Panorama Impos - Prima - Ultima.indd 2-3 Anno LVI - N. 9 - 15 maggio 2009 - Rivista quindicinale - kn 14,00 - EUR 1,89 - Spedizione in abbonamento postale a tariffa intera - Tassa pagata ISSN-0475-6401 Panorama www.edit.hr/panorama Quanto ci costerà la pace sociale? 60 Panorama 14.5.2009 14:28:32 In primo piano L’espatrio di Branimir Glavaš dopo la condanna a dieci anni di prigione La riscoperta della nazione madre di Mario Simonovich E ra, essenzialmente, un problema della Croazia. Ora, al pari dei non pochi precedenti, è diventato anche un problema della Bosnia. problema si chiama Branimir Glavaš, nato ad Osijek nel 1956, da genitori arrivati qui dalla natia Bosnia nei sicuramente nei primi anni del dopoguerra. Chissà quali saranno stati i suoi ricordi della terra degli avi fino all’ottobre dell’anno scorso quando ha voluto mettere in atto la sua qualifica di “riemerso”. Un riemerso che, come tutto lascia intendere, non si è riaccostato alla nazione madre per un’intensificazione dei dolci moti del cuor, né per tornare ad assaporarne le peculiarità culturali ma, molto più concretamente, per sfuggire alle pesanti sanzioni penali che - secondo le sue valutazion, poi mostratesi esatte si sarebbero potute abbattere sulle sue spalle costellate di stellette generalizie. Se di una cosa gli va dato atto, è di essersi opposto con luciferina metodicità al cerchio che, in obbedienza a richieste generiche, ma non per questo meno perentorie provenienti dell’Europa, Sanader gli stava progressivamente stringendo intorno, dimentico che si trattava di un ex compagno di partito. Anzi, più che compagno, si direbbe quasi una sorta di socio in affari, come ha ammesso lui stesso autoaccusandosi di aver falsato esplicitamente le votazioni interne del partito pur di mettere fuori gioco quell’Ivić Pašalić che si prospettava come il più coriaceo e pericoloso avversario nel suo consolidamento ai vertici del partito. Prima di ricorrere alla patria di riserva, Glavaš si era adoperato con forza a consolidare la propria posizione “in casa”, tanto da essere chiamato “lo sceriffo di Osijek”. Tutti i metodi erano buoni, dalle incursioni, mitraglietta alla mano, nei quotidiani “disobbedienti” e relativa cacciata su due piedi dei capiredattori, alle intimidazioni, alle minacce e ad altri sistemi più o meno occulti. Per gli “amici”, s’intende. Con i “nemici”, come ad esempio lo sventurato Đorđe Vučković, reo soltanto di essere serbo, si passava a metodi più convincenti ed efficaci, come l’ingestione di acido solforico o, se proprio non volevano capire, le pallottole dei mitra. La cerchia dei sostenitori si è andata allargando sempre più. Fra le persone di sua fiducia figurano lo zupano, il direttore e alcuni medici dell’ospedale (dove fu ricoverato mentre veniva processato) e il rettore dell’Università di Osijek, il direttore della Hypo Banka, comproprietari e giornalisti della TV locale, l’ex presidente del Tribunale militare, i deputati del neopartito “regionale” da lui creato. Non mancavano i due più noti cantanti dell’area, Kićo Slabinac e Miroslav Škoro. E infine due nomi che meritano un cenno particolare: l’ex ministro degli Esteri, Ivan Vekić, e soprattutto - fatto che desterebbe indubbio scalpore nel mondo civile, ma che in Croazia appare molto più normale - il vescovo Marin Srakić che detiene anche la non trascurabile carica di presidente della Conferenza episcopale croata. Tutt’altro che superficiale il rapporto che li unisce: non solo il presule ha detto in pubblico che sono amici da diversi anni, ma si è esposto fino al punto di andare a trovarlo in carcere. Talvolta sono “amicizie” imposte. Ai suoi intimi, un “amico” imprenditore, ha detto d’essere costretto regolarmente a versare l’obolo: quando ha accennato una resistenza, gli hanno fatto saltare in aria un impianto. Ma tutto questo è passato. Nei giorni scorsi il pluridecorato generale di complemento non ha potuto godersi le bellezze naturali né studiare più a fondo la cultura della nazione madre in quando occupato a rispondere alle capziose domande di inquirenti interessati a verificare la sua posizione sotto l’aspetto cittadinanza. Il risultato peraltro sembra scontato: di certo in futuro avrà parecchio tempo per studiare le suddette peculiarità che all’improvviso lo hanno tanto intensamente attratto verso la nazione madre. ● Costume e scostume Libri gratis: uno sperpero? Prima i genitori li compravano, poi gli scolari li ottenevano gratis, però con l’obbligo della restituzione a conclusione dell’anno scolastico. Ora il ministro dichiara che, oltre a venir forniti a titolo gratuito per l’anno a venire, i manuali scolastici usati finora resteranno a disposizione degli allievi. Le reazioni contrarie, a parte quelle, scontate, dell’opposizione, dovrebbero essere oggetto di una qualche riflessione. I contrari si richiamano essenzialmente alle spese, a dire il vero consistenti: circa 440 mila kune, che verranno fornite dal bilancio. Pochi o nessun dubbio anche sul fatto che si tratti di un provvedimento “elettorale”, che si muove in parallelo con quanto deciso, sempre a spese del bilancio, dal Ministro per l’Agricoltura nei confronti dei produttori di latte. Ciò detto, la questione va vista anche sotto altri aspetti. Non da ieri è noto il legame affettivo che molto spesso s’instaura fra lo scolaro ed i libri che ha usato per un anno e forse più. Un legame che si mantiene nel tempo, spesso per tutta la vita. Al di là dell’inevitabile discorso su spese e costi, questo dovrebbe bastare per valutare in positiva la decisione ministeriale. Altro è il discorso sulla liceità di dare per scontata la regalia anche a genitori benestani. Duplice e semplice l’osservazione: o in quel caso siano fatti pagare o, con criterio più equo, si diano gratis recuperando le spese attraverso una più equa tassazione dei genitori stessi. Panorama 3 Panorama www.edit.hr/panorama Ente giornalistico-editoriale EDIT Rijeka - Fiume Direttore Silvio Forza PANORAMA Redattore capo responsabile Mario Simonovich [email protected] Progetto grafico - tecnico Daria Vlahov-Horvat Redattore grafico - tecnico Annamaria Picco e Saša Dubravčić Collegio redazionale Bruno Bontempo, Nerea Bulva, Diana Pirjavec Rameša, Mario Simonovich, Ardea Velikonja REDAZIONE [email protected] Via re Zvonimir 20a Rijeka - Fiume, Tel. 672-128. Telefax: 051/672-151, direttore: tel. 672-153. 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PANORAMA esce con il concorso finanziario della Repubblica di Croazia e della Repubblica di Slovenia e viene parzialmente distribuita in convenzione con il sostegno del Governo italiano nell’ambito della collaborazione tra Unione Italiana (Fiume-Capodistria) e l’Università Popolare (Trieste) EDIT - Fiume, via Re Zvonimir 20a [email protected] Consiglio di amministrazione: Tatjana Petrazzi (presidente), Ezio Giuricin (vicepresidente), Luigi Barbalich, Carmen Benzan, Doris Ottaviani, Donald Schiozzi, Fabio Sfiligoi 44Panorama Panorama Panorama testi N. 9 - 15 maggio 2009 Sommario IN PRIMO PIANO L’espatrio di Branimir Glavaš dopo la condanna a dieci anni di prigione LA RISCOPERTA DELLA NAZIONE MADRE .......... 3 di Mario Simonovich ATTUALITÀ QUANTO CI COSTERÀ LA PACE SOCIALE? ...................... 6 La Commissione europea propone un arbitrato per il contenzioso confinario LA CROAZIA DICE SÌ, LA SLOVENIA CHIEDE MODIFICHE ............ 8 di Diana Pirjavec Rameša ETNIA Al CRS di Rovigno presentata la versione croata di “Istria nel tempo” CONOSCERE IL PASSATO PER CRESCERE E MATURARE ......... 10 di Ilaria Rocchi SALUTE Arrivare ad un test mirato per diagnosticare quanto prima il virus AH1N1 SCENDE IL NUMERO DEI CONTAGI, RIMANE L’ALLARME .... 12 a cura di Diana Pirjavec Rameša AVVENIMENTI ”Vinistra” edizione 2009 con protagonista la Malvasia UN VINO CHE VIENE DAL PASSATO ...............................14 di Diana Pirjavec Rameša SOCIETÀ QUELLA BELLINZONA SVIZZERA MA TANTO ITALIANA ......... 16 di Marino Vocci PERSONAGGI Ranieri Ponis è una delle voci più significative della pubblicistica triestina QUEL GIORNALISTA INNAMORATO DELLA MEDICINA .......... 18 di Mario Simonovich CINEMA ”Departures” vince l’undicesima edizione del Far East Film Festival di Udine... MA FISH STORY PIACE ANCHE DI PIÙ ................. 22 di Massimiliano Deliso CINEMA E DINTORNI “Questione di cuore” L’AMICIZIA? ARGOMENTO TROPPO DIFFICILE ANCHE PER I REGISTI ... 24 di Gianfranco Sodomaco ARTE CREATIVITÀ PER COMBATTERE LA CRISI ........................................ 26 di Maurizio Franolli REPORTAGE LA VALLE DEI CANALI TORNA A RIFIORIRE .................. 28 di Ardea Velikonja LETTURE ISTRIA NOBILISSIMA ”USCITA DI SICUREZZA” .......... 34 di Carla Rotta TEATRO LETTURE SENZA INIBIZIONI E LIMITAZIONI DI SORTA ......... 38 di Bruno Bontempo ITALIANI NEL MONDO PRONTE LE LISTE DI CANDIDATURA...................... 40 a cura di Ardea Velikonja MADE IN ITALY VOLANO I PRODOTTI DELLA DIETA MEDITERRANEA ........... 41 a cura di Ardea Velikonja MUSICA Franz Joseph Haydn IL COMPOSITORE CHE RIDIEDE DIGNITÀ ALLA SINFONIA ........ 42 a cura di Bruno Bontempo SPORT MONTECARLO REGINA DELLE SETTE MERAVIGLIE .... 44 FUTURO GARANTITO AI NIPOTI DI PELÉ ......................................... 46 a cura di Bruno Bontempo ANIMALIA IL DRAGO NON SEMPRE È UN ESSERE CATTIVO ............. 48 di Daniela Mosena MULTIMEDIA DA WINDOWS VISTA A WINDOWS XP? CONVIENE! ............. 50 di Igor Kramarsich RUBRICHE .................................. 52 a cura di Nerea Bulva PASSATEMPI ............................... 57 IL CANTO DEL DISINCANTO COSETTE DALL’ISTRIA E DA FIUME ..................................58 Agenda Un «capodistriano vero» appartenente alla Comunità nazionale italiana A Fabio Steffè il riconoscimento comunale I l premio “15 maggio”, massimo riconoscimento che il comune di Capodistria assegna ogni anno ai benemeriti, quest’anno è andato a Fabio Steffè, connazionale, noto per la sua carriera in seno alla Questura e per il suo coraggio nel 1991 al valico di confine a Scoffie quando si rifiutò di consegnare ai federali la zona e si ritirò soltanto su preciso ordine dei suoi superiori. “Per me si tratta di un grandissimo riconoscimento completamente inatteso”, ha detto commosso Steffè nel corso della seduta solenne del consiglio municipale. Fabio Steffè finora è stato insignito di alte onoreficenze come quella di Cavaliere della Repubblica italiana, la Medaglia d’oro per il lavoro e il massimo riconoscimento sloveno per i meriti nella difesa del Paese. Grande sportivo, calciatore, amante della caccia e dei cani Steffè in qualità di ispettore a riposo è tra i dirigenti dell’organizzazione “Sever” che raggruppa i veterani della polizia capodistriana.● Le brave attiviste della SAC «Fratellanza» di Fiume hanno festeggiato i 30 anni Buon compleanno Coro femminile! U na corale che in tre decenni di vita ne ha viste veramente di tutti i colori e nonostante ciò ha mietuto successi ed è cresciuta nel tempo. Stiamo parlando del Coro femminile della SAC “Fratellanza” di Fiume che ha voluto festeggiare il proprio compleanno in concomitanza con la Festa della mamma. Grande commozione per la fondatrice e la prima dirigente del coro, rispettivamente Giulia Šantić e Lucia Malner, nel momento in cui sono state insignite di un certificato di riconoscimento per tutto il lavoro svolto in seno alla “Fratellanza”. Alla simpatica serata non potevano mancare i Minicantanti e le Mule de Fiume, come pure i virtuosi fiumani Aldo Racanè e Antonio Mozina. A dimostrazione che il canto cura lo spirito, il Coro femminile ha esordito con due brani conosciutissimi ovvero “Bella Bionda” e “Dobri danek”, pezzo proposto anni fa alla Rassegna dei cori della Croazia a Osijek e con il quale la “Fratellanza” aveva ottenuto il primo premio. L’incontro si è concluso con l’apertura di una mostra fotografica in cui è stato ripercorso tutto il cammino di trent’anni del coro femminile.● Chiusura di stagione con una delle più celebri commedie musicali Il Dramma Italiano aggiunge un posto a tavola... F rizzante chiusura di stagione per il Dramma Italiano con un riuscito allestimento di Aggiungi un posto a tavola, una delle più celebri commedie musicali di Garinei e Giovannini scritta tra il 1973 e il 1974 con Iaia Fiastri, musiche di Armando Trovajoli. Il DI ha affidato la regia a Žak Valenta, più noto come coreografo, che ha guidato il complesso a una sfida non facile, che la nostra Compagnia di prosa ha affrontato con grinta e portato a compimento con successo, di- mostrandosi pronta a fare bene anche in questo genere di teatro, più leggero sì ma non per questo meno esigente sotto il profilo della resa sul palcoscenico. La compagnia si è fatta apprezzare oltre che per le doti recitative, anche per le qualità canore e la predisposizione al movimento scenico. Accanto al disinvolto protagonista ospite Mario Lipovšek Battifiaca, affermato showman fiumano, sono emersi la brava Elena Brumini (riconfermatasi attrice brillante, valida cantan- te e ballerina, nonché assistente coreografa), la spumeggiante Elvia e l’esilarante Bruno Nacinovich, lo spassoso Giuseppe Nicodemo.● Panorama 5 Attualità Il governo accoglie le richieste sindacali. Rientra lo sciopero e niente proteste Quanto ci costerà la pace sociale? di Diana Pirjavec Rameša L unghe ed estenuanti trattative tra i sindacati del settore pubblico e il Governo croato, solo qualche giorno prima delle amministrative, sono state condotte parallelamente allo sciopero che nella sua prima (ed ultima) giornata ha coinvolto il mondo della scuola in tutta la sua verticale. Ad incrociare le braccia il 13 maggio scorso sono stati infatti circa 50 mila insegnanti delle scuole elementari e medie, i docenti universitari ed il personale degli istituti di ricerca. Dopo una serie di incontri protrattisi sino a notte fonda in cui i sindacati non hanno voluto cedere sulle richieste di fondo è trapelato un filo di ottimismo. Qualche ora dopo è arrivato anche l’accordo sugli aumenti salariali da realizzarsi gradualmente e in base alla crescita del Pil e delle paghe a livello nazionale. Va ricordato che per una decisione unilaterale del Governo esse hanno subito una riduzione con la paga di aprile del 6 p.c. Visto l’avvicinarsi delle elezioni amministrative e la minaccia che lo sciopero si sarebbe potuto estendere a tutto il settore del pubblico impiego, il governo ha preferito fare delle concessioni e firmare l’accordo con i sindacati grazie a cui la protesta viene sospesa come pure la grande manifestazione sindacale in piazza a Zagabria pianificata nel giorno del silenzio elettorale. L’accordo riguarda il periodo che va dal 2010 al 2016 6 Panorama Quanto durerà l’accordo tra Governo e i sindacati del settore pubblico? Nella foto d’archivio uno dei numerosi incontri in cui si è brindato ma poi... la polemica ha continuato ad impazzare anno in cui si prevede che le paghe del settore pubblico vengano parificate alla media nazionale. L’Esecutivo dovrebbe fare marcia indietro sulla riduzione delle paghe del sei per cento e questo dall’ottobre del prossimo anno se il prodotto interno lordo dovesse aumentare complessivamente del due per cento per due trimestri consecutivi. Inoltre i salari nel pubblico impiego dovrebbero aumentare del 5,6 p.c. nel primo trimestre del 2011 e di un ulteriore 7,6 p.c. nel secondo trimestre. L’accordo fra sindacati e governo appare, dunque, cosa fatta: l’intesa diverrà ufficiale, affermano i sindacalisti, solamente quando avrà ricevuto luce verde da parte dei tesserati. A dare man forte agli insegnanti in sciopero sono stati gli studenti che da parecchie settimane occupano le università pubbliche croate e chiedono l’abolizione delle tasse universitarie e migliori condizioni di studio. “Siamo solidali con i docenti - hanno precisato alcuni dimostranti a Fiume -, ma ciò non significa che aderiamo allo sciopero del settore pubblico”. Va rilevato che la protesta studentesca dopo quattro settimane di occupazione sta scemando ma che conferme relative all’accoglimento delle loro richieste non hanno avuto conferma ufficiale. Il ministro all’Istru- zione, Dragan Primorac, infatti, per tutta la durata della protesta, si è rifiutato di incontrare gli universitari ed ha continuato a comunicare con loro attraverso i media e i suoi più fedeli collaboratori. Ma quanto costerà alla Croazia l’accordo con i sindacati relativo alle paghe? In questo momento è piuttosto difficile quantificarlo visto che dipenderà anche dalla crescita, se ci sarà, del Prodotto interno nazionale lordo, come pure da una serie di fattori che determinano l’andamento della crisi a livello globale. Sia come sia, durante le trattative la vice premier Jadranka Kosor ha fatto un po’ di matematica... sostenendo che se il Governo avesse ceduto alla richieste sindacali l’aumento nell’arco di duetre anni delle paghe dei dipendenti pubblici sarebbe stata del 30 p.c., con il rischio di provocare il tracollo delle finanze pubbliche. La tesi è stata per così dire “ridimensionata” dai sindacati i quali hanno ribattuto trattasi di un aumento del 19,6 p.c. da corrispondere nell’arco dei tre anni successivi all’uscita dalla crisi il che corrisponde - ha rilevato il sindacalista Vilim Ribić -, a complessivamente sei miliardi di kune. E così, sia come sia, nelle giornate che precedono il voto amministrativo un po’ di pace sociale non fa male a nessuno. ● Etnia Al Centro di ricerche storiche di Rovigno presentata la versione croata Conoscere il passato per crescere di Ilaria Rocchi U n traguardo importante, per il Centro di Ricerche storiche e, indirettamente, per la Comunità Nazionale Italiana tutta, - oltre che per la comunità complesiva del territorio - di cui l’istituzione rovignese è, per missione e tradizione, custode della memoria storica. Aspettative e motivi di soddisfazione sono racchiusi nello straordinario volume Istria nel tempo, da poco uscito nell’edizione croata intitolata Istra kroz vrijeme, finanziata dalla Regione Istriana. È stata proprio la Regione a portare avanti l’iniziativa della traduzione del manuale della storia regionale dell’Istria, con riferimenti a Fiume, curato da Egidio Ivetic, realizzato tre anni fa, nell’ambito dei mezzi stanziati dal Governo italiano a favore della CNI. attraverso la collaborazione tra l’UI e l’UPT onde poterla far circolare tra il pubblico della “maggioranza” e diffondere, per quanto possibile, nelle scuole superiori croate. Il manuale sarà anche messo in vendita. L’interesse è vasto, come testimoniato dal pubblico convenuto. Da tempo ormai mancava (in tutte le lingue dell’area) una sintesi storica aggiornata e completa, esaustiva ma al contempo “agile”. Infatti, correva l’anno 1924, quando il rovi- 10 Panorama Robert Matijašić, Marino Budicin, Ivan Jakovčić e Giovanni Radossi gnese Bernardo Benussi pubblicava, a conclusione di una lunga e operosa vita di ricerche, “L’Istria nei suoi due millenni di storia”. Prima di lui, con un’impresa simile si era cimentato Carlo De Franceschi con “Istria. Note storiche” (1879). A oltre ottant’anni dall’ultima opera e a 130 anni da quella di De Franceschi, il volume del CRS si presenta dunque, come una sintesi a tutto campo, che continua, aggiorna, integra e rivede le opere che l’hanno preceduta. Il merito è nell’aver saputo individuare un’équipe autorale che comprende i maggiori esperti nel campo della preistoria e della storia antica, facendo leva sulle forze intellettuali locali, istriane. Un’opzione “non per amore di localismo o regionalismo, non come prova di chiusura, ma come sfida: riuscire a realizzare un prodotto storiografico e culturale in una terra che tende a dimenticare o occultare la propria storia. Anche questa è stata una prova di maturità: scrivere di storia istriana in Istria”. Al volume hanno infatti lavorato Marino Budicin, Ezio Giuricin, Egidio Ivetic, Robert Matijašić, Kristina Mihovilović, Orietta Moscarda Oblak, Giovanni Radossi e Fulvio Salimbeni, nonché Andrea Sponza, che ha trattato “Istria e Fiume nella filatelia” e Antonio Pauletich con “Istria e Fiume nella numismatica”). Due saggi che integrano il manuale in croato. In tutto, in un unico tomo, 734 pagine per un’informazione sia divulgativa sia approfondita. La storia istriana, va tenuto conto, fa parte di altre, accademicamente definite in quanto campi di ricerca - come storia antica, romana, bizantina, medievale, ecc. ecc. fino alle attuali Croazia e Slovenia - ciascuna definita da molte storiografie; fatto quest’ultimo che comporta conoscenze specifiche. Un’attenzione particolare è comunque rivolta al “secolo breve”, quello che provoca le maggiori passioni e il maggior interesse e che è collegato in qualche modo ai fatti dei nostri giorni. Tanto per le dovute note “tecniche”. In quanto all’importanza del progetto, per diversi aspetti “Istra kroz vrijeme” supera - e ciò non può che far piacere - il già elevato valore intrinseco del “gemello italiano”. Innanzitutto l’iniziativa segna un momento particolarmente significativo in ambito storiografico quale ulteriore occasione di incontro e confronto tra le parti italiana e croata (per il momento, in prospettiva, anche quella slovena) e apre le porte a una nuova fase nei loro rapporti, non sempre facili. Una fase in cui, dalla consapevolezza della complessità della realtà istriana, si afferma l’esigenza di riconoscere e accogliere - pur non sempre condividendole - diverse letture di tale realtà. Beninteso, non è che non ci siano più tentativi di interpretare il passato e l’identità istriana Etnia di «Istria nel tempo» e maturare in modo del tutto univoco e unilaterale, ma questo progetto induce ottimisticamente a confidare nel superamento di obsolete “chiusure” e preclusioni. In quest’ambito si sta rivelando fondamentale il ruolo e il contributo che sta offrendo il CRS come fattore di dialogo, avvicinamento e collaborazione dopo anni di “silenzio” nelle relazioni con la più vasta realtà scientifica in Croazia e Slovenia. “Al confine di qualcosa, oppure sul confine tra qualcosa. L’Istria, il suo passato, possono essere visti attraverso vari filtri di lettura e fino ad oggi sono predominanti nettamente i punti di vista nazionali; il passato, come altrove, come in altre storie regionali europee, ha rappresentato e rappresenta anche per il caso dell’Istria - ha dichiarato il suo direttore, Giovanni Radossi, alla presentazione - l’immaginario in cui collocare il senso e il precedente dell’entità nazionale d’appartenenza, oggi italiana, slovena, croata. Si può negare l’immaginario storico di una cultura nazionale? No. Esso rappresenta comunque un patrimonio culturale, a prescindere dai punti di vista. Si può essere, questo sì, più sinceri nel riconoscere che il passato, le sue ‘cose’, appaiono più complicate di come abitualmente sono state rappresentate, anche quando sono stati dichiarati scrupolosi criteri metodologici. Ogni nuova generazione è del resto convinta della bontà dei propri criteri e dell’oggettività delle proprie visioni. Oggi riconosciamo che il mondo è complesso sicché anche il passato ci appare complesso; perciò mai come oggi risulta interessante la ricerca storica”. Il volume del CRS è, in tal senso, un ottimo punto di partenza per successivi e ulteriori approfondimenti, manuale che nel contempo “fa” storia e “scuola”. Del resto, gli autori evidenziano di aver puntato sempre al recupero “di avvenimenti, temi e personaggi di un contesto socio-linguistico, culturale e umano che le vicende della storia più recente avevano ed hanno particolarmente e dram- Ivan Jakovčić consegna alla biblioteca di Pola copie del volume (foto G. Žiković) maticamente corroso, riproponendo, riesumando e sollecitandone lo studio. Le temperie di studi, di ripensamento della memoria storica ha dato così i suoi frutti; ha scosso il nostro piccolo mondo e anche quello circostante delle nazioni madri e matrigne, portando un interesse tutto nuovo per l’indagine storiografica, per un esame documentario del passato”, come rilevato ancora da Radossi. Del resto, l’impostazione voluta e mantenuta per oltre sessant’anni dall’istituto ha sempre seguito una metodologia di ricerca avulsa da qualsiasi impronta nazionalistica o di parte. Anche “Istria nel tempo/Istra kroz vrijeme” - alla stregua delle tante altre pubblicazioni prodotte dal CRS riflette quest’ottica e in quanto tale entra a far parte della più vasta cultura di una regione specifica, che si trova al limite tra il corpo continentale centro-europeo e il Mediterraneo, protesa sul mare - su quell’Adriatico che nel corso dei secoli è stato vettore di traffici e scambi - parte di un sistema di comunicazione, una linea di passaggio per carichi e uomini e civiltà. Il volume che abbraccia la storia dell’Istria dalla preistoria ai giorni nostri, afferma, in un rapporto dialettico con la realtà plurale della regione, un patrimonio culturale e di identità da preservare. In tal senso, è un volume che coglie, rifuggendo da visioni di parte e sterili polemiche, l’Istria nella sua integrità di regione; una re- gione che ha mantenuto nella sua bimillenaria storia, a prescindere dagli stati che l’hanno abbracciata e che si sono avvicendati in quest’area, dalle genti che vi sono confluite. Rimangono alcuni campi ancora poco indagati, esplorati o sui quali fare maggiore chiarezza in maniera affatto scientifica, con curiosità, correttezza, competenza scientifica, onestà intellettuale e, soprattutto, senza faziosità. Il che non è per niente facile. Le dichiarazioni di apprezzamento e i consensi che sono stati espressi finora a proposito del manuale del CRS, rivelano che è stata imboccata la strada giusta. Non sorprende quindi il rapido, immediato successo di “Istra kroz vrijeme”: ha dimostrato che esistono ancora tanti lettori, probabilmente anche delle giovani generazioni, interessati a quelle tematiche che, in un modo o nell’altro, hanno contribuito a mutare la geopolitica regionale (e non solo), creando il contesto nel quale viviamo attualmente. Concluderemo citando ancora Radossi: “Noi, siamo sempre più fermamente convinti che conoscere la nostra storia ci aiuti meglio a comprendere il mondo in cui operiamo e nel quale i nostri padri hanno affondato da epoche immemorabili le loro e le nostre radici, che è dire Nescire quid acciderit est tamquam puer manere (non conoscere il proprio passato è come rimanere sempre bambino)”. ● Panorama 11 Avvenimenti Vinistra edizione 2009 con protagonista un bianco molto versatile: la Malvasia Un vino che viene dal passato di Diana Piriavec Rameša foto di Lucio Vidotto D i Malvasia non ce n’è una sola, anzi ce ne sono tante; solitamente si distinguono in base alle loro caratteristiche ampelografiche o per l’aggettivo che le definisce, generalmente legato ai loro colori o alla loro origine, comunque la maiuscola è d’obbligo. La Malvasia non è solamente una varietà di vite. Essa porta in sé qualcosa di antico e nello stesso tempo anche moderno; l’aggettivo istriana che affianca il suo nome poi è ciò che la lega al territorio testimoniando la propria autoctonia. La storia della Malvasia si crea di anno in anno, da una vendemmia all’altra, da un festival all’altro. Grazie alla sua sincerità e alla sua spontaneità che riflette la bellezza del profumo della primavera istriana ed il dolce gusto delle allegre notti d’estate. Inutile dire che la Malvasia ha convinto e convince sempre più gli ammiratori. Ed è stata, in un certo senso, la regina di Vinistra 2009 in cui ambito è stata organizzata pure la prima competizione internazionale denominata “Il mondo della Malvasia” a cui hanno concorso ben 200 vini. I primi tre premi sono andati alla Mal- vasia di Niko Karaman (Canali ragusei - Konavle), alla Malvasia istriana di Brič (Decani/ Slovenia) e alla Malvasia istriana Prestige di Veralda (Verteneglio). Ma ritorniamo alla manifestazione. Va rilevato che si tratta della più grande esposizione di vini, olio d’oliva, grappe ed altri prodotti tipici istriani, giunta quest’anno alla sua 16.esima edizione. I promotori di questo festival, che espone il meglio della enogastronomia del territorio, sono la Contea Istriana, l’associazione che raccoglie i produttori di vino istriani “Vinistra”, nonché la città di Parenzo. Oltre a produttori, commercianti, addetti ai lavori, la manifestazione ha attirato anche numerosi turisti, anche perché, come vuole la tradizione, l’evento è stato organizzato in modo da coprire, almeno in parte, il ponte festivo del Primo maggio. La palestra polifunzionale di Žatika ha dimostrato in quest’occasione di poter diventare anche un ottimo centro espositivo, con servizi ben organizzati, ampio spazio a disposizione degli espositori e del pubblico. Luciano e Ketty Visintin fieri della produzione Veralda Ci vuole tempo e passione «P er arrivare a certi livelli ci vuole tempo, passione e un notevole impegno economico. Nulla arriva per caso. Con la Malvasia Prestige penso di aver alzato ulteriormente l’asticella. Sono felice di aver dimostrato che è possibile produrre vino di altissima qualità anche su vasta scala”, sono le parole di Luciano Visintin sulla sua pluripremiata Malvasia Prestige a “Vinistra 2009” che però ci è parso più fiero di un’altra sua “invenzione”. Parliamo di un rosé molto particolare, nato dal Refosco. È allo stesso tempo amabile e rinfrescante, evitando di descriverlo con la terminologia dei sommelier. “Se non ci fosse l’alcol - scherza Luciano - sarebbe perfetto per i bambini. Invece, può rappresentare un vino adatto come aperitivo, per accompagnare un pasto completo e da abbinare al dessert”. Questo prodotto inedito, autentica star della mostra vinicola allo stand dei Vini Veralda, potrebbe avere un futu- Ketti e Luciano Visintin sono fiero fuori dai confini croati poiché assolutamente unico, quasi internazionale, ri delle numerose medaglie otteanche se nato da un vitigno locale. ● nute dai loro vini 14 Panorama Avvenimenti “Vinistra” edizione 2009 è stata abbinata ad una serie di interessanti manifestazioni collaterali, conferenze, degustazioni guidate e dibattiti in cui si è discusso, tra l’altro, del rapporto che intercorre tra vino e territorio, cercando di capire quale sia la via da seguire per ottenere quella necessaria sinergia che, promuovendo le ricchezze risorse di una determinata area geografica, confermasse all’Istria quello status di “brand” con cui oggi spesso e volentieri si presenta al mondo. La manifestazione iniziata il 29 aprile è andata avanti per ben quattro giorni, ricchissimi di eventi. Non è stata solo una mostra del vino bensì un’ottima occasione di incontro tra i produttori ed i consumatori, di promozione della sempre più crescente e ricca offerta enogastronomica della regione e un momento di riflessioni sui futuri sviluppi della manifestazione. Qualche parola anche sull’ambizione di “Vinistra” di presentarsi quale evento di tipo internazionale. Infatti, alla competizione enologica hanno aderito pure produttori provenienti da Slovenia, Italia e Ungheria. Nonostante ciò l’interesse del pubblico è stato pilotato verso i vini autoctoni, quelli che testimoniano di come la produzione del vino in Istria si è sviluppata negli ultimi due decenni, e come la cura e i grandi sforzi compiu- ti hanno dato e, speriamo continuino a dare, grandi vini locali. Importante ricordare pure che questa manifestazione riesce ad unire per un paio di giorni e in un unico posto un numero record di produttori di vino ed è il centro per eccellenza dell’educazione e della conoscenza dei vini e della cultura della buona tavola. Il numero degli espositori, circa 600 vini presentati nell’edizione 2009 e provenienti da tutta la Croazia e dai paesi vicini, ne conferma la crescente popolarità. Di strada “Vinistra” ne ha fatta pa- recchia: i partecipanti alla prima edizione, che ebbe luogo a Parenzo dal 27 al 29 maggio 1994, furono cinquanta, con 124 prodotti in totale. Allora venne assegnata solo una Gran medaglia d’oro al vino Moscato bianco prodotto nel 1993 da Bruno e Antonio Ravalico di Villanova, di Verteneglio. È interessante ricordare che le prime cinque edizioni pur avendo un significato internazionale, ospitarono e premiarono esclusivamente vini di produttori istriani. L’esposizione ha il gran merito di aver accompagnato e spinto i produttori di vino istriani all’apice della scena enologica nazionale. Già nel 1998 la malvasia di Kozlović è stata eletto “miglior vino della Croazia”. L’anno successivo vince lo stesso premio lo Chardonnay di Matošević, mentre nel 2000 tocca alla Malvasia di Arman. Anche gli anni che seguono sono d’oro per i produttori di vino istriani: l’oro nel 2001 va all’Agrolaguna per il Cabernet Sauvignon, nel 2002 a Pilato per lo Chardonnay, mentre nel 2003 a M. Arman per il Terrano riserva. Tutti i riconoscimenti confermano che in un solo decennio, dal semplice dilemma iniziale “rosso o bianco” l’Istria è diventata la regione vinicola più sviluppata di tutta la Croazia. Comunque, il background enologico istriano odierno è costituito da una novantina di produttori di vino che vendono il loro prodotto imbottigliato (nel 1990 ce n’era solo uno), da 128 vini registrati e con il marchio di origine geografica protetta (nel 1990 erano 25), da 5 aree viticole note con il nome di strade del vino, da una cinquantina di sommelier professionisti, dall’appartenenza di Verteneglio all’organizzazione Città del Vino, dalla tradizionale Giornata delle cantine aperte - Wine Day (in programma il 31 maggio) e da numerosissime altre manifestazioni di promozione del vino e della cultura enologica. ● Panorama 15 Società Viaggiare è bello e può essere fonte di un notevole arricchimento Quella Bellinzona, svizzera ma ta di Marino Vocci È proprio bello viaggiare. Ce lo ha ricordato anche recentemente nel corso di una sua conferenza a Trieste il sociologo, grande educatore e raffinato scrittore, ma soprattutto il caro amico Ulderico Bernardi. Ricordo che proprio Bernardi alcuni anni fa ha scritto un libro dal titolo “Del viaggiare - Turismi, cultu- 16 Panorama re, cucine, musei open air”, dove raccontava sapientemente il “turismo” di ieri, ma in particolare quello dei giorni nostri; un turismo che oggi è diventato, la più importante industria al mondo. Dove soprattutto il viaggio viene visto come un’opportunità, questo perché significa incontrare persone, culture, comunità e spesso mondi diversi e una questione di interesse e disponibilità verso “l’altro”, per “limare il cervello proprio con l’altrui” (Montagne, filosofo, scrittore e politico francese vissuto dal 1533 al 1592) e quindi un momento importante per arricchire e completare noi stessi. Certo nel corso della nostra storia millenaria il motivo e il modo di viaggiare è profondamente cambiato. Siamo stati a lungo dei viaggiatori nomadi alla ricerca del cibo e di migliori condizioni di vita, poi esploratori, migranti, esuli ed esiliati e costretti quindi a viaggi obbligati, che portavano con sé un forte carico di dolore, a causa dello sradicamento e spesso del difficile radicamento nelle nuove realtà: viaggiare quindi era soprattutto un tormento dell’anima, si usava dire che... partire è un po’ morire. E poi nel corso dei secoli ancora siamo stati missionari e cioè esportatori di generosità e solidarietà, ma anche crociati o “intruppati” in eserciti in guerra. Così come abbiamo raggiunto i diversi continenti per mare e via terra, per lavorare e per trovare lavoro. Da alcuni anni grazieadio - e questo si è verificato anche di recente nonostante la crisi durante le vacanze primaverili - viaggiamo soprattutto come turisti. Da sempre, ha sottolineato Bernardi, per ben viaggiare abbiamo bisogno di: tempo, schei, salute e voia e poi è importante preparare il viaggio e cioè avere un minimo di consapevolezza del luogo che vogliamo raggiungere. Recentemente per motivi di lavoro sono stato nel cuore dell’Europa, in un Paese alpino che conta quasi otto milioni di abitanti, in Ticino uno dei Cantoni della Confederazione Elvetica. Un Paese la Svizzera che non è parte dell’Unione europea ma che mantiene relazioni strette con l’Unione europea sia a livello economico che politico e culturale. Relazioni disciplinate da un insieme di Accordi bilaterali conclusi, nel corso di decenni, tra la Svizzera e la Comunità prima e l’Unione europea poi. Dove si è iniziato fin dal 1972 con l’Accordo di libero scambio, al quale sono seguiti l’Accordo sulle assicurazioni del 1989 e poi gli Accordi bilaterali I del 1999 (che interessano principal- Società dello spirito Bellinzona nto italiana mente la reciproca apertura dei mercati), e II del 2004 (che ampliano la cooperazione ad altri settori politici quali: la sicurezza interna, l’asilo, l’ambiente e la cultura e riguardano temi importanti quali Schengen/Dublino, la fiscalità del risparmio, i prodotti agricoli trasformati...). Innanzitutto devo confessare che, per dirla con le parole di Bernardi, a Bellinzona ci sono andato con una ”grande voia”. Questo proprio per ritrovare dopo oltre una quindicina di anni, dal mio ultimo viaggio in Svizzera, un pezzo della nostra Europa. Un’Europa che sta attraversando un momento di crisi politica e culturale oltre che economica e che ha bisogno di ritrovarsi e di ritrovare una sua identità ed un suo progetto forte per il futuro, ma su questo ritornerò alla fine dell’articolo. Durante il viaggio e la permanenza in quelle zone ricchissime di verde e di laghi, alcune cose mi hanno particolarmente e favorevolmente colpito. Innanzitutto nella parte del Canton Ticino che ho avuto il piacere di visitare e specialmente lungo le vie di Bellinzona, davvero una bella cittadina, con le sue mura ed i suoi storici castelli posti a presidio delle valli alpine attraversate dal fiume Ticino, che portano nel centro dell’Europa, tutte le scritte, ripeto proprio tutte e quindi le tabelle con i nomi delle vie e delle piazze, le scritte sui palazzi di Enti pubblici e privati, quelle dei negozi e sui cartelli pubblicitari, erano esclusivamente in lingua italiana. E soprattutto è stato una piacere e anche una cosa emozionante nel ricordo di Fulvio Tomizza a dieci anni dal Suo ultimo viaggio, incontrare e parlare con le persone. Persone incontrate che erano esponenti di Istituzioni private e pubbliche, ma anche il ristoratore, il tassista e la titolare dell’albergo è dell’agenzia turistica. Tutte le persone con le quali ho avuto il piacere di parlare, che mi esprimevano con semplicità e come fosse la cosa più naturale del mondo che si sentivano parte di una comunità di lingua e cultura italiana, anzi sarebbe meglio dire lombarda, ma tutti, ripeto tutti si sentivamo orgogliosamente cittadini svizzeri. Un bel esempio soprattutto per chi ancora oggi tende a confondere cittadinanza, nazionalità e appartenenza culturale. Ma un bell’esempio anche per questa nostra Europa che io vorrei sempre più orgogliosamente plurale, anche perché viene proprio da un paese plurale che oggi non è parte dell’Unione europea. Di quell’Unione che sentiamo spesso troppo lontana: un’Europa molto, troppo dei schei e degli Stati e poco dei cittadini e delle culture e che come dicevo sta attraversando un momento di crisi. Per fortuna proprio nel momento in cui le elezioni europee sembravano interessare poco o niente ai politici (se non per discettare purtroppo... veline!!!), alcuni tra i più importanti quotidiani italiani hanno ospitato quasi contemporaneamente tre articoli particolarmente significativi. Certo gli articoli hanno trattato il tema della crisi economica mondiale e poi ovviamente quella europea, e quindi per me che prediligo quelli sociali e culturali temi un po’… indigesti. Va però con onestà e doverosamente sottolineato che questi hanno avuto il merito di lanciare comunque un grido d’allarme. Tutto ciò proprio in vista del tradizionale “Brussels Econiomic Forum” della primavera 2009. Nell’articolo di Romano Prodi apparso sul “Messaggero” di Roma l’ex presidente della Commissione europea protagonista del processo di ricomposizione-allargamento, ribadiva l’importanza di favorire non politiche separazione o di protezionismo nazionale ma di integrazione anche perché “...rimanendo soli si esce dalla storia”. La bravissima giornalista Barbara Spinelli su “La Stampa” di Torino ha voluto ricordare le responsabilità del Governo americano di Junior nella grave crisi economica che stiamo attraversando e ribadire la positiva diversità europea di: “...un’Europa che (nonostante tutto, n.d.r.) ci è enormemente vicina ed è la meta almeno della nostra esistenza...”. Una diversità che deve aiutarci a restituire all’Europa un’identità forte e condivisa. Soprattutto ho letto con grande piacere l’articolo dell’ex Commissario Europeo, Mario Monti, pubblicato dal “Corriere della sera” di Milano, dove sottolineava i rischi del “nazionalismo economico” e l’importanza di una “globalizzazione governata” e la necessità di... rilanciare l’integrazione su basi più solide, proprio in una fase in cui la crisi economica e le reazioni dei governi nazionali mettono a rischio il mercato unico e con esso l’integrazione realizzata finora, e dove l’Italia (che è uno dei Paesi fondatori dell’Unione europea, n.d.r.) può avere un ruolo importante nello spingere l’Europa in questa direzione. È un compito per il governo ma anche per l’opinione pubblica”.● Panorama 17 Personaggi Nato a Pola, vissuto a Capodistria, Ranieri Ponis è una delle voci più significative Quel giornalista innamorato della di Mario Simonovich B erlino, inizio di maggio 1945. Un maggiore russo, documenti alla mano, interroga un giovane che fra qualche mese compirà vent’anni. Parla in russo, l’altro gli risponde in croato. La comprensione è agevole. ”Tu jugoslavo” dice con voce ferma. ”Io italiano” è la risposta. ”No, tu jugoslavo” dice con voce non meno autoritaria. ””No, io italiano, nato a Pola”. ”Pola è Jugoslavia!” ”Noo, Pola è Italia!” Il giovane non può sapere che Pola era stata occupata dai partigiani per cui chi ha ragione è l’ufficiale, che taglia corto: ”Tu italiano? Resti qui in in campo di concentramento con altri che non amano per niente gli italiani. Se tu jugoslavo parti domani con convoglio per rimpatrio!” Il giorno dopo quel ragazzo, che risponde al nome di Ranieri Ponis è sul treno che, attraversata la Polonia, la Cecoslovacchia e l’Ungheria, e pas- Medicina grande passione: Ponis prende appunti in merito a un intervento sando quindi per Belgrado, Lubiana e Zagabria, lo scaricherà a Trieste. Il primo impatto con il nuovo potere jugoslavo avviene a Velika Kikinda, in Vojvodina. Gli uomini sul treno sono sottoposti ad una visita a dir poco rigorosa, in cui fra l’altro sono completamente denudati, nel corso della quale si scopre che tre di essi hanno i tatuaggi delle SS: scompariranno Neonati morti a Sušak: la colpevole è l’infermiera! I l giornalista ha un nitido ricordo della visita compiuta a Fiume alla fine di marzo del 1970. Il 28 era avvenuta la più grande tragedia nella storia della medicina fiumana: nelle prime del mattino del giorno 28 al reparto maternità dell’ospedale di Sušak scoppiò un incendio in cui, ustionati o soffocati dal fumo, persero la vita 25 neonati, mentre altri tre riportarono ustioni più o meno estese. Secondo l’uso di allora, gli inquirenti erano più che mai abbottonati. Saputo il nome del primario, Ponis telefonò a casa chiedendo di parlargli, ben sapendo che era invece all’ospedale, a disposizione di chi svolgeva le indagini. Gli rispose la moglie e un po’ in italiano un po’ in croato, senza rivelarle d’essere un giornalista, si disse preoccupato per le grosse responsabilità che gravavano sul marito. L’interlocutrice rispose con un netto diniego: suo marito era del tutto a posto, e l’unica colpevole di quanto era accaduto era l’infermiera. L’infermiera tal dei tali, chiese, facendo un nome fasullo? No, l’infermiera talaltra, precisò la donna. “Il Piccolo” - e “La Voce del Popolo” a cui egli passò la notizia - furono i primi giornali a pubblicare la notizia che poi fu confermata dai fatti. ● 18 Panorama nel nulla. Agli altri danno un lasciapassare in cirillico con la stella rossa, che fra l’altro li autorizza a “viaggiare con qualsiasi mezzo” e anche a “chiedere di essere nutriti”. “La storia non finisce qui”, mi racconta nel suo appartamento nel centro di Trieste, poco distante dall’Osservatorio di Margherita Hack. Arrivato a Trieste sabato 2 giugno, non trrova alcun mezzo disponibile, deve proseguire a piedi. A San Sabba è bloccato da un giovane partigiano con il rituale “Stoj!”. ”Dove ti vadi?” ”A Capodistria!” ”Ah, a Koper!” ”A Capodistria!” ”Documenti!” L’altro gli allunga il lasciapassare, di cui non è in grado di capire nulla, ma la stella rossa è eloquente e il tono cambia subito. ”Come ti vadi a Capodistria? A piedi? No, a piedi no ti vadi. Speta qua!” Poco tempo dopo passa un’automobile con alcune persone a bordo. La blocca e ordina all’autista: “Cioghè el compagno a bordo fino Capodistria!”, facendo con eloquenza capire con il mitra ciò che succederebbe se si opponessero. Il disappunto dei viaggiatori è proporzionale al disagio del reduce da un viaggio com- Personaggi della pubblicistica triestina medicina piuto in condizioni indescribili, per giunta con una temperatura d’inizio estate. Ma come c’era finito Ponis a Berlino? Tutto comincia con le visite di leva a cui deve sottoporsi e che, dati i tempi turbolenti, sono addirittura tre. L’ultima avviene il 14 marzo 1944, tempo dell’Adriatische Künstenlad, comandata da un colonnello tedesco, interprete il podestà di Capodistria, ingegner De Vilas, poi fatto sparire dai partigiani. Tre le possibilità offertegli: le formazioni fasciste, le SS italiane aggregate a quelle tedesche o le unità impegnate essenzialmente in rastrellamenti notturni. In un momento la potenziale recluta decide. “Voglio servire la patria con le stellette” dice con voluta provocazione, in quanto si sa bene che queste non ci sono più. In realtà, avendo studiato il tedesco da tre anni, vorrebbe andare in Germania. Il co- Il giornalista ha prestato per oltre trent’anni la sua opera al Piccolo lonnello, credendo di punirlo, paradossalmente asseconda il suo desiderio, per cui il giovane finisce in Germania come interprete per i lavoratori italiani. A Berlino, dedicato a questi lavoratori, esce il giornale “L’orso” e un giorno il ragazzo manda un articolo in cui paragona la città a un immenso giardino sconvolto dai bombarda- menti, che però un giorno sarebbe rifiorito. La pubblicazione sarà “fatale” per la carriera futura. Un altro fatto di rilievo si verifica il 24 luglio 1994, giorno non solo dell’attentato a Hitler ma anche, qualche ora dopo, del suo ultimo incontro con Mussolini che gli strappa la promessa di trasformare i lavoratori coatti in lavoratori civili, il In un libro condensata una vita di giornalismo F ra i tanti libri di Ponis, quello che sintetizza più da vicino la sua attività giornalistica è “Amarcord di cronista” edito da Zenit nel 2006. Un libro che esprime il clima che si viveva in “quei” tempi di qua e di là del confine e che ripropone tanti fatti che altrimenti sarebbero rimasti chiusi negli archivi del giornale, dall’azzardato confronto estetico di Stelio Crise in merito al quadro riportante un ritratto di Tito all’insuale sistema usato per arrivare appresso a Nikita Kruscev a Capodistria alle implicazioni della raffica di mitragliatrice sparata dalla polizia jugoslava che uccise il pescatore Bruno Zerbin. I primi libri però li ha pubblicati molto prima. Nel 1995 dà alle stampe “Esodo, 50 anni dopo”, edito dalle Associazioni delle Comunità istriane di Trieste nel 1995; l’anno dopo sarà la volta di “Antonio Santin - Ha camminato nell’uragano”, curato dallo stesso editore; lo stesso anno vedrà la luce “Nazario Sauro, il Garibaldi dell’Istria”; Nel 1998 con “Gli Arditi del mare - Antonio Marceglia e Spartaco Schergat” celebrerà la spettacolare incursione dei due nel ben difeso porto di Alessandria conclusasi con l’affondamento della corazzata Queen Elizabeth. Ancora un anno dopo, nel 1999, per le edizioni Zenit di Trieste uscirà la prima edizione di “In odium fidei - Sacerdoti in Istria, passione e Calvario” in cui è raccontata l’iniqua persecuzione di cui furono oggetto mons. Santin - che nel 1933, assegnato alla diocesi di Fiume, è il più giovane vescovo d’Italia - e diversi sacerdoti istriani all’avvento del nuovo potere. Sarà un libro particolarmente fortunato: nel 2000 uscirà la seconda edizione e un anno dopo la terza. Una copia di questa è stata offerta a Benedetto XVI. Nell’anno del Giubileo viene pubblicato “La Vedetta del cie- lo”, dedicato al Santuario mariano di Monte Grisa, alle spalle di Trieste. E ancora: “M. O. Giorgio Cobolli, l’eroe di Sidi el Barrani” (2003) e “Medico d’anime - La vita di Marcello Labor” (2004). ● Panorama 19 Personaggi «Arrivano gli alleati!» e mons. Santin fu liberato R anieri Ponis è fra l’altro l’autore della trovata con cui il vescovo Santin, evitati maggiori danni dall’aggressione subita a Capodistria nel 1947, arrivò fortunosamente a Trieste. Previa comunicazione alle autorità, il 19 giugno, festa del patrono San Nazario, il presule era giunto da Trieste con il piroscafo per celebrare il pontificale e amministrare la cresima. Mentre, indossati i paramenti, si trovava nel seminario, fu aggredito da una turba fatta affluire soprattutto dal contado e tempestato di pugni, schiaffi e calci. I capodistriani si rivolsero agli uomini della Difesa popolare chidendo loro di intervenire, ma la risposta fu: “Non abbiamo ordini”. Ad un certo punto Ponis si portò di scatto dinanzi al loro comandante, colonnello Caharija, dicendogli: “Dal giornale mi informano che gli Alleati stanno per superare il posto di blocco di Albaro Vescovà: fra un quarto d’ora sono a Capodistria!”. Non era vero ma l’ufficiale percepì il supposto pericolo e telefonò affannnosamente a Lubiana, che lo rimandò a Belgrado. Da qui a quanto pare fu lo stesso Ranković, allora ministro degli Interni, che con voce tuonante gli ordi- che significa che per lo meno se ne vanno al lavoro senza il minaccioso accompagnamento di militari armati. Anche per il giovane interprete la vita diventa più facile. La Capodistria che trova è ben diversa da quella che aveva lasciato. Il nuovo potere è tenacemente proteso ad affermarsi e a consolidarsi con ogni mezzo, come emergerà drammaticamente anche dall’aggressione subita nel 1947 dal vescovo Santin, che si salverà proprio grazie a una trovata di Ponis, il quale tempo dopo lascerà pure la città della sua infanzia per arrivare nel 1950 esule a Trieste ed entrare al ‘Piccolo’ di Chino Alessi, il suo “primo indimenticabile direttore”. Vi rimarrà per oltre trent’anni percorrendo un po’ tutti i gradini della carriera fino a diventare capocronista e infine andare in pensione nel 1990 come caporedattore. Si occupa giocoforza dei tempi più diversi, è la medicina però quella che gli è più cara, tanto che qualche anno dopo è il creatore della pagina sulla medicina, che non solo darà prestigio al giornale, ma farà anche significativamente aumentare le vendite del mercoledì, giorno in cui esce. La pagina si guadagna ulteriore lustro dopo aver vinto un concorso indetto da un’associazione fem- 20 Panorama nò di liberare il vescovo e accompagnarlo alla linea di demarcazione. Immediato il cambio di scena: gli uomini della sicurezza intervennero con estrema rudezza contro “i compagni” che non riuscirono a raccapezzarsi. Il vescovo e un gesuita, padre Porta, vennero fatti salire su un camion che si mise in moto, preceduto dal colonnello e due ufficiali su un’automobile e altri due camion di militi con le armi imbracciate. Alla linea di demarcazione, semideserta, il colonnello si rivolse ufficiale della Polizia civile dicendo: “Vi consegno vostro vescovo”. Prima di separarsi, il presule gli strinse la mano e lo ringraziò. Non c’erano però mezzi per proseguire alla volta della curia. Alla bisogna servì perciò il camioncino di un piuttosto recalcitrante panettiere. Anni dopo, messo al corrente del retroscena, Santin ringraziò il giornalista e, pur non legandolo al segreto, lo pregò di rimandarne la diffusione, magari di anni, aggiungendo che era comunque libero di renderla nota quando lo avrebbe ritenuto opportuno. Ponis lo ha fatto solo nel dicembre dell’anno scorso, 27 dopo la morte del vescovo. ● minile a cui, si badi, era stata candidata non dal redattore ma dal direttore del giornale. Ovviamente l’editore Monti è informato e, quale “premio” che fa? Sottrae la pagina al ‘Piccolo’ per “dislocarla” a Bologna dove venivano confezionate le pagine comuni di tutte testate di cui era proprietario. In compenso, se così si può dire, Ponis avrà la soddisfazione d’essere accolto quale socio onorario dall’Associazione medica triestina e otterrà la Medaglia d’oro dell’International College of surgeon. Nessuna meraviglia allora che alla domanda se ritrovandosi gio- vane tornerebbe a imboccare la strada del giornalismo, risponde che sarebbe comunque combattuto fra questa professione e quella del medico. Come dimenticare gli incontri con persone che, gli riferivano, pur di leggere quella pagina, anche vivendo in posti lontani i loro genitori compravano il giornale o di altri che, a conferenze o convegni lo avvicinavano per dirgli che, letti i suoi testi, avevano capito molto bene le malattie che li affliggevano tanto da indirizzare in tale senso il loro medico curante? Una lunga vita, una professione, che lo ha portato a incontrare anche nomi di grido. Chi lo ha maggiormente impressionato? Come prevedibile, emergono innanzitutto nomi del mondo della medicina: il chirurgo Michael De Backey, Albert Sabin, lo scopritore del vaccino contro la poliomielite. Subito dopo una figura del tutto diversa: “Ricordo con particolare simpatia e affetto quel maggiore russo , unito al rimpianto di non averlo potuto rivedere né aver potuto far mai nulla per lui. Credo che quell’incontro mi abbia salvato la vita, perché non pochi italiani, già prigionieri dei tedeschi, a fine guerra furono bloccati in Polonia e morirono letteralmente di fame. ● Personaggi Prima le violenze dei nazisti poi quelle dei russi vincitori L’ eperienza tedesca del gionalista è ben condensata nel libro “Berlino 1944 - 1945 - testimonianza oculare”, uscita nella seconda metà del 2007. L’opera abbina le vicende personali ai tragici eventi di portata epocale che si susseguono nell’arco di circa un anno, fino alla conclusione della guerra. Le SS continuano ad essere implacabili fino all’ultimo. Una prova: il cadavere di un giovane uomo in divisa appeso a un lampione nel centro di Berlino con sul petto la derisoria scritta: “Sono il sergente X.X. Ero troppo vigliacco per difendere donne e bambini. Perciò sono stato impiccato”. Cessate queste violenze, seguirono quelle delle forze sovietiche, che arrivarono qui in preda a un odio difficilmente represso, che risaliva all’attacco di Hitler di quattro anni prima. Due erano gli “oggetti” particolarmente ambiti: le donne e gli orologi, tanto che, si dice, quando due cittadine di Berlino s’incontravano, la domanda, terri- bile nella sua asciuttezza, non era affatto “Anche tu?” bensì “Quante volte?”. Le violenze furono generalizzate tanto da estendersi a fasce d’età altrimenti impensabili. Ci furono ufficiali che, non avendo la forza di proibirli, raccomandavano ai subordinati di non abbandonarsi agli stupri, ma di regola le raccomandazioni cadevano nel vuoto. In un caso, un uomo che aveva tentato di difendere una concittadina da una coppia di assalitori finì a terra sotto i colpi infertigli con il calcio dei mitra. Una parte delle poverette risentì tanto delle violenze da impazzire o togliersi la vita, la maggior parte tuttavia superò lo choc con una certa rapidità, forse perché la tremenda “prova” era da considerasi parte di quella sventura collettiva che veniva ad abbattersi su una società allo sbando. Una copia del libro è stata donata alla cancelliera Angela Merkel durante la visita di qualche settimana fa a Trieste. ● Un’immagine emblematica di come si presentava la capitale tedesca dopo la capitolazione e durante l’occupazione sovietica. Un soldato tenta di portar via la bicicletta a una donna (da “Berlino” di Antony Beevor edito da Rizzoli) Nato la notte di Natale N ato a Pola la notte di Natale del 1925 (“Pensate quanto sono buono: ho lasciato che prima arrivasse Lui e a distanza di un’ora e mezza mi sono presentato io” gli piace scherzare) Ponis si è trasferito presto con la famiglia a Capodistria. Esule a Trieste dal 1950, per oltre trent’anni è stato giornalista del Piccolo, fino a diventare capocronista e quindi caporedattore. Per la sua vastissima produzione scientifica è stato proclamato socio onorario dell’Associazione medica triestina. Per un periodo ha prestato la sua opera pure alla sede regionale della RAI. Sotto la sua presidenza il Gruppo giuliano cronisti crea il “San Giusto d’oro”, il massimo premio di Trieste ai suoi figli migliori. Primo a ottenerlo sarà il chirurgo Pietro Valdoni. Seguiranno, fra gli altri Claudio Magris, il Trio di trieste, Boris Pahor, le comunità degli esuli in Australia, l’archeologo Doro Levi, la pittrice Leonor Fini, Brenno Babudieri (quest’ultima consegna, in una clinica romana con il microbiologo in condizioni ormai disperate, fu particolarmente toccante). Quale riconoscimento, a Ponis è stato assegnato il Sigillo trecentesco del Comune. È insignito pure dell’onorificenza di Commendatore al merito della Repubblica italiana e della Medaglia d’oro dell’International College of Surgeons. Grazie alle sue campagne di stampa sul “Piccolo” è riuscito ad evitare la demolizione della casa natale di Nazario Sauro, nel rione di Bossedraga, la zona del nuovo porto di Capodistria. Altri suoi servizi si sono rivelati decisivi per l’intervento delle autorità locali e soprattutto di Lubiana nel primo restauro diPalazzo Pretorio.● Panorama 21 Cinema Departures vince l’undicesima edizione del Far East Film Festival di Udine... Ma Fish Story piace anche di più di Massimiliano Deliso Scandal Makers U n trionfo annunciato. Departures, il capolavoro giapponese griffato Takita Yojiro, vincitore del Premio Oscar come migliore film straniero all’ultima edizione degli Accademy Awards, si impone nettamente anche all’undicesimo Far East Film Festival, riscontrando una media di quasi quattro punti e cinquanta su cinque nel gradimento del pubblico. Una kermesse riuscitissima, che, a detta del factotum Thomas Bertacche, è riuscita a decollare grazie al passaparola multimediale. I centocinquantamila euro di entrate in otto giorni, grazie alla vendita dei biglietti e gadgets, confermano, una volta di più, la bontà di una manifestazione culturale coinvolgente, che attira, oltre ai patiti del genere, sempre più curiosi da ogni parte del Vecchio continente e da oltre Oceano. Si è rinnovata così, anche quest’anno, la collaborazione tra CEC, che organizza a Udine il festival, e Lucky Red, che porta, prima dell’inaugurazione ufficiale e nelle sale di tutta Italia, il Festival Trailer, simbolo stesso di Far East Film, affidato quest’anno alla giovane regista slovena Špela Čadež. Apprezzatissima autrice di corti in animazione, la Čadež ha realizzato un piccolo capolavoro, un’intelligente e sensibile variazione sul tema del dialogo, dove le distanze geografiche tra Oriente e Occidente vengono azzerate da due pupazzi e da un piatto di spaghetti, con toni fanciulleschi e disincantati. L’Est europeo comunica con il lontano Oriente asiatico grazie a un noodle da record, che farà scattare l’amore e porterà a un divertente, romantico e dolce bacio finale. Departures dicevamo, una pellicola delicata, che introduce l’amore per la vita partendo dal concetto di morte, commovente, a tratti assolutamente raffinato, paradossalmente sobrio nella straordinaria fotografia, una regia incantevole e sicura, semplice la storia del protagonista Daigo, un violoncellista che perde il suo impiego ed è costretto a ritornare al paese d’origine per lavorare presso un’agenzia di pompe funebri. Mentre si impadronisce 22 Panorama delle tecniche per la preparazione dei defunti, comincia anche un viaggio introspettivo che lo aiuterà a comprendere la propria esistenza e la propria vita. Un esempio del rapporto tipicamente giapponese con la morte, vista come un viaggio che parte dalla coscienza fino a sublimare una nuova esistenza dentro a un universo parallelo. Totalmente diverso l’approccio con l’esilarante film coreano Scandal Makers, di Kang Hyeong-Chul, che si è guadagnato la piazza d’onore, anche se, per gran parte degli appassionati, è il vincitore morale di questa edizione del FEFF. Questa commedia che ha come protagonista un Dj radiofonico estremamente famoso che scopre, d’un tratto, di essere padre e, addirittura, nonno, possiede un ritmo atipico, i ghirigori comici si susseguono senza lasciare spazio a niente che possa annoiare, un piccolo gioiello del genere. Meritato il terzo posto per The Rainbow Troops, pellicola indonesiana di Riri Riza, un film che parla di bambini disegnato per un pubblico di bambini che incanta, però, anche lo spettatore adulto, che si intenerisce ammirando la lotta per cercare di far rimanere aperta una scuola e permettere a qualsiasi alunno di mantenere la possibilità di emanciparsi attraverso l’istruzione. Una bella sceneggiatura, senza dubbio, soprattutto nelle intenzioni morali. Il livello tecnico dei film scelti dal Cen- tro Espresioni Cinematografiche, che decide le cinquantasei pellicole in concorso dopo averne visionate centinaia, è sempre maggiore, in alcuni momenti molto “occidentale” a dire il vero, pur mantenendo una certa particolarità nella trascrizione e nell’unicità di certe idee assolutamente originali. Non sono saliti sul podio, purtroppo, le due pellicole che più ci hanno colpito, One Million Yen Girl, della giovane regista giapponese Tanada Yuki, un road movie girato con grande talento e acume, e, soprattutto, Fish Story, di Nakamura Yoshihiro, uno dei film più belli delle ultime edizioni del FEFF, una vera e propria sorpresa, così come lo era stata, l’anno passato, Gachi Boy. Leggendo la sinossi si potrebbe pensare di essersi imbattuti in un film assurdo, dominato da una certa retorica metafisica, visto che racconta di una cometa in rotta di collisione con la terra mentre la salvezza dell’umanità passa attraverso la canzone di un gruppo punk nipponico. In realtà non è così, tutto acquista un senso logico via via che la trama si dipana e avvolge lo spettatore, non ci sono pause, niente è lasciato al caso dentro al negozio di vecchi dischi in vinile rimasto aperto a sole cinque ore dall’impatto, dove si riuniscono, oltre al proprietario, un cliente abituale e un malato terminale, una sorta di pseudo cattivo. Personaggi che ricostruiscono insieme la storia di questo gruppo nato Cinema Departures l’anno successivo all’esplosione dei Sex Pistols e diventato famoso in tutto il Giappone a causa dei quaranta secondi di pausa dentro al singolo più ascoltato di tutto il trentatrè giri, particolarità che rende la canzone stessa una sorta di leggenda, ancorata al mistero dell’urlo di una giovane donna che, udito da un passante, darà inizio ai preparativi per la salvezza del pianeta. La bellezza della sceneggiatura è rilevante, geniale l’esposizione della soluzione finale, bello il pretesto narrativo. Una delle poche note dolenti riguarda la proiezione del blockbuster Yattaman, costosissimo fantasy che, nelle quasi due ore di proiezione, sfiora il ridicolo, nonostante il budget non certo irrilevante di questa produzione giapponese firmata da Miike Takashi, che ricordiamo per altri lavori assolutamente migliori e degni di nota, sicuramente diversi da quesa trasposizione super hero assolutamente inutile e priva di significato. Ma va bene così, il pubblico sembra apprezzare ugualmente, sospinto forse dal ricordo dell’omonimo cartone animato che imperversava in Europa una ventina d’anni fa. K-20: Legend of the mask è, al contrario, uno spettacolare film diretto dalla bravissima Sato Shimako, ricco di effetti speciali e momenti di azione pura tirati allo spasimo, da vedere assolutamente, anche per le piccole pause comiche che fanno da contorno al soggetto tipicamente fumettistico. Oltre al tradizionale mercoledì dedicato al cinema horror, che quest’anno presentava titoli di buon livello, certo, ma che non ci ha entusiasmato alla follia, hanno fatto il pieno e riscosso un discreto successo le proiezioni erotiche del dopo mezzanotte, i cosidetti Pink Movie, film assolutamente soft che, grazie a un continuo ricorso al sarcasmo, riescono a divertire senza sfiorare mai la volgarità. Una citazione va a Love Master 3, grezzo nella forma e nelle intenzioni, assolutamente divertente nel risultato. Non è dispiaciuto il capolavoro epico coreano A Frozen Flower, intanto per l’enorme fotografia, e poi per una certa sensibilità nel trattare l’argomento di un amore omossesuale d’altri tempi, evidenziata dall’ottima prova recitativa di Zo In Sung e Joo Jin Mo, senza fronzoli ma con un grosso impatto emotivo. Il film d’arti marziali thailandese Chocolate ha tenuto la platea con il naso incolla- Fish Story to allo schermo, per merito delle evoluzioni aeree di una giovanissima attrice, Yanin Wismitanant, che si è dimostrata atleta straordinaria nelle sue acrobazie di incredibile impatto scenico. Nell’insieme il “Far East Film Festival” si presenta sempre con una veste curata, Sabrina Baraccetti si dimostra una brava padrona di casa, Thomas Bertacche un preparato scopritore di talenti. L’arredamento all’interno del Teatro Giovanni da Udine è meno eccentrico degli anni scorsi, ma forse più variopinto, la qualità delle produzioni in concorso aumenta di anno in anno, lasciando al Giappone la parte del leone, ma proponendo, in numero sempre maggiore, lavori che arrivano da paesi con meno risorse finanziarie, come Indonesia e Thailandia, teletrasportando lo spettatore in un viaggio spazio-temporale alla scoperta di un mondo cinematografico sempre più tecnologico, ma che riesce, nonostante un certo inaridimento intellettuale dettato dal progresso di facciata, a mantenere una sua indipendenza culturale e artistica, che non è certamente cosa di poco conto in un panorama dominato dai quattrini e dalle esigenze di botteghino.● Panorama 23 Cinema e dintorni Delusione, comprensione e qualche dubbio sulla realtà sociale che Francesca L’amicizia? Argomento troppo dif di Gianfranco Sodomaco C hi trova un amico trova un tesoro... L’avevano già capito molti antichi saggi (Socrate, Cicerone, Epicuro tra i tanti), soprattutto tra maschi, con un’idea razionalista-maschilista dell’amicizia, contrapposta all’”amore” femminile, sentimento dominato dalla passione, dall’eros ecc., più tipicamente legato, secondo loro, al gineceo. Ma anche la scienza odierna ci avverte (ricerca condotta in Australia - La Repubblica, 24 aprile) che i rapporti amicali fanno bene alla salute, migliorano le prestazioni cerebrali, diminuiscono lo stress e dunque la probabilità di “defungere” in anticipo rispetto ai “cuori solitari”. Anche procedendo a naso, senza velleità scientifiche, non è difficile comprendere che l’amicizia, il poter contare su qualcuno in particolare, il sentirsi compreso, a fondo, da un’altra persona, l’amico/a del cuore, aiuta non poco la nostra vita psicologica e quindi anche tutto il resto. Ma, tornando al proverbio iniziale, l’osservazione che precede è: d’accordo, però prima bisogna trovarli gli amici e, prima ancora, come nasce un’amicizia, quali sono gli “ingredienti” necessari? Ecco, forse Questione di cuore, di Francesca Archibugi (“Mignon è partita”, 1988 - “Verso sera”, 1990 “Il grande cocomero”, 1993 - “L’albero delle pere”, 1998, ecc.), nel costruire una storia d’amicizia, si pone soprattutto questa domanda e cerca di dare una risposta. La storia. Drammatico l’incipit: in montaggio parallelo, i due protagonisti finiscono al pronto soccorso per attacco cardiaco. Il primo, Angelo (Kim Rossi Stuart), sembra l’erede dei semplici poveri ma belli della nostra commedia nazionale; anche se col suo lavoro di carrozziere provvede bene a una famiglia già numerosa: Rossana (Micaela Ramazzotti), la moglie incinta, Perla, una figlia adolescente e Airton, il più piccolo, con un nome impegnativo, quello del mitico corridore automobilistico. Il secondo, Alberto (Antonio Albanese), pare esere 24 Panorama Questione di cuore, decimo film della regista romana Francesca Archibugi il suo opposto speculare: è uno sceneggiatore cinematografico (in ospedale gli faranno visita, dal vero, un vezzo della regista, Daniele Luchetti, quello di “Mio fratello è figlio unico”, Paolo Virzì, quello di “Tutta la vita davanti”, Paolo Sorrentino, quello de “Il divo”, Carlo Verdone che si esibisce in un cameo un po’ scontato, quello che sa tutto di medicina, e Stefania Sandrelli per cui basta la presenza a riassumere tutto un filone del cinema italiano, evidentemente tutti amici della Archibugi) colto e sarcastico, dissipatore, instabile negli umori come nei sentimenti. L’incontro, in sala di rianimazione, genera una strana coppia. Accomunati dalla malattia i due diventano grandi amici, come se ciascuno fosse l’unico capace di capire stato d’animo, fragilità e speranze dell’altro. Il sodalizio cambia la vita soprattutto ad Alberto, che va ad abitare con Angelo e i suoi (anche perché lasciato dalla sua fidanzata Francesca che non lo sopporta più); finché l’aggravarsi delle condizioni di salute di Angelo innesca un processo, forse, del tutto inatteso, in cui protagonista diventa Ros- sana, la moglie di Angelo che, intuendo che al marito resta poco da vivere, si “avvicina” ad Alberto per farsi aiutare a vivere l’idea straziante di una possibile “dipartita” del congiunto (che ama molto, e di cui porta ancora in grembo il segno di quell’amore). E questo spiazza Alberto, così come tutta la storia, ma al tempo stesso lo mette in condizioni di toccare ancora più da vicino, lui che le storie le inventa, il mistero della vita e della morte (e noi spettatori con lui). Il film, giustamente, si ferma qui, lascia tutto in sospeso, è una commedia, non deve chiudere tragicamente, ma è una commedia strana, dove si ride ma molto più spesso si sorride amaro (e giustamente, come ha scritto Paolo Mereghetti sul Corriere del 17 aprile, la stagione della commedia all’italiana classica, alla Risi o alla Monicelli, va considerata definitivamente chiusa e forse, come maestro della Archibugi, si può pensare all’”umanista e antropologo Luigi Comencini, quello di “Incompreso”, 1966, di “Voltati Eugenio”, 1980, di “Un ragazzo di Calabria”, 1987 ed altri numerosissimi film dove pre- Cinema e dintorni Archibugi racconta nel suo recente Questione di cuore ficile anche per i registi vale una visione intimistico-familiare della società italiana, più contenuta e smorzata nei toni, non necessariamente più provincialistica). E allora davvero il film invita a tornare alla domanda iniziale: come nasce un’amicizia? E potremmo aggiungere: cosa racconta questa amicizia della odierna società italiana (anche perché gli elementi locali, regionali, dialettali ecc., pur presenti, non hanno una funzione determinante)? Mica semplici le risposte. E allora ho tirato fuori dalla borsa uno dei libri che mi porto sempre dietro, la Garzantina di Psicologia del mio maestro Umberto Galimberti e sono andato a leggermi la definizione di “amicizia” secondo lo studioso Biswanger: “sentimento che scaturisce dall’incontro tra due o più persone che percepiscono una comunanza di interessi, di valori e di ideali e che per questo stabiliscono delle interazioni intime fondate sulla comprensione e sulla fiducia reciproca... Nell’adolescenza si realizza in forma molto esclusiva, determinando un tipo di attaccamento molto simile all’amore che, in certe fasi, può giungere anche a crisi di gelosia o a forme di amicizia partico- lare a intonazione sessuale”. E infatti i nostri due eroi un po’ regrediscono allo stadio adolescenziale, recuperano l’ingenuità un po’ cialtrona e disarmata tipica dell’età di mezzo; e infatti ad un certo punto, quando Angelo si sente fuori gioco, lascia che quella strana amicizia ora Alberto la viva con la moglie quasi si trattasse di uno strano amore. Ma non è finita. Si aggiunge che “la forma amicale si fonda sulla partecipazione, dove ciascuno prende parte all’altro in tre possibili forme: 1) il partecipare con qualcuno a qualcosa..., un’idea, un viaggio, una stanza, una malattia, ecc.; 2) il parteciparsi qualcosa l’un l’altro attraverso la comunicazione di informazioni, senza un coinvolgimento dei rispettivi mondi interiori: in un ospedale fatalmente ci si racconta le proprie vite...; 3) la partecipazione a un medesimo destino attraverso la confidenza intima, la condivisione della vita dell’altro. E certamente Angelo ed Alberto a questo stadio arrivano ma... C’è un ma: Biswanger conclude dicendo che “non attraverso la partecipazione ad un mondo comune gli amici prendono parte l’uno all’altro, ma, al con- Antonio Albanese e Kim Rossi Stuart, nella pellicola uscita un mese fa trario, nella reciproca partecipazione degli amici si costituisce la comunità del mondo” (“Per un’antropologia fenomenologica”, Feltrinelli, 1970). Cioè a dire che, nell’amicizia, si parte dall’io, dai singoli e che essi, in qualche modo, “costruiscono” la realtà sociale che li circonda. Se così è (io, personalmente, non sono così sicuro), qual è la realtà sociale che la Archibugi, attraverso questa storia d’amicizia, ci restituisce? Ecco, il problema del film è proprio questo: che fa molta fatica ad andare oltre i confini del quartierino dove la vicenda si svolge (il Pigneto, zona cara a Pasolini) e a dirci qualcosa di più sul significato di questo incontro interclassista (l’intellettuale e il carrozziere) nella Roma, nell’Italia dell’anno dell’era berlusconiana 2009. Ma, come dice Mereghetti (vedi sopra), con un po’ di delusione mista a comprensione, “son domande troppo complesse e forse troppo difficili per tutti, anche per registi e critici...”. Insomma, raccontare l’Italia divisa e sfaccettata di oggi, attraverso la commedia, è diventato difficile, a meno di non cadere nella farsa o nella fiction televisiva, che però sono un’altra cosa. Forse per questo, forse, laddove per altri aspetti lo meritava, il film non è andato al Festival di Cannes, di cui parleremo la prossima volta. Per il momento anticipiamo soltanto che ci è andato il film di Bellocchio “Vincere”, storia privata e pubblica del figlio illegittimo che Mussolini ha avuto da Ida Dalser... ● Panorama 25 Arte I padiglioni della Fiera Lampade (Artemide) Milano, numeri record al 48.esimo Salone Internazionale del Mobile Creatività per combattere la crisi testo e foto di Maurizio Franolli I venti di crisi non sembrano soffiare sul mondo del design; si è chiusa infatti da poco a Milano con numeri da record la 48.esima edizione del Salone Internazionale del Mobile. Nata nel lontano ‘61 da un’iniziativa di alcuni mobilieri, la manifestazione è cresciuta, diventando la kermesse più importante al mondo dove si scoprono gli oggetti del desiderio di domani. Dal Milano sono arrivati segnali incoraggianti, segno che qualcosa si sta rimettendo in moto. A confermarlo non sono solo supposizioni, ma cifre a parecchi zeri. Dal Salone Internazionale del Mobile (48.esima edizione), dal Salone Internazionale del Complemento d’Arredo (edizione numero 23), da Euroluce (25. esima volta) e dal Salone Satellite non è ancora fuggito nessuno, anzi: i 220 mila metri quadrati del quartiere espositivo di Milano Rho hanno registrato il tutto esaurito, 2.723 le aziende che hanno esposto i loro prodotti, di cui 911 straniere, 491 le domande di aziende rimaste in lista d’attesa, 304.702 visitatori di cui il 56 per cento stranieri provenienti da ben 145 Paesi. Dal 22 al 27 aprile i quattro Saloni assieme hanno raccontato l’arte 26 Panorama del progetto, un grande evento che non si accontenta di rimanere circoscritto negli spazi espositivi della Fiera, ma che sconfina nel cuore della città per unire design, arte e architettura. Anche nel settore dell’arredo non è un momento facile. Il fatturato 2008 è sceso del 5 per cento rispetto all’anno precedente con un mercato interno che va anche peggio. A salvare le 31 mila aziende italiane sono state le esportazioni, soprattutto verso Russia ed Emirati Arabi. C’era quindi grande attesa di soluzioni per affrontare questa crisi dilagante. Le risposte che sono arrivate dalle aziende e dai designer si chiamano creatività e qualità; meno fronzoli e più concretezza nel rapporto con la realtà. La creatività, tratto distintivo del made in Italy, non è certo mancata. Anche grazie ai tanti progettisti stranieri che continuano a scegliere l’Italia per produrre le loro idee. Il bianco, il nero e il grigio i colori prevalenti, interrotti però da lampi di rosso fiammante, come se, nonostante tutto, non si volesse perdere un pizzico d’ottimismo. Inoltre, forse per reazione alla crisi, è esplosa una nuova tendenza: addio alle forme spigolose per lasciare il campo a linee più comode e resistenti, puntando su arredi di grandi dimensioni e dall’ottimo comfort. Come Turner, il divano disegnato da Hannes Wettstein per Molteni&C, dalle forme ampie e con le sedute che possono essere allungate, o come Celine, una poltrona comoda ma anche bella presentata da Flou, mentre Antonio Citterio ha rivisto il suo Cestone (Flexform), che ora ha cuscini che superano il metro di profondità. La tradizione del grande design di inizio Novecento è invece fonte di ispirazione per Piero Lissoni che con Eve, in acciaio e cuoio, rende omaggio alle linee pure dei maestri del razionalismo che Cassina continua a produrre con grande successo. Al Salone erano presenti pure molti protagonisti del mondo della moda con le loro linee di arredamento, come ad esempio Fendi, che nel proprio stand ha ospitato “Craft Punk”, una serie di performance per celebrare l’originalità, la creatività e la libertà d’espressione nel design. Rigorosamente all’insegna del riciclo. Euroluce Per una settimana Milano si è illuminata di novità. La 25.esima edizione di Euroluce, Salone Internazionale dell’Illuminazione, ha ac- Arte Sedie (Thonet) ceso i riflettori sulle lampade di domani: 525 espositori in fiera, di cui 174 esteri, e una fitta costellazione di eventi a Milano. Bianco, nero e rosso sono, anche nel campo dell’illuminazione, i colori della prossima stagione. Apparecchi per illuminazione da esterni e da interni, apparecchi per illuminazione a uso industriale, per usi speciali, luce a tutto campo, tecnologica, funzionale, essenziale o spettacolare, a seconda delle esigenze. Nuove tecnologie pulite che si sposano con materiali tradizionali, dando vita a lampade capaci di illuminare senza inquinare. Parole e concetti come ecologia, ecosostenibilità, materiali da riciclo, crisi, riecheggiano negli stand, ma si notano pure nella progettazione e nella realizzazione degli stand stessi, come ad esempio quello di Flos, azienda storica dell’illuminazione, fondata nel 1962, che come chiave del successo ha sempre avuto quella vocazione utopica e creativa che vede designer e imprenditori alleati nel puntare sul progetto. La «costola giovane» Rappresenta la “costola giovane” del Salone del Mobile, palcoscenico privilegiato per la creatività giovanile. Mostra-evento dedicata ai designer under 35. Incubatore straordinario di talenti da cui, in undici anni è uscita una moltitudine di “firme”: Matali Crasset, Patrick Jouin, Satyendra Pakhalé, Paolo Ulian, i gruppi Front Design e Nendo. Il Salone Satellite funziona non solo perché costituisce un fantastico Stand Flos serbatoio di idee per l’industria; infatti tanti dei prototipi che si possono vedere in fiera prendono subito la via della produzione. Giovani designer, pronti per diventare, con un po’ di fortuna, le star di domani. In questa edizione 702 giovani, di cui 420 stranieri, hanno presentato le loro proposte divertenti e stimolanti dedicate al benessere e alla sua progettazione. Appuntamenti collaterali La manifestazione non è soltanto un importante appuntamento commerciale, ma un avvenimento culturale, un evento di grande tendenza, che investe tutta la città di Milano; una grande folla si è riversata negli show-room delle aziende storiche, ha visitato mostre e partecipato agli eventi organizzati in centro, nella rodata e famosa Zona Tortona, nel Quadrilatero della Moda, alla Triennale. Dal 22 aprile al 21 giugno Palazzo Reale ospita la grande mostra Magnificenza e Progetto - cinquecento anni di grandi mobili italiani a confronto, per far dialogare il Made in Italy di ieri con quello di oggi. Al Giardino della Triennale l’artista inglese della luce Cerith Wyn Evans ha esposto Invocation (I call your image to mind), un’installazione permanente, una gigantesca nuvola in tubi led sospesa per aria. Infine, le aziende storiche, negli show-room del centro hanno allestito esposizioni di assoluto interesse. Aziende di grande tradizione come Boffi, che con il suo architetto di ri- ferimento, Piero Lissoni (Compasso d’Oro alla carriera 1995) ha ribaltato l’idea di cucine e bagni restituendo importanza a gesti consueti. L’Italia è riuscita a mettere insieme un sistema di aziende, progettisti, comunicatori e una fiera, che rappresenta l’eccellenza, quella che hanno avuto l’America nel dopoguerra e i Paesi scandinavi negli anni Cinquanta. Tutti uniti per dimostrare che, nonostante le previsioni più negative, quello di Milano è stato veramente il Salone della rinascita, dove le parola d’ordine sono state creatività e innovazione. Tutti d’accordo nel dire che la crisi non deve appiattire, che bisogna continuare a rinnovare e che chi è davvero creativo e ha un’identità precisa potrà uscire da questo periodo difficile molto più forte di prima. Per questo le aziende italiane, come d’altronde hanno sempre fatto, continuano a puntare su architetti e designer d’eccellenza, come Afra e Tobia Scarpa, Gaetano Pesce, Mario Bellini, Antonio Citterio, Piero Lissoni, Zaha Hadid, Patricia Urquiola, Marcel Wanders, Jasper Morrison, Konstantin Grcic, Marc Newson, Philippe Starck... Quest’ultimo si è trasformato da profeta del design democratico a paladino del design ecosostenibile: “Il design oggi ha vinto una scommessa: essere finalmente a prezzi accessibili, ma soprattutto duraturo e rispettoso dell’ambiente.” Gli oggetti e i materiali nuovi saranno quelli che passeranno ai nostri figli e ai nostri nipoti. Solidi, indistruttibili ed ecosostenibili.● Panorama 27 Reportage L’entroterra raguseo vuole diventare una destinazione per gli agriturismi La Valle dei Canali torna a rifiorire testo e foto di Ardea Velikonja S e di Ragusa (Dubrovnik) si sa tanto, si potrebbe dire a livello mondiale, molto minore è invece il numero di coloro che saprebbero dire qualcosa di più sulla fiorente valle che si stende alle spalle di questa città, racchiusa nel comune di Konavle. Il nome deriva probabilmente dal latino “canalis”: l’intera valle è infatti solcata da una gran numero di fiumi sotterranei, la cui acqua, grazie a canali costruiti dall’uomo, è arrivata fino all’antica Epidaurum, l’odierna Cavtat. Il comune di Konavle si estende su una superficie di 209 chilometri quadri e comprende 33 paesi in cui vivono in tutto 9500 abitanti. La zona si divide in tre parti: quella montuosa che confina con la Bosnia e il Montenegro e comprende il monte Snježnica (1234 metri); la parte centrale con la fertile valle attraversata dal fiume Ljuta in cui confluiscono tutti i torrenti sotterranei; e la parte litoranea con le rocce a strapiombo e le due penisole, la Molunat, con le sue bellissime baie, e Prevlaka, posta all’entrata delle Bocche di Cattaro, che continua nel Montenegro. Un terzo del territorio è ricoperto da boschi e l’albero che caratterizza la zona è il cipresso. Cresce ovunque, enorme e senza mai piegarsi, fenomeno che nessuno ancora è riuscito a spiegare. Cavtat è dopo Ragusa (Dubrovnik) il centro turistico di maggior interesse Cavtat, e tutta la zona, data la posizione strategica, sono state da sempre ambite e contese. L’ultima volta è avvenuto in questa guerra che ha arrecato ingenti danni. Oggi comunque la ripresa è in pieno corso, le case sono state rifatte e, data la vicinanza del mare (la distanza massima è di 15 chilometri) molti dei giovani tornati alle case avite hanno deciso tentare la strada dell’agriturismo. Questa il motivo per cui la seconda riunione dello staff di coordinamento l’azione ecologico-educativa “Voglio bene alla Croazia” si è svolta a Konavle. L’azione, ricorderemo, ha come I canali che hanno dato il nome alla Valle 28 Panorama scopo principale i migliori preparativi possibili all’entrante stagione turistica, ma anche di far conoscere le parti della Croazia rimaste all’ombra dei grandi centri turistici. Alla riunione partecipano come sempre il direttore dell’Ente turistico nazionale Niko Bulić e i rappresentanti di tutte le contee, continentali o litoranee che siano. Dunque ottima occasione per una visita anche di quei giornalisti usualmente indotti a fermarsi a Ragusa o Ragusavecchia. Konavle, si direbbe, già da anni si sta dando da fare mettendo in gioco” tutti i suoi 33 abitati. La conseguenza è la messa a punto di ben 22 agriturismi, mentre quelli che mancano sono invece gli appartamenti: ne è provvista una sola casa nel paese di Radovčići, quella della famiglia Rilović. La bella abitazione sovrasta la piana e comprende appartamenti che possono venir usati da sei persone. Uno dei primi agriturismi della zona è stato quello della famiglia Novaković, aperto nel Duemila dopo che la loro casa era stata completamente distrutta nel corso degli scontri del 1991. Bisogna sapere che tutte le case della zona sono grandi, vere case padronali, perché nel secolo scorso le famiglie vivevano tutta unita, arrivando anche a comprendere anche fino a 30 persone. Ognuno aveva incom- Ogni domenica i ragazzi della SAC Ćilipi si esibiscono in piazza Il Museo di Ćilipi, distrutto in guerra e poi rifatto Ogni casa ha il suo mulino 32 Panorama Panorama Impos - Prima - Ultima.indd 6-7 Un tempo prezioso aiuto all’uomo, oggi il cavallo e l’asino “fanno parte del panorama” Epidaurum, Ragusa Vecchia, Cavtat Panorama 29 14.5.2009 14:28:43 ni: vino e grappa di fichi Prodotti genuin Konavle: il tipico costume nazionale Le antiche tombe degli Illiri nella zona di Mikulići Konavle, Konavl vle, la Valle dei Canali L’agriturismo della famiglia Novaković: finora 10.000 ospiti La penisola di Prevlaka P che fa da confine con il Montenegro La famiglia Glavić è la più “vecchia” in fatto di agriturismo Ieri ville dei ricchi, oggi dimora di artisti e agriturismo: la casa del pittore Mijo Šišo Konavljanin Popovići: si chiama Kojan Coral e ovviamente vi si pratica l’equitazione 30 Panorama Panorama Impos - Prima - Ultima.indd 8-9 I confortevoli appartamenti della famiglia Rilović L’albergo Major ultimo nato nella zona si è fatto un nome con le specialità culinarie Panorama 31 14.5.2009 14:28:55 Ogni domenica i ragazzi della SAC Ćilipi si esibiscono in piazza Il Museo di Ćilipi, distrutto in guerra e poi rifatto Ogni casa ha il suo mulino 32 Panorama Panorama Impos - Prima - Ultima.indd 6-7 Un tempo prezioso aiuto all’uomo, oggi il cavallo e l’asino “fanno parte del panorama” Epidaurum, Ragusa Vecchia, Cavtat Panorama 29 14.5.2009 14:28:43 Reportage benze precie, per cui c’era un vivere ordinato. Poi, con l’andar degli anni, i giovani sono partiti in cerca di lavoro nei grandi centri turistici e nei grandi caseggiati sono rimasti solo i nonni che si occupavano dei campi. Oggi i giovani benché lavorino nella vicina Dubrovnik o Cavtat hanno deciso di ristrutture le case dei nonni e metterle in funzione del turismo. Il tutto anche grazie alla vicinanza dell’aeroporto di Ćilipi dove arrivano la maggior parte dei turisti che soggiornano nella zona ragusea. Il buon vino, le grappe fatte in casa, la carne cotta sotto la tipica campana sono le specialità che per esempio all’agriturismo della famiglia Novaković e altri hanno fatto affluire nel corso degli anni migliaia di turisti. Oltre agli agriturismi nell’entroterra raguseo si stanno sempre più sviluppando altre attività come quella delle piste per biciclette, le moderne automobili da safari, l’equitazione come al Kojan Coral, gestito da un giovane che non trovando lavoro ha decso di Il pesce trattato come ai vecchi tempi: ottimo incentivo al turismo joffrire qualcosa d’altro al turista. Le passeggiate nei boschi in sella ad un cavallo sono state molto ben accettate dai turisti che soggiornando in una mondana Dubrovnik hanno voluto provare qualcosa di diverso. Quindi, come ha ribadito il segretario di stato per il turismo Ivo Mujo nativo del posto, Konavle è destinata in futuro a diventare una destinazione conosciuta per i suoi agriturismi “come l’Istria o forse anche meglio”. “Dobbiamo darci da fare per sviluppare e organizzare meglio la produzione di olio di oliva e allora saremo completi” ha concluso scherzosamente il segretario di stato nel corso del giro compiuto in questa splendida Valle. ● Le cantine vinicole di Gruda L a storia dice che la viticoltura nella zona della Valle dei Canali era la principale attività di ogni famiglia. Già nel 1424 la Repubblica ragusea aveva emanato un regolamento in merito ai prezzi dei vini da cui risultava che solo la Malvasia di Konavle, poteva essere venduta a prezzo libero. Ciò significa che questo tipo d’uva era molto pregiato e attualmente alle Cantine vinicole si sta facendo di tutto per riportare questo vino sui mercati mondiali. Costruite nel 1963, le cantine vinicole “Dubrovački podrumi” sono le più grandi nella Valle dei Canali. All’inizio potevano lavorare 250 vagoni di uva oggi si è arrivati ad una capacità di 750 vagoni. Alla fine degli anni Sessanta i vigneti si estendevano su 157 ettari di terreno per la maggior parte distrutti durante la guerra. Nel 2002 la cantina vinicola che si chiamava Gruda acquista i più moderni macchinari per la produzione di vino e l’imbottigliamento con una ca- Alla cantina vinicola “Dubrovački podrumi” ci sono i vini migliori pacità di 2000 bottiglie l’ora e riprende intesamente la sua attività. Oggi la Dubrovački podrumi dispone di 35 ettari di vigneti e di altri 70 ettari di vigneti privati che cooperano con le cantine. Vi si produce il Cabernet Sauvignon, il Merlot, il Ragusa bianco, il Ragusa rosso, il Plavac, il Kadarun, la Merlotina e il Trajectum. La produzione ammonta a oltre un milione di bottiglie all’anno che vengono in parte esportate e in parte piazzate sul mercato nazionale. Ambiziosi i programmi per il futuro con altre qualità di viti e un intensa produzione di vino rosso.● Panorama 33 Letture L o scorso giugno sono stati attribuiti i Premi della XLI edizione del concorso Istria Nobilissima, che hanno dato una nuova conferma dei potenziali creativi del gruppo nazionale italiano nei campi dell’arte e della cultura. Ritenendo che di tali potenziali debba fruire il maggior numero di lettori nelle pagine riservate alle letture, “Panorama” propone le opere a cui siano stati attribuiti premi o menzioni. Nella sezione “Prosa in lingua italiana” la giuria ha assegnato il primo premio a CARLA ROTTA di Dignano. Il titolo del racconto è ”Uscita di sicurezza”. Questa la motivazione: “Racconto che nasce dal bisogno di raccontare/raccontarsi e che predilige una scrittura parlata dove il rapporto tra l’io narrante e l’autore è trasparente. Colpisce la densità di motivi umani angosciosamente problematici”. «Uscita di sicurezza» Una motocicletta. Se la sarebbe comprata di sicuro. Era il sogno della sua vita; fin da ragazzo aveva sognato una dueruote cromata, potente, rombante. Aveva avuto un motorino con lo scappamento scoppiettante, anzi, come dire, friggente. Sembrava sempre che acqua e piastra incandescente della cucina economica si scontrassero provocando quel rumore di friggitura. Adesso si sarebbe concesso un boato ogniqualvolta avesse deciso di farci un giro. Averla adesso, la moto! Certamente non sarebbe stato prigioniero di quella fila di macchine ai piedi di un indisponente semaforo rosso bandiera. Si unì al concerto di clackson delle automobili che lo precedevano. Così, per automatismo. Probabilmente avevano iniziato a strombazzare appena il rosso si era trasformato in giallo, per evitare che il primo tardasse ad ingranare e muoversi trascinandosi dietro quel metallico biscione multicolore. Con una moto avrebbe potuto sorpassare tutti e arrivare fin sotto il semaforo più impegnato a fermare il traffico che a snellirlo. Onda verde un corno. Era una roccia rossa quella che gli ingegneri del traffico avevano ideato. Così ogni giorno, ogni santissimo giorno. Due volte al giorno. Mattino e sera. Come un antibiotico. Solo che il dosaggio, invece di avere effetto benefico, lo mandava in bestia. Chissà la sofferenza audio olfattiva di quelli con gli appartamenti sulla strada! Per questo lui e Angela se n’erano andati dalla città non appena avevano potuto farlo. In periferia. Una bella villetta con un giardino minuscolo ma prezioso con vista sulla città. Bella da vedere, difficile da vivere. La villetta aveva le finestre spente. Il giardino era un po’ trascurato. Le finestre le avrebbe accese lui, adesso; il giardino, beh, avrebbe provveduto qualcun altro. ‘Speriamo il più presto possibile’, pensò. Dalla tasca della giacca gli uscì una canzone dei Creedence nello stesso istante nel quale vi ci infilò la mano per cercare le chiavi di casa. Prese il cellulare che reclamava la precedenza. “Signor Attari?” “Sì, pronto, sono io, dica.” “Disturbo, forse...” “No, no, per niente, dica pure”, rispose, interessato e attento. “Non so come iniziare, ecco, io, vede, ho letto la sua, diciamo... inserzione. Non so se si può dire inserzione, annuncio, offerta...” 34 Panorama “Va bene, diciamo annuncio, comunque ho capito; dica pure.” “Ecco, mi interessa.” “Interessa in che senso, scusi? Vuole acquistare?” “Veramente, non so. Voglio dire, non so se ho capito. Mi incuriosisce, questo sì.” Giancarlo riprese a cercare le chiavi di casa. “Scusi, ma a me non interessano i curiosi: mi interessano gli acquirenti.” “Vorrà ammettere, però, che l’inserzione, l’annuncio è perlomeno strano.” “Scusi di nuovo, ma sono affari miei. Non cerco qualcuno per dialogare ma per concludere l’affare. E mi sembra che a lei, l’affare in sé, non interessi. Quindi, adesso, se non le dispiace, avrei da fare.” Il cellulare ritornò in fondo alla tasca della giacca; aveva messo in conto chiamate a vuoto: aveva risolto la prima. Giancarlo rovistò un po’ alla ricerca delle chiavi; palpò tutte le tasche oltre la stoffa. Niente. ‘Acc!’, imprecò, ‘le avrò lasciate nella scrivania. E adesso? Dormo in macchina?’ pensò ma non si preoccupò poi molto. ‘Ancora un po’, si disse, ancora un po’ e poi cambierà tutto tutto tutto’. Ritornò in macchina incerto se accomodarvicisi per la notte o tornare in città, allo studio per riprendersi le chiavi. O magari arrivare al primo motel hotel affittacamere che sia. Avrebbe potuto fermarsi dai suoi, sulla strada tra casa e studio, ma ormai, quella casa, complice la condizione del padre e lo spirito di sacrificio di sua madre, era diventata imbarazzante. Dal sedile della macchina le chiavi gli sbarluccicarono negli occhi uno sberleffo. Evviva, si dorme a casa. Buttò la giacca sulla poltrona in soggiorno, si allentò la cravatta, cercò il telecomando e riportò in vita il televisore. Non aspettò per vedere quanto offriva: tornò in corridoio alla ricerca delle pantofole. Le scarpe presero il loro posto. Aveva bisogno di una doccia; voleva far scorrere via tutta la stanchezza, lo sporco della città, lo smog, la polvere, il fumo dello studio... A dire il vero, al fumo ci contribuiva generosamente anche lui, solo che adesso gli dava fastidio tutto. Attraversò il corridoio cercando di slacciarsi i pantaloni: dalla scarpiera al bagno ebbe ragione della cinghia, dei bottoni, saltellò prima su una gamba poi sull’altra rischiando di cadere sfilandoseli e li lasciò a terra. Angela si sarebbe fatta sentire forte chiaro e lontano come le trombe Letture del giudizio universale. Fu il pensiero di un attimo. L’inutile pensiero di un attimo. Angela non c’era. Se ci fosse stata avrebbe avuto da ridire anche per la giacca (‘appendila, cosa ti costa!?’), le scarpe (‘sai che bel vedere quando si entra in casa. Abbiamo una scarpiera, per questo’). ‘Tieni, Angela, brontola anche per questo’, disse a mezza voce e fece volare la camicia sopra i pantaloni, appese la cravatta sulla maniglia della porta del bagno, canottiera e boxer si accucciarono ai piedi della vasca. Il getto di acqua fredda gli fece capire che ormai si era preso tutto il benessere che lo scaldabagno gli potesse regalare e un po’ gli dispiacque. Il rumore dell’acqua cancellava tutti gli altri rumori e impediva ai pensieri di farsi facilmente strada e così si lasciavano morire prima ancora di nascere. Era il cellulare, quel lamento ovattato che gli arrivava oltre la porta aperta del bagno, per metà sauna a causa di tutto quel vapore? Corse in soggiorno, scalzo, scivolò in corridoio e per poco non prese in pieno la porta del soggiorno, si tuffò sulla giacca, agguantò il cellulare. “Pronto?” Tu-tu-tu. Dall’altra parte, la solerte segreteria telefonica, probabilmente stava spiegando a chi tentava di mettersi in contatto con lui che “l’utente da lei selezionato...” Aspettò un attimo: forse avrebbero ritentato di mettersi in contatto con lui. Niente. Sussultò quando sentì di nuovo il cellulare. Si accorse che era la pubblicità in TV proprio mentre ansioso portava il telefonino all’orecchio. Cambiò direzione al gesto e lo posò sul tavolino. Lo sguardo gli scivolò sui piedi: Angela avrebbe avuto un infarto con tutta quell’acqua a segnare il parquet. E se mai fosse sopravvissuta a tanto, l’avrebbe falciata la visione di lui nudo come un pesce in mezzo al soggiorno a guardare il cellulare in attesa di una chiamata. Lui invece si mise a ridere come se avesse visto la gag più divertente del decennio. E ridendo ritornò in bagno, agguantò l’asciugamano, si strofinò con forza, si infilò accapatoio e pantofole, posò un piede su boxer e canottiera e con ampi movimenti asciugò il pavimento. Sì, Angela a questo punto, facendo onore al suo nome, sarebbe passata a miglior vita. No, sarebbe stato davvero troppo: a miglior vita sì, ma non onorando il suo nome. Di angelico, quella donna non aveva proprio niente. Prese dal frigo una birra, vuotò in una mano quanto restava nel sacchetto delle arachidi, sprofondò nel divano, allungò i piedi sul tavolino, accanto al cellulare. Prima o poi avrebbe suonato. Telefonare ore pasti, aveva specificato nell’annuncio. L’ora pasti era quella, presumeva. Lui stava mangiando. Oddio, birra e arachidi non si potevano proprio considerare pasto, ma tant’è, quello stava buttando nello stomaco. E mentre considerava la differenza tra pasto e birrarachidi, lo schermo della TV cominciò a tremare anticipando la suoneria del cellulare. “Pronto? Giancarlo...” “Dica.”, invitò l’interlocutore. “Senta, la chiamo per l’annuncio. Disturbo?” “No, per niente, dica.” “Ecco, vede, vorrei chiederle qualcosa sull’offerta. Non so se ho capito bene.” Un altro curioso? “C’è poco da capire e da spiegare. Sta tutto nell’annuncio, comunque, se crede, chieda pure.” “Non capisco che cosa ha messo in vendita.” “Quello che ho scritto - non aveva più dubbi: era un semplice curioso -. Scusi, è interessato all’offerta? Altrimenti la prego di lasciare libera la linea per altre telefonate.” “No, no, cioè sì sono interessato. Voglio dire, mi faccia capire prima...” “Che cosa non capisce?” “Non capisco quello che vende.” Se non capiva l’offerta, voleva dire che la merce non gli serviva. “Senta, credo proprio che lei sia solo incuriosito e non interessato: chi vende sa che cosa vende, chi compra sa che cosa vuole comprare.” Tolse la comunicazione mentre l’altro diceva qualcosa come “vorrà però convenire che...” Non conveniva con niente. Lui, la merce in vendita l’aveva messa: chi cercava questa stessa merce avrebbe saputo capire. Frantumava le arachidi nervosamente, facendole passare tra la morsa degli incisivi, come un roditore. Come un castoro che ha ragione della corteccia di un albero per costruire la sua brava diga. Con un sorso di birra lavò via di tra i denti pezzettini residui di arachidi, fece un rutto, controllò che niente fosse rimasto facendo scivolare la lingua tra denti e labbra e percepì solo il liscio dei denti. Ieri. L’annuncio-inserzione-offerta era stato pubblicato ieri. Finora aveva avuto due telefonate. Forse tre, con quella che gli era sfuggita; bene, due di sicuro: una di un curioso e la seconda anche. Ma sarebbero arrivate anche le chiamate giuste. Ne era certo. Il tempo di leggere l’annuncio e magari dormirci su. Cercare di capirlo per quello che era (un onesto invito all’affare) e non una presa in giro. Qualcuno sarebbe stato interessato di sicuro. Qualcuno come lui, al quale ormai tutto andava stretto al punto da sentirsi preso in un abbraccio stritolatore con addosso una gran voglia se non necessità di scappare per salvarsi. Prese in mano il giornale con le inserzioni: case, appartamenti, offerte lavoro, crediti, servizi, automobili, animali, varie. Lui era finito alle varie. “AAA. Vendo la mia vita. Abitazione, conoscenti, amici, ex moglie inclusi. Possibilità di impiego se del ramo. Prezzo a richiesta. Due settimane di assistenza. Telefonare ore pasti; serale”. E di seguito il numero di cellulare. Che fosse proprio il suo era sicuro. Del resto due telefonate, forse tre, le aveva avute. Perchè così poche? Ad essere sinceri, ma proprio sinceri sinceri, un’inserzione così l’avrebbe giudicata, anche lui, solo curiosa. O provocatoria. Avrebbe telefonato per curiosità? No. Ci avrebbe dormito su. Il giorno dopo, l’inconsueta offerta gli sarebbe tornata in testa ogni tanto. L’avrebbe fatto pensare. Poi, di sicuro, avebbe chiamato per interesse. Lui. Sentiva che, impigrito dalla doccia, rallentato dalla birra, avrebbe potuto addormentarsi subito ma non si lasciò tentare. Dormire adesso, perché? Per risvegliarsi un paio di ore dopo e non prendere più sonno? girarsi e rigirarsi nel letto con il nervoso che montava e alzarsi al mattino imbufalito e intrattabile? Cosa passava la TV? Avrebbe potuto prender tempo con... no, “Le stelle cantano” no (fatele lavorare, le stelle!), “Delitti irrisolti” nemmeno (commetterei io, un paio di delitti: risolti o irrisolti non me ne importa un fico secco), “Opinioni a confronto sul delitto di Cogne” non se ne discute nemmeno (non c’è confronto: Panorama 35 Letture sbattete dentro quella madre piagnucolosa: vedete che ha la scritta colpevole in fronte!?), “Pretty Woman” (signore Iddio, ancora: la puttana che diventa fidanzata e poi sicuramente moglie dolcissima! Ve la racconto io la storia di una moglie dolcissima diventata una woman molto pretty.) Di nuovo il cellulare. “Buona sera, signor Giancarlo - lo salutò una voce di donna -. Sono della Gazzetta e le telefono in merito all’inserzione. Il mio capo vorrebbe un’intervista, possibilmente...” Lui, possibilmente, avrebbe voluto un acquirente. “No, mi dispiace: non sono un politico, non sono un criminale, non faccio reality. Sui giornali oramai ci vanno solo loro. Sono un uomo qualunque che si fa i cavoli suoi e che vuole un po’ di rispetto della privacy. Saluti il suo capo. Buonanotte.” “No, no, aspetti! Non riattacchi! - gridò, poi, conciliante - La prego. Mi lasci spiegare.” Ma sì, si spiegasse pure: non aveva niente da perdere. Tanto, di passare la serata con Julia Coscialunga e Richard Gambacorta (gli mettevano i tacchi per girare con la Roberts, ecco perché ci faceva una figura così brillante) non ne aveva voglia. Così, si preparò a passare la serata con l’illustre sconosciuta all’altro capo del filo. “Dica pure.” “Vede, abbiamo letto la sua inserzione e ci ha colpito.” Disse proprio così, colpito; non incuriosito. Colpito. E qui, l’illustre sconosciuta segnò un importante punto a suo favore. “Colpito? Perché?” “Vorrà convenire che vendere la vita non è esattamente come vendere un’automobile. È la prima inserzione del genere che ci capita di leggere.” “Vuole dire che non ha mai letto inserzioni strane?”, provocò Giancarlo. “No, non ho detto questo: gente strana che mette inserzioni strane ce n’è un mare; la sua offerta non è strana nè una presa in giro; anzi, io la ritengo molto seria ed ho proposto al redattore di approfondire. Lui mi ha detto di ricavarne un’intervista.” Cominciava ad infastidirlo: ancora due frasi e sarebbe stato lampante che era solo materiale giornalistico, invece, captò nel discorso della giornalista una parola che lo fece ricredere: disagio. Disse proprio così, “disagio”. “...disagio interiore e mi farebbe piacere...” “Cosa ha detto, scusi?“ “Dicevo che dall’inserzione traspare un certo disagio interiore, certamente comune a molte persone, una voglia di fuga, anche questa molto comune, ma nessuno finora l’ha messa in questi termini. Per questo vorrei parlare con lei, darle spazio sulle pagine del quotidiano. Così anche lei avrà modo di spiegare a chi forse potrebbe essere nella sua stessa situazione.” “Che ne sa lei della mia situazione?” “Niente, non ne so niente: scusi se ho sbagliato ma non credo che uno metta la vita in vendita così, per scherzo o per fare quattro chiacchiere con chi chiama. E scusi se sono maleducata, ma devo insistere. Del resto, cerchi di capire: non si può mettere un’inserzione così e pretendere di avere l’unica e sola telefonata che interessa. Fosse una macchina, una Toyota, le telefonerebbero quelli interessa- 36 Panorama ti ad acquistare una Toyota. Quindi chi cerca un’automobile e chi, tra le tante, vuole proprio una Toyota. Lei vende la sua vita. Non può mettere come per la macchina, che ne so... usata, rossa-bianca-nera, servosterzo, tot chilometri. Eppoi, scusi, quando vende l’automobile, chi compra le dà i soldi, lei consegna automobile e libretto di circolazione. Come imballa la vita? Che vita è?” ‘Una vita di merda’, pensò Giancarlo. Ma non lo disse. “E chi compra, cosa si porta a casa?”, chiese la tizia. Il silenzio non durò a lungo ma fu imbarazzante. “Per favore. Magari ci pensi e la richiamo domani. Non mi dica di no. Ci pensi su. Non ha niente da perdere e molto da guadagnare. Magari qualcuno non ha visto l’inserzione, o non l’ha capita: le facciamo pubblicità gratuita. Pubblicità che vende il prodotto, se posso permettermi. Allora, ci pensa?” “Va bene, ci penso. Mi chiami domani.” “Però non rilasci interviste ad altri, adesso: il capo mi fa lo scalpo se qualcun altro pubblica qualcosa prima di noi.” “Va bene, va bene: mi richiami domani nella pausa pranzo e vedremo che fare.” “Grazie, grazie. Ma mi tolga una curiosità: perché vende la sua vita e perché crede che qualcuno voglia acquistarla? Per farne che cosa?” “Domani, ci sentiamo domani”. E riattaccò. ‘Perché vendo la mia vita? La vendo perché a me non serve. Non questa e non così com’è. La vendo perché non vale niente, ma voglio un rientro di quello che ci ho investito. E con questi soldi mi compro una vita nuova, come voglio io. Con i presupposti che voglio io. Ho avuto gli amici che ho avuto perché sono vissuto qui, ma non per scelta mia; ho avuto tutto quello che ho avuto perché sono nato, vissuto, ecc... qui. Ma se fossi nato altrove, la mia vita sarebbe stata diversa. Ecco, voglio una vita altrove’. Richard Gere stava abbordando Julia Roberts: non proprio abbordando, voleva solo un’indicazione ma da lì sarebbe cambiata la sua vita. Senza essere Richard Gere, ma forse era addirittura un po’ meglio, stava per cambiare anche la sua, di vita. Spense la TV sul sorriso da coccodrillo della Roberts (‘ma quanti denti ha ‘sta donna?’) e si diresse verso la camera da letto. Domani avrebbe dovuto dire qualcosa alla tizia del giornale. Sì? No? Certo era stata brava a fargli annusare odor di pubblicità. Non voleva diventare personaggio, ma davvero, metti che a qualcuno con addosso la voglia, la necessità di cambiare vita, leggendo l’intervista venisse voglia di comprare la sua? OK, ne conveniva: messa così, l’offerta sembrava strana davvero. Forse nemmeno lui avrebbe creduto nella buona fede dell’inserzionista. Ed infatti, allo sportello, la signora aveva abbassato gli occhiali sul naso e gli aveva regalato uno sguardo obliquo, ma talmente obliquo che se fosse stato ghiaccio sarebbe caduto. “Cosa ha scritto, scusi?”, gli aveva chiesto indicando il testo con l’indice. “Vendo la mia vita”, le aveva risposto, serio. “Vendo la mia vita. Così deve stare?” “Così deve stare.” “Sicuro?” “Sicuro.” Letture “Attenda”. Ed era sparita dietro una porta a vetro a consultare un collega. Oltre la trasparenza, questi l’aveva squadrato, aveva fatto spallucce e ficcato il naso tra le carte. Tradotto, alla collega: ‘Mah, fai quello che vuoi: se paga, scriva quello che vuole. Offendere, non offende nessuno’ e la signora era ritornata allo sportello chiedendo, come se davvero stesse vendendo una macchina usata: “Quando la vuole, sul giornale”? “Giovedì, e magari la ripeta martedì, e ancora giovedì.” Uscì dall’ufficio inserzioni accompagnato dallo sguardo tagliente e indagatore della stupita signora. La prima persona della lunga catena di stupiti esseri che avrebbe incontrato o sentito. Felici e soddisfatti della vita che facevano, decisamente, se la sua voglia di cambiare li aveva scandalizzati tanto. Disagio interiore, aveva detto la giornalista. Come si chiamava? Forse non si era nemmeno presentata, aveva mandato avanti la testata. Disagio interiore. No. Noia. Rabbia. Delusione. La sensazione di stare in un vicolo cieco. Questo sì, ma non disagio. Disagio sarebbe stato continuare a vivere così, ma adesso che aveva deciso di cambiare l’aveva fatto per rabbia e delusione e perché era fermamente convinto di meritarsi un’altra vita. Migliore, possibilmente. Chissà, forse sarebbe stata peggiore ed avrebbe rimpianto questa. No. Difficilmente avrebbe rimpianto questa, e allora migliore o peggiore poco importava, bastava che iniziasse una vita diversa. Sua, solo ed esclusivamente sua, senza riferimenti, nostalgie e segnali in agguato. Aveva deciso di prendersi da solo una nuova possibilità: sarebbe nato un’altra volta, in un’altra città, libero dall’irriducibile solitudine e impotenza che si erano impadronite di lui. Quando? Come? Perché? Aveva avuto tutto per poter essere felice. Genitori normali. Che erano normali l’aveva capito quando ormai era adulto abbastanza da poter avere figli suoi: adolescente, li aveva creduti i più severi, i più conservatori del mondo. Eppure, lo avevano assecondato nei suoi desideri, specie se collimavano con i loro. Tipo praticare lo sport. O fare l’università. Magari, se avesse deciso di guidare il camion della spazzatura, avrebbero contrastato questa scelta un po’ puzzolente. Ma, una mano sul cuore, tutti i genitori lo avrebbero fatto. Erano diventati vecchi. Era nell’ordine naturale delle cose, ma due genitori vecchi lui non li aveva messi in preventivo. Fossero stati in gamba, senza necessità e senza pretese, sì, ma così... Con la scusa che Marco, suo fratello, aveva una famiglia e figli da seguire (balletto e corso di francese la bambina, karate e calcio il figlio), ma anche per il fatto che era stato capace di segnare il suo territorio con invisibili ma invalicabili confini, ogni qual volta c’ era qualcosa da sbrigare toccava a lui, Giancarlo. Le impegnative dal medico, le medicine da ritirare in farmacia, la casa da imbiancare, piccole riparazioni, piccoli servizi. Ed era sempre la solita storia: ‘non chiami mai... ti dimentichi di avere i genitori... guarda che non vivremo in eterno... hai mangiato?... guarda se un divorzio doveva toccare proprio a te... come fai con la biancheria? ... posso farti io una lavatrice?’ Sua madre. Perché suo padre, ormai, si era rifugiato in un mondo tutto suo. Lentamente ma inesorabilmente. Anche se lui si era quasi convinto che suo padre, alle distrazioni cliniche ogni tanto ci aggiungesse una porzione di finzione bella e buona. “Chi sei?”, gli aveva chiesto una volta, ad un pranzo domenicale, Marco e famiglia al completo, i genitori e lui allo stesso tavolo. Era appena l’inizio, e lui aveva creduto al gioco di un vecchio che si voleva concedere un pizzico di svago. “Come, chi sono? Tuo figlio sono.” “Non ho figli io. Sei il figlio di mio fratello.” I bambini ridevano, Marco si divertiva, la cognata aveva fissato i presenti con uno sguardo rassegnato (non le era mai piaciuta la famiglia, ma allora chi diavolo l’aveva fatta sposare Marco? Ah sì, la pancia che già s’arrotondava sotto gli abiti). Nello sguardo di sua madre si era acceso un lampo, a lui si era gelato il sangue. “Sì, sì, sono il figlio di tuo fratello.” “E come sta tuo padre?” “Bene. Sta bene.” Giancarlo si era sentito un animale, ma la cosa era finita là. Sua madre gli aveva detto che il padre aveva preso a parlare da solo (‘dai, mamma, lo faccio anch’io!’), dimenticava le cose (‘figurati, a volte compongo il numero e non ricordo più chi sto chiamando!’), confondeva le persone (‘a te non capita mai?’), ma era convinto che stesse esagerando. All’inizio le discussioni si facevano accese ad ogni inciampo (‘come ti sei vestito? qua stanno le chiavi?’), adesso, alla prima domanda stupida, lo lasciavano in pace tutti, perchè alle loro rimostranze suo padre si faceva particolarmente testardo. Che fosse convinto di avere ragione? O piuttosto per non ammettere che nella sua testa qualcosa si stava rompendo? “Chi sei?”, aveva chiesto una volta suo padre fissando, truce, la nipotina. Lei, spaventata, era corsa dalla nonna. “Non fare lo scemo, è tua nipote! Ecco chi è, tua nipote! Sei contento adesso che l’hai spaventata? Fai il pagliaccio, tu! Fai il protagonista!” aveva urlato Marco. “Io non ho nipoti”, aveva risposto suo padre, serio e composto. La bambina era scoppiata in un pianto disperato. Marco, stizzito, aveva ribattuto “È la nipote dei Martini”, ignari vicini di casa giovanissimi, con figli alle materne. “E perché la nipote dei Martini pranza da noi?” aveva chiuso, candido, suo padre. Era scoppiata una lite furibonda. Si erano messi a gridare tutti. Meno Giancarlo. Di colpo si era sentito un estraneo. Sua madre aveva il volto stanco, sciupato. Non era solo effetto del tempo che passava. Era la condizione di suo padre che le rubava la tranquillità, che le metteva addosso ansia, tristezza per quell’uomo che era stato la sua forza e adesso diventava la sua debolezza. Quei due vecchi gli avevano regalato un’infanzia normale, un’adolescenza ed una giovinezza lineari; adesso si stavano sgretolando sotto i suoi occhi e lui, di farsi carico di questo peso aveva paura. La sentiva nelle vene, qualcosa che gli faceva tremare i polsi. Lui, la rassegnata e sacrificale pazienza di sua madre non l’avrebbe mai avuta e di diventare ostaggio di un’emozione non se la sentiva. Nessuno gli aveva chiesto niente a chiare lettere, ma il ricatto era lì, dietro l’angolo, pronto a saltare fuori come un delinquente con una pistola in mano: il delinquente per prendersi il portafoglio, l’emotività per prendergli il tempo, la vita. (1 - continua) Panorama 37 Teatro Grandi nomi e grosso successo per la XVI edizione del Festival Internazionale Letture senza inibizioni e limitazi di Bruno Bontempo L e idee espresse senza tabù e ambiguità morali e la convinzione di dover intervenire in modo “eticamente responsabile”: questo, in estrema sintesi, il filo conduttore del XVI Festival Internazionale delle Piccole Scene di Fiume, creato e guidato con perizia ed entusiasmo da Nenad Šegvić, che si avvale di un prezioso e insostituibile sostegno finanziario della municipalità. Autentico marchio di qualità dell’offerta culturale del capoluogo quarnerino, la rassegna (assurta ormai a uno degli appuntamenti più attesi e quotati sulle scene della regione ex jugoslava), gode di un’alta considerazione anche all’estero. Il Festival dedica ogni anno particolare attenzione alla drammaturgia contemporanea e consente al (fedelissimo) pubblico un contatto privilegiato con la realtà teatrale dei nostri tempi ed alla sua ricchezza di risorse e proposte artistiche, che si esplica con la presenza di alcune compagnie di altissimo livello, intese come sperimentazione di nuovi autori, interpreti e registi. Anche l’edizione di quest’anno, testé conclusa, è stata un autentico gioiello, caratterizzata dalle spiccate peculiarità di tre nomi: la raffi- “Hamlet”: regia di Oskaras Korsunovas dell’OKT Vilnius City Theatre natezza e il sarcasmo dell’ungherese Béla Pintér (anche autore ed attore), l’estro e la capacità di stimolare un’analisi introspettiva del lituano Oskaras Korsunovas, la provocazione abbinata a una valida proposta di lettura, interpretazione e attualizzazione dello spalatino Oliver Frljić. Gli esperti hanno concentrato le loro preferenze sul giovane regista croato, autentico pigliatutto della manifestazione, premiando parimerito come migliori spettacoli in as- “Turbofolk”, regia di Oliver Frljić, produzione del Teatro Zajc di Fiume 38 Panorama soluto e migliori regie tutte e due le sue produzioni in lizza, una rilettura de “Le Baccanti” di Euripide, realizzata con il Dramma dell’Estate spalatina, e “Turbofolk”, progetto d’autore che Frljić ha messo in scena con il Dramma Croato dello Zajc di Fiume. I validissimi Oskaras Korsunovas (miglior drammaturgia, luci e attore protagonista - Dainius Gavenonis - nonché premio del pubblico con 4,65) e Béla Pintér (scene, costumi, musica) si sono divisi gli altri riconoscimenti, poi - forse nel tentativo di riparare a qualche torto al regista-attore-autore ungherese è stato assegnato un premio speciale ad hoc. La sua “Dievoushka” è stata forse la performance più interessante, convincente, originale, realizzata con raffinata eleganza, cristallina dal punto di vista estetico, piacevole e verosimile. Tecnicamente perfetto, il lavoro - un mix di grottesco, sottile ironia e poesia - svela dolorose e poco note pagine della storia magiara, il collaborazionismo e le crudeli complicità con i nazisti. Altro tema, altro quadro scenico, diverso approccio invece quello del lituano Oskaras Korsunovas: “il teatro inizia nel camerino e finisce nel camerino e alla parabola di Caino e Abele non c’è via d’usci- Teatro delle Piccole Scene di Fiume oni di sorta ta“ è il sunto del suo pensiero. Secondo Korsunovas il teatro nasce e muore all’interno del camerino, dentro il quale lo specchio ha un ruolo centrale: “Proprio nel momento in cui un attore si trucca di fronte allo specchio avviene un passaggio cruciale ed essenziale: è il momento in cui vede se stesso e l’altro in se stesso. Lo spettacolo comincia con la domanda chi sei tu? pronunciata davanti allo specchio. Questo approccio intimo con noi stessi è come se ci avesse fatto restare nel camerino davanti allo specchio durante il trucco: abbiamo portato il camerino sul palco - spiega il regista, che propone un inevitabile confronto con se stessi -. ‘Amleto’ è il dramma della coscienza, la tragedia della coscienza. Metterlo in scena vuol dire confrontarsi con la propria coscienza. Quest’opera pone le domande esistenziali: chi sono io come essere umano? E chi sono io come attore?“ Lo spalatino Oliver Frljić, coraggioso e trasgressivo, ha usato invece il palcoscenico per affrontare e dissacrare alcuni tra i fenomeni contingenti della società croata, dagli sfondi oscuri, delicati, complessi, talora problematici e di dimensioni preoccupanti. Si è parlato molto del fenomeno “Turbofolk” come di un caso endemico dei Balcani che va ben oltre l’omonimo genere musicale, definito e guardato anche come sottocultura di massa, simbolo di un’involuzione identitaria della società basata sul populismo e sulle riscoperte di un passato mitologico revisionato, autoreferenziale, con malcelate connotazioni politiche e così via. Aveva fatto scandalo la scorsa estate a Spalato la sua contestata rilettura della tragedia di Euripide “Le Baccanti” (Bakhe), prima censurate per un “eccesso di zelo” del sovrintendente, poi riabilitate con uno slancio di generosa accondiscendenza dal premier Sanader in persona, “in difesa dell’orientamento democratico e della piena libertà di espressione”. Sanader ha mandato giù (o inghiottito amaro?) anche l’uso che Frljić “Dievoushka”: autore, regista e attore Béla Pintér (Budapest) ha fatto di alcuni stralci del discorso pronunciato a Spalato nel 2001 dall’attuale primo ministro, (all’epoca leader dell’opposizione che contestava la consegna dei generali croati al Tribunale dell’Aja) e delle notizie sul caso Lora estrapolate dalla radio, con poliziotti croati accusati di crimini di guerra per tortura e sequestro di persona nel campo militare presso Spalato, assolti in prima istanza dal tribunale dopo un processo che mise a nudo la difficoltà di giudicare tali crimini a livello nazionale. Non sono pienamente condivisibili tutte le scelte della giuria del Festival presieduta dalla nota attrice belgradese di adozione ma nativa di Novi Vinodolski, Branka Petrić (ne ha fatto parte anche il nostro connazionale Elvio Baccarini, preside della Facoltà di Filosofia di Fiume). Il gruppo di esperti ha concentrato eccessivamente le sue attenzioni su Oliver Frljić, lasciando i premi di “consolazione” a Pintér e Korsunovas. Pienamente meritata gratifica, invece, per la giovane belgradese Nada Šargin (“Le nevrosi sessuali dei nostri genitori” dell’autore tedesco Lukas Barfuss, non ancora quarantenne, allestito dal Narodno pozorište di Belgrado), che ha condiviso il titolo di miglior attrice con la spalatina Zoja Odak (impegnata nelle “Ba- khe”). L’ottima ed equilibrata prestazione della Šargin ha confermato la tradizionale validità della scuola belgradese di recitazione. Il suo personaggio è inserito in una lettura scenica di grande sensibilità che esplora le viscere di un nucleo familiare, dove si cerca di tenere sotto controllo istinti, passioni e solitudini della giovane Dora, vissuta per anni in uno stato di semi-incoscienza, sotto l’influsso dei tranquillanti somministrati dal medico e dai genitori, per proteggere lei e chi la circondava dalla sua diversità psichica, espressa soprattutto in sfoghi emotivi violenti e incontrollabili, e consentirle una vita “normale”. Ha destato grande curiosità anche “Il consenziente e il dissenziente” (Der Jasager und der Neinsager), due drammi didattici di Bertolt Brecht uniti in uno, presentati dal teatro berlinese Volksbühne, nato nel 1914. Due piccoli capolavori di semplicità e rigore che l’autore trasse da parabole che raccontano storie quotidiane, su temi di grande spessore come la malattia, la giustizia sociale, il pregiudizio, la violenza, presentati a Fiume da Frank Castorf, dal 1989 nominato cinque volte regista dell’anno in Germania, dal 1992 direttore della compagnia, considerata una delle realtà teatrali tedesche più interessanti. ● Panorama 39 ☺ Il canto del disincanto di Silvio Forza Cosette dall’Istria e da Fiume H anno fatto bene, i vecchi antifascisti polesi, a condannare il gesto idiota di due giovani del Partito croato dei Diritti che avevano gettato nell’immondizia la corona di fiori posta alla memoria dei caduti. Si trattava di una corona posta dal sindaco di Pola, Boris Miletić, e da una delegazione dei Combattenti antifascisti, decorata con tanto di stella rossa. Hanno fatto bene perché quel gesto, oltre che offendere la memoria di persone morte per una causa che stava dall’altra parte rispetto al “male assoluto”, è spia di una nuova ondata di intolleranza che sta investendo la società. Strappare corone, rompere lapidi, demolire busti, imbrattare o scalfire monumenti eretti nel segno di vecchie scelte inequivocabilmente legittime, sono gesti scellerati per il quale la qualifica di legge “disturbo alla quiete pubblica” è di certo troppo lieve ed inadeguata; qui siamo di fronte ad un malore ben più grave, siamo davanti a persone dalle idee confuse che tentano di riproporre estremismi ed autoritarismi come modelli di virtù politica, che tentano di spacciare per riscatto ciò che invece è nauseabondo riflusso. Con la politica ufficiale che, non solo in Croazia, continua a tollerare camice nere, svastiche e altri “accessori” del genere, con tutto il seguito di urlato fanatismo e violenza che solitamente li accompagna. Tuttavia, una cosa è prendersela con il diavolo, un’altra è spacciarsi per Dio. Infatti, se gli antifascisti hanno avuto ragione nello stigmatizzare gli esaltati, non resistendo alla tentazione di sbandierare la propria infallibilità storica, hanno aggiunto anche che senza la stella rossa e senza il comunismo oggi non vivremmo in libertà. Se prendiamo queste parole alla lettera, ciò vorrebbe dire che i fortissimi movimenti antifascisti grazie ai quali è stata liberata tutta l’Europa occidentale, dunque l’antifascismo americano, britannico, canadese, neozelandese, francese e persino quello della Resistenza italiana, sarebbe- 58 Panorama ro trascorsi sotto l’insegna della stella rossa. Tutti comunisti, insomma! Ovvia che questa è una scemenza: e se proprio si vuole essere pignoli si deve osservare che laddove la libertà è stata portata unicamente dalla stella (Armata) rossa, sono nati quei regimi illiberali dei paesi dell’Europa orientali, presso popoli che non vedevano l’ora di disfarsi di quel tipo di libertà. Caduta del muro di Berlino docet. Certo, rimane il fatto che l’antifascismo nella vecchia Jugoslavia era effettivamente ridotto ai soli comunisti: ma altri, ancor più pignoli, potrebbero anche chiedersi come mai sia stato proprio così, specie andando a scavare le ragioni per le quali in Istria l’antifascismo è stato monopolizzato dai comunisti, che non erano solo comunisti ma anche jugoslavi. Ma questo è un altro discorso. Quel che preme ricordare è la sostanziale differenza tra antifascismo e comunismo poiché in troppi la giudicano inconsistente. Per questa ragione piace apprendere che nella piccola isola di Arbe (Rab), l’associazione degli antifascisti - che raccoglie persone di vari orientamenti politici (tra quelli previsti dagli ambiti costituzionali), di diversa appartenenza nazionale, di tutte le età - può contare, tra i suoi soci, sul 90% di fedeli praticanti. Che comunisti certamente non sono. Nel momento in cui state leggendo queste righe, le elezioni per il rinnovo delle amministrazioni locali in Croazia sono già alle nostre spalle. Scrivendo prima, e non essendo indovini, nulla sappiamo dei risultati. Tantissimi gli italiani nelle liste: chissà se - vale per la maggioranza di quelli che saranno eletti - si ripresenteranno anche in questo mandato con il consueto abito di pianta da soggiorno? Ad ogni modo, qui non parleremo del nuovo fenomeno della lista civica “Ladogna” né delle strategie per parare i colpi della Dieta Democratica Istriana, ovvero i due schieramenti che probabilmente si saranno contesi la vittoria. Preferiamo ricordare solo alcuni episodi venuti a galla in questa campagna elettorale. Il primo è l’accusa che si è beccata la città di Fiume dal premier croato Sanader il quale, durante un comizio elettorale dell’HDZ, ha detto nientemeno che il capoluogo quarnerino sarebbe troppo poco croato e troppo poco religioso. Immaginiamo la disperazione dei Fiumani che si saranno certamente consolati e inchinati di fronte al senso civico di Aljoša Babić dei Verdi che in campagna si è detto favorevole dell’attuazione del bilinguismo a Fiume. Osiamo pronosticare che non ha vinto... Un altro episodio, uno da (ex) capitani coraggiosi, ha visto protagonista l’ex sindaco dietino di Buie, Lorella Limoncin Toth, che, delusa dalla DDI, ha fondato a Buie “Bulea”, una propria lista, contando sul fatto che con la nuova legge elettorale il popolo avrebbe preferito le persone ai partiti. Ci è piaciuta infine l’onestà morale di Bruno Langer del Foro Democratico Istriano il quale ha proposto la posa di una lapide sul Molo carbone di Pola, da dove salpava il piroscafo “Toscana”, per ricordare la tragedia dell’esodo. Speriamo che qualcuno, tra gli eletti, si ricordi di proporre anche la posa di una stele o di un altro monumento nei vari cimiteri istriani, a spese municipali, alla memoria (bilingue) di tutti coloro che sono morti lontano dalla loro terra perché costretti all’esilio, sia nel 1947, sia nel 1918. Da parte nostra, rendiamo omaggio a Gianni Alberto Vitrotti, morto recentemente a Trieste, il cineoperatore che filmò la tragedia delle foibe e dell’esodo. E lo facciamo anche per Fulvio Tomizza, il grande scrittore istriano di cui a giorni (il 21 maggio) ricorre il decimo anniversario della prematura scomparsa. Di Tomizza, accanto al particolare talento letterario, ci rimane l’onestà che metteva nel guardare, analizzare e descrivere le “cose istriane”, ci rimane quella sua contrarietà a ciò che definiva come un “ottuso imporre o il volontario prediligere una sola componente di quella molteplicità gravosa e fertile che ci distingueva e che ci avrebbe maggiormente accomunati”. ● Categoria Ritratti, terzo premio: Sung NamHun, Corea del Sud, Photonet. Foto sotto: Arte e divertimento, primo premio per Giulio Di Sturco, Italia, Agenzia Grazia Neri Quest’anno il più giovane fisarmonicista aveva appena 6 anni, si tratta di Benjamin Banac di Poljane (sopra Icici) “Foto dell’anno” per il 2008: Anthony Suau, USA, Time World Press Photo 2008 vince lo spaesamento O gni anno, dal 1955, una giuria indipendente, formata da esperti internazionali, è chiamata ad esprimersi su migliaia di domande di partecipazione provenienti da tutto il mondo ed inviate alla World Press Photo Foundation di Amsterdam. La produzione fotografica mondiale dell’anno precedente viene accuratamente considerata ed analizzata e le foto scelte e premiate diventano materiale di una mostra (che ha già fatto tappa a Spalato e che attualmente è in visione a Roma) nonché della pubblicazione che l’accompagna. Di circa 100 mila fotografie presentate quest’anno, inviate da oltre 5 mila giornalisti di 124 Paesi diversi, sono stati premiati i lavori di 62 fotografi, tra cui sei italiani, con una partecipazione record di fotografi ed agenzie provenienti dal continente asiatico. La giuria internazionale ha scelto come Foto dell’Anno 2008 l’imma- gine in bianco e nero del fotografo americano Antony Suau, che mostra uno sceriffo armato mentre entra in un alloggio sotto sfratto esecutivo a Cleveland, nell’Ohio, per assicurarsi che gli inquilini sfrattati abbiano effettivamente lasciato l’immobile (reportage commissionato dal Time Magazine). La forza dell’immagine sta tutta nello spaesamento che produce: sembra la classica foto di guerra, in cui un militare entra in una casa bombardata o occupata da miliziani in un Paese che potrebbe essere l’Afghanistan o l’Irak. Il conflitto sembra invece essersi spostato dentro i confini dell’Occidente per cui la guerra nel suo significato più classico arriva nelle case di gente che non è in grado di pagare i propri debiti. La foto parla della crisi mondiale e dei risvolti che ha avuto nel cuore del capitalismo globale, gli Stati Uniti. Sport azione, terzo premio: Franck Robichon, Francia, European Pressphoto Agency. A destra: Informazione, primo premio: Chen Qinggang, Cina, Hangzhou Daily Panorama Impos - Prima - Ultima.indd 4-5 A 87 anni con la fisarmonica in mano: Franz Kaluža di Abbazia è il più anziano partecipante A Rozzo il 21.esimo incontro delle fisarmoniche Al suono delle «triestine» M ai tanto pubblico a Rozzo alla ventunesima edizione degli incontri delle fisarmoniche “triestine”. Complice il bel tempo la piccola cittadina è stato per un giorno il centro dell’Istria in cui si è sentita la melodia di questo strumento amato dai più vecchi ma anche dai giovani. E quest’anno sono stati tantissimi i giovani, anzi giovanissimi, che hanno voluto dimostrare che questa tradizione è destinata a mantenersi nel tempo. (testo e foto di Ardea Velikonja) Anche le donne sanno il fatto loro: Milica Tuševljak di Laurana ha suonato e cantato Primo premio Natura: Carlos F. Gutiérrez, Cile, Patagonia Press per La Tercera Natura, terzo premio per Heidi&HansJürgen Koch, Germania, Stern Emilio Zonta, uno degli appassionati della triestina I ragazzi italiani ogni anno mietono successi nel mondo Panorama 59 14.5.2009 14:28:34