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°A
La voce dell’Associazione Amministratori Condominiali Immobiliari - Milano
NN
O
l’amministratore
informazioni pratiche per condomini e inquilini
Spediz. abbonamento postale70% - Milano
Milano - Stazione Centrale
ANACI
Anno XXXIX - n. 5 - Maggio 2014 - 5 Euro
Sommario
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l’amministratore
anno xxxix
n. 5 - maggio 2014
Notiziario mensile Anaci Milano
a diffusione nazionale
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Direttore Responsabile
Dario Guazzoni
Comitato di redazione
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Autorizzazione
Tribunale di Milano
376 del 22/12/75
Associato all’Unione
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L’AMMINISTRATORE - ANNO 39°
FONDATO NEL 1975
auguri, presidente!
dario guazzonipag.5
l’assemblea del supercondominio
luca saccomanipag.7
la durata nei contratti di locazione
laura gilardonipag.13
appalto: le parti del contratto
marina figinipag.21
la sospensione del procedimento nel diritto
processuale penale
giulio benedettipag.25
tolleranza zero per gli stalker condominiali
laura gilardonipag.29
sentenze
pag.31
eugenio antonio correale
nuovo libretto per l’esercizio, la manutenzione,
il controllo e l’ispezione degli impianti termici
antonio de marcopag.35
il lavoro solitario in condominio
cristoforo morettipag.40
pericoli condominiali
cristoforo morettipag.42
aggiornamenti sul “bonus 80 €”
vincenzo di domenicopag.44
agenzia delle entrate circolare n°8-e / 2014
vincenzo di domenicopag.45
la milano di bombay
pinuccio del menicopag.46
centro studi
pag.49
le nostre tabelle
pag.52
l’amministratore
3
Editoriale
AUGURI, PRESIDENTE!
Q
uando i lettori, e specialmente i
colleghi riceveranno questo numero
della nostra Rivista, Anaci Sede
Nazionale (dipenderà dal Servizio Postale,
imprevedibile nelle sue consegne!) avrà di già
un nuovo presidente; oppure starà per averlo.
Dopo quattordici anni (non vorremmo sbagliarci) e tre mandati e mezzo essendo succeduto
al dimissionario Pino Rigotti, Pietro Membri,
l’amico Pietro Membri ha deciso di non ricandidarsi e di passare il testimone:
Tutti, indubbiamente, ed anche i detrattori
(ovunque ce ne sono!) non possono non riconoscere che quella dell’amico Pietro è stata
una grande presidenza.
Grande presidenza perché Membri ha instaurato un nuovo modo di gestire l’Associazione.
Non l’ha gestita dalla sua, anzi dalla nostra
Milano, città nella quale, come tutti sanno vive
ed opera, non l’ha gestita cioè sedentariamente.
Pietro Membri è stato un presidente itinerante.
Ha ritenuto cioè, con intelligenza e saggezza,
che il modo migliore di presiedere fosse quello
di visitare ogni sede, anche le più piccole, per
prestare il saluto, l’appoggio, il consiglio dei
vertici dell’Associazione.
Per rendersi cioè conto di come si operasse,
oltre che nelle grandi metropoli, nelle sedi meno ampie, con un numero limitato di associati,
dove l’ausilio della presidenza avrebbe potuto
dare ed ha dato all’utenza la certezza che anche
nei centri piccoli ANACI fosse presente.
Ha raccolto, come è nella umana natura,
critiche; in più di un Congresso Nazionale
qualcuno gli ha sparato contro (è ovvio una
metafora); ma la maggioranza dei colleghi
consiglieri nazionali lo ha sempre sorretto
riconoscendogli i meriti del suo operato.
Ed ora, ora ANACI cambia il vertice.
Tre colleghi, già ampiamente conosciuti in ambito nazionale, si sono candidati per la futura
presidenza, per il futuro vertice.
Lo diciamo per i colleghi non consiglieri nazionali, i quali pertanto non hanno ricevuto
la convocazione per il Congresso, tre colleghi
dicevamo, già ampiamente conosciuti.
Rosaria Molteni, collega di Como ed attualmente uno dei vicepresidenti, Carlo Parodi,
collega di Roma, direttore del Centro Studi
Nazionale, Francesco Burrelli, vice presidente
vicario nell’ultimo quadriennio della presidenza Membri.
Questa rivista, ed il suo Direttore, quantunque
abbiano proprie convinte idee (come del resto
ognuno dei consiglieri nazionali che voteranno)
si astiene dal manifestare la propria volontà
personale.
Qualunque sia dei tre colleghi, Molteni, Parodi, Burrelli, il vincente dovrà prevalere,
indipendentemente dalle personali opinioni,
l’associativismo.
L’associativismo con la “A” maiuscola.
Il nuovo presidente, il nostro presidente, inizia
il proprio mandato proprio ad un anno dall’entrata in vigore della Riforma del Condominio.
A lui pertanto, con l’ausilio di tutta la dirigenza
Nazionale, il compito di chiedere ed ottenere,
a livello parlamentare, quelle riforme di messa
a punto dell’istituto che l’esperienza iniziale
del primo anno dice non perfette.
Auguri presidente, con sincerità, AD MAIORA!
l’amministratore
Dario Guazzoni
5
Anaci: Consiglio Provinciale di Milano
Presidente: Caruso Leonardo
Vice Presidente Vicario: Cerrini Carlo
Vice Presidente: Moritz Carlo
Segretario: Frisenna Paolo
Tesoriere: Donzelli Luigi
CONSULENZE IN SEDE
legali:
lunedì 14,30 - 16,00
Avv. Luca Saccomani
solo su appuntamento
mercoledì 14,30 - 16,00
Avv. Marina Figini
solo su appuntamento
venerdì 17,00 - 18,30
Avv. Eugenio Antonio Correale
Avv. Ermes Gallone
Consiglieri Provinciali
Appezzato Juri
Balsamo Angelo
Bandiera Francesco
Bandiera Umberto
Bianchini Massimiliano
Buonavitacola Giorgio
Calvio Gianfranco
Caruso Giuseppe
Dè Angelis Zucca Anna
Didoni Fabio
Donzelli Luigi
Falduto Laura
Grillo Carmelo
Organigramma
Nazionale
Presidente:
Pietro Membri (Milano)
Segretario:
Andrea Finizio (Roma)
Tesoriere:
Giuseppe Merello (Genova)
Organigramma
Regione Lombardia
Presidente:
Claudio Bianchini (MI)
Vice Presidente:
Agostino Lombardi (VA)
Segretario:
Monica Rusconi (SO)
Tesoriere:
Francesca Salvetti (BS)
6
ANACI
Associazione Nazionale Amministratori
Condominiali e Immobiliari
Guazzoni Dario
La Rosa Angelo
Lionetti Giuseppe
Pasi Mauro
Pasi Paolo
Pozzi Fabrizio
Ronchi Silvia
Sandrini Fabio
Sozzi Alfredo
Vanzini Maurizio
Zappella Luca
Zoccoli Bruno
del lavoro:
venerdì 17,00 - 18,30
Dott. Vincenzo Di Domenico
fiscale:
lunedì 14,30 - 16,00
Dott. Carmen Rovere
solo su appuntamento
giovedì 14,00 - 16,00
Dott. Luigi Donzelli
Per appuntamenti in sede
prenotarsi al numero telefonico 02 58322122
La rivista della Sezione Provinciale
di Milano della Anaci
(Associazione Nazionale Amministratori Condominiali e Immobiliari)
11 NUMERI 50 EURO
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l’amministratore
Osservatorio del diritto
L’ASSEMBLEA DEL
SUPERCONDOMINIO
Luca Saccomani
Il momento dell’impatto iniziale con la novità legislativa
è ormai superato, si sono moltiplicati i contributi degli interpreti, d’aiuto nell’esame del
non sempre lineare testo normativo, ed i primi arresti della
giurisprudenza hanno fornito
preziose indicazioni interpretative su alcuni aspetti della
novella.
Nel contempo, tuttavia, nella
mente degli operatori hanno
fatto capolino i nuovi ed ulteriori dubbi che solo l’esperienza quotidiana (nonostante
qualunque sforzo di teorizzazione) genera, e che la per ora
scarsa produzione giurisprudenziale non contribuisce a
sciogliere.
Argomentazioni simili sembrano attagliarsi perfettamente
all’argomento “supercondominio”, che il legislatore del
2012 ha inteso disciplinare,
innovando rispetto al passato, ma con poche e lacunose
regole.
Anzitutto, con l’art. 1117-bis
c.c., che, con riferimento a
«tutti i casi in cui più unità
immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità
immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi
dell’articolo 1117», ha disposto l’applicabilità delle norme
dettate nel capo della legge in
cui l’articolo si trova, ossia degli articoli che vanno dal 1117
al 1139, ma nulla disponendo
in ordine alle disposizioni per
l’attuazione del Codice Civile,
articoli da 61 a 72 (con la sola
eccezione di quelle contenute
all’art. 67, di cui nell’immediato seguito).
Poi, con il terzo ed il quarto
comma dell’art. 67 delle disposizioni di attuazione del
Codice Civile, il cui testo si ricorda per comodità del lettore:
«Nei casi di cui all’articolo
1117-bis del codice, quando
i partecipanti sono complessivamente più di sessanta,
ciascun condominio deve designare, con la maggioranza
di cui all’articolo 1136, quinto
comma, del codice, il proprio
rappresentante all’assemblea
per la gestione ordinaria delle
parti comuni a più condominii
e per la nomina dell’amministratore. In mancanza, ciascun
partecipante può chiedere che
l’autorità giudiziaria nomini
l’amministratore
il rappresentante del proprio
condominio. Qualora alcuni
dei condominii interessati non
abbiano nominato il proprio
rappresentante, l’autorità giudiziaria provvede alla nomina
su ricorso anche di uno solo
dei rappresentanti già nominati, previa diffida a provvedervi
entro un congruo termine. La
diffida ed il ricorso all’autorità giudiziaria sono notificati
al condominio cui si riferiscono in persona dell’amministratore o, in mancanza, a tutti
i condomini.
Ogni limite o condizione al
potere di rappresentanza si
considera non apposto. Il rappresentante risponde con le regole del mandato e comunica
tempestivamente all’amministratore di ciascun condominio l’ordine del giorno e le
decisioni assunte dall’assemblea dei rappresentanti dei
condominii. L’amministratore
riferisce in assemblea».
L’assemblea del supercondominio, dunque, assume consistenza del tutto diversa, a
seconda del numero complessivo dei proprietari esclusivi
che partecipano all’ente.
7
Osservatorio del diritto
***
Quando i partecipanti siano
complessivamente in numero
inferiore a sessanta, l’assemblea supercondominiale opera
in base ai principi precedentemente vigenti e costantemente
ribaditi nella loro validità dalla giurisprudenza, per i quali
le deliberazioni debbono essere necessariamente assunte
con la partecipazione di tutti i proprietari esclusivi delle unità immobiliari facenti
parte del complesso, trovando integrale applicazione le
disposizioni dell’art. 1136 c.c.
in tema di convocazione, costituzione, formazione e calcolo delle maggioranze, con
riguardo agli elementi reale e
personale del supercondominio, rispettivamente configurati da tutte le unità abitative
comprese nel complesso e
da tutti i loro proprietari, rischiando altrimenti la sanzione dell’annullamento (1); e per
i quali risulta afflitta da nullità per contrarietà a norme
imperative la clausola del regolamento (ancorchè di natura contrattuale) che preveda
che l’assemblea di supercondominio sia composta dagli amministratori dei singoli
condominii, anziché da tutti
i comproprietari degli edifici
che lo compongono (2).
1 Cass. S.U., 7.3.2005, n. 4806.
2 Cass., Sez. II Civ., 6.12.2001, n.
15476; Cass., Sez. II Civ., 13.6.1997,
n. 5333.
8
Si dovrebbe quindi ritenere
che una decisione assembleare con la quale si pretendesse
di estendere il sistema della “assemblea dei rappresentanti” di cui si dirà a breve
anche alle realtà con partecipanti in numero inferiore rispetto a quello indicato dalla
norma non sfuggirebbe ad una
censura di annullabilità.
Per altro verso, occorrerà trovare conferma che, nonostante quanto sopra accennato, in
ordine al mancato richiamo
nella disciplina delle entità
supercondominiali delle norme contenute nelle disposizioni di attuazione del Codice
Civile, possa trovare espressione la facoltà del singolo di
partecipare all’assemblea a
mezzo di proprio rappresentante, munito di delega scritta,
ex art. 67, primo comma, disp. att. c.c.
Al netto della fisiologica difficoltà di soddisfare nelle assemblee supercondominiali i
quorum costitutivi e deliberativi, è certo che un’interpretazione strettamente ancorata al
dato normativo produrrebbe
quale risultato la sostanziale
ingestibilità dell’ente. D’altra parte, ogni operatore della
materia potrebbe confermare
di aver imparato che non sempre la soluzione corretta sul
piano giuridico è quella che
meglio risponde alle esigenze concrete.
***
Occorre invece dimenticare parte dell’insegnamento
l’amministratore
giurisprudenziale, sedimentato negli anni, quando si
sia in presenza di complesso con partecipanti in numero superiore a sessanta, e si
tratti dell’assemblea chiamata a deliberare in ordine alla «gestione ordinaria delle
parti comuni a più condominii» ed alla «nomina dell’amministratore», giacchè a tale
assemblea partecipano i soli rappresentanti, designati da
ciascun condominio, con deliberazione ad hoc.
È bene evidenziare che tale modalità di costituzione
dell’assemblea non pare costituire una mera facoltà (da
esercitare alternativamente rispetto all’ipotesi dell’assemblea “plenaria”, composta da
tutti i partecipanti al supercondominio), ma un vero e
proprio obbligo, come sembra indicare l’utilizzo del verbo «deve», riferito all’onere
di ciascun condominio di designare il proprio rappresentante, e dalla previsione, per
il caso di inerzia del condominio, dell’intervento del
Giudice (provocato da ciascun condomino o da anche
uno dei rappresentanti già
nominati dagli altri condominii); obbligo che comporterebbe l’invalidità (in forma
di annullabilità, assumendo il permanere della validità
dell’insegnamento impartito
dalle S.U. della Corte di Cassazione, con la sentenza n.
4806/2005, citata in nota 1)
della deliberazione assunta da
Osservatorio del diritto
assemblea composta dai partecipanti al supercondominio in
cui siano presenti più di sessanta proprietari esclusivi.
Analogamente, pare non possa
dubitarsi che l’avviso di convocazione dell’assemblea supercondominiale debba essere
inviato ai singoli partecipanti,
sia in quanto va riconosciuto il
loro diritto ad essere informati in ordine al contenuto delle
assumende decisioni, sia onde
consentire loro di esercitare il
potere-dovere di nominare il
rappresentante, e sia in quanto va forse riconosciuto loro
anche il potere di determinare
l’operato del suddetto rappresentante, fissando i «limiti» ed
impartendo le «istruzioni» cui
fa riferimento l’art. 1711 c.c.
in tema di mandato (l’espressione è dubitativa, per quanto
si osserverà appresso in ordine all’assenza nella norma della previsione di una scansione
temporale delle decisioni, da
assumere a livello “periferico”
e “superiore”).
Altra questione cui il testo della legge non fornisce risposta
è come debba essere computato il voto del rappresentante
del condominio ai fini del calcolo delle maggioranze. Dovendosi ritenere che ognuno
dei rappresentanti esprima la
caratura millesimale del condominio che l’ha designato
nell’ambito supercondominiale, può domandarsi se ciascuno
di essi esprima numericamente
un voto (una testa, per chiarezza), come qualcuno mostra
di ritenere, o tanti voti quanti sono i partecipanti al condominio rappresentato, come
forse è preferibile ritenere, atteso che l’elemento personale
costituisce presupposto imprescindibile della validità della
delibera, ex art. 1136 c.c.
Definendo i connotati dell’operato del rappresentante, la
norma indica che «ogni limite
o condizione al potere di rappresentanza si considera non
Milano - Colonne di San Lorenzo
l’amministratore
apposto», e che «il rappresentante risponde con le regole
del mandato».
Si è già osservato da parte di
più autori che le due espressioni non si pongono in contraddizione, essendo la prima
deputata a regolamentare l’aspetto esterno dell’operato del
rappresentante (nell’ambito,
cioè, dell’assemblea cui partecipa), e l’altra quello interno
(attinente il suo rapporto con
il condominio che lo ha designato), in conformità ai principi vigenti in materia di delega
assembleare.
Su questo presupposto, dovrebbe ritenersi – in pratica
- che l’essersi discostato dalle istruzioni fornite dal condominio mandante potrebbe
comportare l’assunzione di una responsabilità del mandatario – rappresentante, ma che
tale circostanza non potrebbe riverberare effetti sul piano
della validità della deliberazione assunta dall’assemblea
supercondominiale.
Ciò conduce a trattare l’ulteriore argomento, dell’impugnativa
della delibera dell’assemblea
del supercondominio.
In merito, dovrebbe essere
anzitutto postulato che solo
ai condomini spetti il potere di impugnativa, essendo esclusivamente a loro riservato
dall’art. 1137 c.c.
Può poi procedersi affrontando i dubbi che sembrano di più
semplice risoluzione, e, per
quanto poco sopra osservato,
9
Osservatorio del diritto
ritenere che sia preclusa la facoltà di impugnativa della delibera assunta dall’assemblea
supercondominiale, unicamente per avere il rappresentante
del condominio d’appartenenza espresso in tale sede voto
difforme rispetto a quello ricevuto come indicazione dal suo
mandante (salva, come detto,
la responsabilità del rappresentante rispetto al condominio da cui promana).
Non troppe questioni dovrebbero poi porsi in ordine alle
delibere da ritenere nulle, ossia – sempre postulando la
sopravvivenza dei principi
giurisprudenziali consolidati (3) – quelle prive degli elementi essenziali, con oggetto
impossibile o illecito, con oggetto esulante dalla competenza dell’assemblea, quelle che
incidono sui diritti individuali
sulle cose o servizi comuni o
sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, e quelle
comunque invalide in relazione all’oggetto, essendo tali delibere impugnabili da chiunque
(e senza limiti di tempo).
Più problematica è invece l’individuazione della
3 Cfr. Cass. S.U., 7.3.2005, n. 4806,
richiamata in nota 1
L’AMIANTO
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legittimazione ad impugnare
le delibere da qualificarsi annullabili, in quanto afflitte da
vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, o
adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento
condominiale, o affette da vizi formali, o assunte in violazione di prescrizioni legali,
convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di
convocazione o di informazione dell’assemblea, o genericamente affette da irregolarità
nel procedimento di convocazione, o adottate in violazione
di norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione
22/05/13 15.16
l’amministratore
Osservatorio del diritto
all’oggetto. Ai sensi dell’art.
1137 c.c., la possibilità di
contestare giudizialmente tali delibere è appannaggio dei
condomini assenti, dissenzienti o astenuti; atteso che, però, alcun condomino partecipa
all’assemblea supercondominiale, ci si deve domandare a
chi possa essere effettivamente attribuito lo status che costituisce condizione soggettiva
imprescindibile per presentare
l’impugnativa. Sotto il profilo
in esame, non sembra in effetti
determinante l’atteggiamento
tenuto dal condomino nell’assemblea condominiale, atteso
che in tal sede nulla può essere
deliberato di quanto attinente
la gestione supercondominiale,
con la sola eccezione della nomina del rappresentante.
L’aspetto riguardante il rapporto tra le assemblee dei condomini “periferici” e quella
del condominio “centrale” è
forse tra i più problematici che
l’applicazione della novella ha
rivelato.
Ogni amministratore avveduto
direbbe che la corretta e proficua gestione delle realtà supercondominali richiede un
coordinamento tra i momenti decisionali delle entità periferiche e quelli dell’ente
centrale, anche attraverso una scansione temporale degli
eventi fondamentali, costituiti dalle rispettive assemblee; e
ciò a maggior ragione in relazione a quanto previsto dalla riforma circa il necessario
intervento all’assemblea del
supercondominio dei rappresentanti nominati dai singoli
condominii.
Egli immagina quindi che la
convocazione dell’assemblea
supercondominiale debba avvenire con grande preavviso,
onde dar modo agli amministratori di ciascun condominio di convocare l’assemblea
di competenza, con il compito
di designare il rappresentante
per la prossima assemblea del
supercondominio, e – magari –
impartirgli anche istruzioni in
ordine alla posizione da assumere rispetto ai punti indicati al relativo ordine del giorno.
Tuttavia, nulla di tutto ciò risulta dal dato normativo.
Non la previsione di un preavviso per la convocazione superiore a quello ordinario ( 4),
e, a ben vedere, nemmeno la
necessità che la nomina del
rappresentante si ponga quale
immediato antecedente della
convocazione dell’assemblea
supercondominiale.
Al quarto comma dell’art. 67
disp. att. c.c. si legge infatti che il rappresentante «comunica
tempestivamente
all’amministratore di ciascun
condominio l’ordine del giorno», oltre alle decisioni poi
assunte dall’assemblea dei
4 Anzi, a stretto rigore, non è previsto
alcun preavviso tout court, atteso il
mancato richiamo dell’art. 1117-bis
c.c. alle disposizioni di attuazione del
codice civile, e segnatamente al terzo
comma dell’art. 66 delle stesse.
l’amministratore
rappresentanti dei condominii,
ossia dell’assemblea supercondominiale (il quale amministratore dovrà poi riferire in
assemblea).
Dunque, dovrebbe concludersi che la nomina del rappresentante possa avvenire – ad
esempio – in sede di assemblea ordinaria annuale, in un
certo senso aprioristicamente,
ossia indipendentemente dalla già avvenuta convocazione
dell’assemblea supercondominiale. Nell’indisponibilità di
alcuna informazione meno che
generica in ordine agli argomenti da trattare in tale ultima sede, tuttavia, risulta del
tutto impossibile per l’assemblea del condominio impartire
al rappresentante alcuna istruzione in ordine al contegno da
tenere.
***
Didascalicamente,
occorre concludere rammentando che quando l’assemblea di
un supercondominio con più
di sessanta partecipanti debba essere convocata per decidere qualcosa di diverso dalla
gestione ordinaria delle parti comuni al complesso o dalla nomina dell’amministratore
(tipicamente, interventi di manutenzione straordinaria od innovativi), riprendono vigore i
già accennati principi che stabiliscono il diritto di ognuno
a contribuire alla formazione
della volontà comune, ossia ad
essere convocato ed a partecipare alla riunione.
11
Osservatorio del diritto
LA DURATA NEI CONTRATTI DI
LOCAZIONE
Laura Gilardoni
La locazione è un contratto consensuale con il quale una parte si
obbliga a far godere all’altra una
cosa mobile o immobile (materiale o immateriale) per un dato
periodo di tempo verso un corrispettivo (art. 571 c.c.). Circa la
durata del contratto il legislatore ha fissato il principio secondo
il quale la locazione non può stipularsi per un tempo eccedente ai
trent’anni. Se stipulata per un periodo più lungo o in perpetuo è
ridotto al termine suddetto (1573
C.C.).
Quanto alla durata minima, il legislatore ha ritenuto di garantire
alle parti, a seconda della destinazione d’uso, una maggiore o minore autonomia contrattuale. In
questo senso questi ha proceduto distinguendo la contrattualistica in due importanti categorie: le
locazioni a uso abitativo e quelle
ad uso diverso,
La locazione di immobili urbani ad uso abitativo è stata negli
ultimi anni soggetta a numerosi interventi normativi tutti volti
a disciplinare un rapporto contrattuale delicato in quanto interessa una larghissima utenza
ed un bene della vita essenziale quale, appunto, l’abitazione.
Ruolo cardine hanno avuto sicuramente la legge n. 392 del
27 luglio 1978 (la c.d. legge
dell’equo canone), la n. 359 del
8 agosto 1992 e la n. 431 del 9
dicembre 1998, norme tutte alle
quali costantemente faremo riferimento nel corso di queste brevi note.
I CONTRATTI AD USO
ABITATIVO
I
A CANONE LIBERO
La durata della locazione avente
per oggetto immobili urbani per
uso abitazione – la cui legge di riferimento è la n. 431 del 2008 non può essere inferiore a quattro
anni. Se le parti hanno determinato una durata inferiore o hanno
convenuto una locazione senza
determinazione di tempo la durata si intende convenuta per quattro anni. Il disposto del comma
precedente non si applica quando si tratti di locazioni stipulate
per soddisfare esigenze abitative
di natura transitoria.
La regola del rinnovo di diritto,
tuttavia, non è applicabile ad alcune ipotesi contemplate dall’art.
3 della legge n. 431/1998, al ricorrere delle quali il proprietario
ha il potere di opporsi al rinnovo automatico, con dichiarazione
espressa in tal senso e descrizione
l’amministratore
della fattispecie che costituisce
fonte della deroga. Tra i casi più
frequenti nella prassi, si pensi
all’eventualità che il locatore intenda utilizzare l’appartamento
come abitazione o adibirlo ad uso
professionale per sé, il coniuge i
figli o i fratelli, o ancora decida
di ristrutturarlo completamente.
Fatte salve tali ipotesi eccezionali, dunque, alla scadenza degli otto anni (quattro + quattro),
a ciascuna delle parti è attribuita
la facoltà di comunicare all’altra,
mediante lettera raccomandata
con avviso di ricevimento, con
un preavviso di sei mesi, l’intenzione di disdire il contratto.
Proprio per la peculiare destinazione delle locazioni de quo
– locazione che posso oggettivamente avere anche durata ultradecennale – è ben possibile
incontrare un contratto che sorto sotto la vigenza della legge n.
392 del 1978 o n. 359 del 1992 si
sia protratto fino all’entrata in vigore della legge n. 431 del 1998
che ha interamente ridisciplinato le locazioni di immobili ad
uso abitativo, ponendo dunque
problemi circa la sopravvivenza
delle precedenti normative e soprattutto le modalità ed i termini
di rinnovo dei contratti in scadenza successivamente all’entrata in
13
Osservatorio del diritto
vigore della stessa. (art. 1 legge
392/1968).
Per la risoluzione di queste problematiche – più frequenti di
quanto si creda! – risulta preliminare effettuare una attenta rilettura della normativa di riferimento
dalla quale, in buona sostanza
emerge chiaramente la disciplina
temporale applicabile.
Ci riferiamo, in particolare:
- all’art. 1 della legge n.
392/1978 (Disciplina delle
locazioni di immobili urbani) che prevede come la durata della locazione avente per
oggetto immobili urbani per
uso abitazione non può essere inferiore a quattro anni.
Se le parti hanno determinato
una durata inferiore o hanno
convenuto una locazione senza determinazione di tempo la
14
durata si intende convenuta
per quattro anni.
- all’art. 11 comma 2 della legge 359/1992 (i c.d. patti in deroga) che prevede come nei
contratti di locazione relativi ad immobili non compresi
fra quelli di cui al comma 1,
stipulati o rinnovati successivamente alla data di entrata
in vigore della legge di conversione del presente decreto,
le parti, con l’assistenza delle organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori
maggiormente rappresentative a livello nazionale, tramite
le loro organizzazioni provinciali, possono stipulare accordi in deroga alle norme della
citata legge n. 392 del 1978.
La disposizione si applica per
i contratti ad uso abitativo limitatamente ai casi in cui il
locatore rinunzi alla facoltà
l’amministratore
di disdettare i contratti alla
prima scadenza a meno che
egli intenda adibire l’immobile agli usi o effettuare sullo
stesso le opere di cui, rispettivamente, agli articoli 29 e 59
della citata legge n. 392 del
1978. Resta ferma l’applicazione, per i contratti indicati
nel presente comma, degli articoli 24 e 30 della citata legge n. 392 del 1978?.
- All’art. 1 l. n. 431/1998, che
dispone espressamente come
i contratti di locazione di immobili adibiti ad uso abitativo, sono stipulati o rinnovati,
successivamente alla data di
entrata in vigore della presente legge, ai sensi dei commi 1 e
3 dell’articolo 2, mentre il richiamato comma 1 dell’art. 2
(il comma 3 non ha rilievo nella presente questione) le parti
possono stipulare contratti di
Osservatorio del diritto
locazione di durata non inferiore a quattro anni, decorsi
i quali i contratti sono rinnovati per un periodo di quattro
anni, (omissis). Alla seconda
scadenza del contratto, ciascuna delle parti ha diritto
di attivare la procedura per
il rinnovo a nuove condizioni
o per la rinuncia al rinnovo
del contratto, comunicando la propria intenzione con
lettera raccomandata da inviare all’altra parte almeno
sei mesi prima della scadenza. La parte interpellata deve rispondere a mezzo lettera
raccomandata entro sessanta
giorni dalla data di ricezione
della raccomandata di cui al
secondo periodo. In mancanza di risposta o di accordo il
contratto si intenderà scaduto alla data di cessazione della locazione. In mancanza di
risposta o di accordo il contratto si intenderà scaduto
alla data di cessazione della
locazione. In mancanza della comunicazione di cui al secondo periodo il contratto si
intenderà rinnovato tacitamente alle medesime condizioni.
Già dalla semplice lettura della
normativa in commento si può
facilmente desumere la soluzione del problema.
Il legislatore ha inserito – con
l’entrata in vigore della 431 –
un meccanismo volto ad offrire
al locatore la concreta possibilità di esercitare il diritto di recesso dal contratto di locazione
e qualora questi non provveda ovvero qualora le parti non
abbiano attraverso facta concludentia scelto in merito dovrà ritenersi automaticamente
applicabile la disciplina temporalmente in essere configurando
l’atto omissivo non tanto una tacita rinnovazione, ma piuttosto
una acquiescenza ad una situazione normativa vincolante.
II
A CANONE CALMIERATO
Il legislatore del 1998, consapevole delle forti difficoltà incontrate dai soggetti meno abbienti
intenzionati a prendere in locazione una casa in uno dei centri ad alta densità abitativa ha
offerto alle parti la scelta tra il
contratto “libero” (appena visto) e quello c.d. “convenzionato” (anche detto “calmierato”),
di cui sono solitamente reperibili presso gli uffici competenti
dei Comuni interessati uno o più
schemi-tipo.
La nota distintiva di quest’ultima forma contrattuale consiste
nella notevole incidenza esercitata sul contenuto dei singoli
contratti da parte di accordi precedentemente raggiunti a livello
nazionale fra le associazioni dei
proprietari e le associazioni degli
inquilini, alla presenza del Ministro dei Lavori Pubblici. Qualora il proprietario acconsenta di
sottostare ai vincoli previsti da
tali accordi, questi potrà giovarsi di una riduzione dell’aliquota ICI (nella percentuale fissata
mediante regolamenti comunali)
e di una riduzione dell’IRPEF.
Per usufruire delle suddette norme di favore, sarà onere del locatore chiederne l’applicazione,
al momento della presentazione
l’amministratore
della dichiarazione dei redditi,
indicando il Comune dove ha sede l’immobile, nonché gli estremi di registrazione del contratto
di locazione e l’anno di presentazione della denuncia dell’immobile ai fini dell’applicazione
dell’ICI.
Per quanto riguarda la durata del
contratto “convenzionato”, essa
è più breve, non potendo essere
inferiore ai tre anni; alla prima
scadenza del contratto, se le parti non si mettono d’accordo per
il rinnovo, il contratto è prorogato di diritto per altri due anni,
salvo la possibilità di disdetta al
ricorrere di una delle stesse ipotesi previste per i contratti a canone libero. Scaduto anche tale
termine, ciascuna delle parti può
scegliere se attivare la procedura di rinnovo a nuove condizioni
oppure comunicare la rinuncia al
rinnovo con lettera raccomandata, almeno sei mesi prima della
scadenza. In mancanza di comunicazioni il contratto è rinnovato
tacitamente alle medesime condizioni. Ma quali sono queste
medesime condizioni?
Sul punto l’incertezza è assai
ampia sussistendo, allo stato due
orientamenti giurisprudenziali
differenti.
Il primo prevede “in tema di
contratto regolamentati, stipulati ex articolo 2, comma 3, legge
431 del 1998, il rinnovo successivo alla scadenza del periodo di
proroga ha durata triennale, prorogabile di ulteriori due anni, in
mancanza di disdetta motivata
del locatore o se non è raggiunto dalle parti un accordo sul rinnovo” (Tribunale di Bologna,
7 settembre 2009, n°3151 ma
15
Osservatorio del diritto
in questo senso anche l’Agenzia delle Entrate). Il secondo prevede, invece, “dopo cinque anni
anche il locatore può far cessare il rapporto con semplice disdetta non motivata e, se questa
non intervenga, si avrà un ulteriore rinnovo per la durata di tre
anni. Poiché, infatti, il rinnovo
deve attuarsi alle medesime condizioni, non si può prescindere,
anche in considerazione del carattere eccezionale dell’istituto
della proroga legale, dalla durata convenuta dai contraenti e,
cioè, quella triennale” (Tribunale di Genova, 4 dicembre 200;
in questo senso anche il Tribunale di Torino (28 giugno 2008,
n°4655).
I CONTRATTI AD USO
DIVERSO
I
LE LOCAZIONI
COMMERCIALI
16
Preliminarmente possiamo precisare che la disciplina della locazione di immobili ad uso diverso
da quello abitativo (c.d. uso commerciale) è contenuta nella legge
27 Luglio 1978 n. 392, precisamente dall’art. 27 al 42.
Le regole ivi esposte sono applicabili in tutti quei casi in cui un
immobile urbano sia concesso in
locazione ad un conduttore – che
dovrà avere i requisiti dell’imprenditore ex art. 2082 c.c. - allo scopo di avviare o continuare
un’attività industriale, commerciale, artigianale, professionale,
turistica, culturale, religiosa e assistenziale, ricreativa e sindacale.
Rientrano inoltre in questa categoria gli immobili urbani concessi in godimento a Stato ed enti
pubblici.
La legge pone limiti ben precisi in merito alla durata minima
del contratto: esso dovrà essere di
almeno sei anni nel caso in cui
l’attività che il locatario andrà a
l’amministratore
svolgere ha carattere commerciale in senso stretto o quando
vi si eserciti lavoro autonomo.
È nullo ogni patto contrario e la
durata inferiore si intende automaticamente estesa ai minimi
di legge. Unica eccezione a tale regola è l’eventuale carattere
transitorio dell’attività commerciale. Questo requisito deve essere espressamente menzionato nel
contratto. Una durata maggiore è sempre pattuibile ammesso
che vi sia un interesse economico a farlo fermo solo il divieto di
indicare periodi superiori a trenta anni sancito dall’art. 1573 c.c.
(Cass. n. 2137 del 2006). È, peraltro fatta salva la facoltà di sottoscrivere un contratto di durata
inferiore qualora l’attività esercitata o da esercitare nell’immobile abbia, per sua natura, carattere
transitorio.
In linea generale la durata minima
è di sei anni quando l’immobile
Osservatorio del diritto
viene adibito:
- ad attività di tipo industriale, commerciale e artigianale di interesse turistico;
- ad esercizio abituale e professionale di qualsiasi attività di lavoro autonomo;
- ad attività di interesse turistico di cui all’art.2 della
legge 326 del 1968;
- ad attività ricreative, assistenziali culturali scolastiche sede di partiti e
sindacati;
- qualsiasi uso, se il conduttore è lo Stato o altro ente
pubblico territoriale.
Per le locazioni di immobili nei
quali siano esercitate le attività
indicate nei commi primo e secondo dell’articolo 27, il contratto si rinnova tacitamente
di sei anni in sei anni, (articolo
così modificato dall’art. 7 della
legge n.9 del 2007); tale rinnovazione non ha luogo se sopravviene disdetta da comunicarsi
all’altra parte, a mezzo di lettera raccomandata, rispettivamente almeno 12 mesi prima
della scadenza. Alla prima scadenza contrattuale, rispettivamente di sei o di nove anni, il
locatore può esercitare la facoltà di diniego della rinnovazione soltanto per i motivi di cui
all’articolo 29 con le modalità
e i termini ivi previsti.
Fin qui la normativa in essere.
Ma cosa succede per le destinazioni promiscue?
Innanzitutto è bene precisare
che le destinazioni promiscue
sono previste dalla stessa legge
che, nell’articolo 80 della legge
392/78 prevede la possibilità di
mutamento dell’uso convenuto
durante il rapporto di locazione.
È una facoltà delle parti, quindi,
stabilire contrattualmente l’uso
più idoneo a rispondere all’esigenza dell’inquilino, riconoscendo la possibilità pertanto
di un uso misto, dove l’immobile venga contemporaneamente utilizzato come abitazione
del conduttore e come sede dove lo stesso svolge un’attività
lavorativa.
Quale però il regime giuridico
da applicare?
I criteri per capire quale disciplina applicare, se la legge
431/98 piuttosto che la 392/78,
sono relativi all’uso prevalente che viene fatto dell’immobile
in oggetto. Per capire, però, cosa si intende per uso prevalente,
diverse sono le interpretazioni che vengono date. Il criterio
più affidabile, comunque, sembra essere quello che misura l’uso prevalente relativamente a
quello spaziale, cioè quello realizzato sulla maggior parte della superficie dell’immobile. Un
criterio sicuramente più oggettivo di quello dell’importanza che
il conduttore attribuisce all’una
o all’altra destinazione. In mancanza, poi, del criterio di prevalenza di un uso sull’altra, la
giurisprudenza sembra orientata a “misurare” l’uso “effettivo”
che viene fatto dell’immobile.
Nella maggior parte dei casi, comunque, nel caso in cui l’uso
promiscuo dell’immobile locato
sia previsto dal contratto, il rapporto deve considerarsi regolato
dall’ uso prevalente voluto dalle
l’amministratore
parti ed indicato nel contratto
sottoscritto, dove si andrà a specificare la destinazione d’uso.
II
LE LOCAZIONI
ALBERGHIERE
La durata minima di nove anni si applica in tutti quei casi
in cui l’immobile venga adibito
ad attività alberghiera e ciò anche quando esso è locato ammobiliato (art.27 comma 3 legge
392/78).
Occorre poi distinguere tra locazione ad uso alberghiero (concernente un immobile interamente
ammobiliato ed attrezzato a tal
fine) dall’affitto di una azienda alberghiera, distinzione che
ha posto alcune difficoltà interpretative visto che solo la prima
ipotesi è soggetta alla disciplina
di cui alla 392. È evidente che tale distinzione implica un attento
esame della destinazione d’uso
effettiva dei locali concessi in locazione ma qualora detto esame
fosse di difficile interpretazione la giurisprudenza ha precisato che – applicando un principio
di presunzione ex lege - può essere ritenuta vincolante l’attività
svolta dal conduttore all’INIZIO
della locazione (Cass. n. 27934
del 2005), intendendo per INIZIO anche l’ipotesi in cui l’attività alberghiera nasca da una
precedente dispersione di tutti i
suoi elementi costitutivi (Cass.
n. 7489 del 2004).
La presunzione di riconducibilità alla locazione alberghiera è
peraltro applicabile solo nel caso in cui il locatore abbia affittato per la prima volta sicchè
17
Osservatorio del diritto
l’attività alberghiera venga ad essere svolta inizialmente solo da
tale momento.
A conclusioni diverse, invece, si
perviene laddove la stipulazione
del contratto di locazione avvenga dopo il continuato esercizio
di attività alberghiera. In tali casi, infatti, la stipulazione ad opera del medesimo conduttore di
altro contratto avente il medesimo contenuto non potrà integrare altra locazione di immobile a
destinazione alberghiera ma dovrà necessariamente consistere in
un affitto di azienda in tutte quelle ipotesi in cui risulti rilevante
l’avviamento inteso come conseguenza dell’attività di impresa
del primo conduttore.
Sono invece soggette a durata minima di soli sei anni le locazione
instaurate per attività di interesse turistico di cui all’art.2 della
legge 12.3.1969 n. 326 (campeggi, villaggi turistici, rifugi alpini,
alberghi per la gioventù, stabilimenti termali e balneari, aziende
della ristorazione ubicate in località di interesse turistico, etc).
Rilevato che la norma in commento sembrava estendersi anche ai contratti di locazione ad
uso alberghiero, la giurisprudenza è dovuta intervenire a chiarimento con la sentenza n. 11600
del 2004.
In essa viene chiarito come il
tratto distintivo dell’attività alberghiera rispetto a qualsiasi altra
attività diretta a fornire ospitalità
consiste nel fatto che nella prima
ipotesi viene offerto all’ospite un
18
alloggio in una struttura propria
con la conseguenza che non può
essere definita come alberghiera
l’attività di colui che offre all’ospite una porzione di terreno attrezzato.
Ed inoltre.
Grazie alla integrazione recentemente intervenuta con l’art.7
della legge 8.2.2008 n.9 la durata minima di nove anni è estesa
anche alle locazioni adibite all’esercizio di attività teatrali la cui
menzione è ora stata aggiunta
al terzo comma dell’art.27 della
legge 392/78. Date le premesse
sfugge la ratio della integrazione legislativa de quo se non finalizzata ad allungare di tre anni
la durata minima di detti contratti nei casi di importanti ristrutturazioni.
per evitare l’abuso di questa tipologia contrattuale applicata
al di fuori delle reali condizioni
che ne legittimavano l’utilizzo,
ha ritenuto nel 1998 di sostituirla con una che presenta, all’opposto, un rigore burocratico tale
da scoraggiarne fin troppo l’uso, come ha osservato autorevole dottrina. Si tratta dei contratti
di natura transitoria, disciplinati dall’art. 5 della legge 431/98
e dall’ art. 2 del decreto ministeriale del 5 marzo 1999, sostituito,
a sua volta, dal decreto del 30 dicembre 2002.
La loro durata deve compresa fra
uno e diciotto mesi e possono essere stipulati, anche in questo
caso utilizzando uno dei modelli predisposti dagli uffici competenti, soltanto al ricorrere di
certe esigenze abitative di tipo
transitorio, che andranno non solo dichiarate, ma anche accuratamente documentate (ad esempio
attestato di iscrizione allo stage).
Per quanto concerne il canone,
esso è oggetto di libera pattuizione solo al di fuori delle città “ad
alta tensione abitativa” e dai Comuni ad esse limitrofi. In questi
ultimi, infatti, il canone deve corrispondere alle tabelle proposte
dai Comuni di appartenenza, che
fanno riferimento ai canoni convenzionati.
III
LE LOCAZIONI
TRANSITORIE
Nell’ipotesi in cui l’attività esercitata dal conduttore abbia carattere transitorio (Cass,. n. 2147
del 2006) la durata del contratto di locazione a tale fine stipulato può essere legittimamente a
quella minima fissata dall’art. 27
comma 5 legge 392/78.
Sono i casi in cui le parti si trovano a vivere in una città diversa
per esigenze di salute, lavorative
per studio o altro, per un tempo
relativamente ristretto.
III
Nella normativa previgente, per
LE LOCAZIONI
siffatte circostanze era stipulaSTAGIONALI
bile un contratto detto “uso fo- Se l’attività a carattere stagionaresteria”. Il legislatore, proprio le, ciò si ripercuote sul contratto
l’amministratore
Osservatorio del diritto
di locazione relativo ai locali necessari per il suo svolgimento.
Non ci si devo però confondere
pensando che il rapporto sia limitato ad una sola stagione. In
tali casi, infatti, sussiste un preciso obbligo inderogabile in capo al proprietario che scatta nel
medesimo periodo della stagione
successiva e si ripete per un ciclo minimo di sei anni o di nove
laddove si svolga attività alberghiera.(art. 27 comma 6 legge
392/68).
La cassazione sin dal 1995 ha voluto precisare che per individuare una locazione stagionale deve
porsi l’attenzione non tanto alla struttura del rapporto locativo
ma piuttosto alla effettiva attività svolta, volendo in tal modo tutelare la qualità dell’investimento
effettuato dal conduttore.
Nel periodo intermedio tra una
locazione e l’altra (cioè fuori dalla stagione pattuita) la protratta detenzione dell’immobile da
parte del conduttore non comporta per quest’ultimo l’obbligo del
pagamento del canone tant’è che
la Cassazione, in tali circostanze, ha qualificato tale situazione
come mera custodia del bene da
parte dell’interessato conduttore/
detentore ciò evidentemente, nel
caso di mancata contestazione da
parte del locatore.
Si tratta, è evidente, di una figura locativa molto particolare che
negli anni ha creato non pochi
problemi interpretativi: è un solo contratto con efficacia ripetuta nel tempo oppure un contratto
che anno per anno si rinnova in
totale autonomia?
È evidente che tale qualificazione
giuridica si potrebbe ripercuotere
gravemente sugli altri istitti giuridici applicabili alle locazione:
si pensi per es. all’indennità di
avviamento che potrebbe essere
di importo assai diverso.
L’orientamento consolidato ritiene che la locazione stagionale non possa essere considerato
un contratto unitario. Essa costituisce invece una serie di rapporti distinti ancorchè collegato da
un possibile vincolo di reiterazione di durata corrispondente a
quella di una specifica stagione,
rinnovabile annualmente a iniziativa del conduttore per un arco
temporale stabilito nella misura
massima di legge, con l’obbligo
del conduttore di rilasciare l’immobile alla scadenza stagionale
(Cass.n.3684 del 2006).
IV
CASI RESIDUALI
(in cui la legge non impone
una durata minima)
Per quanto concerne i contratti
ad uso diverso ma non rientranti tra quelli di cui all’art.27 della
legge 392/78 non è imposta alcuna durata minima. In tali residuali ipotesi riprende pieno vigore
l’autonomina contrattuale rivestendo la legge,solo carattere integrativo e cioè intervenendo a
disciplinare la durata di tali rapporti in assenza dell’accordo tra
le parti. È l’ipotesi dei contratti di
locazione per box o posti auto.
Pertanto, salvo si voglia far ricorso a forme di contratto atipiche
(per esempio al cosiddetto “contratto di parcheggio”), in tali casi,
le parti sono completamente libere di fissare, per come meglio ritengono, la durata, il canone e
il regime di ripartizione delle
l’amministratore
spese per la locazione del box. È
legittima, quindi, anche la stipula
di un contratto di locazione di durata assai breve.
Ma qualora la durata del contratto non venga fissata interviene
l’art. 1574 cod.civ. che fissa in un
anno la durata della locazione. Al
decorrere della scadenza così determinata, però, il contratto non
cesserà automaticamente, a meno
che le parti non abbiano provveduto a darvi preventiva disdetta
(art.1596, comma 2, c.c.). Qualora il rapporto prosegua, ciò avverrà alle medesime condizioni,
ma per una durata indeterminata (art.1597, comma 1 e 2, c.c.),
e dunque sino a quando non verrà fatto cessare da uno dei contraenti inviando la disdetta con
un congruo preavviso (art.1596,
comma 2, c.c.).
Esistono però alcune significative eccezioni.
Innanzitutto, ciò non vale quando l’impiego di detti immobili da
parte del conduttore è ricollegabile all’esercizio di una delle attività contemplate dal citato art.27
della legge 392/78. In altre parole: se un box auto viene locato da
un artigiano per essere utilizzato come deposito materiale, e ciò
venga esplicitato, scatta la durata minima di sei anni. La presenza di un collegamento funzionale
tra l’attività artigianale esercitata
in altri locali ed il box comporta
come conseguenza immediata la
prevalenza della durata più lunga
proprio al fine di tutelare l’economia. Ciò indipendentemente dalla presenza di due locatori diversi
(Cassazione, 3 gennaio 1991,
n.89; 5 agosto 2002, n.11701).
Quando invece il medesimo
19
Osservatorio del diritto
proprietario lochi con due contratti differenti al conduttore sia
l’appartamento adibito ad uso
abitativo che il box posto nella medesima abitazione, esiste la
possibilità che si possa applicare
il canone equo ritenendo assorbito il contratto di locazione del box
visto l’importante vincolo pertinenziale di fatto realizzato con
la sottoscrizione dei due contratti. Si pretendeva – usiamo l’imperfetto non a caso!) quindi che
il vincolo di pertinenzialità fosse dimostrato sia dal punto di vista soggettivo (consistente in un
fatto volontario del proprietario)
sia da quello oggettivo (naturale
attitudine di una cosa al miglior
godimento dell’altra Cass.n.1857
del 1990). Si tratta è evidente, di
ipotesi oggi desueta visto che oggi per i contratti nuovi non è più
20
applicabile l’equo canone. In tal
caso, l’unica conseguenza negativa è ricollegabile alla durata
del contratto di locazione del box
auto, che diviene quella dell’alloggio. Il canone, però, non subisce decurtazioni, siccome andrà
sommato quello per la locazione
dell’alloggio a quello del box, e
ciò pare fondamentale.
Diverso è invece il caso in cui
l’alloggio sia locato a “canone concordato”. Orbene, ai sensi
dell’art.1, comma 4, del decreto
30 dicembre 2002 del Ministero delle infrastrutture e trasporti, “nella definizione del canone
effettivo, collocato tra il valore
minimo ed il valore massimo delle fasce di oscillazione, le parti
contrattuali, assistite – a loro richiesta – dalle rispettive organizzazioni sindacali, tengono conto”
l’amministratore
anche della presenza delle “pertinenze dell’alloggio (posto auto,
box, cantina, etc…)”. Pertanto,
non è irragionevole temere che
ciò possa dare adito ad una situazione sostanzialmente analoga a
quella appena sopra descritta che
induceva i conduttori di alloggio a “canone equo” a far ravvisare il rapporto di pertinenzialità
tra alloggio e box auto. In effetti,
ravvisato il vincolo, il conduttore
potrebbe ora pretendere di occupare alloggio e box auto limitandosi a corrispondere il “canone
concordato”. In tali casi, il locatore cessa di percepire il canone.
Se ciò avviene, il vantaggio che
si sperava di ottenere sul piano fiscale locando a “canone concordato” è irrimediabilmente perso.
Allo stat, però non ci risultano
precedenti giurisprudenziali.
Osservatorio del diritto
APPALTO:
LE PARTI DEL CONTRATTO
Marina Figini
Il contratto di appalto
Come precisa il codice civile “L’appalto è un contratto col
quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio
rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un
corrispettivo in denaro” (art.
1655 cod.civ.).
L’appalto rientra nella categoria
generale dei rapporti qualificati
“di lavoro”, categoria nelle quali si distinguono il caso in cui
viene espletata una determinata
quantità di lavoro, indipendentemente dal risultato da conseguirsi (“locazione di opere”), e
il caso in cui deve invece essere
fornito un determinato risultato
(“locazione d’opera”).
L’appalto rientra in tale ultima
ipotesi in quanto la sua caratteristica fondamentale è costituita
proprio dal “risultato” che l’appaltatore deve fornire al committente sotto forma di opera o
di servizio; va però evidenziato
che nell’organizzazione dell’attività diretta al conseguimento
del risultato promesso, l’appaltatore opera in autonomia, ossia
in assenza di vincoli di subordinazione, nei confronti del committente, assumendosi, pure in
autonomia, gli oneri connessi
all’esecuzione del lavoro, con
l’organizzazione in proprio, e a
proprio rischio, dei mezzi necessari per il compimento dell’opera, o la prestazione del servizio.
L’appaltatore
subisce
anche il rischio economico relativo all’attività svolta e si
assume inoltre le responsabilità connesse alla mancata o
imperfetta realizzazione del risultato promesso specificatamente previste dal codice (artt.
1667-1668-1669 c.c.).
Il contratto d’opera e il contratto di lavoro subordinato
Le sopra evidenziate caratteristiche fondamentali del contratto di appalto lo differenziano dal
contratto d’opera e dal rapporto
di lavoro subordinato.
L’individuazione della tipologia
di contratto non è meramente
formale in quanto rilevanti sono
le differenze tra le discipline applicabili.
Il contratto d’opera sussiste laddove “una persona si obbliga a
compiere verso un corrispettivo
un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e
senza vincolo di subordinazione
nei confronti del committente”.
Il primo elemento che differenzia tale tipologia contrattuale
l’amministratore
dell’appalto è costituito dalla
qualità del soggetto che assume
l’obbligazione contrattuale.
Ed infatti nel contratto di appalto ci si trova di fronte ad un imprenditore mentre nel contratto
d’opera il soggetto obbligato
compie l’opera o il servizio con
lavoro prevalentemente proprio
o anche dei propri familiari o di
pochi collaboratori; è il caso del
“piccolo imprenditore” (l’art.
2083 cod. civ. qualifica i piccoli imprenditori come coloro che
esercitano un’attività professionale organizzata “prevalentemente con il lavoro proprio o dei
componenti della famiglia”.)
Vi sono poi ulteriori differenze che riguardano: - la materia
necessaria a compiere l’opera:
nell’appalto deve essere fornita dall’appaltatore se non è diversamente stabilito (art. 1658
c.c.), nel contratto d’opera può
essere anche fornita dal prestatore d’opera (art. 2223 c.c.); - il
corrispettivo: nel contratto d’opera non esiste una specifica disciplina per i casi di variazione
concordate al progetto; nell’appalto è richiesta la prova scritta
dell’autorizzazione del committente alle variazioni dell’opera convenuta; - difformità e
vizi dell’opera: nell’appalto il
21
Osservatorio del diritto
committente deve, a pena di decadenza, denunziare all’appaltatore le difformità o i vizi entro
sessanta giorni dalla scoperta e
la relativa azione si prescrive in
due anni dal giorno della consegna dell’opera (art. 1667 c.c.);
nel contratto d’opera il committente deve, a pena di decadenza, denunziare i vizi e/o le
difformità entro otto giorni dalla scoperta e la relativa azione
si prescrive entro un anno dalla
consegna (art. 2226 c.c.); - rovina e difetti di beni immobili:
nel contratto d’opera non esiste
norma similare a quella contenuta nell’art. 1669 cod. civ. che
nell’appalto disciplina espressamente l’ipotesi della rovina e dei
difetti di beni immobili.
Nel rapporto di lavoro subordinato il lavoratore si obbliga a
prestare a favore del datore di
lavoro una determinata quantità di prestazioni lavorative, indipendentemente dal risultato al
quale tali prestazioni sono destinate.
Mentre il lavoratore autonomo
fornisce una obbligazione di risultato, il lavoratore subordinato
fornisce una prestazione di mezzi che esegue non utilizzando
materiali propri, bensì utilizzando materiali messi a disposizione dal datore di lavoro, nel
luogo e secondo orari e modalità da questo stabiliti.
Inoltre il lavoratore subordinato è soggetto al potere direttivo
e disciplinare del datore di lavoro, è estraneo all’organizzazione della attività produttiva,
e il suo corrispettivo viene prefissato secondo diversi criteri,
22
sostanzialmente contenuti nei
contratti collettivi, che comunque prescindono da ogni considerazione
sul
risultato
prodotto dalle prestazioni lavorative svolte.
Tutti questi elementi differenziano nella sostanza il rapporto
di lavoro subordinato sia dal
contratto di appalto sia dal contratto d’opera.
Le parti del contratto di
appalto
La parte che si assume il compimento dell’opera si definisce “appaltatore”; l’altra parte,
quella a favore della quale la
prestazione viene eseguita, si
chiama “appaltante” o più comunemente “committente”.
Oltre all’appaltatore, può esservi anche un “subappaltatore”. Il codice disciplina infatti
il subappalto che sussiste quando l’appaltatore, assumendo veste di committente, incarica un
terzo soggetto (subappaltatore) dell’esecuzione, in tutto o in
parte, dell’opera o del servizio
da lui assunto.
Il contratto di subappalto risponde all’esigenza di avvalersi dell’operato di imprese
specializzate nelle diverse lavorazioni, che si può verificare
soprattutto nei contratti aventi ad oggetto la realizzazione di
opere complesse.
La stipulazione da parte dell’appaltatore del subappalto deve
però essere autorizzata dal committente (art. 1656 c.c.).
Il rapporto contrattuale che si
instaura tra appaltatore e subappaltatore resta estraneo alla
l’amministratore
sfera del committente, il quale non ha rapporto diretto con il
subappaltatore, rimanendo suo
unico contraddittore l’appaltatore, al quale dovrà quindi essere
rivolto ogni reclamo o denuncia.
L’appaltatore sarà soggetto agli
stessi diritti/doveri del committente, nei confronti del proprio
subappaltatore, per quanto riguarda le responsabilità previste
dal codice e le relative garanzie.
Nell’ambito
del
Condominio, la parte contrattuale che si
configura quale “committente” è il Condominio in persona
dell’Amministratore.
In base all’art. 1131 c.c. l’Amministratore ha la rappresentanza
dei partecipanti al Condominio:
a lui spettano dunque la stipulazione del contratto d’appalto, la
cura della corretta esecuzione
del medesimo, la verifica in sede di collaudo, la comunicazione delle denuncie e l’esercizio
delle azioni previste dal codice
in materia di garanzia, oltre alle incombenze previste dalla Direttiva Cantieri.
Per quanto riguarda invece la
competenza a decidere la stipulazione di un contratto di appalto
avente ad oggetto la manutenzione ordinaria e/o straordinaria,
e/o innovazioni delle parti comuni, e/o la gestione delle parti
o dei servizi comuni del Condominio, valgono le attribuzioni assegnate all’Amministratore
e all’Assemblea, di cui agli artt.
1130 e 1135 cod. civ.
Le delibere saranno dunque assunte secondo le maggioranze
Osservatorio del diritto
richieste in funzione della tipologia di interventi e indicate
nell’art. 1136 c.c.
Mentre solo in caso di urgenza
l’amministratore potrà ordinare
lavori di manutenzione straordinaria, con l’obbligo di riferirne nella prima assemblea (art.
1135, 2° comma c.c.).
La fase che precede la stipulazione del contratto di appalto
va condotta con particolare cura da parte dell’Amministratore
e dall’assemblea dei condomini; vanno infatti in primo luogo
individuate e deliberate le opere da fare eseguire: a tale scopo sarà opportuno, anzi si può
dire necessario, far redigere un
progetto dettagliato da parte di
un tecnico di fiducia del Condominio; va poi operata la scelta
dell’impresa alla quale affidare l’incarico, impresa che diventerà l’ “appaltatore”: tale scelta
avviene, come d’uso, dopo l’esame di almeno tre preventivi
forniti da parte di tre soggetti diversi sulla base del progetto di cui sopra; la stipula finale
del contratto sarà preceduta da
un attento esame del testo contrattuale (soprattutto nella parte in cui si prevedono termini di
esecuzione delle opere e di pagamento, decadenze, garanzie,
penali), testo del quale formerà
parte integrante il “capitolato”
ossia la descrizione, redatta sulla base del “progetto” suindicato, delle opere che l’appaltatore
si impegna ad eseguire.
Particolare attenzione andrà rivolta, pare superfluo ricordarlo,
anche alle caratteristiche societarie dell’impresa, alla sua
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esperienza e alla sua serietà professionale.
Vanno poi ricordati i seguenti obblighi introdotti dalla Riforma della legge condominiale
in vigore dal 18 giugno 2013: l’obbligo per l’assemblea di costituire un fondo speciale di
importo pari all’ammontare dei
lavori (se i lavori devono essere eseguiti in base a un contratto che ne prevede il pagamento
graduale in funzione del loro
progressivo stato di avanzamento, il fondo può essere costituito
in relazione ai singoli pagamenti dovuti) (art. 1135, 1° comma
) - l’obbligo per l’amministratore di adeguare i massimali della
polizza individuale di assicurazione (in misura non inferiore
all’importo di spesa deliberato,
adeguamento da effettuarsi contestualmente all’inizio dei lavori) nonché di integrare la polizza
generale (con una dichiarazione
dell’impresa di assicurazione
che garantisca, per lo specifico
l’amministratore
Condominio, le condizioni come sopra richieste per la polizza
individuale) (art. 1129, 4° comma c.c.).
Il recesso del committente e
dell’appaltatore
Il recesso è il diritto di sciogliere
il contratto, indipendentemente da qualsiasi inadempimento,
comunicandolo all’altra parte: esso è legale (quando previsto e regolato espressamente dal
codice civile per determinati tipi di contratto) oppure convenzionale (quando è pattuito dalle
parti con apposita clausola e
con la previsione di una caparra penitenziale).
Se a una parte è attribuita la facoltà di recedere dal contratto,
tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia
avuto un principio di esecuzione. Nei contratti a esecuzione
continuata o periodica tale facoltà può essere esercitata anche
successivamente, ma il recesso
23
Osservatorio del diritto
non ha effetto per le prestazioni
già eseguite o in corso di esecuzione. Qualora sia stata stipulata
la prestazione di un corrispettivo per il recesso, questo ha effetto quando la prestazione è
eseguita; salvo in ogni caso il
patto contrario (art. 1373 c.c.).
Nel contratto di appalto vige una
particolare disciplina. Infatti, il
committente ha facoltà di recedere in ogni momento dal contratto e quindi di farne cessare
l’esecuzione, richiedendo a tal
fine una semplice dichiarazione,
che non necessita di motivazione (art. 1671 c.c.).
Se esercita la facoltà di recesso del committente deve corrispondere all’appaltatore le
spese sostenute, il compenso per
i lavori già eseguiti ed il mancato guadagno, ossia la somma
corrispondente a quanto avrebbe guadagnato se avesse portato a termine i lavori.
La giurisprudenza ha precisato che nella liquidazione di tale
indennizzo, il giudice ha facoltà
di applicare il criterio equitativo che, può essere utilizzato per
qualsiasi danno ed, in particolare, per la determinazione della quota di spese generali, costi
di ammortamento, impegno improduttivo di materiali e mano
d’opera ecc., quando sia impossibile o assai difficoltoso, sulla
base di una valutazione discrezionale del giudice, fornire la
prova precisa dell’entità del pregiudizio sofferto.
Altra possibilità di recesso del
committente è prevista nel caso di variazioni del progetto necessarie per l’esecuzione
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dell’opera a regola d’arte: se le
variazioni sono di notevole entità, il committente può recedere
dal contratto ed è tenuto a corrispondere un equo indennizzo
(art. 1660 c.c.).
Lo stesso art. 1660 c.c. prevede
anche il recesso dell’appaltatore:
se l’importo delle variazioni del
progetto necessarie per l’esecuzione dell’opera a regola d’arte
supera il sesto del prezzo complessivo convenuto, l’appaltatore può recedere dal contratto e
può ottenere secondo le circostanze un’equa indennità.
Da ultimo si ricorda che il contratto di appalto non si scioglie
per la morte dell’appaltatore,
salvo che la considerazione della sua persona sia stata motivo
determinante del contratto (art.
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Osservatorio del diritto
LA SOSPENSIONE DEL
PROCEDIMENTO NEL DIRITTO
PROCESSUALE PENALE
con messa alla prova del maggiorenne prevista dalla legge
28.4.2014 n. 67
Giulio Benedetti
- Premessa generale sull’attuale
esecuzione penale e sulla sua
criticità.
Il sistema di restrizione della libertà personale nel diritto processuale penale tradizionalmente
verte su quattro pilastri ben distinti ed autonomi tra loro.
Il primo è rappresentate dalle
misure cautelari in pendenza del
procedimento penale (custodia
cautelare in carcere, arresti domiciliari, obbligo di firma presso
la polizia giudiziaria, divieto di
dimora, divieto di dimora, allontanamento dalla casa familiare,
divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa) che possono essere disposti,
ai sensi dell’art. 274 c.p.p., dal
giudice, su richiesta del pubblico
ministero, qualora vi ricorrano il
pericolo di fuga, di inquinamento delle prove o di reiterazione
dei reati.
Vi è poi l’emissione dell’ordine
di esecuzione, ai sensi dell’art.
656 c.p.p, che dispone la carcerazione del condannato, qualora la
sentenza di condanna sia divenuta definitiva ed il condannato non
sia agli arresti domiciliari per una
pena inferiore ai tre anni, da parte
del pubblico ministero, laddove
la condanna riporti una pena superiore ai tre anni di reclusione
(salvo che il reato si particolarmente grave e sia annoverato in
quelli elencati dall’art. 4 bis della
legge n. 354/1975).
Altro basamento del sistema penale dell’esecuzione della pena
è rappresentato dalla cognizione
del Magistrato e del Tribunale di
Sorveglianza che, ai sensi degli
artt. 47, 47 - bis, 47 - ter della legge n. 354/1975 possono disporre
le misure alternative alla carcerazione costituite dalla detenzione
domiciliare e dall’affidamento in
prova ai servizi sociali.
Infine, nei riguardi degli imputati minorenni, ricorre la cognizione del Tribunale per i minorenni
il quale, ai sensi dell’art. 28 del
DPR 27.9.81998 n. 448, può disporre la sospensione del procedimento e la messa alla prova
dell’imputato.
Nonostante tale sistema complesso ed assai raffinato gli interpreti
hanno rilevato nel corso degli anni un ricorrente sovraffollamento
carcerario particolarmente insopportabile in relazione alle strutture detentive del tutto insufficienti
ed inadeguate, alle difficili condizioni di vita dei detenuti e degli
agenti della Polizia Penitenziaria.
l’amministratore
Tale situazione non è stata scalfita in modo significativo dai provvedimenti di clemenza (vedasi ad
esempio l’indulto previsto dalla
legge n. 241/2006) i quali sono
stati presto vanificati nei loro effetti premiali dal sopraggiungere
di nuovi arrivi negli Istituti Penitenziari. Aggiungasi che la Corte
di Giustizia Europea e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con diverse sentenze (vedasi
al decisione cd. “TORREGGIANI”) hanno accertato le situazioni di invivibilità nelle nostre case
circondariali ed hanno condannato l’Italia a erogare risarcimenti
nei confronti dei detenuti se non
fossero intervenute incisive misure deflative dell’affollamento
carcerario.
- L’istituto di sospensione del
procedimento con la messa alla prova per gli imputati maggiorenni.
Il legislatore ha cercato di intervenire in detta materia con una
serie di norme diminutive del
numero degli ingressi in carcere (vedansi la legge “svuota carceri” n. 199/2010, il d.l. 1.7.2013
n. 178, il D.L. 23.12.2013 n. 146)
ma recentemente ha emanato la
25
Osservatorio del diritto
Milano - Cortile del Castello Sforzesco
legge 28.4.2014 n. 67 (pubblicata su GU n. 100 del 2.5.2014)
che contiene deleghe al Governo in materia di pene detentive
non carcerarie e di riforma del
sistema sanzionatorio e disposizioni in materia di sospensione
del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili. Con tale legge veniva
introdotto, come già previsto per
i minorenni, anche per i maggiorenni l’istituto della sospensione
del processo con messa alla prova. Tale istituto è previsto (art.
168 – bis c.p.), e l’imputato per
gli stessi può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova, nei procedimenti puniti
con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a
quattro anni, sola o congiunta, o
alternativa alla pena pecuniaria e
per i delitti indicati dall’art. 550,
comma secondo, c.p.p. (ovvero
nei casi di citazione diretta a giudizio).
La messa alla prova comporta
26
la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del
reato (come previsto nell’istituto
dell’oblazione previsto dall’art.
162 bis c.p. per le contravvenzioni), nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso
cagionato. Comporta inoltre l’affidamento dell’imputato al servizio sociale per lo svolgimento di
un programma che può implicare,
tra l’altro, l’attività di volontariato di rilevo sociale, ovvero l’osservanza di prescrizioni relative
ai rapporti con il servizio sociale
o con una struttura sanitaria, alla
dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali. La concessione
della messa alla prova è subordinata alla prestazione di un lavoro di pubblica utilità consistente
in una prestazione non retribuita,
affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed
attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci
giorni, anche non continuativi, in
l’amministratore
favore della collettività da svolgersi preso lo Stato, le province,
le regioni, i comuni, le aziende
sanitarie o presso organizzazioni
anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale,
sanitaria e di volontariato. A tale proposito appare chiara la natura ibrida dell’istituto volto da
un alto a ristabilire l’ordine turbato dalla commissione del reato
ed, eventualmente, al risarcimento del danno e dall’altro alla rieducazione ed al reinserimento
sociale dell’imputato. La particolarità dello stesso è che può essere richiesto non in presenza di
una sentenza, anche non definitiva di condanna, ma prima della
pronuncia della stessa e pertanto la sospensione del processo
con messa alla prova dell’imputato non può essere concessa più
di una volta, e per l’impossibilità del puntuale adempimento alle prescrizioni non si applica ai
delinquenti abituali, professionali o tendenti a delinquere (secondo quanto previsto dagli artt. 102,
103, 104, 105 e 108 c.p.).
Durante il periodo di sospensione
del procedimento (art. 168 – ter
c.p.) il corso della prescrizione è
sospeso e la sospensione e l’interruzione della prescrizione (diversamente da quanto disposto
dall’art. 161, comma primo, c.p.)
non hanno effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato.
L’esito della prova estingue il reato per cui si procede e l’estinzione del reato non pregiudica
l’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie ove previste dalla legge.
La sospensione del procedimento
con messa alla prova è revocata
Osservatorio del diritto
(art. 168 – quater c.p.):
* in caso di grave e reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte,
ovvero di rifiuto alla prestazione
del lavoro di pubblica utilità;
* in caso di commissione, durante
il periodo di prova, di un nuovo
delitto non colposo ovvero di un
reato della stessa indole rispetto a
quello per cui si procede.
La richiesta di sospensione (art.
464 - bis c.p.p.) la richiesta di
sospensione può essere richiesta dall’imputato oralmente o per
iscritto fino a che non siano state
formulate le conclusioni a norma
degli artt. 421 e 422 c.p.p. o fino
alla dichiarazione di apertura del
dibattimento di primo grado nel
giudizi direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio. All’istanza è allegato un
programma di trattamento, elaborato d’intesa con l’ufficio di esecuzione penale esterna, ovvero,
nel caso in cui non sia stato possibile l’elaborazione, con la richiesta del programma. Quest’ultimo
contiene:
*le modalità di coinvolgimento
dell’imputato e del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento
sociale;
*le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che
l’imputato assume anche al fine
di elidere e di attenuare le conseguenze del reato, considerando a
tal fine il risarcimento del danno,
le condotte riparatorie e le restituzioni, nonché le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità
ovvero all’attività di volontariato
o di rilievo sociale;
* le condotte volete a promuovere,
ove possibile, la mediazione con
la persona offesa.
Nel corso delle indagini preliminari (art. 464 – ter c.p.p.) il giudice, se è presentata una richiesta
di sospensione del procedimento con messa alla prova trasmette gli atti al pubblico ministero
affinché esprima il consenso o
il dissenso nel termine di cinque
giorni. Il consenso del pubblico ministero deve risultare da un
atto scritto e sinteticamente motivato, unitamente alla formazione dell’imputazione, e in caso di
dissenso, il pubblico ministero
deve enunciarne le ragioni.
La decisione sulla richiesta (art.
464 – quater c.p.p.) avviene in
udienza oppure in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 127 c.p.p.,
dove il giudice, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p.,
emette, sentite le parti e la persona offesa un’ordinanza (nei
cui confronti sia l’imputato che
il pubblico ministero, anche su
istanza della persona offesa, possono ricorrere in Cassazione). La
sospensione del procedimento
con messa alla prova è disposta
quanto il giudice, in base ai parametri previsti dall’art. 133 c.p.,
reputa idoneo il programma di
trattamento presentato e se ritiene che l’imputato si asterrà dal
commettere ulteriori reati. A tal
fine il giudice valuta che il domicilio indicato nel programma
dell’imputato sia tale da assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato.
Il procedimento non può essere
sospeso per un periodo:
* superiore a due anni quando si
procede per reati per i quali è
l’amministratore
prevista una pena detentiva, sola,
congiunta o alternativa alla pena
pecuniaria;
* superiore ad un anno quando si
procede per reati per i quali è prevista la pena pecuniaria.
Tale termini decorrono dalla sottoscrizione del verbale di messa
alla prova dell’imputato.
Nell’ordinanza che dispone la sospensione (art. 464 – quinquies
c.p.p.) il giudice stabilisce il termine entro il quale la prescrizione e gli obblighi relativi alle
condotte riparatorie o risarcitorie
imposti devono essere adempiuti; tale termine può essere prorogato per una volta sola e solo per
gravi motivi. Il giudice può, con
il consenso della persona offesa,
autorizzare il pagamento rateale
delle somme eventualmente dovute a titolo di risarcimento del
danno. L’ordinanza è immediatamente trasmessa all’ufficio di
esecuzione penale esterna che deve prendere in carico l’imputato.
Durante la sospensione del procedimento con messa alla prova,
i giudice, sentiti l’imputato ed il
pubblico ministero, può modificare con ordinanza le prescrizioni originarie, ferma restando la
congruità delle nuove prescrizioni rispetto alle finalità della messa alla prova.
Durante la sospensione del procedimento con messa alla prova
il giudice (art. 464 – sexies c.p.p.)
con le modalità stabilite per il dibattimento acquisisce a richiesta
di parte, le prove non rinviabili
e quelle che possono condurre al
proscioglimento dell’imputato.
Decorso (art. 464 – septies c.p.p.)
il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova
27
Osservatorio del diritto
il giudice dichiara con sentenza
estinto il reato se, tenuto conto
del comportamento dell’imputato e del rispetto delle prescrizioni stabilite, ritiene che la prova
abbia avuto esito positivo. A tal
fine acquisisce la relazione conclusiva dell’ufficio esecuzione
penale esterna che ha preso in carico l’imputato e fissa l’udienza
per la valutazione dandone avviso alle parti ed alla persona offesa. In caso di esito negativo della
prova il giudice dispone con ordinanza che il processo riprenda
il suo corso.
La revoca (art. 464 – octies c.p.p.)
dell’ordinanza di sospensione è
disposta dal giudice anche d’ufficio ed a tal fine il giudice fissa
l’udienza, ai sensi dell’art. 127
c.p.p., per la valutazione dei presupposti della revoca dandone
avviso alle parti ed alla persona
offesa almeno dieci giorni prima.
L’ordinanza di revoca è ricorribile in cassazione per violazione di legge. Quando l’ordinanza
di revoca è divenuta definitiva il
procedimento riprende il suo corso dal momento in cui era rimasto sospeso e cessa l’esecuzione
delle prescrizioni e degli obblighi imposti. Nel caso di revoca
(art. 464 – nonies c.p.p.) dell’ordinanza di sospensione del procedimento di messa alla prova
l’istanza non può essere riproposta. In caso di revoca o di esito
negativo della messa alla prova,
il pubblico ministero, nel determinare la pena da eseguire, detrae un periodo corrispondente
a quello della prova eseguita. Ai
fini della detrazione tre giorni di
prova sono equipari ad un giorno
di reclusione o di arresto ovvero
a 250 ero di ammenda o di multa.
L’ufficio penale di esecuzione
esterna nel corso del procedimento (art. 141 – ter c.p.p.) è tenuto a:
* informare, con la cadenza stabilita nel provvedimento di ammissione o comunque non
superiore a tre mesi, il giudice
dell’attività svolta e del comportamento dell’imputato, proponendo, ove necessario, modifiche al
programma di trattamento, eventuali abbreviazioni di esso ovvero, in caso di trasgressioni, la
revoca del provvedimento di sospensione;
* trasmettere, alla scadenza del
periodo di prova, al giudice una
dettagliata relazione sul decorso
e sull’esito della prova.
In definitiva l’istituto predetto
rappresenta per il giudice della
cognizione una sfida ed un’importante innovazione che lo pone
a contatto con le problematiche,
normalmente dibattute presso il
Tribunale per i minorenni o presso il Tribunale di Sorveglianza,
relative al reinserimento sociale,
alla rieducazione dell’imputato
ed al suo impegno nel risarcimento del danno e nel ristabilimento
dell’ordine sociale turbato dalla sua condotta. Vale a dire che il
giudice abbandona la tradizionale funzione punitiva per acquisire
quella finalizzata al pieno reinserimento sociale del reo ed alla
piena soddisfazione delle ragioni
della persona offesa del reato.
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l’amministratore
Osservatorio del diritto
TOLLERANZA ZERO PER GLI
STALKER CONDOMINIALI
Laura Gilardoni
Come ben sappiamo nel nostro
ordinamento non esiste la figura dello stalking condominiale;
essa è semplicemente una particolare applicazione giurisprudenziale della figura criminosa
(lo stalking) estensione resa
possibile dalla non del tutto
tassativa formulazione degli
elementi costitutivi della fattispecie.
In generale e preliminarmente non possiamo che ribadire
– laddove fossimo dalla parte
della persona offesa – la necessita di un professionista per
la redazione della querela: la
complessità, infatti, della fattispecie criminosa comporta
il rischio che nella redazione
vengano inseriti fatti inidonei a
configurare il reato e eventualmente tali da far rischiare al redattore della stessa importanti
ripercussioni giudiziarie per es.
la controquerela per calunnia.
È quindi necessario procedere
con ordine.
Lo stalking (termine inglese
traducibile nell’italiano “fare
la posta” e divenuto “atti persecutori” nel codice penale) è
un reato introdotto con il decreto legge n. 11 del 25 febbraio
2009. Trattandosi di un reato
c.d. abituale, la consumazione
dell’ultima delle ripetute condotte di molestia e minaccia de-
termina l’effettiva realizzazione del reato. È prevista la pena
dell’arresto (da sei mesi a 4
anni) a chiunque pedini, assilli,
infastidisca pesantemente - con
telefonate, insistenti ricerche di
contatto - una persona, tanto da
causarle gravi stati d’ansia o di
paura per la propria incolumità
o per quella di un parente prossimo e da costringerla a cambiare abitudini di vita. (612-bis
del codice penale).
Quindi per accertare la fattispecie di reato de quo devono
essere individuati dei comportamenti ripetitivi di invadenza,
di intromissione, con pretesa di
controllo (per es. quando si minaccia qualcuno costantemente,
con telefonate, messaggi, appostamenti, ossessivi pedinamenti), tali da arrecare nella vittima
un grave stato di timore per la
propria salute e per la propria
sicurezza (o per quella di un altro soggetto a lei vicino), tanto
da farle alterare - per sfuggire agli atti persecutori - lo stile
di vita quotidiano (mutamento
del posto di lavoro, rinuncia a
svolgere determinate attività,
mancanza di libertà nel decidere itinerari e mezzi di spostamento, variazioni di numero
di telefono). La giurisprudenza
sul punto ha precisato come lo
stato patologico debba essere
l’amministratore
accertato clinicamente (quasi
fosse una malattia) e deve avere conseguenze di natura non
transitoria.
Il termine per la proposizione
della querela è di 6 mesi ma
il reato resta procedibile d’ufficio quando è commesso nei
confronti di un minore o di una
persona disabile; in questo caso
ovviamente non sarà necessaria
la presentazione di una querela.
Laddove gli atti persecutori
siano particolarmente gravi è
possibile applicare allo stalker
la custodia cautelare; è tuttavia
stata recentemente introdotta
una nuova misura cautelare a
tutela della vittima del reato di
stalking che consiste nel divieto di avvicinamento ai luoghi
frequentati dalla persona offesa.
Questa recente introduzione interpretativa ha portato la Procura ad ordinare l’allontanamento
di stalker anche dalla propria
casa realizzando in buona sostanza un vero e proprio sfratto.
Date queste premesse appare
facile entrare nella fattispecie
criminosa che più ci interessa
visto che, come è a tutti noto,
la realtà condominiale rappresenta terreno assai fertile per
la nascita di contrasti e dissidi
che possono dirompere nell’area del “penalmente rilevante”.
Le statistiche, in particolare,
29
Osservatorio del diritto
rilevano che una buona percentuale dei reati di stalking si realizzano all’interno del condominio dove gli animi esacerbati
da rancori pregressi e le intolleranze nei rapporti di vicinato
che possono tradursi in condotte persecutorie. L’Osservatorio
nazionale sullo stalking ha rilevato come soltanto a Roma la
figura criminosa de quo rappresenta il 27% dei casi di violenza. Da qui il rigore dei Giudici
nell’applicare la norma prevedendo anche una estensione
imposta, probabilmente, anche
dalla necessità.
Ed infatti. Si dal 2011 la Cassazione ha esteso l’applicabilità della norma (612 bis c.p.)
anche all’ambito condominiale
(cfr. Cass. n.20895) esaminando il caso di un condomino,
con una forte sindrome maniacale, che aveva posto in essere
una serie di atti molesti contro
alcune donne dell’edificio senza che vi fosse alcuna connessione logica tra esse, eccetto il
fatto di appartenere al genere
femminile. Nell’accertare appieno la responsabilità penale
in capo allo stalker, in quella
occasione la Suprema Corte
ha avuto modo di precisare la
sussistenza comunque del fatto
di reato ai danni non di un solo
soggetto ma “del genere femminile residente nel condominio” in quanto, benchè vittime
dirette degli atti persecutori
siano state solo alcune donne,
il fatto ha generato nelle altre
paure e stati d’ansia nell’eventualità di incontrare l’aggressore dell’edificio costringendo-
le a mutare le proprie abitudini.
Più recentemente (Cass. n.
45648 del 2013), ancora, il Supremo Collegio ha precisato
come la fattispecie di reato sia
configurabile anche nel caso di
reciprocità di atti molesti tra la
vittima e il reo (quindi improtante estensione). Il giudice di
merito, ribadisce il S.C, avrà
l’onere di verificare se, nell’ipotesi di reciprocità delle minacce, vi sia una posizione di
ingiustificata predominanza di
uno dei due soggetti (predominanza nel caso della sentenza
in commento non accertata!)
tale da consentire di qualificare
le iniziative minacciose e moleste come atti di natura persecutoria.
In conclusione quindi: attenti
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sia per l'installazione e manutenzione degli
impianti; partendo dal semplice impianto elettrico
civile arrivando in fine alla costruzione e
progettazione degli impianti industriali quali
cabine di trasformazione e realizzazione di quadri
elettrici.
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Elettrico
TV
Telefonia
Audio/Video
Sorveglianza
Automazione
Domotica
Citofonia
l’amministratore
Sentenze
La presente rubrica è a cura dell’avv. Eugenio Antonio Correale e si compone di due parti
per ogni sentenza: l’estratto ed un breve commento dello stesso avv. Correale
1242 condominio. Distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato. Perduranti oneri a carico di
chi si sia distaccato.
Il condomino, può legittimamente rinunziare all’uso del riscaldamento centralizzato e distaccare le
diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune, senza necessità di autorizzazione od approvazione degli altri condomini, tuttavia, permane il suo obbligo di pagamento delle
spese per la conservazione dell’impianto, e di quelle di gestione, se e nei limiti in cui il suo distacco
non si risolve in una diminuzione degli oneri del servizio di cui continuano a godere gli altri condomini. Tale principio, già affermato dalla giurisprudenza ha assunto, adesso, veste di diritto positivo
in ragione del nuovo art. 1118 c.c., comma 4, così come modificato dalla L. n. 220 del 2012, in vigore
dal 18 giugno 2013, cc.dd. riforma del condominio, il quale ha, espressamente, ammesso la possibilità del singolo condomino di distaccarsi dall’impianto centralizzato di riscaldamento o di raffreddamento qualora questi dimostri che dal distacco non derivino notevoli squilibri di funzionamento od
aggravi di spesa per gli altri condomini. Il perdurante obbligo contributivo può estendersi anche al
combustibile se il costo di esercizio dell’impianto (rappresentato anche dall’acquisto di carburante necessario per l’esercizio dell’impianto) dopo il distacco non sia diminuito. Infatti se la quota di
mancata diminuzione del consumo di combustibile non sia posta a carico del condomino distaccante, gli altri condomini sarebbero aggravati nella loro posizione dovendo farsi carico anche della quota spettante al condomino distaccato. Cassazione Civile, seconda Sezione, sentenza n. 9526 del 30
aprile 2014
La Corte Suprema si è evidentemente preoccupata di proclamare che quanto ha stabilito decidendo un
antico relativo a fatti occorsi nel 1998 può essere applicato anche alle nuove cause, poiché corrisponde alla corretta interpretazione del nuovo testo dell’articolo 1118 quarto comma c.c. In virtù di tale
espresso avvertimento, la sentenza in commento diventa faro utilissimo per l’amministratore e per le
assemblee. Le indicazioni da considerare prendono avvio da un dato ormai scolpito nella norma, poiché il condomino che ha operato il distacco rimane comproprietario dell’impianto centrale e continua
ad essere obbligato a sostenere gli oneri relativi alla manutenzione e all’adeguamento del bene stesso,
salva la possibilità di esonero con il consenso unanime di tutti i condomini. Ne consegue, ad avviso
della Corte il perdurare dell’obbligo di partecipare alle spese di consumo del carburante o di esercizio
se e nella misura in cui il distacco non ha comportato una diminuzione degli oneri del servizio a carico degli altri condomini, “perché se il costo di esercizio dell’impianto (rappresentato anche dall’acquisto di carburante necessario per l’esercizio dell’impianto) dopo il distacco non è diminuito e se la
quota non sarebbe posta a carico del condomino distaccante, gli altri condomini sarebbero aggravati
nella loro posizione dovendo farsi carico anche della quota spettante al condomino distaccato”. Giova considerare che nella controversia il CTU aveva verificato che: 1) il quantitativo di gasolio consumato nell’esercizio dell’impianto di riscaldamento comune negli anni successivi al distacco non era
diminuito; 2) le modalità del distacco erano stati tali da non escludere completamente le unità degli
attori dalla fruizione, sia pure in misura marginale, del calore erogato dall’impianto comune.
l’amministratore
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Sentenze
1243 condominio. Ripartizione delle spese. Delibera che approvi la suddivisione provvisoria delle
spese in mancanza di tabelle.
La delibera assunta nell’esercizio delle attribuzioni assembleari previste dall’art. 1135, nn. 2 e 3, c.c.,
relativa alla ripartizione in concreto tra i condomini delle spese condominali, ove, in mancanza di tabelle millesimali del condominio, adotti un criterio provvisorio, deve considerarsi annullabile, non
incidendo sui criteri generali da adottare nel rispetto dell’art. 1123 c.c. e la relativa impugnazione va
proposta nel termine di decadenza di trenta giorni previsto dall’art. 1137, ultimo comma, c.c. . Sono
impugnabili in ogni tempo, unitamente al decreto ingiuntivo emesso sulla base di una delibera assembleare, le delibere mille, non sono invece impugnabili nell’ambito delle opposizioni a decreto ingiuntivo le delibere annullabili Cassazione Civile, seconda Sezione, sentenza n. 1438 del 23 gennaio 2014
La seconda parte della massima sembra costituire una sorta di invocazione del giudice, che su quel
punto ha sommessamente avvertito di non concordare con numerose pronunce di segno diverso. È
accaduto frequentemente che la giurisprudenza delle Sezioni Unite sia stata male intesa e che siano
state dichiarate inammissibili in sede di opposizione a decreto ingiuntivo per recupero delle spese
condominiali le censure di nullità delle delibere. La Corte ha opportunamente avvertito che la limitazione riguarda soltanto i vizi di annullabilità e quindi quelli che attengono al processo di formazione delle delibere. Si ricorda che le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 4806 del 2005 ha
stabilito che debbono qualificarsi mille le delibere dell’assemblea condominiale prive degli elementi
essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o
al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno
dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all’oggetto; debbono, invece, qualificarsi
annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con
maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette
da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze
in relazione all’oggetto.
1244 condominio. Regolamento di condominio. Clausole relativa all’uso delle parti comuni. Modificabilità a maggioranza.
L’approvazione all’unanimità delle disposizioni del regolamento di condominio disciplinanti l’uso delle parti comuni, non conferisce alle stesse e per ciò solo natura contrattuale. Tali disposizioni, pertanto, fanno parte del contenuto normale del regolamento di condominio, di cui all’art. 1138,
comma 1, c.c. e possono essere modificate con la maggioranza prevista dal successivo comma 3. Cassazione Civile, seconda Sezione, sentenza n. 9681 del 6 maggio 2014
La Corte Suprema ha ribadito il tradizionale principio per il quale le disposizioni del regolamento di
condominio le quali disciplinano l’uso delle parti comuni non possono mai avere natura contrattuale, trattandosi di indicazioni che attengono alla regolamentazione ed alle modalità dell’uso delle cose
comuni e non già a limitazioni dei diritti che spettano ai partecipanti al condominio in esito alla loro
qualità di contitolari delle cose comuni. Occorre così ricordare che le clausole di natura squisitamente regolamentari non mutano la loro sostanza per il solo fatto che siano state approvate all’unanimità. Nel caso di specie il giudice di legittimità ha ritenuto che la clausola in contestazione facesse parte
del contenuto normale del regolamento di condominio, di cui all’art. 1138 c.c., comma 1, per cui poteva essere modificata con la maggioranza prevista dal successivo terzo comma.
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l’amministratore
Sentenze
1245 condominio. Sostituzione dell’impianto centralizzato di riscaldamento con apparecchi unifamiliari..
Nel caso in cui l’assemblea dei condomini deliberi, in conformità agli obiettivi di risparmio energetico di cui alla L. n. 10 del 1991, la sostituzione dell’impianto di riscaldamento centralizzato a gasolio con autonomi impianti a gas metano, non occorre, ai fini della validità della delibera, che questa
sia corredata del progetto e della relazione tecnica di conformità, poiché la legge distingue la fase
deliberativa da quella attuativa, attribuendo alla prima la mera valutazione di convenienza economica della trasformazione ed alla seconda gli aspetti progettuali, ai fini della rispondenza del nuovo
impianto alle prescrizioni di legge. Cassazione Civile, seconda Sezione, sentenza n. 8336 del 9 aprile 2014
Le fibrillazioni che si accendono intorno alle modalità di suddivisione delle spese per l’impianto di riscaldamento potranno portare alcuni a rimeditare sulla opportunità di adottare una soluzione che negli anni recenti è stata poco frequentata. Sono pochi, infatti, coloro che ricorrono alla trasformazione
dell’impianto di riscaldamento con impianti individuali, preferendosi sempre più spesso il ricorso alle moderne tecnologie che pongono a disposizioni caldaie di adeguata potenza e di flessibile impiego. Nel caso di specie il giudice di legittimità ha ribadito che la delibera condominiale relativa alla
trasformazione dell’impianto di riscaldamento centralizzato condominiale ai sensi della L. n. 10 del
1991, art. 26 è valida anche se non accompagnata dai progetto delle opere corredato dalla relazione
tecnica di conformità di cui all’art. 28, comma 1, attenendo tale progetto alla successiva fase di esecuzione della stessa delibera”. Ad avviso del giudice nell’ambito delle operazioni di trasformazione
degli impianti di riscaldamento destinate al risparmio di energia, si deve distinguere una fase interna
(attinente ai rapporti tra i condomini, disciplinati in deroga al disposto dell’art. 1120 c.c.), da una fase esecutiva esterna (relativa ai successivi provvedimenti di competenza della p.a.)
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11/03/2014 16:08:31
l’amministratore
Sicurezza edifici
NUOVO LIBRETTO PER L’ESERCIZIO,
LA MANUTENZIONE, IL CONTROLLO E
L’ISPEZIONE DEGLI IMPIANTI TERMICI
GESTIONE E MODIFICA DEGLI IMPIANTI DI RISCALDAMENTO
Antonio De Marco
Il Decreto del Ministero dello sviluppo economico del
10 febbraio 2014, ha introdotto i nuovi modelli di LIBRETTO di IMPIANTO per la CLIMATIZZAZIONE
degli EDIFICI e per il RAPPORTO di EFFICIENZA
ENERGETICA degli stessi, come già indicato dal
D.P.R. 74/2013.
Il RAPPORTO di EFFICIENZA ENERGETICA, si effettua in occasione degli interventi di controllo e manutenzione, sugli impianti termici di climatizzazione
invernale di potenza maggiore di 12 kW e su quelli di
climatizzazione estiva di potenza maggiore di 12 kW.
Le operazioni di controllo e manutenzione devono essere eseguite da ditte abilitate ai sensi del D.M.
37/2008 e devono essere eseguite secondo le prescrizioni e le periodicità riportate nelle istruzioni tecniche contenute nei libretti di uso e manutenzione che
le ditte installatrici devono rendere disponibili a termini di legge.
Gli installatori ed i manutentori, abilitati ai sensi del
D.M. 37/2008, nell’ambito delle rispettive responsabilità, devono definire e dichiarare al committente, in forma scritta e facendo riferimento alla documentazione
l’amministratore
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Sicurezza edifici
tecnica di progetto dell’impianto o del fabbricante de- dalle persone fisiche gli obblighi e le responsabilità
gli apparecchi:
posti a carico del proprietario, sono da intendersi riferiti agli amministratori.
a)quali siano le operazioni di controllo e manutenzione di cui necessita l’impianto da loro installato o ma- III)Chi è il Responsabile dell’impianto termico?
nutenuto, per garantire la sicurezza delle persone e
a)È l’occupante, a qualsiasi titolo, in caso di singole
delle cose.
unità immobiliari residenziali;
b)con quale frequenza le operazioni di ci sopra, vanb)Il proprietario dell’unità immobiliare nel caso di
no effettuate.
singole unità immobiliari non locate;
I nuovi 14 modelli, che sostituiscono il LIBRETTO di
IMPIANTO e il LIBRETTO di CENTRALE, già in- c)L’amministratore, in caso di edifici dotati di impianti
trodotti dal D.M. 17.03.2003, dovranno essere adotta- termici centralizzati amministrai in condominio;
ti dal 01 giugno 2014.
d)Il proprietario o l’amministratore delegato (ad) in
caso
di edifici di proprietà di soggetti diversi dalle perPer gli impianti preesistenti a tale data, il LIBRETTO
sone
fisiche.
di IMPIANTO o il LIBRETTO di CENTRALE, dovranno essere allegati al nuovo modello introdotto.
IV)Chi è il Terzo Responsabile dell’impianto terIl LIBRETTO di IMPIANTO e il LIBRETTO di CEN- mico?
TRALE, già presenti devono essere conservati, a cuÈ la persona giuridica che, essendo in possesso dei
ra del Responsabile di impianto, ed allegati ai nuovi.
requisiti previsti dalle normative vigenti e comunque
di
capacità tecnica, economica e organizzativa adeguaDopo la compilazione i nuovi modelli devono esseta,
al numero, alla potenza ed alla complessità degli
re trasmessi ovvero inseriti nel CATASTO TERRITORIALE degli IMPIANTI TERMICI che, ciascuna <impianti gestiti>, è delegata dal Responsabile di imREGIONE deve istituire in attuazione dell’art. 10- pianto, ad assumere:
comma 4 del D-P.R. 74/2013.
a)Responsabilità di esercizio;
Per quanto riguarda la REGIONE LOMBARDIA, è
b)Responsabilità di conduzione;
già operativo il CURIT (Catasto Unico Regionale Impianti Termici)
c)Responsabilità di controllo;
Vediamo quali sono le figure coinvolte in tale <adem- d)Responsabilità di manutenzione e dell’adozione
pimento> e le varie attribuzioni.
delle misure necessarie al contenimento dei consumi
energetici.
I)Cos’è un Impianto termico?
È un impianto tecnologico destinato ai servizi di climatizzazione invernale e/o climatizzazione estiva e/o
produzione di acqua calda sanitaria (ACS), indipendentemente dal vettore energetico utilizzato. Non sono
considerati impianti termici i sistemi dedicati esclusivamente alla produzione di ACS al servizio di singole unità immobiliari ad uso residenziale e assimilate.
Nel caso di impianti di potenza al focolare superiore a
350 kW, ferma restando la normativa vigente in materia di appalti pubblici, il Terzo Responsabile deve essere in possesso di certificazione UNI EN ISO 9001
relativa all’attività di gestione e manutenzione degli
impianti termici, o attestazione rilasciata ai sensi del
D.P.R. 05.10.2010 N. 207 nelle categorie OG 11 impianti tecnologici oppure OS 28.
II)Chi è il Proprietario dell’impianto termico?
V)Cosa si intende per esercizio di un impianto terIl proprietario dell’impianto termico è il soggetto che, mico?
in tutto o in parte è proprietario dello stesso.
È l’attività che dispone e coordina, nel rispetto delNel caso di edifici dotati di impianti centralizzati am- le prescrizioni relative alla sicurezza, al contenimento
ministrati in condominio e nel caso di soggetti diversi dei consumi energetici e alla salvaguardia dell’ambiente, le attività relative all’impianto termico, come
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l’amministratore
Sicurezza edifici
la conduzione, la manutenzione e il controllo, e altre
operazioni per specifici componenti d’impianto.
materiali di consumo d’uso corrente.
È un operatore abilitato che esegue le operazioni di
conduzione dell’impianto.
Passiamo ora alla elencazione sintetica delle singole
<SCHEDE> incluse nel LIBRETTO di IMPIANTO e
di RAPPORTO di EFFICIENZA ENERGETICA.
XII)Cosa si intende per manutenzione straordinaria
VI)Cosa si intende per conduzione dell’impianto ter- di un impianto?
mico?
Sono gli interventi atti a ricondurre il funzionamenÈ l’insieme delle operazioni necessarie per il normale to dell’impianto a quello previsto dal progetto e/o dalfunzionamento dell’impianto, che non richiedono l’u- la normativa vigente, mediante il ricorso, in tutto o in
so di utensili ne di strumentazione al di fuori di quella parte, a mezzi, attrezzature, strumentazioni, riparazioinstallata sull’impianto.
ni, ricambi di parti, ripristini, revisione o sostituzione
di apparecchi o componenti dell’intero impianto terVII)Chi è il conduttore dell’impianto termico?
mico.
L’abilitazione alla conduzione degli impianti termici è
rilasciata dalle Province, ovvero dall’Ente che la sosti- Il LIBRETTO di IMPIANTO prevede le seguenti 14
tuisce, mediante l’organizzazione di specifici corsi, al- SCHEDE come sotto riportato.
la fine dei quali rilascia ai partecipanti un patentino di
abilitazione.
Purtroppo non è prevista una specifica scheda, riferita
al camino e/o alla canna fumaria.
VIII)Cosa si intende per controllo dell’impianto termico?
È noto che, sia per quanto riguarda il rendimento e sia
per le condizioni di sicurezza,
È la verifica del grado di funzionalità ed efficienza di
un apparecchio o di un impianto eseguita da un opera- il sistema di evacuazione (camino o canna fumaria)
tore abilitato ad operare sul mercato, sia al fine dell’at- costituisce un elemento fondamentale.
tuazione di eventuali operazioni di manutenzione e/o
riparazione, sia per valutare i risultati conseguiti con Sarebbe stato più opportuno che una scheda fosse dedicata alla verifica delle condizioni di tutto il sistema
le dette operazioni.
di combustione e cioè dal punto di afflusso di aria e
IX)Cos’è un’ispezione sull’impianto termico?
combustibile, a punto di emissione in atmosfera dei
prodotti di combustione.
È un intervento di controllo tecnico e documentale in
sito, svolto da esperti qualificati, incaricati dalle pub- Si riporta qui di seguito l’elenco delle singole SCHEbliche autorità competenti, mirato a verificare che DE, con una descrizione sintetica per ciascuna scheda,
l’impianto rispetti le prescrizioni di legge.
e indicazione del soggetto che deve compilarla e sottoscriverla.
X)Cosa si intende per manutenzione di un impianto?
È l’insieme degli interventi necessari, svolti da tecnici
abilitati operanti sul mercato, per garantire nel tempo
la sicurezza e la funzionalità e conservare le prestazioni dell’impianto entro i limiti prescritti.
XI)Cosa si intende per manutenzione ordinaria di un
impianto?
Sono le operazioni previste nei libretti d’uso e manutenzione degli apparecchi e dei componenti che possono
essere effettuate sul posto, con strumenti ed attrezzature di corredo agli apparecchi ed ai componenti stessi e che comportino solo l’impiego di attrezzature e
l’amministratore
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Sicurezza edifici
1.SCHEDA IDENTIFICATIVA dell’IMPIANTO
Questa scheda, che deve essere compilata e sottoscritta
dal Responsabile dell’impianto, comprende:
1.1 Tipologia dell’intervento
Nella scheda deve essere specificato se trattasi di nuova installazione, ristrutturazione, sostituzione generatore, ecc.
1.2 Ubicazione e destinazione dell’edificio
Deve essere indicato il volume riscaldato, volume raffreddato, la categoria dell’edificio, (E1, E2,.. ecc.
1.3 Impianto termico destinato a servizi
Bisogna specificare se trattasi di climatizzazione invernale, climatizzazione estiva, produzione di acqua calda
sanitaria, potenza utile, ecc….
1.4 Tipo di fluido vettore
Si deve precisare se il fluido vettore è acqua, aria, gas
refrigerante, ecc..
1.5 Individuazione Tipologia dei generatori
Bisogna specificare il tipo di trasformazione energetica: combustione, pompa di calore, macchina frigorifera,
cogenerazione, teleriscaldamento/teleraffrescamento,
pannelli solari, ecc..
1.6 Responsabile dell’impianto
Si devono riportare le generalità del Responsabile: cognome nome, ragione sociale, ecc..
Ragione sociale……………………………….
CCIIA…………………………………………
Si allega contratto
4.GENERATORI
La scheda riferita ai generatori, deve essere compilata
dall’installatore.
Tra l’altro si devono indicare le caratteristiche di gruppi termici, bruciatori, pompe, recuperatori,
scambiatori, ecc... L’installatore deve anche riportare i
dati di macchine frigorifere, di eventuali cogeneratori
e/o impianti solari, ecc...
5.SISTEMI di REGOLAZIONE e
CONTABILIZZAZIONE
Anche questa scheda deve essere compilata e sottoscritta dall’installatore che, tra l’altro deve specificare il
sistema di regolazione primaria (regolazione on-off, sistema con curva climatica integrata al generatore, curva
climatica indipendente, ecc..), la regolazione di singolo
ambiente o zona (termostato di zona on-off, termostato
di zona o ambiente con controllo proporzionale, ecc..)
Ed il sistema di contablizzazione e telegestione.
6. SISTEMI di DISTRIBUZIONE
In questa scheda, l’installatore deve specificare il tipo
di distribuzione (verticale a colonne montanti, orizzon2.TRATTAMENTO ACQUA
tale a zone, canali aria, ecc..), le condizioni di coibentaa cura dell’installatore
La scheda deve essere compilata dall’installatore, all’at- zione della rete, le caratteristiche del vaso di espansione
to della prima installazione o in caso di modifiche. De- e delle pompe di circolazione.
ve essere specificato il contenuto acqua, la durezza in
gradi francesi, il tipo di trattamento sui circuiti di cli- 7. SISTEMA di EMISSIONE
matizzazione e sui circuiti acqua calda sanitaria ACS.
L’installatore deve specificare il tipo di apparecchi
Nel caso di climatizzazione estiva, bisogna anche se- terminali negli ambienti (radiatori, termoconvettori,
gnalare il tipo di trattamento sulla acqua di raffredda- ventilconvettori, pannelli radianti, bocchette, strisce ramento.
dianti, travi fredde, altro, ecc…)
3.NOMINA del TERZO RESPONSABILE
dell’IMPIANTO TERMICO
a cura del Responsabile
È riportato un fac-simile per la nomina del Terzo Responsabile. Alla scheda di nomina, bisogna allegare anche il contratto.
Facsimile: il sottoscritto………… responsabile
dell’impianto termico in qualità di proprietario oppure amministratore, affida la responsabilità dell’impianto termico alla ditta………………………
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8.SISTEMA di ACCUMULO
L’installatore deve descrivere nella scheda il tipo di accumulo nei vari circuiti acs, riscaldamento, raffrescamento
9. ALTRI COMPONENTI DELL’IMPIANTO
a cura dell’installatore
Questa scheda prevede la descrizione di Torri evaporative, raffreddatori di liquido, scambiatori, unità di trattamento aria UTA, recuperatori di calore, ecc…
l’amministratore
Sicurezza edifici
10.IMPIANTO di VENTILAZIONE
MECCANICA CONTROLLATA VMC
La ventilazione meccanica controllata VCM consiste
nella circolazione forzata di aria in ambiente, tramite
un <recuperatore>, dotato di ventilatori, che sottrare
calore all’aria in espulsione e la fornisce all’aria esterna che affluisce in ambiente. L’installatore in questa
schede deve descrivere il sistema cosiddetto CM.
previsto, rendimento di combustione, ha avuto il seguente esito:
-positivo; - negativo;
Note……………………………………………
14.REGISTRAZIONE dei CONSUMI dei VARI
ESERCIZI
La scheda n. 14 è molto importante: deve essere compilata-sottoscritta dal Responsabile o eventuale Terzo
11.RISULTATI della PRIMA EFFETTUATA
Responsabile-In essa sono riportati-per singola stadall’installatore e delle VERIFICHE
gione di funzionamentoPERIODICHE SUCCESSIVE EFFETTUATE dal I vari consumi riscontrabili sull’impianto.
14.1 Consumo di combustibile
manutentore
Questa scheda deve essere compilata e sottoscritta dal Esercizio………/……Acquisti…………………
manutentore che, a fronte dei prove strumentali, deve Scorta o lettura inziale……………………………
indicare tutte le caratteristiche e condizioni di combu- Scorta o lettura finale……………………………
stione (Temperatura fumi misurata, temperatura aira Consumo…………………………………………
comburente, O2 %, CO2 %, Indice di Bacharach, CO 14.2 Consumo di energia elettrica
nei fumi secchi p.p.m. (v/v), portata combustibile in Esercizio………/………
mc/h oppure kg/h, rendimento di combustione, ecc...) lettura inziale kWh………………………………
Il manutentore deve altresì indicare le condizioni di lettura finale kWh………………………………
funzionamento di macchine frigo, pompe di calore Consumo totale kWh……………………………
(refrigerante, assenza perdite, modalità di funzionamento: caldo-freddo, T condensazione, T evaporazio- 14.3 Consumo acqua di reintegro nel circuito
ne, sorgente: aria, acqua, ecc..) e degli scambiatori e dell’impianto termico
di eventuali cogeneratori con particolare riguardo alle Esercizio………/………
lettura inziale mc/litri…………………………
emissioni in atmosfera.
lettura finale mc/litri……………………………
Consumo totale mc /litri………………………
12.INTERVENTI di CONTROLLO
EFFICIENZA ENERGETICA
Anche questa scheda è compilata dal manutentore che 14.4 Consumo prodotti chimici per il trattamento
deve registrare cronologicamente tutti i tipi di con- dell’acqua del circuito dell’impianto termico
trollo effettuati (data, controllo, ragione sociale ma- Esercizio………/………
nutentore, iscrizione CCIA, ecc…)
Nome prodotto…………………………………
Circuito impianto termico kg/ litri………………
Circuito ACS kg/litri……………………………
13.RISULTATI delle ISPEZIONI PERIODICHE
Altri circuiti kg/litri……………………………
EFFETTUATE a cura dell’ENTE
COMPETENTE
TENUTA del LIBRETTO di IMPIANTO
La scheda 13 è riservata alle ispezioni effettuate
Il libretto di impianto in formato cartaceo va consesull’impianto da parte di tecnici/esperti incaricati
dall’Autorità competente: Comune, Provincia (o che
gnato dal Responsabile uscente a quello subentrante
in caso di trasferimento dell’immobile, a qualsiasi tine assumerà le funzioni, ecc..).
Il modello è predisposto secondo l’allegato facsimile. tolo, a cui è asservito l’impianto;
-Ispezione eseguita da……………………………
In caso di nomina di Terzo Responsabile, a fine conPer conto di………………… Ente Competente
tratto il terzo responsabile ha l’obbligo di riconsegnaLa verifica della documentazione impianto, dell’av- re al Responsabile il libretto di impianto, debitamente
venuto controllo e eventuale manutenzione e, ove aggiornato, con relativi allegati.
l’amministratore
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Sicurezza edifici
IL LAVORO SOLITARIO IN
CONDOMINIO
Cristoforo Moretti
Il tema di questo contributo è l’insieme delle
misure di prevenzione per tutelare il lavoratore
solitario, colui cioè che lavora da solo in un ambiente privo di persone.
A questa categoria appartengono spesso i lavoratori notturni e, nel mondo della proprietà
immobiliare, l’argomento interessa principalmente i “portieri di notte” che, essendo soli per
tutto il turno, potrebbero trovarsi in difficoltà ed impossibilitati a segnalarlo in caso di infortunio. Questa problematica, teoricamente, è
presente anche per il classico portiere “diurno”
che, in alcuni momenti della giornata o dell’anno (in occasione di periodi feriali, per esempio),
può essere considerato lavoratore solitario. Il
lavoratore diurno, però, ha pressoché sempre riscontri automatici costituiti dagli incontri con i
condòmini e con i visitatori, dall’arrivo del postino, dalle telefonate personali: è quindi in generale automaticamente controllato. Non sono
comunque da escludere i casi particolari, per i
quali il lavoratore diurno solitario possa ricadere in situazioni tali da dover comportare una
valutazione per le stesse problematiche che illustriamo per il lavoratore notturno solitario.
Non dimentichiamo, alcuni anni fa, il custode
di residence alpino rimasto dodici giorni chiuso
nell’ascensore rotto senza che nessuno se ne accorgesse, e salvato per puro caso.
I rischi derivati dal lavoro solitario non sono particolarmente normati e devono quindi essere considerati in un ragionamento globale di
40
prevenzione degli infortuni in funzione della
mansione del lavoratore.
La valutazione dei rischi per un lavoratore
notturno solitario deve prevedere sempre e comunque la fornitura di un telefono cellulare da
portare indosso, per allertare i servizi di soccorso pubblici.
Ma è anche possibile che il lavoratore perda
conoscenza e quindi non sia in grado di allertare
volontariamente i soccorsi. Esistono sul mercato dispositivi automatici detti “a uomo morto”
che, in caso di assenza di movimenti del lavoratore per un tempo stabilito, inviano un segnale di allarme convenzionale a call center privati
che allertano i soccorsi. Non dimentichiamo che
oltre ad arrivare sul posto, i soccorritori devono
essere in grado di raggiungere il lavoratore nel
luogo in cui l’infortunio è avvenuto (cosa non
sempre così banale, ma favorita oggi dai sistemi
GPS). Esistono anche procedure operative dirette che, sempre con riferimento a call center
privati, prevedono periodiche chiamate di controllo e, in caso di necessità, allertano automaticamente i soccorsi.
Ci sono controindicazioni a questi sistemi,
principalmente basate sulla possibilità di falsi
allarmi e sulla ripetitività delle procedure che,
col tempo, ne compromettono l’efficacia. Inoltre, ove fosse possibile che il lavoratore si assopisca durante il lavoro notturno (il custode in
questi casi si può ridurre a svolgere il ruolo di
“piantone”, che non favorisce l’attenzione e lo
l’amministratore
Sicurezza edifici
stato di coscienza) deve essere previsto un sistema alternativo, essendo ogni sistema “a uomo morto” ovviamente inutilizzabile.
La collaborazione di un istituto di vigilanza
che riscontri lo stato di coscienza del custode appare la soluzione in generale più consigliabile, ma sono possibili altre soluzioni,
più artigianali ed economiche ma comunque
efficaci, tramite l’impostazione di una procedura che coinvolga almeno due diversi lavoratori notturni.
Ripartiamo da capo. L’amministratore pro
tempore di un condominio che ha un dipendente “portiere di notte”, che da solo lavora a notte
fonda per custodire gli ingressi e/o le parti comuni condominiali, in qualità di datore di lavoro deve preoccuparsi preventivamente della
eventualità che un lavoratore subisca un malore
o un infortunio e sia necessario chiamare i soccorsi. Perché se non se ne preoccupasse, e se il
lavoratore a causa del ritardo dei soccorsi dovesse subire un maggiore danno rispetto a quanto capitato, il datore di lavoro potrebbe subire
serie conseguenze per non aver opportunamente
tutelato l’integrità fisica del prestatore di lavoro (art.2087 cc, molto prima del d.lgs. 81/2008).
In primo luogo è necessario che il lavoratore
notturno venga giudicato idoneo tramite la visita medica di idoneità biennale, di cui abbiamo
parlato nel numero precedente di questa rivista.
Successivamente, il portiere di notte deve essere dotato come minimo di un telefono cellulare condominiale, con il quale possa – da ogni
parte comune anche interrata – allertare i numeri pubblici di soccorso ed anche l’amministrazione, che deve dotarsi di un numero telefonico
sempre reperibile, anche a notte fonda.
Inoltre è necessario che il lavoratore sia sempre fisicamente rintracciabile in caso di emergenza: tirando giù dal letto qualche condòmino,
se necessario per farsi accompagnare a cercare il lavoratore, oppure – per i condomìni delle località di vacanza vuoti in bassa stagione
– dotando il lavoratore anche di un dispositivo “a uomo morto” con funzione GPS, oppure ancora stipulando un contratto di assistenza
di eventuale primo soccorso con società private
che vengano preventivamente istruite sulle caratteristiche distributive delle parti comuni, o
con la collaborazione di istituti vigilanza privata che possano guidare i soccorritori.
Come si diceva in precedenza, un istituto di
vigilanza privata potrebbe anche essere una soluzione al controllo periodico della presenza vigile del portiere durante le notti. Un sistema
diverso, molto più economico, è possibile ma
richiede almeno la disponibilità di due lavoratori notturni (in due diversi posti di lavoro). Uno
studio di amministrazione, che amministra almeno due diversi condomìni ciascuno con lavoratore notturno, può impostare la seguente
procedura: i due lavoratori si scambiano sms
di verifica ogni ora (per esempio il lavoratore
“A” manda un sms ogni ora dispari, il lavoratore “B” risponde ogni ora dispari ed invia sms
ogni ora pari); ogni messaggio sms viene anche
inviato – per controllo incrociato – al cellulare di reperibilità dell’amministrazione. In caso
di mancata risposta entro 5 minuti, il lavoratore che ha inviato il sms telefona al collega e se
necessario (mancata risposta, risposta con allarme o dubbio) allerta i soccorsi e l’amministrazione. Tutto questo è ovviamente incompatibile
con la possibilità per il lavoratore di dormire sul
posto di lavoro: questa concessione renderebbe
ogni eventuale controllo impossibile, quindi va
sconsigliata al massimo.
In conclusione, si ribadisce che le problematiche da risolvere sono soprattutto due: 1) verificare costantemente le condizioni del lavoratore
allo scopo di poter intervenire tempestivamente
in caso di evento negativo e 2) condurre i soccorritori nel luogo in cui si trova il lavoratore in
caso di malore o infortunio.
Non si deve (continuare a) fare finta di niente:
il problema c’è e va affrontato.
l’amministratore
41
Sicurezza edifici
e lavoratori
PERICOLI
Pericoli
condominiali CONDOMINIALI
a cura di Cristoforo Moretti
a cura di Cristoforo Moretti
Questa rubrica si occupa di evidenziare situazioni di pericolo presenti nei condomini italiani.
rubrica si occupa di evidenziare situazioni di pericolo presenti nei condomini italiani.
AQuesta
prescindere
dall’eventuale applicabilità al condominio delle leggi sulla sicurezza del lavoro, gli
A prescindere dall’eventuale applicabilità al condominio delle leggi sulla sicurezza del lavoro, gli edifici non devono
edifici non devono essere pericolosi per chi li abita, per chi ci lavora, per chi li visita: i codici e la
essere pericolosi per chi li abita, per chi ci lavora, per chi li visita: i codici e la giurisprudenza ci insegnano da sempre che
giurisprudenza
ci insegnano da sempre che i danni ingiusti devono essere evitati.
i danni ingiusti devono essere evitati.
Le
immagini
che
seguono vogliono contribuire a diffondere una cultura di prevenzione.
Le immagini che seguono vogliono contribuire a diffondere una cultura di prevenzione.
71. Prolunghe elettriche irregolari
Dopo la scheda n.34, ribadiamo
come le prolunghe elettriche
utilizzate dai dipendenti di
condominio possano mostrare
sorprese poco piacevoli:
sopra, nel tempo la prolunga è
stata manomessa in 6 (sei!)
diversi punti;
a lato, un allacciamento
elettrico trasformato in un
cappio pericolosissimo.
I dipendenti vanno controllati.
Spesso, se è necessario.
42
l’amministratore
Sicurezza edifici
e lavoratori
72. Scelte sbagliate
Come un’astronave aliena emerge dal buio un muretto piastrellato; il rivestimento è nuovo di pochi mesi, perfettamente
antiscivolo, rugoso, assorbente: quasi un peccato che questo pregiato materiale sia sui muri di un locale immondizia.
(Tra qualche anno lo cambieranno perché – nonostante le pulizie manuali – lo stato di conservazione sarà inaccettabile
per le incrostazioni e le macchie e forse anche per gli odori).
l’amministratore
43
Problemi del lavoro
AGGIORNAMENTI SUL
“BONUS 80 €”
Vincenzo Di Domenico
Con decorrenza dal mese di Maggio o
tuttalpiù da Giugno prossimo il bonus
di “80 €” verrà erogato in automatico
dai sostituti d’imposta. Il recupero potrà avvenire:
• fino a capienza dell’ammontare complessivo delle ritenute disponibili in ciascun periodo di
paga e per la parte, eventualmente, eccedente dai contributi;
• utilizzando l’ammontare complessivo delle ritenute disponibili
in ciascun periodo di paga, compensando le ritenute relative all’Irpef, alle addizionali regionale e comunale, nonché
le ritenute relative all’imposta sostitutiva sui premi di produttività o al contributo di solidarietà.
L’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n° 48/E del 7 maggio 2014, istituisce il
nuovo codice tributo “1655”, denominato
“Recu­p ero da parte dei sostituti d’imposta
delle somme erogate ai sensi dell’articolo
1 del D.L. 24 aprile 2014, n.66” che i datori di lavoro, sostituti d’imposta, potranno utilizzare sul Mod. F24 per recuperare
le somme erogate in busta paga, ai lavoratori aventi diritto, a titolo di bonus.
Inoltre, la suddetta circolare, precisa che
in sede di compilazione del modello di
versamento F24 il codice tributo è esposto nella sezione “Erario” in corrispondenza delle somme indicate nella colonna
“importi a credito compensati”, nella colonna con l’indicazione nel campo “rateazione/regione/prov./mese rif.” e nel campo
“anno di riferimento”, del mese e dell’anno in cui è avvenuta l’erogazione del beneficio fiscale, rispettivamente nel formato
“00MM” e “AAAA”.
Il problema non esiste per i collaboratori familiari. I datori di lavoro domestici non sono, infatti,
sostituti di imposta e non possono anticipare il credito. Pertanto i collaboratori familiari che ne avranno
diritto potranno ottenerlo in sede di dichiarazione dei redditi che tra l’altro, proprio perché non sono
soggetti ad alcuna ritenuta, sono comunque obbligati a presentare anche se hanno solo il reddito di lavoro
dipendente e non sono “incapienti”. In questa sede indicheranno tutti i redditi percepiti da tutti i sostituti
e i diversi periodi di lavoro ed in tal caso, secondo le modalità che saranno specificate nei modelli delle
dichiarazioni dei redditi 2015 relative all’anno d’imposta 2014, conseguentemente potranno, utilizzare
l’eventuale CREDITO:
»» in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del D. Lgs. 9 luglio 1997, n. 241,
»» richiedendo il rimborso.
44
l’amministratore
Problemi del lavoro
AGENZIA DELLE ENTRATE
CIRCOLARE N°8-E / 2014
Vincenzo Di Domenico
A seguito della pubblicazione del DL n° 66/2014
l’Agenzia delle Entrate, allo scopo di rendere
chiaro quanto è disposto nel decreto citato ha emanato la Circolare n. 8/E del 28 aprile 2014;
in essa vengono riportati i chiarimenti in relazione al bonus spettante ai titolari di reddito di
lavoro dipendente e di taluni redditi assimilati
a quelli di lavoro dipendente, la cui imposta lorda, determinata su detti redditi, sia di ammontare
superiore alle detrazioni da lavoro loro spettanti.
Come noto, l’ammontare del bonus è pari ad euro 640 per i possessori di reddito complessivo
non superiore a 24.000 euro; in caso di superamento del predetto limite il credito decresce fino
ad azzerarsi al raggiungimento di un livello di
reddito complessivo pari a 26.000 euro.
I sostituti d’imposta riconosceranno il credito
spettante, di euro 640 per i possessori di reddito
complessivo non superiore a € 24.000; in caso
di superamento del predetto limite il credito decresce fino ad azzerarsi al raggiungimento di un
livello di reddito complessivo pari a € 26.000.
L’Agenzia precisa, a partire dalle retribuzioni erogate nel mese di maggio in base al reddito previsionale e alle detrazioni riferiti alle
somme e valori che il sostituto corrisponderà
durante l’anno 2014 e tenendo conto dei valori
comunicati dai lavoratori relativamente a redditi rivenienti da altri rapporti di lavoro intercorsi
nel periodo d’imposta, che il credito d’imposta
dovrà essere riconosciuto automaticamente da
parte dei sostituti d’imposta, senza attendere
alcuna richiesta esplicita da parte dei beneficiari stessi.
In particolare l’Agenzia si sofferma su chi potrà essere potenzialmente beneficiario del credito sono innanzitutto tutto i contribuenti il cui
reddito complessivo è formato:
• dai redditi di lavoro dipendente;
• dai redditi assimilati a quelli di lavoro
dipendente.
Pertanto “in via automatica…” senza attendere
alcuna richiesta esplicita da parte dei beneficiari
i sostituti d’imposta potranno erogare la quota di
credito spettante:
• a partire dalle retribuzioni erogate nel mese di
maggio ovvero, nelle ipotesi in cui ciò non sia
possibile per ragioni tecniche legate alle procedure di pagamento delle retribuzioni, a partire
dalle retribuzioni erogate nel successivo mese
di giugno;
• utilizzare l’ammontare complessivo delle ritenute disponibile in ciascun periodo di paga;
• in caso di incapienza, per la differenza, i contributi previdenziali dovuti per il medesimo periodo di paga.
Il bonus va anche ai contribuenti che prestano la loro attività senza sostituto d’imposta
I soggetti titolari, nel corso dell’anno 2014, di redditi di lavoro dipendente, le cui remunerazioni sono
erogate da un soggetto che non è sostituto di imposta tenuto al riconoscimento del credito in via automatica, quali ad esempio il datore di lavoro che ha
alle dipendenze una colf, oppure il proprietario unico di un immobile che occupa un custode, ecc…,
e tutti gli altri soggetti il cui rapporto di lavoro si è
concluso prima del mese di maggio, potranno chiedere il credito nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta 2014, utilizzarlo in compensazione, oppure richiederlo a rimborso.
La determinazione del periodo di lavoro nell’anno cui deve essere rapportato il bonus va effettuata considerando il numero di giorni lavorati
nell’anno.
l’amministratore
45
Varie ed eventuali
LA MILANO DI BOMBAY
Pinuccio Del Menico
I suoi spettacoli cominciavano sempre con lei che suonava la campanella. Poi caricava il grosso
organetto e simulava un concerto leggendo la partitura attraverso giganteschi occhiali bianchi.
Suonava i piatti e a suon di musica saliva sui birilli girando di tanto in tanto un cartello di metallo
con sopra scritto: “Attenti ai borsaioli”. Una Milano cambiata poco verrebbe da dire. Alla fine
allungava verso bambini e genitori la sua proboscide per raccogliere monete e noccioline garantendo
la propria felicità e anche quella dell’istruttore. Il suo nome era Bombay, è stata per più di 50 anni,
l’intera sua vita, la star dello zoo della nostra città. Vi arrivò nel 1936 e morì nel febbraio 1987,
poco prima della chiusura dello zoo stesso. Bombay riposa lì vicino, nel Museo di Storia Naturale
dove la parte superiore del suo corpo, dopo essere stata imbalsamata, è stata portata.
Anche lei ha vissuto nel suo piccolo, anche nel senso della gabbia che la ospitava, il cambiamento
di una zona che i suoi grandi occhioni vedevano divisa in due. Da una parte i giardini, dall’altra
Palazzo Dugnani. Ed era una Milano già trasformata rispetto a due secoli e mezzo prima, quando
fuori da Porta Nuova non c’era piazza Cavour, ma piazza della Canonica e nelle vie Fatebenefratelli
e Senato (allora strada di San Pietro Celestino) scorreva il Naviglio. La chiesa di San Bartolomeo
demolita per fare spazio alla nuova via Principe Umberto che collegava con la Stazione
Centrale, l’odierna via Turati. Proprio davanti agli archi cominciava la strada della Cavalchina,
ovvero l’attuale via Manin. Il nome derivava dalla famiglia Boniforte Guidobono Cavalchini,
proprietaria di una ampio caseggiato lungo la via che le cronache dell’epoca definivano “angusta e
melanconica”. Il palazzo, datato XVII secolo, fu residenza dei Cavalchini fino al 1730, quando la
proprietà venne ceduta ai Casati che a loro volta, 23 anni dopo, la vendettero ai Dugnani, illustre
famiglia meneghina che vantava nel suo casato anche il cardinale Antonio. Iniziò così un’epoca
illuminata per il palazzo. Il poeta Andrea Oltolina vi stabilì l’Accademia dei Fenici facendolo
diventare uno dei maggiori centri di pensiero di Milano. Nel 1835 morì l’ultima erede diretta,
Teresa Dugnani Viani, e la proprietà passò al conte Giovanni Vimercati che vi installò la sua
collezione naturalistica personale chiamandola “Museo di Storia Naturale”. Nel 1846 il Vimercati
vendette palazzo e collezione al Comune che ne fece la prima sede del museo poi trasferito in
corso Venezia.
Se la casa dei Cavalchini è adesso il meraviglioso Palazzo Dugnani è merito di Giuseppe Casati,
ricco affarista e nobile emergente dopo avere ottenuto il feudo di Spino d’Adda che, per ottenere
prestigio di fronte alle storiche famiglie milanesi, commissionò le decorazioni al Tiepolo che
realizzò il grandioso dipinto sul soffitto della sala da ballo.
Oggi il palazzo ospita i laboratori delle serre e il museo del cinema (ma non dovrebbe sorgerne un
altro o forse essere trasportato alla vecchia Manifattura Tabacchi?), ma fino al 1977 era anche sede
della Civica Scuola Femminile Alessandro Manzoni fondata il 23 maggio 1861 dal parlamentare
milanese Carlo Tenca ed intitolata a Don Lisander nel 1886.
All’inizio era composta da una sola classe di 24 allieve ospitata nell’elementare di via Bassano
Porrone, poi sede in via Borgospesso prima di giungere, nel decennio successivo, a Palazzo
Dugnani. Una scuola concepita per dare “un’istruzione mezzana soda ed appropriata” così è scritto
46
l’amministratore
Varie ed eventuali
nella delibera comunale del 4 giugno 1861. Fu la prima scuola femminile laica pur senza alcun
intento polemico visto che il primo direttore fu don Bergoglio il quale intese subito che una scuola
come questa dovesse soddisfare un diritto che nella società moderna compete anche alle donne:
“il diritto alla cultura”.
Carlo Tenca (Milano, 19 ottobre 1816 - Milano, 4 settembre 1883),patriota, letterato, giornalista e
politico italiano, fu tra i maggiori protagonista dei moti rivoluzionari che portarono alle 5 Giornate
e grande animatore del salotto della contessa Clara Maffei, alla quale era sentimentalmente legato
e che riposa vicino a lui al Monumentale.
Ne “Il cimitero di Praga”, edito nel 2010, Umberto Eco ha reso omaggio a Carlo Tenca usando un
passo del “La cà dei cani” come epigrafe del suo romanzo. A Carlo Tenca è intitolato uno storico
liceo Milanese, già Regio Istituto Magistrale.
Al patriota milanese può ben essere legato il nome del veneziano Daniele Manin cui è intitolata la
via sulla quale si affaccia Palazzo Dugnani. Un legame non stretto in senso fisico, ma idealistico.
Negli stessi giorni la comune lotta per la libertà. Il primo nelle 5 Giornate, il secondo che con
Niccolò Tommaseo venne liberato a furor di popolo dai Piombi di Venezia il 17 marzo 1848.
Il 22 marzo, giorno in cui venne innalzato il vessillo tricolore su Porta Tosa, che divenne così
Porta Vittoria, sancendo la cacciata degli austriaci da Milano, Tommaseo venne proclamato
primo Presidente della Repubblica di San Marco. Morì in esilio a Parigi il 22 settembre 1857.
Le sue ceneri ritornarono a Venezia solo dopo quasi due anni dal termine della Terza Guerra di
Indipendenza, un altro 22 marzo, quello del 1868, accompagnate da una processione lungo la Riva
degli Schiavoni e accolte da una festa funebre in piazza San Marco. Il figlio Giorgio Manin seguì
le orme del padre divenendo uno dei Mille di Garibaldi, ferito a Calatafimi.
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Centro studi
Il Centro Studi risponde
Riparto spese
ascensore
Con la presente sono a richiedere un
parere relativamente ad una questione
sorta in un condominio relativamente
alla modalità di riparto delle spese
ascensore piano rialzato.
Sul regolamento del condominio
nell’articolo relativo alle spese dell’ascensore, viene esposto: “Le spese di
ordinaria manutenzione e di funzionamento dell’ascensore vengono ripartite in ragione del numero delle
persone ad esclusione dei minori di
12 anni nonché in ragione ai piani. Le
spese di straordinaria manutenzione
dell’ascensore si dividono invece fra
tutti gli utenti proporzionalmente al
valore delle singole proprietà espresse in millesimi.”
Alcuni condomini nonostante quanto
recita il regolamento si impuntano sul
fatto che l’impianto da loro non viene
usato quindi non pagano nulla.
Trattandosi di impianto esistente
dalla costruzione del fabbricato, la
manutenzione straordinaria come la
ricostruzione totale o parziale, la sostituzione della cabina, e delle porte
ai piani e l’adeguamento alle normative vigenti per la sicurezza, andrebbero addebitate a tutti i condomini
anche a coloro che non lo utilizzano, in misura dei singoli millesimi
di proprietà. Alla luce di quanto sopra, chiede a Voi un Vostro parere in
merito.
vo.
Risponde
l’avv. Marina Figini
Le disposizioni contenute nel regolamento di condominio, da intendersi “contrattuale” anche se nel quesito
non viene specificato, stabiliscono i
seguenti criteri di ripartizione delle
spese di ascensore: - spese di manutenzione ordinaria e funzionamento,
ripartite in ragione del numero delle
persone (esclusi i minori di 12 anni) e
in ragione dei piani; - spese di manutenzione straordinaria si dividono tra
tutti gli utenti sulla base dei millesimi
di proprietà.
1) La giurisprudenza - La questione
delle unità immobiliari poste a piano
terra o a piano rialzato che non utilizzano l’ascensore è stata oggetto di diverse sentenze, non sempre univoche.
Decidendo in materia di scale, in assenza di diverse disposizioni regolamentari secondo il Tribunale Monza
sentenza 24 giugno 2005 si devono
addebitare ai vani terreni che si servono delle scale per accedere a parti
comuni ovvero a pertinenze site nella sommità dell’edificio la sola quota corrispondente al 50% da ripartire
per millesimi in quanto è inesistente la quota del 50% relativo alla parte proporzionale all’altezza, visto che
il piano terra ha coefficiente 0.
In base al consolidato principio della applicazione analogica all’impianto di ascensore della normativa sulle
scale (tra le altre Cass.25 marzo 1999,
n. 2833) il sopra citato criterio si potrà applicare anche alle spese dell’ascensore.
Secondo il Tribunale di Milano (sentenza 16 marzo 1989) l’ascensore
è una parte comune anche dei proprietari delle unità immobiliari che
l’amministratore
si trovano a piano terra poiché essi possono trarre utilità dal’impianto che è idoneo a valorizzare l’intero
immobile e normalmente permette di
raggiungere più comodamente parti
superiori che sono comuni a tutti.
Secondo la Corte d’Appello di Bologna (sentenza 1° aprile 1989) qualora non risulti il contrario dai titoli,
l’ascensore deve considerarsi di proprietà comune anche dei condomini
proprietari di negozi siti al piano terreno, poiché occorre fare riferimento non all’utilizzo in concreto ma alla
potenzialità del medesimo.
Secondo il Tribunale di Genova (sentenza n. 1512 del 2/5/2003) “In assenza di prova circa l’esistenza di
un regolamento contrattuale o convenzionale che stabilisca criteri derogatori, deve applicarsi il criterio
legale secondo cui anche i proprietari di unità immobiliari poste al piano
terra che non usufruiscono dell’impianto di ascensore, essendo comunque comproprietari dell’impianto
comune, sono tenuti a contribuire alle spese di manutenzione ordinaria e
straordinaria ed a quelle di ricostruzione dell’impianto, mentre gli stessi
sono esonerati ex art. 1123, 2° comma codice civile dalla contribuzione
alle spese di esercizio e di pulizia di
tale impianto che non utilizzano”.
Secondo il Tribunale di Nocera Inferiore (sentenza 29 settembre 2004) :
“seppure non espressamente richiamato dal regolamento di condominio,
sussiste una presunzione di condominialità dell’ascensore per cui le spese di manutenzione dello stesso sia
ordinarie che straordinarie debbono
49
Centro studi
essere ripartite tra tutti i condomini con il criterio della proporzionalità dettato dall’art. 1123 c.c., a nulla
valendo la considerazione che il proprietario dell’appartamento al piano
terra non ne usufruisca in concreto”.
Il Tribunale di Salerno (sentenza 3
novembre 2009) ha così statuito
“Sussistendo una presunzione di condominialità dell’ascensore, e dovendo
le spese di manutenzione dello stesso,
sia ordinarie sia straordinarie, essere ripartite tra tutti i condomini con il
criterio della proporzionalità dettato
dagli artt. 1123 e 1124 c.c., a nulla
vale la considerazione che i proprietari dei locali al piano terra non ne
usufruiscano in concreto.”
Con sentenza n. 6499 del 6 novembre 1986 la Cassazione ha ritenuto
la validità di una disposizione regolamentare, in deroga ai criteri di legge, che preveda il concorso di tutti i
condomini inclusi quelli al piano terreno in base ai millesimi di proprietà
alle spese per la manutenzione degli
ascensori
Con sentenza n. 28679 del 23 dicembre 2011 la Cassazione ha così deciso: “In materia di condominio……è
legittima, in quanto posta in essere
in esecuzione di una disposizione di
regolamento contrattuale, la delibera assembleare che disponga, in deroga al criterio di ripartizione delle
spese dettato dall’art. 1123 c.c. che
le spese di manutenzione ordinaria e
straordinaria dell’impianto di ascensore siano a carico anche delle unità immobiliari che non usufruiscono
del relativo servizio…”, con ciò dovendosi dedurre che, in mancanza di
tale espressa previsione regolamentare, chi non usufruisce del servizio non
è tenuto alle spese.
Ai fini della soluzione del problema
si possono considerare anche principi giurisprudenziali posti nei casi
50
analoghi di altri impianti centralizzati.
E così, il Tribunale di Genova (sentenza 14 dicembre 2006) ha statuito
che le spese di manutenzione dell’impianto idrico destinato ad esclusivo
servizio degli appartamenti del piano attico sono a carico dei condomini
che ne traggono utilità.
In merito all’impianto centralizzato di riscaldamento, la Cassazione
ha affermato che, limitandosi la proprietà comune dell’impianto di riscaldamento al punto di diramazione ai
locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini, se manca tale diramazione, e non esiste la possibilità
che i locali usufruiscano del riscaldamento, l’impianto non può considerarsi destinato al loro servizio (Cass.
n. 4270/1996).
Allo stesso modo la Cassazione ha affermato che i proprietari di unità immobiliari non servite dall’impianto
di riscaldamento per cause strutturali
dell’edificio, non possono vantare un
diritto di comproprietà sull’impianto
stesso in quanto non sussiste alcuna
relazione di accessorietà tra l’impianto e le citate unità immobiliari (Cass.
n. 7730/2000).
Ed ancora la Cassazione ha precisato
che le spese per la sostituzione della
caldaia comune attengono alla conservazione dell’impianto; ove nell’edificio vi siano locali come cantine e
box non serviti dall’impianto centralizzato, i condomini proprietari di tali
locali non sono contitolari dell’impianto centralizzato, non essendo
questo legato da una relazione di accessorietà, cioè da un collegamento
strumentale, materiale e funzionale all’uso o al servizio di quei beni.
Venendo dunque meno il presupposto per la comproprietà dell’impianto, viene meno anche l’obbligazione
reale di contribuire alle spese per la
l’amministratore
conservazione dello stesso (Cass. n.
1420/2004).
2) Concludendo, sulla base della sopra riportata giurisprudenza
si può ritenere che, essendo l’impianto di ascensore una parte comune (espressamente elencata nell’art.
1117 c.c. testo vigente dal 18 giugno 2013), che fornisce un servizio
comune e contribuisce al pregio del
fabbricato, di essa sono comproprietari (se il contrario non risulta dai titoli di proprietà) anche i titolari di
unità immobiliari al piano terra, indipendentemente dall’uso (del quale
avrebbero comunque la potenzialità)
che ne fanno; anch’essi sono pertanto obbligati a contribuire alle relative
spese, fatte salve diverse disposizioni
regolamentari.
Solo qualora il proprietario dell’unità
immobiliare (ad es. negozio) dimostrasse di non avere alcuna potenzialità d’uso, e che l’ascensore non
serve in alcun modo alla sua proprietà esclusiva (ad es. perché vi è un
ingresso indipendente), allora potrebbe essere esonerato dalle spese
relative ad un impianto che non rappresenta alcuna utilità e/o necessità né per accedere alla sua proprietà
esclusiva né per accedere a parti comuni condominiali.
A questo punto vanno però considerate le disposizioni del regolamento oggetto del quesito, che da un lato fanno
riferimento al “numero delle persone” e ai “piani” (per la manutenzione
ordinaria) e dall’altro lato ai millesimi di proprietà di “tutti gli utenti”
(per la manutenzione straordinaria).
L’espressione usata “utenti” , diversa da quella usata per le spese ordinarie, potrebbe far pensare alla volontà
regolamentare di escludere chi non
è “utente”, dunque chi non usa l’ascensore, ossia non lo usa né per recarsi alla proprietà esclusiva né per
Centro studi
accedere a parti comuni.
Una tale disposizione sarebbe valida
in quanto contenuta in un regolamento contrattuale.
Resta dunque questo dubbio interpretativo, che potrebbe essere riesaminato alla luce del testo integrale del
regolamento.
Ricordo che la delibera di ripartizione
delle spese, qualora ritenuta contraria
al regolamento, sarebbe da considerarsi “annullabile” e dunque impugnabile
dagli interessati nel termine di trenta
giorni, sulla base dei costanti principi giurisprudenziali per cui le delibere condominiali sono nulle soltanto se
hanno un oggetto impossibile o illecito, ovvero che non rientra nella competenza dell’assemblea, o se incidono
su diritti individuali inviolabili per
legge. Sono invece annullabili, nei termini previsti dall’art. 1137 c.c., le altre delibere “contrarie alla legge o al
regolamento di condominio” (tra cui
quelle che non rispettano le norme che
disciplinano il procedimento, come ad
esempio per la convocazione dei partecipanti, o che richiedono qualificate
maggioranze per formare la volontà dell’organo collegiale, in relazione
all’oggetto della delibera da approvare) ma pur sempre assunte nei limiti
delle attribuzioni dell’ assemblea.
A seguito dei principi sopra statuiti
dalla Suprema Corte, a partire dall’anno 2000 la regola dell’annullabilità
costituisce principio generale, mentre principio speciale è la previsione
di nullità..
Elementi decorativi
Un condomino mi segnala la rottura
del marmo sopra di una porta-finestra;
lo stesso sostiene che sia una parte
della facciata e pertanto la spesa è di
pertinenza del condominio.
Secondo il mio parere, non è così: la
spesa è a carico del condomino, in
quanto parte privata, ma deve attenersi alle regole di estetica presenti nel
condominio.
Vorrei quindi sapere se la spesa effettivamente è a carico del singolo condomino.
Risponde
l’avv. Marina Figini
Il condomino ha ragione: se nel muro
maestro sono inseriti elementi decorativi che hanno funzione ornamentale
ed architettonica essi fanno parte della facciata e sono di proprietà comune; e così il vano finestra può essere
completato con elementi ornamentali
esterni che devono essere considerati
parti comuni.
In base a costante interpretazione di
dottrina e giurisprudenza le facciate
(costituite dall’intonaco e dalla tinteggiatura delle stesse) costituiscono la
superficie esterna del muro perimetrale e svolgono funzione eminentemente estetica, mentre il muro ha funzione
portante e di isolamento.
Si ricordano, per applicazione analogica, i seguenti principi stabiliti dalla giurisprudenza per i frontalini dei
balconi.
I balconi aggettanti, costituendo un
prolungamento della corrispondente unità immobiliare, e non svolgendo alcuna funzione di sostegno né di
necessaria copertura dell’edificio (come invece accade per le terrazze a
livello incassate nel corpo dell’edificio) appartengono in via esclusiva al proprietario di questa; soltanto
i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore si devono considerare beni
comuni a tutti, quando si inseriscono nel prospetto dell’edifico e contribuiscono a renderlo esteticamente
l’amministratore
gradevole, contribuendo al decoro architettonico dello stabile (decoro che è
bene comune condominiale) (Cass.30
aprile 2012 n. 6624, 30 luglio 2004 n.
14576, 12 gennaio 2011 n. 587, 17 luglio 2007 n. 15913).
Dunque, in base a tali principi, sono
di proprietà esclusiva tutte le opere
necessarie al godimento e all’utilizzazione del balcone (pavimentazione, parte interna, piano di calpestio)
mentre sono di proprietà comune la
parte esterna dei parapetti, la fascia
di coronamento (cornicione o marcapiano) e quella di rivestimento dei
bordi aggettanti (frontalini) con relativi intradossi.
La Cassazione ha altresì precisato
che gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore dei
balconi aggettanti “quando non si inseriscono nel prospetto dell’edificio e
non contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole, appartengono in
via esclusiva al proprietario dell’unità immobiliare cui si riferiscono”; ciò
peraltro non significa che “nel ripristino di questi beni (balconi comprensivi
dei frontalini) il condomino sia libero
di modificare l’estetica, al simmetria
e il colore della facciata dell’edificio
(Cass. 16 febbraio 2012 n. 2241).
Con ancora più recente sentenza la
Cassazione ha confermato che i frontalini dei balconi hanno sempre natura
condominale (Cass. 20 dicembre 2013
n. 28571/13).
Con tale sentenza la Suprema Corte
ha confermato il proprio consolidato
indirizzo per il quale ai fini della affermazione della natura condominiale dei frontalini è sufficiente che essi
adempiano prevalentemente alla funzione ornamentale dell’intero edificio
senza essere necessario che rivestano
un particolare pregio artistico; a tale
scopo ha richiamato la propria sentenza 7 settembre 1996 n. 8159.
51
Le nostre tabelle
INDICI NAZIONALI DEI PREZZI AL CONSUMO PER LE FAMIGLIE DI OPERAI E IMPIEGATI
INDICE GENERALE
VARIAZIONI PERCENTUALI DEL MESE INDICATO RISPETTO ALLO STESSO MESE DELL’ANNO PRECEDENTE
ANNO GEN
FEB
MAR APR
MAG GIU
LUG
AGO
SET
OTT
NOV
DIC
2004
+ 2,0
+ 2,2
+ 1,9
+ 2,0
+ 2,1
+ 2,2
+ 2,1
+ 2,1
+ 1,8
+ 1,7
+ 1,7
+ 1,7
2005
+ 1,6
+ 1,6
+ 1,6
+ 1,7
+ 1,7
+ 1,6
+ 1,8
+ 1,8
+ 1,9
+ 2,0
+ 1,8
+ 1,9
2006
+ 2,2
+ 2,1
+ 2,1
+ 2,0
+ 2,2
+ 2,1
+ 2,1
+ 2,1
+ 2,0
+ 1,7
+ 1,7
+ 1,7
2007
+ 1,5
+ 1,5
+ 1,5
+ 1,4
+ 1,4
+ 1,6
+ 1,6
+ 1,6
+ 1,6
+ 2,0
+ 2,3
+ 2,6
2008
+ 2,9
+ 2,9
+ 3,3
+ 3,3
+ 3,5
+ 3,8
+ 4,0
+ 3,9
+ 3,7
+ 3,4
+ 2,6
+ 2,0
2009
+ 1,5
+ 1,5
+ 1,0
+ 1,0
+ 0,7
+ 0,4
- 0,1
+ 0,2
+ 0,1
+ 0,2
+ 0,7
+ 1,0
2010
+ 1,3
+ 1,3
+ 1,5
+ 1,6
+ 1,5
+ 1,3
+ 1,7
+ 1,5
+1,6
+1,7
+ 1,7
+ 1,9
2011
+ 2,2
+ 2,3
+ 2,5
+ 2,6
+ 2,6
+ 2,7
+ 2,7
+ 2,8
+3,0
+3,2
+ 3,2
+ 3,2
2012
+ 3,2
+ 3,3
+ 3,2
+ 3,2
+ 3,0
+ 3,1
+ 2,9
+ 3,1
+ 3,1
+ 2,7
+ 2,4
+ 2,4
2013
+ 2,2
+ 1,8
+ 1,6
+ 1,1
+ 1,2
+ 1,2
+ 1,2
+ 1,1
+ 0,8
+ 0,7
+ 0,6
+ 0,6
2014
+ 0,6
+ 0,5
+0,3
+0,5
TABELLA DEL TASSO DEGLI INTERESSI LEGALI
ANNO
TASSO
Dal 19/04/1942 al 15/12/1990
5%
Dal 16/12/1990 al 31/12/1996
10%
Dal 01/01/1997 al 31/12/1998
5%
Dal 01/01/1999 al 31/12/2000
2,50%
Dal 01/01/2001 al 31/12/2001
3,50%
Dal 01/01/2002 al 31/12/2003
3%
Dal 01/01/2004 al 31/12/2007
2,50%
Dal 01/01/2008 al 31/12/2009
3%
Dal 01/01/2010 al 31/12/2010
1%
Dal 01/01/2011 al 31/12/2011
1,50%
Dal 01/01/2012 al 31/12/2013
2,50%
Dal 01/01/2014
52
1%
l’amministratore
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