Provenienza del testo: Riappropriazione della riconciliazione è
l’ultimo capitolo del libro di Amilcare Giudici “PECCATO E
RICONCILIAZIONE, Dialogo tra le Comunità cristiane di base”,
Cooperativa tempi di fraternità, Torino 1977. Gli altri capitoli
saranno disponibili su sito a breve.
Indice:
CAPITOLO
CAPITOLO
CAPITOLO
CAPITOLO
CAPITOLO
I
II
III
IV
V
LA NOSTRA STORIA DI SALVEZZA
IL PECCATO
PERDONO E RICONCILIAZIONE
LA RICONCILIAZIONE NELLA STORIA DELLA CHIESA
LA RIAPPROPRIAZIONE DELLA RICONCILIAZIONE
PECCATO E RICONCILIAZIONE
CAPITOLO QUINTO
LA RIAPPROPRIAZIONE DELLA RICONCILIAZIONE
Possiamo ritornare alla nostra situazione, a quella situazione che abbiamo definito,
iniziando questa ricerca, la nostra storia di salvezza: quel luogo dove si compie la nostra
salvezza e si costruisce la nostra liberazione.
Tornare alla nostra situazione vuoi dire tirare le fila del discorso, concludere con delle
proposte capaci di "sposare", sia pure dialetticamente, la nostra realtà esistenziale. Tornare
alla nostra situazione vuoi dire anche saperla leggere teologicamente: riuscire a
comprenderla nel senso che ha di fronte a Dio e nel senso che ha per noi come credenti;
vuoi dire ancora saperla raccontare come una pagina biblica, come un brano della storia di
salvezza.
Tutto questo però non può essere più un lavoro solo da tavoli-no, né principalmente può
essere un lavoro intellettuale fatto da una persona: tutto questo può essere solo un cammino
compiuto nella fede da un'intera comunità che vive. Le note che seguono allora vogliono
semplicemente suggerire delle piste di ricerca, sono una specie di paragrafi aperti, dove ogni
comunità deve scrivere e comporre la propria esperienza di fede. La riappropriazione non
può essere de-mandata a nessuno, ma deve essere un processo vissuto dall'intera comunità.
Prima di passare ai gesti sacramentali vedremo come alcune realtà di fede devono essere
presenti nel tessuto quotidiano della vita del cristiano. I momenti simbolici infatti trovano il
loro significato solo quando manifestano, in un modo più compiuto e più pieno, quanto è già
presente nella normalità della vita come forza trainante, anche se nascosta e quasi
inafferrabile nel groviglio delle azioni quotidiane. I momenti simbolici (i gesti sacramentali)
non fanno altro che rivelare alla sensibilità e all'intelligenza dell'uomo le radici della vita o il
senso profondo della vita. Per il credente questi gesti leggono Io scorrere quotidiano della
vita alla luce della fede in Gesù Cristo. Ma essi suonano — e sono realmente — come falsi
quando non riescono a riagganciare nella coscienza del credente lo spessore concreto della
quotidianità, anche quando è carica di tante banalità.
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Riappropriarci dei gesti sacramentali non vuoi dire solo creare simboli armonici alla
nostra cultura e capaci di esprimere il senso del-la fede nella nostra situazione, ma vuoi dire
anche vivere la nostra giornata nella fede, in modo che esista qualcosa da esprimere nei
simboli. Per essere più semplice: non è possibile riappropriarci dell'Eucarestia se valori
come comunione, fraternità e condivisione non diventano dimensioni dell'esistere
quotidiano.
Ugualmente non ha senso parlare di riappropriazione del gesto sacramentale della
riconciliazione, se il senso del peccato, della con-versione e della riconciliazione non è una
presenza dinamica nell'intera esistenza del credente. II momento simbolico espressivo vuole
una verità esistenziale, in funzione della quale viene appunto definito come espressione
simbolica. Forse sta proprio qui, in questa divisione che manteniamo tra gesto sacramentale
e esistenza quotidiana, forse sta proprio qui la difficoltà maggiore per riappropriarci dei
gesti sacramentali.
Così nelle nostre assemblee liturgiche spesso non parliamo perchè non abbiamo nulla da
dire, e non abbiamo nulla da dire perchè nella nostra esistenza quotidiana l'Eucarestia non è
entrata, e allora neppure la nostra esistenza può trapassare nel simbolo eucaristico.
LA RICONCILIAZIONE
La riconciliazione è il dono che Dio ci ha fatto in Gesù Cristo. L'atteggiamento del
credente di fronte a questo dono consiste unica-mente nell'accettarlo, nel lasciarsi
riconciliare, nel credere in questa riconciliazione. Chiarirsi le idee su questo punto è
fondamentale, perchè è in gioco lo stesso significato profondo del cristianesimo. II cristiano
deve vivere con la ferma convinzione che è stato riconcilia-to, che viene continuamente
riconciliato, che il mondo intero è stato riconciliato. Per la riconciliazione il problema non è
assolutamente quello di farsi riconciliare (fare qualcosa per farsi riconciliare), ma è
unicamente quello di lasciarci riconciliare, nel senso di accettare continuamente Dio come
riconciliante e accogliente nei propri confronti (questo significa che Dio rimane Dio e io
rimango un peccatore). Ho cercato di fondare questa interpretazione della riconciliazione
nel capitolo terzo. Qui voglio solo riportare alcune testimonianze autorevoli.
La Conferenza Episcopale svizzera presentando alla sua comunità il nuovo "Ordo
Paenitentiae" in data 7 novembre 1974 scrive fra l'altro:
"Il Vangelo ci ha portato il lieto annunzio della benevolenza di Dio verso gli uomini.
Questa benevolenza è anche sconfinata disponibilità alla remissione dei peccati e al
perdono. Nell'opera riconcilia-trice di Gesù risplende l'amore del Padre per i peccatori. Il
Cristo ci ha rivelato la realtà del peccato ma anche l'immensa misericordia di Dio. In Lui
Dio ha fatto pace con noi. Di qui l'invito dell'Apostolo ad accogliere il lieto annunzio che
Dio ci offre (cfr. 2 Cor. 5, 18 - 20). Gesù Cristo è così per noi la fonte di ogni perdono e
riconciliazione" (1).
Gli stessi concetti sono presenti anche nel comunicato della Conferenza Episcopale
francese:
"Oggi deve essere riconosciuta come sempre attuale la parola del Signore: Non sono
venuto a chiamare i giusti a penitenza, ma i peccatori (Lc. 5, 32). In un mondo in cui
esistono molte cause di divisione e in un tempo in cui la Chiesa, anche al suo interno, non è
esente né da opposizioni né da conflitti, Cristo è la sorgente della nostra speranza...
Rivelandoci l'amore di Dio per gli uomini, Gesù Cristo ci fa anche scoprire la realtà del
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nostro peccato e la grazia del suo perdono. Accogliendo il perdono di Dio in Gesù Cristo,
accogliamo la sorgente di tutti i nostri perdoni reciproci... Ma la Chiesa, in ogni comunità,
deve ricevere e celebrare nel sacramento della penitenza il dono sempre rinnovato che Dio
le fa del perdono e della riconciliazione" (2).
Bisogna dunque capovolgere la nostra formazione tradizionale e mettersi bene in
testa che la riconciliazione di Dio è a nostra disposizione, è nelle nostre mani come dono
gratuito di Dio. Non si tratta allora di chiedere perdono, ma di accettare il perdono e di
credere sempre nel perdono ricuperante di Dio. A ben vedere l'atteggiamento di accettare il
perdono è più difficile.
Quando chiedo perdono a una persona, certo mi umilio, ma fondamentalmente mi
colloco su un piano di parità con questa persona: ti ho offeso, ti chiedo scusa e siamo a
posto! Diverso è il nostro rapporto con Dio: noi stiamo di fronte a Lui come coloro che non
possono essere "a posto" con Lui, come creature che ricevono da Lui continuamente la forza
di esistere e di sperare. La nostra giusta posizione è stare nella dipendenza filiale di chi fa
del suo essere per-donato e accolto il proprio stato esistenziale: questo e solo questo è
l'atteggiamento della fede. Non dobbiamo fare nulla, assolutamente nulla, per ottenere il
perdono di Dio; non solo, non dobbiamo mai cadere nella tentazione di comperare il suo
perdono, perchè questo significa non capire il prezzo del perdono divino (non capire Dio in
ultima analisi) e significa ancora non capire chi siamo noi di fronte a Lui, perchè siamo
appunto gente che non ha denaro in tasca capace di acquistare il perdono di Dio.
Al contrario: la riconciliazione di Dio è a nostra disposizione in Gesù Cristo. Questa
riconciliazione offerta gratuitamente, prima di diventare momento liturgico, deve animare
l'intera nostra esistenza di credenti, l'intero nostro essere nei mondo sotto il segno della missione.
Le due Conferenze Episcopali citate ci danno a questo riguardo qualche pista di
ricerca. I Vescovi svizzeri scrivono:
"Come risposta alla misericordia del Padre sempre pronto al per-dono, noi cristiani
dobbiamo condurre una vita di riconciliati e riconciliatori. La misericordia che riceviamo
dal Cristo deve diventare in svariati modi operante nella nostra vita quotidiana: col
reciproco perdono, con il superamento del nostro egoismo, con la nostra decisione a
dividere con gli altri, con la ricerca della giustizia e della pace nelle nostre relazioni umane,
con il servizio per il bene comune, con la preghiera e il sacrificio, con una vita di disciplina
e di moderazione". La Conferenza Episcopale francese prosegue sullo stesso tono:
"I modi di vivere il perdono di Cristo e di rispondere all'invito alla conversione fatto
dal Vangelo sono notevolmente diversificati.
Infatti vi concorrono:
- il perdono reciproco e il superamento di sé il digiuno e la condivisione;
- il rifiuto dell'ingiustizia e la lotta per una maggiore giustizia nei rapporti interpersonali e
sociali;
- l'impegno apostolico, il quale suppone lo spirito di servizio e del dono di sé;
- la preghiera, segno di speranza nell'avvenire che Dio ci apre, al di là delle nostre rotture e
dei nostri scontri".
In breve: il credente vive il suo essere gratuitamente riconciliato con l'essere egli
stesso riconciliatore. Essere riconciliatore vuoi dire sperare e lottare per la riconciliazione di
tutti. All'interno di questo impegno trovano posto tutte le "penitenze" e tutte le "mistificazioni" ma ciascuno comprenderà facilmente quanto diverso sia lo spirito che le anima e che le
produce!
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Come tutto questo può diventare concretezza? Come può essere il sale delle nostre
giornate dentro le lotte politiche? Come fare giustizia sperando nella riconciliazione? E tutto
questo come può attuarsi per ciascuno di noi e per la nostra comunità presa nella sua
globalità?
La riappropriazione della riconciliazione, prima di essere riappropriazione dei gesti
religiosi che la celebrano, è un prendere possesso di questa verità nella nostra vita di
credenti. La riconciliazione è nelle nostre mani, non certo come frutto nostro — dobbiamo
stare ben lontani da quello spirito elitario che fa della comunità cristiana un vanto religioso
e uno strumento di potere -- ma come dono di Dio che deve essere disseminato in modo
altrettanto gratuito e disinteressato al di fuori della comunità.
Riappropriarci della riconciliazione vuoi dire negativamente due cose:
- non demandare la riconciliazione all'opera religiosa, cioè non pensare alla riconciliazione
come a un risultato che si ottiene con le pratiche religiose. La riconciliazione appartiene al
cuore della nostra vita secolare, è una realtà posta da Dio nella dinamica del nostro esistere
redento. Essa è piantata in mezzo alla nostra persona e in mezzo alla nostra giornata;
- non aspettare la riconciliazione dall'autorità ecclesiale o dal vertice, come se fosse un bene
in loro possesso e che essi dispensano a chi vogliono quando vogliono. Al contrario la
riconciliazione appartiene ai credenti in quanto tali, anche se attraverso la loro compagine
strutturale-comunitaria.
Bisogna dunque sentirsi riconciliati nel proprio essere e sapere che questa
riconciliazione ci viene da Dio per tutti, e che qui siamo davvero tutti uguali e tutti
riconciliati tra noi. Bisogna inoltre gestire questa riconciliazione senza presunzione
ecclesiale — come se fosse nostra nel senso di prodotta da noi o destinata solo a noi — e
senza leggerezza personale — come se fosse una cosa da poco o come se si potesse sciupare
dato che è gratuitamente messa a disposizione di tutti —. Questa autogestione richiede
maturità nella fede, la maturità di chi si abbandona senza approfittarne.
IL PECCATO
Concludendo il capitolo secondo ho già dato alcune indicazioni di massima sul senso
e sulle dimensioni del peccato. Poche cose mi rimangono da aggiungere. Non è
assolutamente possibile dare per scontato che cosa sia oggi il peccato per noi e dove
concretamente si consumi. Nel celebrare la riconciliazione un compito essenziale della
comunità sta proprio nell'aiutare le persone a scoprire il peccato, a scoprirlo concretamente
nelle situazioni storiche locali e nei modi di comportamento. La comunità non può mai
presumere che le persone sappiano trovare il peccato, non può abbandonarle a se stesse
dicendo "fate l'esame di coscienza". Con un simile modo di procedere non si affronta la
difficoltà maggiore. La comunità deve annunciare il perdono, ma deve ugualmente
identificare il peccato nelle sue molteplici vesti di peccato del mondo, di peccato sociale, di
peccato personale.
La riappropriazione su questo versante consiste nell'autogestione dei criteri di
definizione del peccato e nell'autogestione della loro applicazione. E' chiaro che una
comunità cristiana trova nel messaggio e nella figura di Gesù Cristo il criterio fondamentale
per definire che cosa sia il peccato. Ma quando si tratta di applicare questo criterio
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fondamentale alle singole situazioni storiche, la comunità deve elaborare criteri per analisi,
giudizi e modi di considerare la sua situazione, che le sono propri.
Mai come in questo momento storico è apparso evidente che molti "peccati" sono stati
stabiliti dal potere e li abbiamo interiorizzati come se fossero veri peccati. L’obbedienza
all’autorità in ogni caso come regola d'oro, le proibizioni sessuali come il peccato
fondamentale, il fare il proprio dovere come sinonimo di non fare mai la "rivoluzione", il
non interessarsi di fatti altrui come modo di non socializzare i problemi, l'osservare
fedelmente la legge come strumento per mantenere l'ordine costituito: sono tutti esempi di
come il potere usi la religione per strumentalizzare i sudditi.
Riappropriazione vuole dire qui stabilire da sé — sia ben chiaro con un confronto
serio sulla Parola di Dio e anche in un atteggiamento di ascolto dell'intera comunità cristiana
— che cosa è il peccato qui ed ora per noi. E questo non in senso teorico o generale, ma in
senso concreto, calato nelle situazioni particolari.
In una celebrazione liturgica della riconciliazione bisogna dare più spazio a questa
denuncia del peccato, perchè diviene il momento educativo dove la comunità definisce
anche che cosa voglia dire seguire Cristo, e quando e come questa sequela venga tradita.
Non sarà il caso, a mio avviso, di voler essere completi, di volere cioè ogni volta esaurire
tutti i possibili volti del peccato. Sarà più opportuno affrontare un singolo aspetto ed
esaminarlo attentamente.
Con un simile lavoro la comunità aiuterà le persone a non di-sperdersi nei meandri
della psiche, a non vaneggiare nelle scrupolosità e nell'affanno dei dubbi e delle paure. Le
persone saranno ricondotte sulla solidità del terreno biblico e potranno compiere un vero
cammino di liberazione.
LE CELEBRAZIONI "SACRAMENTALI" DELLA RICONCILIAZIONE
Il cristiano vive nella sua vita di fede, in un modo continuo, la verità della
riconciliazione. In ogni momento in cui si rivolge a Dio esprime il ringraziamento per essere
accolto e quotidianamente basa la sua esistenza sul perdono che Dio gli concede, questo
perdono diventa la sua forza per ricominciare, per andare avanti e per mantenere viva la
speranza. Il fatto di sentirsi riconciliato Io fa essere nel mondo riconciliatore, l'abbiamo già
visto sulla scorta delle conferenze episcopali svizzera e francese.
Il vero cristiano, a mio modesto avviso, non può avere su questo punto alcuna
angoscia, né alcuna paura. Non ha paura di morire in peccato: e come potrebbe avere una
simile paura se crede nella riconciliazione operata da Gesù Cristo? Strettamente parlando
non ha alcuna necessità di ricorrere a "gesti particolari" che gli diano garanzia di essere in
grazia di Dio, perchè la sua unica e grande garanzia è ciò che ha fatto Gesù Cristo. II vero
cristiano sa in ogni momento che il suo conto con Dio è a posto, non perchè egli sia .giusto
ben inteso, ma perchè Dio è continuamente perdonante nei suoi confronti.
II vero cristiano non ha bisogno di garanzie giuridiche, né di azioni sacre, né di
persone sacre che sistemino i suoi rapporti con Dio. II vero cristiano può anche vivere nella
trepidazione per la sua salute spirituale ma l'uscita da questa trepidazione è sempre e solo il
credere nella riconciliazione operata da Dio in Gesù Cristo.
Tuttavia anche questo cristiano sentirà la necessità di celebrare la riconciliazione,
sentirà la necessità di avere momenti dove prenderà pienamente coscienza di essere
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riconciliato e dove sentirà di avere, per grazia di Dio, una nuova possibilità, un futuro pulito
davanti a sé. Il bisogno dei momenti liturgici non sorge dalla necessità di ottenere la
riconciliazione, ma sorge dal bisogno di impossessarsi piena-mente della riconciliazione già
operante.
Vi è poi la necessità di confrontarsi con i fratelli, di essere ac-colto da loro e di
sentire che in questo accoglimento della comunità trapassa Io stesso accoglimento di Dio.
Le celebrazioni nascono spontaneamente per dare corpo a quella voce della fede che ti
annuncia il perdono e l'attesa del Padre. Anche su questo punto è necessario uno sforzo per
abbandonare la mentalità giuridico-magica: il ritenere che le parole dell'assoluzione operino
per sé sole una specie di miracolo, che avvenga proprio mentre si pronunciano quelle parole
qualcosa di misterioso, che non può venire senza quelle parole.
La nuova visione della riconciliazione che abbiamo portato avanti ci porta invece a
pensarla come una realtà presente per mezzo della fede, che poi può trovare momenti forti
di maggiore espressione e di maggiore coscientizzazione da parte nostra. lo ritengo che
esistano oggi, secondo la più autentica tradizione della fede cristiana, almeno tre modalità
celebrative "sacramentali" della riconciliazione. Si ria-pre una molteplicità, che è molto atta
a rendere la profondità della riconciliazione in momenti diversi. Non si tratta allora di modi
alter-nativi, né semplicemente paralleli; si tratta piuttosto di vivere la riconciliazione (la
stessa riconciliazione) secondo modalità diverse che ne mettono in luce aspetti diversi.
a. La riconciliazione dei banchetto eucaristico
I dati neotestamentari concordano nell'affermare che, allorché si riunisce per la Cena
del Signore, la Chiesa celebra il mistero della propria riconciliazione: riconciliazione che si
è compiuta una volta per tutte nella Pasqua del Cristo e che si attualizza "hic et nunc" per
mezzo della sacramentalità del sacrificio eucaristico. Difatti, stando ai termini stessi dei
racconti evangelici, il pane spezzato è il corpo sacrificato per tutti (Lc. 22, 19), il vino è il
sangue di una nuova alleanza, sparso per molti in remissione dei peccati (Mt. 26, 28; Mc.
14, 24 z 1 Cor. 11, 25). Queste affermazioni scritturistiche sono comuni nella tradizione sia
orientale che occidentale, e nei testi liturgici.
Secondo la più comune tradizione cattolica l'Eucarestia edifica la Chiesa non
semplicemente rafforzando l'unione dei fedeli con il Padre e tra di loro in Cristo, ma, nello
stesso momento, strappandoli progressivamente al mondo del peccato. Nel sacrificio
eucaristico dunque la Chiesa ha la certezza che per la potenza dello Spirito le vengono dati
il corpo e il sangue' della riconciliazione. L'Eucarestia è il sacramento della riconciliazione:
la comunione non viene semplicemente dal fatto che è dato a tutti un medesimo ed unico
"Corpo di Cristo"; essa ha piuttosto origine nella forza di riconciliazione che porta questo
corpo (3).
L'Eucarestia vuole essere il banchetto di Dio con gli uomini, ma è appunto in questo
banchetto che Dio si manifesta e si dona come perdonante. Quale senso potrebbe avere una
Eucarestia dove non vie-ne superata la divisione che mi allontana da Dio? La
riconciliazione è contenuta nell'Eucarestia come condizione previa indispensabile, come il
superamento della parte negativa per accedere alla realtà escatologica del Regno. Se
l'Eucarestia non perdona non è più né può essere un incontro con Dio. Ogni incontro con
Dio infatti è un incontro tra un Dio perdonante ed accogliente, ed un uomo peccatore. E
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quale senso hanno allora i banchetti di Gesù con i peccatori se non annunciare la verità
dell'Eucarestia della riconciliazione?
Si può addirittura dire che il senso più profondo della riconciliazione può essere colto
unicamente nell'Eucarestia. "Se poi si volesse camminare sul filo del discorso cristiano, ci si
potrebbe chiedere se il discorso penitenziale può avvenire altrove che nella situazione
eucaristica. Detto con altre parole: è alla luce di un certo rapporto che una parola
'confessante' si esplicita da sola... Il 'io sono un peccatore' cristiano è il dopo di un
avvenimento che è il solo a rendere possibile quella parola, il dopo di un incontro decisivo;
ora, il sacramento di simile incontro è l'Eucarestia che è il sacramento dei sacramenti, il
sacramento grazie al quale tutti gli altri sacramenti assumono il loro posto e il loro senso"
(4).
Tutta la dimensione escatologica dell'Eucarestia rimarrebbe un vuoto e inutile
simbolismo se la riconciliazione non diventasse ora un superamento del peccato, che separa
l'uomo da Dio e l'uomo dall'uomo. E dove mai il lieto annuncio del perdono potrebbe
raggiungermi in un modo più incisivo e più preciso se non all'interno di questa fraternità che
celebra la presenza del Signore? Del resto questa è la dot trina del Concilio di Trento (5).
I padri conciliare affermano espressamente che la messa, essendo lo stesso sacrificio
di Cristo, non solo concede il perdono per i peccati veniali, ma implica l'amnistia dei crimini
e dei peccati gravi, a chi si accosta a Dio con cuore sincero, con fede retta, con timore e
reverenza, contrito e penitente (6). E' anche vero che lo stesso Concilio fa espresso divieto
di accostarsi alla comunione con la coscienza di peccato mortale: "... coloro i quali hanno la
coscienza di avere commesso peccati mortali, anche se si giudicano contriti, se vi sono
confessori a disposizione, devono premettere la confessione sacramenta-le" (DS 1661).
Le moderne esegesi del Concilio di Trento, tenuto conto del! intento polemico che
animava il Concilio, propendono a vedere in questo ultimo divieto una norma disciplinare di
diritto ecclesiastico (7).
Anche il nuovo "Ordo Paenitentiae" ritorna, senza compromettersi, sul legame tra
confessione e Eucarestia. Dice infatti: "Per questo, nella notte in cui fu tradito, e diede inizio
alla passione salvatrice, istituì il sacrificio della nuova Alleanza nel suo sangue, per la
remissione dei peccati... Nel sacrificio della Messa viene ripresentata la passione di Cristo,
il suo corpo dato per noi e il suo sangue per noi sparso in remissione dei peccati,
nuovamente vengono offerti dalla Chiesa a Dio per la salvezza del mondo intero.
Nell'Eucarestia infatti Cristo è presente e viene offerto come 'sacrificio di riconciliazione, e
perchè il suo santo Spirito ci riunisca in un solo corpo" (n. 1 e 2).
Commentando questo ultimo documento Falsini scrive "L'Eu-carestia si trova al
vertice della economia sacramentale, fonte e culmine della stessa remissione dei peccati:
essendo la celebrazione gioiosa della riconciliazione compiuta nella Pasqua di Cristo, di cui
è il memoriale, può rimettere anche i peccati gravi. Non per questo ne viene un danno al
sacramento della penitenza, che non è semplice atto assolutorio, ma un itinerario graduale e
personale di conversione che si conclude nella piena riconciliazione. Più che come premessa
all'Eucarestia, è preferibile, proprio sul piano pastorale, presentare il sacramento della
penitenza come frutto, sviluppo 'personale' della Eucarestia" (8).
Se poi, infine, facciamo un confronto con le altre chiese cristiane possiamo cogliere il
consenso unanime di tutte le chiese cristiane.
Studi accurati hanno dimostrato che anche i riti della confessione individuale in
Oriente traggono origine da riti comunitari, sorti nel contesto di una celebrazione eucaristica
o di una liturgia monastica dell'Ufficio divino. Nelle chiese Orientali i riti penitenziali
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comunitari, cui viene naturalmente riconosciuta un'efficacia sacramentale, sono in alcuni
casi le uniche forme penitenziali attualmente in uso (9).
Lo stesso vale per le chiese protestanti: uno dei quattro tipi di confessione vigenti
nelle chiese riformate (gli altri tre sono: confessione a Dio solo nel segreto del cuore,
confessione pubblica del peccato con l'invocazione del perdono di Dio e con l'assoluzione e
confessione privata) è la confessione liturgica comunitaria durante il culto domenicale (10).
Quando dunque celebriamo l'Eucarestia e riceviamo il pane della vita viene creata la
riconciliazione tra di noi e con Dio. L'Eucarestia mi apre così sempre di nuovo la possibilità
di un futuro diverso; in essa mi viene ogni volta ripetuta la parola della Scrittura "Ecco, io
creo cieli nuovi e una nuova terra, non sarà ricordato più il passato, non verrà più in mente"
(Is. 65, 17). Ogni volta che mi presento a questo banchetto non ho neppure il tempo di
vergognarmi del mio passato che mi sento ripetere: "Presto, mangiamo e facciamo festa"
(Lc. 15, 23). E si noti bene: la riconciliazione eucaristica non avviene perchè all'inizio della
messa, o dopo le letture, si fa un gesto penitenziale comunitario come la recita del
"Confesso a Dio..." o altro — anche se questo potrà essere utilissimo dal punto di vista
pastorale o perfino necessario per rendermi presente il contenuto penitenziale dell'Eucarestia
— ma è intrinseca al banchetto stesso e proprio qui sta la buona novella. Nell'Eucarestia
vengo perdonato prima che abbia il tempo di accusarmi, perchè nell'Eucarestia è l'iniziativa
stessa di Dio che occupa il primo posto e mi trascina al pasto della fraternità. Fermarsi a dire
"ma io non posso, non sono degno, io ho peccato, io sono sporco" è solo apparentemente un
atto di umiltà religiosa, in realtà significa non capire il contesto, non rendersi conto da che
parte proviene l'invito a sedersi a mensa, significa in profondità voler essere più
perfezionisti di Dio, ossia farisei. E' più cristiano la-sciarsi andare alla gioia del banchetto!
Certo occorre serietà e maturità: guai a chi prendesse questa offerta di Dio come
"grazia a buon mercato", pensando in cuor suo "posso fare quello che voglio tanto c'è
l'amnistia generale". Varrebbe per lui l'ammonimento di Paolo: "Colui che mangia e beve, se
non discerne il corpo del Signore, mangia
e beve la sua propria condanna" (1 Cor. 11, 29). Proprio per evitare questo rischio la Chiesa
tridentina ha stabilito la legge della confessione prima della Eucarestia, volendo in fondo
dire che è necessario accostarsi con estrema serietà alla mensa eucaristica. Il rischio non può
essere evitato, perchè costituisce la fede stessa — e anche perchè si mantengono i cristiani a
uno stato infantile e a forza di mantenerveli essi finiscono con l'essere bambini sul serio ma esso esiste. Tuttavia, rischio per rischio, è meglio rischiare sulla buona novella del
perdono che irrompe e del Padre che invita tutti al banchetto di nozze (Mt. 22, 9), che
rischiare sulla prudenza umana.
b. La celebrazione comunitaria della riconciliazione
Quanto nell'Eucarestia è contenuto in germe e quanto nell'Eucarestia è come
scavalcato dall'irrompere dell'amore del Padre che invita al banchetto del Regno, trova la
sua piena espressione nella celebrazione comunitaria della riconciliazione.
Si tratta della forma più attestata in tutta la storia della Chiesa e più ecumenica, in
quanto utilizzata sia nelle chiese Orientali sia nelle chiese riformate. Mi sembra il momento
più grande, dove la comunità può scoprire che cosa è il peccato, che cosa è il perdono
portato da Gesù e che cosa è la conversione. E questi tre punti importanti vengono
considerati non solo nel loro contenuto teologico-teorico, ma vengono visti nella
concretezza della situazione in cui vive la comunità.
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— Lo scoprimento del peccato: ho già detto che si tratta di un punto importante nel
cammino della riappropriazione, un punto che non può assolutamente essere dato per
scontato. Oggi non sappiamo più che cosa è il peccato: lo dobbiamo riscoprire in tutte le sue
forme. La Parola di Dio deve essere riattualizzata, nel senso che deve diventare Parola di
Dio per noi oggi, capace di leggere teologicamente la nostra realtà (11).
Nelle celebrazioni comunitarie bisogna dare un certo spazio a questa ricerca,
stabilendo ogni volta una forma precisa di peccato da ricercare (il peccato del mondo, il
peccato della comunità, il peccato personale).
— La proclamazione del Perdono: l'idea fondamentale che ho cercato di portare
avanti in queste pagine è il ribaltamento dell'atteggiamento tradizionale di fronte al tema del
perdono. Il perdono di Dio per il cristiano non è qualcosa da conquistare, ma è qualcosa a
cui abbandonarsi nella fede: ed è un aspetto sotto il quale si manifesta la fede nella sua
globalità e nella sua profondità il perdono come luogo dove mi si manifesta il volto del
Padre di Gesù e dove si mani-festa la mia situazione di fronte a Lui. Ora questo perdono,
per la sua stessa definizione, è a nostra disposizione. Come tutti gli altri beni della fede
questo perdono ci raggiunge nella incarnazione storica della Chiesa presa in tutta la sua
globalità: è questa l'eredità cattolica che non può essere persa. Ma questo secondo aspetto
non deve prevalere sul primo -- la natura del perdono cristiano — fino al punto di travisarne
i contenuti e stravolgerne la dinamica interna.
Non può diventare qualcosa di giuridico, messo a disposizione dell'autorità come un
strumento di potere sulle coscienze, non può diventare qualcosa che l'autorità concede a suo
piacere come se le appartenesse in proprio e non fosse appunto il dono e la buona novella di
Gesù data per il mondo intero.
— La progettazione della conversione: la comunità che celebra la riconciliazione
costruisce assieme a tutti i suoi membri il senso e il cammino concreto della conversione.
Convertirsi è innanzitutto credere di essere perdonati, è un rialzare la testa e guardare con
fiducia al nuovo futuro che Dio apre davanti a noi. Convertirsi è credere alla buona novella:
"convertitevi e credete all'Evangelo" (Mc. 1, 15).
Ma è anche cambiare concretamente la propria direzione, ricuperare nei fatti
quotidiani il proprio orientamento verso Dio. Le opere penitenziali, nella loro versione
moderna di opere di giustizia e di amore, inutili se utilizzate per comperare il perdono,
diventano indispensabili per la costruzione della conversione e sono l'indice della nostra
serietà, garanzia che non prendiamo alla leggera l'offerta gratuita di Dio.
La conversione non si limiterà a una preghiera o a un momento di meditazione, ma
cercherà di essere il capovolgimento di quell'ambito che è stato scoperto come ambito del
peccato. L'intera comunità sarà testimone e responsabile di questi impegni assunti nella
conversione.
Sull'imbastitura generale del rito e sull'utilizzazione di particolari elementi simbolici
ogni comunità dovrà trarre dalla propria fantasia creatrice e dal proprio cammino di fede
uno stimolo di produzione e un criterio di valutazione. Proprio su questo versante il discorso
della riappropriazione ritrova tutta la sua urgenza e il suo campo di applicazione.
La celebrazione comunitaria della riconciliazione può diventare il mezzo ordinario
con cui la comunità vive la riappropriazione della realtà del peccato, l'annuncio della
riconciliazione e l'impegno della conversione. Questa forma penitenziale rimane dunque lo
spazio fondamentale da utilizzare per reinventare il senso della nostra fede oggi e per
portare avanti il discorso della riappropriazione dei gesti sacramentali.
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Non mi sembra neppure il caso di provare l'efficacia sacramentale, a tutti gli effetti,
di questa forma liturgica. Mi sembra che il nostro discorso si lasci oramai alle spalle
determinate problematiche, che si preoccupano di stabilire quando "scatta" il sacramento o
quando invece non "scatta". Comunque, per maggiore chiarezza, diciamo che la validità
sacramentale di una celebrazione comunitaria della riconciliazione è ammessa dalla Chiesa
universale, la quale però ne restringe disciplinarmente l'applicazione ad alcuni casi
particolari (ch e sono praticamente due: in pericolo di vita per più persone e in caso grave
che vuol dire "dato il numero di penitenti non si ha a disposizione un numero sufficiente di
confessori per ascoltare come si conviene ed entro un congruo periodo di tempo, le
confessioni dei singoli penitenti, i quali di conseguenza sarebbero costretti, senza loro colpa,
a rimanere a lungo privi della grazia sacramentale o della santa Comunione"). Secondo me
fermarci a questa disciplina significa non riuscire a raggiungere la buona novella
evangelica, significa ancora non uscire dallo "stallo" in cui siamo da parecchi anni riguardo
al problema della confessione, significa infine non appropriarci proprio di niente. A mio
avviso dunque esiste una situazione grave che ci autorizza ad andare oltre le leggi
disciplinari della Chiesa. Poco male se sapremo veramente vivere la riconciliazione e
saremo a nostra volta dei riconciliatori.
c. La riconciliazione individuale
Una terza forma di riconciliazione sacramentale è quella individuale, quella che viene
celebrata da una singola persona assieme a un fratello nella fede (12). Le motivazioni e le
argomentazioni che tengono in piedi questa forma di riconciliazione sono molteplici.
Ognuno di noi è una singola persona davanti a Dio, e tutta la comunità se lo ricorda
quando si mette a servizio del singolo, proprio là dove egli è più debole. Ognuno di noi ha
dubbi, perplessità, paure, infermità, che sono sue proprie e chiedono di essere divise e
partecipate. Ognuno di noi ha aspetti particolari nel suo modo di porsi al mondo, aspetti che
necessitano di una verifica di fronte alla fede. Soprattutto: nella fraternità voluta da Gesù
nessuno deve essere solo di fronte alla forza del male e della morte (angoscia, paura,
dubbio, scrupolosità). L'intera comunità si china premurosa ad ascoltare e ad aiutare il
singolo quando il sacerdote celebra con lui la riconciliazione.
Quando una comunità si rende conto che il suo compito fonda-mentale è quello di
accogliere le persone e creare la comunione, dove ciascuno non è una semplice parte né
tanto meno un numero, ma persona che cresce nella liberazione e nella creatività, allora la
comunità non troverà difficoltà a riappropriarsi della riconciliazione individuale. Quando la
comunità comprende se stessa non come semplicemente finalizzata a cambiare il mondo (il
fare giustizia: dimensione politica della fede), ma si comprende come fraternità che si fa
carico della qualità esistenziale di ogni persona che partecipa al suo banchetto eucaristico,
quando una comunità scopre questo, il servizio dell'ascolto vicendevole diventa
necessariamente un servizio preminente. Il servizio dell'ascolto fraterno e della stessa
correzione fra-terna trovano nel gesto sacramentale della riconciliazione il loro momento
forte e il loro criterio di valutazione.
Nella riconciliazione individuale l'incontro, che costituisce la prassi comune della
comunità, diviene segno simbolico dell'incontro con il Padre, mezzo con cui viene
significata e vissuta l'accoglienza del Padre.
Dobbiamo quindi non lasciare cadere questa forma di riconciliazione, che ci
consegna la lunga storia della Chiesa. A vincere le nostre perplessità; causate dalla triste
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esperienza che ne abbiamo fatto, può magistralmente servire la testimonianza delle chiese
evangeliche. In queste chiese dei nostri fratelli protestanti da parecchi anni è in atto un
ampio movimento teologico e pastorale che si propone di intro-durre la confessione
individuale nella prassi dei fedeli (13).
Questa riconciliazione individuale non può essere però confusa con la confessione
tradizionale: il fatto che essa si ponga non come l'unica forma possibile, ma si ponga invece
come forma parallela alle altre due la muta strutturalmente. Qui non pesa più l'obbligo del
dire tutto o del passare sotto le forche caudine; qui non c'è più quel giuridismo verticale che
attende dall'assoluzione la sorte della propria salvezza eterna; qui non c'è più quel contesto
giudiziale, così ben rappresentato dal confessionale-tribunale.
L'incontro della riconciliazione individuale si iscrive piuttosto nella dinamica della
correzione fraterna e della direzione spirituale, ritornando ad essere ciò che era già alle sue
origini.
Occorre allora fare un salto di qualità: liberarsi dai condiziona-menti e pensare a
questa forma penitenziale nei termini di un servi-zio: il servizio contro le forze della morte
perchè ciascuno cresca nella fede.
La riappropriazione concreta di questa forma penitenziale non dovrebbe costituire un
problema: essa non conosce un ben che minimo rituale, ma viene vissuta dalle due persone
che la celebrano proprio secondo le loro dimensioni personali. L'uso di questa o di quella
preghiera e l'uso stesso della Parola di Dio devono essere valutati dall'incontro, dove
fondamentalmente si fa evento l'azione stessa di Dio.
Concludendo
senza avere finito
Le tre forme esposte non sono modi alternativi, ma modi complementari di vivere la
verità della riconciliazione. In ognuno di essi la buona novella della riconciliazione ci
raggiunge sotto una particolare angolatura e sotto un aspetto specifico, cosicchè la
grandezza della riconciliazione portata da Gesù si manifesta nella sua pienezza dalle tre
forme congiuntamente vissute. L'Eucarestia manifesta la verità più profonda della
riconciliazione, che essa cioè è un dono ed è amore del Padre che stravolge ogni pregiudizio
umano e ogni umana giustizia con il suo diffondersi gratuitamente per tutti. La
riconciliazione comunitaria mette maggiormente in risalto la nostra partecipazione: il nostro
sforzo per identificare il peccato e il nostro impegno per costruire la conversione sia
comunitaria sia personale.
La riconciliazione individuale infine mi ricorda che l'azione accogliente e perdonante
di Dio mi raggiunge personalmente dentro le angolature più comuni e più meschine del mio
quotidiano esistere. Mi ricorda anche che il mio incontro con l'altro — non solo l'incontro
con la comunità in quanto tale — è segno efficace dell'incontro che Dio vive con me. E che
allora il mio incontro deve essere accogliente e perdonante.
Ciascuno comprenderà come le tre forme non sono state sviluppate lungo le loro
tematiche e lungo le loro problematiche in ordine a una effettiva riappropriazione. Ho
voluto semplicemente indicare i parametri fondamentali che delimitano un lungo cammino
da fare: questo cammino deve essere compiuto dalle comunità. Il discorso più vero e più
valido comincia proprio ora, comincia qui dove terminano queste premesse teoriche, che
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volevano semplicemente aprire la strada, iniziare il discorso. Questo libretto deve essere
chiuso, al limite anche dimenticato, ma una domanda deve imporsi per ogni comunità.
"Allora che cosa facciamo?".
NOTE
1) Il testo di 2 Cor. 5, 18 - 20 dice: "E tutto questo viene da Dio, il quale ci ha riconciliati con sé per
mezzo di Cristo. A noi egli ha conferito il ministero della riconciliazione; poichè Dio in Cristo
riconciliava con sé il mondo, non imputando ad essi le loro colpe e facendo di noi i depositari della
parola che annuncia la riconciliazione. Per incarico di Cristo, dunque, noi siamo ambasciatori, ed è
come se Iddio esortasse a mezzo nostro. Vi supplichiamo in luogo di Cristo: riconciliatevi con Dio!"
2) Il documento dei vescovi francesi reca il titolo "Vivere la penitenza oggi", ed è apparso in: La
documentation catholique, n. 56/5 (1974), pp. 213 — 215.
3) Cfr.: J. M. R. 7ILLARD, Pénitence ed Eucharestie, in La Maison—Dieu, n. 40 (19671. P. 124.
4) J. DURANDEAUX, I cristiani al vaglio della psicoanalisi, Assisi 1976, pp. 59 — 60.
5)Nonostante le interpretazioni contrarie di alcuni teologi, vedi, per esempio: Z. ALSZEGHY,
Confessione dei peccati, in Nuovo dizionario di teologia, Alba 1977, pp. 180 -- 181.
6) "Docet sancta Synodus, sacrificium istud vere propitiatorium esse, per ipsumque fieri, ut, si cum
vero corde et recta fide, cum metu ac reverentia, contriti ac paenitentes ad Deum accedamus,
misericordiam consequamur et gratiam inveniamus in auxilio opportuno. Huius quippe oblatione
placatus Dominus, gratiam et donum paenitentiae concedens, crimina et peccata etiam ingentia
dimittit". (DS 1743). Confronta anche: DS 1638.
7) Esiste una tesi di laurea, discussa alla Pontificia Univaersitè Lateranense, dove il discorso che sto
facendo è ampiamente provato e documentato: R. GERARDI, Eucarestia e penitenza, Roma 1975.
Uno studio particolare sul divieto tridentino di accostarsi alla comunione con la coscienza del
peccato grave è stato fatto da L. BRAECKMANS Confession et communion au Moyen Age et au
Concile de Trente, Gembloux 1971. Anche Braeckmans considera il divieto una norma disciplinare.
8) R. FALSINI, Il sacramento della riconciliazione, Brescia 1975, p. 117.
9) Vedi lo studio di F. NIKOLASCH, La liturgia penitenziale nelle Chiese orientali e il suo
significato, in Concilium 7/1 (19711, pp. 90—103.
10) Cfr. il già citato articolo di J.J. Von ALLMEN, Il perdono dei peccati come 'sacramento' nelle
Chiese della Riforma; in Concilium 7/1 (19711, pp. 161 — 171.
11) Ho già citato il libro di FRANCO BARBERO 'Diventati marxisti ha ancora senso parlare di
peccato?, Genova 1977; credo che costituisca proprio un tentativo di ridefinire il peccato alla luce
della Parola di Dio e alla luce della nostra situazione attuale.
12) Per maggiore semplicità prescindo qui dal fatto, per altro atte-stato anche nella storia della
Chiesa cattolica, che si possa celebrare la riconciliazione individuale con un fratello non sacerdote:
questo discorso implica tutto il discorso del significato del prete nella prassi e nella ideologia delle
comunità di base. Qui dunque quando parlo di un fratello che accoglie la "confessione", alludo
esplicitamente al sacerdote.
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13) Se ne può vedere un bilancio completo e riassuntivo nell'opera di H. HOFLIGER, Die
Erneuerung der evangelischen Einzelbeichte. Pastoraltheologische Dokumentation zur
evangelischen Beichtbewegung seit Beginn des 20 Jahrhunderts, Freiburg 1971.
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