39 °A La voce dell’Associazione Amministratori Condominiali Immobiliari - Milano NN O l’amministratore informazioni pratiche per condomini e inquilini Spediz. abbonamento postale70% - Milano Milano - Stazione Centrale ANACI Anno XXXIX - n. 5 - Maggio 2014 - 5 Euro Sommario www.facebook.com/anacimilano l’amministratore anno xxxix n. 5 - maggio 2014 Notiziario mensile Anaci Milano a diffusione nazionale Viale Sabotino, 22 20135 Milano Tel. 02/58.32.21.22 Fax 02/58.32.21.00 Posta elettronica: [email protected] Sito internet: www.anacimilano.it Direttore Responsabile Dario Guazzoni Comitato di redazione Eugenio Antonio Correale Marina Figini Cristoforo Moretti Pubblicità e abbonamenti Anaci Milano Viale Sabotino, 22 20135 Milano Tel. 02/58.32.21.22 Fax 02/58.32.21.00 Stampa Grafiche Casali 20089 Quinto dè Stampi di Rozzano (Milano) Viale Isonzo 40/1/2 Tel. 02/8240480 Autorizzazione Tribunale di Milano 376 del 22/12/75 Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana Copyright - Nessuna parte del contenuto di questa rivista può essere pubblicata senza autorizzazione scritta dell’editore L’AMMINISTRATORE - ANNO 39° FONDATO NEL 1975 auguri, presidente! dario guazzonipag.5 l’assemblea del supercondominio luca saccomanipag.7 la durata nei contratti di locazione laura gilardonipag.13 appalto: le parti del contratto marina figinipag.21 la sospensione del procedimento nel diritto processuale penale giulio benedettipag.25 tolleranza zero per gli stalker condominiali laura gilardonipag.29 sentenze pag.31 eugenio antonio correale nuovo libretto per l’esercizio, la manutenzione, il controllo e l’ispezione degli impianti termici antonio de marcopag.35 il lavoro solitario in condominio cristoforo morettipag.40 pericoli condominiali cristoforo morettipag.42 aggiornamenti sul “bonus 80 €” vincenzo di domenicopag.44 agenzia delle entrate circolare n°8-e / 2014 vincenzo di domenicopag.45 la milano di bombay pinuccio del menicopag.46 centro studi pag.49 le nostre tabelle pag.52 l’amministratore 3 Editoriale AUGURI, PRESIDENTE! Q uando i lettori, e specialmente i colleghi riceveranno questo numero della nostra Rivista, Anaci Sede Nazionale (dipenderà dal Servizio Postale, imprevedibile nelle sue consegne!) avrà di già un nuovo presidente; oppure starà per averlo. Dopo quattordici anni (non vorremmo sbagliarci) e tre mandati e mezzo essendo succeduto al dimissionario Pino Rigotti, Pietro Membri, l’amico Pietro Membri ha deciso di non ricandidarsi e di passare il testimone: Tutti, indubbiamente, ed anche i detrattori (ovunque ce ne sono!) non possono non riconoscere che quella dell’amico Pietro è stata una grande presidenza. Grande presidenza perché Membri ha instaurato un nuovo modo di gestire l’Associazione. Non l’ha gestita dalla sua, anzi dalla nostra Milano, città nella quale, come tutti sanno vive ed opera, non l’ha gestita cioè sedentariamente. Pietro Membri è stato un presidente itinerante. Ha ritenuto cioè, con intelligenza e saggezza, che il modo migliore di presiedere fosse quello di visitare ogni sede, anche le più piccole, per prestare il saluto, l’appoggio, il consiglio dei vertici dell’Associazione. Per rendersi cioè conto di come si operasse, oltre che nelle grandi metropoli, nelle sedi meno ampie, con un numero limitato di associati, dove l’ausilio della presidenza avrebbe potuto dare ed ha dato all’utenza la certezza che anche nei centri piccoli ANACI fosse presente. Ha raccolto, come è nella umana natura, critiche; in più di un Congresso Nazionale qualcuno gli ha sparato contro (è ovvio una metafora); ma la maggioranza dei colleghi consiglieri nazionali lo ha sempre sorretto riconoscendogli i meriti del suo operato. Ed ora, ora ANACI cambia il vertice. Tre colleghi, già ampiamente conosciuti in ambito nazionale, si sono candidati per la futura presidenza, per il futuro vertice. Lo diciamo per i colleghi non consiglieri nazionali, i quali pertanto non hanno ricevuto la convocazione per il Congresso, tre colleghi dicevamo, già ampiamente conosciuti. Rosaria Molteni, collega di Como ed attualmente uno dei vicepresidenti, Carlo Parodi, collega di Roma, direttore del Centro Studi Nazionale, Francesco Burrelli, vice presidente vicario nell’ultimo quadriennio della presidenza Membri. Questa rivista, ed il suo Direttore, quantunque abbiano proprie convinte idee (come del resto ognuno dei consiglieri nazionali che voteranno) si astiene dal manifestare la propria volontà personale. Qualunque sia dei tre colleghi, Molteni, Parodi, Burrelli, il vincente dovrà prevalere, indipendentemente dalle personali opinioni, l’associativismo. L’associativismo con la “A” maiuscola. Il nuovo presidente, il nostro presidente, inizia il proprio mandato proprio ad un anno dall’entrata in vigore della Riforma del Condominio. A lui pertanto, con l’ausilio di tutta la dirigenza Nazionale, il compito di chiedere ed ottenere, a livello parlamentare, quelle riforme di messa a punto dell’istituto che l’esperienza iniziale del primo anno dice non perfette. Auguri presidente, con sincerità, AD MAIORA! l’amministratore Dario Guazzoni 5 Anaci: Consiglio Provinciale di Milano Presidente: Caruso Leonardo Vice Presidente Vicario: Cerrini Carlo Vice Presidente: Moritz Carlo Segretario: Frisenna Paolo Tesoriere: Donzelli Luigi CONSULENZE IN SEDE legali: lunedì 14,30 - 16,00 Avv. Luca Saccomani solo su appuntamento mercoledì 14,30 - 16,00 Avv. Marina Figini solo su appuntamento venerdì 17,00 - 18,30 Avv. Eugenio Antonio Correale Avv. Ermes Gallone Consiglieri Provinciali Appezzato Juri Balsamo Angelo Bandiera Francesco Bandiera Umberto Bianchini Massimiliano Buonavitacola Giorgio Calvio Gianfranco Caruso Giuseppe Dè Angelis Zucca Anna Didoni Fabio Donzelli Luigi Falduto Laura Grillo Carmelo Organigramma Nazionale Presidente: Pietro Membri (Milano) Segretario: Andrea Finizio (Roma) Tesoriere: Giuseppe Merello (Genova) Organigramma Regione Lombardia Presidente: Claudio Bianchini (MI) Vice Presidente: Agostino Lombardi (VA) Segretario: Monica Rusconi (SO) Tesoriere: Francesca Salvetti (BS) 6 ANACI Associazione Nazionale Amministratori Condominiali e Immobiliari Guazzoni Dario La Rosa Angelo Lionetti Giuseppe Pasi Mauro Pasi Paolo Pozzi Fabrizio Ronchi Silvia Sandrini Fabio Sozzi Alfredo Vanzini Maurizio Zappella Luca Zoccoli Bruno del lavoro: venerdì 17,00 - 18,30 Dott. Vincenzo Di Domenico fiscale: lunedì 14,30 - 16,00 Dott. Carmen Rovere solo su appuntamento giovedì 14,00 - 16,00 Dott. Luigi Donzelli Per appuntamenti in sede prenotarsi al numero telefonico 02 58322122 La rivista della Sezione Provinciale di Milano della Anaci (Associazione Nazionale Amministratori Condominiali e Immobiliari) 11 NUMERI 50 EURO Per l’abbonamento telefonare a: ANACI MILANO 02 58322122 - R.A. oppure faxare allo 02 58322100 o inviare una mail a: [email protected] l’amministratore Osservatorio del diritto L’ASSEMBLEA DEL SUPERCONDOMINIO Luca Saccomani Il momento dell’impatto iniziale con la novità legislativa è ormai superato, si sono moltiplicati i contributi degli interpreti, d’aiuto nell’esame del non sempre lineare testo normativo, ed i primi arresti della giurisprudenza hanno fornito preziose indicazioni interpretative su alcuni aspetti della novella. Nel contempo, tuttavia, nella mente degli operatori hanno fatto capolino i nuovi ed ulteriori dubbi che solo l’esperienza quotidiana (nonostante qualunque sforzo di teorizzazione) genera, e che la per ora scarsa produzione giurisprudenziale non contribuisce a sciogliere. Argomentazioni simili sembrano attagliarsi perfettamente all’argomento “supercondominio”, che il legislatore del 2012 ha inteso disciplinare, innovando rispetto al passato, ma con poche e lacunose regole. Anzitutto, con l’art. 1117-bis c.c., che, con riferimento a «tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell’articolo 1117», ha disposto l’applicabilità delle norme dettate nel capo della legge in cui l’articolo si trova, ossia degli articoli che vanno dal 1117 al 1139, ma nulla disponendo in ordine alle disposizioni per l’attuazione del Codice Civile, articoli da 61 a 72 (con la sola eccezione di quelle contenute all’art. 67, di cui nell’immediato seguito). Poi, con il terzo ed il quarto comma dell’art. 67 delle disposizioni di attuazione del Codice Civile, il cui testo si ricorda per comodità del lettore: «Nei casi di cui all’articolo 1117-bis del codice, quando i partecipanti sono complessivamente più di sessanta, ciascun condominio deve designare, con la maggioranza di cui all’articolo 1136, quinto comma, del codice, il proprio rappresentante all’assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii e per la nomina dell’amministratore. In mancanza, ciascun partecipante può chiedere che l’autorità giudiziaria nomini l’amministratore il rappresentante del proprio condominio. Qualora alcuni dei condominii interessati non abbiano nominato il proprio rappresentante, l’autorità giudiziaria provvede alla nomina su ricorso anche di uno solo dei rappresentanti già nominati, previa diffida a provvedervi entro un congruo termine. La diffida ed il ricorso all’autorità giudiziaria sono notificati al condominio cui si riferiscono in persona dell’amministratore o, in mancanza, a tutti i condomini. Ogni limite o condizione al potere di rappresentanza si considera non apposto. Il rappresentante risponde con le regole del mandato e comunica tempestivamente all’amministratore di ciascun condominio l’ordine del giorno e le decisioni assunte dall’assemblea dei rappresentanti dei condominii. L’amministratore riferisce in assemblea». L’assemblea del supercondominio, dunque, assume consistenza del tutto diversa, a seconda del numero complessivo dei proprietari esclusivi che partecipano all’ente. 7 Osservatorio del diritto *** Quando i partecipanti siano complessivamente in numero inferiore a sessanta, l’assemblea supercondominiale opera in base ai principi precedentemente vigenti e costantemente ribaditi nella loro validità dalla giurisprudenza, per i quali le deliberazioni debbono essere necessariamente assunte con la partecipazione di tutti i proprietari esclusivi delle unità immobiliari facenti parte del complesso, trovando integrale applicazione le disposizioni dell’art. 1136 c.c. in tema di convocazione, costituzione, formazione e calcolo delle maggioranze, con riguardo agli elementi reale e personale del supercondominio, rispettivamente configurati da tutte le unità abitative comprese nel complesso e da tutti i loro proprietari, rischiando altrimenti la sanzione dell’annullamento (1); e per i quali risulta afflitta da nullità per contrarietà a norme imperative la clausola del regolamento (ancorchè di natura contrattuale) che preveda che l’assemblea di supercondominio sia composta dagli amministratori dei singoli condominii, anziché da tutti i comproprietari degli edifici che lo compongono (2). 1 Cass. S.U., 7.3.2005, n. 4806. 2 Cass., Sez. II Civ., 6.12.2001, n. 15476; Cass., Sez. II Civ., 13.6.1997, n. 5333. 8 Si dovrebbe quindi ritenere che una decisione assembleare con la quale si pretendesse di estendere il sistema della “assemblea dei rappresentanti” di cui si dirà a breve anche alle realtà con partecipanti in numero inferiore rispetto a quello indicato dalla norma non sfuggirebbe ad una censura di annullabilità. Per altro verso, occorrerà trovare conferma che, nonostante quanto sopra accennato, in ordine al mancato richiamo nella disciplina delle entità supercondominiali delle norme contenute nelle disposizioni di attuazione del Codice Civile, possa trovare espressione la facoltà del singolo di partecipare all’assemblea a mezzo di proprio rappresentante, munito di delega scritta, ex art. 67, primo comma, disp. att. c.c. Al netto della fisiologica difficoltà di soddisfare nelle assemblee supercondominiali i quorum costitutivi e deliberativi, è certo che un’interpretazione strettamente ancorata al dato normativo produrrebbe quale risultato la sostanziale ingestibilità dell’ente. D’altra parte, ogni operatore della materia potrebbe confermare di aver imparato che non sempre la soluzione corretta sul piano giuridico è quella che meglio risponde alle esigenze concrete. *** Occorre invece dimenticare parte dell’insegnamento l’amministratore giurisprudenziale, sedimentato negli anni, quando si sia in presenza di complesso con partecipanti in numero superiore a sessanta, e si tratti dell’assemblea chiamata a deliberare in ordine alla «gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii» ed alla «nomina dell’amministratore», giacchè a tale assemblea partecipano i soli rappresentanti, designati da ciascun condominio, con deliberazione ad hoc. È bene evidenziare che tale modalità di costituzione dell’assemblea non pare costituire una mera facoltà (da esercitare alternativamente rispetto all’ipotesi dell’assemblea “plenaria”, composta da tutti i partecipanti al supercondominio), ma un vero e proprio obbligo, come sembra indicare l’utilizzo del verbo «deve», riferito all’onere di ciascun condominio di designare il proprio rappresentante, e dalla previsione, per il caso di inerzia del condominio, dell’intervento del Giudice (provocato da ciascun condomino o da anche uno dei rappresentanti già nominati dagli altri condominii); obbligo che comporterebbe l’invalidità (in forma di annullabilità, assumendo il permanere della validità dell’insegnamento impartito dalle S.U. della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4806/2005, citata in nota 1) della deliberazione assunta da Osservatorio del diritto assemblea composta dai partecipanti al supercondominio in cui siano presenti più di sessanta proprietari esclusivi. Analogamente, pare non possa dubitarsi che l’avviso di convocazione dell’assemblea supercondominiale debba essere inviato ai singoli partecipanti, sia in quanto va riconosciuto il loro diritto ad essere informati in ordine al contenuto delle assumende decisioni, sia onde consentire loro di esercitare il potere-dovere di nominare il rappresentante, e sia in quanto va forse riconosciuto loro anche il potere di determinare l’operato del suddetto rappresentante, fissando i «limiti» ed impartendo le «istruzioni» cui fa riferimento l’art. 1711 c.c. in tema di mandato (l’espressione è dubitativa, per quanto si osserverà appresso in ordine all’assenza nella norma della previsione di una scansione temporale delle decisioni, da assumere a livello “periferico” e “superiore”). Altra questione cui il testo della legge non fornisce risposta è come debba essere computato il voto del rappresentante del condominio ai fini del calcolo delle maggioranze. Dovendosi ritenere che ognuno dei rappresentanti esprima la caratura millesimale del condominio che l’ha designato nell’ambito supercondominiale, può domandarsi se ciascuno di essi esprima numericamente un voto (una testa, per chiarezza), come qualcuno mostra di ritenere, o tanti voti quanti sono i partecipanti al condominio rappresentato, come forse è preferibile ritenere, atteso che l’elemento personale costituisce presupposto imprescindibile della validità della delibera, ex art. 1136 c.c. Definendo i connotati dell’operato del rappresentante, la norma indica che «ogni limite o condizione al potere di rappresentanza si considera non Milano - Colonne di San Lorenzo l’amministratore apposto», e che «il rappresentante risponde con le regole del mandato». Si è già osservato da parte di più autori che le due espressioni non si pongono in contraddizione, essendo la prima deputata a regolamentare l’aspetto esterno dell’operato del rappresentante (nell’ambito, cioè, dell’assemblea cui partecipa), e l’altra quello interno (attinente il suo rapporto con il condominio che lo ha designato), in conformità ai principi vigenti in materia di delega assembleare. Su questo presupposto, dovrebbe ritenersi – in pratica - che l’essersi discostato dalle istruzioni fornite dal condominio mandante potrebbe comportare l’assunzione di una responsabilità del mandatario – rappresentante, ma che tale circostanza non potrebbe riverberare effetti sul piano della validità della deliberazione assunta dall’assemblea supercondominiale. Ciò conduce a trattare l’ulteriore argomento, dell’impugnativa della delibera dell’assemblea del supercondominio. In merito, dovrebbe essere anzitutto postulato che solo ai condomini spetti il potere di impugnativa, essendo esclusivamente a loro riservato dall’art. 1137 c.c. Può poi procedersi affrontando i dubbi che sembrano di più semplice risoluzione, e, per quanto poco sopra osservato, 9 Osservatorio del diritto ritenere che sia preclusa la facoltà di impugnativa della delibera assunta dall’assemblea supercondominiale, unicamente per avere il rappresentante del condominio d’appartenenza espresso in tale sede voto difforme rispetto a quello ricevuto come indicazione dal suo mandante (salva, come detto, la responsabilità del rappresentante rispetto al condominio da cui promana). Non troppe questioni dovrebbero poi porsi in ordine alle delibere da ritenere nulle, ossia – sempre postulando la sopravvivenza dei principi giurisprudenziali consolidati (3) – quelle prive degli elementi essenziali, con oggetto impossibile o illecito, con oggetto esulante dalla competenza dell’assemblea, quelle che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, e quelle comunque invalide in relazione all’oggetto, essendo tali delibere impugnabili da chiunque (e senza limiti di tempo). Più problematica è invece l’individuazione della 3 Cfr. Cass. S.U., 7.3.2005, n. 4806, richiamata in nota 1 L’AMIANTO È UN PROBLEMA PER TUTTI. LA BONIFICA È UN LAVORO PER POCHI. IL PROBLEMA È SERIO, LA SOLUZIONE DEVE ESSERE PROFESSIONALE. MBA AMBIENTE azienda specializzata nella bonifica di amianto sia COMPATTO che FRIABILE ti segue, ovunque ce ne sia bisogno, con la professionalità dei suoi tecnici qualificati. 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[email protected] T. +39 02 48 63 0797 F. +39 02 48 63 0881 1305_MBA_ADV_Amm_A5_PR.indd 1 10 legittimazione ad impugnare le delibere da qualificarsi annullabili, in quanto afflitte da vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, o adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, o affette da vizi formali, o assunte in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, o genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, o adottate in violazione di norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione 22/05/13 15.16 l’amministratore Osservatorio del diritto all’oggetto. Ai sensi dell’art. 1137 c.c., la possibilità di contestare giudizialmente tali delibere è appannaggio dei condomini assenti, dissenzienti o astenuti; atteso che, però, alcun condomino partecipa all’assemblea supercondominiale, ci si deve domandare a chi possa essere effettivamente attribuito lo status che costituisce condizione soggettiva imprescindibile per presentare l’impugnativa. Sotto il profilo in esame, non sembra in effetti determinante l’atteggiamento tenuto dal condomino nell’assemblea condominiale, atteso che in tal sede nulla può essere deliberato di quanto attinente la gestione supercondominiale, con la sola eccezione della nomina del rappresentante. L’aspetto riguardante il rapporto tra le assemblee dei condomini “periferici” e quella del condominio “centrale” è forse tra i più problematici che l’applicazione della novella ha rivelato. Ogni amministratore avveduto direbbe che la corretta e proficua gestione delle realtà supercondominali richiede un coordinamento tra i momenti decisionali delle entità periferiche e quelli dell’ente centrale, anche attraverso una scansione temporale degli eventi fondamentali, costituiti dalle rispettive assemblee; e ciò a maggior ragione in relazione a quanto previsto dalla riforma circa il necessario intervento all’assemblea del supercondominio dei rappresentanti nominati dai singoli condominii. Egli immagina quindi che la convocazione dell’assemblea supercondominiale debba avvenire con grande preavviso, onde dar modo agli amministratori di ciascun condominio di convocare l’assemblea di competenza, con il compito di designare il rappresentante per la prossima assemblea del supercondominio, e – magari – impartirgli anche istruzioni in ordine alla posizione da assumere rispetto ai punti indicati al relativo ordine del giorno. Tuttavia, nulla di tutto ciò risulta dal dato normativo. Non la previsione di un preavviso per la convocazione superiore a quello ordinario ( 4), e, a ben vedere, nemmeno la necessità che la nomina del rappresentante si ponga quale immediato antecedente della convocazione dell’assemblea supercondominiale. Al quarto comma dell’art. 67 disp. att. c.c. si legge infatti che il rappresentante «comunica tempestivamente all’amministratore di ciascun condominio l’ordine del giorno», oltre alle decisioni poi assunte dall’assemblea dei 4 Anzi, a stretto rigore, non è previsto alcun preavviso tout court, atteso il mancato richiamo dell’art. 1117-bis c.c. alle disposizioni di attuazione del codice civile, e segnatamente al terzo comma dell’art. 66 delle stesse. l’amministratore rappresentanti dei condominii, ossia dell’assemblea supercondominiale (il quale amministratore dovrà poi riferire in assemblea). Dunque, dovrebbe concludersi che la nomina del rappresentante possa avvenire – ad esempio – in sede di assemblea ordinaria annuale, in un certo senso aprioristicamente, ossia indipendentemente dalla già avvenuta convocazione dell’assemblea supercondominiale. Nell’indisponibilità di alcuna informazione meno che generica in ordine agli argomenti da trattare in tale ultima sede, tuttavia, risulta del tutto impossibile per l’assemblea del condominio impartire al rappresentante alcuna istruzione in ordine al contegno da tenere. *** Didascalicamente, occorre concludere rammentando che quando l’assemblea di un supercondominio con più di sessanta partecipanti debba essere convocata per decidere qualcosa di diverso dalla gestione ordinaria delle parti comuni al complesso o dalla nomina dell’amministratore (tipicamente, interventi di manutenzione straordinaria od innovativi), riprendono vigore i già accennati principi che stabiliscono il diritto di ognuno a contribuire alla formazione della volontà comune, ossia ad essere convocato ed a partecipare alla riunione. 11 Osservatorio del diritto LA DURATA NEI CONTRATTI DI LOCAZIONE Laura Gilardoni La locazione è un contratto consensuale con il quale una parte si obbliga a far godere all’altra una cosa mobile o immobile (materiale o immateriale) per un dato periodo di tempo verso un corrispettivo (art. 571 c.c.). Circa la durata del contratto il legislatore ha fissato il principio secondo il quale la locazione non può stipularsi per un tempo eccedente ai trent’anni. Se stipulata per un periodo più lungo o in perpetuo è ridotto al termine suddetto (1573 C.C.). Quanto alla durata minima, il legislatore ha ritenuto di garantire alle parti, a seconda della destinazione d’uso, una maggiore o minore autonomia contrattuale. In questo senso questi ha proceduto distinguendo la contrattualistica in due importanti categorie: le locazioni a uso abitativo e quelle ad uso diverso, La locazione di immobili urbani ad uso abitativo è stata negli ultimi anni soggetta a numerosi interventi normativi tutti volti a disciplinare un rapporto contrattuale delicato in quanto interessa una larghissima utenza ed un bene della vita essenziale quale, appunto, l’abitazione. Ruolo cardine hanno avuto sicuramente la legge n. 392 del 27 luglio 1978 (la c.d. legge dell’equo canone), la n. 359 del 8 agosto 1992 e la n. 431 del 9 dicembre 1998, norme tutte alle quali costantemente faremo riferimento nel corso di queste brevi note. I CONTRATTI AD USO ABITATIVO I A CANONE LIBERO La durata della locazione avente per oggetto immobili urbani per uso abitazione – la cui legge di riferimento è la n. 431 del 2008 non può essere inferiore a quattro anni. Se le parti hanno determinato una durata inferiore o hanno convenuto una locazione senza determinazione di tempo la durata si intende convenuta per quattro anni. Il disposto del comma precedente non si applica quando si tratti di locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria. La regola del rinnovo di diritto, tuttavia, non è applicabile ad alcune ipotesi contemplate dall’art. 3 della legge n. 431/1998, al ricorrere delle quali il proprietario ha il potere di opporsi al rinnovo automatico, con dichiarazione espressa in tal senso e descrizione l’amministratore della fattispecie che costituisce fonte della deroga. Tra i casi più frequenti nella prassi, si pensi all’eventualità che il locatore intenda utilizzare l’appartamento come abitazione o adibirlo ad uso professionale per sé, il coniuge i figli o i fratelli, o ancora decida di ristrutturarlo completamente. Fatte salve tali ipotesi eccezionali, dunque, alla scadenza degli otto anni (quattro + quattro), a ciascuna delle parti è attribuita la facoltà di comunicare all’altra, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, con un preavviso di sei mesi, l’intenzione di disdire il contratto. Proprio per la peculiare destinazione delle locazioni de quo – locazione che posso oggettivamente avere anche durata ultradecennale – è ben possibile incontrare un contratto che sorto sotto la vigenza della legge n. 392 del 1978 o n. 359 del 1992 si sia protratto fino all’entrata in vigore della legge n. 431 del 1998 che ha interamente ridisciplinato le locazioni di immobili ad uso abitativo, ponendo dunque problemi circa la sopravvivenza delle precedenti normative e soprattutto le modalità ed i termini di rinnovo dei contratti in scadenza successivamente all’entrata in 13 Osservatorio del diritto vigore della stessa. (art. 1 legge 392/1968). Per la risoluzione di queste problematiche – più frequenti di quanto si creda! – risulta preliminare effettuare una attenta rilettura della normativa di riferimento dalla quale, in buona sostanza emerge chiaramente la disciplina temporale applicabile. Ci riferiamo, in particolare: - all’art. 1 della legge n. 392/1978 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani) che prevede come la durata della locazione avente per oggetto immobili urbani per uso abitazione non può essere inferiore a quattro anni. Se le parti hanno determinato una durata inferiore o hanno convenuto una locazione senza determinazione di tempo la 14 durata si intende convenuta per quattro anni. - all’art. 11 comma 2 della legge 359/1992 (i c.d. patti in deroga) che prevede come nei contratti di locazione relativi ad immobili non compresi fra quelli di cui al comma 1, stipulati o rinnovati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le parti, con l’assistenza delle organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori maggiormente rappresentative a livello nazionale, tramite le loro organizzazioni provinciali, possono stipulare accordi in deroga alle norme della citata legge n. 392 del 1978. La disposizione si applica per i contratti ad uso abitativo limitatamente ai casi in cui il locatore rinunzi alla facoltà l’amministratore di disdettare i contratti alla prima scadenza a meno che egli intenda adibire l’immobile agli usi o effettuare sullo stesso le opere di cui, rispettivamente, agli articoli 29 e 59 della citata legge n. 392 del 1978. Resta ferma l’applicazione, per i contratti indicati nel presente comma, degli articoli 24 e 30 della citata legge n. 392 del 1978?. - All’art. 1 l. n. 431/1998, che dispone espressamente come i contratti di locazione di immobili adibiti ad uso abitativo, sono stipulati o rinnovati, successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dei commi 1 e 3 dell’articolo 2, mentre il richiamato comma 1 dell’art. 2 (il comma 3 non ha rilievo nella presente questione) le parti possono stipulare contratti di Osservatorio del diritto locazione di durata non inferiore a quattro anni, decorsi i quali i contratti sono rinnovati per un periodo di quattro anni, (omissis). Alla seconda scadenza del contratto, ciascuna delle parti ha diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto, comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all’altra parte almeno sei mesi prima della scadenza. La parte interpellata deve rispondere a mezzo lettera raccomandata entro sessanta giorni dalla data di ricezione della raccomandata di cui al secondo periodo. In mancanza di risposta o di accordo il contratto si intenderà scaduto alla data di cessazione della locazione. In mancanza di risposta o di accordo il contratto si intenderà scaduto alla data di cessazione della locazione. In mancanza della comunicazione di cui al secondo periodo il contratto si intenderà rinnovato tacitamente alle medesime condizioni. Già dalla semplice lettura della normativa in commento si può facilmente desumere la soluzione del problema. Il legislatore ha inserito – con l’entrata in vigore della 431 – un meccanismo volto ad offrire al locatore la concreta possibilità di esercitare il diritto di recesso dal contratto di locazione e qualora questi non provveda ovvero qualora le parti non abbiano attraverso facta concludentia scelto in merito dovrà ritenersi automaticamente applicabile la disciplina temporalmente in essere configurando l’atto omissivo non tanto una tacita rinnovazione, ma piuttosto una acquiescenza ad una situazione normativa vincolante. II A CANONE CALMIERATO Il legislatore del 1998, consapevole delle forti difficoltà incontrate dai soggetti meno abbienti intenzionati a prendere in locazione una casa in uno dei centri ad alta densità abitativa ha offerto alle parti la scelta tra il contratto “libero” (appena visto) e quello c.d. “convenzionato” (anche detto “calmierato”), di cui sono solitamente reperibili presso gli uffici competenti dei Comuni interessati uno o più schemi-tipo. La nota distintiva di quest’ultima forma contrattuale consiste nella notevole incidenza esercitata sul contenuto dei singoli contratti da parte di accordi precedentemente raggiunti a livello nazionale fra le associazioni dei proprietari e le associazioni degli inquilini, alla presenza del Ministro dei Lavori Pubblici. Qualora il proprietario acconsenta di sottostare ai vincoli previsti da tali accordi, questi potrà giovarsi di una riduzione dell’aliquota ICI (nella percentuale fissata mediante regolamenti comunali) e di una riduzione dell’IRPEF. Per usufruire delle suddette norme di favore, sarà onere del locatore chiederne l’applicazione, al momento della presentazione l’amministratore della dichiarazione dei redditi, indicando il Comune dove ha sede l’immobile, nonché gli estremi di registrazione del contratto di locazione e l’anno di presentazione della denuncia dell’immobile ai fini dell’applicazione dell’ICI. Per quanto riguarda la durata del contratto “convenzionato”, essa è più breve, non potendo essere inferiore ai tre anni; alla prima scadenza del contratto, se le parti non si mettono d’accordo per il rinnovo, il contratto è prorogato di diritto per altri due anni, salvo la possibilità di disdetta al ricorrere di una delle stesse ipotesi previste per i contratti a canone libero. Scaduto anche tale termine, ciascuna delle parti può scegliere se attivare la procedura di rinnovo a nuove condizioni oppure comunicare la rinuncia al rinnovo con lettera raccomandata, almeno sei mesi prima della scadenza. In mancanza di comunicazioni il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni. Ma quali sono queste medesime condizioni? Sul punto l’incertezza è assai ampia sussistendo, allo stato due orientamenti giurisprudenziali differenti. Il primo prevede “in tema di contratto regolamentati, stipulati ex articolo 2, comma 3, legge 431 del 1998, il rinnovo successivo alla scadenza del periodo di proroga ha durata triennale, prorogabile di ulteriori due anni, in mancanza di disdetta motivata del locatore o se non è raggiunto dalle parti un accordo sul rinnovo” (Tribunale di Bologna, 7 settembre 2009, n°3151 ma 15 Osservatorio del diritto in questo senso anche l’Agenzia delle Entrate). Il secondo prevede, invece, “dopo cinque anni anche il locatore può far cessare il rapporto con semplice disdetta non motivata e, se questa non intervenga, si avrà un ulteriore rinnovo per la durata di tre anni. Poiché, infatti, il rinnovo deve attuarsi alle medesime condizioni, non si può prescindere, anche in considerazione del carattere eccezionale dell’istituto della proroga legale, dalla durata convenuta dai contraenti e, cioè, quella triennale” (Tribunale di Genova, 4 dicembre 200; in questo senso anche il Tribunale di Torino (28 giugno 2008, n°4655). I CONTRATTI AD USO DIVERSO I LE LOCAZIONI COMMERCIALI 16 Preliminarmente possiamo precisare che la disciplina della locazione di immobili ad uso diverso da quello abitativo (c.d. uso commerciale) è contenuta nella legge 27 Luglio 1978 n. 392, precisamente dall’art. 27 al 42. Le regole ivi esposte sono applicabili in tutti quei casi in cui un immobile urbano sia concesso in locazione ad un conduttore – che dovrà avere i requisiti dell’imprenditore ex art. 2082 c.c. - allo scopo di avviare o continuare un’attività industriale, commerciale, artigianale, professionale, turistica, culturale, religiosa e assistenziale, ricreativa e sindacale. Rientrano inoltre in questa categoria gli immobili urbani concessi in godimento a Stato ed enti pubblici. La legge pone limiti ben precisi in merito alla durata minima del contratto: esso dovrà essere di almeno sei anni nel caso in cui l’attività che il locatario andrà a l’amministratore svolgere ha carattere commerciale in senso stretto o quando vi si eserciti lavoro autonomo. È nullo ogni patto contrario e la durata inferiore si intende automaticamente estesa ai minimi di legge. Unica eccezione a tale regola è l’eventuale carattere transitorio dell’attività commerciale. Questo requisito deve essere espressamente menzionato nel contratto. Una durata maggiore è sempre pattuibile ammesso che vi sia un interesse economico a farlo fermo solo il divieto di indicare periodi superiori a trenta anni sancito dall’art. 1573 c.c. (Cass. n. 2137 del 2006). È, peraltro fatta salva la facoltà di sottoscrivere un contratto di durata inferiore qualora l’attività esercitata o da esercitare nell’immobile abbia, per sua natura, carattere transitorio. In linea generale la durata minima è di sei anni quando l’immobile Osservatorio del diritto viene adibito: - ad attività di tipo industriale, commerciale e artigianale di interesse turistico; - ad esercizio abituale e professionale di qualsiasi attività di lavoro autonomo; - ad attività di interesse turistico di cui all’art.2 della legge 326 del 1968; - ad attività ricreative, assistenziali culturali scolastiche sede di partiti e sindacati; - qualsiasi uso, se il conduttore è lo Stato o altro ente pubblico territoriale. Per le locazioni di immobili nei quali siano esercitate le attività indicate nei commi primo e secondo dell’articolo 27, il contratto si rinnova tacitamente di sei anni in sei anni, (articolo così modificato dall’art. 7 della legge n.9 del 2007); tale rinnovazione non ha luogo se sopravviene disdetta da comunicarsi all’altra parte, a mezzo di lettera raccomandata, rispettivamente almeno 12 mesi prima della scadenza. Alla prima scadenza contrattuale, rispettivamente di sei o di nove anni, il locatore può esercitare la facoltà di diniego della rinnovazione soltanto per i motivi di cui all’articolo 29 con le modalità e i termini ivi previsti. Fin qui la normativa in essere. Ma cosa succede per le destinazioni promiscue? Innanzitutto è bene precisare che le destinazioni promiscue sono previste dalla stessa legge che, nell’articolo 80 della legge 392/78 prevede la possibilità di mutamento dell’uso convenuto durante il rapporto di locazione. È una facoltà delle parti, quindi, stabilire contrattualmente l’uso più idoneo a rispondere all’esigenza dell’inquilino, riconoscendo la possibilità pertanto di un uso misto, dove l’immobile venga contemporaneamente utilizzato come abitazione del conduttore e come sede dove lo stesso svolge un’attività lavorativa. Quale però il regime giuridico da applicare? I criteri per capire quale disciplina applicare, se la legge 431/98 piuttosto che la 392/78, sono relativi all’uso prevalente che viene fatto dell’immobile in oggetto. Per capire, però, cosa si intende per uso prevalente, diverse sono le interpretazioni che vengono date. Il criterio più affidabile, comunque, sembra essere quello che misura l’uso prevalente relativamente a quello spaziale, cioè quello realizzato sulla maggior parte della superficie dell’immobile. Un criterio sicuramente più oggettivo di quello dell’importanza che il conduttore attribuisce all’una o all’altra destinazione. In mancanza, poi, del criterio di prevalenza di un uso sull’altra, la giurisprudenza sembra orientata a “misurare” l’uso “effettivo” che viene fatto dell’immobile. Nella maggior parte dei casi, comunque, nel caso in cui l’uso promiscuo dell’immobile locato sia previsto dal contratto, il rapporto deve considerarsi regolato dall’ uso prevalente voluto dalle l’amministratore parti ed indicato nel contratto sottoscritto, dove si andrà a specificare la destinazione d’uso. II LE LOCAZIONI ALBERGHIERE La durata minima di nove anni si applica in tutti quei casi in cui l’immobile venga adibito ad attività alberghiera e ciò anche quando esso è locato ammobiliato (art.27 comma 3 legge 392/78). Occorre poi distinguere tra locazione ad uso alberghiero (concernente un immobile interamente ammobiliato ed attrezzato a tal fine) dall’affitto di una azienda alberghiera, distinzione che ha posto alcune difficoltà interpretative visto che solo la prima ipotesi è soggetta alla disciplina di cui alla 392. È evidente che tale distinzione implica un attento esame della destinazione d’uso effettiva dei locali concessi in locazione ma qualora detto esame fosse di difficile interpretazione la giurisprudenza ha precisato che – applicando un principio di presunzione ex lege - può essere ritenuta vincolante l’attività svolta dal conduttore all’INIZIO della locazione (Cass. n. 27934 del 2005), intendendo per INIZIO anche l’ipotesi in cui l’attività alberghiera nasca da una precedente dispersione di tutti i suoi elementi costitutivi (Cass. n. 7489 del 2004). La presunzione di riconducibilità alla locazione alberghiera è peraltro applicabile solo nel caso in cui il locatore abbia affittato per la prima volta sicchè 17 Osservatorio del diritto l’attività alberghiera venga ad essere svolta inizialmente solo da tale momento. A conclusioni diverse, invece, si perviene laddove la stipulazione del contratto di locazione avvenga dopo il continuato esercizio di attività alberghiera. In tali casi, infatti, la stipulazione ad opera del medesimo conduttore di altro contratto avente il medesimo contenuto non potrà integrare altra locazione di immobile a destinazione alberghiera ma dovrà necessariamente consistere in un affitto di azienda in tutte quelle ipotesi in cui risulti rilevante l’avviamento inteso come conseguenza dell’attività di impresa del primo conduttore. Sono invece soggette a durata minima di soli sei anni le locazione instaurate per attività di interesse turistico di cui all’art.2 della legge 12.3.1969 n. 326 (campeggi, villaggi turistici, rifugi alpini, alberghi per la gioventù, stabilimenti termali e balneari, aziende della ristorazione ubicate in località di interesse turistico, etc). Rilevato che la norma in commento sembrava estendersi anche ai contratti di locazione ad uso alberghiero, la giurisprudenza è dovuta intervenire a chiarimento con la sentenza n. 11600 del 2004. In essa viene chiarito come il tratto distintivo dell’attività alberghiera rispetto a qualsiasi altra attività diretta a fornire ospitalità consiste nel fatto che nella prima ipotesi viene offerto all’ospite un 18 alloggio in una struttura propria con la conseguenza che non può essere definita come alberghiera l’attività di colui che offre all’ospite una porzione di terreno attrezzato. Ed inoltre. Grazie alla integrazione recentemente intervenuta con l’art.7 della legge 8.2.2008 n.9 la durata minima di nove anni è estesa anche alle locazioni adibite all’esercizio di attività teatrali la cui menzione è ora stata aggiunta al terzo comma dell’art.27 della legge 392/78. Date le premesse sfugge la ratio della integrazione legislativa de quo se non finalizzata ad allungare di tre anni la durata minima di detti contratti nei casi di importanti ristrutturazioni. per evitare l’abuso di questa tipologia contrattuale applicata al di fuori delle reali condizioni che ne legittimavano l’utilizzo, ha ritenuto nel 1998 di sostituirla con una che presenta, all’opposto, un rigore burocratico tale da scoraggiarne fin troppo l’uso, come ha osservato autorevole dottrina. Si tratta dei contratti di natura transitoria, disciplinati dall’art. 5 della legge 431/98 e dall’ art. 2 del decreto ministeriale del 5 marzo 1999, sostituito, a sua volta, dal decreto del 30 dicembre 2002. La loro durata deve compresa fra uno e diciotto mesi e possono essere stipulati, anche in questo caso utilizzando uno dei modelli predisposti dagli uffici competenti, soltanto al ricorrere di certe esigenze abitative di tipo transitorio, che andranno non solo dichiarate, ma anche accuratamente documentate (ad esempio attestato di iscrizione allo stage). Per quanto concerne il canone, esso è oggetto di libera pattuizione solo al di fuori delle città “ad alta tensione abitativa” e dai Comuni ad esse limitrofi. In questi ultimi, infatti, il canone deve corrispondere alle tabelle proposte dai Comuni di appartenenza, che fanno riferimento ai canoni convenzionati. III LE LOCAZIONI TRANSITORIE Nell’ipotesi in cui l’attività esercitata dal conduttore abbia carattere transitorio (Cass,. n. 2147 del 2006) la durata del contratto di locazione a tale fine stipulato può essere legittimamente a quella minima fissata dall’art. 27 comma 5 legge 392/78. Sono i casi in cui le parti si trovano a vivere in una città diversa per esigenze di salute, lavorative per studio o altro, per un tempo relativamente ristretto. III Nella normativa previgente, per LE LOCAZIONI siffatte circostanze era stipulaSTAGIONALI bile un contratto detto “uso fo- Se l’attività a carattere stagionaresteria”. Il legislatore, proprio le, ciò si ripercuote sul contratto l’amministratore Osservatorio del diritto di locazione relativo ai locali necessari per il suo svolgimento. Non ci si devo però confondere pensando che il rapporto sia limitato ad una sola stagione. In tali casi, infatti, sussiste un preciso obbligo inderogabile in capo al proprietario che scatta nel medesimo periodo della stagione successiva e si ripete per un ciclo minimo di sei anni o di nove laddove si svolga attività alberghiera.(art. 27 comma 6 legge 392/68). La cassazione sin dal 1995 ha voluto precisare che per individuare una locazione stagionale deve porsi l’attenzione non tanto alla struttura del rapporto locativo ma piuttosto alla effettiva attività svolta, volendo in tal modo tutelare la qualità dell’investimento effettuato dal conduttore. Nel periodo intermedio tra una locazione e l’altra (cioè fuori dalla stagione pattuita) la protratta detenzione dell’immobile da parte del conduttore non comporta per quest’ultimo l’obbligo del pagamento del canone tant’è che la Cassazione, in tali circostanze, ha qualificato tale situazione come mera custodia del bene da parte dell’interessato conduttore/ detentore ciò evidentemente, nel caso di mancata contestazione da parte del locatore. Si tratta, è evidente, di una figura locativa molto particolare che negli anni ha creato non pochi problemi interpretativi: è un solo contratto con efficacia ripetuta nel tempo oppure un contratto che anno per anno si rinnova in totale autonomia? È evidente che tale qualificazione giuridica si potrebbe ripercuotere gravemente sugli altri istitti giuridici applicabili alle locazione: si pensi per es. all’indennità di avviamento che potrebbe essere di importo assai diverso. L’orientamento consolidato ritiene che la locazione stagionale non possa essere considerato un contratto unitario. Essa costituisce invece una serie di rapporti distinti ancorchè collegato da un possibile vincolo di reiterazione di durata corrispondente a quella di una specifica stagione, rinnovabile annualmente a iniziativa del conduttore per un arco temporale stabilito nella misura massima di legge, con l’obbligo del conduttore di rilasciare l’immobile alla scadenza stagionale (Cass.n.3684 del 2006). IV CASI RESIDUALI (in cui la legge non impone una durata minima) Per quanto concerne i contratti ad uso diverso ma non rientranti tra quelli di cui all’art.27 della legge 392/78 non è imposta alcuna durata minima. In tali residuali ipotesi riprende pieno vigore l’autonomina contrattuale rivestendo la legge,solo carattere integrativo e cioè intervenendo a disciplinare la durata di tali rapporti in assenza dell’accordo tra le parti. È l’ipotesi dei contratti di locazione per box o posti auto. Pertanto, salvo si voglia far ricorso a forme di contratto atipiche (per esempio al cosiddetto “contratto di parcheggio”), in tali casi, le parti sono completamente libere di fissare, per come meglio ritengono, la durata, il canone e il regime di ripartizione delle l’amministratore spese per la locazione del box. È legittima, quindi, anche la stipula di un contratto di locazione di durata assai breve. Ma qualora la durata del contratto non venga fissata interviene l’art. 1574 cod.civ. che fissa in un anno la durata della locazione. Al decorrere della scadenza così determinata, però, il contratto non cesserà automaticamente, a meno che le parti non abbiano provveduto a darvi preventiva disdetta (art.1596, comma 2, c.c.). Qualora il rapporto prosegua, ciò avverrà alle medesime condizioni, ma per una durata indeterminata (art.1597, comma 1 e 2, c.c.), e dunque sino a quando non verrà fatto cessare da uno dei contraenti inviando la disdetta con un congruo preavviso (art.1596, comma 2, c.c.). Esistono però alcune significative eccezioni. Innanzitutto, ciò non vale quando l’impiego di detti immobili da parte del conduttore è ricollegabile all’esercizio di una delle attività contemplate dal citato art.27 della legge 392/78. In altre parole: se un box auto viene locato da un artigiano per essere utilizzato come deposito materiale, e ciò venga esplicitato, scatta la durata minima di sei anni. La presenza di un collegamento funzionale tra l’attività artigianale esercitata in altri locali ed il box comporta come conseguenza immediata la prevalenza della durata più lunga proprio al fine di tutelare l’economia. Ciò indipendentemente dalla presenza di due locatori diversi (Cassazione, 3 gennaio 1991, n.89; 5 agosto 2002, n.11701). Quando invece il medesimo 19 Osservatorio del diritto proprietario lochi con due contratti differenti al conduttore sia l’appartamento adibito ad uso abitativo che il box posto nella medesima abitazione, esiste la possibilità che si possa applicare il canone equo ritenendo assorbito il contratto di locazione del box visto l’importante vincolo pertinenziale di fatto realizzato con la sottoscrizione dei due contratti. Si pretendeva – usiamo l’imperfetto non a caso!) quindi che il vincolo di pertinenzialità fosse dimostrato sia dal punto di vista soggettivo (consistente in un fatto volontario del proprietario) sia da quello oggettivo (naturale attitudine di una cosa al miglior godimento dell’altra Cass.n.1857 del 1990). Si tratta è evidente, di ipotesi oggi desueta visto che oggi per i contratti nuovi non è più 20 applicabile l’equo canone. In tal caso, l’unica conseguenza negativa è ricollegabile alla durata del contratto di locazione del box auto, che diviene quella dell’alloggio. Il canone, però, non subisce decurtazioni, siccome andrà sommato quello per la locazione dell’alloggio a quello del box, e ciò pare fondamentale. Diverso è invece il caso in cui l’alloggio sia locato a “canone concordato”. Orbene, ai sensi dell’art.1, comma 4, del decreto 30 dicembre 2002 del Ministero delle infrastrutture e trasporti, “nella definizione del canone effettivo, collocato tra il valore minimo ed il valore massimo delle fasce di oscillazione, le parti contrattuali, assistite – a loro richiesta – dalle rispettive organizzazioni sindacali, tengono conto” l’amministratore anche della presenza delle “pertinenze dell’alloggio (posto auto, box, cantina, etc…)”. Pertanto, non è irragionevole temere che ciò possa dare adito ad una situazione sostanzialmente analoga a quella appena sopra descritta che induceva i conduttori di alloggio a “canone equo” a far ravvisare il rapporto di pertinenzialità tra alloggio e box auto. In effetti, ravvisato il vincolo, il conduttore potrebbe ora pretendere di occupare alloggio e box auto limitandosi a corrispondere il “canone concordato”. In tali casi, il locatore cessa di percepire il canone. Se ciò avviene, il vantaggio che si sperava di ottenere sul piano fiscale locando a “canone concordato” è irrimediabilmente perso. Allo stat, però non ci risultano precedenti giurisprudenziali. Osservatorio del diritto APPALTO: LE PARTI DEL CONTRATTO Marina Figini Il contratto di appalto Come precisa il codice civile “L’appalto è un contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro” (art. 1655 cod.civ.). L’appalto rientra nella categoria generale dei rapporti qualificati “di lavoro”, categoria nelle quali si distinguono il caso in cui viene espletata una determinata quantità di lavoro, indipendentemente dal risultato da conseguirsi (“locazione di opere”), e il caso in cui deve invece essere fornito un determinato risultato (“locazione d’opera”). L’appalto rientra in tale ultima ipotesi in quanto la sua caratteristica fondamentale è costituita proprio dal “risultato” che l’appaltatore deve fornire al committente sotto forma di opera o di servizio; va però evidenziato che nell’organizzazione dell’attività diretta al conseguimento del risultato promesso, l’appaltatore opera in autonomia, ossia in assenza di vincoli di subordinazione, nei confronti del committente, assumendosi, pure in autonomia, gli oneri connessi all’esecuzione del lavoro, con l’organizzazione in proprio, e a proprio rischio, dei mezzi necessari per il compimento dell’opera, o la prestazione del servizio. L’appaltatore subisce anche il rischio economico relativo all’attività svolta e si assume inoltre le responsabilità connesse alla mancata o imperfetta realizzazione del risultato promesso specificatamente previste dal codice (artt. 1667-1668-1669 c.c.). Il contratto d’opera e il contratto di lavoro subordinato Le sopra evidenziate caratteristiche fondamentali del contratto di appalto lo differenziano dal contratto d’opera e dal rapporto di lavoro subordinato. L’individuazione della tipologia di contratto non è meramente formale in quanto rilevanti sono le differenze tra le discipline applicabili. Il contratto d’opera sussiste laddove “una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”. Il primo elemento che differenzia tale tipologia contrattuale l’amministratore dell’appalto è costituito dalla qualità del soggetto che assume l’obbligazione contrattuale. Ed infatti nel contratto di appalto ci si trova di fronte ad un imprenditore mentre nel contratto d’opera il soggetto obbligato compie l’opera o il servizio con lavoro prevalentemente proprio o anche dei propri familiari o di pochi collaboratori; è il caso del “piccolo imprenditore” (l’art. 2083 cod. civ. qualifica i piccoli imprenditori come coloro che esercitano un’attività professionale organizzata “prevalentemente con il lavoro proprio o dei componenti della famiglia”.) Vi sono poi ulteriori differenze che riguardano: - la materia necessaria a compiere l’opera: nell’appalto deve essere fornita dall’appaltatore se non è diversamente stabilito (art. 1658 c.c.), nel contratto d’opera può essere anche fornita dal prestatore d’opera (art. 2223 c.c.); - il corrispettivo: nel contratto d’opera non esiste una specifica disciplina per i casi di variazione concordate al progetto; nell’appalto è richiesta la prova scritta dell’autorizzazione del committente alle variazioni dell’opera convenuta; - difformità e vizi dell’opera: nell’appalto il 21 Osservatorio del diritto committente deve, a pena di decadenza, denunziare all’appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta e la relativa azione si prescrive in due anni dal giorno della consegna dell’opera (art. 1667 c.c.); nel contratto d’opera il committente deve, a pena di decadenza, denunziare i vizi e/o le difformità entro otto giorni dalla scoperta e la relativa azione si prescrive entro un anno dalla consegna (art. 2226 c.c.); - rovina e difetti di beni immobili: nel contratto d’opera non esiste norma similare a quella contenuta nell’art. 1669 cod. civ. che nell’appalto disciplina espressamente l’ipotesi della rovina e dei difetti di beni immobili. Nel rapporto di lavoro subordinato il lavoratore si obbliga a prestare a favore del datore di lavoro una determinata quantità di prestazioni lavorative, indipendentemente dal risultato al quale tali prestazioni sono destinate. Mentre il lavoratore autonomo fornisce una obbligazione di risultato, il lavoratore subordinato fornisce una prestazione di mezzi che esegue non utilizzando materiali propri, bensì utilizzando materiali messi a disposizione dal datore di lavoro, nel luogo e secondo orari e modalità da questo stabiliti. Inoltre il lavoratore subordinato è soggetto al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, è estraneo all’organizzazione della attività produttiva, e il suo corrispettivo viene prefissato secondo diversi criteri, 22 sostanzialmente contenuti nei contratti collettivi, che comunque prescindono da ogni considerazione sul risultato prodotto dalle prestazioni lavorative svolte. Tutti questi elementi differenziano nella sostanza il rapporto di lavoro subordinato sia dal contratto di appalto sia dal contratto d’opera. Le parti del contratto di appalto La parte che si assume il compimento dell’opera si definisce “appaltatore”; l’altra parte, quella a favore della quale la prestazione viene eseguita, si chiama “appaltante” o più comunemente “committente”. Oltre all’appaltatore, può esservi anche un “subappaltatore”. Il codice disciplina infatti il subappalto che sussiste quando l’appaltatore, assumendo veste di committente, incarica un terzo soggetto (subappaltatore) dell’esecuzione, in tutto o in parte, dell’opera o del servizio da lui assunto. Il contratto di subappalto risponde all’esigenza di avvalersi dell’operato di imprese specializzate nelle diverse lavorazioni, che si può verificare soprattutto nei contratti aventi ad oggetto la realizzazione di opere complesse. La stipulazione da parte dell’appaltatore del subappalto deve però essere autorizzata dal committente (art. 1656 c.c.). Il rapporto contrattuale che si instaura tra appaltatore e subappaltatore resta estraneo alla l’amministratore sfera del committente, il quale non ha rapporto diretto con il subappaltatore, rimanendo suo unico contraddittore l’appaltatore, al quale dovrà quindi essere rivolto ogni reclamo o denuncia. L’appaltatore sarà soggetto agli stessi diritti/doveri del committente, nei confronti del proprio subappaltatore, per quanto riguarda le responsabilità previste dal codice e le relative garanzie. Nell’ambito del Condominio, la parte contrattuale che si configura quale “committente” è il Condominio in persona dell’Amministratore. In base all’art. 1131 c.c. l’Amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti al Condominio: a lui spettano dunque la stipulazione del contratto d’appalto, la cura della corretta esecuzione del medesimo, la verifica in sede di collaudo, la comunicazione delle denuncie e l’esercizio delle azioni previste dal codice in materia di garanzia, oltre alle incombenze previste dalla Direttiva Cantieri. Per quanto riguarda invece la competenza a decidere la stipulazione di un contratto di appalto avente ad oggetto la manutenzione ordinaria e/o straordinaria, e/o innovazioni delle parti comuni, e/o la gestione delle parti o dei servizi comuni del Condominio, valgono le attribuzioni assegnate all’Amministratore e all’Assemblea, di cui agli artt. 1130 e 1135 cod. civ. Le delibere saranno dunque assunte secondo le maggioranze Osservatorio del diritto richieste in funzione della tipologia di interventi e indicate nell’art. 1136 c.c. Mentre solo in caso di urgenza l’amministratore potrà ordinare lavori di manutenzione straordinaria, con l’obbligo di riferirne nella prima assemblea (art. 1135, 2° comma c.c.). La fase che precede la stipulazione del contratto di appalto va condotta con particolare cura da parte dell’Amministratore e dall’assemblea dei condomini; vanno infatti in primo luogo individuate e deliberate le opere da fare eseguire: a tale scopo sarà opportuno, anzi si può dire necessario, far redigere un progetto dettagliato da parte di un tecnico di fiducia del Condominio; va poi operata la scelta dell’impresa alla quale affidare l’incarico, impresa che diventerà l’ “appaltatore”: tale scelta avviene, come d’uso, dopo l’esame di almeno tre preventivi forniti da parte di tre soggetti diversi sulla base del progetto di cui sopra; la stipula finale del contratto sarà preceduta da un attento esame del testo contrattuale (soprattutto nella parte in cui si prevedono termini di esecuzione delle opere e di pagamento, decadenze, garanzie, penali), testo del quale formerà parte integrante il “capitolato” ossia la descrizione, redatta sulla base del “progetto” suindicato, delle opere che l’appaltatore si impegna ad eseguire. Particolare attenzione andrà rivolta, pare superfluo ricordarlo, anche alle caratteristiche societarie dell’impresa, alla sua Gaggiano - Il Naviglio Grande esperienza e alla sua serietà professionale. Vanno poi ricordati i seguenti obblighi introdotti dalla Riforma della legge condominiale in vigore dal 18 giugno 2013: l’obbligo per l’assemblea di costituire un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori (se i lavori devono essere eseguiti in base a un contratto che ne prevede il pagamento graduale in funzione del loro progressivo stato di avanzamento, il fondo può essere costituito in relazione ai singoli pagamenti dovuti) (art. 1135, 1° comma ) - l’obbligo per l’amministratore di adeguare i massimali della polizza individuale di assicurazione (in misura non inferiore all’importo di spesa deliberato, adeguamento da effettuarsi contestualmente all’inizio dei lavori) nonché di integrare la polizza generale (con una dichiarazione dell’impresa di assicurazione che garantisca, per lo specifico l’amministratore Condominio, le condizioni come sopra richieste per la polizza individuale) (art. 1129, 4° comma c.c.). Il recesso del committente e dell’appaltatore Il recesso è il diritto di sciogliere il contratto, indipendentemente da qualsiasi inadempimento, comunicandolo all’altra parte: esso è legale (quando previsto e regolato espressamente dal codice civile per determinati tipi di contratto) oppure convenzionale (quando è pattuito dalle parti con apposita clausola e con la previsione di una caparra penitenziale). Se a una parte è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione. Nei contratti a esecuzione continuata o periodica tale facoltà può essere esercitata anche successivamente, ma il recesso 23 Osservatorio del diritto non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione. Qualora sia stata stipulata la prestazione di un corrispettivo per il recesso, questo ha effetto quando la prestazione è eseguita; salvo in ogni caso il patto contrario (art. 1373 c.c.). Nel contratto di appalto vige una particolare disciplina. Infatti, il committente ha facoltà di recedere in ogni momento dal contratto e quindi di farne cessare l’esecuzione, richiedendo a tal fine una semplice dichiarazione, che non necessita di motivazione (art. 1671 c.c.). Se esercita la facoltà di recesso del committente deve corrispondere all’appaltatore le spese sostenute, il compenso per i lavori già eseguiti ed il mancato guadagno, ossia la somma corrispondente a quanto avrebbe guadagnato se avesse portato a termine i lavori. La giurisprudenza ha precisato che nella liquidazione di tale indennizzo, il giudice ha facoltà di applicare il criterio equitativo che, può essere utilizzato per qualsiasi danno ed, in particolare, per la determinazione della quota di spese generali, costi di ammortamento, impegno improduttivo di materiali e mano d’opera ecc., quando sia impossibile o assai difficoltoso, sulla base di una valutazione discrezionale del giudice, fornire la prova precisa dell’entità del pregiudizio sofferto. Altra possibilità di recesso del committente è prevista nel caso di variazioni del progetto necessarie per l’esecuzione Contabilizzazione del calore Affidati a Brunata! dell’opera a regola d’arte: se le variazioni sono di notevole entità, il committente può recedere dal contratto ed è tenuto a corrispondere un equo indennizzo (art. 1660 c.c.). Lo stesso art. 1660 c.c. prevede anche il recesso dell’appaltatore: se l’importo delle variazioni del progetto necessarie per l’esecuzione dell’opera a regola d’arte supera il sesto del prezzo complessivo convenuto, l’appaltatore può recedere dal contratto e può ottenere secondo le circostanze un’equa indennità. Da ultimo si ricorda che il contratto di appalto non si scioglie per la morte dell’appaltatore, salvo che la considerazione della sua persona sia stata motivo determinante del contratto (art. 1674 c.c.). Prodotti e servizi per la contabilizzazione: Brunata pensa a tutto! Forte di un’esperienza di quasi un secolo, Brunata offre il mix di tecnologia e servizi più avanzato per la contabilizzazione del calore. • Il ripartitore Futura Heat+ è dotato di una batteria che dura 10 anni. 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Il sistema di restrizione della libertà personale nel diritto processuale penale tradizionalmente verte su quattro pilastri ben distinti ed autonomi tra loro. Il primo è rappresentate dalle misure cautelari in pendenza del procedimento penale (custodia cautelare in carcere, arresti domiciliari, obbligo di firma presso la polizia giudiziaria, divieto di dimora, divieto di dimora, allontanamento dalla casa familiare, divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa) che possono essere disposti, ai sensi dell’art. 274 c.p.p., dal giudice, su richiesta del pubblico ministero, qualora vi ricorrano il pericolo di fuga, di inquinamento delle prove o di reiterazione dei reati. Vi è poi l’emissione dell’ordine di esecuzione, ai sensi dell’art. 656 c.p.p, che dispone la carcerazione del condannato, qualora la sentenza di condanna sia divenuta definitiva ed il condannato non sia agli arresti domiciliari per una pena inferiore ai tre anni, da parte del pubblico ministero, laddove la condanna riporti una pena superiore ai tre anni di reclusione (salvo che il reato si particolarmente grave e sia annoverato in quelli elencati dall’art. 4 bis della legge n. 354/1975). Altro basamento del sistema penale dell’esecuzione della pena è rappresentato dalla cognizione del Magistrato e del Tribunale di Sorveglianza che, ai sensi degli artt. 47, 47 - bis, 47 - ter della legge n. 354/1975 possono disporre le misure alternative alla carcerazione costituite dalla detenzione domiciliare e dall’affidamento in prova ai servizi sociali. Infine, nei riguardi degli imputati minorenni, ricorre la cognizione del Tribunale per i minorenni il quale, ai sensi dell’art. 28 del DPR 27.9.81998 n. 448, può disporre la sospensione del procedimento e la messa alla prova dell’imputato. Nonostante tale sistema complesso ed assai raffinato gli interpreti hanno rilevato nel corso degli anni un ricorrente sovraffollamento carcerario particolarmente insopportabile in relazione alle strutture detentive del tutto insufficienti ed inadeguate, alle difficili condizioni di vita dei detenuti e degli agenti della Polizia Penitenziaria. l’amministratore Tale situazione non è stata scalfita in modo significativo dai provvedimenti di clemenza (vedasi ad esempio l’indulto previsto dalla legge n. 241/2006) i quali sono stati presto vanificati nei loro effetti premiali dal sopraggiungere di nuovi arrivi negli Istituti Penitenziari. Aggiungasi che la Corte di Giustizia Europea e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con diverse sentenze (vedasi al decisione cd. “TORREGGIANI”) hanno accertato le situazioni di invivibilità nelle nostre case circondariali ed hanno condannato l’Italia a erogare risarcimenti nei confronti dei detenuti se non fossero intervenute incisive misure deflative dell’affollamento carcerario. - L’istituto di sospensione del procedimento con la messa alla prova per gli imputati maggiorenni. Il legislatore ha cercato di intervenire in detta materia con una serie di norme diminutive del numero degli ingressi in carcere (vedansi la legge “svuota carceri” n. 199/2010, il d.l. 1.7.2013 n. 178, il D.L. 23.12.2013 n. 146) ma recentemente ha emanato la 25 Osservatorio del diritto Milano - Cortile del Castello Sforzesco legge 28.4.2014 n. 67 (pubblicata su GU n. 100 del 2.5.2014) che contiene deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili. Con tale legge veniva introdotto, come già previsto per i minorenni, anche per i maggiorenni l’istituto della sospensione del processo con messa alla prova. Tale istituto è previsto (art. 168 – bis c.p.), e l’imputato per gli stessi può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova, nei procedimenti puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola o congiunta, o alternativa alla pena pecuniaria e per i delitti indicati dall’art. 550, comma secondo, c.p.p. (ovvero nei casi di citazione diretta a giudizio). La messa alla prova comporta 26 la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato (come previsto nell’istituto dell’oblazione previsto dall’art. 162 bis c.p. per le contravvenzioni), nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta inoltre l’affidamento dell’imputato al servizio sociale per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l’altro, l’attività di volontariato di rilevo sociale, ovvero l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali. La concessione della messa alla prova è subordinata alla prestazione di un lavoro di pubblica utilità consistente in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in l’amministratore favore della collettività da svolgersi preso lo Stato, le province, le regioni, i comuni, le aziende sanitarie o presso organizzazioni anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. A tale proposito appare chiara la natura ibrida dell’istituto volto da un alto a ristabilire l’ordine turbato dalla commissione del reato ed, eventualmente, al risarcimento del danno e dall’altro alla rieducazione ed al reinserimento sociale dell’imputato. La particolarità dello stesso è che può essere richiesto non in presenza di una sentenza, anche non definitiva di condanna, ma prima della pronuncia della stessa e pertanto la sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato non può essere concessa più di una volta, e per l’impossibilità del puntuale adempimento alle prescrizioni non si applica ai delinquenti abituali, professionali o tendenti a delinquere (secondo quanto previsto dagli artt. 102, 103, 104, 105 e 108 c.p.). Durante il periodo di sospensione del procedimento (art. 168 – ter c.p.) il corso della prescrizione è sospeso e la sospensione e l’interruzione della prescrizione (diversamente da quanto disposto dall’art. 161, comma primo, c.p.) non hanno effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato. L’esito della prova estingue il reato per cui si procede e l’estinzione del reato non pregiudica l’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie ove previste dalla legge. La sospensione del procedimento con messa alla prova è revocata Osservatorio del diritto (art. 168 – quater c.p.): * in caso di grave e reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte, ovvero di rifiuto alla prestazione del lavoro di pubblica utilità; * in caso di commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo ovvero di un reato della stessa indole rispetto a quello per cui si procede. La richiesta di sospensione (art. 464 - bis c.p.p.) la richiesta di sospensione può essere richiesta dall’imputato oralmente o per iscritto fino a che non siano state formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422 c.p.p. o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizi direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio. All’istanza è allegato un programma di trattamento, elaborato d’intesa con l’ufficio di esecuzione penale esterna, ovvero, nel caso in cui non sia stato possibile l’elaborazione, con la richiesta del programma. Quest’ultimo contiene: *le modalità di coinvolgimento dell’imputato e del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale; *le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l’imputato assume anche al fine di elidere e di attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni, nonché le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità ovvero all’attività di volontariato o di rilievo sociale; * le condotte volete a promuovere, ove possibile, la mediazione con la persona offesa. Nel corso delle indagini preliminari (art. 464 – ter c.p.p.) il giudice, se è presentata una richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova trasmette gli atti al pubblico ministero affinché esprima il consenso o il dissenso nel termine di cinque giorni. Il consenso del pubblico ministero deve risultare da un atto scritto e sinteticamente motivato, unitamente alla formazione dell’imputazione, e in caso di dissenso, il pubblico ministero deve enunciarne le ragioni. La decisione sulla richiesta (art. 464 – quater c.p.p.) avviene in udienza oppure in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 127 c.p.p., dove il giudice, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p., emette, sentite le parti e la persona offesa un’ordinanza (nei cui confronti sia l’imputato che il pubblico ministero, anche su istanza della persona offesa, possono ricorrere in Cassazione). La sospensione del procedimento con messa alla prova è disposta quanto il giudice, in base ai parametri previsti dall’art. 133 c.p., reputa idoneo il programma di trattamento presentato e se ritiene che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati. A tal fine il giudice valuta che il domicilio indicato nel programma dell’imputato sia tale da assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato. Il procedimento non può essere sospeso per un periodo: * superiore a due anni quando si procede per reati per i quali è l’amministratore prevista una pena detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria; * superiore ad un anno quando si procede per reati per i quali è prevista la pena pecuniaria. Tale termini decorrono dalla sottoscrizione del verbale di messa alla prova dell’imputato. Nell’ordinanza che dispone la sospensione (art. 464 – quinquies c.p.p.) il giudice stabilisce il termine entro il quale la prescrizione e gli obblighi relativi alle condotte riparatorie o risarcitorie imposti devono essere adempiuti; tale termine può essere prorogato per una volta sola e solo per gravi motivi. Il giudice può, con il consenso della persona offesa, autorizzare il pagamento rateale delle somme eventualmente dovute a titolo di risarcimento del danno. L’ordinanza è immediatamente trasmessa all’ufficio di esecuzione penale esterna che deve prendere in carico l’imputato. Durante la sospensione del procedimento con messa alla prova, i giudice, sentiti l’imputato ed il pubblico ministero, può modificare con ordinanza le prescrizioni originarie, ferma restando la congruità delle nuove prescrizioni rispetto alle finalità della messa alla prova. Durante la sospensione del procedimento con messa alla prova il giudice (art. 464 – sexies c.p.p.) con le modalità stabilite per il dibattimento acquisisce a richiesta di parte, le prove non rinviabili e quelle che possono condurre al proscioglimento dell’imputato. Decorso (art. 464 – septies c.p.p.) il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova 27 Osservatorio del diritto il giudice dichiara con sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento dell’imputato e del rispetto delle prescrizioni stabilite, ritiene che la prova abbia avuto esito positivo. A tal fine acquisisce la relazione conclusiva dell’ufficio esecuzione penale esterna che ha preso in carico l’imputato e fissa l’udienza per la valutazione dandone avviso alle parti ed alla persona offesa. In caso di esito negativo della prova il giudice dispone con ordinanza che il processo riprenda il suo corso. La revoca (art. 464 – octies c.p.p.) dell’ordinanza di sospensione è disposta dal giudice anche d’ufficio ed a tal fine il giudice fissa l’udienza, ai sensi dell’art. 127 c.p.p., per la valutazione dei presupposti della revoca dandone avviso alle parti ed alla persona offesa almeno dieci giorni prima. L’ordinanza di revoca è ricorribile in cassazione per violazione di legge. Quando l’ordinanza di revoca è divenuta definitiva il procedimento riprende il suo corso dal momento in cui era rimasto sospeso e cessa l’esecuzione delle prescrizioni e degli obblighi imposti. Nel caso di revoca (art. 464 – nonies c.p.p.) dell’ordinanza di sospensione del procedimento di messa alla prova l’istanza non può essere riproposta. In caso di revoca o di esito negativo della messa alla prova, il pubblico ministero, nel determinare la pena da eseguire, detrae un periodo corrispondente a quello della prova eseguita. Ai fini della detrazione tre giorni di prova sono equipari ad un giorno di reclusione o di arresto ovvero a 250 ero di ammenda o di multa. L’ufficio penale di esecuzione esterna nel corso del procedimento (art. 141 – ter c.p.p.) è tenuto a: * informare, con la cadenza stabilita nel provvedimento di ammissione o comunque non superiore a tre mesi, il giudice dell’attività svolta e del comportamento dell’imputato, proponendo, ove necessario, modifiche al programma di trattamento, eventuali abbreviazioni di esso ovvero, in caso di trasgressioni, la revoca del provvedimento di sospensione; * trasmettere, alla scadenza del periodo di prova, al giudice una dettagliata relazione sul decorso e sull’esito della prova. In definitiva l’istituto predetto rappresenta per il giudice della cognizione una sfida ed un’importante innovazione che lo pone a contatto con le problematiche, normalmente dibattute presso il Tribunale per i minorenni o presso il Tribunale di Sorveglianza, relative al reinserimento sociale, alla rieducazione dell’imputato ed al suo impegno nel risarcimento del danno e nel ristabilimento dell’ordine sociale turbato dalla sua condotta. Vale a dire che il giudice abbandona la tradizionale funzione punitiva per acquisire quella finalizzata al pieno reinserimento sociale del reo ed alla piena soddisfazione delle ragioni della persona offesa del reato. 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In generale e preliminarmente non possiamo che ribadire – laddove fossimo dalla parte della persona offesa – la necessita di un professionista per la redazione della querela: la complessità, infatti, della fattispecie criminosa comporta il rischio che nella redazione vengano inseriti fatti inidonei a configurare il reato e eventualmente tali da far rischiare al redattore della stessa importanti ripercussioni giudiziarie per es. la controquerela per calunnia. È quindi necessario procedere con ordine. Lo stalking (termine inglese traducibile nell’italiano “fare la posta” e divenuto “atti persecutori” nel codice penale) è un reato introdotto con il decreto legge n. 11 del 25 febbraio 2009. Trattandosi di un reato c.d. abituale, la consumazione dell’ultima delle ripetute condotte di molestia e minaccia de- termina l’effettiva realizzazione del reato. È prevista la pena dell’arresto (da sei mesi a 4 anni) a chiunque pedini, assilli, infastidisca pesantemente - con telefonate, insistenti ricerche di contatto - una persona, tanto da causarle gravi stati d’ansia o di paura per la propria incolumità o per quella di un parente prossimo e da costringerla a cambiare abitudini di vita. (612-bis del codice penale). Quindi per accertare la fattispecie di reato de quo devono essere individuati dei comportamenti ripetitivi di invadenza, di intromissione, con pretesa di controllo (per es. quando si minaccia qualcuno costantemente, con telefonate, messaggi, appostamenti, ossessivi pedinamenti), tali da arrecare nella vittima un grave stato di timore per la propria salute e per la propria sicurezza (o per quella di un altro soggetto a lei vicino), tanto da farle alterare - per sfuggire agli atti persecutori - lo stile di vita quotidiano (mutamento del posto di lavoro, rinuncia a svolgere determinate attività, mancanza di libertà nel decidere itinerari e mezzi di spostamento, variazioni di numero di telefono). La giurisprudenza sul punto ha precisato come lo stato patologico debba essere l’amministratore accertato clinicamente (quasi fosse una malattia) e deve avere conseguenze di natura non transitoria. Il termine per la proposizione della querela è di 6 mesi ma il reato resta procedibile d’ufficio quando è commesso nei confronti di un minore o di una persona disabile; in questo caso ovviamente non sarà necessaria la presentazione di una querela. Laddove gli atti persecutori siano particolarmente gravi è possibile applicare allo stalker la custodia cautelare; è tuttavia stata recentemente introdotta una nuova misura cautelare a tutela della vittima del reato di stalking che consiste nel divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Questa recente introduzione interpretativa ha portato la Procura ad ordinare l’allontanamento di stalker anche dalla propria casa realizzando in buona sostanza un vero e proprio sfratto. Date queste premesse appare facile entrare nella fattispecie criminosa che più ci interessa visto che, come è a tutti noto, la realtà condominiale rappresenta terreno assai fertile per la nascita di contrasti e dissidi che possono dirompere nell’area del “penalmente rilevante”. Le statistiche, in particolare, 29 Osservatorio del diritto rilevano che una buona percentuale dei reati di stalking si realizzano all’interno del condominio dove gli animi esacerbati da rancori pregressi e le intolleranze nei rapporti di vicinato che possono tradursi in condotte persecutorie. L’Osservatorio nazionale sullo stalking ha rilevato come soltanto a Roma la figura criminosa de quo rappresenta il 27% dei casi di violenza. Da qui il rigore dei Giudici nell’applicare la norma prevedendo anche una estensione imposta, probabilmente, anche dalla necessità. Ed infatti. Si dal 2011 la Cassazione ha esteso l’applicabilità della norma (612 bis c.p.) anche all’ambito condominiale (cfr. Cass. n.20895) esaminando il caso di un condomino, con una forte sindrome maniacale, che aveva posto in essere una serie di atti molesti contro alcune donne dell’edificio senza che vi fosse alcuna connessione logica tra esse, eccetto il fatto di appartenere al genere femminile. Nell’accertare appieno la responsabilità penale in capo allo stalker, in quella occasione la Suprema Corte ha avuto modo di precisare la sussistenza comunque del fatto di reato ai danni non di un solo soggetto ma “del genere femminile residente nel condominio” in quanto, benchè vittime dirette degli atti persecutori siano state solo alcune donne, il fatto ha generato nelle altre paure e stati d’ansia nell’eventualità di incontrare l’aggressore dell’edificio costringendo- le a mutare le proprie abitudini. Più recentemente (Cass. n. 45648 del 2013), ancora, il Supremo Collegio ha precisato come la fattispecie di reato sia configurabile anche nel caso di reciprocità di atti molesti tra la vittima e il reo (quindi improtante estensione). Il giudice di merito, ribadisce il S.C, avrà l’onere di verificare se, nell’ipotesi di reciprocità delle minacce, vi sia una posizione di ingiustificata predominanza di uno dei due soggetti (predominanza nel caso della sentenza in commento non accertata!) tale da consentire di qualificare le iniziative minacciose e moleste come atti di natura persecutoria. In conclusione quindi: attenti stalker! www.switchonmilano.it Via Mameli 52 20090 Fizzonasco di Pieve E. 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Il condomino, può legittimamente rinunziare all’uso del riscaldamento centralizzato e distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune, senza necessità di autorizzazione od approvazione degli altri condomini, tuttavia, permane il suo obbligo di pagamento delle spese per la conservazione dell’impianto, e di quelle di gestione, se e nei limiti in cui il suo distacco non si risolve in una diminuzione degli oneri del servizio di cui continuano a godere gli altri condomini. Tale principio, già affermato dalla giurisprudenza ha assunto, adesso, veste di diritto positivo in ragione del nuovo art. 1118 c.c., comma 4, così come modificato dalla L. n. 220 del 2012, in vigore dal 18 giugno 2013, cc.dd. riforma del condominio, il quale ha, espressamente, ammesso la possibilità del singolo condomino di distaccarsi dall’impianto centralizzato di riscaldamento o di raffreddamento qualora questi dimostri che dal distacco non derivino notevoli squilibri di funzionamento od aggravi di spesa per gli altri condomini. Il perdurante obbligo contributivo può estendersi anche al combustibile se il costo di esercizio dell’impianto (rappresentato anche dall’acquisto di carburante necessario per l’esercizio dell’impianto) dopo il distacco non sia diminuito. Infatti se la quota di mancata diminuzione del consumo di combustibile non sia posta a carico del condomino distaccante, gli altri condomini sarebbero aggravati nella loro posizione dovendo farsi carico anche della quota spettante al condomino distaccato. Cassazione Civile, seconda Sezione, sentenza n. 9526 del 30 aprile 2014 La Corte Suprema si è evidentemente preoccupata di proclamare che quanto ha stabilito decidendo un antico relativo a fatti occorsi nel 1998 può essere applicato anche alle nuove cause, poiché corrisponde alla corretta interpretazione del nuovo testo dell’articolo 1118 quarto comma c.c. In virtù di tale espresso avvertimento, la sentenza in commento diventa faro utilissimo per l’amministratore e per le assemblee. Le indicazioni da considerare prendono avvio da un dato ormai scolpito nella norma, poiché il condomino che ha operato il distacco rimane comproprietario dell’impianto centrale e continua ad essere obbligato a sostenere gli oneri relativi alla manutenzione e all’adeguamento del bene stesso, salva la possibilità di esonero con il consenso unanime di tutti i condomini. Ne consegue, ad avviso della Corte il perdurare dell’obbligo di partecipare alle spese di consumo del carburante o di esercizio se e nella misura in cui il distacco non ha comportato una diminuzione degli oneri del servizio a carico degli altri condomini, “perché se il costo di esercizio dell’impianto (rappresentato anche dall’acquisto di carburante necessario per l’esercizio dell’impianto) dopo il distacco non è diminuito e se la quota non sarebbe posta a carico del condomino distaccante, gli altri condomini sarebbero aggravati nella loro posizione dovendo farsi carico anche della quota spettante al condomino distaccato”. Giova considerare che nella controversia il CTU aveva verificato che: 1) il quantitativo di gasolio consumato nell’esercizio dell’impianto di riscaldamento comune negli anni successivi al distacco non era diminuito; 2) le modalità del distacco erano stati tali da non escludere completamente le unità degli attori dalla fruizione, sia pure in misura marginale, del calore erogato dall’impianto comune. l’amministratore 31 Sentenze 1243 condominio. Ripartizione delle spese. Delibera che approvi la suddivisione provvisoria delle spese in mancanza di tabelle. La delibera assunta nell’esercizio delle attribuzioni assembleari previste dall’art. 1135, nn. 2 e 3, c.c., relativa alla ripartizione in concreto tra i condomini delle spese condominali, ove, in mancanza di tabelle millesimali del condominio, adotti un criterio provvisorio, deve considerarsi annullabile, non incidendo sui criteri generali da adottare nel rispetto dell’art. 1123 c.c. e la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza di trenta giorni previsto dall’art. 1137, ultimo comma, c.c. . Sono impugnabili in ogni tempo, unitamente al decreto ingiuntivo emesso sulla base di una delibera assembleare, le delibere mille, non sono invece impugnabili nell’ambito delle opposizioni a decreto ingiuntivo le delibere annullabili Cassazione Civile, seconda Sezione, sentenza n. 1438 del 23 gennaio 2014 La seconda parte della massima sembra costituire una sorta di invocazione del giudice, che su quel punto ha sommessamente avvertito di non concordare con numerose pronunce di segno diverso. È accaduto frequentemente che la giurisprudenza delle Sezioni Unite sia stata male intesa e che siano state dichiarate inammissibili in sede di opposizione a decreto ingiuntivo per recupero delle spese condominiali le censure di nullità delle delibere. La Corte ha opportunamente avvertito che la limitazione riguarda soltanto i vizi di annullabilità e quindi quelli che attengono al processo di formazione delle delibere. Si ricorda che le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 4806 del 2005 ha stabilito che debbono qualificarsi mille le delibere dell’assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all’oggetto; debbono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all’oggetto. 1244 condominio. Regolamento di condominio. Clausole relativa all’uso delle parti comuni. Modificabilità a maggioranza. L’approvazione all’unanimità delle disposizioni del regolamento di condominio disciplinanti l’uso delle parti comuni, non conferisce alle stesse e per ciò solo natura contrattuale. Tali disposizioni, pertanto, fanno parte del contenuto normale del regolamento di condominio, di cui all’art. 1138, comma 1, c.c. e possono essere modificate con la maggioranza prevista dal successivo comma 3. Cassazione Civile, seconda Sezione, sentenza n. 9681 del 6 maggio 2014 La Corte Suprema ha ribadito il tradizionale principio per il quale le disposizioni del regolamento di condominio le quali disciplinano l’uso delle parti comuni non possono mai avere natura contrattuale, trattandosi di indicazioni che attengono alla regolamentazione ed alle modalità dell’uso delle cose comuni e non già a limitazioni dei diritti che spettano ai partecipanti al condominio in esito alla loro qualità di contitolari delle cose comuni. Occorre così ricordare che le clausole di natura squisitamente regolamentari non mutano la loro sostanza per il solo fatto che siano state approvate all’unanimità. Nel caso di specie il giudice di legittimità ha ritenuto che la clausola in contestazione facesse parte del contenuto normale del regolamento di condominio, di cui all’art. 1138 c.c., comma 1, per cui poteva essere modificata con la maggioranza prevista dal successivo terzo comma. 32 l’amministratore Sentenze 1245 condominio. Sostituzione dell’impianto centralizzato di riscaldamento con apparecchi unifamiliari.. Nel caso in cui l’assemblea dei condomini deliberi, in conformità agli obiettivi di risparmio energetico di cui alla L. n. 10 del 1991, la sostituzione dell’impianto di riscaldamento centralizzato a gasolio con autonomi impianti a gas metano, non occorre, ai fini della validità della delibera, che questa sia corredata del progetto e della relazione tecnica di conformità, poiché la legge distingue la fase deliberativa da quella attuativa, attribuendo alla prima la mera valutazione di convenienza economica della trasformazione ed alla seconda gli aspetti progettuali, ai fini della rispondenza del nuovo impianto alle prescrizioni di legge. Cassazione Civile, seconda Sezione, sentenza n. 8336 del 9 aprile 2014 Le fibrillazioni che si accendono intorno alle modalità di suddivisione delle spese per l’impianto di riscaldamento potranno portare alcuni a rimeditare sulla opportunità di adottare una soluzione che negli anni recenti è stata poco frequentata. Sono pochi, infatti, coloro che ricorrono alla trasformazione dell’impianto di riscaldamento con impianti individuali, preferendosi sempre più spesso il ricorso alle moderne tecnologie che pongono a disposizioni caldaie di adeguata potenza e di flessibile impiego. Nel caso di specie il giudice di legittimità ha ribadito che la delibera condominiale relativa alla trasformazione dell’impianto di riscaldamento centralizzato condominiale ai sensi della L. n. 10 del 1991, art. 26 è valida anche se non accompagnata dai progetto delle opere corredato dalla relazione tecnica di conformità di cui all’art. 28, comma 1, attenendo tale progetto alla successiva fase di esecuzione della stessa delibera”. Ad avviso del giudice nell’ambito delle operazioni di trasformazione degli impianti di riscaldamento destinate al risparmio di energia, si deve distinguere una fase interna (attinente ai rapporti tra i condomini, disciplinati in deroga al disposto dell’art. 1120 c.c.), da una fase esecutiva esterna (relativa ai successivi provvedimenti di competenza della p.a.) Vuoi risparmiare fino al 30% sui tuoi costi per il riscaldamento e l’acqua adeguandoti a quanto richiesto dalla legge regionale? Ti proponiamo: il noleggio dei nostri apparecchi, un servizio di contabilizzazione certificato ISO 9001:2008, la possibilità di preservare risorse preziose e limitate. ANACI-MI3.indd 2 Tel. 02-96.28.83.48 [email protected] www.istaitalia.it 33 11/03/2014 16:08:31 l’amministratore Sicurezza edifici NUOVO LIBRETTO PER L’ESERCIZIO, LA MANUTENZIONE, IL CONTROLLO E L’ISPEZIONE DEGLI IMPIANTI TERMICI GESTIONE E MODIFICA DEGLI IMPIANTI DI RISCALDAMENTO Antonio De Marco Il Decreto del Ministero dello sviluppo economico del 10 febbraio 2014, ha introdotto i nuovi modelli di LIBRETTO di IMPIANTO per la CLIMATIZZAZIONE degli EDIFICI e per il RAPPORTO di EFFICIENZA ENERGETICA degli stessi, come già indicato dal D.P.R. 74/2013. Il RAPPORTO di EFFICIENZA ENERGETICA, si effettua in occasione degli interventi di controllo e manutenzione, sugli impianti termici di climatizzazione invernale di potenza maggiore di 12 kW e su quelli di climatizzazione estiva di potenza maggiore di 12 kW. Le operazioni di controllo e manutenzione devono essere eseguite da ditte abilitate ai sensi del D.M. 37/2008 e devono essere eseguite secondo le prescrizioni e le periodicità riportate nelle istruzioni tecniche contenute nei libretti di uso e manutenzione che le ditte installatrici devono rendere disponibili a termini di legge. Gli installatori ed i manutentori, abilitati ai sensi del D.M. 37/2008, nell’ambito delle rispettive responsabilità, devono definire e dichiarare al committente, in forma scritta e facendo riferimento alla documentazione l’amministratore 35 Sicurezza edifici tecnica di progetto dell’impianto o del fabbricante de- dalle persone fisiche gli obblighi e le responsabilità gli apparecchi: posti a carico del proprietario, sono da intendersi riferiti agli amministratori. a)quali siano le operazioni di controllo e manutenzione di cui necessita l’impianto da loro installato o ma- III)Chi è il Responsabile dell’impianto termico? nutenuto, per garantire la sicurezza delle persone e a)È l’occupante, a qualsiasi titolo, in caso di singole delle cose. unità immobiliari residenziali; b)con quale frequenza le operazioni di ci sopra, vanb)Il proprietario dell’unità immobiliare nel caso di no effettuate. singole unità immobiliari non locate; I nuovi 14 modelli, che sostituiscono il LIBRETTO di IMPIANTO e il LIBRETTO di CENTRALE, già in- c)L’amministratore, in caso di edifici dotati di impianti trodotti dal D.M. 17.03.2003, dovranno essere adotta- termici centralizzati amministrai in condominio; ti dal 01 giugno 2014. d)Il proprietario o l’amministratore delegato (ad) in caso di edifici di proprietà di soggetti diversi dalle perPer gli impianti preesistenti a tale data, il LIBRETTO sone fisiche. di IMPIANTO o il LIBRETTO di CENTRALE, dovranno essere allegati al nuovo modello introdotto. IV)Chi è il Terzo Responsabile dell’impianto terIl LIBRETTO di IMPIANTO e il LIBRETTO di CEN- mico? TRALE, già presenti devono essere conservati, a cuÈ la persona giuridica che, essendo in possesso dei ra del Responsabile di impianto, ed allegati ai nuovi. requisiti previsti dalle normative vigenti e comunque di capacità tecnica, economica e organizzativa adeguaDopo la compilazione i nuovi modelli devono esseta, al numero, alla potenza ed alla complessità degli re trasmessi ovvero inseriti nel CATASTO TERRITORIALE degli IMPIANTI TERMICI che, ciascuna <impianti gestiti>, è delegata dal Responsabile di imREGIONE deve istituire in attuazione dell’art. 10- pianto, ad assumere: comma 4 del D-P.R. 74/2013. a)Responsabilità di esercizio; Per quanto riguarda la REGIONE LOMBARDIA, è b)Responsabilità di conduzione; già operativo il CURIT (Catasto Unico Regionale Impianti Termici) c)Responsabilità di controllo; Vediamo quali sono le figure coinvolte in tale <adem- d)Responsabilità di manutenzione e dell’adozione pimento> e le varie attribuzioni. delle misure necessarie al contenimento dei consumi energetici. I)Cos’è un Impianto termico? È un impianto tecnologico destinato ai servizi di climatizzazione invernale e/o climatizzazione estiva e/o produzione di acqua calda sanitaria (ACS), indipendentemente dal vettore energetico utilizzato. Non sono considerati impianti termici i sistemi dedicati esclusivamente alla produzione di ACS al servizio di singole unità immobiliari ad uso residenziale e assimilate. Nel caso di impianti di potenza al focolare superiore a 350 kW, ferma restando la normativa vigente in materia di appalti pubblici, il Terzo Responsabile deve essere in possesso di certificazione UNI EN ISO 9001 relativa all’attività di gestione e manutenzione degli impianti termici, o attestazione rilasciata ai sensi del D.P.R. 05.10.2010 N. 207 nelle categorie OG 11 impianti tecnologici oppure OS 28. II)Chi è il Proprietario dell’impianto termico? V)Cosa si intende per esercizio di un impianto terIl proprietario dell’impianto termico è il soggetto che, mico? in tutto o in parte è proprietario dello stesso. È l’attività che dispone e coordina, nel rispetto delNel caso di edifici dotati di impianti centralizzati am- le prescrizioni relative alla sicurezza, al contenimento ministrati in condominio e nel caso di soggetti diversi dei consumi energetici e alla salvaguardia dell’ambiente, le attività relative all’impianto termico, come 36 l’amministratore Sicurezza edifici la conduzione, la manutenzione e il controllo, e altre operazioni per specifici componenti d’impianto. materiali di consumo d’uso corrente. È un operatore abilitato che esegue le operazioni di conduzione dell’impianto. Passiamo ora alla elencazione sintetica delle singole <SCHEDE> incluse nel LIBRETTO di IMPIANTO e di RAPPORTO di EFFICIENZA ENERGETICA. XII)Cosa si intende per manutenzione straordinaria VI)Cosa si intende per conduzione dell’impianto ter- di un impianto? mico? Sono gli interventi atti a ricondurre il funzionamenÈ l’insieme delle operazioni necessarie per il normale to dell’impianto a quello previsto dal progetto e/o dalfunzionamento dell’impianto, che non richiedono l’u- la normativa vigente, mediante il ricorso, in tutto o in so di utensili ne di strumentazione al di fuori di quella parte, a mezzi, attrezzature, strumentazioni, riparazioinstallata sull’impianto. ni, ricambi di parti, ripristini, revisione o sostituzione di apparecchi o componenti dell’intero impianto terVII)Chi è il conduttore dell’impianto termico? mico. L’abilitazione alla conduzione degli impianti termici è rilasciata dalle Province, ovvero dall’Ente che la sosti- Il LIBRETTO di IMPIANTO prevede le seguenti 14 tuisce, mediante l’organizzazione di specifici corsi, al- SCHEDE come sotto riportato. la fine dei quali rilascia ai partecipanti un patentino di abilitazione. Purtroppo non è prevista una specifica scheda, riferita al camino e/o alla canna fumaria. VIII)Cosa si intende per controllo dell’impianto termico? È noto che, sia per quanto riguarda il rendimento e sia per le condizioni di sicurezza, È la verifica del grado di funzionalità ed efficienza di un apparecchio o di un impianto eseguita da un opera- il sistema di evacuazione (camino o canna fumaria) tore abilitato ad operare sul mercato, sia al fine dell’at- costituisce un elemento fondamentale. tuazione di eventuali operazioni di manutenzione e/o riparazione, sia per valutare i risultati conseguiti con Sarebbe stato più opportuno che una scheda fosse dedicata alla verifica delle condizioni di tutto il sistema le dette operazioni. di combustione e cioè dal punto di afflusso di aria e IX)Cos’è un’ispezione sull’impianto termico? combustibile, a punto di emissione in atmosfera dei prodotti di combustione. È un intervento di controllo tecnico e documentale in sito, svolto da esperti qualificati, incaricati dalle pub- Si riporta qui di seguito l’elenco delle singole SCHEbliche autorità competenti, mirato a verificare che DE, con una descrizione sintetica per ciascuna scheda, l’impianto rispetti le prescrizioni di legge. e indicazione del soggetto che deve compilarla e sottoscriverla. X)Cosa si intende per manutenzione di un impianto? È l’insieme degli interventi necessari, svolti da tecnici abilitati operanti sul mercato, per garantire nel tempo la sicurezza e la funzionalità e conservare le prestazioni dell’impianto entro i limiti prescritti. XI)Cosa si intende per manutenzione ordinaria di un impianto? Sono le operazioni previste nei libretti d’uso e manutenzione degli apparecchi e dei componenti che possono essere effettuate sul posto, con strumenti ed attrezzature di corredo agli apparecchi ed ai componenti stessi e che comportino solo l’impiego di attrezzature e l’amministratore 37 Sicurezza edifici 1.SCHEDA IDENTIFICATIVA dell’IMPIANTO Questa scheda, che deve essere compilata e sottoscritta dal Responsabile dell’impianto, comprende: 1.1 Tipologia dell’intervento Nella scheda deve essere specificato se trattasi di nuova installazione, ristrutturazione, sostituzione generatore, ecc. 1.2 Ubicazione e destinazione dell’edificio Deve essere indicato il volume riscaldato, volume raffreddato, la categoria dell’edificio, (E1, E2,.. ecc. 1.3 Impianto termico destinato a servizi Bisogna specificare se trattasi di climatizzazione invernale, climatizzazione estiva, produzione di acqua calda sanitaria, potenza utile, ecc…. 1.4 Tipo di fluido vettore Si deve precisare se il fluido vettore è acqua, aria, gas refrigerante, ecc.. 1.5 Individuazione Tipologia dei generatori Bisogna specificare il tipo di trasformazione energetica: combustione, pompa di calore, macchina frigorifera, cogenerazione, teleriscaldamento/teleraffrescamento, pannelli solari, ecc.. 1.6 Responsabile dell’impianto Si devono riportare le generalità del Responsabile: cognome nome, ragione sociale, ecc.. Ragione sociale………………………………. CCIIA………………………………………… Si allega contratto 4.GENERATORI La scheda riferita ai generatori, deve essere compilata dall’installatore. Tra l’altro si devono indicare le caratteristiche di gruppi termici, bruciatori, pompe, recuperatori, scambiatori, ecc... L’installatore deve anche riportare i dati di macchine frigorifere, di eventuali cogeneratori e/o impianti solari, ecc... 5.SISTEMI di REGOLAZIONE e CONTABILIZZAZIONE Anche questa scheda deve essere compilata e sottoscritta dall’installatore che, tra l’altro deve specificare il sistema di regolazione primaria (regolazione on-off, sistema con curva climatica integrata al generatore, curva climatica indipendente, ecc..), la regolazione di singolo ambiente o zona (termostato di zona on-off, termostato di zona o ambiente con controllo proporzionale, ecc..) Ed il sistema di contablizzazione e telegestione. 6. SISTEMI di DISTRIBUZIONE In questa scheda, l’installatore deve specificare il tipo di distribuzione (verticale a colonne montanti, orizzon2.TRATTAMENTO ACQUA tale a zone, canali aria, ecc..), le condizioni di coibentaa cura dell’installatore La scheda deve essere compilata dall’installatore, all’at- zione della rete, le caratteristiche del vaso di espansione to della prima installazione o in caso di modifiche. De- e delle pompe di circolazione. ve essere specificato il contenuto acqua, la durezza in gradi francesi, il tipo di trattamento sui circuiti di cli- 7. SISTEMA di EMISSIONE matizzazione e sui circuiti acqua calda sanitaria ACS. L’installatore deve specificare il tipo di apparecchi Nel caso di climatizzazione estiva, bisogna anche se- terminali negli ambienti (radiatori, termoconvettori, gnalare il tipo di trattamento sulla acqua di raffredda- ventilconvettori, pannelli radianti, bocchette, strisce ramento. dianti, travi fredde, altro, ecc…) 3.NOMINA del TERZO RESPONSABILE dell’IMPIANTO TERMICO a cura del Responsabile È riportato un fac-simile per la nomina del Terzo Responsabile. Alla scheda di nomina, bisogna allegare anche il contratto. Facsimile: il sottoscritto………… responsabile dell’impianto termico in qualità di proprietario oppure amministratore, affida la responsabilità dell’impianto termico alla ditta……………………… 38 8.SISTEMA di ACCUMULO L’installatore deve descrivere nella scheda il tipo di accumulo nei vari circuiti acs, riscaldamento, raffrescamento 9. ALTRI COMPONENTI DELL’IMPIANTO a cura dell’installatore Questa scheda prevede la descrizione di Torri evaporative, raffreddatori di liquido, scambiatori, unità di trattamento aria UTA, recuperatori di calore, ecc… l’amministratore Sicurezza edifici 10.IMPIANTO di VENTILAZIONE MECCANICA CONTROLLATA VMC La ventilazione meccanica controllata VCM consiste nella circolazione forzata di aria in ambiente, tramite un <recuperatore>, dotato di ventilatori, che sottrare calore all’aria in espulsione e la fornisce all’aria esterna che affluisce in ambiente. L’installatore in questa schede deve descrivere il sistema cosiddetto CM. previsto, rendimento di combustione, ha avuto il seguente esito: -positivo; - negativo; Note…………………………………………… 14.REGISTRAZIONE dei CONSUMI dei VARI ESERCIZI La scheda n. 14 è molto importante: deve essere compilata-sottoscritta dal Responsabile o eventuale Terzo 11.RISULTATI della PRIMA EFFETTUATA Responsabile-In essa sono riportati-per singola stadall’installatore e delle VERIFICHE gione di funzionamentoPERIODICHE SUCCESSIVE EFFETTUATE dal I vari consumi riscontrabili sull’impianto. 14.1 Consumo di combustibile manutentore Questa scheda deve essere compilata e sottoscritta dal Esercizio………/……Acquisti………………… manutentore che, a fronte dei prove strumentali, deve Scorta o lettura inziale…………………………… indicare tutte le caratteristiche e condizioni di combu- Scorta o lettura finale…………………………… stione (Temperatura fumi misurata, temperatura aira Consumo………………………………………… comburente, O2 %, CO2 %, Indice di Bacharach, CO 14.2 Consumo di energia elettrica nei fumi secchi p.p.m. (v/v), portata combustibile in Esercizio………/……… mc/h oppure kg/h, rendimento di combustione, ecc...) lettura inziale kWh……………………………… Il manutentore deve altresì indicare le condizioni di lettura finale kWh……………………………… funzionamento di macchine frigo, pompe di calore Consumo totale kWh…………………………… (refrigerante, assenza perdite, modalità di funzionamento: caldo-freddo, T condensazione, T evaporazio- 14.3 Consumo acqua di reintegro nel circuito ne, sorgente: aria, acqua, ecc..) e degli scambiatori e dell’impianto termico di eventuali cogeneratori con particolare riguardo alle Esercizio………/……… lettura inziale mc/litri………………………… emissioni in atmosfera. lettura finale mc/litri…………………………… Consumo totale mc /litri……………………… 12.INTERVENTI di CONTROLLO EFFICIENZA ENERGETICA Anche questa scheda è compilata dal manutentore che 14.4 Consumo prodotti chimici per il trattamento deve registrare cronologicamente tutti i tipi di con- dell’acqua del circuito dell’impianto termico trollo effettuati (data, controllo, ragione sociale ma- Esercizio………/……… nutentore, iscrizione CCIA, ecc…) Nome prodotto………………………………… Circuito impianto termico kg/ litri……………… Circuito ACS kg/litri…………………………… 13.RISULTATI delle ISPEZIONI PERIODICHE Altri circuiti kg/litri…………………………… EFFETTUATE a cura dell’ENTE COMPETENTE TENUTA del LIBRETTO di IMPIANTO La scheda 13 è riservata alle ispezioni effettuate Il libretto di impianto in formato cartaceo va consesull’impianto da parte di tecnici/esperti incaricati dall’Autorità competente: Comune, Provincia (o che gnato dal Responsabile uscente a quello subentrante in caso di trasferimento dell’immobile, a qualsiasi tine assumerà le funzioni, ecc..). Il modello è predisposto secondo l’allegato facsimile. tolo, a cui è asservito l’impianto; -Ispezione eseguita da…………………………… In caso di nomina di Terzo Responsabile, a fine conPer conto di………………… Ente Competente tratto il terzo responsabile ha l’obbligo di riconsegnaLa verifica della documentazione impianto, dell’av- re al Responsabile il libretto di impianto, debitamente venuto controllo e eventuale manutenzione e, ove aggiornato, con relativi allegati. l’amministratore 39 Sicurezza edifici IL LAVORO SOLITARIO IN CONDOMINIO Cristoforo Moretti Il tema di questo contributo è l’insieme delle misure di prevenzione per tutelare il lavoratore solitario, colui cioè che lavora da solo in un ambiente privo di persone. A questa categoria appartengono spesso i lavoratori notturni e, nel mondo della proprietà immobiliare, l’argomento interessa principalmente i “portieri di notte” che, essendo soli per tutto il turno, potrebbero trovarsi in difficoltà ed impossibilitati a segnalarlo in caso di infortunio. Questa problematica, teoricamente, è presente anche per il classico portiere “diurno” che, in alcuni momenti della giornata o dell’anno (in occasione di periodi feriali, per esempio), può essere considerato lavoratore solitario. Il lavoratore diurno, però, ha pressoché sempre riscontri automatici costituiti dagli incontri con i condòmini e con i visitatori, dall’arrivo del postino, dalle telefonate personali: è quindi in generale automaticamente controllato. Non sono comunque da escludere i casi particolari, per i quali il lavoratore diurno solitario possa ricadere in situazioni tali da dover comportare una valutazione per le stesse problematiche che illustriamo per il lavoratore notturno solitario. Non dimentichiamo, alcuni anni fa, il custode di residence alpino rimasto dodici giorni chiuso nell’ascensore rotto senza che nessuno se ne accorgesse, e salvato per puro caso. I rischi derivati dal lavoro solitario non sono particolarmente normati e devono quindi essere considerati in un ragionamento globale di 40 prevenzione degli infortuni in funzione della mansione del lavoratore. La valutazione dei rischi per un lavoratore notturno solitario deve prevedere sempre e comunque la fornitura di un telefono cellulare da portare indosso, per allertare i servizi di soccorso pubblici. Ma è anche possibile che il lavoratore perda conoscenza e quindi non sia in grado di allertare volontariamente i soccorsi. Esistono sul mercato dispositivi automatici detti “a uomo morto” che, in caso di assenza di movimenti del lavoratore per un tempo stabilito, inviano un segnale di allarme convenzionale a call center privati che allertano i soccorsi. Non dimentichiamo che oltre ad arrivare sul posto, i soccorritori devono essere in grado di raggiungere il lavoratore nel luogo in cui l’infortunio è avvenuto (cosa non sempre così banale, ma favorita oggi dai sistemi GPS). Esistono anche procedure operative dirette che, sempre con riferimento a call center privati, prevedono periodiche chiamate di controllo e, in caso di necessità, allertano automaticamente i soccorsi. Ci sono controindicazioni a questi sistemi, principalmente basate sulla possibilità di falsi allarmi e sulla ripetitività delle procedure che, col tempo, ne compromettono l’efficacia. Inoltre, ove fosse possibile che il lavoratore si assopisca durante il lavoro notturno (il custode in questi casi si può ridurre a svolgere il ruolo di “piantone”, che non favorisce l’attenzione e lo l’amministratore Sicurezza edifici stato di coscienza) deve essere previsto un sistema alternativo, essendo ogni sistema “a uomo morto” ovviamente inutilizzabile. La collaborazione di un istituto di vigilanza che riscontri lo stato di coscienza del custode appare la soluzione in generale più consigliabile, ma sono possibili altre soluzioni, più artigianali ed economiche ma comunque efficaci, tramite l’impostazione di una procedura che coinvolga almeno due diversi lavoratori notturni. Ripartiamo da capo. L’amministratore pro tempore di un condominio che ha un dipendente “portiere di notte”, che da solo lavora a notte fonda per custodire gli ingressi e/o le parti comuni condominiali, in qualità di datore di lavoro deve preoccuparsi preventivamente della eventualità che un lavoratore subisca un malore o un infortunio e sia necessario chiamare i soccorsi. Perché se non se ne preoccupasse, e se il lavoratore a causa del ritardo dei soccorsi dovesse subire un maggiore danno rispetto a quanto capitato, il datore di lavoro potrebbe subire serie conseguenze per non aver opportunamente tutelato l’integrità fisica del prestatore di lavoro (art.2087 cc, molto prima del d.lgs. 81/2008). In primo luogo è necessario che il lavoratore notturno venga giudicato idoneo tramite la visita medica di idoneità biennale, di cui abbiamo parlato nel numero precedente di questa rivista. Successivamente, il portiere di notte deve essere dotato come minimo di un telefono cellulare condominiale, con il quale possa – da ogni parte comune anche interrata – allertare i numeri pubblici di soccorso ed anche l’amministrazione, che deve dotarsi di un numero telefonico sempre reperibile, anche a notte fonda. Inoltre è necessario che il lavoratore sia sempre fisicamente rintracciabile in caso di emergenza: tirando giù dal letto qualche condòmino, se necessario per farsi accompagnare a cercare il lavoratore, oppure – per i condomìni delle località di vacanza vuoti in bassa stagione – dotando il lavoratore anche di un dispositivo “a uomo morto” con funzione GPS, oppure ancora stipulando un contratto di assistenza di eventuale primo soccorso con società private che vengano preventivamente istruite sulle caratteristiche distributive delle parti comuni, o con la collaborazione di istituti vigilanza privata che possano guidare i soccorritori. Come si diceva in precedenza, un istituto di vigilanza privata potrebbe anche essere una soluzione al controllo periodico della presenza vigile del portiere durante le notti. Un sistema diverso, molto più economico, è possibile ma richiede almeno la disponibilità di due lavoratori notturni (in due diversi posti di lavoro). Uno studio di amministrazione, che amministra almeno due diversi condomìni ciascuno con lavoratore notturno, può impostare la seguente procedura: i due lavoratori si scambiano sms di verifica ogni ora (per esempio il lavoratore “A” manda un sms ogni ora dispari, il lavoratore “B” risponde ogni ora dispari ed invia sms ogni ora pari); ogni messaggio sms viene anche inviato – per controllo incrociato – al cellulare di reperibilità dell’amministrazione. In caso di mancata risposta entro 5 minuti, il lavoratore che ha inviato il sms telefona al collega e se necessario (mancata risposta, risposta con allarme o dubbio) allerta i soccorsi e l’amministrazione. Tutto questo è ovviamente incompatibile con la possibilità per il lavoratore di dormire sul posto di lavoro: questa concessione renderebbe ogni eventuale controllo impossibile, quindi va sconsigliata al massimo. In conclusione, si ribadisce che le problematiche da risolvere sono soprattutto due: 1) verificare costantemente le condizioni del lavoratore allo scopo di poter intervenire tempestivamente in caso di evento negativo e 2) condurre i soccorritori nel luogo in cui si trova il lavoratore in caso di malore o infortunio. Non si deve (continuare a) fare finta di niente: il problema c’è e va affrontato. l’amministratore 41 Sicurezza edifici e lavoratori PERICOLI Pericoli condominiali CONDOMINIALI a cura di Cristoforo Moretti a cura di Cristoforo Moretti Questa rubrica si occupa di evidenziare situazioni di pericolo presenti nei condomini italiani. rubrica si occupa di evidenziare situazioni di pericolo presenti nei condomini italiani. AQuesta prescindere dall’eventuale applicabilità al condominio delle leggi sulla sicurezza del lavoro, gli A prescindere dall’eventuale applicabilità al condominio delle leggi sulla sicurezza del lavoro, gli edifici non devono edifici non devono essere pericolosi per chi li abita, per chi ci lavora, per chi li visita: i codici e la essere pericolosi per chi li abita, per chi ci lavora, per chi li visita: i codici e la giurisprudenza ci insegnano da sempre che giurisprudenza ci insegnano da sempre che i danni ingiusti devono essere evitati. i danni ingiusti devono essere evitati. Le immagini che seguono vogliono contribuire a diffondere una cultura di prevenzione. Le immagini che seguono vogliono contribuire a diffondere una cultura di prevenzione. 71. Prolunghe elettriche irregolari Dopo la scheda n.34, ribadiamo come le prolunghe elettriche utilizzate dai dipendenti di condominio possano mostrare sorprese poco piacevoli: sopra, nel tempo la prolunga è stata manomessa in 6 (sei!) diversi punti; a lato, un allacciamento elettrico trasformato in un cappio pericolosissimo. I dipendenti vanno controllati. Spesso, se è necessario. 42 l’amministratore Sicurezza edifici e lavoratori 72. Scelte sbagliate Come un’astronave aliena emerge dal buio un muretto piastrellato; il rivestimento è nuovo di pochi mesi, perfettamente antiscivolo, rugoso, assorbente: quasi un peccato che questo pregiato materiale sia sui muri di un locale immondizia. (Tra qualche anno lo cambieranno perché – nonostante le pulizie manuali – lo stato di conservazione sarà inaccettabile per le incrostazioni e le macchie e forse anche per gli odori). l’amministratore 43 Problemi del lavoro AGGIORNAMENTI SUL “BONUS 80 €” Vincenzo Di Domenico Con decorrenza dal mese di Maggio o tuttalpiù da Giugno prossimo il bonus di “80 €” verrà erogato in automatico dai sostituti d’imposta. Il recupero potrà avvenire: • fino a capienza dell’ammontare complessivo delle ritenute disponibili in ciascun periodo di paga e per la parte, eventualmente, eccedente dai contributi; • utilizzando l’ammontare complessivo delle ritenute disponibili in ciascun periodo di paga, compensando le ritenute relative all’Irpef, alle addizionali regionale e comunale, nonché le ritenute relative all’imposta sostitutiva sui premi di produttività o al contributo di solidarietà. L’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n° 48/E del 7 maggio 2014, istituisce il nuovo codice tributo “1655”, denominato “Recup ero da parte dei sostituti d’imposta delle somme erogate ai sensi dell’articolo 1 del D.L. 24 aprile 2014, n.66” che i datori di lavoro, sostituti d’imposta, potranno utilizzare sul Mod. F24 per recuperare le somme erogate in busta paga, ai lavoratori aventi diritto, a titolo di bonus. Inoltre, la suddetta circolare, precisa che in sede di compilazione del modello di versamento F24 il codice tributo è esposto nella sezione “Erario” in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a credito compensati”, nella colonna con l’indicazione nel campo “rateazione/regione/prov./mese rif.” e nel campo “anno di riferimento”, del mese e dell’anno in cui è avvenuta l’erogazione del beneficio fiscale, rispettivamente nel formato “00MM” e “AAAA”. Il problema non esiste per i collaboratori familiari. I datori di lavoro domestici non sono, infatti, sostituti di imposta e non possono anticipare il credito. Pertanto i collaboratori familiari che ne avranno diritto potranno ottenerlo in sede di dichiarazione dei redditi che tra l’altro, proprio perché non sono soggetti ad alcuna ritenuta, sono comunque obbligati a presentare anche se hanno solo il reddito di lavoro dipendente e non sono “incapienti”. In questa sede indicheranno tutti i redditi percepiti da tutti i sostituti e i diversi periodi di lavoro ed in tal caso, secondo le modalità che saranno specificate nei modelli delle dichiarazioni dei redditi 2015 relative all’anno d’imposta 2014, conseguentemente potranno, utilizzare l’eventuale CREDITO: »» in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del D. Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, »» richiedendo il rimborso. 44 l’amministratore Problemi del lavoro AGENZIA DELLE ENTRATE CIRCOLARE N°8-E / 2014 Vincenzo Di Domenico A seguito della pubblicazione del DL n° 66/2014 l’Agenzia delle Entrate, allo scopo di rendere chiaro quanto è disposto nel decreto citato ha emanato la Circolare n. 8/E del 28 aprile 2014; in essa vengono riportati i chiarimenti in relazione al bonus spettante ai titolari di reddito di lavoro dipendente e di taluni redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, la cui imposta lorda, determinata su detti redditi, sia di ammontare superiore alle detrazioni da lavoro loro spettanti. Come noto, l’ammontare del bonus è pari ad euro 640 per i possessori di reddito complessivo non superiore a 24.000 euro; in caso di superamento del predetto limite il credito decresce fino ad azzerarsi al raggiungimento di un livello di reddito complessivo pari a 26.000 euro. I sostituti d’imposta riconosceranno il credito spettante, di euro 640 per i possessori di reddito complessivo non superiore a € 24.000; in caso di superamento del predetto limite il credito decresce fino ad azzerarsi al raggiungimento di un livello di reddito complessivo pari a € 26.000. L’Agenzia precisa, a partire dalle retribuzioni erogate nel mese di maggio in base al reddito previsionale e alle detrazioni riferiti alle somme e valori che il sostituto corrisponderà durante l’anno 2014 e tenendo conto dei valori comunicati dai lavoratori relativamente a redditi rivenienti da altri rapporti di lavoro intercorsi nel periodo d’imposta, che il credito d’imposta dovrà essere riconosciuto automaticamente da parte dei sostituti d’imposta, senza attendere alcuna richiesta esplicita da parte dei beneficiari stessi. In particolare l’Agenzia si sofferma su chi potrà essere potenzialmente beneficiario del credito sono innanzitutto tutto i contribuenti il cui reddito complessivo è formato: • dai redditi di lavoro dipendente; • dai redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente. Pertanto “in via automatica…” senza attendere alcuna richiesta esplicita da parte dei beneficiari i sostituti d’imposta potranno erogare la quota di credito spettante: • a partire dalle retribuzioni erogate nel mese di maggio ovvero, nelle ipotesi in cui ciò non sia possibile per ragioni tecniche legate alle procedure di pagamento delle retribuzioni, a partire dalle retribuzioni erogate nel successivo mese di giugno; • utilizzare l’ammontare complessivo delle ritenute disponibile in ciascun periodo di paga; • in caso di incapienza, per la differenza, i contributi previdenziali dovuti per il medesimo periodo di paga. Il bonus va anche ai contribuenti che prestano la loro attività senza sostituto d’imposta I soggetti titolari, nel corso dell’anno 2014, di redditi di lavoro dipendente, le cui remunerazioni sono erogate da un soggetto che non è sostituto di imposta tenuto al riconoscimento del credito in via automatica, quali ad esempio il datore di lavoro che ha alle dipendenze una colf, oppure il proprietario unico di un immobile che occupa un custode, ecc…, e tutti gli altri soggetti il cui rapporto di lavoro si è concluso prima del mese di maggio, potranno chiedere il credito nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta 2014, utilizzarlo in compensazione, oppure richiederlo a rimborso. La determinazione del periodo di lavoro nell’anno cui deve essere rapportato il bonus va effettuata considerando il numero di giorni lavorati nell’anno. l’amministratore 45 Varie ed eventuali LA MILANO DI BOMBAY Pinuccio Del Menico I suoi spettacoli cominciavano sempre con lei che suonava la campanella. Poi caricava il grosso organetto e simulava un concerto leggendo la partitura attraverso giganteschi occhiali bianchi. Suonava i piatti e a suon di musica saliva sui birilli girando di tanto in tanto un cartello di metallo con sopra scritto: “Attenti ai borsaioli”. Una Milano cambiata poco verrebbe da dire. Alla fine allungava verso bambini e genitori la sua proboscide per raccogliere monete e noccioline garantendo la propria felicità e anche quella dell’istruttore. Il suo nome era Bombay, è stata per più di 50 anni, l’intera sua vita, la star dello zoo della nostra città. Vi arrivò nel 1936 e morì nel febbraio 1987, poco prima della chiusura dello zoo stesso. Bombay riposa lì vicino, nel Museo di Storia Naturale dove la parte superiore del suo corpo, dopo essere stata imbalsamata, è stata portata. Anche lei ha vissuto nel suo piccolo, anche nel senso della gabbia che la ospitava, il cambiamento di una zona che i suoi grandi occhioni vedevano divisa in due. Da una parte i giardini, dall’altra Palazzo Dugnani. Ed era una Milano già trasformata rispetto a due secoli e mezzo prima, quando fuori da Porta Nuova non c’era piazza Cavour, ma piazza della Canonica e nelle vie Fatebenefratelli e Senato (allora strada di San Pietro Celestino) scorreva il Naviglio. La chiesa di San Bartolomeo demolita per fare spazio alla nuova via Principe Umberto che collegava con la Stazione Centrale, l’odierna via Turati. Proprio davanti agli archi cominciava la strada della Cavalchina, ovvero l’attuale via Manin. Il nome derivava dalla famiglia Boniforte Guidobono Cavalchini, proprietaria di una ampio caseggiato lungo la via che le cronache dell’epoca definivano “angusta e melanconica”. Il palazzo, datato XVII secolo, fu residenza dei Cavalchini fino al 1730, quando la proprietà venne ceduta ai Casati che a loro volta, 23 anni dopo, la vendettero ai Dugnani, illustre famiglia meneghina che vantava nel suo casato anche il cardinale Antonio. Iniziò così un’epoca illuminata per il palazzo. Il poeta Andrea Oltolina vi stabilì l’Accademia dei Fenici facendolo diventare uno dei maggiori centri di pensiero di Milano. Nel 1835 morì l’ultima erede diretta, Teresa Dugnani Viani, e la proprietà passò al conte Giovanni Vimercati che vi installò la sua collezione naturalistica personale chiamandola “Museo di Storia Naturale”. Nel 1846 il Vimercati vendette palazzo e collezione al Comune che ne fece la prima sede del museo poi trasferito in corso Venezia. Se la casa dei Cavalchini è adesso il meraviglioso Palazzo Dugnani è merito di Giuseppe Casati, ricco affarista e nobile emergente dopo avere ottenuto il feudo di Spino d’Adda che, per ottenere prestigio di fronte alle storiche famiglie milanesi, commissionò le decorazioni al Tiepolo che realizzò il grandioso dipinto sul soffitto della sala da ballo. Oggi il palazzo ospita i laboratori delle serre e il museo del cinema (ma non dovrebbe sorgerne un altro o forse essere trasportato alla vecchia Manifattura Tabacchi?), ma fino al 1977 era anche sede della Civica Scuola Femminile Alessandro Manzoni fondata il 23 maggio 1861 dal parlamentare milanese Carlo Tenca ed intitolata a Don Lisander nel 1886. All’inizio era composta da una sola classe di 24 allieve ospitata nell’elementare di via Bassano Porrone, poi sede in via Borgospesso prima di giungere, nel decennio successivo, a Palazzo Dugnani. Una scuola concepita per dare “un’istruzione mezzana soda ed appropriata” così è scritto 46 l’amministratore Varie ed eventuali nella delibera comunale del 4 giugno 1861. Fu la prima scuola femminile laica pur senza alcun intento polemico visto che il primo direttore fu don Bergoglio il quale intese subito che una scuola come questa dovesse soddisfare un diritto che nella società moderna compete anche alle donne: “il diritto alla cultura”. Carlo Tenca (Milano, 19 ottobre 1816 - Milano, 4 settembre 1883),patriota, letterato, giornalista e politico italiano, fu tra i maggiori protagonista dei moti rivoluzionari che portarono alle 5 Giornate e grande animatore del salotto della contessa Clara Maffei, alla quale era sentimentalmente legato e che riposa vicino a lui al Monumentale. Ne “Il cimitero di Praga”, edito nel 2010, Umberto Eco ha reso omaggio a Carlo Tenca usando un passo del “La cà dei cani” come epigrafe del suo romanzo. A Carlo Tenca è intitolato uno storico liceo Milanese, già Regio Istituto Magistrale. Al patriota milanese può ben essere legato il nome del veneziano Daniele Manin cui è intitolata la via sulla quale si affaccia Palazzo Dugnani. Un legame non stretto in senso fisico, ma idealistico. Negli stessi giorni la comune lotta per la libertà. Il primo nelle 5 Giornate, il secondo che con Niccolò Tommaseo venne liberato a furor di popolo dai Piombi di Venezia il 17 marzo 1848. Il 22 marzo, giorno in cui venne innalzato il vessillo tricolore su Porta Tosa, che divenne così Porta Vittoria, sancendo la cacciata degli austriaci da Milano, Tommaseo venne proclamato primo Presidente della Repubblica di San Marco. Morì in esilio a Parigi il 22 settembre 1857. Le sue ceneri ritornarono a Venezia solo dopo quasi due anni dal termine della Terza Guerra di Indipendenza, un altro 22 marzo, quello del 1868, accompagnate da una processione lungo la Riva degli Schiavoni e accolte da una festa funebre in piazza San Marco. Il figlio Giorgio Manin seguì le orme del padre divenendo uno dei Mille di Garibaldi, ferito a Calatafimi. IN MARMORESIN® PROTEGGETE IL VOSTRO IMMOBILE CON IL COPRIMURO DI ULTIMA GENERAZIONE s s Evita gonfiori dell’intonaco Evita spaccature del muro Il Coprimuro in marmoresin® è la soluzione innovativa per la protezione di muri e parapetti, evitando quindi interventi di rifacimento, tutelando nel tempo il valore della vostra casa e il conseguente risparmio. Il risultato è un prodotto totalmente impermeabile, inattaccabile dagli agenti atmosfrerici, non richiede manutenzione e le diverse colorazioni permettono l’adattabilità in ogni abbinamento estetico. 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Trattandosi di impianto esistente dalla costruzione del fabbricato, la manutenzione straordinaria come la ricostruzione totale o parziale, la sostituzione della cabina, e delle porte ai piani e l’adeguamento alle normative vigenti per la sicurezza, andrebbero addebitate a tutti i condomini anche a coloro che non lo utilizzano, in misura dei singoli millesimi di proprietà. Alla luce di quanto sopra, chiede a Voi un Vostro parere in merito. vo. Risponde l’avv. Marina Figini Le disposizioni contenute nel regolamento di condominio, da intendersi “contrattuale” anche se nel quesito non viene specificato, stabiliscono i seguenti criteri di ripartizione delle spese di ascensore: - spese di manutenzione ordinaria e funzionamento, ripartite in ragione del numero delle persone (esclusi i minori di 12 anni) e in ragione dei piani; - spese di manutenzione straordinaria si dividono tra tutti gli utenti sulla base dei millesimi di proprietà. 1) La giurisprudenza - La questione delle unità immobiliari poste a piano terra o a piano rialzato che non utilizzano l’ascensore è stata oggetto di diverse sentenze, non sempre univoche. Decidendo in materia di scale, in assenza di diverse disposizioni regolamentari secondo il Tribunale Monza sentenza 24 giugno 2005 si devono addebitare ai vani terreni che si servono delle scale per accedere a parti comuni ovvero a pertinenze site nella sommità dell’edificio la sola quota corrispondente al 50% da ripartire per millesimi in quanto è inesistente la quota del 50% relativo alla parte proporzionale all’altezza, visto che il piano terra ha coefficiente 0. In base al consolidato principio della applicazione analogica all’impianto di ascensore della normativa sulle scale (tra le altre Cass.25 marzo 1999, n. 2833) il sopra citato criterio si potrà applicare anche alle spese dell’ascensore. Secondo il Tribunale di Milano (sentenza 16 marzo 1989) l’ascensore è una parte comune anche dei proprietari delle unità immobiliari che l’amministratore si trovano a piano terra poiché essi possono trarre utilità dal’impianto che è idoneo a valorizzare l’intero immobile e normalmente permette di raggiungere più comodamente parti superiori che sono comuni a tutti. Secondo la Corte d’Appello di Bologna (sentenza 1° aprile 1989) qualora non risulti il contrario dai titoli, l’ascensore deve considerarsi di proprietà comune anche dei condomini proprietari di negozi siti al piano terreno, poiché occorre fare riferimento non all’utilizzo in concreto ma alla potenzialità del medesimo. Secondo il Tribunale di Genova (sentenza n. 1512 del 2/5/2003) “In assenza di prova circa l’esistenza di un regolamento contrattuale o convenzionale che stabilisca criteri derogatori, deve applicarsi il criterio legale secondo cui anche i proprietari di unità immobiliari poste al piano terra che non usufruiscono dell’impianto di ascensore, essendo comunque comproprietari dell’impianto comune, sono tenuti a contribuire alle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria ed a quelle di ricostruzione dell’impianto, mentre gli stessi sono esonerati ex art. 1123, 2° comma codice civile dalla contribuzione alle spese di esercizio e di pulizia di tale impianto che non utilizzano”. Secondo il Tribunale di Nocera Inferiore (sentenza 29 settembre 2004) : “seppure non espressamente richiamato dal regolamento di condominio, sussiste una presunzione di condominialità dell’ascensore per cui le spese di manutenzione dello stesso sia ordinarie che straordinarie debbono 49 Centro studi essere ripartite tra tutti i condomini con il criterio della proporzionalità dettato dall’art. 1123 c.c., a nulla valendo la considerazione che il proprietario dell’appartamento al piano terra non ne usufruisca in concreto”. Il Tribunale di Salerno (sentenza 3 novembre 2009) ha così statuito “Sussistendo una presunzione di condominialità dell’ascensore, e dovendo le spese di manutenzione dello stesso, sia ordinarie sia straordinarie, essere ripartite tra tutti i condomini con il criterio della proporzionalità dettato dagli artt. 1123 e 1124 c.c., a nulla vale la considerazione che i proprietari dei locali al piano terra non ne usufruiscano in concreto.” Con sentenza n. 6499 del 6 novembre 1986 la Cassazione ha ritenuto la validità di una disposizione regolamentare, in deroga ai criteri di legge, che preveda il concorso di tutti i condomini inclusi quelli al piano terreno in base ai millesimi di proprietà alle spese per la manutenzione degli ascensori Con sentenza n. 28679 del 23 dicembre 2011 la Cassazione ha così deciso: “In materia di condominio……è legittima, in quanto posta in essere in esecuzione di una disposizione di regolamento contrattuale, la delibera assembleare che disponga, in deroga al criterio di ripartizione delle spese dettato dall’art. 1123 c.c. che le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria dell’impianto di ascensore siano a carico anche delle unità immobiliari che non usufruiscono del relativo servizio…”, con ciò dovendosi dedurre che, in mancanza di tale espressa previsione regolamentare, chi non usufruisce del servizio non è tenuto alle spese. Ai fini della soluzione del problema si possono considerare anche principi giurisprudenziali posti nei casi 50 analoghi di altri impianti centralizzati. E così, il Tribunale di Genova (sentenza 14 dicembre 2006) ha statuito che le spese di manutenzione dell’impianto idrico destinato ad esclusivo servizio degli appartamenti del piano attico sono a carico dei condomini che ne traggono utilità. In merito all’impianto centralizzato di riscaldamento, la Cassazione ha affermato che, limitandosi la proprietà comune dell’impianto di riscaldamento al punto di diramazione ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini, se manca tale diramazione, e non esiste la possibilità che i locali usufruiscano del riscaldamento, l’impianto non può considerarsi destinato al loro servizio (Cass. n. 4270/1996). Allo stesso modo la Cassazione ha affermato che i proprietari di unità immobiliari non servite dall’impianto di riscaldamento per cause strutturali dell’edificio, non possono vantare un diritto di comproprietà sull’impianto stesso in quanto non sussiste alcuna relazione di accessorietà tra l’impianto e le citate unità immobiliari (Cass. n. 7730/2000). Ed ancora la Cassazione ha precisato che le spese per la sostituzione della caldaia comune attengono alla conservazione dell’impianto; ove nell’edificio vi siano locali come cantine e box non serviti dall’impianto centralizzato, i condomini proprietari di tali locali non sono contitolari dell’impianto centralizzato, non essendo questo legato da una relazione di accessorietà, cioè da un collegamento strumentale, materiale e funzionale all’uso o al servizio di quei beni. Venendo dunque meno il presupposto per la comproprietà dell’impianto, viene meno anche l’obbligazione reale di contribuire alle spese per la l’amministratore conservazione dello stesso (Cass. n. 1420/2004). 2) Concludendo, sulla base della sopra riportata giurisprudenza si può ritenere che, essendo l’impianto di ascensore una parte comune (espressamente elencata nell’art. 1117 c.c. testo vigente dal 18 giugno 2013), che fornisce un servizio comune e contribuisce al pregio del fabbricato, di essa sono comproprietari (se il contrario non risulta dai titoli di proprietà) anche i titolari di unità immobiliari al piano terra, indipendentemente dall’uso (del quale avrebbero comunque la potenzialità) che ne fanno; anch’essi sono pertanto obbligati a contribuire alle relative spese, fatte salve diverse disposizioni regolamentari. Solo qualora il proprietario dell’unità immobiliare (ad es. negozio) dimostrasse di non avere alcuna potenzialità d’uso, e che l’ascensore non serve in alcun modo alla sua proprietà esclusiva (ad es. perché vi è un ingresso indipendente), allora potrebbe essere esonerato dalle spese relative ad un impianto che non rappresenta alcuna utilità e/o necessità né per accedere alla sua proprietà esclusiva né per accedere a parti comuni condominiali. A questo punto vanno però considerate le disposizioni del regolamento oggetto del quesito, che da un lato fanno riferimento al “numero delle persone” e ai “piani” (per la manutenzione ordinaria) e dall’altro lato ai millesimi di proprietà di “tutti gli utenti” (per la manutenzione straordinaria). L’espressione usata “utenti” , diversa da quella usata per le spese ordinarie, potrebbe far pensare alla volontà regolamentare di escludere chi non è “utente”, dunque chi non usa l’ascensore, ossia non lo usa né per recarsi alla proprietà esclusiva né per Centro studi accedere a parti comuni. Una tale disposizione sarebbe valida in quanto contenuta in un regolamento contrattuale. Resta dunque questo dubbio interpretativo, che potrebbe essere riesaminato alla luce del testo integrale del regolamento. Ricordo che la delibera di ripartizione delle spese, qualora ritenuta contraria al regolamento, sarebbe da considerarsi “annullabile” e dunque impugnabile dagli interessati nel termine di trenta giorni, sulla base dei costanti principi giurisprudenziali per cui le delibere condominiali sono nulle soltanto se hanno un oggetto impossibile o illecito, ovvero che non rientra nella competenza dell’assemblea, o se incidono su diritti individuali inviolabili per legge. Sono invece annullabili, nei termini previsti dall’art. 1137 c.c., le altre delibere “contrarie alla legge o al regolamento di condominio” (tra cui quelle che non rispettano le norme che disciplinano il procedimento, come ad esempio per la convocazione dei partecipanti, o che richiedono qualificate maggioranze per formare la volontà dell’organo collegiale, in relazione all’oggetto della delibera da approvare) ma pur sempre assunte nei limiti delle attribuzioni dell’ assemblea. A seguito dei principi sopra statuiti dalla Suprema Corte, a partire dall’anno 2000 la regola dell’annullabilità costituisce principio generale, mentre principio speciale è la previsione di nullità.. Elementi decorativi Un condomino mi segnala la rottura del marmo sopra di una porta-finestra; lo stesso sostiene che sia una parte della facciata e pertanto la spesa è di pertinenza del condominio. Secondo il mio parere, non è così: la spesa è a carico del condomino, in quanto parte privata, ma deve attenersi alle regole di estetica presenti nel condominio. Vorrei quindi sapere se la spesa effettivamente è a carico del singolo condomino. Risponde l’avv. Marina Figini Il condomino ha ragione: se nel muro maestro sono inseriti elementi decorativi che hanno funzione ornamentale ed architettonica essi fanno parte della facciata e sono di proprietà comune; e così il vano finestra può essere completato con elementi ornamentali esterni che devono essere considerati parti comuni. In base a costante interpretazione di dottrina e giurisprudenza le facciate (costituite dall’intonaco e dalla tinteggiatura delle stesse) costituiscono la superficie esterna del muro perimetrale e svolgono funzione eminentemente estetica, mentre il muro ha funzione portante e di isolamento. Si ricordano, per applicazione analogica, i seguenti principi stabiliti dalla giurisprudenza per i frontalini dei balconi. I balconi aggettanti, costituendo un prolungamento della corrispondente unità immobiliare, e non svolgendo alcuna funzione di sostegno né di necessaria copertura dell’edificio (come invece accade per le terrazze a livello incassate nel corpo dell’edificio) appartengono in via esclusiva al proprietario di questa; soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore si devono considerare beni comuni a tutti, quando si inseriscono nel prospetto dell’edifico e contribuiscono a renderlo esteticamente l’amministratore gradevole, contribuendo al decoro architettonico dello stabile (decoro che è bene comune condominiale) (Cass.30 aprile 2012 n. 6624, 30 luglio 2004 n. 14576, 12 gennaio 2011 n. 587, 17 luglio 2007 n. 15913). Dunque, in base a tali principi, sono di proprietà esclusiva tutte le opere necessarie al godimento e all’utilizzazione del balcone (pavimentazione, parte interna, piano di calpestio) mentre sono di proprietà comune la parte esterna dei parapetti, la fascia di coronamento (cornicione o marcapiano) e quella di rivestimento dei bordi aggettanti (frontalini) con relativi intradossi. La Cassazione ha altresì precisato che gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore dei balconi aggettanti “quando non si inseriscono nel prospetto dell’edificio e non contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole, appartengono in via esclusiva al proprietario dell’unità immobiliare cui si riferiscono”; ciò peraltro non significa che “nel ripristino di questi beni (balconi comprensivi dei frontalini) il condomino sia libero di modificare l’estetica, al simmetria e il colore della facciata dell’edificio (Cass. 16 febbraio 2012 n. 2241). Con ancora più recente sentenza la Cassazione ha confermato che i frontalini dei balconi hanno sempre natura condominale (Cass. 20 dicembre 2013 n. 28571/13). Con tale sentenza la Suprema Corte ha confermato il proprio consolidato indirizzo per il quale ai fini della affermazione della natura condominiale dei frontalini è sufficiente che essi adempiano prevalentemente alla funzione ornamentale dell’intero edificio senza essere necessario che rivestano un particolare pregio artistico; a tale scopo ha richiamato la propria sentenza 7 settembre 1996 n. 8159. 51 Le nostre tabelle INDICI NAZIONALI DEI PREZZI AL CONSUMO PER LE FAMIGLIE DI OPERAI E IMPIEGATI INDICE GENERALE VARIAZIONI PERCENTUALI DEL MESE INDICATO RISPETTO ALLO STESSO MESE DELL’ANNO PRECEDENTE ANNO GEN FEB MAR APR MAG GIU LUG AGO SET OTT NOV DIC 2004 + 2,0 + 2,2 + 1,9 + 2,0 + 2,1 + 2,2 + 2,1 + 2,1 + 1,8 + 1,7 + 1,7 + 1,7 2005 + 1,6 + 1,6 + 1,6 + 1,7 + 1,7 + 1,6 + 1,8 + 1,8 + 1,9 + 2,0 + 1,8 + 1,9 2006 + 2,2 + 2,1 + 2,1 + 2,0 + 2,2 + 2,1 + 2,1 + 2,1 + 2,0 + 1,7 + 1,7 + 1,7 2007 + 1,5 + 1,5 + 1,5 + 1,4 + 1,4 + 1,6 + 1,6 + 1,6 + 1,6 + 2,0 + 2,3 + 2,6 2008 + 2,9 + 2,9 + 3,3 + 3,3 + 3,5 + 3,8 + 4,0 + 3,9 + 3,7 + 3,4 + 2,6 + 2,0 2009 + 1,5 + 1,5 + 1,0 + 1,0 + 0,7 + 0,4 - 0,1 + 0,2 + 0,1 + 0,2 + 0,7 + 1,0 2010 + 1,3 + 1,3 + 1,5 + 1,6 + 1,5 + 1,3 + 1,7 + 1,5 +1,6 +1,7 + 1,7 + 1,9 2011 + 2,2 + 2,3 + 2,5 + 2,6 + 2,6 + 2,7 + 2,7 + 2,8 +3,0 +3,2 + 3,2 + 3,2 2012 + 3,2 + 3,3 + 3,2 + 3,2 + 3,0 + 3,1 + 2,9 + 3,1 + 3,1 + 2,7 + 2,4 + 2,4 2013 + 2,2 + 1,8 + 1,6 + 1,1 + 1,2 + 1,2 + 1,2 + 1,1 + 0,8 + 0,7 + 0,6 + 0,6 2014 + 0,6 + 0,5 +0,3 +0,5 TABELLA DEL TASSO DEGLI INTERESSI LEGALI ANNO TASSO Dal 19/04/1942 al 15/12/1990 5% Dal 16/12/1990 al 31/12/1996 10% Dal 01/01/1997 al 31/12/1998 5% Dal 01/01/1999 al 31/12/2000 2,50% Dal 01/01/2001 al 31/12/2001 3,50% Dal 01/01/2002 al 31/12/2003 3% Dal 01/01/2004 al 31/12/2007 2,50% Dal 01/01/2008 al 31/12/2009 3% Dal 01/01/2010 al 31/12/2010 1% Dal 01/01/2011 al 31/12/2011 1,50% Dal 01/01/2012 al 31/12/2013 2,50% Dal 01/01/2014 52 1% l’amministratore CANNA FUMARIA DA CONTROLLARE, PULIRE O RISANARE? 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