Viaggio dentro il Mausoleo dei prodi italiani caduti “romanamente” (1849) (di Pietro Sorace) Pioveva in pieno inverno. Roma era travolta da un acquazzone di immane dimensioni ,ed io, come al solito, stavo in giro senza ombrello. Mi trovavo presso il Gianicolo per fare una passeggiata che poi si era rapidamente tramutata in nuotata. Ero ormai fradicio, ma cercavo ugualmente un edificio dove rifugiarmi in attesa della ricomparsa del sole. Ad un tratto vidi un quadriportico che si ergeva nei pressi della terrazza del Gianicolo. La struttura era di un bianco vivissimo, probabilmente travertino, e dominava la scena con sua imponenza. Mi era familiare , ma non ricordavo proprio nulla che ne avesse a che fare in quel momento. D’altronde sotto quella pioggia battente non era facilissimo concentrarsi. Mi misi subito a correre sperando di salvare dall’acqua almeno il cellulare , ma soprattutto me stesso. Nella corsa affannata che si susseguì, inciampai due tre volte, ma essendo ormai diventato un esperto nuotatore raggiunsi lo stesso l’edificio. Una volta arrivato, entrai dentro attraverso un sottoscala dietro la facciata principale. Una volta dentro, dimenticai per un istante quella maledetta mattinata per prendere coscienza del luogo in cui mi trovavo adesso. Era un luogo sacro. Lo compresi da un pilastro posto al centro, che portava sopra l’effige di una croce. Le tre pareti che mi si presentavano davanti erano ricoperte da nomi. Sul fondo della stanza vi era un sepolcro che spiccava su tutti . Egli era lì. Solo. Mi avvicinai e guardai prima la data di morte in basso. Era morto giovane, quando aveva 22 anni. Alzai lo sguardo. Sulla parte superiore vi era scritto il nome in metallo dorato : Goffredo Mameli. Adesso ricordavo. Ero già venuto in questo luogo da bambino e ne ero rimasto molto affascinato. Questo era il mausoleo ossario Garibaldino, eretto in memoria dei caduti che combatterono a Roma tra il 1849 ed il 1870. In realtà, ora che lo riguardavo, trovai curioso il fatto che quasi tutte e tre le pareti fossero ricoperte dai nomi dei caduti nel 1849. Doveva essere stato un anno molto sanguinoso. Essendo, però, perso nei miei ragionamenti, mi accorsi solo dopo della presenza di un signore dai capelli grigi, che stava seduto al lato dell’entrata anche lui mezzo fradicio. Era il guardiano. Pensai che potesse aiutarmi a scoprire le vicende che avevano portato tutti questi uomini e donne e ragazzi a morire. Con il passare dei minuti la mia curiosità divenne sempre più forte finchè non mi decisi a chiedergli in che modo e perché morirono così tanti uomini in quell’anno. Così, come se avesse già saputo che gli avrei fatto quella domanda, accennò un lieve sorriso, si alzò e tirò fuori dalla tasca interna della giacca un piccolo libro di colore rosso che mi pose tra le mani. Parlava, mi disse, dell’incredibile storia della Repubblica Romana. Incominciai così a leggerlo approfittando di quell’amichevole gesto (dono): Così, come se avesse già saputo che gli avrei fatto questa domanda, accennò un lieve sorriso, si alzò e cominciò a raccontarmi (estraniandosi quasi della realtà circostante) , come la chiamò lui, “L’incredibile storia della Repubblica Romana” . Aiutato da un libretto rosso, incominciò : <<Era in principio, il novembre del 1848. In quel mese, che sembrava tutto tranne che freddo e autunnale, le varie nazioni di mezza Europa si guardavano allo specchio ossessionate dal vedere quali effetti avesse avuto quell’anno funesto su i propri corpi. La parola che mi viene in mente per definire questo periodo così affascinante quanto deplorevole è PENSIERO. Questo è stato,ed è, un anno di difficile interpretazione, proprio per il semplice fatto che racconta una storia in cui non trovano spazio gli uomini, come forse siamo abituati a pensare,bensì le idee che questi ultimi seminarono per i posteri lungo il periglioso cammino della consapevolezza umana. La rivoluzione fu parte integrante del 1848. La Sicilia, che si era ribellata al Re Ferdinando II,aveva ottenuto per prima una costituzione promulgata proprio dal sovrano più reazionario d’Europa. Poi fu la volta della Francia, che in breve tempo vide decadere la monarchia e instaurata la repubblica, ed in seguito, tutti i sovrani dei diversi Stati italiani, avendo compreso il forte clima insurrezionale che si stava abbattendo sulla penisola, promulgarono statuti e costituzioni. Così mentre negli Stati Uniti d’America si teneva la prima conferenza sui diritti delle donne a Seneca Falls, in Italia si era ancora alle prese con la prima guerra d’indipendenza. In questo contesto devono essere estrapolate le intrigate vicende che coinvolsero Roma prima di quel novembre 1848. In realtà, Roma e i sudditi romani, negli anni precedenti non avevano avuto molti problemi,anzi, il popolo aveva accolto molto calorosamente l’avvento del nuovo pontefice Pio IX , al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti, il 16 giugno 1846. Dalle cronache di quel tempo si può evincere come il suo consenso derivasse non solo dal fatto che fosse un bell’uomo, ma soprattutto perché era considerato un uomo politico di stampo liberale . Egli aprì il suo pontificato firmando il celebre “Editto del perdono” il 16 luglio. Era un’amnistia in favore dei carcerati accusati o condannati per aver commesso reati politici. I carcerati in quel tempo erano 394, i profughi 605. In molti cominciarono a credere che un progetto di unificazione avrebbe potuto realizzarsi sotto la guida di Pio IX. Questo suscitò molto fermento nella popolazione che per giorni festeggiò in piazza del Quirinale guidata da un noto carrettiere trasteverino, Angelo Brunetti, detto Ciceruacchio(nomignolo datogli dalla madre da piccolo per il fatto che fosse ‘grassottello’ )1, che si era portato con sé, per l’occasione, un panciotto su cui aveva fatto ricamare la scritta “Viva Pio IX” lungo tutto l’indumento. Ciceruacchio era stato in un primo momento carbonaro ed iscritto alla Giovine Italia di Mazzini, poi, in seguito all’editto, divenne il primo sostenitore del papa . Si dice che parlasse solo in dialetto romano, e che avesse una grande presa sull’uditorio a cui si rivolgeva, per questo sarà uno dei protagonisti della rivoluzione romana. Nei due anni che si succedettero, però, quel liberalismo propugnato dal Papa, che aveva fatto sperare innumerevoli personaggi , fu sostituito, quasi subito, da una politica attendista ed ambigua inconcludente. Roma in quegl’anni era una città degradata, se non la più povera d’italia.Un ceto medio borghese era inesistente. La popolazione viveva per lo più di beneficienza. Clero e nobiltà dominavano la scena. C’erano a Roma più di seicento fra chiese e conventi, ottantadue palazzi nobiliari (Barberini alle Quattro Fontane,Borghese a Campo Marzio, Colonna ai Santi. Apostoli, Dorja, Chigi, Boncompagni al Corso, Caetani alle Botteghe Oscure, Corsini alla Lunghara,eccetera), un migliaio di osterie2, il luogo dove si svolgeva gran parte dell’attività popolare. Il clero nel 1848 arrivò a contare 6.381 unità3 su 160000‐180000 sudditi ( uno ogni trenta abitanti). Gioacchino Belli, in maniera arguta ed irriverente interpretava a modo suo l’acronimo S.P.Q.R. : << ste lettre vonno dì ssor zomarone, /Soli Preti Qui Rreggneno: e ssilenzio>>.4 Il popolo romano perciò in quel 1848 iniziava a mormorare ed a svegliarsi dal torpore che lo aveva tenuto a bada per più di un millennio. In realtà,nessuno credeva che a Roma, stata per 2000 anni sotto il dominio prima degli imperatori, poi dei papi, i sudditi avessero la forza di insorgere.Anche se dopo qualche tentennamento, lo stesso Pio IX concesse la costituzione il 14 marzo 1848 credendo di addolcire il malcontento che cominciava a manifestarsi. Ciò però non bastò, in quel novembre il popolo si era ribellato. Le proteste si fecero sempre più accese, fino al tragico evento che coinvolse il primo ministro del governo dello Stato Pontificio, Pellegrino Rossi. Il 15 novembre mentre quest’ultimo si dirigeva verso la sede del Governo Pontificio (Palazzo della Cancelleria) trovò ad attenderlo una folla di dimostranti che gli si strinse attorno; quando la folla si scompose il corpo di Rossi giaceva per terra con un evidente ferita da taglio che gli aveva provocato una ragguardevole perdita di sangue che sgorgava copiosa dalla gola. Il colpevole dell’omicidio non fu mai scovato ; in un primo momento si pensò addirittura a Luigi Brunetti (che per un po’ dovette cambiare nome) , figlio di Ciceruacchio , dato che entrambi erano alla manifestazione contro il governo papalino, delusi dal Papa che avevano appoggiato con tanto fervore . In realtà la maggior parte degli storici concorda sul fatto che fosse stato proprio Luigi a scagliare il colpo mortale, ma, c’è da dire che si trattò di un evento molto confuso e privo di testimonianze dirette. Il giorno successivo partì l’assedio, da parte della popolazione, al Quirinale, dove risiedeva il Papa. Alcuni vollero puntare persino i cannoni sul Quirinale. Il Pontefice, a questo punto, prese una decisione che avrà pesantissime conseguenze nel futuro di Roma : Fuggire. Dove? A Gaeta dal Re delle Due Sicilie, Ferdinando II, detto Re Bomba. Secondo un commentatore <<La fuga, dopo quattro giorni di sofferta meditazione, anche sul piano esterno fissa il momento della trasformazione interiore>> di Pio IX. Pio IX era scappato(travestito da semplice parroco), ma aveva lasciato dietro di sé un governo provvisorio . La città,però, si presentava disorientata e sempre più povera. Intanto, Il Governo rimasto a Roma, fin dai primi giorni in evidente difficoltà, inviò dei legati alla corte di Gaeta per supplicare il Papa di tornare. Gli inviati vennero respinti al confine con il Regno delle Due Sicilie a Terracina. Il Papa non li volle ricevere. Nella Francia da poco repubblicana,intanto, veniva eletto Luigi Napoleone presidente della Repubblica, battendo il suo principale avversario, il generale Caivagnac il 10 dicembre 1848. Con un governo allo sbando ed un sovrano che non si interessava del proprio stato, Roma stava diventando una meta ambita da molti patrioti. Cominciarono a sentirsi nelle osterie persone che parlavano di una nuova possibile forma di governo che andava tanto di moda in quegli anni : La Repubblica. Si iniziava ad intravedere per le strade qualche bandiera tricolore. Mentre a Forlì e Cesena un ancora poco conosciuto Giuseppe Garibaldi stava reclutando dei volontari da affiliare alla sua legione italiana appena tornata da Montevideo.5 Direzione : Roma. IL percorso da compiere dopo la fuga del papa era chiaro ai patrioti ed ai circoli popolari : governo provvisorio, elezioni a suffragio universale, Assemblea costituente dello stato pontificio, Costituente italiana.6 Il personaggio principale di questo ambizioso progetto sarà incarnato da una delle figure più affascinanti e discusse del Risorgimento. Un uomo ricercato dalle polizie di mezza Europa e su cui pendeva una condanna a morte da parte del regno di Sardegna : Giuseppe Mazzini. Questo, da Londra, coordinava già i suoi con una serie infinita di lettere. In una di queste, inviata poco dopo la fuga di Pio IX, scrisse : <<Pio IX è fuggito: la fuga è un’abdicazione: principe elettivo,egli non lascia dietro di sé dinastia. Voi siete di fatto Repubblica, perché non esiste per voi, dal popolo in fuori, sorgente d’autorità. Uomini logici ed energici ringrazierebbero il cielo del consiglio ispirato a Pio IX>>. A Roma le manifestazioni si susseguivano accompagnate da un fermento generale, guidate, come al solito da Ciceruacchio.Si chiedono elezioni, un’assemblea costituente. Risulta chiaro che sia un forte sentimento popolare ad animare le folle. Il protagonista è il Popolo Romano. Il 29 dicembre il governo provvisorio, resosi conto di non essere in grado di procedere, convocò le elezioni per il 21 gennaio dell’anno successivo. Si votava con il suffragio universale. Avevano diritto di voto tutti i cittadini maschi che avessero compiuto il ventunesimo anno di età. Ma il Papa, irritato dalla piega che stavano prendendo gli avvenimenti, lanciò da Gaeta una controffensiva molto audace: la scomunica contro chi avesse votato o chi, addirittura, avesse collaborato allo svolgimento delle elezioni. Questa tattica, secondo un commentatore aveva due funzioni: <<ostacolare il voto , squalificandolo come empio e sacrilego, denunciare l’intollerabilità della situazione creatasi, chiamando ad un attivo intervento in difesa del papa le potenze cattoliche>>.6 Il monito‐ minaccia ‐ non attecchì. Nei giorni che precedettero il voto vi furono moltissime macchinazioni dei vari parroci e fedelissimi del papa per indurre i cittadini a non votare : <<si ebbero anche eventi miracolosi di madonne viste piangere o di santi che invitavano a non votare, ci furono minacce e intimidazioni, dai pulpiti i parroci dissero chiaramente cosa si aspettavano dai fedeli, a Bologna qualcuno prospettò l’ipotesi della secessione pur di restare fedele al papa. >>7. Nonostante questi mezzi poco ortodossi per attizzare una fantasiosa protesta contro le elezioni, tutto andò per il meglio. Si svolsero in un clima tranquillo. L’evento assunse dimensioni veramente colossali quando si appurarono i dati dell’affluenza alle urne. Erano andati a votare , in tutto lo Stato Pontificio, 250000 uomini ( un terzo degli aventi diritto).Una giornalista americana inviata a Roma come corrispondente, Margaret Fuller, notò il fatto che in proporzione avevano votato più persone nello Stato Romano che negli Stati Uniti. Un dato mai registrato prima di allora. Da quel momento in poi, le potenze europee (e non solo) cominciarono ad avere un occhio di riguardo per quella che ormai era diventata a tutti gli effetti la Roma “non papalina”. I legami con il pontefice ormai erano spezzati, la popolazione ora confidava in un nuovo governo sperando di migliorare la propria condizione di sopravvivenza. In quei giorni, si era innescato a Roma un processo di educazione alla politica nel popolo romano promosso da Mazzini e i suoi seguaci. A quel tempo la gran parte della popolazione era analfabeta, perciò i circoli popolari si erano adoperati affinchè anche ai ceti emarginati arrivassero informazioni su ciò che stava accadendo nello Stato. I luoghi prescelti per questo arduo compito erano i teatri ( uno su tutti il Teatro Metastasio) , i circoli e persino le osterie. L’esito del voto si apprese domenica 28 gennaio. Rispetto alle elezioni dell’anno precedente tenutesi a suffragio ristretto,il numero degli aristocratici era diminuito considerevolmente (un ottavo del totale). In quella categoria, inoltre, vi erano i protagonisti del cambiamento in atto <<non solo Mamiani e il conte Manzoni, ma anche Felice Orsini, Michele Accursi, Carlo Bonaparte, Aurelio Saffi>>8 Furono 179 i deputati eletti al primo turno( tra di loro anche Giuseppe Garibaldi,eletto a Macerata). In questo quadro rientravano molti giovani repubblicani seguaci di Mazzini ma erano in netta minoranza, rispetto ai moderati che avevano come massimi esponenti Audinot e Mamiani. Ciò che colpiva ‐ come osservò qualcuno – era il forte rinnovamento della classe dirigente. Solamente una quindicina di persone avevano già fatto parte del parlamento l’anno prima. Tra i nuovi arrivati, moltissimi erano giovani e audaci, come Filippo De Boni ed Enrico Cernuschi reduci dai combattimenti che si erano svolti nel corso del 1848. A Roma intanto erano arrivati con Garibaldi, tra gli altri, il varesino Francesco Daverio, ricercato numero uno dalla polizia austriaca ed il bolognese Angelo de Masini ( detto Masina), con 300 uomini al suo seguito. A Roma erano giunti numerosi altri giovani coraggiosi e temerari da tutta la penisola, coscienti dei pericoli che li attendevano. Non è che non avessero paura della morte, avevano solamente imparato a conviverci. Tra questi, Goffredo Mameli (ventun’anni), uno dei tanti poeti‐soldato dell’epoca. Tutt’altro che un talento, anche se non ebbe il tempo per diventarlo, lui sarà ricordato per l’entusiasmante inno ‘Fratelli d’Italia’, (musicato da Michele Novaro) colonna sonora che accompagnerà prima i garibaldini, nel successivo progetto di unificazione del Regno Sabaudo, ed in seguito tutti gli Italiani. La prima seduta dell’assemblea costituente venne fissata il 5 febbraio. L’assemblea, pur non essendo presente un organigramma partitico, vedeva i deputati democratici in netta minoranza. Questi,però, erano anche i più attivi e la maggior parte dei loro colleghi appariva fortemente indecisa a causa del rapido susseguirsi di avvenimenti che avevano visto evolversi la situazione di Roma, da città festante nei confronti del proprio sovrano ad uno scompiglio generale che aveva portato all’allontanamento del Papa stesso. C’era bisogna di forzare la mano di molti portando argomenti convincenti. In quel 5 di Febbraio il grido che riecheggiò per tutta la giornata fu : “Viva la Repubblica”. Una volta riunitasi l’assemblea Garibaldi fu uno dei primi a prendere la parola ed in maniera molto stringente, come l’arte militare lo aveva abituato a fare, mise subito in chiaro le responsabilità che aveva quell’assemblea nei confronti del popolo : decidere la forma del futuro governo di Roma. Il discorso, però, sarebbe stato ripreso solamente dopo qualche giorno per via di alcune pastoie burocratiche. L’8 febbraio , mentre al porto di Livorno attraccava un piroscafo proveniente da Marsiglia, L’ellesponto , su cui vi era Giuseppe Mazzini, a Roma, veniva aperta la seduta dell’assemblea costituente al Palazzo della Cancelleria con tre temi da affrontare : <<a chi affidare il potere provvisorio, in attesa delle decisioni della Costituente ; quali relazioni stabilire con gli altri Stati; infine, nonostante questo fosse ovviamente il tema cruciale, dichiarare o no formalmente decaduto il potere temporale dei Papi, proclamare o no la Repubblica>>. Per quanto riguardava le misure da prendere con gli altri Stati, il capo della commissione di governo Muzzarelli presentò un dettagliato rapporto dall’attività svolta dai diplomatici inviati a Londra e a Parigi dopo la fuga del Papa; mise in chiaro le ottime relazioni che vi erano tra lo Stato Romano e quelli di Venezia e Firenze. Rodolfo Audinot proponeva al tempo stesso di fare un’alleanza con il Piemonte. Ma dopo aver scoperto,però, grazie alle carte diplomatiche presentate da Muzzarelli (riguardanti le lettere inviate al Papa da Goberti) , che l’intenzione del Piemonte era quella di ristabilire il potere pontifcio e non quella di aderire ad una futura Costituente italiana (come credeva Audinot), ci fu un profondo momento di riflessione nei deputati della Costituente romana, soprattutto in quelli più incerti. Di fronte a quella che il repubblicano Carlo Bonaparte ‐ cugino del Presidente della repubblica Francese Luigi Napoleone, nonché nipote dell’imperatore Napoleone I‐ definì <<stomachevole corrispondenza>>9 l’assemblea s’infiammò . Quelle lettere avevano avuto un impatto così sensazionale che, molto probabilmente, ribaltarono il normale corso degli eventi : i democratici diventarono ancora più intraprendenti, mentre i moderati finiron per essere ancora più incerti sul da farsi. Intorno alle 15 ebbe inizio il dibattito sulla forma di governo del giovane stato romano. Ad un certo punto prese la parola un neoeletto deputato bolognese, Quirico Filopanti . Questo, prima esortò i deputati ad evitare di prendere una decisione tanto importante con <<esitanza e trepidazione>> citando una celebre frase di Danton <<Ardimento,ardimento,ardimento>>10, poi presentò e lesse ai deputati un decreto fondamentale, in cinque articoli, di ineccepibile chiarezza in termini : <<Art 1 Il papato è decaduto di fatto e di diritto dal Governo temporale dello Stato Romano. Art.2 Saranno date al Sommo Pontefice, anche di concerto colle altre potenze cattoliche, tutte le più convenevoli, sicure e stabili guarentigie pel pieno, libero e indipendente esercizio della sua podestà spirituale. Art.3 La forma del Governo dello Stato Romano sarà la democrazia pura e prenderà il nome glorioso di Romana Repubblica . Art.4 Gli sforzi della Romana Repubblica saranno in modo tutto speciale diretti al miglioramento morale e materiale della condizione di tutte le classi della società. Art.5 Le relazioni della Repubblica Romana cogli altri membri della grande famiglia Italica saranno sovranamente determinate dall’Assemblea Costituente Italiana.>>11 Filopanti sostenne in particolar modo la scelta, che si palesava nell’articolo 2, di garantire le guarentigie necessarie al sommo Pontefice in virtù del fatto che <<per essere veramente indipendente, il Papa non deve essere né suddito né sovrano>>12 I deputati, dato che l’assemblea si sarebbe dovuta sciogliere alle ore 18:00, decisero di proseguire il dibattito interrompendo per due ore la seduta. La sorte di Roma sarebbe stata chiara solamente a notte inoltrata. Alla ripresa dei lavori, Audinot propose di rinviare la decisione al 1 marzo, ma ormai l’assemblea era febbricitante, non si poteva aspettare oltre. Dopo altre ore di dibattito si decise di passare alle votazioni. Era quasi mezzanotte.<< I deputati favorevoli dovevano alzarsi in piedi, i contrari restare seduti>>. Alla proposta di Audinot, di rinviare la decisione della forma di governo al 1° marzo, si alzarono in 27 : respinta. Poi si passò al decreto fondamentale di Filopanti, che si decise di votare articolo per articolo. Qui i deputati si trovarono di fronte alle proprie responsabilità nei confronti non solo dei romani ma anche dell’italia e della storia italiana. Un loro si o un no avrebbe pesato quanto un macigno sulle spalle del popolo. Era l’ora della verità. L’esito di quella votazione avrebbe aperto due scenari completamente opposti : se fosse stato negativo, Mazzini avrebbe potuto anche tornarsene a Londra a fare il cospiratore, e con lui, Garibaldi e quel gruppo di briganti al suo seguito ; se fosse stato positivo, sarebbe stato chiaro a tutti che la Roma Repubblicana,impensabile fino a pochi mesi prima, sarebbe stata immersa in una dimensione nazionale e non più municipale, che l’avrebbe innalzata a guida dell’unificazione italiana secondo il disegno repubblicano. Si iniziò a votare il primo articolo, che proclamava <<decaduto di fatto e di diritto>> il potere temporale del Papa. Venne approvato quasi all’unanimità ( cinque contrari). Incredibilmente si era alzato anche Audinot,il leader moderato, che non aveva avuto alcuna esitazione nell’appoggiare l’adozione di quell’articolo. In seguito, anche sulle guarentigie da assicurare al Papa ci fu una maggioranza molto larga (con solo 22 contrari); con questo articolo si metteva in chiaro quale fosse stata la volontà del popolo e della costituente: cacciare un Re e mantenere un Papa, operando una netta distinzione tra il regno terreno,proprio del popolo ed il regno celeste, di cui era “ambasciatore” in terra il sommo pontefice, che si erano andati sovrapponendosi con esiti rovinosi. Poi si passò al voto del terzo articolo del decreto fondamentale, quello che proclamava la Repubblica. Un argomento che aveva acceso il dibattito politico dal primo giorno in cui l’assemblea si era riunita. I deputati che non si alzarono furono 22. Sul verbale venne riportato : <<Generale si leva l’applauso da ogni labbro, e i “Viva la Repubblica” echeggiano da ogni lato dell’assemblea>>. Erano le 23,30 di giovedì 8 febbraio 1849.13 Roma era ‐incredibile a dirsi‐ una Repubblica. Anzi , secondo i progetti di Mazzini, sarebbe stata il fulcro della futura repubblica italiana. Così rinacquero i miti e le speranze che si erano andate affievolendo nel corso del sanguinoso anno precedente; la fiamma che aveva arso tutta Europa era tenuta viva a Roma. Il dibattito intanto, proseguiva sugl’ altri articoli da votare. L’art. 4, che presentava gli impegni della repubblica a livello sociale, venne eliminato all’unanimità perché si considerava la sua argomentazione pleonastica, in quanto la stessa natura della Repubblica democratica comportava la cura del benessere del popolo.14 L’ultimo articolo invece si decise di riformularlo in : “La Repubblica Romana avrà col resto d’Italia le relazioni che esige la nazionalità comune”. Il presidente dell’assemblea Galletti rilesse l’intero testo del decreto (ridotto a quattro articoli) e lasciò che i deputati votassero –rispondendo all’appello nominale15: I sì furono 120, i no assoluti 9, 12 le astensioni. I deputati assenti erano assenti.15a Intorno alle 2 del mattino del 9 febbraio i deputati iniziarono a sgomberare l’aula. Il giovane Goffredo Mameli, che aveva assistito alla seduta dalle tribune, scrisse quella notte un telegramma, che inviò a Mazzini all’indirizzo << Felice Casali, Firenze>>, di pochissime parole,ma di immediata chiarezza e colme di quella irrefrenabile frenesia che accompagnerà lui, e altre centinaia di patrioti, in quell’avventura : <<Roma,Repubblica: venite!>> Alcuni potrebbero considerare questo risultato un punto di arrivo e forse, si potrebbe addirittura credere che anche i protagonisti di questo incredibile progetto ritenessero la questione risolta. D’altronde erano conosciuti in tutta Europa, avevano compiuto un fatto storico: proclamare la Repubblica, attraverso elezioni a suffragio universale . Le loro imprese riecheggiavano e riecheggeranno nei salotti europei e non, per molto tempo. Il problema però, è, che questi giovani intraprendenti non bramavano la popolarità. Non andarono e non andranno a Roma per farsi belli di fronte al mondo. Loro andarono a Roma per cambiare il mondo. Sapendo, chi prima chi dopo, di Dover morire ! Dopo la proclamazione della Repubblica‐ avvenuta il 9 febbraio alle 15,00 presso il Campidoglio, accolta dal grido unanime di “Viva la Repubblica”‐ l’assemblea si rimise subito al lavoro. Fu nominata una commissione incaricata di redigere il testo della costituzione. I deputati sapevano che sarebbero stati impegnati assiduamente ancora a lungo emanare leggi che richiedevano la massima attenzione, sia perchè il degrado e la disastrosa situazione economica in cui versava la città erano insopportabili, sia perchè il papa da Gaeta, oltre agli anatemi, stava lanciando su Roma le maggiori potenze europee : Francia, Austria, Regno delle due Sicilie, Spagna con la missione di cacciare i pochi faziosi e sovversivi che avevano preso Roma con la violenza ( secondo quanto gli era stato riportato). Il programma del nuovo governo venne illustrato chiaramente dal Ministro degli esteri Rusconi il 16 febbraio nella seduta dell’assemblea costituente con un discorso che non lasciò spazio a fraintendimenti : <<La politica di questa nostra Repubblica che vergine e incruenta emerge dagli avanzi di un regime che l’alito potente della civiltà dei tempi nostri bastò a distruggere, non sarà per opera nostra che una politica franca, dignitosa, conciliatrice …….. Svincolata dalle clericali influenze, l’istruzione procederà di pari passo colla religione, elemento unico più che singolare di educazione, allorchè non si adultera con falsi interessi… le oberate finanza..… L’estirpazione di ogni reliquia del clericale sistema entra nel programma nostro, e coll’attendere a questa il grande aumento che alla religione ne verrà basterà più di ogni altro argomento a render l’opera nostra santa e illibata. Le oberate finanze saran prese da noi in rassegna; la crisi che, dove ogni studio non vi si ponga, potrebbe avverarsi, sarà per quanto è da noi allontanata ….. I codici, la faraggine della giurisprudenza, attireranno eziando tutta l’attenzione nostra …. Le questioni sociali assorbiranno gran parte delle nostre elucubrazioni. Certo quella libertà che non migliora e solleva le classi numerose è libertà bastarda…. I poveri, quella serie interminata di fratelli nostri a cui la vecchia società precluse ogni agiatezza della vita, saran da noi assiduamente curati; ad alleviare i mali fisici e a rigenerarli moralmente vorrem consacrate le nostre più religiose meditazioni…… La proprietà sarà posta sotto la salvaguardia della Repubblica nostra; l’intera amministrazione dello Stato verrà riformata; la Repubblica Romana nostra diverrà la potenza visibile del popolo… La beneficenza si convertirà così in dovere e la carità in istituzione….. La libertà dei culti, il rispetto delle opinoni poste in cima di ogni studio nostro, e a tutelar le persone e gli averi, anche in chi non sente in cose politiche come noi, volgeremo ogni cura…. Altra via seguir non potremmo senza sconoscere e falsare le origini nostre. L’Europa ci guarda, L’italia tien volti in noi gli occhi; Italia e Europa veggano qual’ è questa Repubblica Romana>>. Un vasto discorso che, senza alcun indugio, mise immediatamente in chiaro quali fossero i non pochi impegni di cui si fecero carico i Rappresentanti della Repubblica prendendo delle decisioni importantissime, che avrebbero avuto una eco mondiale, come Rusconi dichiarò. Fu deciso che le leggi si emanassero <<in nome di Dio e del Popolo>>, secondo la formula mazziniana, e che la bandiera della repubblica fosse il tricolore.16 Il Papa ,intanto, appena venuto a conoscenza della proclamazione della Repubblica a Roma, aveva convocato al Palazzo Reale di Gaeta un concistoro segreto alla presenza degli ambasciatori delle potenze straniere che avevano seguito il Papa. Mercoledì 12 febbraio il Papa chiese in modo inequivocabile, attraverso una circolare ufficiale, l’intervento armato dell’Austria, della Spagna, della Francia e di Napoli, contro quei “faziosi” che si erano impadroniti di Roma; visto che potevano << accorrere colle loro armi a ristabilire nei domini della Santa Sede l’ordine manomesso da un’orda di settari>>17. Le varie forzecattoliche Europee, eccezion fatta per il Regno di Napoli (dichiaratosi pronto ad invadere lo Stato Romano), adottarono una politica attendista, sia per le agitazioni di cui già dovevano preoccuparsi al loro interno sia per quelle che sarebbero potute insorgere, portando avanti una guerra contro una repubblica libera (questo valeva principalmente per la Francia), nei propri territori; per il momento la Repubblica poteva stare “serena”. Il suo destino non era ancora stato segnato da alcuna decisione esterna, anche se, la perseveranza del Papa e dei suoi collaboratori ( uno su tutti il Cardinal Antonelli), rischiava di far precipitare la situazione da un momento all’altro. In realtà lo Stato Romano non era assolutamente in grado di affrontare uno scontro armato. L’esercito di cui disponeva era composto da solamente 16000 uomini, lo stato maggiore era nullo, il materiale da guerra, scarso. Il nuovo governo non perdeva tempo. Dopo aver eletto un comitato esecutivo composto dai deputati Montecchi,Saliceti e Armellini, l’assemblea portò avanti quel processo di democratizzazione dello Stato che Rusconi aveva auspicato. In quel “rivoluzionario” Febbraio si comprese come le informazioni, che giungevano al Papa a proposito della Repubblica, fuorviassero da quella che era la realtà dei fatti . In questo breve periodo, il governo fece capire a tutti cosa si intendesse dire con “governo del popolo”. Venne di fatto abolito il privilegio di cui avevano goduto per anni le famiglie aristocratiche di tendenze papaline. Attraverso un decreto fondamentale venne operato un prestito forzoso nei confronti dei ceti più abbienti e venne approvata una legge che prevedeva la nazionalizzazione dei beni ecclesiastici per far fronte alla grave crisi economica che dilaniava la città e lo Stato. Prese piede, di fatto, un innovativo sistema riformistico, che successivamente sarà il perno, attorno a cui ruoterà la social‐democrazia, che avrà come obiettivo la riduzione delle disuguaglianze attraverso l’intervento pubblico e le riforme. E questo era solo l’inizio. In quel mese concitante venne abolito il tribunale dell’Inquisizione; con un decreto fu abolita la censura. Per legge vennero istituiti gli uffici di stato civile e il matrimonio civile. La maggiore età venne fissata a 21 anni ed <<abrogata la esclusione delle femmine e dei loro discendenti>> nei procedimenti di successione. Venne persino abolita la pena di morte e chiuso il tribunale dell’Inquisizione. I deputati,inoltre, votarono un decreto che sanciva l’epocale cambiamento del concetto d’istruzione per quel tempo visto e considerato che si trattava dello Stato Pontificio : <<La giurisdizione dei Vescovi sopra le università e altre scuole qualunque della Repubblica, eccettuate quelle dei seminari vescovili, è abolita. L’insegnamento dello Stato è posto sotto la dipendenza immediata del potere esecutivo mediante il Ministero della Istruzione Pubblica >>19 Tra quelli che appoggiarono questo decreto vi fu sicuramente anche Angelo Brunetti che, da bambino povero della Roma dei papi, era andato a scuola dai Fratelli delle scuole cristiane , i <<Carissimi>>. Una scuola del popolo dove non insegnavano preti ed in cui non era possibile l’accesso ai più alti livelli culturali, tanto che era proibito anche lo studio del latino. Gli insegnanti così come gli studenti erano conosciuti come gli “ignorantelli”, ma non c’è da stupirsi, perché nella Roma di quel tempo il dileggio era d’obbligo.20 Ciceruacchio, però, una volta divenuto adulto si battè più volte chiedendo riforme a favore dell’istruzione popolare. In quel mese di Febbraio che qualcuno definì rivoluzionario, i romani tutti si presentarono al mondo con la forza delle riforme e non con quella della violenza, come qualcuno credeva. Se solo qualcuno gli avesse detto, che quello che era appena passato sarebbe stato ricordato come il mese più tranquillo all’interno della turbinosa storia della Repubblica Romana. Marzo si aprì con l’arrivo a Roma di Giuseppe Mazzini, entrato in città da Porta del Popolo. Il fermento che si diffuse immediatamente nella popolazione, provò, ancora una volta, il coinvolgimento della maggioranza dei cittadini nel progetto repubblicano. Mazzini, d’altra parte, si trovò di fronte ad una delle più grandi sfide della sua vita. In quel momento si rese conto di avere un’occasione più unica che rara tra le mani: realizzare quel progetto di unificazione su cui tanti discorsi aveva fatto, per cui tanto si era battuto e per cui tanti si erano sacrificati per portarlo a compimento. Roma non era più un mito, ma una realtà. Ora però sarebbe toccato a lui l’arduo compito di far avvicinare alla realtà di quella piccola Repubblica tutti i popoli italici ed europei, per far si che, non solo essa sopravviva il più a lungo possibile, ma che il suo modello viva in eterno. Bisognava perciò ‐come osservò lo stesso Mazzini‐ <<lavorare come se avessimo il nemico alle porte e a un tempo come se si lavorasse per l’eternità>>. Dal resoconto del verbale dell’assemblea; nel suo primo discorso da deputato, visto che era stato eletto alle elezioni suppletive del 18 febbraio, tutti poterono osservare quanto l’uomo più ricercato d’Europa fosse emozionato, ma allo stesso tempo deciso e determinato nella realizzazione a tutto tondo del proprio disegno politico: <<Se le parti dovessero farsi qui tra noi, i segni di applauso, i segni dell’affetto che voi mi date, dovrebbero farsi, o colleghi,da me a voi, e non da voi a me; perché tutto il poco bene che io ho, non fatto, ma tentato di fare, mi è venuto da Roma. Roma fu sempre una specie di talismano per me: giovanetto , io studiava la storia d’Italia, e trovai che mentre in tutte le altre storie tutte le nazioni nascevano, crescevano, recitavano una parte nel mondo, cadevano per non ricomparire più nella prima potenza, una sola città era privilegiata da Dio del potere di morire, e di risorgere più grande di prima ad adempiere una missione nel mondo, più grande della prima adempiuta. Io vedeva sorgere la prima Roma degl’imperatori, e colla conquista stendersi dai confini dell’Africa ai confini dell’Asia: io vedeva Roma perir cancellata dai barbari, da quelli che anche oggi il mondo chiama barbari; io la vedeva risorgere, dopo aver cacciato gli stessi barbari, ravvivando dal suo sepolcro il germe dell’incivilimento; e la vedeva risorgere più grande a muovere colla conquista non delle armi, ma della parola, risorgere nel nome dei papi a ripetere le sue grandi missioni. Io diceva in mio cuore: è impossibile che una città, la quale ha avuto sola nel mondo due grandi vite, una più grande dell’altra, non ne abbia una terza. Dopo la Roma che operò colla conquista delle armi, dopo la Roma che operò colla conquista della parola,verrà, io diceva a me stesso, verrà la Roma che opererà colla virtù dell’esempio: dopo la Roma degl’imperatori, dopo la Roma dei papi, verrà la Roma del popolo>>21 Nel corso di quell’avventura, che presto si sarebbe trasformata in tragedia, il popolo sarebbe stato il grande protagonista. Certo fino ad ora si è fatto riferimento principalmente a personaggi conosciuti ai più, ma è inutile dire che questo periodo storico non sia incentrato su dei “ PERSONAGGI” più o meno valorosi. Questo delinea i tratti di una storia che non vede come protagonista Garibaldi, Mazzini o Ciceruacchio, bensì rappresenta al suo interno uno degli esempi più concreti di fratellanza libertà uguaglianza e dignità che si siano mai visti, che sono idee universali non comprimibili in singole figure. /Era bene ricordarlo ai fini della successiva narrazione. / Mazzini, dunque, appena giunto a Roma cominciò a prendere coscienza delle reali condizioni in cui versava Roma, principalmente sotto l’aspetto militare,economico e politico. Inutile precisare che le sue aspettative non erano delle migliori, ma non avrebbe mai pensato che la città eterna fosse ridotta ad uno stato di tale degrado. In realtà se ne rese conto anche il governo tutto, che il 29 marzo decise, durante la seduta pomeridiana dell’assemblea costituente, di sciogliere il Comitato Esecutivo formato da Montecchi,Saliceti e Armellini. Si formò, perciò, un Triumvirato con <<poteri illimitati per la guerra della indipendenza e la salvezza della Repubblica >> vista e considerata la minaccia incombente del Papa, che aveva invitato per il 30 marzo alle 12,le maggiori potenze cattoliche alla conferenza dedicata alla “questione romana” presso il Palazzo Reale di Gaeta per incoraggiarle , con insistenza, ad una spedizione armata che aprisse le porte di Roma al suo legittimo proprietario : Pio IX. Le votazioni, che si tennero a voto segreto, decretarono l’elezione del genovese Mazzini (139 voti), del bolognese Saffi ( 125 voti) e dell’avvocato romano Armellini, che si ritrovava di nuovo ai vertici dello Stato Repubblicano. I provvedimenti che furono presi in seguito rispecchiavano la fretta con cui i deputati erano ricorsi a questa misura. Fu istituita immediatamente una commissione di Guerra con a capo un giovane ufficiale napoletano : Carlo Pisacane. La mossa si rivelò assai lungimirante dato che, di lì a poco si sarebbero mossi quattro eserciti su Roma. La Francia,intanto, discuteva in parlamento la proposta di un intervento “in difesa” della gemella Repubblica Romana per proteggerla da un possibile attacco austriaco. La proposta fu accolta quasi da tutti i deputati, per la maggior parte simpatizzanti nei confronti di quel piccolo‐grande progetto che stava nascendo nello Stato romano, tanto simile a quello che era stato portato avanti in Francia pochi mesi prima. In realtà, Luigi Napoleone stava armando un esercito di 8000 uomini ( con a capo il generale Oudinot) impartendogli ben altre direttive che quelle di proteggere il popolo romano. Il corpo di spedizione francese partì da Tolone il 22 aprile con un unico scopo: entrare in Roma e ristabilire il potere pontificio. Oudinot sembrò molto sicuro del successo della missione . Infatti se da una parte informazioni “attendibili” lo avvertono che a Roma vi sono solamente pochi facinorosi e briganti che stanno soggiogando la città, dall’altra, sa anche, come dirà lui stesso, che gli italiani non si battono. Sbarcarono a Civitavecchia il 25 aprile. Era stato evitato uno scontro nei pressi del porto solamente grazie all’ingenuità del preside di Civitavecchia ed alla buona sorte francese. Oudinot,infatti, aveva prima mandato un messaggio dove si manifestava la completa propensione della Francia nel voler contribuire al progetto mazziniano proteggendolo da eventuali forze avverse che lo avrebbero minacciato. Loro. Quando la notizia arrivò a Roma, era troppo tardi. Il consiglio di Civitavecchia aveva deciso che sarebbero potuti sbarcare. Anche perché non avevano i mezzi necessari per fronteggiare un nemico tanto forte. Il giorno dopo Oudinot fece affiggere per le strade di Roma un proclama in cui si rivolgeva ai cittadini romani garantendo la bontà dei suoi intenti nei confronti dello stato romano. Lo stesso giorno in cui diceva ai suoi soldati di cacciare una volta per tutte i faziosi che si erano impossessati di Roma, con la forza, per ristabilire immediatamente il potere temporale del Papa. Al Quirinale intanto erano giunti per convincere Mazzini ed i suoi, due legati francesi . Egli, perciò convocò una seduta straordinaria dell’assemblea costituente per decidere il da farsi : votarono contro la proposta francese quasi all’unanimità. I francesi palesarono le loro reali intenzioni dichiarando guerra. Al porto di Civitavecchia, intanto, stavano per sbarcare altre due navi. Non erano francesi. Erano i reduci della rovinosa campagna di Carlo Alberto contro gli austriaci agli ordini di Luciano Manara, milanese. Venivano per dar man forte alla Repubblica Romana. Oudinot, però, non li fece sbarcare. Questi,poi grazie alla mediazione di Mannucci ( preside di Civitavecchia) approdarono ad Anzio a patto, però, che si fossero mantenuti neutrali fino al 4 maggio. D’altronde gli uomini al seguito di Manara erano all’incirca 600 ed avrebbero potuto ostacolare, intromettendosi in un affare che non li riguardava ( a detta sua), il progetto che Oudinot riteneva già portato a termine : la presa di Roma. In realtà, Manara e i suoi non appoggiavano completamente il disegno mazziniano ,anzi, erano di tendenza monarchica, ma essendo stati cacciati in malo modo, in quanto disertori dell’esercito austriaco, avevano voluto un impegno attivo nella difesa della città eterna dimostrando proprio il contrario di quello che affermava Oudinot e dare la testimonianza che gli Italiani non si sarebbero arresi facilmente, pur avendo di fronte l’esercito più forte d’Europa. Gli Italiani si battono. Roma intanto si preparava come meglio poteva alla battaglia imminente. Venne istituito un Comitato di amministrazione delle ambulanze con a capo tre donne : la principessa Cristina Trivulzio di Belgioioso, Enrichetta Di Lorenzo e Giulia Paolucci. Queste dovevano occuparsi della gestione degli ospedali romani. Si nominò, poi, Enrico Cernuschi a capo della commissione per le barricate, dato che era diventato un esperto dopo l’esperienza di Milano. Ciceruacchio,intanto, mobilitava il popolo e Mameli provvedeva al reclutamento. L’esercito di Roma contava in quel momento meno di 9000 uomini, molti dei quali con nessun tipo di preparazione militare. Il giorno prima dello scontro venne affisso per le strade un appello ai Romani di forte carica emotiva, volto ad infondere coraggio e speranza nei cuori : <<…..Romani,èforzaprovareall’EuropainterachequestopopolosfuggitoallaschiavitùdellaTiaraè
d’assaipiùnobilecheinovelliDruididelCristianesimo.Essinonànnopiùtitoloallanostrastima;i
Francesid’ogginonsondegnidiRoma,sesiattentanodirisoggettarlaaiPreti,allageniapiùcodardae
immondadellaterra,allavoracitàdèmitrativampiri,allesimonieeturpitudinidiunaCorteinodioal
CieloeagliUomini.
Romani, all’armi : i nostri cadaveri sien d’inciampo al Francese che viene col farisiaco manto della Religione. Fra la morte e i Preti non sia dubbia la scelta>>.23 Si trovarono di fronte a qualcosa più grande di loro che alcuni avevano, magari, solamente immaginato, ma di cui ,in realtà, erano sempre stati a conoscenza. Il percorso che avrebbe attraversato la Repubblica Romana si era prospettato fin dall’inizio un percorso quantomeno impervio ed intriso di trappole, sotterfugi e pericoli, come effettivamente fu. Ed anche chi credette che quel governo sarebbe confluito nella repubblica italiana tranquillamente attraverso l’unione degli altri “italiani” con la causa di Roma, in fondo sapeva che c’erano troppi interessi in gioco per far sì che si raggiungesse l’obiettivo prefissatosi incolumi. Bisognava combattere, o meglio ancora, morire ,e gridare ogni volta che uno dei propri compagni moriva affinchè tutta italia sentisse l’urlo di dolore che si levava da Roma ed intervenisse il popolo italiano tutto contro i despoti e gli oppressori. Primo fra tutti proprio il Papa. Allora sì che sarebbe stata diversa la storia. Il 30 aprile all’alba i soldati di Oudinot si misero in marcia verso Roma da Castel di Guido dove “les generale” aveva stabilito il proprio comando. Sulla strada però trovarono innumerevoli manifesti che riportavano la trascrizione dell’articolo 5 della loro costituzione appena promulgata. Gesto di sfida che non piacque molto ad Oudinot. L’articolo recitava: <<La Repubblica francese rispetta le nazionalità straniere, com’essa intende di far rispettare la sua, non intraprenderà alcuna guerra a scopo di conquista e non impiegherà mai le sue forze contro la libertà di un altro popolo>>. L’esercito a disposizione era stato suddiviso in 4 brigate. La prima guidata dal generale Garibladi, La seconda dal colonnello bolognese Masi,detto Masina, La terza dal colonnello Salvini e la quarta dal generale Bartolomeo Galletti. Le forze militari erano state quasi tutte portate a difesa della parte destra del Tevere. I patrioti si preparavano a quel decisivo scontro, arroccati dentro la città in attesa dell’avversario. La tattica era stata ideata da Mazzini il quale non voleva assolutamente attaccare i francesi, bensì farsi attaccare, così da dimostrare a tutto il mondo, e soprattutto al parlamento francese, il machismo operato dalla Francia nei confronti di una libera Repubblica. Lo scontro si accese presso Porta Cavalleggeri e Porta Angelica. Poi, un corpo di militari francesi di 300 uomini agli ordini del colonnello Picard , distaccatosi dal resto dell’esercito, prese d’assedio Villa Pamphili dove si erano rifugiati i combattenti Romani. Sembrò una disfatta annunciata. Ad un tratto, però, da Porta Portese giunsero in loro soccorso le truppe della <legione Romana> che attaccarono i francesi alle spalle. Picard fu costretto alla resa. Erano 300 prigionieri. Dall’altra parte a Porta Angelica il capitano Fabar aveva tentato una manovra avvolgente lungo le mura vaticane per colpire alle spalle il nemico ma l’artiglieria romana guidata dal generale Calandrelli li individuò e fece una carneficina. Anche il capitano Fabar restò ucciso. Era ormai pomeriggio e risultò chiaro che Roma non sarebbe capitolata quel giorno, anzi, i francesi,contro ogni previsione, chiamarono la ritirata. Nella fuga confusa mancò poco che non fosse fatto prigioniero anche Oudinot. Garibaldi,insieme a Bixio, neanche a dirlo, li inseguì furente, volendo tagliarli la ritirata e completare quella gloriosa vittoria. Mazzini glielo impedì. Gli inviò l’ordine di fermarsi e di tornare immediatamente a Roma. Lo scopo di Mazzini era evidenziare la benevolenza della Repubblica Romana verso il popolo franco e successivamente trovare un accordo con Parigi. Quel giorno morirono in molti. Più tra le fila degli assalitori, ma anche i difensori riportarono molte perdite. Guerrazzi delineò uno splendido ritratto di alcuni tra i caduti di quel giorno: << Il sangue, che primo lavò le mura di Roma dalla secolare infamia fu versato da Paolo Narducci romano, anima grande, che memore delle glorie antiche non pianse, ma esultò vedendosi tronco il fiore della gioventù: misero chi vive troppo! Dopo lui cadde Enrico Pallini aiutante maggiore mentre confortava con le parole, più con lo esempio i soldati ad usare ferocemente le mani; altri pure, massime artiglieri, lamentammo noi morti o feriti, i nomi dei quali sommerse nelle sue acque buie l'oblio;(….) Qui tra i primi periva il capitano Montaldi. Chi egli fosse gl'Italiani imparino dallo stesso Garibaldi, il quale favella di lui nelle sue memorie inedite in questa maniera: «chi conobbe Goffredo Mameli, e il capitano De Cristoforis avrà idea delle fattezze del Montaldi e della età sua; nella pugna feroce e pure pacato come se fra amici si trattenesse in geniali colloqui; di lettere sapeva meno dei due rammentati, ma pari a loro in costanza intrepida, ed in militare virtù. Fino dagl'inizi egli fu parte della legione italiana a Montevideo, giovanissimo si versò in innumerevoli combattimenti per terre straniere, ma quando la Patria ebbe bisogno dei suoi figli, tra i primi il Montaldi passava il mare per offrirle tutto il suo sangue. Genova può incidere con orgoglio il suo nome a canto a quello del suo poeta, e guerriero Mameli: egli esalò la sua grande anima per diciannove ferite!» Caddero pure per non rilevarsi più i tenenti Righi, 24
e Zamboni>>. I 300 prigionieri catturati vennero liberati dopo grandi celebrazioni e dopo averli fatto compiere un giro trionfale per Roma festante. Il messaggio era chiaro : voi siete nostri fratelli, non combattiamo, uniamoci. In seguito vennero rilasciati di comune accordo anche i prigionieri in mano francese tra cui figurava anche il Padre Barnabita Ugo Bassi, fervente sostenitore della Repubblica. Nei giorni che seguirono Roma fu avvolta da un’inaspettata euforia. Anche Pasquino inveì in maniera sprezzante contro i “non più tanto temibili” francesi : << Oh! I francesi mantengon la fede! Disser che a Roma avrian posto piede. E ce l’han posto, e ci si son spinti Se non da vincitori almen da vinti>>
25 Venne decisa una tregua di un mese. L’assemblea parigina dopo essere venuta a conoscenza dei fatti di Roma, decise di inviare un diplomatico a risolvere la situazione. Questo si chiamava Ferdinand de Lesseps. Inutile dire quanto si sentissero amareggiati i deputati francesi(non solo quelli della sinistra) per i fatti deplorevoli che erano stati portati a termine attraverso l’inganno e la manipolazione nei confronti dell’Assemblea Costituente. Il discorso più duro fu pronunciato dal deputato Jules Le Favre : <<Sono stato membro relatore della commissione incaricata di esaminare il decreto nella notte fra il 17 e il 18 aprile ….Abbiamo creduto alle vostre frasi, ma siamo stati giocati …..Voi avete compromesso le truppe francesi in una guerra empia, voi avete macchiato la vostra bandiera (…. ) Come state riducendo la Francia ? Ne fate il gendarme dell’assolutismo. Con perfidie e frasi equivoche, avete ottenuto un voto e avete usato questo voto perché il nome della Francia sia maledetto>>.26 Questo pensiero si rivelò molto adatto a definire tutta quanta la vicenda che coinvolse i francesi nello scontro armato contro la Repubblica Romana. Di fatto il giovane liberale e rivoluzionario Luigi Napoleone si era ormai tramutato in un despota privo di scrupoli. Come osservò in seguito Cernuschi: <<Io credo che Oudinot avesse la missione di venire in Italia a cercare un papa per fare un imperatore>>.27 Non solo il Presidente della Repubblica francese, però, tramava contro Roma. Gli austriaci,avendo oramai sconfitto il Piemonte, erano pronti ad invadere lo Stato Romano da nord. I borboni, invece, si preparavano ad entrare nel territorio repubblicano con la bellezza di 7000 uomini da sud. Quest’ultimi, però, raggiunti da Garibaldi, Manara e i loro uomini il 9 maggio a Palestrina, furono ricacciati indietro nell’arco di tre ore. Lo scontro, che era sembrato impari ( tra le fila Repubblicane vi erano solo 2000 uomini) , si rivelò una passeggiata. Molto probabilmente per la poca determinazione che lo stesso Garibaldi potè constatare nei soldati fatti prigionieri, i quali imprecavano continuamente verso Pio IX. Il 19 maggio Ferdinando II tentò di ingaggiare nuovamente uno scontro armato, ma, dopo aver appreso la volontà della Francia di essere la sola potenza cattolica coinvolta nella questione romana, cominciò ad arretrare. Non fece in tempo, però, a sfuggire agli uomini di Garibaldi, Daverio e Masina che gli si scagliarono contro volendogli tagliare la ritirata. Alla fine i borbonici fuggirono a gambe levate. Tutto questo avveniva mentre De Lesseps in quei giorni stava per raggiungere un accordo con i triumviri che avrebbe potuto cambiare il destino di Roma, che fino a pochi giorni prima appariva definitivamente segnato. Il diplomatico francese aveva quasi raggiunto un accordo che avrebbe soddisfatto ambo le parti, ma Oudinot, bruciante di rabbia per la sconfitta precedentemente inflittagli, ruppe ogni accordo e fece mandare via De Lesseps ordinando la fine della tregua e la ripresa della ostilità fissata per lunedì 4 giugno. Durante questo mese di tregua erano giunti a dar man forte al generale francese molti altri militari. L’esercito francese disponeva ora di 36000 uomini. Non una buona notizia per i Romani. Oudinot,insomma, vuole vincere in maniera schiacciante, per vendicare l’umiliazione subita. Per farlo è disposto a tutto ; forse per quel senso di “ revance “ che ha sempre caratterizzato la Francia ed i francesi. Così alle 3 a.m. della notte tra sabato 2 e domenica 3 i francesi, infrangendo la parola data, occuparono gli avamposti strategici al di fuori delle mura, uno fra tutti : il Casino dei Quattro Venti(o Villa Corsini) da dove avrebbero potuto prendere d’assedio la città da una posizione dominante. I presìdi repubblicani al loro interno furono sgomberati . Giunse la notizia a Garibaldi dell’inaspettato assalto francese solamente intorno alle 5. Il Generale,arrivato immediatamente nei pressi di Porta San Pancrazio, decise di contrattaccare all’istante, senza alcun piano, per non far consolidare ai francesi le loro posizioni. Si scagliarono contro il casino dei Quattro Venti trecento valorosi uomini guidati dagli ufficiali Masina e Daverio in un primo assalto. Villa Corsini venne ripresa, ma subito dopo riconquistata dai francesi che potevano contare su un perpetuo ricambio di forze fresche. La battaglia continuò fino alle 18:00. Alla fine della giornata i romani contarono più di cento caduti e 356 feriti.Mameli venne ferito gravemente alla gamba sinistra,che gli avrebbero amputato successivamente. Daverio venne ucciso. La stessa sorte toccò a Masina, crivellato dalle pallottole nemiche. Un testimone riportò che alla notizia della morte dei due generali si levò un grido di dolore collettivo nei cittadini accorsi al Gianicolo per assistere ai combattimenti. Anche l’ufficiale Enrico Dandolo ( di solo 22 anni)del corpo dei bersaglieri di Manara cadde quel giorno. Il fratello Emilio ne fu addoloratissimo così come il comandante Manara ed il tenente Morosini, suoi cari amici milanesi. Alla fine gli avamposti in mano dei patrioti italiani rimasero Villa Giraud ( detta il Vascello per la sua forma somigliante ad un’imbarcazione) e villa Spada. Villa Valentini era degli uomini di Oudinot. Il Casino dei Quattro Venti dopo essere stato, nell’arco della giornata, più volte conquistato e più volte perso alla fine cadde in mano francese. Sembrò più per colpa dei romani che non per merito dei francesi.Roma, era sotto assedio. Cosa che non piacque affatto a Garibaldi, come riportò l’artista Nino Costa, volontario della Legione Romana : <<Appena giorno tornai a San Pancrazio e mi recai alla cereria Savorelli, dove era il Quartier Generale di Garibaldi. (…..) Garibaldi mi comunicò che i Francesi ancora una volta avevan ripreso il casino dei Quattro Venti. Ma dico male: non tanto era stato ripreso quanto piuttosto i nostri volontari se ne erano andati e , cheti cheti, i Francesi lo avevano rioccupato. Non certo per viltà, ma per spensieratezza ed indisciplina, compagne inseparabili dei volontari, questi se ne erano andati a dormire in santa pace,sicuri, forse che il nemico avrebbe fatto altrettanto. Con Garibaldi era Galletti con diversi romani. Ed il generale prendendo Galletti per una mano esclamava : ‐Voi Romani potete vantarvi di avere un eroe bello al pari di un eroe dell’antica Grecia, coraggioso, intelligente, devoto alla patria…… A me tale apparve e Garibaldi quale divinità di Omero. Il Generale riprese : ‐Ma il nemico non avrà il Vascello. Lo affiderò a mani sicure, ad uomini sodi, a Medici. Così fu. E, difatti, il Vascello, durante l’assedio, venne dalle batterie nemiche poste al ciascuno dei Quattro Venti, ch’era a tiro di pistola, quasi raso a terra. Quasi ogni notte vi erano assalti sempre respinti. A tre di questi partecipai anch’io ed ancor oggi mi domando come si potesse regger là dentro e come il Vascello abbia potuto resistere un mese>>.28 Roma, da quel momento, fu sotto assedio. Quella Villa resistette veramente un mese subendo continui bombardamenti e sortite nemiche che produsse centinaia di morti nelle proprie fila. E, a mio parere, avrebbe potuto essere difesa ancora per molto tempo, se non per il fatto che dopo quel nefasto mese non vi fosse più nulla da difendere. Del Vascello rimase solo il ricordo e qualche dipinto d’epoca. Distrutto e ridotto ad un cumolo di calcinacci. Giacomo Medici, che aveva raggiunto Garibaldi a Montevideo nel 1845, difese fino all’ultima maceria senza mai arretrare di un passo. L’eroica difesa e il coraggio dimostrato gli valsero il grado di luogotenente colonnello e la medaglia d’oro al valore da parte del Triumvirato romano. 29Egli cedette al nemico solo dopo la notizia della resa di Roma. Il giorno dopo quella sanguinosa domenica i congiunti dei caduti al Gianicolo andarono a prendersi i loro corpi. Fu una delle giornate più drammaticamente intense che si vissero in quei mesi. Il 13 giugno Oudinot ordinò la resa ai triumviri. Nondimeno avrebbe intensificato i bombardamenti, che da giorni devastavano la città. Il paradosso ‐come notò un commentatore‐ era che i francesi per difendere il pontefice stavano distruggendo San Pietro. Era la logica della ragione di stato. L’assemblea costituente rifiutò la proposta francese. I bombardamenti si intensificarono. Tra i ragazzi romani si era diffusa una pratica dai risvolti drammatici. Questi si lanciavano sulle bombe che stavano per esplodere con dei panni umidi nel tentativo di spegnere la miccia. Vi furono decine di morti solo quel giorno. Tra questi va ricordata una giovane ragazza umbra, accorsa in difesa di Roma con il marito, a cui Luigi Mercantini dedicherà una poesia esaltandone il valore e la virtù: <<Dietro all’eroe dall’armatura rossa/ Va Colomba i feroci ad incontrar: / Non sa quanto una donna in arme possa/ Chi lei non vide allora in campo entrar>>.30 Ella si chiamava Colomba Antonietti ed aveva 22 anni. Quel giorno al Quirinale giunse a Mazzini una lettera dal nuovo plenipotenziario francese in cui si inveiva apertamente contro la resistenza romana nei confronti dei francesi, stravolgendo la realtà dei fatti. A mettere le cose in chiaro ci pensò Mazzini stesso con la sua missiva di risposta, intrisa di frasi provocatorie: <<…..Oggi i vostri cannoni tuonano contro i nostri muri, le bombe vostre piovono sopra la città santa (…) E perché questo ? Né io, né voi lo sappiamo. La Francia costì non ha bandiera; essa combatte uomini che l’amano e che ieri ancora fidavano in essa. Cerca incendiare la città che nulla le fece, senza programma politico, senza uno scopo manifesto, senza missione da adempiere. Essa rappresenta, per mezzo de’ suoi generali, la parte dell’Austria, meno il triste coraggio che non ha di confessarlo…. Noi almeno sappiamo il perché combattiamo ed è perciò che siamo forti…>>31 Intanto a Parigi Ledru‐Rollin (il maggior esponente della sinistra) oraganizzò una manifestazione quello stesso giorno, contro le decisioni prese da Luigi Napoleone a proposito della questione romana. Egli le definì incostituzionali, avendo violato l’art.5 della costituzione francese. La mobilitazione insurrezionale, però, ebbe esiti drammatici. Non essendo stata organizzata nel modo opportuno, Luigi Napoleone che, d’altra parte, si preparava a questo momento da molto tempo, ordinò una repressione violenta. I deputati della sinistra furono arrestati e, quelli che si salvarono, fuggirono in esilio ( come fece Ledru‐Rollin). Ormai risultava chiaro come la piccola‐grande Repubblica Romana fosse stata vittima delle logiche di un despota sprovvisto di qualunque logica repubblicana e liberale. Il 30 giugno si recitò l’ultimo atto della Repubblica Romana. Inutile dire che si chiuse in modo ancor più glorioso di quando era iniziata. Nella notte tra il 29 ed il 30, dopo le celebrazioni avvenute nella città eterna per i festeggiamenti dei santi patroni Pietro e Paolo, ebbe luogo una sanguinosa guerra sotto la pioggia battente. L’esercito romano, che per tutto il mese era riuscito a contenere il nemico, era decimato; la maggior parte dei suoi ufficiali e capi di stato maggiore erano morti il 3 giugno e nel corso del mese i francesi avevano aperto numerose brecce. Tutti compresero che non vi era più niente da fare : i francesi avrebbero conquistato Roma. Eppure i prodi italiani combatterono ugualmente. Perché ? Forse perché loro ormai avevano compreso che non vi era più alcun senso di restare vivi in quel mondo che non ammetteva nessun tipo di libertà. Il sogno più grande era quello di diventare martiri. Loro combattevano pei i posteri, per lasciare un esempio di virtù e la consapevolezza della tragica inconciliabilità della ragion di stato con i valori della libertà e dell’onore rivendicati dai Romani. Anche quel 30 giugno, gli Italiani si battono. Alle 2.30 ebbe inizio l’attacco francese. Un comparto transalpino, al segnale del colonnello Niel si scagliò contro il bastione VIII. Lì vi era un avamposto presieduto da un giovane ufficiale poco più che adolescente : Emilio Morosini, Il milanese compagno di avventure e legato da una fraterna amicizia con Manara ed i frantelli Dandolo. Morosini fu uno dei primi ad essere ucciso, quella notte. Circondato, fu fatto arrendere. In seguito, poi, i nemici gli piantarono una pallottola in testa che, incredibilmente, non lo uccise all’istante. Morì solamante trenta ore dopo delirando, <<strappando le lacrime ai nemici stessi che venivano a vederlo>>.32 Garibaldi e Manara, una volta appresa la notizia dell’attacco, organizzarono una miracolosa difesa che tenne ancora in piedi Roma. Tutto ciò avveniva fuori le mura ,mentre in Campidoglio si leggeva il testo ormai definitivo della Costituzione Romana. Un testo molto meditato, destinato ad essere preso come esempio dai padri costituenti italiani cent’anni dopo e a rimanere nella storia europea come un atto di incredibile modernità e valore morale. Redatto , inoltre, in condizioni di assedio, con le bombe nemiche che a volte raggiunsero il palazzo dove si riuniva l’Assemblea. La costituzione sanciva tra gli altri articoli più importanti l’abolizione della pena di morte e della carcerazione per debiti , la libertà di manifestazione del pensiero ed il diritto alla proprietà. Intanto il combattimento proseguiva sempre più intensamente. I due schieramenti si fronteggiavano a Villa Spada dove Luciano Manara ed i suoi bersaglieri davano filo da tocere al nemico che incombeva. In realtà le forze francesi erano di troppo superiori a quelle romane. Manara morì. Venne colpito da una palla di cannone alla bocca dello stomaco, come raccontò il suo avvilito amico Emilio Dandolo che era con lui. Pochi giorni prima Manara aveva scritto al suo amico De Cristoforis: <<…Trentamila francesi hanno aperto sei brecce. Da nove giorni occupano un bastione. Si sono sotterrati come sorci nei fossati: non osano mostrarsi. Quando assalgono sono respinti e fuggono. Vinceranno, perché materialmente quaranta grossi pezzi livellati sopra un punto, demoliscono e distruggono. Ma ogni maceria sarà difesa. Ogni rovina che copre i cadaveri dei nostri è salita da altri che vi muoiono piuttosto che cederla. Roma in questo momento è grande….>>.33 Erano questi gli uomini che combattevano per la Repubblica. Non dei sognatori, non degli sprovveduti o dei sobillatori, bensì dei misantropi. Questi operarono quello che fu in tutto e per tutto un suicidio stoico, avversando la loro epoca che si basava sul cinismo e la corruzione, due punti che avrebbero poi costituito i caratteri fondanti del progetto unitario cavouriano. Lo stesso Manara ribadì questo concetto in un’altra lettera : 34 <<Noi dobbiamo morire per chiudere con serietà il Quarantotto; affinchè il nostro esempio sia efficace dobbiamo morire>>.
Egli aveva 24 anni. Mancò alla moglie e ai suoi due figli. Quel giorno morì anche un altro grande combattente, da pochi giorni promosso di grado da Garibldi per il valore dimostrato in battaglia : Andrea Aguyar, detto il moro di Garibaldi. Originario di Montevideo aveva seguito Garibaldi nel suo ritorno in Italia. Alle ore 12, quando le ostilità vennero sospese per un’ora, così da permettere ad entrambi gli eserciti di raccogliere i propri cadaveri, la situazione era chiara. Roma non avrebbe potuto più condurre una valida difesa. I deputati, dopo varie discussioni, votarono a maggioranza il documento che segnava la resa della Repubblica : <<L’assemblea costituente romana cessa da una difesa ritenuta impossibile, e sta al suo posto. Il triumvirato è incaricato dell’esecuzione del seguente decreto>>. Roma muore. Si, perché come disse qualcuno in quei giorni : << Le monarchie capitolano,le repupubbliche muoiono>>. Così terminò una delle pagine più alte della storia del Risorgimento. Non prima, però, che venisse promulgata ufficialmente la costituzione il 3 Luglio in Campidoglio. Sicuramente non si giudicò quell’esperienza repubblicana come un fallimento, come dimotsra un commento di Nino Costa : << La difesa di Roma contro i francesi doveva essere la sanguinosa affermazione della volontà e del diritto degli italiani a risorgere a nazione libera e indipendente. E tale scopoo venne magnificamente raggiunto. Il fiore della gioventù italiana, combattendo e morendo alle mura di Roma consacrò tale volontà e tal diritto. Giammai, in tutte le successive guerre per l’indipendenza, la gioventù italiana combattè con maggior valore. L’eroismo, in quella disperata, estrema difesa di Roma, era divenuto per tutti comune abitudine.>>35 Successivamente Mameli morì ( il 6 luglio),in seguito a quella brutta ferita rimediata il 3 giugno, a soli 21 anni.Egli era stato curato in quel mese di agonia, con pillole d’oppio e salassi. Garibaldi,intanto, che era stato raggiunto il 26 giugno dalla moglie brasiliana Ana Maria De Jesus, (consegnata alla storia sotto il nome di Anita Garibaldi) organizzò un gruppo di uomini intenzionati a seguirlo nel tentativo di raggiungere la Repubblica veneziana guidata da Manin, che ancora teneva botta agli assalitori austriaci. In realtà quella spedizione assunse presto caratteri tragici. Anita –che in quel periodo era incinta, morì il 4 Agosto 1849 tra gli acquitrini di Comacchio. Ciceruacchio venne catturato dagli austriaci e fucilata a Ca’ Tiepolo insieme ai figli Luigi e Lorenzo. Al Padre Barbabita Ugo Bassi toccò la stessa sorte a Cento insieme al Capitano Livraghi. Pio IX tornò a Roma solo nell’aprile del 1850. Durante l’assenza del Pontefice il cosidetto triumvirato rosso ( che era a capo di un governo provvisorio papalino) notificò l’annullamento di tutte le leggi e le disposizioni emanate dal 16 Novembre 1848 in poi. Da quel momento in poi Pio IX diverrà il principale nemico dell’unificazione italiana e volle, in seguito, cancellare ogni traccia del passaggio della Repubblica Romana nel suo territorio. Sta a te decidere se ci sia riuscito o no.” Una volta che ebbe terminato quell’entusiasmante racconto, durante il quale io ero rimasto ad ascoltare in educato silenzio, non riuscii a proferire parola per qualche minuto.Mi guardai attorno e li vidi tutti là , quei prodi giovani caduti per amor patrio. Proprio come aveva detto il guardiano. E sotto ai nomi più rappresentativi vi erano trascritte frasi celebri di imperitura memoria che ne descrivevano le inverosimili gesta. Egli, vedendomi alquanto colpito, mi invitò a ritornare un’altra volta se avessi avuto altre domande da porgergli. Era infatti giunta l’ora della chiusura. Anche io dovevo andare. Ed anche di corsa a mettere qualcosa sotto i denti. Prima che me ne andassi, però , tirò fuori dal libretto rosso‐ che durante la narrazione aveva consultato di cantinuo‐ un foglio piegato in più parti.Mi disse che questo mi poteva essere d’aiuto per comprendere meglio i princìpi che mossero i Repubblicani in quei cinque mesi. Questo, mi disse aveva accompagnato i patrioti Italiani in quella “incredibile” impresa assieme all’inno di Mameli. Era un Inno anch’esso. Repubblicano, come recitava il titolo. Lo aveva sritto un certo Teobaldo Ciconi.Uscii fuori da l mausoleo. Il cielo si era intanto rasserenato. Mi sedetti su di una panchina ; apriì il foglio e lessi : Dite un osanna a Cristo, Perché dischiusa è agli uomini l’Arca del santo acquisto, Or che la nuova Italia Davanti al Colosseo Segna la tomba a Cesare Col sangue di Pompeo!... Avanti… avanti… avanti… Pugna con noi l’Altiissimo Santo di tutti i santi, E certa è la vittori a Ed immortal la gloria Quando prorompe un popolo Contro il poter dei re. La gran parola è detta: Roma fu Roma… e il sibilo Delle mitraglie aspetta. Terra Latina io venero Le tue tribune, e sento Piover nell’alma i fascini D’un nuovo sacramento; Polve non è d’eroi Quella che imbianca i lastrici Dei sette colli tuoui? E non sei ti la donna, Cui la superba gonna Venia frodata al popolo Venia venduta ai re? Alfin rivivi… al seggio Dove han peccato i Vescovi Tornar la fede io veggio: La religion delGolgota Fu fatta a vitupero Sotto la regia clamide Dei successor di Piero, E sia Gregorio o Pio Stringer lo scettro al calice Nessun potea per Dio!... Del Pontificio erede Più non verremo al piede Se non ritorna al popoo Ciò ch’han rapito i re. Ahj di qual giogo atroce, Rom, portasti e vedova Di Cireneo, la croce ! Per quanti flutti ha il Tevere Dentro l’eterna gora Il sangue dei patiboli Non fu lavato ancora, E sula santa stola Stanno segnati i traffici Dei figli di Loiola: Ma non rimane inulto Del Dio d’Abramo il culto E dove s’alza un popolo Caggiono e Papi e re. Dorme qui sotto un mondo: Dalla fatale ignavia Di quel sonno profondo Sveglialo tu, magnanimo Urlo di genti irate, Se vuoi vederlo irrompere Dietro òe tue giornate, Se vuoi tornar nell’ossa Dei tuoi crepitanti scheletri Tutta l’antica possa, Se vuoi sentir le trombe Scuoter delubri e tombe Squillo di vita ai popoli, Squillo di morte ai re. No, che non fu perduto Tra le macerie il rapido Pugnal di Giunio Bruto, Non obbliati i tumuli Dei Fabi e dei Catoni, Non disacceso il fulmine Sacro dei due Sciopioni… Sono le pietre stesse Repubblicane anvh’esse, E chi ti cinse, o Roma, Dei tanti allor la chioma Fu la virtù del popolo, Non la viltà dei re. Quando con maschio orgoglio Tocchi, guerrier, la splendida Cima del Campidoglio, E tutti quanti gl’impeti Dell’anima romana Par che t’accenda il sonito Di quella gran Campana Dimani, non alzi un griso: “Giù quanti sono i despoti, Chè l’Universo io sfido: Da sì sublime altezza A tutte le glorie avvezza Non può che regnar che un popolo, E’ sacrilegio un re? L’aura regal che sia Ditelo coi tristissimi Campi di Lombardia… Là gli oppressori e i martiri Vennero un tempo a guerra: Fummo venduti!... e gli Angeli Piansero in ciel la terra … La terra di Milano Ch’avea fidato eserciti A condottier Sovrano… Pianser la terra in cielo Quando, squarciato il velo, Cadea tradito il popolo Sotto il pennon dei re. Ma vivaddio… se un giorno Fummo delusi, ai principi Deh ! non facciam ritorno. Venga distrutto l’idolo Dagl’idolatri suoi, Cola da Rienzi è l’unica Sublimità per noi: Avanti…avanti…avanti… Ci guiderà l’Altissimo Santo di tutti i santi, E certa è la vittoria Ed immortal la gloria Quando prorompe un popolo Contro il poter dei re. Andandomene, e ripensando a quella a maledetta storia mi soffermai ad osservare, prima di voltargli un’ultima volta le spalle, il Gianicolo. E rimasi ad osservare quelle strade e quei busti fino a che non fu sera. Guardai quel luogo con occhi diversi di prima, forse più vivi ma sempre più disincantati. E pensai inevitabilmente al beffardo corso che aveva preso invece la storia, all’intrigata vicenda dell’unità d’italia e alla questione romana. Ma finchè vivranno luoghi come il Mausoleo ossario Garibaldino, il loro epocale mssaggio non verrà dimenticato. Fine Liceo Classico Augusto Alunno: Sorace Pietro Referente: Prof.ssa Meschini Simonetta 
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Viaggio dentro il Mausoleo dei prodi italiani caduti