine estate e di inizio autunno accanto alle piante verdi di cinquantino crescono e si raccolgono gli ultimi pomodori e da poco si è conclusa la raccolta delle patate. Le mie due figlie Martina e Eva adorano quelle che i miei cugini Bruno e Livio coltivano nella terra rossa della mia Caldania. Hanno un nome importante e intrigante, “monna lisa”. Messi insieme sono gli ingredienti base per la minestra di bobici, che grazie ai grandi saperi delle nostre cuoche e cuochi, ci regalano dei grandi sapori. 4 cucina Sabato, 26 novembre 2005 Sabato, 26 novembre 2005 ISTRIA Con Franko Raguž dell’«Agroturist» sulla rinascita dell’olivicoltura a Dignano Franko Raguž: “Puntiamo tutto sull’olivicoltura” Un po’ per amore un po’ per affari di Carla Rotta Hanno scatenato guerre, hanno giocato con i destini degli umani, hanno causato catastrofi, spostato montagne, fatto impazzire i mari… brutta cosa quando gli dei si arrabbiano o si lasciano prendere da un capriccio. Qualche volta è andata bene. Si direbbe, oggi, da dio e, nello specifico, nessuno potrebbe dissentire. Nasce da un capriccio, l’olivo, meglio da una sfida per un capriccio. Si dice che Poseidone e Atena avessero messo entrambi gli occhi sull’Attica e per vedersela assegnata non avevano badato a spese: Poseidone aveva fatto balzare dalla terra un bellissimo, fiero cavallo, Atena, da una goccia d’acqua caduta su un sasso aveva fatto nascere un olivo. Ed ebbe l’Attica: pietrosa e verdeggiante in un insolito incontro di opposti. Poi l’olivo conquistò, silenzioso e tenace, tutto il Mediterraneo, unendo anche nell’agricoltura le civiltà che nelle sue acque si sono specchiate, che spesso le hanno attraversate per incontrarsi e non di rado scontrarsi. L’olivo. È come Atena. Saggio e guerriero. Resistente e tenace. Sopporta gli attacchi degli inverni, le sferzate della bora, la sete delle estati. E poi, anno dopo anno, decennio dopo decennio, secolo dopo secolo, regala il suo oro. Saggia Atena… D i nuovo cinta di viti e olivi, Dignano, come l’aveva descritta nell’”Inno a Dignano” monsignor Del Ton. E rivederla così, in un ondeggiante mare verde argento è un piacere, perché i destini suoi e della sua gente sono sposati all’agricoltura. Un tempo unico sostentamento, oggi un “di più” che può essere ritorno alle origini, riscoperta della terra o, semplicemente un affare. Sia come sia, l’olivicoltura sta vivendo momenti di prepotente rinascita, come nel Dignanese, così in tutta la penisola e a gonfiare le vele del settore, sicuramente gli incentivi (Regionali e Municipali) pensati per chi vuole occuparsi di olivicoltura: cresce di anno in anno il numero delle piante messe a dimora, cresce, di conseguenza, la quantità del raccolto, del prodotto finale – l’olio e, grazie ad una nuova politica di produzione, raccolta e lavorazione, migliora la qualità del prodotto tanto che quasi tutto l’olio prodotto (salvo rare, ma proprio rare eccezioni) rientra nella categoria vergine ed extra vergine. L’agronomo Franko Raguž, direttore tecnico dell’associazione “Agroturist” di Dignano, quantifica la crescita del settore: 66.000 alberi messi a dimora in dieci anni, dalla fondazione dell’associazione, praticamente. Statisticamente, 6.600 alberi ad anno, ma la statistica, si sa, nella lettura degli estremi può essere involontariamente menzognera. Infatti, nel 1995, gli olivi nuovi sono stati 500, per il 2006 gli agricoltori ne hanno accaparrati 22.000! Sono le cifre ufficiali, quelle che passano per l’Associazione, non comprensive, quindi, dell’acquisto diretto e delle piante ottenute con i metodi tradizionali delle tappe e delle calmele, procedimenti noti agli agri- coltori di Dignano con alle spalle l’esperienza (anche) delle generazioni trascorse. Perché gli olivi nuovi, sono Leccino, Pendolino, Ascolana … ma questa terra rossa ha nel DNA Busa, Carbonasa, Morasola, Ruvignisa… Si differenziano nel tronco, nelle foglie, danno frutti diversi, qualcuno più grandi e polposi, altri più piccoli e ricchi di olio. E diverso è il sapore, ma la differenza la si capisce anche a naso, prima ancora che a palato, e non c’è niente di meglio di un buon olio, magari con un bel gusto fruttato, di mandorle ad esempio. Un elogio all’olivo adesso che è stato riscoperto? No, perché da queste parti, l’olio d’oliva per uso domestico c’è sempre stato: la rinascita è legata soprattutto alla commercializzazione. Comunque… Con Franko Raguž ci diamo del tu: siamo cresciuti assieme. Franko, perché questo innamoramento generale per l’olivicoltura? Sessantasei mila alberi sono una foresta! “In effetti è una cifra ragguardevole e ci si è arrivati non a caso: nei disegni dell’Agroturist c’è lo sviluppo dell’olivicoltura, soprattutto, ed è una scelta, una decisione maturata dopo che i risultati realizzati dai nostri olivicoltori a varie rassegne ci hanno fatto capire che nel settore possiamo considerarci al top ben oltre i confini di casa e quindi vale la pena perseverare. Ci giochiamo tutto sull’olivicoltura. Tanto da chiedere alla Città di appoggiarci nel cammino dell’inserimento del progetto ‘Città dell’olio’, o da organizzare, oltre alle rassegne primaverili, le ‘Giornate dell’olio di oliva novello’, nell’ultimo fine settimana di novembre”. Non si può certo dire che vada male nella viticoltura, per quanto l’Alta Istria … “È vero, i vini dell’Alta Istria hanno più risonanza, però sì, devo ammettere che per la viticoltura l’interesse non è così potenziato. Basti pensare che le notifiche per i vitigni, per l’anno prossimo, si fermano a 17.000. Fermo restando che non per forza si debba solo acquistare: la vigna si rinnova anche dalle viti vecchie. I nostri contadini, in passato, l’hanno fatto sempre”. E sempre hanno curato, di pari passo, vigna e oliveto. “Verissimo: non di rado lungo i filari della vigna si piantavano olivi: vogliono, o se preferisci, si fanno bastare, la stessa terra. Poi la vigna andava rinnovata, perché dopo una quarantina d’anni, ha dato quello che poteva dare, l’olivo, invece, è eterno”. Ragionando sulle cifre, non c’è il rischio di esagerare? “Non abbiamo esagerato ancora: negli Anni Trenta e Quaranta, solo nel Dignanese c’erano 500.000 olivi: cerchiamo di ritornare ai numeri di allora. Possiamo arrivarci, sai: prendi i 66.000 olivi nuovi, aggiungici i 185.000 di prima e poi i 225.000 che è possibile piantare sui terreni agricoli di proprietà statale che presto saranno oggetto di concorso. arriviamo a quanto? Ecco, esattamente 476.000. I terreni agricoli statali disponibili hanno una superficie totale di 1.500 ettari, di questi 900 possono diventare uliveto; se ogni ettaro può ‘contenere’ 250 olivi, ecco che i conti tornano”. I conti tornano in casa: non siamo certo gli unici produttori di olio. Tutta l’area del Mediterraneo è un grande oliveto, con una produzione ben avviata, una qualità dichiarata e, scusa ma anche il lato materiale ha la sua importanza, a prezzi assolutamente inferiori. “Così, di riflesso, mi viene da dirti ‘chi vuole, si accomodi’. L’olio ricavato dalla Busa merita assolutamente 85 kune al litro. Perché? Semplice: perché è proprio olio di Busa. A comprare al supermercato, a prezzi «Nei nostri piani c’è soprattutto lo sviluppo dell’olivicoltura ed è una scelta maturata dopo che i risultati realizzati dai nostri olivicoltori a varie rassegne ci hanno fatto capire che nel settore possiamo considerarci al top ben oltre i confini di casa. Ci giochiamo tutto sull’olivicoltura» 5 Dall’antipasto al dessert: tutto con l’oliva Un pranzo a base di … ecco, trasgrediamo: invece del (solito) pesce e della (solita) carne, proponiamo un insolito pranzo che dall’antipasto al dessert porta in tavola l’oliva. Impossibile, dite? Beh! Provare per credere e poi, ne siamo certi, riprovare ancora. Bruschette, prosciutto “giravolta”, omboletto di maiale alle olive, pasta con prosciutto e olive nere, gelato all’olio d’oliva. Tutto, ovviamente, con un profumatissimo pane (rigorosamente) alle olive. Bruschette alle olive Affettare una baguette e passare il pane al grill finche non avrà un colore dorato. Sfregare sul pane uno spicchio d’aglio e un po’ d’olio d’oliva e spalmare su ogni fetta patè di olive (lo si ottiene frullando 200 grammi di olive snocciolate, 1 cucchiaio di olio d’oliva, 1 cucchiaio di origano). Decorare con pezzettini di olive. inferiori, ne convengo, va a finire che magari ti ritrovi con olio ricavato da olive importate magari, che ne so?, dalla Tunisia. L’olio di Dignano è olio di Dignano”. Quanto può definirsi olio di Dignano quello ricavato dalle ultime specie piantate, non autoctone, diciamo Leccino e Pendolino? “È un’obiezione giusta, in riferimento alle specie. Ma ‘olio di Dignano’ vuol dire olio ottenuto dalla cura e lavorazione della pianta, da misure agrotecniche specifiche, da una raccolta studiata, da una frangitura controllata. Olio di Dignano quale sinonimo di qualità. In Istria ci sono 25 specie di olivi autoctoni, come fare ‘un olio’?”. Eppure, sarebbe bello legare alla qualità l’autoctonia della specie, se per secoli questa è stata la casa di Busa, Carbonasa e via discorrendo. Non trovi? “Ci arriveremo perché ci stiamo lavorando. È nei nostri progetti, e in quelli della Città e della CI, la nascita di un Centro per l’olivicoltura completo di oleificio e vivaio di specie autoctone. Rientra nei nostri progetti, una volta avuto il centro, l’acquisto all’ammasso dell’oliva, la lavorazione, la vendita sul mercato: sarà praticamente impossibile vendere l’olio sfuso, direttamente dalla cantina. Lo potrà fare chi avrà registrata l’attività di olivicoltore”. Torniamo alla qualità: olio di prim’ordine e su questo non si discute; non certo per amore di campanile visto che gli attestati e riconoscimenti arrivano da giurie rigorose: come si è arrivati ai vertici? “Con il lavoro, con l’applicazione di nuove misure agrotecniche, non da ultima la raccolta dell’oliva quando il frutto è per metà maturo: una volta si raccoglieva l’oliva quando era matura del tutto. Sarà stato anche olio buono perché si usava solo quello, ma intanto lontano anni luce dall’extravergine. Poi, un segmento importante è la conservazione”. Come fare? “Bottiglie scure, altrimenti l’olio perde, intanto, il colore: diventa paglierino e per un olio d’oliva non è granché. Poi perde qualità organolettiche. E va tenuto al fresco”. Le grandi quantità? “Inox, senza dubbio.” E quelle belle pile di sasso, solide, tradizionali, delle cantine dei nonni? “No, ormai sono belle e basta. Sono fatte di pietra calcarea, porosa… No, sono belle ma fanno male. L’olio è prezioso e va trattato bene”. Omboletto di maiale alle olive Arrostire la carne (in un unico pezzo), a fine cottura spalmare con patè di olive e affettare. Portare in tavola su un letto di polenta con l’aggiunta del sugo di cottura. Pasta con prosciutto e olive nere Scaldare su un po’ di burro o olio di oliva del prosciutto tagliato a dadini, aggiungere patè di olive nere. Separatamente cuocere la pasta, scolarla, aggiungerla al prosciutto e olive. Eventualmente aggiungere un cucchiaio dell’acqua di cottura della pasta (consigliamo, per la pasta, quelli che a Dignano venivano chiamati sorisi nudi, una sorta di gnocchetti con acqua e farina: quando l’acqua di cottura giunge a bollore, aggiungere il sale e con un cucchiaio passato nell’olio, “pallina” dopo “pallina” mettere a bollire l’impasto. Nella cucina dell’entroterra istriano, piccole dosi di impasto si passavano tra le mani dando la forma di vermicelli per quelli che vengono comunemente chiamati pljukanci. A fine cottura, procedimento come per la pasta). Gelato all’olio d’oliva Cospargere con un filo d’olio d’oliva novello palline di gelato alla vaniglia. Non fa parte della tradizione, ma è… sfizioso. Per il pane alle olive sarà necessario unire all’impasto del pane olive verdi snocciolate. Cotto sotto la campana è il massimo dell’odore e del sapore. Visto? Menù (suggerito dalla trattoria “Vodnjanka”) semplice e di sicuro effetto. Noi lo raccomandiamo, a casa chiederanno il bis. TRADIZIONI A Dignano lo producono solo cinque-sei famiglie «Véin de rusa», il dolce elisir bumbaro Servizio di Roberto Palisca «L assa in setembre, se ti pol, l’ua nera a far l’amor col sol» dice un antico proverbio dignanese. È un detto tra i tanti ancora in uso in Istria, dal quale si deduce subito quanto sia stata sempre importante, per il contadino istriano, l’arte del produrre del buon vino, del saper sfruttare al meglio l’uva e conservare sane tutte le sue caratteristiche e soprattutto il suo amabile sapore, a partire dalla fermentazione del mosto, fino ai travasi nelle botti, nelle damigiane, in bottiglia. A Dignano, nella patria dei bumbari, vive l’antica usanza di produrre un vino particolare. Sono pochissime le famiglie che lo fanno, rispettando una rigorosissima procedura. È un vino alla cui preparazione occorre dedicare assai più tempo che ai vini classici. E diventa un elisir. Stiamo parlando del “véin de rusa”. La dedica di Smareglia Il “véin de rusa” e Livia Giacometti “A Dignan co i se spusa i bivo sempro al véin de rusa” vi diranno ancora oggi tutti i veri dignanesi. Qualcuno lo definì giustamente “vin de fèmene biele”. E il fatto non stupisce. Ha la stessa delicatezza seducente e soave delle belle fanciulle e tutto in esso sembra parlare di rose: il limpido colore corallino, gli aromi che sprigiona e che sembra vengano emanati da un roseto zeppo di fiori, il sapore unico e inconfondibile ed che, purtuttavia nessuna bocca saprebbe ben descrivere e definire. Al “véin de rusa” il noto musicista e compositore Antonio Smareglia intitolò l’ottava parte del secondo atto delle sue celebri “Nozze istriane”, opera la cui prima rappresentazione ebbe luogo a Trieste il 28 marzo del 1895. Assaggiatolo anche Gabriele D’Annunzio lo definì profumato di rose, anche se, in effetti, con le rose questo delizioso derivato del frutto della vite non ha nulla a che fare. È un vino da dessert di tradizione centenaria, di origini incerte ma sicuramente inconsuete, profumatissimo, dolce, aromatico, ambrato, di colore rossiccio tendente al bruno, alcolico, pastoso per l’abbondante contenuto di zuccheri e dunque molto dolce e aromatico. È quasi un liquore, più che un vino, particolare ed esclusivo. È una specialità. Basti dire che da cinque o sei chilogrammi di uva si ricava appena un litro di “véin de rusa” e che viene imbottigliato soltanto dopo che è stato tenuto per un anno in piccole botti di rovere, dopo diversi travasi. I pochi esemplari in bottiglia così ottenuti si conservavano al buio, in cantina, possibilmente immersi nella sabbia. Escono da lì, un tempo, come oggi, soltanto per allietare le grandi solennità: le feste di famiglia e i momenti lieti della vita. Il “véin de rusa” di Dignano è sempre stato dunque, ed oggi lo è più che mai, una preziosa rarità. A farlo ancora in paese, sono pochissime famiglie. Senza prezzo “Saranno sì e no cinque o sei”, ci rivela la connazionale Lorella Moscarda, che insieme al marito Guglielmo, conosce ancora tutti i segreti della produzione del véin de rusa. Incontriamo i coniugi Giacometti Moscarda e la mamma di lei, Livia Giacometti, nella cantina dell’impresa di produzione di vini e d’olio d’oliva che la famiglia gestisce a Dignano. Sul collo lungo e stretto della bottiglia di vetro color verde scuro che troviamo ad attenderci su un tavolo, una minuscola etichetta bianca, di quelle che solitamente usano nei negozi per segnarci su i prezzi. Riporta una scritta a penna. Il numero è il “90”. Ovviamente non è il prezzo: è l’annata. “Un prezzo questo vino praticamente non ce l’ha”, ci dice Lorella. “Mi spiego meglio. È difficile valutarne il costo. Di questo poi, che ha quindici anni... Voglio dire, noi non l’abbiamo mai venduto. Perché s’è sempre fatto in piccole, minime quantità, visto che esige un processo di produzione tutto particolare. Il véin de rusa era ed è ancora, un vino che noi qui a Dignano stappiamo soltanto nelle grandi occasioni: battesimi, cresime e matrimoni, Pasqua, Natale o Capodanno. Per le grandi feste insomma”, aggiunge Livia Giacometti. Chi ne ha soltanto sentito parlare, noi compresi, crede che abbia qualcosa a che vedere con le rose. “Niente affatto. Probabilmente deve il suo nome alla sfumatura un po’ rosata che ha e che deve a un minimo contenuto di moscato d’Amburgo che si aggiunge in piccole quantità alla base di malvasia che contiene, proprio per dare al vino una gradazione particolare di colore e di sapore e un aroma caratteristico. O forse semplicemente lo si chiama così per la delicatezza che ispira che è la stessa che solitamente tutti noi riserviamo a un bocciolo di rosa”. Ci vuole delicatezza... Per cui né nel suo contenuto né nella procedura di produzione ha nulla a che vedere con i fiori? “No no, proprio nulla. La vendemmia dei grappoli d’uva dai quali si estrae il véin de rusa si fa di solito a settembre, dieci o quindici giorni prima della vera vendemmia. E già questo è un compito assai delicato. Occorre innanzitutto saper distinguere quali sono i grappoli giusti. Quelli adatti e da raccogliere devono essere piccoli e con gli acini di uva chiara disposti molto radi. Guai a raccoglierne di quelli grossi, perché per fare questo vino l’uva deve dapprima venire lasciata parzialmente ad essiccare. Se i grappoli raccolti sono troppo pieni e troppo acquosi, fanno la muffa e allora tutto il lavoro risulta inutile. Devono dunque essere piccoli, con appena sei o sette acini d’uva disposti su ciascun graspo sparsi e distanziati, in modo da lasciar passare l’aria per bene”. Dunque non si lasciano ad appassire sulle viti? “I grappoli, una volta raccolti nelle apposite cassette, si depongono in un ambiente chiuso che dev’essere molto ma molto bene arieggiato. Poi, per circa due mesi, si lasciano ad asciugare, possibilmente su delle reti, per fare in modo che l’aria passi attraverso i graspi d’uva sia dal di sotto sia dal di sopra. Se si dispongono a una giusta distanza gli uni dagli altri, non serve rigirarli. Quando l’uva è sufficientemente appassita, il che avviene più o meno sotto Natale, si raccolgono i grappoli, che a quel punto, persa praticamente quasi del tutto l’acqua, contengono quasi esclusivamente e soltanto zuccheri. Ed è soltanto allora che si passa alla torchiatura”, ci spiega Livia Giacometti. “La pigiatura dev’essere lenta e cauta – aggiunge Lorella -.I grappoli vengono pressati con attenzione e il mosto viene fuori goccia a goccia. Di giorno in giorno, dopo ogni giro di pigiatura, si tolgono i legni che chiudono il torchio in cui si mettono le vinacce da spremere, si rimescola l’uva posta all’interno e si ritorna a dare uno o due giri al torchio. Questa procedura si ripete per quattro o cinque giorni. Poi il mosto viene lasciato a fermentare. Il vino che ne viene fuori lo imbottigli un anno dopo, perché dopo la spremitura deve fermentare in un tinello o in una damigiana, a seconda della quantità. E là rimane praticamente quasi un anno, fino al nuovo raccolto”. Ottimo con i «pampagnachi» “Industrialmente il véin de rusa non si produce perché sarebbe un lavoraccio”, commenta Lorella. “Chi ne fa ancora tra i dignanesi, lo fa soltanto per sé. Per quanto ne so io, qui a Dignano l’abbiamo fatto sempre. Certo dipende dalle annate. Non tutte le vendemmie sono favorevoli per farlo. Ci sono stagioni in cui riesce e altre in cui azzardarsi a produrlo sarebbe un vero fallimento. Negli anni di molta pioggia il rischio è che l’uva vada marcia e allora il véin de rusa non si fa, perché tutti sanno che non verrebbe come si deve. “. “Per le grandi feste si stappava e si serviva sempre con o dopo il dolce – ricorda Livia Giacometti -. Se era sotto Natale si serviva con le frittole dignanesi. A Carnevale si portava a tavola con i crostoli. Se era a San Martino si offriva insieme ai ‘parpagnachi’ (biscotti tradizionali di Dignano, nda)”. Il véin de rusa che gradazione alcolica ha? Lorella Moscarda: “Un prezzo questo vino praticamente non ce l’ha” “Tanta – ci spiega -. Dai 16 ai 18 gradi. Ma assaggiatene un bicchiere che altrimenti parlarne è inutile”. Accettiamo ben volentieri. Ma un goccio appena. Uno soltanto. E subito dopo aver portato il calice alle labbra, per farne un sorso, chiudiamo gli occhi, quasi d’istinto. Perché nel farlo si resta quasi incantati. Da mille profumi e da mille sapori. 6 cucina Sabato, 26 novembre 2005 AGRUMI E NON Alcuni suggerimenti per prevenirla e curarla Inf luenza: i rimedi naturali L’ influenza è un disturbo prevalentemente stagionale, che raggiunge la fase di massima diffusione in autunno e in inverno. Mal di gola, bronchite, febbre, raffreddore, non fatevi cogliere impreparati dai mali di stagione. Ecco alcuni consigli utili. Pronto soccorso per le infiammazioni Mettete 15 gocce di tintura madre di propoli su mezza fetta di pane e masticatela lentamente. In questo modo, attraversa tutto il cavo orale e i suoi oli essenziali, raggiungendo il naso, tolgono l’infiammazione ai seni paranasali e alle mucose della bocca, della gola e delle gengive. Massaggio contro febbre e raffreddore La forza del limone Mescolate 40 gocce di essenza di limone con 100 ml di olio di girasole. Prima di andare a dormire, massaggiate con questa soluzione tutto il corpo, dall’alto verso il basso. Quindi, infilatevi a letto, ben coperti. Durante la notte l’essenza penetra nell’organismo attraverso i pori della pelle, e così potrete beneficiare delle sue proprietà antisettiche. Il succo di un limone e mezzo è sufficiente a coprire il fabbisogno giornaliero di una persona adulta di vitamina C. Aiutando, in questo modo, la prevenzione e la cura delle malattie di raffreddamento. La vitamina C, infatti, stimola il sistema immunitario, accelera i processi di guarigione e difende le cellule dall’azione distruttiva dei radicali liberi. La scorza di un limone, poi, contiene un prezioso olio essenziale (ricco di limonene e citrale) che ha una forte azione antisettica. I limoni freschi si conservano in frigorifero per circa 4 settimane senza perdere le loro proprietà salutari. La spremuta fresca è quella più ricca di vitamina C. Contro le malattie da raffreddamento è molto usato anche l’olio essenziale di limone. Si estrae dalle scorze esterne del frutto per spremitura a freddo. Oltre ad avere un’azione antisettica, stimola anche la produzione dei globuli bianchi, che difendono l’organismo dalle infezioni. In particolare, l’essenza di limone agisce contro gli pneumococchi (che causano la polmonite) e gli stafilococchi (responsabili di gran parte delle infezioni e dei raffreddori). Infuso contro la tosse Mettete in una tazza un cucchiaino di foglie essiccate di eucalipto e versateci sopra 25 dc di acqua bollente. Lasciate in infusione per circa dieci minuti a tazza coperta, e poi, filtrate. Bevete una tazza di infuso preparato al momento tre volte al giorno, inalando profondamente il vapore che fuoriesce. La propoli, un antibiotico naturale Anche la propoli, un’altra sostanza prodotta dalle api, simile alla resina, è un ottimo antinfluenzale. Ricchissima di antiossidanti, minerali e microelementi, agisce come un antibiotico e rafforza le difese immunitarie. La propoli si trova in commercio come tintura madre, granulato, polvere, compresse, capsule, pomata, pasta dentifricia e spray orale. Una buona tintura madre dovrebbe avere una percentuale di propoli dal 50 al 70 per cento. Miele, la medicina delle api Una sferzata di vitamina C Gli agrumi fanno parte della famiglia delle Rutacee sotto famiglia delle Aurantioideae, che comprende tutte le varie specie di agrumi commerciali, quasi tutti del genere Citrus. I principali agrumi che rientrano in questa grande famiglia sono: aranci, mandarini, pompelmi, agrumi acidi (limoni, cedri, bergamotti e limette). Gli agrumi, in funzione della vasta gamma di componenti che li caratterizzano, hanno proprietà curative, dietetiche, cosmetiche; sono ricchi di vitamina C e di zuccheri ed altre vitamine (A, B1, B2, PP), anche se in minor quantità. Il mandarino È un arbusto sempreverde originario della Cina. Il suo frutto è simile all’arancia, ma più piccolo e dolce. Come tutti gli agrumi, è ricco di vitamina C. La sua buccia viene utilizzata anche nella produzione di liquori. Il mandarancio È dopo l’arancio il secondo agrume più prodotto, ed è noto anche con l’altro nome di clementina. È un ibrido naturale (dal mandarino e dall’arancio) Il limone della frutta acidula, ed è ricco di acqua, vitamina C, acido citrico; contiene i limoni verdi, più indicati per succhi e spremute. Del limone si utilizzano la buccia grattugiata e il succo, per inasporire i cibi o favorire la digestione, perché stimola i succhi gastrici. Il limone maturo ha la buccia a grana fine, di colore giallo brillante, e la polpa soda. Sono da evitare quelli con la buccia rugosa e indurita. L’arancia È un albero che raggiunge i 10 metri di altezza, sempreverde, originario della Cina e del Giappone. Produce frutti in varietà amara, dolce e sanguigna. Oggi viene coltivato in molte aree del Mediterraneao (Spagna, Grecia, Italia). L’arancia contiene zuccheri, vitamine (soprattutto C) e sali minerali e viene usata per marmellate, dolci ed essenze da profumi. Le varietà ros- Volete stroncare il raffreddore al primo starnuto? Lasciate sciogliere il bocca, lentamente, un cucchiaino di miele, per tre volte al giorno. Questo prezioso prodotto delle api, infatti, contiene numerose sostanze utili per rinforzare il sistema immunitario e per prevenire e curare le malattie da raffreddamento. In particolare vitamine (B1, B2, C, biotina e tiamina), minerali (fosforo, magnesio, potassio, calcio, sodio, ferro) ed enzimi. Il miele d’acacia è efficace soprattutto per la tosse. Il miele di trifoglio ha proprietà diuretiche, fluidificanti ed è ottimo per combattere febbre e raffreddore. Il miele di fiori di tiglio rinforza le difese immunitarie. Quello di timo, invece, ha un effetto curativo e lenitivo per mal di gola e raucedine. Mentre il miele di abete, grazie ai suoi oli essenziali, è utile soprattutto in caso di bronchiti. Il pompelmo È un albero dai frutti simili al minerali, potassio e ferro, ha una minor quantità di zuccheri ed è più povero, sia in sale sia in vitamine, rispetto all’arancia. Utile per depurare il sangue, favorisce la diuresi, aiuta pure a diminuire il tasso del colesterolo con vantaggi nella prevenzione di malattie cardiache. Tra le varietà in commercio si trovano lo Star Ruby, dalla scorza e la polpa tenue e il gusto piuttosto dolce, e il Marsh Seddless, dalla scorza liscia giallo pallido. Il lime Detto anche limetta o limone selvatico dei Tropici, è un agrume di origine asiatica simile al limone comune. Piccolo e tondo, ha dimensioni diverse a seconda delle varietà. La buccia è più o meno liscia e fine, di colore verde, tendente al giallo a arancione o rosso è ottimo per preparare le spremute. Il valore calorico dell’arancia, depuranti e stimola la produzione di succhi gastrici. Eucalipto effetto antibiotico Chiamato anche l’albero della febbre, l’eucalipto è riconosciuto fin dall’antichità come il rimedio per eccellenza per le malattie che attaccano, soprattutto, le vie respiratorie superiori, come tosse e bronchite. L’eucaliptolo, infatti, l’olio essenziale dell’eucalipto, scioglie il catarro e agisce sia come disinfettante sia come antispastico. In più, ha proprietà antibatteriche e antivirali. Per queste sue caratteristiche, libera il naso. Inalazioni per tosse, bronchite... Fate bollire due litri di acqua e, dopo aver spento il fuoco, sciogliete 200 g di miele. Mettete un asciugamano sopra la testa e respirate profondamente i vapori per circa dieci minuti, inspirando alternativamente prima dalla bocca e poi dal naso. Queste inalazioni svolgono un’azione fluidificante e facilitano l’eliminazione del catarro, liberando le vie respiratorie. ... raffreddore e influenza ettete da cinque a dieci gocce di olio di eucalipto in due litri di acqua bollente. Con il capo coperto da un asciugamano, inalate il vapore per circa 15 minuti, respirando alternativamente dalla bocca e dal naso. Per evitare irritazioni, durante il trattamento ricordatevi sempre di chiudere gli occhi. Queste inalazioni sciolgono il catarro, berando le vie respiratorie. cucina 7 Sabato, 26 novembre 2005 RICETTE Piatti di ogni tipo per i palati più esigenti Agrumi, in cucina con fantasia Torta glassata ai mandarini Ingredienti: Due dischi di Pan di Spagna Due arance spremute 100 g di mandarini 400 g di zucchero a velo Due cucchiai di zucchero semolato Farcire la torta zontale. Sistemate la metà inferiore su un piatto da portata. Mettete la marmellata, in un tegamino, unitevi due cucchiai di succo di limone. Scaldate a fuoco dolce tre minuti, mescolando con un cucchiaio di legno finché la marmellata è diventata fluida. Versate la marmellata sulla metà della torta distribuendola con la lama di un coltello. Coprite con la metà superiore della torta. Premete leggermente per far aderire le due parti. Eliminate la marmellata eventualmente uscita all’esterno con la lama del coltello, facendola scorrere lungo i lati del dolce. Aceto agrumato Ingredienti: Un litro di aceto di vino bianco Un’arancia (solo scorza) Un limone (solo scorza) Semi di cardamomo Un cucchiaio di acqua di fiori d’arancio Cuocere i mandarini Scaldate un litro di acqua in un tegame, unitevi due cucchiai di zucchero semolato e due di succo di limone, portate a bollore. Ver- Preparazione Lavate l’arancia e il limone, strofinando le scorze, asciugateli con carta da cucina. Ricavate le scorze con un coltello affilato. Pestate i semi di cardamomo riducendoli a una polvere piuttosto fine. Preparare l’aceto Versate l’aceto in un tegame di accaio inossidabile. Scaldatelo 15 minuti a fuoco medio. L’aceto deve essere molto caldo per impregnarsi meglio degli aromi, ma non deve bollire altrimenti diventa amaro. Mettete le scorze e i semi in un vaso di vetro con tappo a vite. Versate nel vaso l’aceto caldo, tappate. Lasciate riposare la preparazione per tre settimane. Per ottenere un aceto ancora più aromatico, potete esporre il vaso al sole su un terrazzo o su un balcone. Filtrate l’aceto attraverso un colino a maglie fitte dentro una bottiglia di vetro con tappo a chiusura a vite. Aggiungete l’acqua di fiori di arancio. Per un effetto più decorativo inserite nella bottiglia alcuni filetti sottilissimi di scorza d’arancio e di limone. Tappate la bottiglia. Tenetela in un luogo fresco e buio. Questa preparazione è ottima per condire insalate, insaporire salse a base di uova, preparare pesci e carni bianche in carpione; aromatizzare verdure cotte (zucchine, cipolle, patate...). satevi i mandarini lavati, cuoceteli 10 minuti, fateli raffreddare nel liquido di cottura. Sco- Preparare la glassa Versate lo zucchero a velo in una ciotola facendolo passare attraverso un setaccio. Filtrate la spremuta di arancia assieme a tre cucchiai di succo di limone attraverso un colino a maglie fitte. Unite il succo filtrato allo zucchero a velo. Mescolate con un cucchiaio di legno. Aggiungete abbastanza acqua fredda da ottenere un miscuglio fluido ma non troppo liquido. Lavorate con il cucchiaio per eliminare tutti i grumi.Versate subito la glassa sulla superficie della torta, stendetela con la lama di un coltello piatto. Lasciate colare la glassa anche sul fianco della torta senza preoccuparvi se la copertura non è completa e regolare. Sistemate sulla superficie della torta le rondelle di mandarino in cerchi concentrici. Appoggiatele subito dopo aver steso la glassa, prima che questa asciughi, altrimenti non aderiscono bene. Lasciate completamente rassodare la superficie della torta e poi servite. Grappa all’arancia e alle spezie Spaghetti al limone Ingredienti: 500 grammi di spaghetti Due limoni non trattati Un ciuffo di foglie di sedano, 40 grammi di grana Sei cucchiai di olio Sale e pepe Lavate accuratamente i limoni, prelevate con un coltellino la scorza, eliminate la parte bianca amarognola e tagliate la scorza gialla a julienne. Spremete i limoni, filtrate il succo e tenetelo da parte. Scaldate l’olio in una larga padella, fatevi soffriggere per due minuti la scorza a julienne, aggiungete il succo e lasciatelo evaporare per qualche secondo. Insaporite con una presa di sale e una macinata di pepe. Cuocete gli spaghetti in acqua bollente salata. Nel frattempo, tritate grossolanamente le foglie di sedano. Scolate la pasta al dente e in- Pompelmi meringati al forno Ingredienti: Un litro di grappa Due arance (solo scorza) Cinque grani di pepe nero Due chiodi di garofano Mezzo bastoncino di cannella Una grattata di noce moscata Tre cucchiai di zucchero La cottura dello sciroppo Schiacciate leggermente i grani di pepe senza romperli. Versate in un pentolino lo zucchero. Aggiungetevi un bicchiere di acqua. Unitevi tutte le spezie e la scorza di un’arancia lavate e asciugata. Tagliate la scorza senza la parte bianca sottostante, che è amara. Portate a bollore, cuocete a fuoco basso 20 minuti. Filtrate lo sciroppo. La grappa Versate in una bottiglia la grappa con tre cucchiai di sciroppo. Lavate l’altra arancia, asciugatela. Ricavate alcune spirali dalla scorza con un coltellino ben appuntito. Tappate con un tappo di sughero. Ingredienti: Quattro pompelmi mouth bianco Quattro albumi 120 g di zucchero semolato Due cucchiai di zucchero a velo Insaporire la frutta Lavate i pompelmi, strofinando bene la scorza con uno spazzolino, asciugateli. Incidete la calotta superiore di ogni pompelmo, senza intaccare la polpa. Togliete la calotta di scorza. Ricavate gli spicchi interi dei pompelmi con un coltellino molto affilato e appuntito. Inserite delicatamente la punta del coltellino fra la polpa e la scorza, facendo attenzione a non rovinare quest’ultima. A operazione eseguita avrete ottenuto delle “scodelle” di scorza. Tenete da parte le scorze svuotate dalla polpa. Separate gli spicchi, metteteli in una capace ciotola con il zo di pellicola e lasciate riposare la frutta in frigo almeno 20 minuti. Fare la meringa Mettete in una ciotola gli albumi con lo zucchero a velo. Montateli a neve ben ferma. Unite lo zucchero semolato rimasto mescolandolo molto delicatemente con una frusta a mano. Gratinare i pompelmi Accendete il forno a 180. Dividete gli spicchi di pompelmo nelle scodelle di scorza in parti uguali. Irrorate con il sugo che si è formato nella ciotola. Suddividete sui pompelmi il composto di albumi a neve. Allineate i pompelmi su una placca rivestita con un foglio di carta da forno.La meringa deve consolidarsi e assumere un colore dorato.Sfornate e servite subito. Crema all’arancia Ingredienti: 500 ml di latte Due uova intere Un tuorlo Tre cucchiai di zucchero Un’arancia Un kiwi Un rametto di menta Cuocere la crema Scaldate in un pentolino il latte con lo zucchero e la scorza ricavata da metà arancia lavata e asciugata, ma non portatelo a bollire. Lasciatelo intiepidire. Sgusciate le uova in una ciotola capiente e unite il tuorlo. Sbattete un minuto con una forchetta. Le uova si devono solo amalgamare ma non montare. Unite il latte poco alla volta e mescolate con un cucchiaio di legno. Il latte va aggiunto tiepido e può rassodare lievemente le uova, formando qualche piccolo grumo. Per evitarlo mescolate continuamente e velocemente. Versate il miscuglio di latte e uova in uno stampo di vetro resistente al calore. Riempite di acqua una pentolina e portate quasi a bollore. Scegliete una pentola con il bordo un po’ basso di quallo dello stampo. Sistematevi sopra lo stampo, cuocete 30 minuti a fiamma bassa con il coperchio. L’acqua deve essere sempre molto calda ma non bollire. Se comincia a bollire unite poca acqua fredda. Controllate la cottura infilando nella crema uno stuzzicadenti: deve uscire asciut- to. Se la preparazione risulta ancora un po’ liquida cuocete altri cinque minuti. Togliete lo stampo dall’acqua e lasciate raffreddare. 8 cucina Sabato, 26 novembre 2005 Il ristorante del mese SONDAGGIO Anche il vino ha una «personalità» Kukuriku, per chi vuole «imparare» a mangiare di Sostene Schena «M ai iniziare con un avverbio - diceva un mio professore o cominciare un discorso con un “dunque”, o con un “finalmente”. Ma quando capitiamo a Castua e pranziamo al “Kukuriku” l’avverbio “finalmente” è proprio la prima parola che ci viene in mente. “Finalmente”… dunque, un locale in cui si respira vera cultura enogastronomica. Un ristorante nel quale chi non sa mangiare “impara” a far- lo. Dove chi apprezza la buona tavola (e un saggio accostamento del vino al cibo) può essere soddisfatto pienamente. La prima esperienza – ricordo ci ha un po’ più stupito; ma quando abbiamo appreso che il proprietario del “Kukuriku”, Nenad Kukurin, è un collega sommelier e che si è fatto le ossa in grandi ristoranti (non soltanto croati), abbiamo capito il motivo per cui questo posto ci abbia tanto sorpreso. L’interno del “Kukuriku” a Castua (foto dal sito del ristorante) L’angolo del barman Orange crush, drink per combattere i raffreddori di Mauro Scomerza Ingredienti: 50 ml di Vodka Wyborowa all’arancia 20 ml di Cointreau 10 ml di liquore “Galliano” 25 ml spremuta d’arancia 2 cucchiani di marmellata all’arancia L’Orange crush è un drink a base d’arancia, ovviamente, ed e molto facile da preparare. Si tratta comunque di una ricetta molto trendy e gustosa e, pur essendo un martini, è amato da un pubblico piu vasto considerato che non si tratta di un drink molto forte e potente, ma piuttosto piacevole per il palato. In questo periodo di raffreddori e influenze può essere l’ideale per cercare di evitare il contagio senza però evitare la bevuta in compagnia dopo una pesante giornata di lavoro. È questo infatti il modo migliore per gustare l’Orange crush, fra colleghi dopo una pesante giornata lavorativa o fra amici nei fine settimana. Non lo consiglierei come aperitivo o digestivo. La marmellata è l’ingrediente chiave perché grazie al gusto agrodolce dà un sapore speciale e lega gli ingredienti creando un prodotto omogeneo e molto piacevole per il palato. Versare tutti gli ingredienti nello shaker, riempire col ghiaccio e shakerare energicamente e abbastanza a lungo in modo da consentire alla marmellata di mescolarsi col resto degli ingredienti. Versare in un bicchiere da martini e decorare con una buccia d’arancia. Brandy blazer Ingredienti: 50 ml di cognac Un cubetto di zucchero di canna 2-3 gocce di Angostura Buccia di mezza arancia e mezzo limone Il Brandy blazer è un ottimo drink per prevenire il contagio da influenza, ma anche per scaldarsi in una fredda serata invernale. È ottimo come digestivo o anche come drink prima di dormire. Versare il cognac, lo zucchero e l’Angostura in un bicchiere da brandy e mescolare fino ad ottenere una sostanza omogenea. Accendere il liquido e girare nel modo da ottenere una fiamma leggera, ma costante (color blu). A questo punto inserire le bucce di arancia e limone tagliate a strisce. Non prendete paura visto che ogni volta che la buccia degli agrumi entra in contatto con il liquido la fiamma diventerà un po’ più forte. Versare in un altro bicchiere da brandy e coprire con un tovagliolo. Annusare prima di bere, e poi gustare sorseggiando. La scheda Nome: “Kukuriku”. Località: Castua Indirizzo: Kastav 120 Tipo di locale: ristorante. Coperti: 50 (40 in terrazza, + 4 sulla balconata) Gestione: Nenad Kukurin Chef: Zdravko Tomšić Maitre e sommelier: Branko Muždeka Aperto dalle 13 alle 24. Chiuso: lunedì. Numeri di telefono: +385-51-691417 fax: +385-51-687470. E-mail: [email protected] Sito internet: www.kukuriku.hr Lingue parlate: italiano, tedesco, inglese. Pagamento: carte di credito American, Diners, Visa, Master card e Maestro Prenotazione: consigliabile. Distanze: tre chilometri da Abbazia; 7 chilometri da Fiume. Per arrivarci: da Mattuglie si sale a Castua. L’idea di Nenad (che risale peraltro a soli cinque-sei anni fa), di trasformare il suo locale in una specie di “sala di degustazione”, è stata certamente vincente se ha fatto presa su un pubblico tanto vario e cosmopolita che frequenta ormai con una certa regolarità il “Kukuriku”. Le prenotazioni, appunto, non arrivano soltanto da città e paesi vicini a Castua, per cui è sempre consigliabile di prenotare per tempo. La formula dei vari “assaggi” di antipasti, primi, secondi, dolci, sempre abbinati a un bicchiere di vino diverso ma saggiamente scelto, incontra il favore di una clientela intelligente, spesso giovane e curiosa o per coloro che comunque sono sin cerca di soluzioni diverse per quel piccolo problema che è sempre quello della scelta del ristorante. Naturalmente il menù proposto dal “Kukuriku” segue il ritmo delle stagioni, varia con il variare dei prodotti che il mercato offre freschi ogni giorno e che la professionalità dello chef de cuisine trasforma in prelibate leccornie. La sequenza dei piatti è composta generalmente da sette portate accompagnate da altrettanti vini e il cliente può scegliere tra carne o pesce o alternare, secondo il suo desiderio. Noi vi suggeriamo di lasciarvi condurre per mano da Nenad o dallo chef di sala. A proposito di professionalità (la vera – si sa - non La nostra pagella Ambiente Atmosfera Servizio Qualità Vino Prezzo Rapporto qualità/prezzo Giudizio finale 89 88 92 94 87 78 85 94 è soltanto scienza ma prevede anche una grande passione) va detto che la squadra di Kukurin (una quindicina di persone in tutto) è molto affiatata e attenta: dalla scelta delle stoviglie, alla preparazione delle tavole, al servizio… inappuntabile. Un locale che va citato ad esempio, una vera scuola del gusto che tanti ristoratori (ma anche molti consumatori) dovrebbero frequentare almeno per una volta. L’unico piatto che potrebbe non piacere come i precedenti (solo a chi non conosce il valore della qualità) e quello del conto (normalmente intorno ai 55 euro) che peraltro sarà pagato con piacere da coloro che sanno, appunto, che la qualità e la professionalità… costa! Nenad Kukurin nella sua fornitissima cantina con 200 diverse specie di vini provenienti da ogni continente Cervellotico, rassicurante o bipartisan. Così si scopre che anche il vino ha una sua personalità, a volte semplice e a volte complessa. È noto da sempre che il vino può avere “carattere”, termine usato e abusato dagli intenditori, ma mai nessuno aveva pensato che in una bottiglia potesse essere contenuto qualcosa con “personalità”. A farlo sapere ci ha pensato un sondaggio realizzato su web da Winenews. Si viene in tal modo a sapere che i Pinot neri sono cervellotici e che il Brunello di Montalcino è rassicurante. Per chi lo conosce e lo ama, dunque, il vino ha un suo carattere specifico, diverso per ogni etichetta. E, secondo il sondaggio “psicologico”, proprio questa proiezione umana su un determinato vino è tra le ragioni che spingono a berlo: la scelta di una bottiglia rispecchia la personalità di chi la predilige. Alla domanda su quale sia il vino più estremo, gli enonauti hanno risposto in maggioranza (29 p.c.) i “vin du glace” della Val d’Aosta, prodotti in condizioni proibitive grazie alla perseveranza e alla bravura di pochi appassionati vignaioli. Seguono gli ice wine, i Sauternes e le vendemmie tardive, tutti vini che si contraddistinguono per la particolarità e l’unicità della vendemmia e del processo di vinificazione. Come singola etichetta, la maggior parte degli enonauti (52 p.c.) ha indicato il Breg di Joško Gravner: un uvaggio da agricoltura biodinamica affinato in anfore scolme poste sotto terra. Un metodo riesumato dal passato per avvicinarsi quanto più possibile all’estremo di partenza della storia della vinificazione. Al quesito su quale sia il vino più rassicurante, gli enonauti rispondono in maggioranza il Brunello di Montalcino (14 p.c.), considerato ormai un marchio di garanzia per chi lo acquista e lo beve, anche a scatola chiusa, il Barolo (12 p.c.) e il Barbaresco (8 p.c.). Ma c’è anche chi per rassicurante intende il cosiddetto “vino quotidiano”, come Dolcetto o Barbera. E il vino più cervellotico? In molti hanno risposto il Pinot nero (26 p.c.), un vino difficile da fare bene, molto diverso da zona a zona, con un gusto che non tutti comprendono. Ma esistono anche vini spontanei. Secondo gli enonauti, a fregiarsi di questo aggettivo sono sicuramente quelli prodotti con vitigni autoctoni, che esprimono tutta la verità del proprio territorio: al primo posto c’è il Lambrusco (32 p.c.), immediato e sincero, e in genere i vini di pronta beva, che danno tutto subito, non nascondono niente e non si danno arie da grandi. Come il Novello, la Bonarda, i vini dei Castelli Romani e, a sorpresa, il “vino del contadino” al quale gli enonauti riconoscono tanta passione e cultura della terra, ma anche tanti errori. Anno 1 / n. 7 26 novembre 2005 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ, supplementi a cura di Errol Superina, progetto editoriale di Silvio Forza edizione: CUCINA Redattore esecutivo: Fabio Sfiligoi / Art director: Daria Vlahov Horvat Redattore grafico: Tiziana Raspor / Foto: Graziella Tatalović Collaboratori: Roberto Palisca, Valentina Prokić, Carla Rotta, Sostene Schena, Mauro Scomerza e Marino Vocci