“La schiavitù nei secoli”
“La schiavitù vista e scritta dagli intellettuali”
“Schiavitù e Libertà”
“La schiavitù del XX secolo”
Questi sono i capitoli di una ricerca condotta dalla classe II A su “Vecchie e
nuove forme di schiavitù” da cui sono state tratte le presentazioni dei mini-racconti del presente libretto.
Presentazione
Eravamo convinti che la schiavitù fosse legata esclusivamente al mondo
antico, a un tempo arcaico e lontanissimo da noi che pur avendo espresso un pensiero complesso e profondo, intorno alla schiavitù non riuscì a
dire altro che gli uomini non sono tutti uguali e che alcuni sono inferiori
ad altri. Anche le civiltà hanno qualcosa di cui vergognarsi! Ma la cronaca ha smentito questa convinzione, la schiavitù è ancora una condizione attuale e moderna. Allora ci siamo convinti che essa si trova lontano da noi nell’oriente più estremo del mondo e nel sud più profondo del
mondo ma anche questa convinzione si è trasformata in illusione quando la schiavitù ha vestito i panni dell’immigrato, della donna che subisce
violenze, del bambino mendicante. Abbiamo cosi scoperto che si trova
vicino a noi nelle nostre città multietniche, comode e benestanti, non è
mai scomparsa ha cambiato forma;l’abbiamo trovata anche dove non
abbiamo cercato, nelle nostre tiepide case, l’abbiamo vista nelle nostre
paure, vizi, debolezze che ci tarpano le ali e ci impediscono di volare alto.
Allora ci siamo arrabbiati, indignati e abbiamo scritto. Il filo della scrittura si è svolto in brevi righe, giusto il tempo di presentare un personaggio,
esprimere un comportamento, annodare un messaggio, sviluppare una
tecnica, al lettore affidiamo il resto; facciamo appello alla sua cultura e
sensibilità per condividere insieme a noi i messaggi dei racconti e per perdonarci gli errori che inevitabilmente si commettono.
L’insegnante Sucameli M. Antonina
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La schiavitù
nell’Antica Roma
La Schiavitù nell’Antica Roma
Il soldato romano non teme la morte
ma la turpe schiavitù
Nel mondo romano lo schiavo era considerato un bene economico, nessun
trattamento umano a lui era dovuto; non poteva avanzare nessun diritto
e il suo padrone decideva della vita e della morte. L’uomo libero poteva
perdere la libertà per aver contratto molti debiti o perchè sconfitto in battaglia. Il brano sottolinea attraverso le parole del comandante romano che
incita i suoi alla battaglia, quanto la schiavitù sia considerata vergognosa. Il soldato libero sceglie la morte piuttosto che la sconfitta che lo trasformerà in schiavo di guerra. (da “La schiavitù nei secoli”)
Il comandante delle truppe romane è un soldato speciale, è un capo,
e come tutti i capi è autorevole, sicuro di sé, sa usare le parole per punire,
rimproverare ma anche incoraggiare,
confortare e persino convincere.
Come quelle che usò prima della
battaglia:
“Soldati,
è
arrivato
il
momento tanto atteso e temuto, non
ci rimane altro che combattere, per
dimostrare il nostro valore, la lealtà,
l’ubbidienza, il coraggio, il disprezzo
del pericolo e della morte.
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La Schiavitù nell’Antica Roma
Combattere per continuare a vivere oppure morire per difendere i nostri
figli, l’impero. Non c’è vita senza libertà, ed essa non è un bene me il bene
dal quale nasce l’amore per il vero, per il bello;
combattiamo non per noi, ma per tutti e se le nostre forze non dovessero
essere sufficienti allora sarà meglio
morire che voltare le spalle in fuga, morire piuttosto che essere catturati
come schiavi.
Il soldato romano non teme la morte ma la turpe schiavitù.
La schiavitù è non vivere e non far vivere; chi potrebbe emulare un soldato preso e reso schiavo? Chi potrebbe ricordare le sue imprese, il suo valore e le sue virtù?
La sua vita finirà nella vergogna e nell’oblio.
Soldati, uomini liberi, combattete per la patria e per la libertà…così vuole
Roma, così vogliono gli dèi!”
E queste parole le pronunciò veramente o almeno ci
sarebbe piaciuto che avesse parlato cosi.
Classe II C
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La Schiavitù nell’Antica Roma
Valeriano: da imperatore dei romani
a schiavo dei Sasanidi
Questo brano narra la vittoria dei Sasanidi sull’imperatore Valeriano nel
260; questi fu portato come schiavo nella città di Ctesifonte, capitale del
regno di Shapur I. Il narratore, attraverso le riflessioni di Valeriano fa rilevare al lettore il pensiero stoico diffusosi nell’impero romano fin dal primo
secolo d.c. di cui dà testimonianza il filosofo Seneca. La libertà interiore
non può essere annullata anche se il corpo è soggetto all’altrui potestà. Lo
stoicismo fu anticipatore del pensiero Cristiano intorno alla schiavitù: ciò
che conta è Cristo, non la condizione di chi lo adora, che è libero interiormente. (Da “la schiavitù vista e scritta dagli intellettuali”).
Era il 260 d.C. quando il valoroso imperatore Valeriano marciò sul campo di
battaglia seguito dal suo fedele esercito. Con passo sicuro avanzava
verso i nemici che rapidamente gli
furono dinanzi.
Il suo infuocato sguardo incrociò quello di Shapur I re dei Sasanidi: questo sarebbe
stato l’inizio della fine di Valeriano. Cominciò così la battaglia:la spada dell’imperatore romano trafiggeva gli innumerevoli corpi dei nemici e con orgoglio la estraeva da essi inneggiandola come un trofeo. Ma il pensiero della
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La Schiavitù nell’Antica Roma
vittoria svaniva piano piano dalla mente di Valeriano: i suoi 70.000 soldati
stavano perdendo la vita, abbandonandolo così nelle mani nemiche che lo
afferrarono bruscamente privandolo per sempre della sua libertà.
Ma la paura che in quel momento turbava l’animo dell’imperatore si
sarebbe presto trasformata in umiliazione e vergogna, vergogna di essere
ciò che mai nessuno era riuscito a fare di un romano: uno schiavo.
Lui, l’imperatore di un regno ormai immenso, imperatore di Roma, la più
importante e la più potente fra le città, ridotto prigioniero di un sovrano straniero! Non poteva sopportare una tale umiliazione: era una ferita troppo profonda nel suo orgoglio.
Questi stranieri proclamandosi re dei re, erano riusciti a vincerlo ed erano
riusciti, soprattutto, a sottometterlo fisicamente, costringendolo a servirli, ma
mai sarebbero riusciti a calpestare la sua dignità. Valeriano avrebbe in eterno conservato nel suo animo l’onore di essere un romano, come Shapur
avrebbe conservato il ricordo della sua vittoria incidendo per sempre la fine
del romano nella pietra e nella storia.
Nadia Milazzo
Ivana Raspanti
Marika Miciletto
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La Schiavitù nell’Antica Roma
Simmaco: l’ultimo dei pagani
Il prefetto Simmaco è autore di una petizione rivolta all’imperatore
Teodosio dopo che questi ha preso la decisone di rimuovere la statua della
dea Vittoria dal Senato di Roma. Simmaco in nome della libertà di culto
chiede il ripristino della statua e rivendica il diritto a professare una fede
diversa da quella cristiana. Non ci può mai essere la pace senza la tolleranza religiosa.
Era così arrivato il momento che Simmaco,
prefetto di Roma, stava aspettando. Nel suo viso
sicurezza e determinazione, nel suo cuore la speranza. Gli sguardi dei senatori, ingannati dal
passo fermo e deciso, non coglievano quell’ansia che, in fugaci attimi, si rispecchiava nei suoi
occhi. Quell’udienza rappresentava l’ultimo
appello: convincere l’imperatore o rinunciare
definitivamente al suo progetto. Un’unica bocca,
la sua, avrebbe parlato per tutte le altre che,
insieme a lui, chiedevano ascolto al sovrano, il
quale, infatti, udì da Simmaco tali parole:
”Maestà, sono venuto qui perché nulla, in questo
momento, mi preme di più che esporle questa
importante questione. Da ben quattro secoli, ai
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La Schiavitù nell’Antica Roma
tempi del grande Augusto, l’altare della dea Vittoria è stato posto nell’aula
dove tutti i senatori si riuniscono. Quest’altare rappresenta lo spirito dei pagani, il loro credo, come pensate abbiano potuto compiere le grandi imprese
senza la tutela della dea Vittoria? I sacrifici fatti in suo nome hanno protetto i
nostri soldati, i loro comandanti hanno guidato i nostri progetti di dominio. La
sua presenza qui, è chiara testimonianza che il pensiero pagano esiste, e ha
prodotto grandi cose di cui voi godete. Può l’uomo vivere senza un dio, può
mai realizzarsi un progetto senza la sua volontà? Lo sanno anche i cristiani
che erigono statue e chiese; cristiani e pagani insieme per raggiungere lo
stesso obiettivo: pregare dio e realizzare la pace su questa terra; la pace, il
bene più grande che è armonia di intenti, di uomini che hanno un differente Credo. Ma non ci sarà pace senza libertà di culto. Adesso, invece, facendo violenza al nostro credo, c’è stata portata via. Ora, in nome della libertà,
chiediamo il ripristino. Nessuno ha il diritto di privarci di questa scelta dettata
esclusivamente dalla fede che ognuno di noi sente. La prego, dunque, di
riflettere sulle mie parole e di prendere la decisione più giusta.”
Nadia Milazzo II E
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La schiavitù
nel Medio Evo
La Schiavitù nel Medioevo
Maledette corvèes
Nel Medioevo la schiavitù si trasforma nel meno rigido sistema della servitù della gleba. Lo schiavo è cosa, il servo è uomo. Il servo medievale è una
persona, trattata come tale; questi può sposarsi, avere figli, ma è legato alla
terra del signore, non può abbandonarla e deve prestare gratuitamente il
suo lavoro per la gestione del castello e della pars dominica (corvées).
Questa condizione difficilmente potrà essere riscattata; il narratore onnisciente ammonisce Constant che la libertà si conquisterà a prezzo del sangue; sarà infatti, la rivoluzione francese ad abolire i privilegi dei signori
feudali. Da “La schiavitù nei secoli”
Era un’alba senza vita quando Constant si svegliò per andare a lavoro; l’unico giorno in cui avrebbe potuto riposare era costretto a recarsi dal signore per coltivare i suoi campi:maledette corvées! Era stanco e questa era solo
un’ulteriore fatica; infatti non avrebbe ricevuto in cambio nessuna ricompensa. Che
doveva fare? Con quelle messi riusciva a
stento a sfamare la sua famiglia; e tutte
quelle tasse?! Per quanto ancora sarebbe
riuscito a pagarle? L’unica soluzione che gli
rimaneva era fuggire. No! Non pensare alla
fuga. Non puoi scappare perché la tua
condizione resterà tale e quale; ormai que-
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La Schiavitù nel Medioevo
sta è la tua casa, questa è la tua vita.
Ovunque andrai non ti chiederanno chi sei ma con chi sei e solo il nome
del tuo signore ti farà sopravvivere. Non si batte la schiavitù con la fuga né
aspettando che il tuo signore ti conceda la libertà, senza dare nulla in cambio; il sistema del suo potere si regge sul tuo servilismo e sul tuo sfruttamento,
i signori non rinunceranno ai propri privilegi se non dopo aver visto scorrere
fiumi di sangue e aver temuto per la loro esistenza.
Nadia Milazzo e Ivana Raspanti II E
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La Schiavitù nel Medioevo
Pagare per servire...
Bisogno di protezione e sicurezza
Nelle riflessioni di questi contadini, servitori della gleba, si coglie il servilismo di questa classe sociale che è cosciente di subire l’ingiustizia dei
rapporti economici imposti dal signore feudale, ma “cala la testa” perché
ha bisogno del signore; questi gli garantisce sopravvivenza e protezione,
beni preziosi, che questa classe non intende mettere in discussione per
creare nuovi rapporti economici.Addirittura trapela nello sfruttamento
ingiusto e inumano un sentimento per il Signore di gratitudine, che ha
impedito per tanti secoli la rivolta sociale. Il bisogno di libertà per questi
contadini coincide con il bisogno di sicurezza e protezione.
Pagare per servire
Era ancora buio, ma per le vie del feudo
molti contadini si recavano già nei campi del
signore.
Fra questi c’era Joan, che come ogni mattino era immerso nei suoi pensieri e nella speranza che forse un giorno avrebbe smesso di
fare quella vitaccia.
Ma poi una voce interruppe quei sogni:
“Forza servo! Paga e affrettati ad andare nei
campi”. Infatti il suo lotto di terra era separa-
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La Schiavitù nel Medioevo
to da quello del padrone da un fiume e per attraversare il ponte era necessario pagare. Maledizione! Pagare per servire! Come se lavorare senza ricevere nulla in cambio non fosse già abbastanza. E così la sua serenità svaniva e con essa i suoi pensieri. Pensieri da ragazzi gli ripeteva il padre, da sempre il povero serve il ricco e anzi gli deve essere grato di quello che gli viene
concesso, come si potrebbe vivere senza qualcosa di cui sfamarsi?
Ma le cose di cui sfamarsi erano ben poche poiché i terreni dei contadini erano poco fertili e raramente producevano qualcosa.
Joan era stanco di quella vita, fatta di inchini e di servitù, voleva una svolta, ma una svolta non era facile da fare. Nessuno lo assecondava, troppo
rischioso gli dicevano; meglio un uomo vivo e povero che morto e libero. E
così anche lui chinò il capo così come i suoi discendenti lo avrebbero chinato in futuro.
Provenzano Domenico II E
Bisogno di protezione
e sicurezza
Il sole calava sotto l’orizzonte e la luce si
faceva sempre più fioca. Per Leonardo questo
era il momento più aspettato e felice della
giornata. Non era il tramonto a dargli gioia, ma
ciò che esso segnava: la fine di una lunga e
dura giornata; la consapevolezza che le gran-
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La Schiavitù nel Medioevo
di fatiche di quel giorno avrebbero, insieme a lui, riposato qualche ora.
Camminando faceva ritorno nella sua umile dimora, in quello stato d’animo che ognuno può immaginarsi facilmente, sfinito dai pesanti lavori, con la
forza sufficiente solo per tornare a casa; tutto a causa di quel signore!
Non era suo schiavo, era un contadino libero, continuava a ripetersi,
eppure si trovava lì, nei campi del signore a lavorare le sue terre, senza alcun
compenso! Era già molto duro il lavoro nel suo campicello, quello di tutti i
giorni, senza orari, nella malattia, nella tempesta e nel caldo afoso, quello
che avrebbe sfamato i suoi figli e la sua amata moglie. Ma era molto più faticoso e odioso quello che doveva al signore, che vedeva arricchire sempre
di più quell’immenso che già possedeva.
Ciò che lo spingeva ad andare avanti, a chinare la testa all’arrivo del
signore era comunque sempre la sua famiglia; quel lavoro così tanto odiato
avrebbe dato loro protezione e sicurezza.
Continuava a camminare e continuava a sperare. Forse un giorno avrebbe abbandonato quella vita, quelle fatiche. Forse un giorno sarebbe anche
lui riuscito a raggiungere quella tanto sognata “città”. Ma chi lo sa se questa
gli avrebbe dato ciò in cui continuava a sperare.
Gueccia Rosa II E
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La Schiavitù nel Medioevo
La strega è tornata
La cultura patriarcale che ha alimentato la civiltà occidentale ha distrutto l’identità femminile. Nel medioevo ma fino al 1600 la donna non poteva vivere in modo diverso rispetto al ruolo di moglie e madre che quella
cultura gli aveva attribuito. Se non si sposava o aveva solo figlie femmine
oppure parti gemellari e sopravviveva ad essi,oppure figli portatori di handicap o troppo brutta per essere scelta come moglie, era considerata una
strega. Il pregiudizio la identificava come luogo diabolico fonte di peccati
e come “la peggiore incarnazione del male”( J. Le Goff)
Le donne schiave del pregiudizio arrivavano a perdere la vita perché
denunciate dalla comunità presso il Tribunale dell’Inquisizione.
In questo brano l’autore ci fa cogliere come il semplice gesto di offrire una
minestra a un bambino affamato possa essere interpretato dalla comunità malefica come un atto diabolico.
Correva
l’anno 1692 e
Sarah Good girava libera per
la città e di tanto in tanto
borbottava sottovoce forse
scagliva qualche maledizione contro i cittadini.
Un giorno quella perfida
donna
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preparava
come
La Schiavitù nel Medioevo
sempre la minestra, e, mentre lasciava la pentola bollire, uscì a raccogliere
alcune erbe.
Mentre tornava a casa quella donnaccia incontrò Arnold un povero e
affamato bambino che di giorno in giorno girava per le case dei cittadini in
cerca di un pasto. Così Sarah lo invitò a mangiare un po’ di quella sua minestra. Arrivati a casa la malefica, versò la minestra ancora bollente in una ciotola offrendola al bambino che essendo affamato la ingerì tutto d’un fiato.
Così corse fuori dalla casa della donna gridando :"Quella maledetta donna
è una sporca strega mi ha dato una pozione e ora mi brucia lo stomaco".
Le voci giunsero alle case dei contadini che scesero in piazza per capire
meglio cosa stavolta avesse combinato quella orribile strega.
Tutti rimasero sbalorditi nel vedere quel bambino sdraiato per terra che si
rotolava su di sè lamentando forti dolori. Immediatamente tutti accesero le
fiaccole e andarono a prendere la causa del malessere.
La spaventosa signora fu presa e portata in carcere in attesa del giorno
dell’interrogatorio. Così il giudice iniziò l’esame di Sarah Good:
GIUDICE: Con quale spirito malvagio avete voi familiarità?
SARAH: Con nessuno
GIUDICE: Non avete mai fatto un contratto con il Diavolo?
SARAH: No
GIUDICE: Perché avete fatto del male a questo bambino?
SARAH: Io non gli ho fatto niente gli ho solo offerto una ciotola di minestra
GIUDICE: E che pozione gli avete somministrato?
SARAH: Nessuna era solo minestra
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La Schiavitù nel Medioevo
GIUDICE: Come spiegate allora il fatto che un’innocente bambino stia
male e abbia additato voi come causa del suo malessere?
SARAH:(Rimane in silenzio)
GIUDICE: Il bambino vi ha visto raccogliere alcune spezie di cosa si trattava?
SARAH:(Non risponde)
GIUDICE: Visto che l’imputata si rifiuta di rispondere chiedo il verdetto
della giuria, come giudicate Sarah in base a ciò che avete ‘udito’?
GIURIA: La giuria reputa di non potere ignorare le veritiere parole di
un’innocente bambino di conseguenza riteniamo Sarah Good colpevole di
stregoneria.
Ferrantelli Sergio II E
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La Schiavitù nel Medioevo
I roghi delle streghe
I rami della foresta le graffiavano il viso e i sassi la facevano inciampare,
e cadere, ripetutamente.
Ma col cuore in gola continuava a correre.
A poche decine di metri un gruppo d’uomini armati di bastoni, vanghe e
martelli la rincorrevano.
-Maledetta strega!- gridavano alcuni;
-Al rogo!- facevano eco altri.
E continuavano ad inseguirla col sangue nelle pupille e con l’odio nella
mente.
Karen, a cui di certo madre natura aveva donato una bellezza innata,
viveva in una capanna non distante dal villaggio; faceva pozioni e conosceva le proprietà curative delle erbe, o almeno così diceva.
La gente del villaggio non la vedeva di buon occhio e le donne non sopportavano il comportamento dei propri uomini nei confronti di quella bella
donnaccia. Qualche giorno prima un ragazzino, da tempo malato, era
morto vicino la capanna della fattucchiera e la gente l’aveva condannata.
Karen era nata per essere condannata.
Stregoneria:la sua colpa! Al tramonto la gente si era radunata e, accese
le fiaccole ed impugnati gli arnesi, aveva raggiunto la capanna maledetta
della malefica strega.
Quella notte nel bosco stava ancora correndo Karen, ma dopo ore di
fuga sentiva maledettamente le gambe, la mente, il cuore, lasciare il posto
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La Schiavitù nel Medioevo
all’infinita stanchezza; si era data per vinta. Si era abbandonata alla folla
finalmente!
La mattina seguente al centro del villaggio un palo era stato innalzato e
alla sua base riposti fasci d’erba secca e rami:il rogo era pronto. Giustizia
sarebbe stata fatta! Karen veniva legata al legno e una donna si concedeva il privilegio dell’ultimo giudizio incendiando con una fiaccola la legna.
La folla entusiasta gridava: grida di una gioia amara. La strega scellerata gridava la sua innocenza, mentre prima i suoi abiti, poi il suo corpo bruciavano.
Le urla strazianti diventarono silenzio poco dopo.
Rimasero per qualche
istante a fissare la fiamma,
ormai alta, poi ritornarono
alle loro case.
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La schiavitù
in età moderna
La Schiavitù in età moderna
Uomini a caccia, a caccia di uomini
Probabilmente sono i portoghesi che Eco vede all’alba di quella mattina
nella savana africana. Questi ebbero il monopolio del commercio degli
schiavi fino al XVI secolo, per poi passare all’Inghilterra, Francia e
Olanda. La domanda di schiavi è strettamente legata al tipo di colonizzazione che la Spagna prima impose in America Latina alla popolazione
indigena, dopo la scoperta dell’America. Il duro lavoro nei campi, le pessime condizioni di vita e le malattie portate dall’Europa contribuirono a
decimare la popolazione che fu rimpiazzata con schiavi africani. Il papa
Eugenio IV a conoscenza di quanto accadeva fin dal 1430 con la colonizzazione delle isole Canarie emise una bolla contro la schiavitù, la
“Sicut dudum” che però fu ignorata dagli Spagnoli e anche dai portoghesi. In questo brano è evidente il passaggio da predatore a preda di Eco. La
tratta degli schiavi neri colpì profondamente l’Africa privandola delle sue
migliori energie. Da “Schiavitù e Libertà” e “Schiavitù nei secoli”.
Quella mattina,come tutte le
altre, Eco si svegliò all’alba e
andò a caccia. Si appostò in
agguato tra la paglia secca di
quella savana arida da molto
tempo ormai, e attese quel facocero. Adocchiata la sua preda si
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La Schiavitù in età moderna
avventò come la tigre fa con la sua preda e lo freddò con una coltellata.
Poco dopo tornò al villaggio offrì la preda a sua moglie: finalmente dopo un
lungo digiuno avrebbero fatto un buon pasto. Venne di nuovo l’alba ed Eco
si preparò per andare a cacciare di nuovo, ma stavolta percepiva nell’aria
qualcosa di strano… percepiva il pericolo. Immobile e all’erta aspettò che
tutto cadesse nel silenzio più profondo prima di mettersi in marcia. Mentre
usciva di casa improvvisamente udì uno,due, tre spari! La vicina gridò terrorizzata, i bambini iniziarono a strillare e scoppiarono in lacrime ignari di quello che stava accadendo. Eco guardò l’orizzonte… uomini bianchi: brutto
segno! Di lì a poco sarebbero stati picchiati catturati e spogliati dei loro averi
e delle loro famiglie. Rinchiusi nelle minuscole celle di quelle enormi navi.
Nudi e affamati, invano tentavano di strappare quelle catene che li rassegnavano a pensare di non vedere i loro cari e la terra nativa di loro e dei
loro antenati. A questo pensiero a Eco venne un’ indomita voglia di gridare,
di dimenarsi, di disperarsi perché era lì, incatenato e non poteva fare niente per ritornare libero, libero di cacciare e di mostrare poi la preda come un
trofeo ai suoi amici… Il giorno dopo non appena i raggi del sole filtrarono da
quella minuscola finestrella, i loro cacciatori dalla pelle chiara li fecero
scendere da quella straziante prigione. Subito Eco respirando quella fresca
brezza credette di essere di nuovo libero, non gli diedero neanche il tempo
di illudersi e lui si ritrovò un’altra volta in gabbia. Quella gabbia lo straziava,
lo faceva soffrire come una tigre selvaggia alla quale era stata tolta la libertà di cacciare.
Silvia Spinelli II E
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La Schiavitù in età moderna
Ninuzzo
La legislazione italiana vieta l’impiego degli adolescenti in lavori pericolosi, faticosi e insalubri, tutela l’integrità psicologica e lo sviluppo del minore, la frequenza scolastica o la partecipazione a programmi di orientamento o di formazione professionale, ma malgrado queste “tutele”, una
recente inchiesta della CGIL ha stimato che ogni anno in Italia ci sono più
di 300.000 casi di sfruttamento minorile, basata sul raffronto fra i diversi indicatori come l’abbandono scolastico, gli infortuni sul lavoro.
Questa inchiesta dimostra che le norme giuridiche non sono sufficienti a
tutelare i minori che svolgono attività nell’illegalità. Ninuzzo, il protagonista del brano, vive questa realtà di sfruttamento, è un ragazzo che non
può ribellarsi alla condizione di svantaggio socio-culturale perché non ha
gli strumenti per farlo, e quel che è peggio ha interiorizzato la logica delle
regole ingiuste dello sfruttamento. (Da “Schiavitù e Libertà”).
Ninuzzo era chiamato
così perché era piccolo
di statura e magro come
un bastone di scopa.
Nel
paesino
dove
viveva, nella provincia
palermitana,
nessuno
conosceva il suo vero
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La Schiavitù in età moderna
nome. Ninuzzo non era il suo nome di battesimo.
Dopo un mese dalla sua nascita, era morto in un incidente lo zio Nino,
che lavorava in un’impresa, schiacciato da una gru, da quel giorno il nome
dello zio Nino fu il suo; la gente prese a chiamarlo in quel modo, e tutti
dimenticarono il suo vero nome, anche sua madre, ma divenne l’immagine
vivente di una tragedia familiare e della morte che prende anzitempo.
L’avevano avviato al lavoro da quando aveva messo i calzoni lunghi, ed
erano contenti che era nato maschio perché dicevano si sarebbe mantenuto da solo. Lavorava per un imprenditore agricolo, e lavorava duro. A lui
piaceva lavorare. La scuola non faceva per lui, non era uno a cui piaceva
leggere. Non sapeva leggere, del resto costava mantenerlo agli studi e i suoi
non potevano permetterselo.
In fattoria si occupava di pulire il letame dei porci e in più si occupava di
dare loro da mangiare la mattina. Nel pomeriggio lavava le maglie sudicie
e maleodoranti degli altri contadini operai. Non trovava però il tempo di pulire la sua di maglia, sempre sporca e impregnata di sudore. Puzzava più di
tutti e tutti gli stavano alla larga perché puzzava. Puzzava fin da quando era
arrivato in fattoria. O almeno così dicevano, e per questo l’aveva mandato,
il padrone, a lavorare nel porcile.
La madre e il padre di Ninuzzo si erano separati. La donna viveva a
Palermo e si era risposata, il padre lavorava ad uno “scaro” in chissà quale
angolo della Sicilia. Lo sciagurato si trovava alla fattoria di don Ciccio perché dopo la separazione dei genitori il cugino Saro se l’era portato con lui
per farlo lavorare.
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La Schiavitù in età moderna
A Ninuzzo piacevano i porci, puzzavano come lui. A Ninuzzo piaceva
lavorare in porcile perché non sapeva fare altro e non poteva fare nient’altro. Quando il pomeriggio gli operai non trovavano le maglie pulite giocavano a prenderlo in giro –povero cane-, il padrone faceva ancora di più: lo
picchiava, perché il disonesto non puliva mai a dovere il porcile e quando
don Ciccio entrava e si accorgeva di ciò cominciava a bestemmiare e a
picchiare Ninuzzo sfilandosi la cinta dei calzoni.
Ninuzzo però non reagiva, e neppure si lamentava. Quella era l’unica
casa che aveva e anche lui poteva dire di lavorare e mantenersi.
Non biasimava la cintura del capo e neppure le legnate dei “colleghi”.
Ed era giusto. Puzzava, era piccolo, il più piccolo.
La sera quando don Ciccio cominciava a russare e i contadini scendevano giù in città a bere qualcosa, allora Ninuzzo si accasciava nel fienile
annesso alla fattoria e tentava di chiudere gli occhi. Ogni tanto però il cane
abbaiava e allora lo sciagurato lo colpiva forte, sempre più forte, fin quando l’animale esausto si adagiava dolorante. Povera bestia.
Cottone Giuseppe II E
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La Schiavitù in età moderna
Ritratto
Nell’ultimo cinquantennio la schiavitù, lungi dall’essere scomparsa dal
mondo contemporaneo ha assunto altre forme, spesso più difficili da sradicare, nonostante ufficialmente sia stata condannata e vietata da tutti gli
Stati. Nelle nostre città si lega ai flussi migratori nel periodo della vendemmia, durante la raccolta delle olive, delle ciliegie, delle mele...S
ono questi i percorsi della nuova schiavitù, le coordinate che seguono gli
immigrati, che per fuggire la fame e la miseria trovano impiego in lavori
resi disumani dai “caporali”. Offrono manodopera che non costa niente,
sommersa e invisibile da spremere a più non posso: da umiliare, minacciare, schiavizzare per colmare le tasche dei residenti profittatori.
Gli autori del “Ritratto” (di cui chiari sono i riferimenti al “Ritratto” di
Alessandro Manzoni) mettono in evidenza che aldilà dei flussi migratori
c’è un’ umanità che sogna, spera, si dispera. Da “La schiavitù nei secoli”
Capel bruno; alta fronte; occhio spento;
naso largo e non soverchio umile;
scarna la gota di color profondo;
labbro carnoso e bocca serrata;
lingua straniera e tarda, e non mai vile,
che aspetta il rivolgersi altrui che mai arriva,
triste sempre appare in una terra aspra e inospitale;
giovin d’anni in cerca d’amor, diffidente nei modi e di cor ferito,
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La Schiavitù in età moderna
pensiero e rabbia altro non fan che ferir, ma pien di speranza
e di desiderio, continuar vuole a vivere la propria vita
poco noto e ignorato d’ altrui, ma non ai suoi cari
che lasciò per inseguire un sogno,
dolor e fatica riporteran dove il suo amor giace
Classe II E
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La Schiavitù in età moderna
Sadi, bambina sfortunata
Sadi è una bambina di strada che è stata venduta dai genitori a un
uomo senza scrupoli che la sfrutta. La “nostra” strada è diventata la sua
dimora che non ha cancellato del tutto la capacità di Sadi di cogliere l’indifferenza della gente e i piccoli gesti di solidarietà. I dolori, gli abusi e le
violenze sono sullo sfondo e fatti immaginare al lettore.
La città cominciava a svegliarsi mentre il sole asciugava già la rugiada
sulle erbacce, ai bordi di viale Monza, nella caotica periferia milanese.
Sadi salì le scale della metro. Aveva dormito lì anche quella notte. Strofinò
gli occhi stanchi ed ancora socchiusi. All’orizzonte le ciminiere delle fabbriche già sputavano nuvole grigie, gli impiegati con passo svelto passavano e
spassavano ed i rombi delle auto soffocavano il dolce silenzio della sua
mente. Il cielo grigio di Milano faceva da sfondo a quella triste giornata.
Camminò quasi automaticamente in direzione del semaforo. -Che fortuna!pensò poi fermandosi davanti un cassonetto: aveva trovato un paio di vecchie calze. Le indossò sopra quelle che già possedeva. I suoi sandali non
erano di certo adatti al gelido inverno del nord Italia. Qualche minuto dopo
Sadi era al semaforo e osservava le auto che sfrecciavano per la strada,
come le foglie secche sul fiume che scorre veloce. Verde…poi giallo…e infine rosso. -Di già?!- pensò la ragazzina; e cominciò a vagare zigzagando tra
le auto ferme e tra lo smog delle marmitte.
-Ha qualche spicciolo per favore?-…ma la gente non la notava oppure
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La Schiavitù in età moderna
faceva finta di non vederla. A qualcuna dava finanche fastidio e la mandava via. Dopo qualche istante ritornò il verde e la ragazzina fu costretta a correre verso il marciapiede per evitare d’essere investita. Nessuno si fermava.
L’anima della gente, svuotata dall’indifferenza, faceva tristezza a Sadi più
della mancanza di spiccioli.
Ad un tratto la ragazza si sentì strattonata e si voltò…-Tieni- le disse un
bimbo porgendole qualche moneta e rivolgendole un sorriso sincero.
Poi ritornò dalla mamma che lo aspettava qualche metro più avanti.
Anche la donna sorrise alla ragazza.
Sadi li fissò mentre si allontanavano; erano ben vestiti, ma erano diversi
dagli altri, loro erano buoni. Il sorriso della ragazza si spense e una lacrima le
solcò il viso: pensava alla sua di mamma, morta in Uganda, durante la guerra civile quando lei aveva solo quattro anni. Poi per lei era iniziato l’inferno;
il padre, povero, l’aveva venduta ad un ricco signore senza scrupoli che
ormai da tempo la mandava a lavorare per lui ai semafori, a chiedere l’elemosina. Ma poco dopo il rosso distolse
Sadi dai suoi pensieri ed ella ritornò tra le
auto. Alla sera, quando fece buio e la
città ritornò tranquilla, Sadi tornò alla
metro. Solo pochi spiccioli quel giorno…Chissà che farà stavolta il padrone!-…e
un’altra lacrima, stavolta di dolore, le
bagnò il viso.
Giuseppe Cottone II E
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La Schiavitù in età moderna
Mamma! Quello è tutto nero!
L’idea che gli uomini non sono tutti uguali su base razziale si è diffusa a
partire dal sec XVII in seguito alle scoperte geografiche e al colonialismo.
In questo periodo si affermò la convinzione che il progresso – intellettuale,
scientifico, economico, politico fosse un’esclusiva prerogativa dei bianchi
e che gli altri popoli non potessero conseguire gli stessi risultati proprio a
causa di una differenza biologica. Questa idea non è ancora stata sconfitta e nutre ancora i pregiudizi razziali che si rilevano nella diffidenza,
nel rifiuto delle diversità; in questo brano il pregiudizio si evince nello
sguardo “bianco” che mette a disagio il “nero” come se qualcosa in lui
fosse fuori posto. (da La Schiavitù nei secoli).
Era l’alba… Una grande barca navigava sull’immenso mare…
Lì c’erano uomini che sfuggivano la miseria e la guerra. Stavano tutti
ammassati, stretti, nell’aria si muovevano lamenti, grida, pianti, preghiere…
Ma
uno
di
loro
stava seduto sul lato
destro della nave solo,
con occhi fissi alla sua
amata terra che sempre era più lontana.
Osservava i fiumiciattoli di fango, le
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La Schiavitù in età moderna
brulle colline, l’erba asciutta dei campi, la sua casa che pian piano vedeva
sempre più piccola.
E a quel punto tutta la sua vita, i suoi ricordi gli scorrevano nella mente.
Pensava alla sua splendida moglie e rivedeva i suoi occhi rivestiti d’amore, i
suoi bimbi e i loro splendidi e rari sorrisi. E con un dolce ricordo chiuse gli
occhi, si abbandonò nei suoi pensieri immaginando come sarebbe stata la
nuova terra e cosa avrebbe fatto per guadagnarsi da vivere.
Rimase immerso nei sogni per molto tempo e quando schiuse gli occhi
era appena arrivato sull’isola che sognava, la terra ove sperava di poter trovare la salvezza. Quando poggiò per la prima volta il piede a terra un brivido gli percosse la schiena, il cuore gli batteva all’impazzata. Era come
impaurito, temeva un non-ritorno a casa, ma nello stesso tempo era felice di
esser arrivato in Sicilia!
E adesso |per Abù iniziava la vera sfida… Aveva bisogno di un posto dove
dormire, un lavoro. Ma niente nella vita è così facile.
Camminava solitario per le strade di una grande, luccicante città. Era
affascinato da tante grandi meraviglie! Ma ad un tratto si accorse di qualcosa che fino ad allora non gli era mai capitata… Si vide gli occhi di tutti i
bianchi che gli stavano attorno, che incontrava camminando addosso e
accortosi di ciò, pensò che qualcosa in lui fosse fuori posto. Si guardò dall’alto in basso ma nonostante ciò non riusciva a capire, continuò a controllarsi finché una voce dolcissima, minuta e strillante:
“Mamma, mamma!!! Guarda quello è tutto nero!”
Giorgia Pollina II E
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La Schiavitù in età moderna
Il bianco...e il nero
“Nel noto episodio de “La vergine cuccia” (Mezzogiorno vv. 486-556), la
dama del giovane signore ricorda la terribile esperienza della sua cagnolina, quando fù colpita dal vil piede di un servo, che essa aveva mordicchiato. Lo sciagurato, messo alla porta, era stato condannato alla fame,
insieme alla moglie ed ai figli. Nel tessuto ironico dei versi Pariniani trapelano l’amarezza e la condanna per l’ingiusta sorte dei servi, che sono
schiacciati dai padroni e non hanno alcun diritto, anzi valgono meno
degli animali. Le schiavitù che Parini denuncia sono il bisogno e l’ingiustizia sociale. (Da “ la schiavitù vista e scritta dagli intellettuali”) due vite
parallele nell’ottica della dama ricca ma scontenta (il bianco…) e dei
servi poveri e disperati (da “La schiavitù vista e scritta dagli intellettuali).
Il bianco… Distesa sul letto della mia camera, ascolto un cd a tutto volume per scacciare quella strana sensazione che da qualche giorno mi opprime. Mi lascio andare a quel ritmo veloce e pieno di gioia, ma piano piano
nella mia mente scorre un'altra canzone; si fa più cupa, ed è così che in questa musica, quella della mia vita, si riversano tutte le emozioni e le sensazioni che ho represso per tanto tempo. Un senso di insoddisfazione mi attanaglia, tutte le luci attorno a me si spengono e sono sola. La gente che mi vede
crede che io sia spensierata e contenta, che la mia vita sia perfetta.
Si, di certo non mi mancano i vestiti, le borse, le scarpe…e allora perché
mi sento così?i miei genitori mi permettono di fare sempre quello che voglio,
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La Schiavitù in età moderna
mi accontentano di tutto, ma neanche questo riesce a rendermi più felice. È
come se tutti quello che ha non mi bastasse mai. Voglio fare qualcosa di
nuovo, questa monotonia mi annoia.
Quando esco con gli altri, i miei amici, penso di divertirmi, di provare sensazioni vere di gioia, ma quando torno a casa dentro di me ho solo un senso
di vuoto. E poi, i miei amici, se sono veramente tali, perché non sono adesso qui con me a consolarmi?
La mia vita ormai è diventata un ballo sfrenato, senza emozioni, divertimento; un ballo che non trasmette più niente all’anima e che poi finisce,
come ogni giorno, senza lasciare nessuna traccia.
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La Schiavitù in età moderna
…E il nero Quel giorno partii con le mie poche cose, guardando con
animo malinconico, forse per l’ultima volta la mia terra. Durante il viaggio
costruivo pian piano i mie sogni, pensavo a come avrei ristrutturato la mia
vita. Avrei fatto di tutto per trovare un lavoro che mi avrebbe permesso di gettare delle solide fondamenta per un futuro migliore per me e per i mie cari.
Sono qui ormai da molti anni. I primi tempi ero animato da speranze, voglia
di fare, di scoprire. Ma ora sono cambiato. Tutti i miei sogni , i miei progetti
sono stati distrutti, demoliti da questa dura vita. Infatti qui non ho molti amici,
tutti mi guardano di sottecchi, come se avessero paura. .’unico lavoro che
ho trovato mi basta appena per sopravvivere. Penso sempre alla mia famiglia, ai miei cari, a come fanno a sopravvivere con quei pochi soldi che
mando loro. Le mura delle casa che sognavo sono crollate e le macerie
sono state portate via. Non è rimasto più niente dei miei sogni. La mia mente
adesso è piena di pensieri che mi angosciano. Mentre penso alla mia vita,
una lacrima scende bagnandomi il viso.
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La Schiavitù in età moderna
Hina: il volo di una rondine
Anche se i movimenti femministi hanno raggiunto la parità dei diritti
in campo sociale e politico, tuttavia in molte parti del mondo ancora oggi
le donne vivono condizioni di discriminazione e di sottomissione per
ragioni culturali, religiose e storiche; come dimostra l’autore del brano
seguente, le barriere religiose e culturali non si ergono contro le donne soltanto nei paesi islamici, ma anche nei paesi occidentali, dove la ragioni
dei clan prevalgono sui diritti universali delle donne.
Le donne islamiche nelle nostre città, vivono da recluse e da schiave, il
loro grido di libertà molto spesso s trasforma in silenzio di morte.
da “Schiavitù e Libertà”
Hina era una rondine bella e triste, unica ma sfortunata.
Era cresciuta in un nido caldo e accogliente durante l’infanzia, circondata dall’affetto della nonna e dalla solidarietà dei più stretti parenti che l’avevano protetta. Poi era diventata adulta e bella, e aveva capito, maturando,
che il suo posto non era più quello. Sognava luoghi lontani in cui una donna
poteva esprimere liberamente il suo pensiero, poteva prendere le redini
della propria vita, poteva scegliere l’uomo che amava. Un giorno si era
accorta con tristezza che il nido nel quale aveva vissuto, sicura e protetta, si
era trasformato lentamente in una gabbia buia e aveva deciso di volare via,
verso Occidente, verso i luoghi che tanto aveva sognato e che adesso più
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La Schiavitù in età moderna
di prima voleva raggiungere.
Ma mentre stava per spiccare il volo del cambiamento, qualcosa più
grande di lei le tarpò le ali e non solo quelle. La solidarietà e l’affetto della
famiglia si trasformarono in una forza violenta e bruta che non ammetteva
vie di fuga anche a costo della vita. Hina doveva così rinunciare ai suoi
sogni, consapevole che non sarebbe più volata verso Occidente, e che non
sarebbe più potuta rimanere neppure nel suo nido d’infanzia; sì, perché
ormai il suo cuore e le sue ali avevano smesso di battere, per sempre.
Giuseppe Cottone II E
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La Schiavitù in età moderna
Il sogno infranto dal delitto d’onore
Ina è la ragazza pakistana che, venuta in Italia con la sua famiglia ha
pagato con la vita la scelta di uno stile di comportamento in contrasto con
quanto era stato imposto dalla famiglia. L’autore del brano ha immaginato il momento in cui Ina scopre un mondo diverso; la scoperta agisce
dentro di lei come una “conversione” forte e pericolosa, difficile da sradicare perché elabora convinzioni profonde che non ammettono ritorni al
passato.
La famiglia portò Ina in Italia fuggendo dalla povertà e dalla guerra.
Era pura, desiderosa di scoprire, conoscere; voleva bene alla famiglia
ma non alla sua tradizione che insegnava alle bambine a essere remissive e
sottomesse. Arrivò a Brescia e qualcosa la colpì, le aprì gli occhi.
Vide ragazze, donne, bambine. Vide i volti di queste, senza velo.
Ne vide tante camminare libere con le loro gambe senza un uomo
accanto. Vide gonne, visi truccati, sorrisi spensierati. Nessuna di quelle ragazze la impressionò per la sua bellezza; la accecò quella realtà, dove tutto era
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La Schiavitù in età moderna
possibile e non proibito. La libertà di uscire da sole, libertà di essere guardate e di guardare gli occhi degli altri senza vergognarsi di farlo, libertà dalla
schiavitù violenta degli uomini.
Dapprima la città si presentò come un universo di simboli da criptare, poi
una civiltà a misura d’uomo, di donna.
Ne scoprì il meccanismo e le regole, quelle della tolleranza, del rispetto
della diversità, della libertà, della responsabilità della scelta. In quel momento seppe di voler diventare come loro, di aver trovato una realtà più giusta
di quella che le era stata imposta. Seguì i suoi nuovi ideali, ma tradì quelli
della famiglia. Un tradimento o meglio, un’illuminazione, che non ammetteva perdono. Pagò con la vita. Ma il suo clan che l’aveva accusata e uccisa
avrebbe mai capito la gravità di quello che aveva fatto?
Si sarebbe forse vantato di aver salvato l’onore della famiglia e la sua
reputazione? O piuttosto avrebbe affermato col sangue che le bambine
devono ubbidire e sottomettersi a una volontà più grande dove tutto è scritto senza possibilità di fuga?
Nadia Milazzo II E
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La Schiavitù in età moderna
In Piazza per gridare libertà
Come fanno i regimi militari a conservare il potere per molti anni?
Attraverso un sistema complesso di controllo sociale e di sorveglianza
basata sulla paura. Il primo atto di libertà è dunque il coraggio di esprimere la protesta sfidando la paura della morte. È quello che è successo in
Birmania nel 2007 e ha visto protagonisti i monaci Buddisti che hanno
lasciato i monasteri per vestire i panni dei rivoluzionari.
La città era avvolta da una leggera nebbia e bersagliata dai primi raggi
del mattino quando migliaia di Bonzi avevano cominciato a manifestare
carichi di rabbia e di speranza, di tristezza e di condivisione.
Molti di loro non sarebbero più tornati a casa, ma forse questo lo sapevano già e non gli importava perché avevano deciso di dire basta, di scaldare il freddo che da troppo tempo aveva invaso la Birmania.
Senza armi né minacce i monaci birmani si stavano opponendo alla giunta che era al potere, ai militari sanguinari e ai loro capi senza paura. Indifesi
sfilavano in un corteo scaldato da fiaccole, quelle della disubbidienza,
come il fuoco che brillava nei loro occhi.
-Non saranno di certo i signori della guerra a spaventarci, la Birmania tornerà una nazione libera e i birmani un popolo sicuro.
La paura del potere ci ha per troppo tempo resi schiavi, ma oggi a mani
nude e con le ciotole rovesciate manifestiamo davanti e contro il volto oscuro del regime che reprime la forza delle masse, queste le armi che salveran-
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La Schiavitù in età moderna
no noi, voi e la Birmania interaQuesto era il grido che si era alzato rimbombando nella piazza sempre
più gremita; parole di un anziano monaco che si rivolgeva ai suoi compagni
e alla folla intera, che rimaneva impaurita, che gia sentiva l’odore rosso del
sangue. Passò infatti qualche minuto e le camionette delle squadre del regime giunsero nella piazza di Rangoon circondata da splendide pagode.
Una pistola spuntò dal finestrino e poi uno sparo zittì tutti e allontanò stormi di uccelli che si erano accovacciati sui tetti. Il vecchi bonzo cadde sull’asfalto, la tonaca si macchiò di rosso –é inutile, tutti ricorderanno e lotteranno per i martiri della libertà- pronunciò queste parole, poi anche i suoi
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La Schiavitù in età moderna
occhi si spensero.
I monaci novizi, bimbi di appena nove anni lo circondarono in lacrime
stringendolo fra le braccia come fosse un padre. Gli adulti rimasero con lo
sguardo di chi non ha paura a fissare i militari che scendevano dalle vetture. Parlarono per qualche minuto tra loro. Quasi ignari della folla in rivolta che
gli stava davanti. Poi impugnarono le armi e spararono.
La gente scappò via, qualcuno assistì agli spari giurando vendetta, ma
niente di tutto ciò fece muovere i monaci che rimasero uniti: la violenza non
avrebbe diminuito il senso della protesta. La paura predispone la mente alla
schiavitù, il coraggio è piuttosto il primo atto di libertà.
Il vecchio monaco per primo aveva detto addio alla sua vita su una
pozza di sangue, gli altri anch’essi privi di vita erano disseminati per le strade
della capitale , la gente impaurita barricata in casa.
Giuseppe Cottone II E
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La Schiavitù in età moderna
Adesso posso morire, morire come un uomo...
Dicono che quando stai per
morire rivedi davanti a te tutta la
tua vita in pochi, pochissimi attimi…
Ebbene,io rivedo me sdraiato su quel marciapiede, impegnato a guardare le persone
che con indifferenza gettavano
su di me i rifiuti, perché io per
loro ero proprio questo: un
oggetto,uno scarto,un rifiuto. Tra
la sporcizia stavo e sporcizia
ero. I miei vestiti non erano altro
che stracci legati tra loro con
uno spago lercio. Ogni giorno
ero tormentato da piccoli insetti che a poco a poco erodevano la mia pelle
e con essa anche la mia dignità.
Un giorno da lontano vidi lei, avvolta in una tunica umile ma pulita, bordata di azzurro.
Mi aspettavo indifferenza da parte di quella figura angelica, ma con mia
grande sorpresa quando giunse davanti a me si fermò e mi tese la mano sorridendo.
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La Schiavitù in età moderna
Non credevo ai miei occhi “sto sognando?” mi dissi, ma ci vollero solo
pochi attimi per rendermi conto che quella era la realtà e che lei mi stava
togliendo da quella strada che per tutta la vita mi aveva reso schiavo e mi
accorsi che non ero più incatenato alla mia condizione.
Lei mi portò in quella casa, l’unica vera che io avessi mai visto.
Mi posò dolcemente su uno di quei lettini bianchi e mi liberò da quei piccoli insetti sulla pelle. In seguito mi diede dei vestiti puliti e del cibo
caldo…indescrivibile la sensazione che provai in quei pochi attimi: finalmente c’era qualcuno al quale importavo veramente, che mi curava, sfamava e che riempiva di gioia quelle giornate con un sorriso che era importante e speciale per me. Ecco tutta la mia vera esistenza.
Ora me ne vado, libero dalla mia condizione natale, liberato per lei…
quell’angelo che in pochi attimi ha saputo rendermi un uomo ricco senza
neanche possedere una moneta, un uomo ricco di gioia ma soprattutto di
dignità.
Adesso posso morire, morire come un uomo.
Silvia Spinelli II E
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La Schiavitù in età moderna
Si era ritrovata sul bordo di una strada
In Italia la tratta finalizzata allo sfruttamento sessuale è la forma di schiavitù
più praticata e tra le più redditizie. Negli ultimi tempi è andata affermandosi
la prostituzione straniera che porta con sé i segni, non sempre evidenti, della
tratta di esseri umani. Come emerge in questi brani oltre alla strada, teatro di
questa sorta di sfruttamento sono i locali notturni, nei quali si celano situazioni ancora più ambigue . La quasi totalità di queste donne è di provenienza
straniera; tra le quali spiccano la provenienza albanese, nord africana e nigeriana. Le vittime non hanno all’esterno segni di violenza, ma questa piuttosto
crea traumi, paure, ansie,angosce, ripudio d se stessi e del proprio corpo; è una
forma di violenza psicologica alla quale sono sottoposte le donne vittime.
(Da “La schiavitù del XX secolo”).
La sua vita cambiò quel giorno. Era venuta in Italia con la sola speranza di
dare una svolta ai suoi giorni. Senza nemmeno accorgersene si era ritrovata sul
bordo di una strada. Aveva freddo. Avvolta dal buio della notte sfregava le sue
braccia nude; quei vestiti eccessivamente corti la facevano sentire intrappolata
in quell’incubo che era ormai diventata la sua vita. Sperava sempre di svegliarsi,
ma nemmeno i sogni riuscivano più a portarla via da quell’orribile realtà. La sua
mente era piena di ricordi confusi; volti sconosciuti, braccia che l’afferravano
senza pietà, occhi pieni di violenza. E poi, il
vuoto. Rendersi conto di non avere più nessuna speranza, ma soltanto la certezza che quello era il suo destino. Destino deciso da un
uomo che non l’avrebbe mai più lasciata libe-
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La Schiavitù in età moderna
ra. Le dava a stento del cibo per sopravvivere. Quel giorno l’aveva portata lì, in
quella topaia dove altre ragazze erano state trascinate prima di lei. Le uniche persone di cui poteva fidarsi, le uniche che l’avrebbero veramente capita. Con il passare del tempo vedeva la sua vita sfumare lentamente; la sfiorava soltanto, senza
più vere emozioni, senza più la forza di amare. Era schiava, schiava di un sogno
che si era trasformato in un incubo.
Nadia Milazzo - Ivana Raspanti
Jenny
Il sole era già alto nel cielo, le strade sono piene di gente che
va in giro per i negozi e alcune famiglie già pranzano.
Jenny è distesa sul letto , con gli occhi e l’aria distrutta, di chi
non ha più la forza per piangere. Le mura che la circondano
sono consumate dall’umidità, un’unica stanza in disordine che
racchiude tutta la sua vita, che la rende schiava. Lei era arrivata
in Italia in cerca di un lavoro che le permettesse di vivere dignitosamente, ma ad
accoglierla è stato l’uomo sbagliato, l’uomo che offrendole un permesso di soggiorno si era impossessato della sua libertà. Jenny adesso è sveglia, si è messa qualcosa addosso e con il guadagno della notte esce per andare all’appuntamento
con il suo padrone, si mette in cammino verso il luogo concordato e nella sua
mente cominciano a dilagare brutti pensieri. Non era questa la vita che aveva sempre sognato, si era ribellata ad un destino di povertà e di privazioni, era partita; dal
bisogno e dal sogno d una vita facile e felice, alla vita notturna dei locali, alla notte
illuminata dai pali e dai fari delle macchine. Questo è il baratro della sua umiliazione fisica e morale.
Angelo Tuzzo - Nicolò D’Anna II E
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Indice
Presentazione
pag. 3
La Schiavitù nell’Antica Roma
pag. 5
Il soldato romano non teme la morte ma la turpe schiavitù
pag. 7
Valeriano: da imperatore dei romani a schiavo dei Sasanidi
pag. 9
Simmaco: l’ultimo dei pagani
pag. 11
La Schiavitù nel Medio Evo
pag. 13
Maledette corvèes
pag. 15
Pagare per servire... Bisogno di protezione e sicurezza
pag. 17
La strega è tornata
pag. 20
I roghi delle streghe
pag. 23
La Schiavitù in età moderna
pag. 25
Uomini a caccia, a caccia di uomini
pag. 27
Ninuzzo
pag. 29
Ritratto
pag. 32
Sadi, bambina sfortunata
pag. 34
Mamma! Quello è tutto nero!
pag. 36
Il bianco...e il nero
pag. 38
Hina: il volo di una rondine
pag. 41
Il sogno infranto dal delitto d’onore
pag. 43
In Piazza per gridare libertà
pag. 45
Adesso posso morire, morire come un uomo...
pag. 48
Si era ritrovata sul bordo di una strada
pag. 50
Jenny
pag. 51
52
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