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Anno LVI - N. 9 - 15 maggio 2009 - Rivista quindicinale - kn 14,00 - EUR 1,89 - Spedizione in abbonamento postale a tariffa intera - Tassa pagata ISSN-0475-6401
Panorama
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Quanto ci costerà
la pace sociale?
60 Panorama
14.5.2009 14:28:32
In primo piano
L’espatrio di Branimir Glavaš dopo la condanna a dieci anni di prigione
La riscoperta della nazione madre
di Mario Simonovich
E
ra, essenzialmente, un problema della Croazia. Ora, al pari
dei non pochi precedenti, è diventato anche un problema della Bosnia. problema si chiama Branimir
Glavaš, nato ad Osijek nel 1956, da
genitori arrivati qui dalla natia Bosnia
nei sicuramente nei primi anni del dopoguerra. Chissà quali saranno stati i
suoi ricordi della terra degli avi fino
all’ottobre dell’anno scorso quando
ha voluto mettere in atto la sua qualifica di “riemerso”. Un riemerso che,
come tutto lascia intendere, non si è
riaccostato alla nazione madre per
un’intensificazione dei dolci moti del
cuor, né per tornare ad assaporarne
le peculiarità culturali ma, molto più
concretamente, per sfuggire alle pesanti sanzioni penali che - secondo le
sue valutazion, poi mostratesi esatte si sarebbero potute abbattere sulle sue
spalle costellate di stellette generalizie.
Se di una cosa gli va dato atto, è
di essersi opposto con luciferina metodicità al cerchio che, in obbedienza a richieste generiche, ma non per
questo meno perentorie provenienti
dell’Europa, Sanader gli stava progressivamente stringendo intorno, dimentico che si trattava di un ex compagno di partito. Anzi, più che compagno, si direbbe quasi una sorta di
socio in affari, come ha ammesso lui
stesso autoaccusandosi di aver falsato esplicitamente le votazioni interne
del partito pur di mettere fuori gioco
quell’Ivić Pašalić che si prospettava come il più coriaceo e pericoloso
avversario nel suo consolidamento ai
vertici del partito.
Prima di ricorrere alla patria di riserva, Glavaš si era adoperato con
forza a consolidare la propria posizione “in casa”, tanto da essere chiamato “lo sceriffo di Osijek”. Tutti i
metodi erano buoni, dalle incursioni,
mitraglietta alla mano, nei quotidiani “disobbedienti” e relativa cacciata su due piedi dei capiredattori, alle
intimidazioni, alle minacce e ad altri sistemi più o meno occulti. Per gli
“amici”, s’intende. Con i “nemici”,
come ad esempio lo sventurato Đorđe
Vučković, reo soltanto di essere serbo, si passava a metodi più convincenti ed efficaci, come l’ingestione di
acido solforico o, se proprio non volevano capire, le pallottole dei mitra.
La cerchia dei sostenitori si è andata allargando sempre più. Fra le persone di sua fiducia figurano lo zupano, il
direttore e alcuni medici dell’ospedale (dove fu ricoverato mentre veniva
processato) e il rettore dell’Università
di Osijek, il direttore della Hypo Banka, comproprietari e giornalisti della
TV locale, l’ex presidente del Tribunale militare, i deputati del neopartito
“regionale” da lui creato. Non mancavano i due più noti cantanti dell’area,
Kićo Slabinac e Miroslav Škoro. E
infine due nomi che meritano un cenno particolare: l’ex ministro degli
Esteri, Ivan Vekić, e soprattutto - fatto che desterebbe indubbio scalpore
nel mondo civile, ma che in Croazia
appare molto più normale - il vescovo Marin Srakić che detiene anche la
non trascurabile carica di presidente
della Conferenza episcopale croata.
Tutt’altro che superficiale il rapporto
che li unisce: non solo il presule ha
detto in pubblico che sono amici da
diversi anni, ma si è esposto fino al
punto di andare a trovarlo in carcere. Talvolta sono “amicizie” imposte.
Ai suoi intimi, un “amico” imprenditore, ha detto d’essere costretto regolarmente a versare l’obolo: quando ha
accennato una resistenza, gli hanno
fatto saltare in aria un impianto.
Ma tutto questo è passato. Nei
giorni scorsi il pluridecorato generale di complemento non ha potuto godersi le bellezze naturali né studiare
più a fondo la cultura della nazione
madre in quando occupato a rispondere alle capziose domande di inquirenti interessati a verificare la sua posizione sotto l’aspetto cittadinanza. Il
risultato peraltro sembra scontato: di
certo in futuro avrà parecchio tempo per studiare le suddette peculiarità che all’improvviso lo hanno tanto
intensamente attratto verso la nazione madre. ●
Costume
e scostume
Libri gratis:
uno sperpero?
Prima i genitori li compravano, poi gli scolari li ottenevano gratis, però con l’obbligo
della restituzione a conclusione
dell’anno scolastico. Ora il ministro dichiara che, oltre a venir
forniti a titolo gratuito per l’anno a venire, i manuali scolastici usati finora resteranno a disposizione degli allievi. Le reazioni contrarie, a parte quelle,
scontate, dell’opposizione, dovrebbero essere oggetto di una
qualche riflessione. I contrari si
richiamano essenzialmente alle
spese, a dire il vero consistenti:
circa 440 mila kune, che verranno fornite dal bilancio.
Pochi o nessun dubbio anche sul fatto che si tratti di un
provvedimento “elettorale”, che
si muove in parallelo con quanto deciso, sempre a spese del bilancio, dal Ministro per l’Agricoltura nei confronti dei produttori di latte. Ciò detto, la questione va vista anche sotto altri
aspetti. Non da ieri è noto il legame affettivo che molto spesso
s’instaura fra lo scolaro ed i libri
che ha usato per un anno e forse
più. Un legame che si mantiene nel tempo, spesso per tutta la
vita. Al di là dell’inevitabile discorso su spese e costi, questo
dovrebbe bastare per valutare in
positiva la decisione ministeriale. Altro è il discorso sulla liceità di dare per scontata la regalia
anche a genitori benestani. Duplice e semplice l’osservazione:
o in quel caso siano fatti pagare
o, con criterio più equo, si diano
gratis recuperando le spese attraverso una più equa tassazione dei genitori stessi.
Panorama 3
Panorama
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PANORAMA
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(vicepresidente), Luigi Barbalich, Carmen Benzan, Doris Ottaviani, Donald
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44Panorama
Panorama
Panorama testi
N. 9 - 15 maggio 2009
Sommario
IN PRIMO PIANO
L’espatrio di Branimir Glavaš dopo la
condanna a dieci anni di prigione
LA RISCOPERTA
DELLA NAZIONE MADRE .......... 3
di Mario Simonovich
ATTUALITÀ
QUANTO CI COSTERÀ
LA PACE SOCIALE? ...................... 6
La Commissione europea propone un
arbitrato per il contenzioso confinario
LA CROAZIA DICE SÌ, LA SLOVENIA CHIEDE MODIFICHE ............ 8
di Diana Pirjavec Rameša
ETNIA
Al CRS di Rovigno presentata la versione croata di “Istria nel tempo”
CONOSCERE IL PASSATO PER
CRESCERE E MATURARE ......... 10
di Ilaria Rocchi
SALUTE
Arrivare ad un test mirato per diagnosticare quanto prima il virus AH1N1
SCENDE IL NUMERO DEI CONTAGI, RIMANE L’ALLARME .... 12
a cura di Diana Pirjavec Rameša
AVVENIMENTI
”Vinistra” edizione 2009 con protagonista la Malvasia
UN VINO CHE VIENE
DAL PASSATO ...............................14
di Diana Pirjavec Rameša
SOCIETÀ
QUELLA BELLINZONA SVIZZERA MA TANTO ITALIANA ......... 16
di Marino Vocci
PERSONAGGI
Ranieri Ponis è una delle voci più significative della pubblicistica triestina
QUEL GIORNALISTA INNAMORATO DELLA MEDICINA .......... 18
di Mario Simonovich
CINEMA
”Departures” vince l’undicesima edizione del Far East Film Festival di Udine...
MA FISH STORY
PIACE ANCHE DI PIÙ ................. 22
di Massimiliano Deliso
CINEMA E DINTORNI
“Questione di cuore”
L’AMICIZIA? ARGOMENTO TROPPO
DIFFICILE ANCHE PER I REGISTI ... 24
di Gianfranco Sodomaco
ARTE
CREATIVITÀ PER COMBATTERE
LA CRISI ........................................ 26
di Maurizio Franolli
REPORTAGE
LA VALLE DEI CANALI
TORNA A RIFIORIRE .................. 28
di Ardea Velikonja
LETTURE ISTRIA NOBILISSIMA
”USCITA DI SICUREZZA” .......... 34
di Carla Rotta
TEATRO
LETTURE SENZA INIBIZIONI
E LIMITAZIONI DI SORTA ......... 38
di Bruno Bontempo
ITALIANI NEL MONDO
PRONTE LE LISTE
DI CANDIDATURA...................... 40
a cura di Ardea Velikonja
MADE IN ITALY
VOLANO I PRODOTTI DELLA
DIETA MEDITERRANEA ........... 41
a cura di Ardea Velikonja
MUSICA
Franz Joseph Haydn
IL COMPOSITORE CHE RIDIEDE
DIGNITÀ ALLA SINFONIA ........ 42
a cura di Bruno Bontempo
SPORT
MONTECARLO REGINA
DELLE SETTE MERAVIGLIE .... 44
FUTURO GARANTITO AI NIPOTI
DI PELÉ ......................................... 46
a cura di Bruno Bontempo
ANIMALIA
IL DRAGO NON SEMPRE
È UN ESSERE CATTIVO ............. 48
di Daniela Mosena
MULTIMEDIA
DA WINDOWS VISTA A WINDOWS XP? CONVIENE! ............. 50
di Igor Kramarsich
RUBRICHE .................................. 52
a cura di Nerea Bulva
PASSATEMPI ............................... 57
IL CANTO DEL DISINCANTO
COSETTE DALL’ISTRIA
E DA FIUME ..................................58
Agenda
Un «capodistriano vero» appartenente alla Comunità nazionale italiana
A Fabio Steffè il riconoscimento comunale
I
l premio “15 maggio”, massimo
riconoscimento che il comune
di Capodistria assegna ogni anno
ai benemeriti, quest’anno è andato
a Fabio Steffè, connazionale, noto
per la sua carriera in seno alla Questura e per il suo coraggio nel 1991
al valico di confine a Scoffie quando si rifiutò di consegnare ai federali la zona e si ritirò soltanto su preciso ordine dei suoi superiori. “Per
me si tratta di un grandissimo riconoscimento completamente inatteso”, ha detto commosso Steffè nel
corso della seduta solenne del consiglio municipale. Fabio Steffè finora è stato insignito di alte onoreficenze come quella di Cavaliere
della Repubblica italiana, la Medaglia d’oro per il lavoro e il massimo riconoscimento sloveno per i
meriti nella difesa del Paese. Grande sportivo, calciatore, amante della caccia e dei cani Steffè in qualità
di ispettore a riposo è tra i dirigenti dell’organizzazione “Sever” che
raggruppa i veterani della polizia
capodistriana.●
Le brave attiviste della SAC «Fratellanza» di Fiume hanno festeggiato i 30 anni
Buon compleanno Coro femminile!
U
na corale che in tre decenni
di vita ne ha viste veramente
di tutti i colori e nonostante ciò ha
mietuto successi ed è cresciuta nel
tempo. Stiamo parlando del Coro
femminile della SAC “Fratellanza” di Fiume che ha voluto festeggiare il proprio compleanno in concomitanza con la Festa della mamma. Grande commozione per la
fondatrice e la prima dirigente del
coro, rispettivamente Giulia Šantić
e Lucia Malner, nel momento in
cui sono state insignite di un certificato di riconoscimento per tutto il
lavoro svolto in seno alla “Fratellanza”. Alla simpatica serata non
potevano mancare i Minicantanti e le Mule de Fiume, come pure
i virtuosi fiumani Aldo Racanè e
Antonio Mozina. A dimostrazione
che il canto cura lo spirito, il Coro
femminile ha esordito con due brani conosciutissimi ovvero “Bella Bionda” e “Dobri danek”, pezzo proposto anni fa alla Rassegna
dei cori della Croazia a Osijek e
con il quale la “Fratellanza” aveva ottenuto il primo premio. L’incontro si è concluso con l’apertura
di una mostra fotografica in cui è
stato ripercorso tutto il cammino di
trent’anni del coro femminile.●
Chiusura di stagione con una delle più celebri commedie musicali
Il Dramma Italiano aggiunge un posto a tavola...
F
rizzante chiusura di stagione
per il Dramma Italiano con un
riuscito allestimento di Aggiungi
un posto a tavola, una delle più celebri commedie musicali di Garinei
e Giovannini scritta tra il 1973 e il
1974 con Iaia Fiastri, musiche di
Armando Trovajoli. Il DI ha affidato la regia a Žak Valenta, più noto
come coreografo, che ha guidato
il complesso a una sfida non facile, che la nostra Compagnia di prosa ha affrontato con grinta e portato a compimento con successo, di-
mostrandosi pronta a fare bene anche in questo genere di teatro, più
leggero sì ma non per questo meno
esigente sotto il profilo della resa
sul palcoscenico. La compagnia si
è fatta apprezzare oltre che per le
doti recitative, anche per le qualità canore e la predisposizione al
movimento scenico. Accanto al disinvolto protagonista ospite Mario Lipovšek Battifiaca, affermato
showman fiumano, sono emersi la
brava Elena Brumini (riconfermatasi attrice brillante, valida cantan-
te e ballerina, nonché assistente coreografa), la spumeggiante Elvia e
l’esilarante Bruno Nacinovich, lo
spassoso Giuseppe Nicodemo.●
Panorama 5
Attualità
Il governo accoglie le richieste sindacali. Rientra lo sciopero e niente proteste
Quanto ci costerà la pace sociale?
di Diana Pirjavec Rameša
L
unghe ed estenuanti trattative
tra i sindacati del settore pubblico e il Governo croato, solo
qualche giorno prima delle amministrative, sono state condotte parallelamente allo sciopero che nella sua
prima (ed ultima) giornata ha coinvolto il mondo della scuola in tutta la
sua verticale.
Ad incrociare le braccia il 13 maggio scorso sono stati infatti circa 50
mila insegnanti delle scuole elementari e medie, i docenti universitari ed
il personale degli istituti di ricerca.
Dopo una serie di incontri protrattisi sino a notte fonda in cui i sindacati
non hanno voluto cedere sulle richieste di fondo è trapelato un filo di ottimismo. Qualche ora dopo è arrivato
anche l’accordo sugli aumenti salariali da realizzarsi gradualmente e in
base alla crescita del Pil e delle paghe
a livello nazionale. Va ricordato che
per una decisione unilaterale del Governo esse hanno subito una riduzione con la paga di aprile del 6 p.c.
Visto l’avvicinarsi delle elezioni
amministrative e la minaccia che lo
sciopero si sarebbe potuto estendere
a tutto il settore del pubblico impiego, il governo ha preferito fare delle
concessioni e firmare l’accordo con i
sindacati grazie a cui la protesta viene sospesa come pure la grande manifestazione sindacale in piazza a Zagabria pianificata nel giorno del silenzio elettorale. L’accordo riguarda
il periodo che va dal 2010 al 2016
6 Panorama
Quanto durerà l’accordo tra Governo e i sindacati del settore pubblico?
Nella foto d’archivio uno dei numerosi incontri in cui si è brindato ma
poi... la polemica ha continuato ad impazzare
anno in cui si prevede che le paghe
del settore pubblico vengano parificate alla media nazionale.
L’Esecutivo dovrebbe fare marcia
indietro sulla riduzione delle paghe
del sei per cento e questo dall’ottobre
del prossimo anno se il prodotto interno lordo dovesse aumentare complessivamente del due per cento per
due trimestri consecutivi. Inoltre i salari nel pubblico impiego dovrebbero
aumentare del 5,6 p.c. nel primo trimestre del 2011 e di un ulteriore 7,6
p.c. nel secondo trimestre.
L’accordo fra sindacati e governo appare, dunque, cosa fatta: l’intesa diverrà ufficiale, affermano i sindacalisti, solamente quando avrà ricevuto luce verde da parte dei tesserati.
A dare man forte agli insegnanti in sciopero sono stati gli studenti
che da parecchie settimane occupano
le università pubbliche croate e chiedono l’abolizione delle tasse universitarie e migliori condizioni di studio.
“Siamo solidali con i docenti - hanno
precisato alcuni dimostranti a Fiume
-, ma ciò non significa che aderiamo
allo sciopero del settore pubblico”.
Va rilevato che la protesta studentesca dopo quattro settimane di occupazione sta scemando ma che conferme relative all’accoglimento delle
loro richieste non hanno avuto conferma ufficiale. Il ministro all’Istru-
zione, Dragan Primorac, infatti, per
tutta la durata della protesta, si è rifiutato di incontrare gli universitari
ed ha continuato a comunicare con
loro attraverso i media e i suoi più fedeli collaboratori.
Ma quanto costerà alla Croazia
l’accordo con i sindacati relativo alle
paghe? In questo momento è piuttosto difficile quantificarlo visto che
dipenderà anche dalla crescita, se ci
sarà, del Prodotto interno nazionale lordo, come pure da una serie di
fattori che determinano l’andamento
della crisi a livello globale. Sia come
sia, durante le trattative la vice premier Jadranka Kosor ha fatto un po’
di matematica... sostenendo che se il
Governo avesse ceduto alla richieste
sindacali l’aumento nell’arco di duetre anni delle paghe dei dipendenti pubblici sarebbe stata del 30 p.c.,
con il rischio di provocare il tracollo delle finanze pubbliche. La tesi è
stata per così dire “ridimensionata”
dai sindacati i quali hanno ribattuto
trattasi di un aumento del 19,6 p.c. da
corrispondere nell’arco dei tre anni
successivi all’uscita dalla crisi il che
corrisponde - ha rilevato il sindacalista Vilim Ribić -, a complessivamente sei miliardi di kune.
E così, sia come sia, nelle giornate
che precedono il voto amministrativo
un po’ di pace sociale non fa male a
nessuno. ●
Etnia
Al Centro di ricerche storiche di Rovigno presentata la versione croata
Conoscere il passato per crescere
di Ilaria Rocchi
U
n traguardo importante, per
il Centro di Ricerche storiche e, indirettamente, per la
Comunità Nazionale Italiana tutta,
- oltre che per la comunità complesiva del territorio - di cui l’istituzione rovignese è, per missione e tradizione, custode della memoria storica.
Aspettative e motivi di soddisfazione
sono racchiusi nello straordinario volume Istria nel tempo, da poco uscito nell’edizione croata intitolata Istra
kroz vrijeme, finanziata dalla Regione Istriana. È stata proprio la Regione a portare avanti l’iniziativa della
traduzione del manuale della storia
regionale dell’Istria, con riferimenti
a Fiume, curato da Egidio Ivetic, realizzato tre anni fa, nell’ambito dei
mezzi stanziati dal Governo italiano a favore della CNI. attraverso la
collaborazione tra l’UI e l’UPT onde
poterla far circolare tra il pubblico
della “maggioranza” e diffondere,
per quanto possibile, nelle scuole superiori croate. Il manuale sarà anche
messo in vendita. L’interesse è vasto,
come testimoniato dal pubblico convenuto. Da tempo ormai mancava (in
tutte le lingue dell’area) una sintesi
storica aggiornata e completa, esaustiva ma al contempo “agile”. Infatti,
correva l’anno 1924, quando il rovi-
10 Panorama
Robert Matijašić, Marino Budicin, Ivan Jakovčić e Giovanni Radossi
gnese Bernardo Benussi pubblicava,
a conclusione di una lunga e operosa vita di ricerche, “L’Istria nei suoi
due millenni di storia”. Prima di lui,
con un’impresa simile si era cimentato Carlo De Franceschi con “Istria.
Note storiche” (1879).
A oltre ottant’anni dall’ultima
opera e a 130 anni da quella di De
Franceschi, il volume del CRS si
presenta dunque, come una sintesi a
tutto campo, che continua, aggiorna,
integra e rivede le opere che l’hanno preceduta. Il merito è nell’aver saputo individuare un’équipe autorale
che comprende i maggiori esperti nel
campo della preistoria e della storia
antica, facendo leva sulle forze intellettuali locali, istriane. Un’opzione “non per amore di localismo o regionalismo, non come prova di chiusura, ma come sfida: riuscire a realizzare un prodotto storiografico e
culturale in una terra che tende a dimenticare o occultare la propria storia. Anche questa è stata una prova di
maturità: scrivere di storia istriana in
Istria”. Al volume hanno infatti lavorato Marino Budicin, Ezio Giuricin,
Egidio Ivetic, Robert Matijašić, Kristina Mihovilović, Orietta Moscarda Oblak, Giovanni Radossi e Fulvio
Salimbeni, nonché Andrea Sponza,
che ha trattato “Istria e Fiume nella filatelia” e Antonio Pauletich con
“Istria e Fiume nella numismatica”).
Due saggi che integrano il manuale
in croato. In tutto, in un unico tomo,
734 pagine per un’informazione sia
divulgativa sia approfondita.
La storia istriana, va tenuto conto, fa parte di altre, accademicamente definite in quanto campi di ricerca - come storia antica, romana, bizantina, medievale, ecc. ecc. fino
alle attuali Croazia e Slovenia - ciascuna definita da molte storiografie;
fatto quest’ultimo che comporta conoscenze specifiche. Un’attenzione particolare è comunque rivolta al
“secolo breve”, quello che provoca
le maggiori passioni e il maggior interesse e che è collegato in qualche
modo ai fatti dei nostri giorni. Tanto
per le dovute note “tecniche”.
In quanto all’importanza del progetto, per diversi aspetti “Istra kroz
vrijeme” supera - e ciò non può che
far piacere - il già elevato valore intrinseco del “gemello italiano”. Innanzitutto l’iniziativa segna un momento particolarmente significativo
in ambito storiografico quale ulteriore occasione di incontro e confronto tra le parti italiana e croata (per il
momento, in prospettiva, anche quella slovena) e apre le porte a una nuova fase nei loro rapporti, non sempre
facili. Una fase in cui, dalla consapevolezza della complessità della realtà istriana, si afferma l’esigenza di
riconoscere e accogliere - pur non
sempre condividendole - diverse letture di tale realtà. Beninteso, non è
che non ci siano più tentativi di interpretare il passato e l’identità istriana
Etnia
di «Istria nel tempo»
e maturare
in modo del tutto univoco e unilaterale, ma questo progetto induce ottimisticamente a confidare nel superamento di obsolete “chiusure” e preclusioni.
In quest’ambito si sta rivelando
fondamentale il ruolo e il contributo
che sta offrendo il CRS come fattore di dialogo, avvicinamento e collaborazione dopo anni di “silenzio”
nelle relazioni con la più vasta realtà scientifica in Croazia e Slovenia.
“Al confine di qualcosa, oppure sul
confine tra qualcosa. L’Istria, il suo
passato, possono essere visti attraverso vari filtri di lettura e fino ad oggi
sono predominanti nettamente i punti di vista nazionali; il passato, come
altrove, come in altre storie regionali europee, ha rappresentato e rappresenta anche per il caso dell’Istria - ha
dichiarato il suo direttore, Giovanni Radossi, alla presentazione - l’immaginario in cui collocare il senso
e il precedente dell’entità nazionale
d’appartenenza, oggi italiana, slovena, croata. Si può negare l’immaginario storico di una cultura nazionale? No. Esso rappresenta comunque
un patrimonio culturale, a prescindere dai punti di vista. Si può essere,
questo sì, più sinceri nel riconoscere
che il passato, le sue ‘cose’, appaiono
più complicate di come abitualmente
sono state rappresentate, anche quando sono stati dichiarati scrupolosi criteri metodologici. Ogni nuova generazione è del resto convinta della
bontà dei propri criteri e dell’oggettività delle proprie visioni. Oggi riconosciamo che il mondo è complesso sicché anche il passato ci appare
complesso; perciò mai come oggi risulta interessante la ricerca storica”.
Il volume del CRS è, in tal senso,
un ottimo punto di partenza per successivi e ulteriori approfondimenti,
manuale che nel contempo “fa” storia e “scuola”. Del resto, gli autori
evidenziano di aver puntato sempre
al recupero “di avvenimenti, temi e
personaggi di un contesto socio-linguistico, culturale e umano che le vicende della storia più recente avevano ed hanno particolarmente e dram-
Ivan Jakovčić consegna alla biblioteca di Pola copie del volume
(foto G. Žiković)
maticamente corroso, riproponendo,
riesumando e sollecitandone lo studio. Le temperie di studi, di ripensamento della memoria storica ha dato
così i suoi frutti; ha scosso il nostro
piccolo mondo e anche quello circostante delle nazioni madri e matrigne,
portando un interesse tutto nuovo per
l’indagine storiografica, per un esame
documentario del passato”, come rilevato ancora da Radossi. Del resto,
l’impostazione voluta e mantenuta
per oltre sessant’anni dall’istituto ha
sempre seguito una metodologia di
ricerca avulsa da qualsiasi impronta
nazionalistica o di parte.
Anche “Istria nel tempo/Istra kroz
vrijeme” - alla stregua delle tante altre pubblicazioni prodotte dal CRS riflette quest’ottica e in quanto tale
entra a far parte della più vasta cultura di una regione specifica, che si
trova al limite tra il corpo continentale centro-europeo e il Mediterraneo,
protesa sul mare - su quell’Adriatico
che nel corso dei secoli è stato vettore di traffici e scambi - parte di un sistema di comunicazione, una linea di
passaggio per carichi e uomini e civiltà. Il volume che abbraccia la storia dell’Istria dalla preistoria ai giorni
nostri, afferma, in un rapporto dialettico con la realtà plurale della regione,
un patrimonio culturale e di identità
da preservare. In tal senso, è un volume che coglie, rifuggendo da visioni di parte e sterili polemiche, l’Istria
nella sua integrità di regione; una re-
gione che ha mantenuto nella sua bimillenaria storia, a prescindere dagli
stati che l’hanno abbracciata e che si
sono avvicendati in quest’area, dalle
genti che vi sono confluite. Rimangono alcuni campi ancora poco indagati, esplorati o sui quali fare maggiore
chiarezza in maniera affatto scientifica, con curiosità, correttezza, competenza scientifica, onestà intellettuale
e, soprattutto, senza faziosità. Il che
non è per niente facile.
Le dichiarazioni di apprezzamento e i consensi che sono stati espressi finora a proposito del manuale del
CRS, rivelano che è stata imboccata
la strada giusta. Non sorprende quindi il rapido, immediato successo di
“Istra kroz vrijeme”: ha dimostrato
che esistono ancora tanti lettori, probabilmente anche delle giovani generazioni, interessati a quelle tematiche
che, in un modo o nell’altro, hanno
contribuito a mutare la geopolitica regionale (e non solo), creando il contesto nel quale viviamo attualmente.
Concluderemo citando ancora
Radossi: “Noi, siamo sempre più
fermamente convinti che conoscere la nostra storia ci aiuti meglio a
comprendere il mondo in cui operiamo e nel quale i nostri padri hanno
affondato da epoche immemorabili
le loro e le nostre radici, che è dire
Nescire quid acciderit est tamquam
puer manere (non conoscere il proprio passato è come rimanere sempre bambino)”. ●
Panorama 11
Avvenimenti
Vinistra edizione 2009 con protagonista un bianco molto versatile: la Malvasia
Un vino che viene dal passato
di Diana Piriavec Rameša
foto di Lucio Vidotto
D
i Malvasia non ce n’è una
sola, anzi ce ne sono tante;
solitamente si distinguono in
base alle loro caratteristiche ampelografiche o per l’aggettivo che le definisce, generalmente legato ai loro colori o alla loro origine, comunque la
maiuscola è d’obbligo. La Malvasia
non è solamente una varietà di vite.
Essa porta in sé qualcosa di antico e
nello stesso tempo anche moderno;
l’aggettivo istriana che affianca il suo
nome poi è ciò che la lega al territorio
testimoniando la propria autoctonia.
La storia della Malvasia si crea
di anno in anno, da una vendemmia
all’altra, da un festival all’altro. Grazie alla sua sincerità e alla sua spontaneità che riflette la bellezza del
profumo della primavera istriana
ed il dolce gusto delle allegre notti
d’estate. Inutile dire che la Malvasia
ha convinto e convince sempre più
gli ammiratori.
Ed è stata, in un certo senso, la
regina di Vinistra 2009 in cui ambito è stata organizzata pure la prima
competizione internazionale denominata “Il mondo della Malvasia” a
cui hanno concorso ben 200 vini. I
primi tre premi sono andati alla Mal-
vasia di Niko Karaman (Canali ragusei - Konavle), alla Malvasia istriana di Brič (Decani/ Slovenia) e alla
Malvasia istriana Prestige di Veralda
(Verteneglio).
Ma ritorniamo alla manifestazione. Va rilevato che si tratta della
più grande esposizione di vini, olio
d’oliva, grappe ed altri prodotti tipici istriani, giunta quest’anno alla
sua 16.esima edizione. I promotori
di questo festival, che espone il meglio della enogastronomia del territorio, sono la Contea Istriana, l’associazione che raccoglie i produttori
di vino istriani “Vinistra”, nonché la
città di Parenzo.
Oltre a produttori, commercianti, addetti ai lavori, la manifestazione ha attirato anche numerosi turisti,
anche perché, come vuole la tradizione, l’evento è stato organizzato in
modo da coprire, almeno in parte, il
ponte festivo del Primo maggio.
La palestra polifunzionale di
Žatika ha dimostrato in quest’occasione di poter diventare anche un ottimo centro espositivo, con servizi ben
organizzati, ampio spazio a disposizione degli espositori e del pubblico.
Luciano e Ketty Visintin fieri della produzione Veralda
Ci vuole tempo e passione
«P
er arrivare a certi livelli ci vuole tempo, passione e un notevole impegno economico. Nulla arriva per caso. Con la Malvasia Prestige penso
di aver alzato ulteriormente l’asticella. Sono felice di aver dimostrato che è
possibile produrre vino di altissima qualità anche su vasta scala”, sono le parole di Luciano Visintin sulla sua pluripremiata Malvasia Prestige a “Vinistra
2009” che però ci è parso più fiero di un’altra sua “invenzione”. Parliamo di
un rosé molto particolare, nato dal Refosco. È allo stesso tempo amabile e
rinfrescante, evitando di descriverlo con la terminologia dei sommelier. “Se
non ci fosse l’alcol - scherza Luciano - sarebbe perfetto per i bambini. Invece, può rappresentare un vino adatto come aperitivo, per accompagnare un
pasto completo e da abbinare al dessert”. Questo prodotto inedito, autentica
star della mostra vinicola allo stand dei Vini Veralda, potrebbe avere un futu- Ketti e Luciano Visintin sono fiero fuori dai confini croati poiché assolutamente unico, quasi internazionale, ri delle numerose medaglie otteanche se nato da un vitigno locale. ●
nute dai loro vini
14 Panorama
Avvenimenti
“Vinistra” edizione 2009 è stata
abbinata ad una serie di interessanti
manifestazioni collaterali, conferenze,
degustazioni guidate e dibattiti in cui
si è discusso, tra l’altro, del rapporto
che intercorre tra vino e territorio, cercando di capire quale sia la via da seguire per ottenere quella necessaria sinergia che, promuovendo le ricchezze risorse di una determinata area geografica, confermasse all’Istria quello
status di “brand” con cui oggi spesso
e volentieri si presenta al mondo.
La manifestazione iniziata il 29
aprile è andata avanti per ben quattro giorni, ricchissimi di eventi. Non è stata
solo una mostra
del vino bensì
un’ottima occasione di incontro
tra i produttori
ed i consumatori, di promozione
della sempre più
crescente e ricca offerta enogastronomica della regione e un
momento di riflessioni sui futuri sviluppi della
manifestazione.
Qualche parola anche sull’ambizione di “Vinistra” di presentarsi
quale evento di tipo internazionale.
Infatti, alla competizione enologica
hanno aderito pure produttori provenienti da Slovenia, Italia e Ungheria.
Nonostante ciò l’interesse del pubblico è stato pilotato verso i vini autoctoni, quelli che testimoniano di come
la produzione del vino in Istria si è
sviluppata negli ultimi due decenni, e
come la cura e i grandi sforzi compiu-
ti hanno dato e, speriamo continuino a
dare, grandi vini locali.
Importante ricordare pure che
questa manifestazione riesce ad unire per un paio di giorni e in un unico
posto un numero record di produttori di vino ed è il centro per eccellenza dell’educazione e della conoscenza dei vini e della cultura della buona tavola. Il numero degli espositori,
circa 600 vini presentati nell’edizione 2009 e provenienti da tutta la Croazia e dai paesi vicini, ne conferma la
crescente popolarità.
Di strada “Vinistra” ne ha fatta pa-
recchia: i partecipanti alla prima edizione, che ebbe luogo a Parenzo dal 27 al
29 maggio 1994, furono cinquanta, con
124 prodotti in totale. Allora venne assegnata solo una Gran medaglia d’oro
al vino Moscato bianco prodotto nel
1993 da Bruno e Antonio Ravalico di
Villanova, di Verteneglio. È interessante ricordare che le prime cinque edizioni
pur avendo un significato internazionale, ospitarono e premiarono esclusivamente vini di produttori istriani.
L’esposizione ha il gran merito di
aver accompagnato e spinto i produttori di vino istriani all’apice della scena enologica nazionale. Già nel 1998
la malvasia di Kozlović è stata eletto “miglior vino della Croazia”. L’anno successivo vince lo stesso premio
lo Chardonnay di Matošević, mentre
nel 2000 tocca alla Malvasia di Arman. Anche gli anni che seguono sono
d’oro per i produttori di vino istriani:
l’oro nel 2001 va all’Agrolaguna per il
Cabernet Sauvignon, nel 2002 a Pilato
per lo Chardonnay, mentre nel 2003 a
M. Arman per il Terrano riserva.
Tutti i riconoscimenti confermano che in un
solo decennio, dal
semplice dilemma iniziale “rosso
o bianco” l’Istria è
diventata la regione vinicola più sviluppata di tutta la
Croazia. Comunque, il background
enologico istriano
odierno è costituito da una novantina di produttori
di vino che vendono il loro prodotto
imbottigliato (nel
1990 ce n’era solo uno), da 128 vini registrati e con il marchio di origine geografica protetta (nel 1990 erano 25), da
5 aree viticole note con il nome di strade
del vino, da una cinquantina di sommelier professionisti, dall’appartenenza di
Verteneglio all’organizzazione Città del
Vino, dalla tradizionale Giornata delle
cantine aperte - Wine Day (in programma il 31 maggio) e da numerosissime
altre manifestazioni di promozione
del vino e della cultura enologica. ●
Panorama 15
Società
Viaggiare è bello e può essere fonte di un notevole arricchimento
Quella Bellinzona, svizzera ma ta
di Marino Vocci
È
proprio bello viaggiare. Ce
lo ha ricordato anche recentemente nel corso di una sua
conferenza a Trieste il sociologo,
grande educatore e raffinato scrittore,
ma soprattutto il caro amico Ulderico
Bernardi.
Ricordo che proprio Bernardi alcuni anni fa ha scritto un libro dal titolo “Del viaggiare - Turismi, cultu-
16 Panorama
re, cucine, musei open air”, dove raccontava sapientemente il “turismo”
di ieri, ma in particolare quello dei
giorni nostri; un turismo che oggi è
diventato, la più importante industria
al mondo. Dove soprattutto il viaggio viene visto come un’opportunità, questo perché significa incontrare
persone, culture, comunità e spesso
mondi diversi e una questione di interesse e disponibilità verso “l’altro”,
per “limare il cervello proprio con
l’altrui” (Montagne, filosofo, scrittore e politico francese vissuto dal 1533
al 1592) e quindi un momento importante per arricchire e completare noi
stessi. Certo nel corso della nostra
storia millenaria il motivo e il modo
di viaggiare è profondamente cambiato. Siamo stati a lungo dei viaggiatori nomadi alla ricerca del cibo
e di migliori condizioni di vita, poi
esploratori, migranti, esuli ed esiliati
e costretti quindi a viaggi obbligati,
che portavano con sé un forte carico
di dolore, a causa dello sradicamento e spesso del difficile radicamento
nelle nuove realtà: viaggiare quindi
era soprattutto un tormento dell’anima, si usava dire che... partire è un
po’ morire. E poi nel corso dei secoli
ancora siamo stati missionari e cioè
esportatori di generosità e solidarietà, ma anche crociati o “intruppati” in
eserciti in guerra. Così come abbiamo raggiunto i diversi continenti per
mare e via terra, per lavorare e per
trovare lavoro. Da alcuni anni grazieadio - e questo si è verificato anche di
recente nonostante la crisi durante le
vacanze primaverili - viaggiamo soprattutto come turisti. Da sempre, ha
sottolineato Bernardi, per ben viaggiare abbiamo bisogno di: tempo,
schei, salute e voia e poi è importante preparare il viaggio e cioè avere un
minimo di consapevolezza del luogo
che vogliamo raggiungere.
Recentemente per motivi di lavoro sono stato nel cuore dell’Europa,
in un Paese alpino che conta quasi
otto milioni di abitanti, in Ticino uno
dei Cantoni della Confederazione Elvetica. Un Paese la Svizzera che non
è parte dell’Unione europea ma che
mantiene relazioni strette con l’Unione europea sia a livello economico
che politico e culturale. Relazioni
disciplinate da un insieme di Accordi bilaterali conclusi, nel corso di decenni, tra la Svizzera e la Comunità
prima e l’Unione europea poi. Dove
si è iniziato fin dal 1972 con l’Accordo di libero scambio, al quale sono
seguiti l’Accordo sulle assicurazioni
del 1989 e poi gli Accordi bilaterali I
del 1999 (che interessano principal-
Società
dello spirito
Bellinzona
nto italiana
mente la reciproca apertura dei mercati), e II del 2004 (che ampliano la
cooperazione ad altri settori politici quali: la sicurezza interna, l’asilo,
l’ambiente e la cultura e riguardano
temi importanti quali Schengen/Dublino, la fiscalità del risparmio, i prodotti agricoli trasformati...).
Innanzitutto devo confessare che,
per dirla con le parole di Bernardi,
a Bellinzona ci sono andato con una
”grande voia”. Questo proprio per
ritrovare dopo oltre una quindicina di
anni, dal mio ultimo viaggio in Svizzera, un pezzo della nostra Europa.
Un’Europa che sta attraversando un
momento di crisi politica e culturale oltre che economica e che ha bisogno di ritrovarsi e di ritrovare una sua
identità ed un suo progetto forte per
il futuro, ma su questo ritornerò alla
fine dell’articolo. Durante il viaggio e
la permanenza in quelle zone ricchissime di verde e di laghi, alcune cose
mi hanno particolarmente e favorevolmente colpito. Innanzitutto nella
parte del Canton Ticino che ho avuto il piacere di visitare e specialmente lungo le vie di Bellinzona, davvero
una bella cittadina, con le sue mura
ed i suoi storici castelli posti a presidio delle valli alpine attraversate dal
fiume Ticino, che portano nel centro dell’Europa, tutte le scritte, ripeto
proprio tutte e quindi le tabelle con i
nomi delle vie e delle piazze, le scritte sui palazzi di Enti pubblici e privati, quelle dei negozi e sui cartelli
pubblicitari, erano esclusivamente in
lingua italiana. E soprattutto è stato
una piacere e anche una cosa emozionante nel ricordo di Fulvio Tomizza
a dieci anni dal Suo ultimo viaggio,
incontrare e parlare con le persone.
Persone incontrate che erano esponenti di Istituzioni private e pubbliche, ma anche il ristoratore, il tassista
e la titolare dell’albergo è dell’agenzia turistica.
Tutte le persone con le quali ho
avuto il piacere di parlare, che mi
esprimevano con semplicità e come
fosse la cosa più naturale del mondo che si sentivano parte di una comunità di lingua e cultura italiana,
anzi sarebbe meglio dire lombarda,
ma tutti, ripeto tutti si sentivamo orgogliosamente cittadini svizzeri. Un
bel esempio soprattutto per chi ancora oggi tende a confondere cittadinanza, nazionalità e appartenenza
culturale. Ma un bell’esempio anche
per questa nostra Europa che io vorrei sempre più orgogliosamente plurale, anche perché viene proprio da
un paese plurale che oggi non è parte
dell’Unione europea. Di quell’Unione che sentiamo spesso troppo lontana: un’Europa molto, troppo dei
schei e degli Stati e poco dei cittadini e delle culture e che come dicevo
sta attraversando un momento di crisi. Per fortuna proprio nel momento
in cui le elezioni europee sembravano interessare poco o niente ai politici (se non per discettare purtroppo...
veline!!!), alcuni tra i più importanti quotidiani italiani hanno ospitato
quasi contemporaneamente tre articoli particolarmente significativi.
Certo gli articoli hanno trattato
il tema della crisi economica mondiale e poi ovviamente quella europea, e quindi per me che prediligo quelli sociali e culturali temi un
po’… indigesti. Va però con
onestà e doverosamente sottolineato
che questi hanno avuto il merito di
lanciare comunque un grido d’allarme. Tutto ciò proprio in vista del tradizionale “Brussels Econiomic Forum” della primavera 2009.
Nell’articolo di Romano Prodi
apparso sul “Messaggero” di Roma
l’ex presidente della Commissione
europea protagonista del processo
di ricomposizione-allargamento, ribadiva l’importanza di favorire non
politiche separazione o di protezionismo nazionale ma di integrazione
anche perché “...rimanendo soli si
esce dalla storia”.
La bravissima giornalista Barbara Spinelli su “La Stampa” di Torino
ha voluto ricordare le responsabilità del Governo americano di Junior
nella grave crisi economica che stiamo attraversando e ribadire la positiva diversità europea di: “...un’Europa che (nonostante tutto, n.d.r.) ci è
enormemente vicina ed è la meta almeno della nostra esistenza...”. Una
diversità che deve aiutarci a restituire all’Europa un’identità forte e condivisa.
Soprattutto ho letto con grande
piacere l’articolo dell’ex Commissario Europeo, Mario Monti, pubblicato dal “Corriere della sera” di Milano, dove sottolineava i rischi del
“nazionalismo economico” e l’importanza di una “globalizzazione
governata” e la necessità di... rilanciare l’integrazione su basi più solide, proprio in una fase in cui la crisi
economica e le reazioni dei governi
nazionali mettono a rischio il mercato unico e con esso l’integrazione
realizzata finora, e dove l’Italia (che
è uno dei Paesi fondatori dell’Unione europea, n.d.r.) può avere un ruolo importante nello spingere l’Europa in questa direzione. È un compito
per il governo ma anche per l’opinione pubblica”.●
Panorama 17
Personaggi
Nato a Pola, vissuto a Capodistria, Ranieri Ponis è una delle voci più significative
Quel giornalista innamorato della
di Mario Simonovich
B
erlino, inizio di maggio 1945.
Un maggiore russo, documenti alla mano, interroga un giovane che fra qualche mese compirà
vent’anni. Parla in russo, l’altro gli
risponde in croato. La comprensione
è agevole.
”Tu jugoslavo” dice con voce ferma.
”Io italiano” è la risposta.
”No, tu jugoslavo” dice con voce
non meno autoritaria.
””No, io italiano, nato a Pola”.
”Pola è Jugoslavia!”
”Noo, Pola è Italia!”
Il giovane non può sapere che
Pola era stata occupata dai partigiani per cui chi ha ragione è l’ufficiale,
che taglia corto:
”Tu italiano? Resti qui in in campo di concentramento con altri che
non amano per niente gli italiani. Se
tu jugoslavo parti domani con convoglio per rimpatrio!”
Il giorno dopo quel ragazzo, che risponde al nome di Ranieri Ponis è sul
treno che, attraversata la Polonia, la
Cecoslovacchia e l’Ungheria, e pas-
Medicina grande passione: Ponis prende appunti in merito a un intervento
sando quindi per Belgrado, Lubiana
e Zagabria, lo scaricherà a Trieste. Il
primo impatto con il nuovo potere jugoslavo avviene a Velika Kikinda, in
Vojvodina. Gli uomini sul treno sono
sottoposti ad una visita a dir poco rigorosa, in cui fra l’altro sono completamente denudati, nel corso della
quale si scopre che tre di essi hanno
i tatuaggi delle SS: scompariranno
Neonati morti a Sušak:
la colpevole è l’infermiera!
I
l giornalista ha un nitido ricordo della visita compiuta a Fiume alla
fine di marzo del 1970. Il 28 era avvenuta la più grande tragedia nella storia della medicina fiumana: nelle prime del mattino del giorno 28
al reparto maternità dell’ospedale di Sušak scoppiò un incendio in cui,
ustionati o soffocati dal fumo, persero la vita 25 neonati, mentre altri
tre riportarono ustioni più o meno estese. Secondo l’uso di allora, gli
inquirenti erano più che mai abbottonati. Saputo il nome del primario,
Ponis telefonò a casa chiedendo di parlargli, ben sapendo che era invece all’ospedale, a disposizione di chi svolgeva le indagini. Gli rispose la
moglie e un po’ in italiano un po’ in croato, senza rivelarle d’essere un
giornalista, si disse preoccupato per le grosse responsabilità che gravavano sul marito. L’interlocutrice rispose con un netto diniego: suo marito era del tutto a posto, e l’unica colpevole di quanto era accaduto era
l’infermiera. L’infermiera tal dei tali, chiese, facendo un nome fasullo?
No, l’infermiera talaltra, precisò la donna. “Il Piccolo” - e “La Voce del
Popolo” a cui egli passò la notizia - furono i primi giornali a pubblicare
la notizia che poi fu confermata dai fatti. ●
18 Panorama
nel nulla. Agli altri danno un lasciapassare in cirillico con la stella rossa, che fra l’altro li autorizza a “viaggiare con qualsiasi mezzo” e anche a
“chiedere di essere nutriti”.
“La storia non finisce qui”, mi racconta nel suo appartamento nel centro di Trieste, poco distante dall’Osservatorio di Margherita Hack. Arrivato a Trieste sabato 2 giugno, non
trrova alcun mezzo disponibile, deve
proseguire a piedi. A San Sabba è
bloccato da un giovane partigiano
con il rituale “Stoj!”.
”Dove ti vadi?”
”A Capodistria!”
”Ah, a Koper!”
”A Capodistria!”
”Documenti!”
L’altro gli allunga il lasciapassare,
di cui non è in grado di capire nulla, ma la stella rossa è eloquente e il
tono cambia subito.
”Come ti vadi a Capodistria? A
piedi? No, a piedi no ti vadi. Speta qua!”
Poco tempo dopo passa un’automobile con alcune persone a bordo.
La blocca e ordina all’autista: “Cioghè el compagno a bordo fino Capodistria!”, facendo con eloquenza capire con il mitra ciò che succederebbe se si opponessero. Il disappunto
dei viaggiatori è proporzionale al disagio del reduce da un viaggio com-
Personaggi
della pubblicistica triestina
medicina
piuto in condizioni indescribili, per
giunta con una temperatura d’inizio
estate.
Ma come c’era finito Ponis a Berlino? Tutto comincia con le visite di
leva a cui deve sottoporsi e che, dati i
tempi turbolenti, sono addirittura tre.
L’ultima avviene il 14 marzo 1944,
tempo dell’Adriatische Künstenlad,
comandata da un colonnello tedesco,
interprete il podestà di Capodistria,
ingegner De Vilas, poi fatto sparire
dai partigiani. Tre le possibilità offertegli: le formazioni fasciste, le SS italiane aggregate a quelle tedesche o le
unità impegnate essenzialmente in rastrellamenti notturni.
In un momento la potenziale recluta decide. “Voglio servire la patria con le stellette” dice con voluta provocazione, in quanto si sa bene
che queste non ci sono più. In realtà,
avendo studiato il tedesco da tre anni,
vorrebbe andare in Germania. Il co-
Il giornalista ha prestato per oltre trent’anni la sua opera al Piccolo
lonnello, credendo di punirlo, paradossalmente asseconda il suo desiderio, per cui il giovane finisce in Germania come interprete per i lavoratori
italiani. A Berlino, dedicato a questi
lavoratori, esce il giornale “L’orso” e
un giorno il ragazzo manda un articolo in cui paragona la città a un immenso giardino sconvolto dai bombarda-
menti, che però un giorno sarebbe rifiorito. La pubblicazione sarà “fatale”
per la carriera futura. Un altro fatto
di rilievo si verifica il 24 luglio 1994,
giorno non solo dell’attentato a Hitler
ma anche, qualche ora dopo, del suo
ultimo incontro con Mussolini che gli
strappa la promessa di trasformare i
lavoratori coatti in lavoratori civili, il
In un libro condensata una vita di giornalismo
F
ra i tanti libri di Ponis, quello
che sintetizza più da vicino la
sua attività giornalistica è “Amarcord di cronista” edito da Zenit nel
2006. Un libro che esprime il clima che si viveva in “quei” tempi di
qua e di là del confine e che ripropone tanti fatti che altrimenti sarebbero rimasti chiusi negli archivi del
giornale, dall’azzardato confronto
estetico di Stelio Crise in merito al
quadro riportante un ritratto di Tito
all’insuale sistema usato per arrivare appresso a Nikita Kruscev a
Capodistria alle implicazioni della raffica di mitragliatrice sparata
dalla polizia jugoslava che uccise
il pescatore Bruno Zerbin.
I primi libri però li ha pubblicati molto prima. Nel 1995 dà alle
stampe “Esodo, 50 anni dopo”, edito dalle Associazioni delle Comunità istriane di Trieste nel 1995; l’anno
dopo sarà la volta di “Antonio Santin - Ha camminato nell’uragano”,
curato dallo stesso editore; lo stesso
anno vedrà la luce “Nazario Sauro, il
Garibaldi dell’Istria”; Nel 1998 con
“Gli Arditi del mare - Antonio Marceglia e Spartaco Schergat” celebrerà la spettacolare incursione dei due
nel ben difeso porto di Alessandria
conclusasi con l’affondamento della
corazzata Queen Elizabeth. Ancora
un anno dopo, nel 1999, per le edizioni Zenit di Trieste uscirà la prima
edizione di “In odium fidei - Sacerdoti in Istria, passione e Calvario” in
cui è raccontata l’iniqua persecuzione di cui furono oggetto mons. Santin - che nel 1933, assegnato alla diocesi di Fiume, è il più giovane vescovo d’Italia - e diversi sacerdoti
istriani all’avvento del nuovo potere.
Sarà un libro particolarmente fortunato: nel 2000 uscirà la seconda edizione e un anno dopo la terza. Una
copia di questa è stata offerta a Benedetto XVI. Nell’anno del Giubileo
viene pubblicato “La Vedetta del cie-
lo”, dedicato al Santuario mariano di
Monte Grisa, alle spalle di Trieste.
E ancora: “M. O. Giorgio Cobolli,
l’eroe di Sidi el Barrani” (2003) e
“Medico d’anime - La vita di Marcello Labor” (2004). ●
Panorama 19
Personaggi
«Arrivano gli alleati!» e mons. Santin fu liberato
R
anieri Ponis è fra l’altro l’autore della trovata
con cui il vescovo Santin, evitati maggiori danni
dall’aggressione subita a Capodistria nel 1947, arrivò
fortunosamente a Trieste. Previa comunicazione alle
autorità, il 19 giugno, festa del patrono San Nazario, il
presule era giunto da Trieste con il piroscafo per celebrare il pontificale e amministrare la cresima. Mentre,
indossati i paramenti, si trovava nel seminario, fu aggredito da una turba fatta affluire soprattutto dal contado e tempestato di pugni, schiaffi e calci. I capodistriani si rivolsero agli uomini della Difesa popolare
chidendo loro di intervenire, ma la risposta fu: “Non
abbiamo ordini”.
Ad un certo punto Ponis si portò di scatto dinanzi
al loro comandante, colonnello Caharija, dicendogli:
“Dal giornale mi informano che gli Alleati stanno per
superare il posto di blocco di Albaro Vescovà: fra un
quarto d’ora sono a Capodistria!”. Non era vero ma
l’ufficiale percepì il supposto pericolo e telefonò affannnosamente a Lubiana, che lo rimandò a Belgrado. Da qui a quanto pare fu lo stesso Ranković, allora
ministro degli Interni, che con voce tuonante gli ordi-
che significa che per lo meno se ne
vanno al lavoro senza il minaccioso
accompagnamento di militari armati.
Anche per il giovane interprete la vita
diventa più facile.
La Capodistria che trova è ben diversa da quella che aveva lasciato. Il
nuovo potere è tenacemente proteso ad affermarsi e a consolidarsi con
ogni mezzo, come emergerà drammaticamente anche dall’aggressione subita nel 1947 dal vescovo Santin, che
si salverà proprio grazie a una trovata
di Ponis, il quale tempo dopo lascerà
pure la città della sua infanzia per arrivare nel 1950 esule a Trieste ed entrare al ‘Piccolo’ di Chino Alessi, il
suo “primo indimenticabile direttore”.
Vi rimarrà per oltre trent’anni percorrendo un po’ tutti i gradini della carriera fino a diventare capocronista
e infine andare in pensione nel 1990
come caporedattore. Si occupa giocoforza dei tempi più diversi, è la medicina però quella che gli è più cara,
tanto che qualche anno dopo è il creatore della pagina sulla medicina, che
non solo darà prestigio al giornale, ma
farà anche significativamente aumentare le vendite del mercoledì, giorno
in cui esce. La pagina si guadagna ulteriore lustro dopo aver vinto un concorso indetto da un’associazione fem-
20 Panorama
nò di liberare il vescovo e accompagnarlo alla linea
di demarcazione. Immediato il cambio di scena: gli
uomini della sicurezza intervennero con estrema rudezza contro “i compagni” che non riuscirono a raccapezzarsi. Il vescovo e un gesuita, padre Porta, vennero
fatti salire su un camion che si mise in moto, preceduto dal colonnello e due ufficiali su un’automobile e altri due camion di militi con le armi imbracciate. Alla
linea di demarcazione, semideserta, il colonnello si rivolse ufficiale della Polizia civile dicendo: “Vi consegno vostro vescovo”. Prima di separarsi, il presule gli
strinse la mano e lo ringraziò. Non c’erano però mezzi per proseguire alla volta della curia. Alla bisogna
servì perciò il camioncino di un piuttosto recalcitrante panettiere.
Anni dopo, messo al corrente del retroscena, Santin ringraziò il giornalista e, pur non legandolo al segreto, lo pregò di rimandarne la diffusione, magari di
anni, aggiungendo che era comunque libero di renderla nota quando lo avrebbe ritenuto opportuno. Ponis lo
ha fatto solo nel dicembre dell’anno scorso, 27 dopo
la morte del vescovo. ●
minile a cui, si badi, era stata candidata non dal redattore ma dal direttore del giornale. Ovviamente l’editore
Monti è informato e, quale “premio”
che fa? Sottrae la pagina al ‘Piccolo’
per “dislocarla” a Bologna dove venivano confezionate le pagine comuni di
tutte testate di cui era proprietario. In
compenso, se così si può dire, Ponis
avrà la soddisfazione d’essere accolto quale socio onorario dall’Associazione medica triestina e otterrà la Medaglia d’oro dell’International College
of surgeon. Nessuna meraviglia allora
che alla domanda se ritrovandosi gio-
vane tornerebbe a imboccare la strada
del giornalismo, risponde che sarebbe
comunque combattuto fra questa professione e quella del medico. Come dimenticare gli incontri con persone che,
gli riferivano, pur di leggere quella pagina, anche vivendo in posti lontani i
loro genitori compravano il giornale o
di altri che, a conferenze o convegni
lo avvicinavano per dirgli che, letti i
suoi testi, avevano capito molto bene
le malattie che li affliggevano tanto da
indirizzare in tale senso il loro medico curante?
Una lunga vita, una professione,
che lo ha portato a incontrare anche
nomi di grido. Chi lo ha maggiormente impressionato? Come prevedibile, emergono innanzitutto nomi
del mondo della medicina: il chirurgo Michael De Backey, Albert Sabin,
lo scopritore del vaccino contro la poliomielite. Subito dopo una figura del
tutto diversa: “Ricordo con particolare simpatia e affetto quel maggiore
russo , unito al rimpianto di non averlo potuto rivedere né aver potuto far
mai nulla per lui. Credo che quell’incontro mi abbia salvato la vita, perché
non pochi italiani, già prigionieri dei
tedeschi, a fine guerra furono bloccati in Polonia e morirono letteralmente
di fame. ●
Personaggi
Prima le violenze dei nazisti
poi quelle dei russi vincitori
L’
eperienza tedesca del gionalista è ben condensata nel libro “Berlino 1944 - 1945 - testimonianza oculare”, uscita nella
seconda metà del 2007. L’opera
abbina le vicende personali ai tragici eventi di portata epocale che
si susseguono nell’arco di circa un
anno, fino alla conclusione della
guerra. Le SS continuano ad essere implacabili fino all’ultimo. Una
prova: il cadavere di un giovane
uomo in divisa appeso a un lampione nel centro di Berlino con sul
petto la derisoria scritta: “Sono il
sergente X.X. Ero troppo vigliacco per difendere donne e bambini.
Perciò sono stato impiccato”. Cessate queste violenze, seguirono
quelle delle forze sovietiche, che
arrivarono qui in preda a un odio
difficilmente represso, che risaliva all’attacco di Hitler di quattro
anni prima. Due erano gli “oggetti” particolarmente ambiti: le donne e gli orologi, tanto che, si dice,
quando due cittadine di Berlino
s’incontravano, la domanda, terri-
bile nella sua asciuttezza, non era
affatto “Anche tu?” bensì “Quante
volte?”. Le violenze furono generalizzate tanto da estendersi a fasce d’età altrimenti impensabili.
Ci furono ufficiali che, non avendo la forza di proibirli, raccomandavano ai subordinati di non abbandonarsi agli stupri, ma di regola le raccomandazioni cadevano nel vuoto. In un caso, un uomo
che aveva tentato di difendere una
concittadina da una coppia di assalitori finì a terra sotto i colpi infertigli con il calcio dei mitra.
Una parte delle poverette risentì tanto delle violenze da impazzire
o togliersi la vita, la maggior parte tuttavia superò lo choc con una
certa rapidità, forse perché la tremenda “prova” era da considerasi
parte di quella sventura collettiva
che veniva ad abbattersi su una società allo sbando.
Una copia del libro è stata donata alla cancelliera Angela Merkel durante la visita di qualche settimana fa a Trieste. ●
Un’immagine emblematica di come si presentava la capitale tedesca
dopo la capitolazione e durante l’occupazione sovietica. Un soldato
tenta di portar via la bicicletta a una donna (da “Berlino” di Antony
Beevor edito da Rizzoli)
Nato la notte
di Natale
N
ato a Pola la notte di Natale
del 1925 (“Pensate quanto sono buono: ho lasciato che
prima arrivasse Lui e a distanza
di un’ora e mezza mi sono presentato io” gli piace scherzare)
Ponis si è trasferito presto con
la famiglia a Capodistria. Esule a Trieste dal 1950, per oltre
trent’anni è stato giornalista del
Piccolo, fino a diventare capocronista e quindi caporedattore.
Per la sua vastissima produzione scientifica è stato proclamato socio onorario dell’Associazione medica triestina. Per un
periodo ha prestato la sua opera pure alla sede regionale della RAI.
Sotto la sua presidenza il
Gruppo giuliano cronisti crea
il “San Giusto d’oro”, il massimo premio di Trieste ai suoi figli migliori. Primo a ottenerlo
sarà il chirurgo Pietro Valdoni.
Seguiranno, fra gli altri Claudio
Magris, il Trio di trieste, Boris
Pahor, le comunità degli esuli
in Australia, l’archeologo Doro
Levi, la pittrice Leonor Fini,
Brenno Babudieri (quest’ultima
consegna, in una clinica romana
con il microbiologo in condizioni ormai disperate, fu particolarmente toccante).
Quale riconoscimento, a Ponis è stato assegnato il Sigillo
trecentesco del Comune. È insignito pure dell’onorificenza di
Commendatore al merito della
Repubblica italiana e della Medaglia d’oro dell’International
College of Surgeons.
Grazie alle sue campagne di
stampa sul “Piccolo” è riuscito
ad evitare la demolizione della casa natale di Nazario Sauro,
nel rione di Bossedraga, la zona
del nuovo porto di Capodistria.
Altri suoi servizi si sono rivelati decisivi per l’intervento delle autorità locali e soprattutto di
Lubiana nel primo restauro diPalazzo Pretorio.●
Panorama 21
Cinema
Departures vince l’undicesima edizione del Far East Film Festival di Udine...
Ma Fish Story piace anche di più
di Massimiliano Deliso
Scandal Makers
U
n trionfo annunciato. Departures, il capolavoro giapponese
griffato Takita Yojiro, vincitore
del Premio Oscar come migliore film
straniero all’ultima edizione degli Accademy Awards, si impone nettamente anche all’undicesimo Far East Film
Festival, riscontrando una media di
quasi quattro punti e cinquanta su cinque nel gradimento del pubblico. Una
kermesse riuscitissima, che, a detta del
factotum Thomas Bertacche, è riuscita
a decollare grazie al passaparola multimediale. I centocinquantamila euro di
entrate in otto giorni, grazie alla vendita dei biglietti e gadgets, confermano,
una volta di più, la bontà di una manifestazione culturale coinvolgente, che
attira, oltre ai patiti del genere, sempre
più curiosi da ogni parte del Vecchio
continente e da oltre Oceano. Si è rinnovata così, anche quest’anno, la collaborazione tra CEC, che organizza a
Udine il festival, e Lucky Red, che porta, prima dell’inaugurazione ufficiale e
nelle sale di tutta Italia, il Festival Trailer, simbolo stesso di Far East Film, affidato quest’anno alla giovane regista
slovena Špela Čadež. Apprezzatissima
autrice di corti in animazione, la Čadež
ha realizzato un piccolo capolavoro,
un’intelligente e sensibile variazione
sul tema del dialogo, dove le distanze geografiche tra Oriente e Occidente
vengono azzerate da due pupazzi e da
un piatto di spaghetti, con toni fanciulleschi e disincantati. L’Est europeo comunica con il lontano Oriente asiatico
grazie a un noodle da record, che farà
scattare l’amore e porterà a un divertente, romantico e dolce bacio finale.
Departures dicevamo, una pellicola delicata, che introduce l’amore per
la vita partendo dal concetto di morte, commovente, a tratti assolutamente
raffinato, paradossalmente sobrio nella straordinaria fotografia, una regia
incantevole e sicura, semplice la storia del protagonista Daigo, un violoncellista che perde il suo impiego ed è
costretto a ritornare al paese d’origine
per lavorare presso un’agenzia di pompe funebri. Mentre si impadronisce
22 Panorama
delle tecniche per la preparazione dei
defunti, comincia anche un viaggio introspettivo che lo aiuterà a comprendere la propria esistenza e la propria vita.
Un esempio del rapporto tipicamente
giapponese con la morte, vista come
un viaggio che parte dalla coscienza
fino a sublimare una nuova esistenza
dentro a un universo parallelo.
Totalmente diverso l’approccio con
l’esilarante film coreano Scandal Makers, di Kang Hyeong-Chul, che si è
guadagnato la piazza d’onore, anche
se, per gran parte degli appassionati, è il vincitore morale di questa edizione del FEFF. Questa commedia che
ha come protagonista un Dj radiofonico estremamente famoso che scopre,
d’un tratto, di essere padre e, addirittura, nonno, possiede un ritmo atipico,
i ghirigori comici si susseguono senza
lasciare spazio a niente che possa annoiare, un piccolo gioiello del genere.
Meritato il terzo posto per The Rainbow Troops, pellicola indonesiana di
Riri Riza, un film che parla di bambini disegnato per un pubblico di bambini che incanta, però, anche lo spettatore adulto, che si intenerisce ammirando la lotta per cercare di far rimanere
aperta una scuola e permettere a qualsiasi alunno di mantenere la possibilità
di emanciparsi attraverso l’istruzione.
Una bella sceneggiatura, senza dubbio,
soprattutto nelle intenzioni morali. Il
livello tecnico dei film scelti dal Cen-
tro Espresioni Cinematografiche, che
decide le cinquantasei pellicole in concorso dopo averne visionate centinaia,
è sempre maggiore, in alcuni momenti molto “occidentale” a dire il vero,
pur mantenendo una certa particolarità nella trascrizione e nell’unicità di
certe idee assolutamente originali. Non
sono saliti sul podio, purtroppo, le due
pellicole che più ci hanno colpito, One
Million Yen Girl, della giovane regista
giapponese Tanada Yuki, un road movie girato con grande talento e acume,
e, soprattutto, Fish Story, di Nakamura Yoshihiro, uno dei film più belli delle ultime edizioni del FEFF, una vera e
propria sorpresa, così come lo era stata, l’anno passato, Gachi Boy. Leggendo la sinossi si potrebbe pensare di essersi imbattuti in un film assurdo, dominato da una certa retorica metafisica, visto che racconta di una cometa in
rotta di collisione con la terra mentre la
salvezza dell’umanità passa attraverso
la canzone di un gruppo punk nipponico. In realtà non è così, tutto acquista un senso logico via via che la trama
si dipana e avvolge lo spettatore, non
ci sono pause, niente è lasciato al caso
dentro al negozio di vecchi dischi in
vinile rimasto aperto a sole cinque ore
dall’impatto, dove si riuniscono, oltre
al proprietario, un cliente abituale e un
malato terminale, una sorta di pseudo
cattivo. Personaggi che ricostruiscono
insieme la storia di questo gruppo nato
Cinema
Departures
l’anno successivo all’esplosione dei
Sex Pistols e diventato famoso in tutto
il Giappone a causa dei quaranta secondi di pausa dentro al singolo più ascoltato di tutto il trentatrè giri, particolarità
che rende la canzone stessa una sorta di
leggenda, ancorata al mistero dell’urlo di una giovane donna che, udito da
un passante, darà inizio ai preparativi
per la salvezza del pianeta. La bellezza
della sceneggiatura è rilevante, geniale l’esposizione della soluzione finale,
bello il pretesto narrativo.
Una delle poche note dolenti riguarda la proiezione del blockbuster Yattaman, costosissimo fantasy che, nelle quasi due ore di proiezione, sfiora
il ridicolo, nonostante il budget non
certo irrilevante di questa produzione
giapponese firmata da Miike Takashi,
che ricordiamo per altri lavori assolutamente migliori e degni di nota, sicuramente diversi da quesa trasposizione
super hero assolutamente inutile e priva
di significato. Ma va bene così, il pubblico sembra apprezzare ugualmente,
sospinto forse dal ricordo dell’omonimo cartone animato che imperversava
in Europa una ventina d’anni fa. K-20:
Legend of the mask è, al contrario, uno
spettacolare film diretto dalla bravissima Sato Shimako, ricco di effetti speciali e momenti di azione pura tirati
allo spasimo, da vedere assolutamente, anche per le piccole pause comiche
che fanno da contorno al soggetto tipicamente fumettistico. Oltre al tradizionale mercoledì dedicato al cinema horror, che quest’anno presentava titoli di
buon livello, certo, ma che non ci ha
entusiasmato alla follia, hanno fatto il
pieno e riscosso un discreto successo le
proiezioni erotiche del dopo mezzanotte, i cosidetti Pink Movie, film assolutamente soft che, grazie a un continuo
ricorso al sarcasmo, riescono a divertire senza sfiorare mai la volgarità. Una
citazione va a Love Master 3, grezzo
nella forma e nelle intenzioni, assolutamente divertente nel risultato. Non è
dispiaciuto il capolavoro epico coreano
A Frozen Flower, intanto per l’enorme
fotografia, e poi per una certa sensibilità nel trattare l’argomento di un amore
omossesuale d’altri tempi, evidenziata dall’ottima prova recitativa di Zo In
Sung e Joo Jin Mo, senza fronzoli ma
con un grosso impatto emotivo. Il film
d’arti marziali thailandese Chocolate
ha tenuto la platea con il naso incolla-
Fish Story
to allo schermo, per merito delle evoluzioni aeree di una giovanissima attrice,
Yanin Wismitanant, che si è dimostrata
atleta straordinaria nelle sue acrobazie
di incredibile impatto scenico.
Nell’insieme il “Far East Film Festival” si presenta sempre con una veste curata, Sabrina Baraccetti si dimostra una brava padrona di casa, Thomas Bertacche un preparato scopritore
di talenti. L’arredamento all’interno del
Teatro Giovanni da Udine è meno eccentrico degli anni scorsi, ma forse più
variopinto, la qualità delle produzioni
in concorso aumenta di anno in anno,
lasciando al Giappone la parte del leone, ma proponendo, in numero sempre
maggiore, lavori che arrivano da paesi
con meno risorse finanziarie, come Indonesia e Thailandia, teletrasportando
lo spettatore in un viaggio spazio-temporale alla scoperta di un mondo cinematografico sempre più tecnologico,
ma che riesce, nonostante un certo inaridimento intellettuale dettato dal progresso di facciata, a mantenere una sua
indipendenza culturale e artistica, che
non è certamente cosa di poco conto in
un panorama dominato dai quattrini e
dalle esigenze di botteghino.●
Panorama 23
Cinema e dintorni
Delusione, comprensione e qualche dubbio sulla realtà sociale che Francesca
L’amicizia? Argomento troppo dif
di Gianfranco Sodomaco
C
hi trova un amico trova un
tesoro... L’avevano già capito molti antichi saggi (Socrate, Cicerone, Epicuro tra i tanti), soprattutto tra maschi, con un’idea razionalista-maschilista dell’amicizia,
contrapposta all’”amore” femminile,
sentimento dominato dalla passione,
dall’eros ecc., più tipicamente legato,
secondo loro, al gineceo. Ma anche
la scienza odierna ci avverte (ricerca condotta in Australia - La Repubblica, 24 aprile) che i rapporti amicali fanno bene alla salute, migliorano
le prestazioni cerebrali, diminuiscono lo stress e dunque la probabilità
di “defungere” in anticipo rispetto ai
“cuori solitari”. Anche procedendo a
naso, senza velleità scientifiche, non
è difficile comprendere che l’amicizia, il poter contare su qualcuno in
particolare, il sentirsi compreso, a
fondo, da un’altra persona, l’amico/a
del cuore, aiuta non poco la nostra
vita psicologica e quindi anche tutto il resto. Ma, tornando al proverbio
iniziale, l’osservazione che precede
è: d’accordo, però prima bisogna trovarli gli amici e, prima ancora, come
nasce un’amicizia, quali sono gli “ingredienti” necessari?
Ecco, forse Questione di cuore,
di Francesca Archibugi (“Mignon è
partita”, 1988 - “Verso sera”, 1990 “Il grande cocomero”, 1993 - “L’albero delle pere”, 1998, ecc.), nel costruire una storia d’amicizia, si pone
soprattutto questa domanda e cerca
di dare una risposta. La storia.
Drammatico l’incipit: in montaggio parallelo, i due protagonisti finiscono al pronto soccorso per attacco
cardiaco. Il primo, Angelo (Kim Rossi Stuart), sembra l’erede dei semplici poveri ma belli della nostra commedia nazionale; anche se col suo lavoro di carrozziere provvede bene a
una famiglia già numerosa: Rossana
(Micaela Ramazzotti), la moglie incinta, Perla, una figlia adolescente e
Airton, il più piccolo, con un nome
impegnativo, quello del mitico corridore automobilistico. Il secondo, Alberto (Antonio Albanese), pare esere
24 Panorama
Questione di cuore, decimo film della regista romana Francesca Archibugi
il suo opposto speculare: è uno sceneggiatore cinematografico (in ospedale gli faranno visita, dal vero, un
vezzo della regista, Daniele Luchetti,
quello di “Mio fratello è figlio unico”, Paolo Virzì, quello di “Tutta la
vita davanti”, Paolo Sorrentino, quello de “Il divo”, Carlo Verdone che si
esibisce in un cameo un po’ scontato, quello che sa tutto di medicina,
e Stefania Sandrelli per cui basta la
presenza a riassumere tutto un filone del cinema italiano, evidentemente tutti amici della Archibugi) colto e
sarcastico, dissipatore, instabile negli
umori come nei sentimenti. L’incontro, in sala di rianimazione, genera
una strana coppia. Accomunati dalla
malattia i due diventano grandi amici, come se ciascuno fosse l’unico
capace di capire stato d’animo, fragilità e speranze dell’altro. Il sodalizio
cambia la vita soprattutto ad Alberto, che va ad abitare con Angelo e i
suoi (anche perché lasciato dalla sua
fidanzata Francesca che non lo sopporta più); finché l’aggravarsi delle
condizioni di salute di Angelo innesca un processo, forse, del tutto inatteso, in cui protagonista diventa Ros-
sana, la moglie di Angelo che, intuendo che al marito resta poco da vivere,
si “avvicina” ad Alberto per farsi aiutare a vivere l’idea straziante di una
possibile “dipartita” del congiunto
(che ama molto, e di cui porta ancora
in grembo il segno di quell’amore).
E questo spiazza Alberto, così come
tutta la storia, ma al tempo stesso lo
mette in condizioni di toccare ancora più da vicino, lui che le storie le
inventa, il mistero della vita e della
morte (e noi spettatori con lui).
Il film, giustamente, si ferma qui,
lascia tutto in sospeso, è una commedia, non deve chiudere tragicamente,
ma è una commedia strana, dove si
ride ma molto più spesso si sorride
amaro (e giustamente, come ha scritto Paolo Mereghetti sul Corriere del
17 aprile, la stagione della commedia all’italiana classica, alla Risi o
alla Monicelli, va considerata definitivamente chiusa e forse, come maestro della Archibugi, si può pensare all’”umanista e antropologo Luigi
Comencini, quello di “Incompreso”,
1966, di “Voltati Eugenio”, 1980, di
“Un ragazzo di Calabria”, 1987 ed
altri numerosissimi film dove pre-
Cinema e dintorni
Archibugi racconta nel suo recente Questione di cuore
ficile anche per i registi
vale una visione intimistico-familiare della società italiana, più contenuta e smorzata nei toni, non necessariamente più provincialistica). E allora davvero il film invita a tornare
alla domanda iniziale: come nasce
un’amicizia? E potremmo aggiungere: cosa racconta questa amicizia della odierna società italiana (anche perché gli elementi locali, regionali, dialettali ecc., pur presenti, non hanno
una funzione determinante)?
Mica semplici le risposte. E allora
ho tirato fuori dalla borsa uno dei libri
che mi porto sempre dietro, la Garzantina di Psicologia del mio maestro
Umberto Galimberti e sono andato a
leggermi la definizione di “amicizia”
secondo lo studioso Biswanger: “sentimento che scaturisce dall’incontro tra due o più persone che percepiscono una comunanza di interessi,
di valori e di ideali e che per questo
stabiliscono delle interazioni intime
fondate sulla comprensione e sulla
fiducia reciproca... Nell’adolescenza
si realizza in forma molto esclusiva,
determinando un tipo di attaccamento molto simile all’amore che, in certe fasi, può giungere anche a crisi di
gelosia o a forme di amicizia partico-
lare a intonazione sessuale”. E infatti i nostri due eroi un po’ regrediscono allo stadio adolescenziale, recuperano l’ingenuità un po’ cialtrona e
disarmata tipica dell’età di mezzo; e
infatti ad un certo punto, quando Angelo si sente fuori gioco, lascia che
quella strana amicizia ora Alberto la
viva con la moglie quasi si trattasse
di uno strano amore.
Ma non è finita. Si aggiunge che
“la forma amicale si fonda sulla partecipazione, dove ciascuno prende
parte all’altro in tre possibili forme:
1) il partecipare con qualcuno a qualcosa..., un’idea, un viaggio, una stanza, una malattia, ecc.; 2) il parteciparsi qualcosa l’un l’altro attraverso la
comunicazione di informazioni, senza un coinvolgimento dei rispettivi
mondi interiori: in un ospedale fatalmente ci si racconta le proprie vite...;
3) la partecipazione a un medesimo
destino attraverso la confidenza intima, la condivisione della vita dell’altro. E certamente Angelo ed Alberto
a questo stadio arrivano ma... C’è un
ma: Biswanger conclude dicendo che
“non attraverso la partecipazione ad
un mondo comune gli amici prendono parte l’uno all’altro, ma, al con-
Antonio Albanese e Kim Rossi Stuart, nella pellicola uscita un mese fa
trario, nella reciproca partecipazione
degli amici si costituisce la comunità del mondo” (“Per un’antropologia
fenomenologica”, Feltrinelli, 1970).
Cioè a dire che, nell’amicizia, si parte
dall’io, dai singoli e che essi, in qualche modo, “costruiscono” la realtà
sociale che li circonda. Se così è (io,
personalmente, non sono così sicuro),
qual è la realtà sociale che la Archibugi, attraverso questa storia d’amicizia, ci restituisce? Ecco, il problema del film è proprio questo: che fa
molta fatica ad andare oltre i confini del quartierino dove la vicenda si
svolge (il Pigneto, zona cara a Pasolini) e a dirci qualcosa di più sul significato di questo incontro interclassista
(l’intellettuale e il carrozziere) nella
Roma, nell’Italia dell’anno dell’era
berlusconiana 2009. Ma, come dice
Mereghetti (vedi sopra), con un po’
di delusione mista a comprensione,
“son domande troppo complesse e
forse troppo difficili per tutti, anche
per registi e critici...”. Insomma, raccontare l’Italia divisa e sfaccettata di
oggi, attraverso la commedia, è diventato difficile, a meno di non cadere nella farsa o nella fiction televisiva, che però sono un’altra cosa. Forse per questo, forse, laddove per altri
aspetti lo meritava, il film non è andato al Festival di Cannes, di cui parleremo la prossima volta. Per il momento anticipiamo soltanto che ci è
andato il film di Bellocchio “Vincere”, storia privata e pubblica del figlio
illegittimo che Mussolini ha avuto da
Ida Dalser... ●
Panorama 25
Arte
I padiglioni della Fiera
Lampade (Artemide)
Milano, numeri record al 48.esimo Salone Internazionale del Mobile
Creatività per combattere la crisi
testo e foto di Maurizio Franolli
I
venti di crisi non sembrano soffiare sul mondo del design; si è
chiusa infatti da poco a Milano
con numeri da record la 48.esima
edizione del Salone Internazionale del Mobile. Nata nel lontano ‘61
da un’iniziativa di alcuni mobilieri,
la manifestazione è cresciuta, diventando la kermesse più importante al
mondo dove si scoprono gli oggetti
del desiderio di domani.
Dal Milano sono arrivati segnali incoraggianti, segno che qualcosa
si sta rimettendo in moto. A confermarlo non sono solo supposizioni,
ma cifre a parecchi zeri. Dal Salone
Internazionale del Mobile (48.esima
edizione), dal Salone Internazionale del Complemento d’Arredo (edizione numero 23), da Euroluce (25.
esima volta) e dal Salone Satellite
non è ancora fuggito nessuno, anzi:
i 220 mila metri quadrati del quartiere espositivo di Milano Rho hanno registrato il tutto esaurito, 2.723
le aziende che hanno esposto i loro
prodotti, di cui 911 straniere, 491 le
domande di aziende rimaste in lista
d’attesa, 304.702 visitatori di cui il
56 per cento stranieri provenienti da
ben 145 Paesi.
Dal 22 al 27 aprile i quattro Saloni assieme hanno raccontato l’arte
26 Panorama
del progetto, un grande evento che
non si accontenta di rimanere circoscritto negli spazi espositivi della Fiera, ma che sconfina nel cuore
della città per unire design, arte e architettura.
Anche nel settore dell’arredo non
è un momento facile. Il fatturato
2008 è sceso del 5 per cento rispetto
all’anno precedente con un mercato
interno che va anche peggio. A salvare le 31 mila aziende italiane sono
state le esportazioni, soprattutto verso Russia ed Emirati Arabi. C’era
quindi grande attesa di soluzioni
per affrontare questa crisi dilagante.
Le risposte che sono arrivate dalle
aziende e dai designer si chiamano
creatività e qualità; meno fronzoli e
più concretezza nel rapporto con la
realtà. La creatività, tratto distintivo
del made in Italy, non è certo mancata. Anche grazie ai tanti progettisti
stranieri che continuano a scegliere
l’Italia per produrre le loro idee.
Il bianco, il nero e il grigio i colori prevalenti, interrotti però da lampi di rosso fiammante, come se, nonostante tutto, non si volesse perdere
un pizzico d’ottimismo. Inoltre, forse per reazione alla crisi, è esplosa
una nuova tendenza: addio alle forme spigolose per lasciare il campo
a linee più comode e resistenti, puntando su arredi di grandi dimensioni e dall’ottimo comfort. Come Turner, il divano disegnato da Hannes
Wettstein per Molteni&C, dalle forme ampie e con le sedute che possono essere allungate, o come Celine,
una poltrona comoda ma anche bella presentata da Flou, mentre Antonio Citterio ha rivisto il suo Cestone
(Flexform), che ora ha cuscini che
superano il metro di profondità. La
tradizione del grande design di inizio Novecento è invece fonte di ispirazione per Piero Lissoni che con
Eve, in acciaio e cuoio, rende omaggio alle linee pure dei maestri del razionalismo che Cassina continua a
produrre con grande successo.
Al Salone erano presenti pure
molti protagonisti del mondo della moda con le loro linee di arredamento, come ad esempio Fendi, che
nel proprio stand ha ospitato “Craft
Punk”, una serie di performance per
celebrare l’originalità, la creatività e
la libertà d’espressione nel design.
Rigorosamente all’insegna del riciclo.
Euroluce
Per una settimana Milano si è illuminata di novità. La 25.esima edizione di Euroluce, Salone Internazionale dell’Illuminazione, ha ac-
Arte
Sedie (Thonet)
ceso i riflettori sulle lampade di domani: 525 espositori in fiera, di cui
174 esteri, e una fitta costellazione di
eventi a Milano. Bianco, nero e rosso
sono, anche nel campo dell’illuminazione, i colori della prossima stagione. Apparecchi per illuminazione da
esterni e da interni, apparecchi per illuminazione a uso industriale, per usi
speciali, luce a tutto campo, tecnologica, funzionale, essenziale o spettacolare, a seconda delle esigenze.
Nuove tecnologie pulite che si sposano con materiali tradizionali, dando vita a lampade capaci di illuminare senza inquinare. Parole e concetti
come ecologia, ecosostenibilità, materiali da riciclo, crisi, riecheggiano
negli stand, ma si notano pure nella progettazione e nella realizzazione
degli stand stessi, come ad esempio
quello di Flos, azienda storica dell’illuminazione, fondata nel 1962, che
come chiave del successo ha sempre
avuto quella vocazione utopica e creativa che vede designer e imprenditori alleati nel puntare sul progetto.
La «costola giovane»
Rappresenta la “costola giovane”
del Salone del Mobile, palcoscenico
privilegiato per la creatività giovanile. Mostra-evento dedicata ai designer under 35. Incubatore straordinario di talenti da cui, in undici anni
è uscita una moltitudine di “firme”:
Matali Crasset, Patrick Jouin, Satyendra Pakhalé, Paolo Ulian, i gruppi Front Design e Nendo.
Il Salone Satellite funziona non
solo perché costituisce un fantastico
Stand Flos
serbatoio di idee per l’industria; infatti tanti dei prototipi che si possono
vedere in fiera prendono subito la via
della produzione. Giovani designer,
pronti per diventare, con un po’ di
fortuna, le star di domani. In questa
edizione 702 giovani, di cui 420 stranieri, hanno presentato le loro proposte divertenti e stimolanti dedicate al
benessere e alla sua progettazione.
Appuntamenti collaterali
La manifestazione non è soltanto
un importante appuntamento commerciale, ma un avvenimento culturale, un evento di grande tendenza, che investe tutta la città di Milano; una grande folla si è riversata
negli show-room delle aziende storiche, ha visitato mostre e partecipato
agli eventi organizzati in centro, nella rodata e famosa Zona Tortona, nel
Quadrilatero della Moda, alla Triennale.
Dal 22 aprile al 21 giugno Palazzo Reale ospita la grande mostra Magnificenza e Progetto - cinquecento
anni di grandi mobili italiani a confronto, per far dialogare il Made in
Italy di ieri con quello di oggi.
Al Giardino della Triennale l’artista inglese della luce Cerith Wyn
Evans ha esposto Invocation (I call
your image to mind), un’installazione permanente, una gigantesca nuvola in tubi led sospesa per aria.
Infine, le aziende storiche, negli
show-room del centro hanno allestito esposizioni di assoluto interesse.
Aziende di grande tradizione come
Boffi, che con il suo architetto di ri-
ferimento, Piero Lissoni (Compasso
d’Oro alla carriera 1995) ha ribaltato
l’idea di cucine e bagni restituendo
importanza a gesti consueti.
L’Italia è riuscita a mettere insieme un sistema di aziende, progettisti,
comunicatori e una fiera, che rappresenta l’eccellenza, quella che hanno
avuto l’America nel dopoguerra e i
Paesi scandinavi negli anni Cinquanta. Tutti uniti per dimostrare che, nonostante le previsioni più negative,
quello di Milano è stato veramente il
Salone della rinascita, dove le parola
d’ordine sono state creatività e innovazione. Tutti d’accordo nel dire che
la crisi non deve appiattire, che bisogna continuare a rinnovare e che chi
è davvero creativo e ha un’identità
precisa potrà uscire da questo periodo difficile molto più forte di prima.
Per questo le aziende italiane, come
d’altronde hanno sempre fatto, continuano a puntare su architetti e designer d’eccellenza, come Afra e Tobia Scarpa, Gaetano Pesce, Mario
Bellini, Antonio Citterio, Piero Lissoni, Zaha Hadid, Patricia Urquiola,
Marcel Wanders, Jasper Morrison,
Konstantin Grcic, Marc Newson,
Philippe Starck... Quest’ultimo si è
trasformato da profeta del design democratico a paladino del design ecosostenibile: “Il design oggi ha vinto
una scommessa: essere finalmente a
prezzi accessibili, ma soprattutto duraturo e rispettoso dell’ambiente.”
Gli oggetti e i materiali nuovi saranno quelli che passeranno ai nostri figli e ai nostri nipoti. Solidi, indistruttibili ed ecosostenibili.●
Panorama 27
Reportage
L’entroterra raguseo vuole diventare una destinazione per gli agriturismi
La Valle dei Canali torna a rifiorire
testo e foto di Ardea Velikonja
S
e di Ragusa (Dubrovnik) si sa
tanto, si potrebbe dire a livello
mondiale, molto minore è invece il numero di coloro che saprebbero dire qualcosa di più sulla fiorente
valle che si stende alle spalle di questa città, racchiusa nel comune di Konavle. Il nome deriva probabilmente
dal latino “canalis”: l’intera valle è
infatti solcata da una gran numero di
fiumi sotterranei, la cui acqua, grazie
a canali costruiti dall’uomo, è arrivata fino all’antica Epidaurum, l’odierna Cavtat. Il comune di Konavle si
estende su una superficie di 209 chilometri quadri e comprende 33 paesi
in cui vivono in tutto 9500 abitanti.
La zona si divide in tre parti: quella
montuosa che confina con la Bosnia e
il Montenegro e comprende il monte
Snježnica (1234 metri); la parte centrale con la fertile valle attraversata
dal fiume Ljuta in cui confluiscono
tutti i torrenti sotterranei; e la parte
litoranea con le rocce a strapiombo
e le due penisole, la Molunat, con le
sue bellissime baie, e Prevlaka, posta
all’entrata delle Bocche di Cattaro,
che continua nel Montenegro. Un terzo del territorio è ricoperto da boschi
e l’albero che caratterizza la zona è
il cipresso. Cresce ovunque, enorme
e senza mai piegarsi, fenomeno che
nessuno ancora è riuscito a spiegare.
Cavtat è dopo Ragusa (Dubrovnik) il centro turistico di maggior interesse
Cavtat, e tutta la zona, data la posizione strategica, sono state da sempre ambite e contese. L’ultima volta
è avvenuto in questa guerra che ha
arrecato ingenti danni. Oggi comunque la ripresa è in pieno corso, le case
sono state rifatte e, data la vicinanza del mare (la distanza massima è di
15 chilometri) molti dei giovani tornati alle case avite hanno deciso tentare la strada dell’agriturismo. Questa il motivo per cui la seconda riunione dello staff di coordinamento
l’azione ecologico-educativa “Voglio
bene alla Croazia” si è svolta a Konavle. L’azione, ricorderemo, ha come
I canali che hanno dato il nome alla Valle
28 Panorama
scopo principale i migliori preparativi possibili all’entrante stagione turistica, ma anche di far conoscere le
parti della Croazia rimaste all’ombra
dei grandi centri turistici. Alla riunione partecipano come sempre il direttore dell’Ente turistico nazionale
Niko Bulić e i rappresentanti di tutte le contee, continentali o litoranee
che siano. Dunque ottima occasione
per una visita anche di quei giornalisti usualmente indotti a fermarsi a
Ragusa o Ragusavecchia.
Konavle, si direbbe, già da anni
si sta dando da fare mettendo in gioco” tutti i suoi 33 abitati. La conseguenza è la messa a punto di ben 22
agriturismi, mentre quelli che mancano sono invece gli appartamenti:
ne è provvista una sola casa nel paese di Radovčići, quella della famiglia
Rilović. La bella abitazione sovrasta
la piana e comprende appartamenti che possono venir usati da sei persone. Uno dei primi agriturismi della zona è stato quello della famiglia
Novaković, aperto nel Duemila dopo
che la loro casa era stata completamente distrutta nel corso degli scontri
del 1991. Bisogna sapere che tutte le
case della zona sono grandi, vere case
padronali, perché nel secolo scorso le
famiglie vivevano tutta unita, arrivando anche a comprendere anche fino a
30 persone. Ognuno aveva incom-
Ogni domenica i ragazzi della SAC Ćilipi si esibiscono in piazza
Il Museo di Ćilipi, distrutto in guerra e poi rifatto
Ogni casa ha il suo mulino
32 Panorama
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Un tempo prezioso aiuto all’uomo, oggi il cavallo e l’asino “fanno parte
del panorama”
Epidaurum, Ragusa Vecchia, Cavtat
Panorama 29
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ni: vino e grappa di fichi
Prodotti genuin
Konavle: il tipico costume nazionale
Le antiche tombe degli Illiri nella zona di Mikulići
Konavle,
Konavl
vle, la Valle dei Canali
L’agriturismo della famiglia Novaković: finora 10.000 ospiti
La penisola di Prevlaka
P
che fa da confine con il Montenegro
La famiglia Glavić è la più “vecchia” in fatto di agriturismo
Ieri ville dei ricchi, oggi dimora di artisti e agriturismo:
la casa del pittore Mijo Šišo Konavljanin
Popovići: si chiama Kojan Coral e ovviamente
vi si pratica l’equitazione
30 Panorama
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I confortevoli appartamenti
della famiglia Rilović
L’albergo Major ultimo nato nella zona si è fatto un nome
con le specialità culinarie
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Ogni domenica i ragazzi della SAC Ćilipi si esibiscono in piazza
Il Museo di Ćilipi, distrutto in guerra e poi rifatto
Ogni casa ha il suo mulino
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Un tempo prezioso aiuto all’uomo, oggi il cavallo e l’asino “fanno parte
del panorama”
Epidaurum, Ragusa Vecchia, Cavtat
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Reportage
benze precie, per cui c’era un vivere
ordinato. Poi, con l’andar degli anni, i
giovani sono partiti in cerca di lavoro
nei grandi centri turistici e nei grandi caseggiati sono rimasti solo i nonni che si occupavano dei campi. Oggi
i giovani benché lavorino nella vicina
Dubrovnik o Cavtat hanno deciso di
ristrutture le case dei nonni e metterle in funzione del turismo. Il tutto anche grazie alla vicinanza dell’aeroporto di Ćilipi dove arrivano la maggior
parte dei turisti che soggiornano nella zona ragusea. Il buon vino, le grappe fatte in casa, la carne cotta sotto la
tipica campana sono le specialità che
per esempio all’agriturismo della famiglia Novaković e altri hanno fatto
affluire nel corso degli anni migliaia
di turisti.
Oltre agli agriturismi nell’entroterra raguseo si stanno sempre più sviluppando altre attività come quella delle
piste per biciclette, le moderne automobili da safari, l’equitazione come
al Kojan Coral, gestito da un giovane
che non trovando lavoro ha decso di
Il pesce trattato come ai vecchi tempi: ottimo incentivo al turismo
joffrire qualcosa d’altro al turista. Le
passeggiate nei boschi in sella ad un
cavallo sono state molto ben accettate dai turisti che soggiornando in una
mondana Dubrovnik hanno voluto
provare qualcosa di diverso. Quindi,
come ha ribadito il segretario di stato per il turismo Ivo Mujo nativo del
posto, Konavle è destinata in futuro a
diventare una destinazione conosciuta
per i suoi agriturismi “come l’Istria o
forse anche meglio”. “Dobbiamo darci da fare per sviluppare e organizzare
meglio la produzione di olio di oliva
e allora saremo completi” ha concluso scherzosamente il segretario di stato nel corso del giro compiuto in questa splendida Valle. ●
Le cantine vinicole di Gruda
L
a storia dice che la viticoltura nella zona della Valle dei
Canali era la principale attività
di ogni famiglia. Già nel 1424 la
Repubblica ragusea aveva emanato un regolamento in merito ai
prezzi dei vini da cui risultava che
solo la Malvasia di Konavle, poteva essere venduta a prezzo libero. Ciò significa che questo tipo
d’uva era molto pregiato e attualmente alle Cantine vinicole si sta
facendo di tutto per riportare questo vino sui mercati mondiali. Costruite nel 1963, le cantine vinicole “Dubrovački podrumi” sono le
più grandi nella Valle dei Canali.
All’inizio potevano lavorare 250
vagoni di uva oggi si è arrivati ad
una capacità di 750 vagoni. Alla
fine degli anni Sessanta i vigneti
si estendevano su 157 ettari di terreno per la maggior parte distrutti
durante la guerra. Nel 2002 la cantina vinicola che si chiamava Gruda acquista i più moderni macchinari per la produzione di vino
e l’imbottigliamento con una ca-
Alla cantina vinicola “Dubrovački podrumi” ci sono i vini migliori
pacità di 2000 bottiglie l’ora e riprende intesamente la sua attività.
Oggi la Dubrovački podrumi dispone di 35 ettari di vigneti e di altri
70 ettari di vigneti privati che cooperano con le cantine. Vi si produce il Cabernet Sauvignon, il Merlot,
il Ragusa bianco, il Ragusa rosso, il
Plavac, il Kadarun, la Merlotina e il
Trajectum. La produzione ammonta
a oltre un milione di bottiglie all’anno che vengono in parte esportate e
in parte piazzate sul mercato nazionale. Ambiziosi i programmi per il
futuro con altre qualità di viti e un
intensa produzione di vino rosso.●
Panorama 33
Letture
L
o scorso giugno sono stati attribuiti i Premi della XLI edizione del concorso Istria Nobilissima, che hanno dato una nuova conferma dei potenziali creativi del gruppo nazionale italiano nei campi dell’arte e della
cultura. Ritenendo che di tali potenziali debba fruire il maggior numero di
lettori nelle pagine riservate alle letture, “Panorama” propone le opere a
cui siano stati attribuiti premi o menzioni. Nella sezione “Prosa in lingua
italiana” la giuria ha assegnato il primo premio a CARLA ROTTA di Dignano. Il titolo del racconto è ”Uscita di sicurezza”. Questa la motivazione:
“Racconto che nasce dal bisogno di raccontare/raccontarsi e che predilige
una scrittura parlata dove il rapporto tra l’io narrante e l’autore è trasparente. Colpisce la densità di motivi umani angosciosamente problematici”.
«Uscita di sicurezza»
Una motocicletta. Se la sarebbe comprata di sicuro. Era
il sogno della sua vita; fin da ragazzo aveva sognato una
dueruote cromata, potente, rombante. Aveva avuto un motorino con lo scappamento scoppiettante, anzi, come dire,
friggente. Sembrava sempre che acqua e piastra incandescente della cucina economica si scontrassero provocando
quel rumore di friggitura. Adesso si sarebbe concesso un boato ogniqualvolta avesse deciso di farci un giro.
Averla adesso, la moto! Certamente non sarebbe stato
prigioniero di quella fila di macchine ai piedi di un indisponente semaforo rosso bandiera. Si unì al concerto di clackson delle automobili che lo precedevano. Così, per automatismo. Probabilmente avevano iniziato a strombazzare appena il rosso si era trasformato in giallo, per evitare che il
primo tardasse ad ingranare e muoversi trascinandosi dietro quel metallico biscione multicolore.
Con una moto avrebbe potuto sorpassare tutti e arrivare
fin sotto il semaforo più impegnato a fermare il traffico che a
snellirlo. Onda verde un corno. Era una roccia rossa quella
che gli ingegneri del traffico avevano ideato.
Così ogni giorno, ogni santissimo giorno. Due volte al
giorno. Mattino e sera. Come un antibiotico. Solo che il dosaggio, invece di avere effetto benefico, lo mandava in bestia.
Chissà la sofferenza audio olfattiva di quelli con gli appartamenti sulla strada! Per questo lui e Angela se n’erano andati dalla città non appena avevano potuto farlo. In periferia.
Una bella villetta con un giardino minuscolo ma prezioso
con vista sulla città. Bella da vedere, difficile da vivere.
La villetta aveva le finestre spente. Il giardino era un po’
trascurato. Le finestre le avrebbe accese lui, adesso; il giardino, beh, avrebbe provveduto qualcun altro. ‘Speriamo il
più presto possibile’, pensò.
Dalla tasca della giacca gli uscì una canzone dei Creedence nello stesso istante nel quale vi ci infilò la mano per
cercare le chiavi di casa. Prese il cellulare che reclamava la
precedenza.
“Signor Attari?”
“Sì, pronto, sono io, dica.”
“Disturbo, forse...”
“No, no, per niente, dica pure”, rispose, interessato e attento.
“Non so come iniziare, ecco, io, vede, ho letto la sua, diciamo... inserzione. Non so se si può dire inserzione, annuncio, offerta...”
34 Panorama
“Va bene, diciamo annuncio, comunque ho capito; dica
pure.”
“Ecco, mi interessa.”
“Interessa in che senso, scusi? Vuole acquistare?”
“Veramente, non so. Voglio dire, non so se ho capito. Mi
incuriosisce, questo sì.”
Giancarlo riprese a cercare le chiavi di casa. “Scusi, ma
a me non interessano i curiosi: mi interessano gli acquirenti.”
“Vorrà ammettere, però, che l’inserzione, l’annuncio è
perlomeno strano.”
“Scusi di nuovo, ma sono affari miei. Non cerco qualcuno per dialogare ma per concludere l’affare. E mi sembra
che a lei, l’affare in sé, non interessi. Quindi, adesso, se non
le dispiace, avrei da fare.”
Il cellulare ritornò in fondo alla tasca della giacca; aveva messo in conto chiamate a vuoto: aveva risolto la prima.
Giancarlo rovistò un po’ alla ricerca delle chiavi; palpò tutte le tasche oltre la stoffa. Niente. ‘Acc!’, imprecò, ‘le
avrò lasciate nella scrivania. E adesso? Dormo in macchina?’ pensò ma non si preoccupò poi molto. ‘Ancora un po’,
si disse, ancora un po’ e poi cambierà tutto tutto tutto’.
Ritornò in macchina incerto se accomodarvicisi per la
notte o tornare in città, allo studio per riprendersi le chiavi. O magari arrivare al primo motel hotel affittacamere che
sia. Avrebbe potuto fermarsi dai suoi, sulla strada tra casa
e studio, ma ormai, quella casa, complice la condizione del
padre e lo spirito di sacrificio di sua madre, era diventata
imbarazzante. Dal sedile della macchina le chiavi gli sbarluccicarono negli occhi uno sberleffo. Evviva, si dorme a
casa.
Buttò la giacca sulla poltrona in soggiorno, si allentò la
cravatta, cercò il telecomando e riportò in vita il televisore.
Non aspettò per vedere quanto offriva: tornò in corridoio
alla ricerca delle pantofole. Le scarpe presero il loro posto.
Aveva bisogno di una doccia; voleva far scorrere via tutta la stanchezza, lo sporco della città, lo smog, la polvere,
il fumo dello studio... A dire il vero, al fumo ci contribuiva
generosamente anche lui, solo che adesso gli dava fastidio
tutto. Attraversò il corridoio cercando di slacciarsi i pantaloni: dalla scarpiera al bagno ebbe ragione della cinghia,
dei bottoni, saltellò prima su una gamba poi sull’altra rischiando di cadere sfilandoseli e li lasciò a terra. Angela si
sarebbe fatta sentire forte chiaro e lontano come le trombe
Letture
del giudizio universale. Fu il pensiero di un attimo. L’inutile pensiero di un attimo. Angela non c’era. Se ci fosse stata avrebbe avuto da ridire anche per la giacca (‘appendila,
cosa ti costa!?’), le scarpe (‘sai che bel vedere quando si entra in casa. Abbiamo una scarpiera, per questo’). ‘Tieni, Angela, brontola anche per questo’, disse a mezza voce e fece
volare la camicia sopra i pantaloni, appese la cravatta sulla
maniglia della porta del bagno, canottiera e boxer si accucciarono ai piedi della vasca.
Il getto di acqua fredda gli fece capire che ormai si era
preso tutto il benessere che lo scaldabagno gli potesse regalare e un po’ gli dispiacque. Il rumore dell’acqua cancellava tutti gli altri rumori e impediva ai pensieri di farsi
facilmente strada e così si lasciavano morire prima ancora
di nascere.
Era il cellulare, quel lamento ovattato che gli arrivava
oltre la porta aperta del bagno, per metà sauna a causa
di tutto quel vapore? Corse in soggiorno, scalzo, scivolò in
corridoio e per poco non prese in pieno la porta del soggiorno, si tuffò sulla giacca, agguantò il cellulare. “Pronto?”
Tu-tu-tu. Dall’altra parte, la solerte segreteria telefonica,
probabilmente stava spiegando a chi tentava di mettersi in
contatto con lui che “l’utente da lei selezionato...” Aspettò
un attimo: forse avrebbero ritentato di mettersi in contatto
con lui. Niente. Sussultò quando sentì di nuovo il cellulare.
Si accorse che era la pubblicità in TV proprio mentre ansioso portava il telefonino all’orecchio. Cambiò direzione al
gesto e lo posò sul tavolino. Lo sguardo gli scivolò sui piedi: Angela avrebbe avuto un infarto con tutta quell’acqua
a segnare il parquet. E se mai fosse sopravvissuta a tanto,
l’avrebbe falciata la visione di lui nudo come un pesce in
mezzo al soggiorno a guardare il cellulare in attesa di una
chiamata. Lui invece si mise a ridere come se avesse visto
la gag più divertente del decennio. E ridendo ritornò in bagno, agguantò l’asciugamano, si strofinò con forza, si infilò
accapatoio e pantofole, posò un piede su boxer e canottiera
e con ampi movimenti asciugò il pavimento. Sì, Angela a
questo punto, facendo onore al suo nome, sarebbe passata
a miglior vita. No, sarebbe stato davvero troppo: a miglior
vita sì, ma non onorando il suo nome. Di angelico, quella
donna non aveva proprio niente.
Prese dal frigo una birra, vuotò in una mano quanto restava nel sacchetto delle arachidi, sprofondò nel divano, allungò i piedi sul tavolino, accanto al cellulare. Prima o poi
avrebbe suonato.
Telefonare ore pasti, aveva specificato nell’annuncio.
L’ora pasti era quella, presumeva. Lui stava mangiando.
Oddio, birra e arachidi non si potevano proprio considerare pasto, ma tant’è, quello stava buttando nello stomaco. E
mentre considerava la differenza tra pasto e birrarachidi, lo
schermo della TV cominciò a tremare anticipando la suoneria del cellulare.
“Pronto? Giancarlo...”
“Dica.”, invitò l’interlocutore.
“Senta, la chiamo per l’annuncio. Disturbo?”
“No, per niente, dica.”
“Ecco, vede, vorrei chiederle qualcosa sull’offerta. Non
so se ho capito bene.”
Un altro curioso? “C’è poco da capire e da spiegare. Sta
tutto nell’annuncio, comunque, se crede, chieda pure.”
“Non capisco che cosa ha messo in vendita.”
“Quello che ho scritto - non aveva più dubbi: era un semplice curioso -. Scusi, è interessato all’offerta? Altrimenti la
prego di lasciare libera la linea per altre telefonate.”
“No, no, cioè sì sono interessato. Voglio dire, mi faccia
capire prima...”
“Che cosa non capisce?”
“Non capisco quello che vende.”
Se non capiva l’offerta, voleva dire che la merce non gli
serviva.
“Senta, credo proprio che lei sia solo incuriosito e non
interessato: chi vende sa che cosa vende, chi compra sa che
cosa vuole comprare.”
Tolse la comunicazione mentre l’altro diceva qualcosa
come “vorrà però convenire che...”
Non conveniva con niente. Lui, la merce in vendita l’aveva messa: chi cercava questa stessa merce avrebbe saputo
capire.
Frantumava le arachidi nervosamente, facendole passare tra la morsa degli incisivi, come un roditore. Come un castoro che ha ragione della corteccia di un albero per costruire la sua brava diga. Con un sorso di birra lavò via di tra
i denti pezzettini residui di arachidi, fece un rutto, controllò
che niente fosse rimasto facendo scivolare la lingua tra denti
e labbra e percepì solo il liscio dei denti.
Ieri. L’annuncio-inserzione-offerta era stato pubblicato
ieri. Finora aveva avuto due telefonate. Forse tre, con quella
che gli era sfuggita; bene, due di sicuro: una di un curioso e
la seconda anche. Ma sarebbero arrivate anche le chiamate
giuste. Ne era certo. Il tempo di leggere l’annuncio e magari
dormirci su. Cercare di capirlo per quello che era (un onesto
invito all’affare) e non una presa in giro. Qualcuno sarebbe
stato interessato di sicuro. Qualcuno come lui, al quale ormai tutto andava stretto al punto da sentirsi preso in un abbraccio stritolatore con addosso una gran voglia se non necessità di scappare per salvarsi.
Prese in mano il giornale con le inserzioni: case, appartamenti, offerte lavoro, crediti, servizi, automobili, animali,
varie. Lui era finito alle varie.
“AAA. Vendo la mia vita. Abitazione, conoscenti, amici,
ex moglie inclusi. Possibilità di impiego se del ramo. Prezzo a richiesta. Due settimane di assistenza. Telefonare ore
pasti; serale”. E di seguito il numero di cellulare. Che fosse
proprio il suo era sicuro. Del resto due telefonate, forse tre,
le aveva avute. Perchè così poche?
Ad essere sinceri, ma proprio sinceri sinceri, un’inserzione così l’avrebbe giudicata, anche lui, solo curiosa. O provocatoria. Avrebbe telefonato per curiosità? No. Ci avrebbe
dormito su. Il giorno dopo, l’inconsueta offerta gli sarebbe
tornata in testa ogni tanto. L’avrebbe fatto pensare. Poi, di
sicuro, avebbe chiamato per interesse. Lui.
Sentiva che, impigrito dalla doccia, rallentato dalla birra, avrebbe potuto addormentarsi subito ma non si lasciò
tentare. Dormire adesso, perché? Per risvegliarsi un paio
di ore dopo e non prendere più sonno? girarsi e rigirarsi nel letto con il nervoso che montava e alzarsi al mattino imbufalito e intrattabile? Cosa passava la TV? Avrebbe
potuto prender tempo con... no, “Le stelle cantano” no (fatele lavorare, le stelle!), “Delitti irrisolti” nemmeno (commetterei io, un paio di delitti: risolti o irrisolti non me ne
importa un fico secco), “Opinioni a confronto sul delitto
di Cogne” non se ne discute nemmeno (non c’è confronto:
Panorama 35
Letture
sbattete dentro quella madre piagnucolosa: vedete che ha
la scritta colpevole in fronte!?), “Pretty Woman” (signore
Iddio, ancora: la puttana che diventa fidanzata e poi sicuramente moglie dolcissima! Ve la racconto io la storia di
una moglie dolcissima diventata una woman molto pretty.)
Di nuovo il cellulare.
“Buona sera, signor Giancarlo - lo salutò una voce di
donna -. Sono della Gazzetta e le telefono in merito all’inserzione. Il mio capo vorrebbe un’intervista, possibilmente...”
Lui, possibilmente, avrebbe voluto un acquirente.
“No, mi dispiace: non sono un politico, non sono un
criminale, non faccio reality. Sui giornali oramai ci vanno
solo loro. Sono un uomo qualunque che si fa i cavoli suoi e
che vuole un po’ di rispetto della privacy. Saluti il suo capo.
Buonanotte.”
“No, no, aspetti! Non riattacchi! - gridò, poi, conciliante - La prego. Mi lasci spiegare.”
Ma sì, si spiegasse pure: non aveva niente da perdere.
Tanto, di passare la serata con Julia Coscialunga e Richard
Gambacorta (gli mettevano i tacchi per girare con la Roberts, ecco perché ci faceva una figura così brillante) non
ne aveva voglia. Così, si preparò a passare la serata con
l’illustre sconosciuta all’altro capo del filo.
“Dica pure.”
“Vede, abbiamo letto la sua inserzione e ci ha colpito.”
Disse proprio così, colpito; non incuriosito. Colpito. E
qui, l’illustre sconosciuta segnò un importante punto a suo
favore.
“Colpito? Perché?”
“Vorrà convenire che vendere la vita non è esattamente
come vendere un’automobile. È la prima inserzione del genere che ci capita di leggere.”
“Vuole dire che non ha mai letto inserzioni strane?”,
provocò Giancarlo.
“No, non ho detto questo: gente strana che mette inserzioni strane ce n’è un mare; la sua offerta non è strana nè
una presa in giro; anzi, io la ritengo molto seria ed ho proposto al redattore di approfondire. Lui mi ha detto di ricavarne un’intervista.”
Cominciava ad infastidirlo: ancora due frasi e sarebbe
stato lampante che era solo materiale giornalistico, invece,
captò nel discorso della giornalista una parola che lo fece
ricredere: disagio. Disse proprio così, “disagio”.
“...disagio interiore e mi farebbe piacere...”
“Cosa ha detto, scusi?“
“Dicevo che dall’inserzione traspare un certo disagio
interiore, certamente comune a molte persone, una voglia
di fuga, anche questa molto comune, ma nessuno finora
l’ha messa in questi termini. Per questo vorrei parlare con
lei, darle spazio sulle pagine del quotidiano. Così anche lei
avrà modo di spiegare a chi forse potrebbe essere nella sua
stessa situazione.”
“Che ne sa lei della mia situazione?”
“Niente, non ne so niente: scusi se ho sbagliato ma
non credo che uno metta la vita in vendita così, per scherzo o per fare quattro chiacchiere con chi chiama. E scusi
se sono maleducata, ma devo insistere. Del resto, cerchi di
capire: non si può mettere un’inserzione così e pretendere
di avere l’unica e sola telefonata che interessa. Fosse una
macchina, una Toyota, le telefonerebbero quelli interessa-
36 Panorama
ti ad acquistare una Toyota. Quindi chi cerca un’automobile e chi, tra le tante, vuole proprio una Toyota. Lei vende
la sua vita. Non può mettere come per la macchina, che ne
so... usata, rossa-bianca-nera, servosterzo, tot chilometri.
Eppoi, scusi, quando vende l’automobile, chi compra le dà
i soldi, lei consegna automobile e libretto di circolazione.
Come imballa la vita? Che vita è?”
‘Una vita di merda’, pensò Giancarlo. Ma non lo disse.
“E chi compra, cosa si porta a casa?”, chiese la tizia.
Il silenzio non durò a lungo ma fu imbarazzante.
“Per favore. Magari ci pensi e la richiamo domani. Non
mi dica di no. Ci pensi su. Non ha niente da perdere e molto
da guadagnare. Magari qualcuno non ha visto l’inserzione, o non l’ha capita: le facciamo pubblicità gratuita. Pubblicità che vende il prodotto, se posso permettermi. Allora,
ci pensa?”
“Va bene, ci penso. Mi chiami domani.”
“Però non rilasci interviste ad altri, adesso: il capo mi
fa lo scalpo se qualcun altro pubblica qualcosa prima di
noi.”
“Va bene, va bene: mi richiami domani nella pausa
pranzo e vedremo che fare.”
“Grazie, grazie. Ma mi tolga una curiosità: perché vende la sua vita e perché crede che qualcuno voglia acquistarla? Per farne che cosa?”
“Domani, ci sentiamo domani”. E riattaccò.
‘Perché vendo la mia vita? La vendo perché a me non
serve. Non questa e non così com’è. La vendo perché non
vale niente, ma voglio un rientro di quello che ci ho investito. E con questi soldi mi compro una vita nuova, come voglio io. Con i presupposti che voglio io. Ho avuto gli amici che ho avuto perché sono vissuto qui, ma non per scelta
mia; ho avuto tutto quello che ho avuto perché sono nato,
vissuto, ecc... qui. Ma se fossi nato altrove, la mia vita sarebbe stata diversa. Ecco, voglio una vita altrove’.
Richard Gere stava abbordando Julia Roberts: non proprio abbordando, voleva solo un’indicazione ma da lì sarebbe cambiata la sua vita. Senza essere Richard Gere, ma
forse era addirittura un po’ meglio, stava per cambiare anche la sua, di vita. Spense la TV sul sorriso da coccodrillo
della Roberts (‘ma quanti denti ha ‘sta donna?’) e si diresse verso la camera da letto.
Domani avrebbe dovuto dire qualcosa alla tizia del
giornale. Sì? No? Certo era stata brava a fargli annusare
odor di pubblicità. Non voleva diventare personaggio, ma
davvero, metti che a qualcuno con addosso la voglia, la necessità di cambiare vita, leggendo l’intervista venisse voglia di comprare la sua?
OK, ne conveniva: messa così, l’offerta sembrava strana davvero. Forse nemmeno lui avrebbe creduto nella buona fede dell’inserzionista. Ed infatti, allo sportello, la signora aveva abbassato gli occhiali sul naso e gli aveva regalato uno sguardo obliquo, ma talmente obliquo che se
fosse stato ghiaccio sarebbe caduto.
“Cosa ha scritto, scusi?”, gli aveva chiesto indicando il
testo con l’indice.
“Vendo la mia vita”, le aveva risposto, serio.
“Vendo la mia vita. Così deve stare?”
“Così deve stare.”
“Sicuro?”
“Sicuro.”
Letture
“Attenda”. Ed era sparita dietro una porta a vetro a consultare un collega. Oltre la trasparenza, questi l’aveva squadrato, aveva fatto spallucce e ficcato il naso tra le carte. Tradotto, alla collega: ‘Mah, fai quello che vuoi: se paga, scriva quello che vuole. Offendere, non offende nessuno’ e la
signora era ritornata allo sportello chiedendo, come se davvero stesse vendendo una macchina usata: “Quando la vuole, sul giornale”?
“Giovedì, e magari la ripeta martedì, e ancora giovedì.”
Uscì dall’ufficio inserzioni accompagnato dallo sguardo
tagliente e indagatore della stupita signora. La prima persona della lunga catena di stupiti esseri che avrebbe incontrato o sentito. Felici e soddisfatti della vita che facevano,
decisamente, se la sua voglia di cambiare li aveva scandalizzati tanto.
Disagio interiore, aveva detto la giornalista. Come si
chiamava? Forse non si era nemmeno presentata, aveva
mandato avanti la testata. Disagio interiore. No. Noia. Rabbia. Delusione. La sensazione di stare in un vicolo cieco.
Questo sì, ma non disagio. Disagio sarebbe stato continuare a vivere così, ma adesso che aveva deciso di cambiare
l’aveva fatto per rabbia e delusione e perché era fermamente
convinto di meritarsi un’altra vita. Migliore, possibilmente.
Chissà, forse sarebbe stata peggiore ed avrebbe rimpianto
questa. No. Difficilmente avrebbe rimpianto questa, e allora migliore o peggiore poco importava, bastava che iniziasse una vita diversa. Sua, solo ed esclusivamente sua, senza
riferimenti, nostalgie e segnali in agguato. Aveva deciso di
prendersi da solo una nuova possibilità: sarebbe nato un’altra volta, in un’altra città, libero dall’irriducibile solitudine
e impotenza che si erano impadronite di lui.
Quando? Come? Perché? Aveva avuto tutto per poter essere felice. Genitori normali. Che erano normali l’aveva capito quando ormai era adulto abbastanza da poter avere figli suoi: adolescente, li aveva creduti i più severi, i più conservatori del mondo. Eppure, lo avevano assecondato nei
suoi desideri, specie se collimavano con i loro. Tipo praticare lo sport. O fare l’università. Magari, se avesse deciso
di guidare il camion della spazzatura, avrebbero contrastato
questa scelta un po’ puzzolente. Ma, una mano sul cuore, tutti i genitori lo avrebbero fatto.
Erano diventati vecchi. Era nell’ordine naturale delle
cose, ma due genitori vecchi lui non li aveva messi in preventivo. Fossero stati in gamba, senza necessità e senza
pretese, sì, ma così... Con la scusa che Marco, suo fratello, aveva una famiglia e figli da seguire (balletto e corso
di francese la bambina, karate e calcio il figlio), ma anche
per il fatto che era stato capace di segnare il suo territorio con invisibili ma invalicabili confini, ogni qual volta c’
era qualcosa da sbrigare toccava a lui, Giancarlo. Le impegnative dal medico, le medicine da ritirare in farmacia,
la casa da imbiancare, piccole riparazioni, piccoli servizi.
Ed era sempre la solita storia: ‘non chiami mai... ti dimentichi di avere i genitori... guarda che non vivremo in eterno... hai mangiato?... guarda se un divorzio doveva toccare proprio a te... come fai con la biancheria? ... posso farti
io una lavatrice?’ Sua madre. Perché suo padre, ormai, si
era rifugiato in un mondo tutto suo. Lentamente ma inesorabilmente. Anche se lui si era quasi convinto che suo padre, alle distrazioni cliniche ogni tanto ci aggiungesse una
porzione di finzione bella e buona.
“Chi sei?”, gli aveva chiesto una volta, ad un pranzo
domenicale, Marco e famiglia al completo, i genitori e lui
allo stesso tavolo. Era appena l’inizio, e lui aveva creduto
al gioco di un vecchio che si voleva concedere un pizzico
di svago.
“Come, chi sono? Tuo figlio sono.”
“Non ho figli io. Sei il figlio di mio fratello.”
I bambini ridevano, Marco si divertiva, la cognata aveva fissato i presenti con uno sguardo rassegnato (non le era
mai piaciuta la famiglia, ma allora chi diavolo l’aveva fatta sposare Marco? Ah sì, la pancia che già s’arrotondava
sotto gli abiti). Nello sguardo di sua madre si era acceso un
lampo, a lui si era gelato il sangue.
“Sì, sì, sono il figlio di tuo fratello.”
“E come sta tuo padre?”
“Bene. Sta bene.”
Giancarlo si era sentito un animale, ma la cosa era finita là.
Sua madre gli aveva detto che il padre aveva preso a
parlare da solo (‘dai, mamma, lo faccio anch’io!’), dimenticava le cose (‘figurati, a volte compongo il numero e non
ricordo più chi sto chiamando!’), confondeva le persone
(‘a te non capita mai?’), ma era convinto che stesse esagerando. All’inizio le discussioni si facevano accese ad ogni
inciampo (‘come ti sei vestito? qua stanno le chiavi?’),
adesso, alla prima domanda stupida, lo lasciavano in pace
tutti, perchè alle loro rimostranze suo padre si faceva particolarmente testardo. Che fosse convinto di avere ragione?
O piuttosto per non ammettere che nella sua testa qualcosa
si stava rompendo?
“Chi sei?”, aveva chiesto una volta suo padre fissando,
truce, la nipotina. Lei, spaventata, era corsa dalla nonna.
“Non fare lo scemo, è tua nipote! Ecco chi è, tua nipote!
Sei contento adesso che l’hai spaventata? Fai il pagliaccio,
tu! Fai il protagonista!” aveva urlato Marco.
“Io non ho nipoti”, aveva risposto suo padre, serio e
composto.
La bambina era scoppiata in un pianto disperato. Marco, stizzito, aveva ribattuto “È la nipote dei Martini”, ignari vicini di casa giovanissimi, con figli alle materne.
“E perché la nipote dei Martini pranza da noi?” aveva
chiuso, candido, suo padre.
Era scoppiata una lite furibonda. Si erano messi a gridare tutti. Meno Giancarlo. Di colpo si era sentito un estraneo. Sua madre aveva il volto stanco, sciupato. Non era
solo effetto del tempo che passava. Era la condizione di suo
padre che le rubava la tranquillità, che le metteva addosso
ansia, tristezza per quell’uomo che era stato la sua forza e
adesso diventava la sua debolezza.
Quei due vecchi gli avevano regalato un’infanzia normale, un’adolescenza ed una giovinezza lineari; adesso si
stavano sgretolando sotto i suoi occhi e lui, di farsi carico
di questo peso aveva paura. La sentiva nelle vene, qualcosa che gli faceva tremare i polsi. Lui, la rassegnata e sacrificale pazienza di sua madre non l’avrebbe mai avuta e di
diventare ostaggio di un’emozione non se la sentiva. Nessuno gli aveva chiesto niente a chiare lettere, ma il ricatto
era lì, dietro l’angolo, pronto a saltare fuori come un delinquente con una pistola in mano: il delinquente per prendersi il portafoglio, l’emotività per prendergli il tempo, la vita.
(1 - continua)
Panorama 37
Teatro
Grandi nomi e grosso successo per la XVI edizione del Festival Internazionale
Letture senza inibizioni e limitazi
di Bruno Bontempo
L
e idee espresse senza tabù e
ambiguità morali e la convinzione di dover intervenire in
modo “eticamente responsabile”: questo, in estrema sintesi, il filo conduttore del XVI Festival Internazionale
delle Piccole Scene di Fiume, creato
e guidato con perizia ed entusiasmo
da Nenad Šegvić, che si avvale di un
prezioso e insostituibile sostegno finanziario della municipalità. Autentico marchio di qualità dell’offerta
culturale del capoluogo quarnerino,
la rassegna (assurta ormai a uno degli appuntamenti più attesi e quotati sulle scene della regione ex jugoslava), gode di un’alta considerazione anche all’estero. Il Festival dedica ogni anno particolare attenzione
alla drammaturgia contemporanea e
consente al (fedelissimo) pubblico un
contatto privilegiato con la realtà teatrale dei nostri tempi ed alla sua ricchezza di risorse e proposte artistiche, che si esplica con la presenza di
alcune compagnie di altissimo livello, intese come sperimentazione di
nuovi autori, interpreti e registi.
Anche l’edizione di quest’anno,
testé conclusa, è stata un autentico
gioiello, caratterizzata dalle spiccate peculiarità di tre nomi: la raffi-
“Hamlet”: regia di Oskaras Korsunovas dell’OKT Vilnius City Theatre
natezza e il sarcasmo dell’ungherese Béla Pintér (anche autore ed attore), l’estro e la capacità di stimolare
un’analisi introspettiva del lituano
Oskaras Korsunovas, la provocazione abbinata a una valida proposta di
lettura, interpretazione e attualizzazione dello spalatino Oliver Frljić.
Gli esperti hanno concentrato le
loro preferenze sul giovane regista
croato, autentico pigliatutto della
manifestazione, premiando parimerito come migliori spettacoli in as-
“Turbofolk”, regia di Oliver Frljić, produzione del Teatro Zajc di Fiume
38 Panorama
soluto e migliori regie tutte e due le
sue produzioni in lizza, una rilettura
de “Le Baccanti” di Euripide, realizzata con il Dramma dell’Estate spalatina, e “Turbofolk”, progetto d’autore che Frljić ha messo in scena con
il Dramma Croato dello Zajc di Fiume. I validissimi Oskaras Korsunovas (miglior drammaturgia, luci e
attore protagonista - Dainius Gavenonis - nonché premio del pubblico
con 4,65) e Béla Pintér (scene, costumi, musica) si sono divisi gli altri
riconoscimenti, poi - forse nel tentativo di riparare a qualche torto al regista-attore-autore ungherese è
stato assegnato un premio speciale
ad hoc. La sua “Dievoushka” è stata
forse la performance più interessante, convincente, originale, realizzata con raffinata eleganza, cristallina
dal punto di vista estetico, piacevole
e verosimile. Tecnicamente perfetto,
il lavoro - un mix di grottesco, sottile ironia e poesia - svela dolorose e
poco note pagine della storia magiara, il collaborazionismo e le crudeli
complicità con i nazisti.
Altro tema, altro quadro scenico, diverso approccio invece quello del lituano Oskaras Korsunovas:
“il teatro inizia nel camerino e finisce nel camerino e alla parabola di
Caino e Abele non c’è via d’usci-
Teatro
delle Piccole Scene di Fiume
oni di sorta
ta“ è il sunto del suo pensiero. Secondo Korsunovas il teatro nasce e
muore all’interno del camerino, dentro il quale lo specchio ha un ruolo
centrale: “Proprio nel momento in
cui un attore si trucca di fronte allo
specchio avviene un passaggio cruciale ed essenziale: è il momento in
cui vede se stesso e l’altro in se stesso. Lo spettacolo comincia con la
domanda chi sei tu? pronunciata davanti allo specchio. Questo approccio intimo con noi stessi è come se ci
avesse fatto restare nel camerino davanti allo specchio durante il trucco:
abbiamo portato il camerino sul palco - spiega il regista, che propone un
inevitabile confronto con se stessi -.
‘Amleto’ è il dramma della coscienza, la tragedia della coscienza. Metterlo in scena vuol dire confrontarsi
con la propria coscienza. Quest’opera pone le domande esistenziali: chi
sono io come essere umano? E chi
sono io come attore?“
Lo spalatino Oliver Frljić, coraggioso e trasgressivo, ha usato invece
il palcoscenico per affrontare e dissacrare alcuni tra i fenomeni contingenti della società croata, dagli sfondi oscuri, delicati, complessi, talora
problematici e di dimensioni preoccupanti. Si è parlato molto del fenomeno “Turbofolk” come di un caso
endemico dei Balcani che va ben oltre l’omonimo genere musicale, definito e guardato anche come sottocultura di massa, simbolo di un’involuzione identitaria della società basata sul populismo e sulle riscoperte
di un passato mitologico revisionato, autoreferenziale, con malcelate connotazioni politiche e così via.
Aveva fatto scandalo la scorsa estate
a Spalato la sua contestata rilettura
della tragedia di Euripide “Le Baccanti” (Bakhe), prima censurate per
un “eccesso di zelo” del sovrintendente, poi riabilitate con uno slancio
di generosa accondiscendenza dal
premier Sanader in persona, “in difesa dell’orientamento democratico
e della piena libertà di espressione”.
Sanader ha mandato giù (o inghiottito amaro?) anche l’uso che Frljić
“Dievoushka”: autore, regista e attore Béla Pintér (Budapest)
ha fatto di alcuni stralci del discorso pronunciato a Spalato nel 2001
dall’attuale primo ministro, (all’epoca leader dell’opposizione che contestava la consegna dei generali croati
al Tribunale dell’Aja) e delle notizie
sul caso Lora estrapolate dalla radio,
con poliziotti croati accusati di crimini di guerra per tortura e sequestro
di persona nel campo militare presso
Spalato, assolti in prima istanza dal
tribunale dopo un processo che mise
a nudo la difficoltà di giudicare tali
crimini a livello nazionale.
Non sono pienamente condivisibili tutte le scelte della giuria del
Festival presieduta dalla nota attrice
belgradese di adozione ma nativa di
Novi Vinodolski, Branka Petrić (ne
ha fatto parte anche il nostro connazionale Elvio Baccarini, preside della Facoltà di Filosofia di Fiume). Il
gruppo di esperti ha concentrato eccessivamente le sue attenzioni su
Oliver Frljić, lasciando i premi di
“consolazione” a Pintér e Korsunovas.
Pienamente meritata gratifica, invece, per la giovane belgradese Nada
Šargin (“Le nevrosi sessuali dei nostri genitori” dell’autore tedesco Lukas Barfuss, non ancora quarantenne, allestito dal Narodno pozorište
di Belgrado), che ha condiviso il titolo di miglior attrice con la spalatina Zoja Odak (impegnata nelle “Ba-
khe”). L’ottima ed equilibrata prestazione della Šargin ha confermato
la tradizionale validità della scuola belgradese di recitazione. Il suo
personaggio è inserito in una lettura scenica di grande sensibilità che
esplora le viscere di un nucleo familiare, dove si cerca di tenere sotto controllo istinti, passioni e solitudini della giovane Dora, vissuta per
anni in uno stato di semi-incoscienza, sotto l’influsso dei tranquillanti
somministrati dal medico e dai genitori, per proteggere lei e chi la circondava dalla sua diversità psichica,
espressa soprattutto in sfoghi emotivi violenti e incontrollabili, e consentirle una vita “normale”.
Ha destato grande curiosità anche “Il consenziente e il dissenziente” (Der Jasager und der Neinsager), due drammi didattici di Bertolt
Brecht uniti in uno, presentati dal teatro berlinese Volksbühne, nato nel
1914. Due piccoli capolavori di semplicità e rigore che l’autore trasse da
parabole che raccontano storie quotidiane, su temi di grande spessore
come la malattia, la giustizia sociale, il pregiudizio, la violenza, presentati a Fiume da Frank Castorf, dal
1989 nominato cinque volte regista
dell’anno in Germania, dal 1992 direttore della compagnia, considerata
una delle realtà teatrali tedesche più
interessanti. ●
Panorama 39
☺ Il canto del disincanto
di Silvio Forza
Cosette dall’Istria e da Fiume
H
anno fatto bene, i vecchi antifascisti polesi, a condannare
il gesto idiota di due giovani
del Partito croato dei Diritti che avevano gettato nell’immondizia la corona di fiori posta alla memoria dei
caduti. Si trattava di una corona posta dal sindaco di Pola, Boris Miletić,
e da una delegazione dei Combattenti antifascisti, decorata con tanto di
stella rossa. Hanno fatto bene perché
quel gesto, oltre che offendere la memoria di persone morte per una causa
che stava dall’altra parte rispetto al
“male assoluto”, è spia di una nuova
ondata di intolleranza che sta investendo la società. Strappare corone,
rompere lapidi, demolire busti, imbrattare o scalfire monumenti eretti
nel segno di vecchie scelte inequivocabilmente legittime, sono gesti scellerati per il quale la qualifica di legge
“disturbo alla quiete pubblica” è di
certo troppo lieve ed inadeguata; qui
siamo di fronte ad un malore ben più
grave, siamo davanti a persone dalle
idee confuse che tentano di riproporre estremismi ed autoritarismi come
modelli di virtù politica, che tentano di spacciare per riscatto ciò che
invece è nauseabondo riflusso. Con
la politica ufficiale che, non solo in
Croazia, continua a tollerare camice
nere, svastiche e altri “accessori” del
genere, con tutto il seguito di urlato
fanatismo e violenza che solitamente
li accompagna.
Tuttavia, una cosa è prendersela
con il diavolo, un’altra è spacciarsi
per Dio. Infatti, se gli antifascisti hanno avuto ragione nello stigmatizzare
gli esaltati, non resistendo alla tentazione di sbandierare la propria infallibilità storica, hanno aggiunto anche
che senza la stella rossa e senza il comunismo oggi non vivremmo in libertà. Se prendiamo queste parole alla
lettera, ciò vorrebbe dire che i fortissimi movimenti antifascisti grazie ai
quali è stata liberata tutta l’Europa
occidentale, dunque l’antifascismo
americano, britannico, canadese, neozelandese, francese e persino quello della Resistenza italiana, sarebbe-
58 Panorama
ro trascorsi sotto l’insegna della stella
rossa. Tutti comunisti, insomma! Ovvia che questa è una scemenza: e se
proprio si vuole essere pignoli si deve
osservare che laddove la libertà è stata portata unicamente dalla stella (Armata) rossa, sono nati quei regimi illiberali dei paesi dell’Europa orientali,
presso popoli che non vedevano l’ora
di disfarsi di quel tipo di libertà. Caduta del muro di Berlino docet.
Certo, rimane il fatto che l’antifascismo nella vecchia Jugoslavia era
effettivamente ridotto ai soli comunisti: ma altri, ancor più pignoli, potrebbero anche chiedersi come mai
sia stato proprio così, specie andando a scavare le ragioni per le quali in
Istria l’antifascismo è stato monopolizzato dai comunisti, che non erano
solo comunisti ma anche jugoslavi.
Ma questo è un altro discorso. Quel
che preme ricordare è la sostanziale
differenza tra antifascismo e comunismo poiché in troppi la giudicano inconsistente. Per questa ragione piace
apprendere che nella piccola isola di
Arbe (Rab), l’associazione degli antifascisti - che raccoglie persone di vari
orientamenti politici (tra quelli previsti dagli ambiti costituzionali), di diversa appartenenza nazionale, di tutte
le età - può contare, tra i suoi soci, sul
90% di fedeli praticanti. Che comunisti certamente non sono.
Nel momento in cui state leggendo queste righe, le elezioni per il rinnovo delle amministrazioni locali in
Croazia sono già alle nostre spalle.
Scrivendo prima, e non essendo indovini, nulla sappiamo dei risultati. Tantissimi gli italiani nelle liste:
chissà se - vale per la maggioranza di
quelli che saranno eletti - si ripresenteranno anche in questo mandato con
il consueto abito di pianta da soggiorno? Ad ogni modo, qui non parleremo del nuovo fenomeno della lista civica “Ladogna” né delle strategie per
parare i colpi della Dieta Democratica Istriana, ovvero i due schieramenti che probabilmente si saranno contesi la vittoria. Preferiamo ricordare
solo alcuni episodi venuti a galla in
questa campagna elettorale. Il primo
è l’accusa che si è beccata la città di
Fiume dal premier croato Sanader il
quale, durante un comizio elettorale
dell’HDZ, ha detto nientemeno che
il capoluogo quarnerino sarebbe troppo poco croato e troppo poco religioso. Immaginiamo la disperazione dei
Fiumani che si saranno certamente
consolati e inchinati di fronte al senso civico di Aljoša Babić dei Verdi
che in campagna si è detto favorevole
dell’attuazione del bilinguismo a Fiume. Osiamo pronosticare che non ha
vinto...
Un altro episodio, uno da (ex) capitani coraggiosi, ha visto protagonista l’ex sindaco dietino di Buie, Lorella Limoncin Toth, che, delusa dalla
DDI, ha fondato a Buie “Bulea”, una
propria lista, contando sul fatto che
con la nuova legge elettorale il popolo avrebbe preferito le persone ai partiti. Ci è piaciuta infine l’onestà morale di Bruno Langer del Foro Democratico Istriano il quale ha proposto la
posa di una lapide sul Molo carbone
di Pola, da dove salpava il piroscafo
“Toscana”, per ricordare la tragedia
dell’esodo. Speriamo che qualcuno,
tra gli eletti, si ricordi di proporre anche la posa di una stele o di un altro
monumento nei vari cimiteri istriani,
a spese municipali, alla memoria (bilingue) di tutti coloro che sono morti
lontano dalla loro terra perché costretti all’esilio, sia nel 1947, sia nel 1918.
Da parte nostra, rendiamo omaggio a
Gianni Alberto Vitrotti, morto recentemente a Trieste, il cineoperatore che
filmò la tragedia delle foibe e dell’esodo. E lo facciamo anche per Fulvio
Tomizza, il grande scrittore istriano
di cui a giorni (il 21 maggio) ricorre
il decimo anniversario della prematura scomparsa. Di Tomizza, accanto al
particolare talento letterario, ci rimane l’onestà che metteva nel guardare,
analizzare e descrivere le “cose istriane”, ci rimane quella sua contrarietà a
ciò che definiva come un “ottuso imporre o il volontario prediligere una
sola componente di quella molteplicità gravosa e fertile che ci distingueva
e che ci avrebbe maggiormente accomunati”. ●
Categoria Ritratti, terzo premio: Sung NamHun, Corea del Sud, Photonet. Foto sotto:
Arte e divertimento, primo premio per Giulio
Di Sturco, Italia, Agenzia Grazia Neri
Quest’anno il più giovane fisarmonicista aveva appena 6 anni,
si tratta di Benjamin Banac di Poljane (sopra Icici)
“Foto dell’anno” per il 2008: Anthony Suau, USA, Time
World Press Photo 2008
vince lo spaesamento
O
gni anno, dal 1955, una giuria
indipendente, formata da esperti internazionali, è chiamata ad esprimersi su migliaia di domande di partecipazione provenienti da tutto il
mondo ed inviate alla World Press
Photo Foundation di Amsterdam.
La produzione fotografica mondiale
dell’anno precedente viene accuratamente considerata ed analizzata e le
foto scelte e premiate diventano materiale di una mostra (che ha già fatto tappa a Spalato e che attualmente è in visione a Roma) nonché della
pubblicazione che l’accompagna. Di
circa 100 mila fotografie presentate
quest’anno, inviate da oltre 5 mila
giornalisti di 124 Paesi diversi, sono
stati premiati i lavori di 62 fotografi,
tra cui sei italiani, con una partecipazione record di fotografi ed agenzie provenienti dal continente asiatico. La giuria internazionale ha scelto
come Foto dell’Anno 2008 l’imma-
gine in bianco e nero del fotografo
americano Antony Suau, che mostra
uno sceriffo armato mentre entra in
un alloggio sotto sfratto esecutivo a
Cleveland, nell’Ohio, per assicurarsi che gli inquilini sfrattati abbiano
effettivamente lasciato l’immobile
(reportage commissionato dal Time
Magazine). La forza dell’immagine sta tutta nello spaesamento che
produce: sembra la classica foto di
guerra, in cui un militare entra in una
casa bombardata o occupata da miliziani in un Paese che potrebbe essere l’Afghanistan o l’Irak. Il conflitto
sembra invece essersi spostato dentro i confini dell’Occidente per cui la
guerra nel suo significato più classico arriva nelle case di gente che non
è in grado di pagare i propri debiti.
La foto parla della crisi mondiale
e dei risvolti che ha avuto nel cuore del capitalismo globale, gli Stati
Uniti.
Sport azione, terzo premio: Franck Robichon, Francia,
European Pressphoto Agency. A destra: Informazione,
primo premio: Chen Qinggang, Cina, Hangzhou Daily
Panorama Impos - Prima - Ultima.indd 4-5
A 87 anni con la fisarmonica in mano: Franz Kaluža
di Abbazia è il più anziano partecipante
A Rozzo il 21.esimo incontro delle fisarmoniche
Al suono delle «triestine»
M
ai tanto pubblico a Rozzo alla ventunesima
edizione degli incontri delle fisarmoniche
“triestine”. Complice il bel tempo la piccola cittadina è stato per un giorno il centro dell’Istria in cui
si è sentita la melodia di questo strumento amato
dai più vecchi ma anche dai giovani. E quest’anno sono stati tantissimi i giovani, anzi giovanissimi, che hanno voluto dimostrare che questa tradizione è destinata a mantenersi nel tempo.
(testo e foto di Ardea Velikonja)
Anche le donne sanno il fatto loro: Milica
Tuševljak di Laurana ha suonato e cantato
Primo premio Natura: Carlos F. Gutiérrez,
Cile, Patagonia Press per La Tercera
Natura, terzo premio per Heidi&HansJürgen Koch, Germania, Stern
Emilio Zonta, uno degli appassionati della triestina
I ragazzi italiani ogni anno mietono successi
nel mondo
Panorama
59
14.5.2009 14:28:34
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