Tratto dalle Note di sala del concerto organizzato dalla Scuola Normale di Pisa del 4-5 novembre 2004 al Teatro Politeama: http://www.sns.it/it/attivitaculturali/concerti/anniprecedenti/0405/rossini/ Quadri di una esposizione Modest Petrovič Musorgskij (Karevo, distretto di Toropets, governatorato di Pskov, 21 marzo 1839 - San Pietroburgo, 28 marzo 1881), discendente da una famiglia di antica nobiltà, trascorre l’infanzia nel villaggio natale, al centro dei ricchi possedimenti paterni, dimostrando subito grande interesse per la musica contadina e, in genere, per le tradizioni popolari. Studia pianoforte con la madre e con l’istitutrice tedesca, ma nel ’49, quando la famiglia si trasferisce a San Pietroburgo, prosegue gli studi nel collegio germanico dei Ss. Pietro e Paolo, e quelli di pianoforte con il prof. Anton Herke. Secondo la migliore tradizione nobiliare russa e, ovviamente, della sua famiglia, Modest viene iscritto alla Scuola dei Cadetti e nel 1855, con il grado di ufficiale, entra nel reggimento della Guardia Imperiale, rimanendo in servizio attivo per tre anni. Anni tormentati da crisi depressive e mistiche, ma anche straordinariamente importanti sotto il profilo musicale: incontra Borodin, Dargomyskij, Kjui, Balakirev, Stasov, ossia alcuni dei personaggi più significativi della sua biografia. Studia con l’autodidatta Balakirev, si dedica alacremente alla composizione, nascono molti lavori, spesso abbandonati allo stadio di abbozzi. Per rendersi economicamente autonomo, Musorgskij si impiega presso il Ministero delle Comunicazioni e poi presso il Demanio, vivendo con amici in una ‘comune’, poi, dopo un attacco di delirium tremens per abuso di alcool, presso il fratello maggiore, Filaret. Insieme a Balakirev, Kjui, Borodin e Rimskij-Korsakov, Musorgskij dà vita intorno al 1860 a quello che la Storia della Musica definisce il Gruppo dei Cinque. Il fine del gruppo è di creare una musica autenticamente nazionale, libera da ogni accademismo e dalle influenze centro europee. La produzione di Musorgskij continua a procedere disordinatamente, molti lavori non vengono ultimati, nascono alcune romanze per canto e pianoforte, ma tra il 1868 e il 1869 vede la luce il capolavoro, l’opera più straordinaria del teatro russo, il Boris Godunov. Presentato alla commissione dei Teatri Imperiali, il Boris viene respinto, con motivazioni che vanno dall’asciuttezza melodica all’assenza nella trama di una storia d’amore. Musorgskij allora compie una radicale revisione del libretto e della partitura nel tentativo di riuscire a superare l’esame della Commissione che, nel 1872, decreta nuovamente la bocciatura. Intanto alcuni lavori per voce e pianoforte sono accolti con grande favore, specialmente il ciclo intitolato Iz vospominanij detstva [La camera dei bambini], e la cerchia di amici e sostenitori si allarga considerevolmente. È grazie a questi amici che alcune parti del Boris vengono presentate al pubblico ottenendo una trionfale accoglienza e lodi sperticate da parte della critica. Nel 1874 il Boris va finalmente in scena, seppure con qualche taglio. Nel frattempo il Gruppo dei Cinque si scioglie, Kjui critica pesantemente il Boris , ma nuovi amici si raccolgono intorno al musicista: un giovane conte, la sorella di Glinka, Ljudmila Šestakova, l’architetto Viktor Gartman, 1 il musicista Vladimir Opočinin, il pittore Il’ja Repin, lo scultore Mark Antokol’skij. La morte improvvisa di Gartman e della sorella di Opočinin, particolarmente cara a Musorgskij, influiscono pesantemente sul suo già precario stato di salute, peggiorato ulteriormente dall’abuso di alcolici. È in questa penosa situazione che vede 1 Victor Aleksandrovič Gartman (1842-1873), di origine tedesca (Hartmann), architetto, pittore e scenografo. Dapprima educato nel Corpo dei Paggi poi all’Accademia delle Arti, ottiene i primi riconoscimenti pubblici in occasione dell’Esposizione Panrussa del 1872 a Mosca. Costruisce la dacia e gli uffici per l’industriale e mecenate Savva Ivanovič Mamontov (sponsor, più tardi, della première del Boris nella revisione di Rimskij-Korsakov), il Teatro Krašnosel’skij a San Pietroburgo, è autore di vari progetti, come quello, premiato all’Esposizione di Vienna del 1873, della Casa Nazionale e quello della monumentale porta di Kiev. Partecipa all’allestimento di opere e balletti, stringe amicizia con Stasov e con Musorgskij, convinti assertori del suo eccezionale talento e delle sue concezioni estetiche. la luce una delle opere più significative, Kartinki s vystavki [Quadri di una esposizione], suite per pianoforte ispirata ad una serie di disegni ed acquerelli esposti nella mostra 10 dedicata alla memoria di Viktor Gartman. Nascono altri capolavori, i cicli di romanze per canto e pianoforte Bez solnca [Senza sole] e Pesni i pljaski smerti [Canti e danze della morte], ma ormai Musorgskij non è in grado di portare a termine grandi progetti: Chovanščina, iniziata nel 1872, rimane incompiuta (verrà rielaborata da Rimskij-Korsakov 11) e così anche Soročinskaja jamarka [La fiera di Sorocinski] (terminata da Kjui e Čerepnin). Nel 1878 è colpito da una grave crisi e tre anni dopo, il 14 febbraio 1881, viene ricoverato in ospedale. Tra i numerosi amici che lo visitano in quelle ultime ore è Il’ja Repin. Il suo celebre ritratto è l’ultima, straordinaria, testimonianza del grande compositore. All’alba del 16 marzo, Modest Musorgskij muore. Musorgskij, nel luglio del 1873, si trova a San Pietroburgo quando riceve la notizia dell’improvvisa morte per aneurisma, a Mosca, dell’amico Gartman. Le lettere di quei giorni traboccano di ricordi commoventi e di rabbia: …Che cosa triste e terribile!… Ricordo che, quando Vittjuska venne l’ultima volta a Pietrogrado, stavamo camminando insieme, lui ed io, quando all’angolo d’un vicolo s’appoggiò al muro ed impallidì. Conoscendo per esperienza quegli stati, gli domandai (tranquillamente): «che succede?» – «non posso respirare», mi rispose Vittjuska. Ed io, sapendo l’irrequietezza e la passionalità (nel senso di palpitatio cordis) degli artisti, dissi a Vittjuska (con altrettanta tranquillità): «prendete respiro, mio caro, e poi andremo avanti». Ecco quanto ci dicemmo in merito alla forza oscura che ora ci ha rapito per sempre il nostro amato. Quanto è stupido l’uomo, in generale! E quando mi viene in mente, adesso, quella conversazione, mi si stringe il cuore perché fui vile di fronte ai miei stessi dubbi. …E provo una gran vergogna, come uomo… E poi il fatto importante è che noi siamo capaci di capire che un amico è in pericolo soltanto quando ne udiamo i gemiti o quando sta ormai per morire. Imbecille! Fossi anche un pozzo di scienza, sempre imbecille, irrimediabilmente imbecille! Ed ognuno dei nostri piccoli uomini è pure imbecille, non esclusi i dottori col loro sussiego da pavoni pronti a far la ruota ad ogni pie’ sospinto, mentre decidono intanto una questione di vita o di morte. In questi casi, i sapientoni consolano così noi altri imbecilli: “egli” non è più, ma ciò che egli ha fatto esiste ed esisterà ed a pochi è riservata sì felice sorte di non venir dimenticati… Al diavolo la vostra saggezza!… No, non c’è, né ci può essere consolazione, non c’è, né ci può essere tranquillità: sarebbe una vigliaccheria [a Stasov, 2 agosto 1873]. …L’arte non deve realizzare la sola bellezza; un palazzo è bello veramente, quando oltre la bella facciata, fatta con criterio e solidità, lascia capire lo scopo dell’intera costruzione e la mente dell’artista. Così accadeva con il nostro povero Gartman: Povera arte russa orfana!” [alla signora Kuznekova-Stasova, cognata di Stasov, il 26 luglio 1873]. L’amicizia e la stima reciproca tra i due artisti hanno profonde radici negli ideali estetici di quegli anni, negli aneliti ad un’arte nazionale, frutto dell’amore sconfinato per la grande Madre Russia, le sue tradizioni popolari, le liturgie, la storia eroica, le leggende, i lunghi inverni, le poetiche isbe e i marmi dei palazzi imperiali, i costumi pittoreschi e coloratissimi, le icone e gli ori delle chiese, la vita grama dei contadini, la semplicità e la schiettezza della sua gente. Un’arte che deve essere lo specchio, che deve saper interpretare ed esaltare questo mondo così ricco eppure tanto trascurato dagli artisti, da sempre affascinati dalla cultura occidentale. Il “Potente Gruppetto”, o più comunemente il “Gruppo dei Cinque” sorto intorno a Balakirev e che annovera Musorgskij quale più geniale rappresentante, si muove dunque nella stessa direzione dei pittori e scultori del “Gruppo degli Itineranti”, inseguendo le stesse idealità patriottiche, ricercando nella modalità antica, nelle asimmetrie ritmiche slave, negli intervalli melodici caratteristici del repertorio popolare, analogie con il mondo delle arti visive, teso a rappresentare con grande realismo la vita e la natura della Madre Santa. “Per un russo si apre una strada” scrive Gogol’ -, “e questa strada è proprio la Russia. Se il russo amerà la Russia, amerà anche tutto quello che c’è in Lei. Ora Dio stesso ci conduce a questo amore”. Questa strada è la “verità” conclamata, forse fin troppo, da Musorgskij nelle sue lettere. Una verità che si identifica nello slancio sincero verso la rappresentazione dell’universo slavo, fermamente indicata agli intellettuali filo occidentali: …se i farisei se la prenderanno con noi, la nostra opera comincerà a prendere corpo tanto più rapidamente quanto più grossi saranno i pezzi di fango e quanto più violentemente si inveirà contro di noi… Con fierezza, sino all’impertinenza, noi guarderemo alle estreme lontananze della musica che tanto ci affascina e rende così poco temibile il tribunale che ci giudica [a Stasov, 2 gennaio 1873]. Le poche opere rimasteci di Viktor Gartman sono esemplari: accanto a schizzi di paesaggi raccolti nei numerosi viaggi, scene di mercati e di strada, vediamo illustrazioni e progetti che esaltano le tradizioni figurative, ridondanti di ornamentazioni - Baba-Jaga -, di “fulgori di dissepolta Bisanzio” - Porta di Kiev -. Nel marzo successivo, grazie all’interessamento di Stasov e della direzione della Società degli Architetti, viene allestita a San Pietroburgo una mostra in memoria di Viktor Gartman. Musorgskij, ovviamente, è tra i primi visitatori e la sua visita nelle settimane seguenti si trasfigura in una composizione pianistica ispirata ad alcune delle opere del caro Viktor. Gartman bolle come bolliva il Boris – i suoni e l’idea sono sospesi nell’aria, inghiottisco e mi pasco e ce la faccio appena a scarabocchiare sulla carta. Sto scrivendo il quarto numero – i collegamenti sono buoni (con la promenade). Voglio fare in fretta e d’un fiato. Negli intermezzi vedo la mia fisionomia… [a Stasov, giugno 1874]. Il 22 giugno i Quadri di una esposizione sono terminati. Sul frontespizio del manoscritto si legge: “Kartinki s vystavski. Questo lavoro è dedicato a Vladimir Vasil’evič Stasov. Quadri di una esposizione. Ricordo di Viktor Gartman” , a lato c’è un’annotazione “A voi généralissime, realizzatore della mostra gartmaniana, in ricordo del nostro caro Viktor, 27 luglio 1874”. I Quadri di una esposizione si compongono di dieci pezzi intercalati da cinque promenades , i collegamenti di cui parla Musorgskij nella lettera succitata, che hanno la funzione di intermezzi o meglio, nel voluto realismo rappresentativo, suggeriscono lo spostamento del visitatore (Musorgskij stesso) da un dipinto all’altro. Questo genere di composizione ha degli antecedenti illustri, ma comunque assai diversi. Gli Albumblätter, le raccolte di miniature attraversate da un preciso Leitmotiv, sono presenti in molta letteratura romantica, da Field a Liszt, a Smetana e, soprattutto, in Robert Schumann. Le fantasie poetiche e danzanti di AEsCH, tratte dal nome della città natale della fidanzata Ernestine, suggeriscono a Schumann il telaio compositivo per il Carnaval op. 9. Il tema della Promenade nei Quadri riveste una funzione analoga. Ma in Schumann le evocazioni, i fantasmi che si affollano intorno al suo pianoforte – Chopin, Paganini, Chiarina e Estrella, i fratelli di Davide e i Filistei, Pierrot, Pantalone e Colombina, Florestano e Eusebio – si trasfigurano in suono puro, perdono qualsiasi fattezza reale. Ugualmente in altri ‘fogli d’album’ schumanniani, dai Kreisleriana ai Davidsbündlertänze e alle Kinderszenen, le citazioni letterarie, i ricordi, i sogni, si sublimano in poetica musicale, in vibrazioni emozionali, in quelle “figure e caratteri parlanti” , come egli ama definire le associazioni ‘simpatiche’ tra titolo e pentagramma. Nei Quadri di Musorgskij l’immagine è immediata, la musica, certamente straordinaria, non vuole allontanarsi troppo dal quadro, vuole interpretarlo con i suoi materiali, con il ritmo, la melodia, il timbro, le prospettive polifoniche, le dinamiche. È una musica che si pone, in qualche modo, al servizio dell’immagine, e lo si può facilmente capire soprattutto ascoltando certe interpretazioni - e certe trascrizioni - che mirano a sottoline- are questa finalità espressiva attraverso un fraseggio fortemente contrastato, una libertà agogica a volte esasperata. Ma l’immagine in Musorgskij non è mai banale illustrazione. È, comunque, solo accennata, sottintesa, e ci conduce, attraverso lo specchio dell’anima, in un paesaggio fantastico, iridato, di meraviglie sonore. Un’arte che “potrebbe paragonarsi a quella di un curioso essere primitivo che faccia la scoperta della musica a ogni passo tracciato dalla sua emozione, non vi sono in essa questioni di forma: se si vuole, è la molteplicità stessa della forma che impedisce di stabilire qualsiasi parentela con le forme stabilite e, per così dire, amministrative”, commenta Debussy. Nella stessa critica, parlando della Camera dei bambini, scrive: “Nessuno ha saputo parlare alla parte migliore del nostro intimo con un accento più tenero e profondo; con la sua arte libera da convenzioni e da aridi schemi…” . Altrove, sempre Debussy: “…mi sembra che i Russi hanno aperto, nella nostra triste stanza, dove il maestro è tanto severo, una finestra affacciata sulla campagna”. I Quadri vengono pubblicati postumi, nel 1886, dall’editore russo Bessel, in una versione corretta da Rimskij-Korsakov, ripresa qualche anno dopo anche in Germania da Breitkopf & Härtel. Devono passare ancora alcuni decenni prima di veder pubblicate delle edizioni critiche, comunque non collazionate con il manoscritto autografo conservato nella Biblioteca Saltykov-Ščedrin di San Pietroburgo. Nel 1975 viene dato alle stampe l’Urtext di Manfred Schander, nel 1984 la stessa edizione viene riproposta nella Wiener Urtext Edition con i suggerimenti per l’esecuzione di Vladimir Ashkenazy, nel 1992 infine, anche la Henle di Monaco pubblica l’Urtext a cura di Petra WeberBockholdt. Curiosamente, le esecuzioni pubbliche di quest’opera, uno dei massimi capolavori della letteratura pianistica dell’Ottocento, hanno una storia assai travagliata. Le prime interpretazioni soffrono di vistosi tagli e riadattamenti virtuosistici della scrittura strumentale. Secondo Piero Rattalino, il problema non può essere spiegato “soltanto con la novità e l’audacia del linguaggio che potevano sconcertare i contemporanei, ma è piuttosto la scrittura pianistica che non risponde a una tradizionale concezione del suono e che, come per altro verso Brahms, mette a disagio l’esecutore. La scrittura di Musorgskij suscitava alla lettura un’immagine del suono che non risultava poi al momento dell’esecuzione, e la non corrispondenza di testo stampato e suono faceva pensare a imperizia o a incuria del compositore. Così certe ‘correzioni’ di espertissimi pianisti intendevano ricostruire gli effetti pianistici che Musorgskij, si pensava, aveva immaginato ma non saputo realizzare, in realtà la correzione stravolgeva completamente una sonorità caratteristica, personale, creata da Musorgskij per consapevole scelta”. Rattalino cita ad esempio la favolosa incisione di Horowitz “che è, a suo modo, una creazione”, tante sono le modifiche strumentali. Oggi, finalmente, il capolavoro è riconosciuto per tale e le interpretazioni seguono filologicamente il manoscritto originale. […] La grande porta nella città di Kiev Allegro alla breve (Maestoso con grandezza) Il progetto di Gartman per una porta della grande città di Kiev “nell’antico pesante stile russo, con una cupola a foggia di casco slavo” commenta Stasov, è l’immagine più nota tra quelle pervenuteci. Si tratta di un acquerello realizzato in occasione del concorso indetto dalla città di Kiev in ricordo della scampata morte dello zar Alessandro II nell’attentato dell’aprile 1866. È un monumento di pietra imponente, con il classico grande fórnice centrale e i due più piccoli laterali separati da colonne di granito, la parte centrale a falde regolari di mattoni rossastri, una grande aquila imperiale sopra la cupola riccamente ornata e, a fianco, la torre campanaria sovrastata da un’altra appuntita cupola. Lateralmente, quasi a contrafforte, due immensi ventagli di ferro battuto. Quanto di meglio, insomma, per ispirare al musicista un finale grandioso, con i rintocchi di campane - come nella scena dell’incoronazione del Boris - che si alternano ad un antico inno della liturgia ortodossa (misure 64-80) e si sommano ad un’ultima citazione del tema della Promenade. Il movimento si fa sempre più maestoso, si allarga nell’apoteosi del mi bemolle maggiore che risuona lungamente nel rullare dei bassi. Musorgskij | Ravel (e gli altri) Il pubblico occidentale conoscerà i Quadri dapprima soltanto nelle interpretazioni di qualche pianista esule e poi nel corso delle tournées dei grandi solisti russi. Il primo ad eseguirli è Arkady Kerzin, a Londra nel 1914, in coincidenza con l'edizione di Augener. Poi, a seguito della straordinaria trascrizione per orchestra di Maurice Ravel, i Quadri entrano nei repertori degli artisti più celebri e vengono rivisitati in innumerevoli versioni strumentali, dalla grande orchestra ai più diversi organici cameristici, dall'organo solo al complesso folk, dall'invenzione scenica alle tastiere elettroniche al complesso rock, sino ad un ensemble di strumenti tradizionali cinesi. Con tutta probabilità è l'opera più rielaborata di tutta la Storia della Musica. Di tutte queste versioni, quella di Ravel è, senz'ombra di dubbio, la più amata. Scritta nel 1922 su commissione di Serge Koussevitzky, la partitura ha un organico abbastanza ampio: 13 legni, 11 ottoni, timpani, un nutrito numero di strumenti a percussione, 2 arpe, celesta e archi. Viene eseguita trionfalmente il 19 ottobre all'Opera. Secondo la tesi di Marcel Marnat, Ravel ha consultato la versione di Leo Funtek, scritta alcuni mesi prima e ricca di idee strumentali originali. I rilievi che vengono mossi a Ravel, pur riconoscendo i pregi assolutamente straordinari della sua trascrizione, riguardano soprattutto la ‘francesizzazione’ del testo musorgskiano, quelle sfaccettature timbriche, quelle evanescenze e luminosità tanto lontane dal colore scuro, ruvido, dell'orchestra di Musorgskij. Ma di Musorgskij si conoscono allora, praticamente, soltanto le rielaborazioni ‘abbellite’ di Rimskij-Korsakov. E non si può certamente imputare a Ravel il fatto di aver trasportato nella sua partitura le 'correzioni' di Rimskij al testo originale, visto che l'operazione avviene sull'edizione pianistica curata proprio da Rimskij. Qualche tradimento lo compie di suo anche il francese: omette la quinta Promenade, aggiunge due misure prima dell'Andante mosso della Baba-Jaga (quattro sol con sordina della tromba), un'altra misura in più si trova nella Porta di Kiev , infine nel ritornello del Ballo degli uccellini sono tagliate due battute. […] L'apoteosi finale, della Porta di Kiev, è resa con sontuosa pienezza di suono, un suono che nasce dagli ottoni e timpani, poi, a successive terrazze di famiglie strumentali, cresce sino al ff di tutta l'orchestra (misura 22). L'inno liturgico, una prima volta, è intonato dai soli clarinetti e fagotti, poi anche dai flauti e dal clarinetto basso. Il timbro è sereno, sommesso, senza esagerazioni mistiche, anzi "senza espressione" , come scrive Musorgskij sul manoscritto. Tutta l'orchestra è chiamata a concludere, solennemente, maestosamente. […] Musorgskij | Kandinskij I Quadri non hanno suggerito soltanto innumerevoli riscritture strumentali, ma sono diventati anche pretesto per accadimenti teatrali. La più straordinaria rivisitazione scenica è quella realizzata da Vasilij Kandinskij 2 nel 1928. Fin dal 1907 Kandinskij progetta alcune composizioni sceniche in cui cerca di dar vita alle intuizioni estetiche che stanno maturando in lui e trovano un'ampia testimonianza negli scritti teorici di quegli anni: Über das Geistige in der Kunst [Lo spirituale nell'Arte] del 1909, Über die Formfrage [II problema delle forme] e Über Buhnenkomposition [Sulla composizione scenica], ambedue in Der Blaue Reiter [II cavaliere azzurro] del 1912. Ogni arte ha un suo linguaggio, che si identifica con i mezzi che le sono peculiari. Ogni arte è dunque qualcosa di concluso in sé. Ogni arte ha una vita propria. È un mondo a parte, autosufficiente. Per questo, i mezzi di arie diverse sono, esteriormente, del tutto diversi. Suono, colore, parola. Ma nel loro profondo fondamento interiore questi mezzi sono assolutamente identici: il fine ultimo cancella le diversità esteriori e svela l'identità inferiore. Questo fine ultimo (la conoscenza) viene raggiunto nell'anima umana in virtù delle più sottili vibrazioni della stessa. Queste sottilissime vibrazioni, identiche nel loro fine ultimo, comportano tuttavia, in sé per sé, moti interiori diversi che, per l'appunto, le differenziano. L'evento spirituale (vibrazione), indefinibile e tuttavia determinato, è il fine dei singoli mezzi artistici: un determinato complesso di vibrazioni è il fine di una singola opera. L'affinamento dell'anima, attraverso il sommarsi di determinati complessi di vibrazioni è il fine dell'arte. Così inizia Lo Spirituale dell'Arte, ed Elena Pontiggia, nella postfazione dell'edizione italiana, commenta: “Non è una dichiarazione di poetica, non è un trattato di estetica, non è un manuale di tecnica pittorica. È un libro di profezie laiche, in cui misticismo e filosofìa dell'arte, meditazioni metafìsiche e segreti artigianali si sovrappongono e si confondono, nel presentimento di un'arte nuova”. A sostegno di questi ideali, sul Cavaliere azzurro, l'almanacco ideato da Kandinskij e da Franz Marc, viene pubblicata anche la sua pièce teatrale Der Gelbe Klang [II suono giallo]. Si tratta di un abbozzo con annotazioni per uno spettacolo in cui i suoni degli strumenti si intrecciano alle voci e ai gesti scenici, insieme a forme colorate astratte che nascono improvvise dal nulla e subito scompaiono. […] 2 Vasilij Kandinskij (Mosca, 1866 - Neuilly-sur-Seine, 1944). I bozzetti delle scene e dei costumi per i Quadri di una esposizione sono oggi conservati nel Museo del Teatro di Colonia.