CRISI ECONOMICO-FINANZIARIA Nuove regole e impegno etico Prof. Marco Mazzoli Villa Elena, Affi (VR) 1 La Fondazione Elena da Persico, ispirandosi particolarmente al pensiero di Elena da Persico (1869 –1948), giornalista e collaboratrice di Giuseppe Toniolo in ambito sociale, ha, tra i suoi scopi, “la promozione di iniziative sociali e culturali per una crescita della società secondo i valori della solidarietà cristiana” Con piacere inviamo la relazione del Prof. Marco Mazzoli, docente di Economia monetaria-internazionale all’Università Cattolica di Piacenza e Direttore del Centro Studi CESPEM “M.Arcelli”, a quanti hanno partecipato all’iniziativa della Fondazione e ai simpatizzanti della stessa. 2 3 “Crisi economico-finanziaria” Nuove regole e impegno etico Affi, 28 marzo 2009 4 5 La crisi finanziaria: nuove regole e impegno etico Sono molto felice di avere l’opportunità di intervenire in questa iniziativa promossa dalla Fondazione “Elena Da Persico” e lo dico in modo non formale: una struttura bella e ricca di iniziative come questa vive e funziona grazie all’opera instancabile e disinteressata di varie generazioni di persone motivate da un forte spirito etico e da una fede profonda. Per questo mi sento molto onorato di essere qui a parlare oggi Quando ero studente, nei primi Anni Ottanta, durante i miei corsi universitari di economia, mi capitava spesso di riflettere su due passi biblici che avevano colpito particolarmente la mia immaginazione. Il primo era il capitolo 25 del Levitico,; il secondo era Apocalisse, 13:16-17. Nel primo brano si racconta delle regole fissate per l’Anno Sabbatico, che aveva luogo ogni sette anni. Una di queste regole prevedeva che tutti gli schiavi appartenenti al popolo d’Israele dovevano essere liberati. Nel mondo rurale e pastorale dell’antichità si poteva infatti diventare schiavi per debito, ma, poiché gli schiavi appartenenti al popolo d’Israele dovevano essere liberati ogni sette anni, questo implicava che il grado di sottomissione, per motivi economici, di un essere umano nei confronti di un altro essere umano non doveva superare il valore di sette anni di lavoro. Nei due versetti dell’Apocalisse, invece, viene descritta la bestia che sale dalla terra, che simboleggia il male e che obbligava tutti gli esseri umani, grandi e piccoli, poveri e ricchi, liberi e schiavi, a farsi mettere un marchio sulla mano destra o sulla fronte, Nella narrazione si dice che nessuno poteva comprare né vendere se non portava il marchio della bestia, cioè il nome della bestia o il numero che corrisponde al suo nome. Il pensiero evocato nella mia mente da questa forte e suggestiva immagine era quella di un potere negativo che 6 sembrava imporre le sue regole a tutti, fino al punto da escludere dall’attività economica chi non si asservisse a lui. Questi passi biblici mi sono tornati alla mente in questi tempi di crisi finanziaria. Negli Anni Sessanta, in piena epoca keynesiana, nell’età dell’oro del capitalismo “regolato” o del “capitalismo dal volto umano”, un top manager di una grande impresa americana poteva guadagnare fino a 20 volte lo stipendio di un operaio. Alla vigilia del’attuale crisi finanziaria, un top manager di una grande banca d’affari o di una grande società finanziaria (anche una di quelle salvate dall’intervento pubblico) poteva arrivare a guadagnare anche 300 volte lo stipendio di un operaio statunitense. Nel frattempo, il welfare state è stato pesantemente ridotto, la sanità statunitense, privatizzata, e, secondo il parere di molti ideologi dell’ultra-liberismo la nostra sanità pubblica avrebbe dovuto seguire lo stesso destino. Tutto questo prima della crisi finanziaria internazionale. La sua gravità è data dal fatto che si è manifestata in una fase già di per sé difficile per l’economia di tanti Paesi occidentali, a causa delle forti tensioni politiche internazionali, dell’alto costo delle fonti di energia e del petrolio e a causa del fatto che i confini e le dimensioni del rischio sono, a tutt’oggi, ignote agli operatori: nessuno sa infatti esattamente quale sia l’ammontare complessivo dei mutui e dei titoli fasulli attualmente in circolazione, né si conosce esattamente in quale misura varie grandi banche, assicurazioni ed istituzioni finanziarie siano state o siano tuttora esposte al rischio. Tutto questo genera una situazione di forte incertezza: le banche non osano prestare, gli investitori non osano investire e le drastiche e salutari immissioni di moneta sui mercati (effettuate dalla Federal Reserve e dalla BCE) per scongiurare il tracollo del sistema, pur riuscendo, per il momento, ad arginare parzialmente la crisi, generano un aumento solo limitato di circolazione della liquidità, che tende invece ad 7 essere trattenuta e tesaurizzata da operatori finanziari spaventati. In questa situazione (che ricorda la cosiddetta “trappola della liquidità” di keynesiana memoria) il premio Nobel Joseph Stiglitz ha proclamato pubblicamente la fine dell’era del capitalismo senza regole e l’inizio di una fase di “capitalismo regolato”, in cui lo Stato deve tornare a giocare un ruolo di supervisore del sistema e i mercati devono essere regolati. Questa “nuova fase” si apre comunque con l’ennesima redistribuzione di ricchezza a danno dei ceti più poveri e a vantaggio dei ceti più ricchi: le perdite immense causate da manager e affaristi senza scrupoli (e arricchitisi in anni di speculazioni senza limite) saranno scaricate, con i forti ed inevitabili interventi pubblici di salvataggio, sui contribuenti di tutti i Paesi occeidentali, mentre le eventuali compensazioni a favore delle famiglie “scottate” sono, nella migliore delle ipotesi, aleatorie. La crisi dei mutui americani ha tragicamente mostrato la pericolosità e l’assenza di scrupoli di un certo modo aggressivo e competitivo di fare affari nel mondo bancario e finanziario, l’inaffidabilità dei dispositivi di controllo e vigilanza del settore bancario statunitense ed internazionale e l’assenza di governance nei mercati finanziari mondiali, soggetti periodicamente a traumatiche crisi di cadenza decennale: dopo il crollo di wall street del 1987, abbiamo assistito alla cosiddetta crisi asiatica del 1997, a quella “russa” del 1998, a un’altra caduta delle borse internazionali intorno all’anno 2000 e a quella attuale, di gran lunga la più grave di tutte. In generale queste crisi sono precedute da fasi di “euforia irrazionale” (per usare le parole di Alan Greenspan) in cui i prezzi dei titoli azionari mostrano trend di crescita spropositati ed eccessivamente ottimistici rispetto agli indicatori dell’economia reale e in cui investitori eccessivamente ottimistici ed inesperti vengono attirati sui mercati dalla 8 speranza di lauti guadagni, prima di essere scottati dalle successive crisi. Le teorie economiche e le pratiche manageriali, spesso presentate all’uomo con la granitica (quanto usurpata) pretesa di scientificità, hanno offerto alle lobby finanziarie internazionali le argomentazioni ideologiche per indebolire e svuotare il welfare state, diffondere in ogni Paese il precariato tra i giovani lavoratori, rimuovere ogni forma di controllo sui mercati finanziari internazionali e arrivare all’attuale regime di globalizzazione in cui gli speculatori finanziari internazionali sono più forti di molti governi sovrani Se veramente sta nascendo un “nuovo capitalismo regolato” e se veramente stiamo tornando ad una nuova (limitata) forma di intervento pubblico, questo deve essere fatto in modo trasparente, chiarendo bene chi paga e chi si avvantaggia da queste forme di intervento. In un intervento alle “Lezioni Arcelli” (tenutesi il 6 marzo all’Università Cattolica, sede di Piacenza), il Prof. Paolo Savona, ha sottolineato le gravi responsabilità delle politiche economiche statunitensi in questa situazione, sottolineando anche lo stretto legame tra scelte economiche e politiche. Credo che non occorra perdere la memoria storica e non stancarsi mai di ripetere e ricordare chi ha la responsabilità politica dell’attuale quadro internazionale. Cominciamo dalle tensioni politiche. Non bisogna mai stancarsi di ripetere che Bin Laden è stato “creato” dai finanziamenti americani, al tempo di Reagan (che lo preferì al più “laico” Massud al tempo della lotta contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan), dal sostegno politico e logistico della CIA, fino alla prima guerra dell’Iraq. Non bisogna mai stancarsi di ripetere e di ricordare che Saddam Hussein è stato lungamente finanziato dagli Stati Uniti al tempo della guerra con l’Iran, secondo la logica spregiudicata e guerrafondaia del pensiero “neocon” che a tutto 9 antepone l’uso della forza e delle armi, per conseguire i propri obiettivi (riassumibili negli interessi di alcune lobbies finanziarie militari e petrolifere). Forse giova ricordare che persino un grande presidente conservatore come Eisenhower mise in guardia da quello che chiamava “l’apparato militare-industriale” americano, in grado di influenzare o, addirittura (come temeva lui per il futuro) determinare le scelte politiche della più grande potenza economica e militare del Pianeta. Un altro elemento molto importante è che attualmente, dopo la globalizzazione, il potere economico è concentrato in pochissime mani e sfugga di fatto al controllo democratico delle opinioni pubbliche, così come sfugge interamente al controllo democratico dell’opinione pubblica e a qualsiasi regola (e sanzione) che garantisca la correttezza dei contenuti l’informazione mediatica dei grandi circuiti televisivi internazionali. Nel sistema politico bipolare maggioritario di stampo anglosassone (che caratterizza ormai molti Paesi occidentali) l’altissimo costo di accesso ai media televisivi garantisce visibilità pubblica solo alle forze politiche finanziate da grandi lobby. Non a caso, il grande filosofo liberale Popper, in uno dei suoi ultimi scritti (“Cattiva Maestra TV”, Trad. It. Marsilio Editore, 2000), ha coraggiosamente affermato che solo una TV pubblica, che offra spazio e pari trattamento per tutte le idee possa garantire la democrazia. Circa tre anni fa un quotidiano italiano (La Repubblica, venerdì 18 agosto 2006) pubblicava in prima pagina un articolo in cui il Premio Nobel Joseph Stiglitz rilevava come ormai nessuno, neppure tra gli economisti ortodossi creda più alla promessa di sviluppo e benessere per i paesi più poveri associato alla maggiore apertura commerciale verso l’estero: l’idea con cui nacque nel 1948 il GATT e, sulle sue ceneri, nel 1995 il WTO, l’organizzazione del Commercio Mondiale, a cui 10 aderiscono oggi 149 Paesi. Stiglitz osservava come questa antica promessa liberista e capitalistica di un avvenire felice e radioso sia sostituita nei documenti ufficiali, da più blandi auspici di ventilati vantaggi economici per i Paesi che adottino le misure di liberalizzazione. Infine Stiglitz rilevava tristemente che mai come ora, nella storia del mondo, pochi gruppi di lobby privilegiate (gli agricoltori americani sussidiati dallo stato, alcune poche grandi multinazionali dei Paesi ricchi) riescano ad imporre la loro volontà politica ad enormi masse di umanità nell’Asia, Africa, America Latina. Com’è possibile tutto questo? Per capirlo occorre ricordare che nelle Istituzioni Economiche Internazionali il meccanismo di voto è basato su indicatori economico-finanziari: i Paesi più ricchi esprimono più voti, i Paesi più poveri, anche se abitati dalla grande maggioranza dell’umanità, esprimono solo una minoranza di voti. Alla base di tutto il nostro sistema economico internazionale vi è (o dovrebbe esservi in teoria) il pensiero liberale e la sua dichiarata (e di per sé totalmente condivisibile ed auspicabile) ricerca della “mobilità” sociale, ossia di una situazione in cui il capitale umano e i talenti individuali vengano sfruttati appieno e anche gli individui appartenenti ai ceti sociali più poveri possano dunque raggiungere, se capaci, i vertici della società e un elevato status sociale. Inequivocabilmente a favore della mobilità sociale sono stati i liberali europei ottocenteschi che lottavano contro l’assolutismo e il feudalesimo, i primi movimenti socialisti e socialdemocratici del Novecento che lottavano per garantire ai lavoratori le opportunità che erano loro negate, i dissidenti e gli oppositori dello spietato e monolitico regime sovietico. Inequivocabilmente contro la mobilità sociale sono state le forze restauratrici ottocentesche, i latifondisti latino-americani, nonché i dirigenti e funzionari di partito nel regime sovietico. 11 Il lettore si potrà formare le proprie convinzioni su quanto portatrici di mobilità sociale siano le grandi multinazionali, le lobby, la grande finanza mondiale… oppure anche solo i fautori della privatizzazione del sistema educativo, sul modello statunitense, dove solo poche grandi università dal costo proibitivo sono in grado di garantire un sicuro successo e avvenire ad una esigua minoranza di rampolli di famiglie ricche e ad una ancor più esigua minoranza di membri della middle class baciati dalla benedizione delle poche borse di studio abbastanza ricche da consentire l’educazione e la vita in una delle top universities statunitensi. Il sistema economico internazionale architettato nel 1944 a Bretton Woods per i Paesi ad economia di mercato prevedeva un sistema a cambi fissi, in cui tutte le valute erano convertibili in dollari e il dollaro era l’unica valuta convertibile in oro. Esisteva dunque, sia pure indirettamente, un legame certo tra le varie valute nazionali e l’oro. Il sistema a cambi fissi (della cui stabilità era investito il FMI, che aveva anche la funzione di fornire credito ed assistenza finanziaria per la ricostruzione postbellica e, successivamente, per i Paesi in via di sviluppo) prevedeva che le svalutazioni e le oscillazioni delle monete fossero fatti episodici, di solito negoziati tra le autorità: se troppo frequenti avrebbero causato una perdita di credibilità da parte delle autorità che le promuovevano. C’era libera circolazione delle merci e delle persone e forti vincoli ai flussi internazionali di capitali, a causa del timore di instabilità finanziaria che questi potevano comportare. La minore incertezza e maggiore stabilità dei cambi rese stabili le economie, la presenza di regole relativamente affidabili aveva permesso non solo una prodigiosa crescita economica, ma, per la prima volta nella storia dell’umanità, una sua diffusione tra tutti i ceti sociali e in tutte le regioni del mondo. Anche i Paesi africani, asiatici e dell’America Latina 12 poterono raggiungere ritmi di crescita mai sperimentati e anche le famiglie più povere riuscirono, a partire dagli Anni Sessanta in Europa e nel mondo, ad offrire ai loro figli un’istruzione superiore e di livello universitario. Questo consentì, fino agli Anni Settanta, una forte mobilità sociale, un benessere diffuso mai sperimentato prima e un sistema di welfare che proteggeva le fasce più deboli ed era consentito da due elementi: tassi di crescita delle economie più alti dei tassi di interesse (cosicché la crescita delle entrate fiscali, correlate alla crescita del reddito, fosse più marcata della crescita degli interessi passivi sul debito pubblico, correlati ai tassi di interesse) e forti vincoli ai flussi finanziari: esportare capitali (legalmente) era complicato e costoso. In questo modo i tassi di interesse interni potevano divergere dai tassi di interesse medi a livello mondiale e le autorità monetarie erano completamente libere di perseguire le politiche monetarie desiderate, senza vincoli provenienti dall’estero. Questa situazione “ideale” trovò il suo culmine negli Anni Sessanta e trovava il suo fondamento teorico e scientifico nelle teorie economiche keynesiane, basate su un capitalismo “regolato” dove le brusche perturbazioni dei mercati erano mitigate dal ruolo regolatore dello stato e da periodici interventi redistributivi per impedire il crollo della domanda (nelle fasi di recessione) dei ceti più poveri. Ma la fase del capitalismo “dal volto umano” si interruppe bruscamente agli inizi degli Anni Settanta per due fatti traumatici. A causa delle altissime e persistenti spese militari statunitensi, causate dalla prolungata guerra in Vietnam, la Federal Reserve aveva messo in circolazione una massa enorme di dollari, insostenibile e incompatibile con il sistema a cambi fissi di Bretton Woods che prevedeva la convertibilità del dollaro in oro. Di fronte a questa situazione, il giorno di Ferragosto del 1971, il presidente Nixon annunciò improvvisamente la sospensione della convertibilità di dollari in oro, facendo 13 saltare tutto il sistema a cambi fissi e determinando una forte e prolungata perturbazione nell’economia mondiale. Due anni dopo, nel 1973, in occasione della guerra del Kippur, che vide contrapposto Israele a Siria ed Egitto, si verificò l’embargo dei Paesi Opec verso l’Occidente e la prima grande crisi petrolifera, che fece esplodere il prezzo del petrolio e dell’energia. In questa situazione di turbolenza, i modelli keynesiani, fino ad allora utilizzati per attuare la politica economica, diedero “previsioni” inattendibili, come forse avrebbe fatto qualsiasi modello, in un tale terremoto strutturale. Tuttavia ne seguì una critica ideologica e chiaramente “interessata” da parte del pensiero neoconservatore a tutto il pensiero keynesiano, non solo sul piano accademico, ma anche sul piano della politica economica, del welfare state, del ruolo dello stato e dei sistemi di protezione dei ceti più deboli. Le politiche di Thatcher in Gran Bretagna e di Reagan negli Stati Uniti, a partire dagli Anni Ottanta, portarono al graduale smantellamento dei sistemi di protezione sociale nei loro Paesi (che hanno in parte resistito maggiormente nell’Europa continentale), a politiche monetarie restrittive caratterizzate da alti tassi di interesse che, facendo alzare il livello medio dei tassi di interesse a livello mondiale, hanno reso insostenibile per i governi di tutto il mondo la spesa per interessi passivi sul debito pubblico, costringendoli a drastici tagli sulla spesa sociale. Ma fu soprattutto la deregulation finanziaria a cambiare la faccia del mondo. Accogliendo precise istanze degli ambienti finanziari, vennero gradualmente eliminati negli USA, in Gran Bretagna e, successivamente, in Europa (spesso da governi “socialdemocratici” o socialisti, che avevano adottato in toto politiche economiche ultra-liberiste) tutti i vincoli ai flussi internazionali di capitale. A partire dagli Anni Novanta la globalizzazione era dunque un fatto compiuto. In pochi secondi si potevano spostare da una borsa all’altra del pianeta miliardi 14 di dollari. Il capitale era perfettamente mobile, mentre la mobilità del lavoro, anche quando legale, era comunque lenta, costosa e imperfetta. Mentre dal ’45 agli Anni ’80 le crisi finanziarie furono poco frequenti e di portata molto limitata, dall’87 a oggi (cioè dai primi ani della globalizzazione a oggi) se ne contano già 4 catastrofiche e di dimensione planetaria. Esiste dunque un drammatico problema di governance delle Istituzioni Economiche Internazionali ed è lecito domandarsi se sia lecito che la finanza conti di più del numero di esseri umani nel decidere le politiche economiche mondiali? Non esiste più il “contratto sociale”, la mediazione tra le parti, poiché un ceto sociale, quello degli investitori finanziari e degli speculatori, si è sottratto alla “polis” in cui avvengono i confronti. I flussi finanziari non sono soggetti ad alcuna sovranità poiché possono spostarsi istantaneamente da un Paese all’altro. Se nel primo trentennio del Dopoguerra lo stato si è reso più democratico e più partecipativo, il pensiero neoconservatore ha radicalmente modificato la sua natura: da incarnazione dell’autorità dello stato si è trasformato in negazione del ruolo dello stato, in assertore dello svuotamento delle funzioni dello stato: dall’economia, ai servizi sociali, all’educazione, salvo poi recuperare (proprio in questi giorni) l’intervento dello stato, con finalità di salvataggio e scaricando i costi sui contribuenti (in generale soggetti a reddito fisso, senza la possibilità di eludere o evadere il fisco). In una società in cui la “nascita” sembra tornata a svolgere un ruolo essenziale, in cui l’assistenza e la tutela hanno perso i connotati etici del “dono e della “gratuità” (tanto presenti, se ci pensiamo, nella nostra teologia cristiana), ma sembrano piuttosto subordinate all’appartenenza ad un gruppo o ad una lobby, stiamo assistendo, quasi impotenti alla drammatica esclusione di enormi masse di persone dal meccanismo economico e dalle forme più elementari di benessere. 15 La nuova fase economica del capitalismo “regolato” (evocate da Stiglitz e, di fatto, già messe in pratica dai Paesi anglosassoni con i pesanti ed inevitabili interventi statali di salvataggio nel settore finanziario) deve avvenire con trasparenza: non può e non deve sottrarsi al dibattito pubblico almeno in Europa e nei Paesi dove ancora esiste una forma di democrazia e di accesso ai media. Non può e non dveve essere a solo uso e consumo di pochi managers senza scrupoli che fino a ieri lanciavano anatemi contro ogni forma di intervento pubblico regolatore. Su quali principi e a quali finalità deve rivolgersi? Una prima finalità, che sintetizza il principio dell’uguaglianza è quello della mobilità sociale, verso l’alto e verso il basso: è un principio che implica pari opportunità e uguali diritti di accesso all’educazione, ai mezzi di informazione (di qui le importanti prese di posizione di Popper sull’importanza di avere TV pubbliche con regole precise), da attuare con principi di “incentivo-compatibilità”: laddove c’è uso di denaro pubblico ed intervento pubblico (che non va più demonizzato in nome del dio profitto e dell’ideologia neocon), si devono individuare precisi centri di responsabilità, meccanismi di monitoraggio (preferibilmente attuati con la partepcipazione degli utenti) e sanzioni in caso di inefficienza o di assenteismo. Chi crede nelle politiche economiche attive e nell’importanza del ruolo regolatore e riequilibratore dello stato non può accettare che lo stato sia un’arma spuntata ed inefficiente: paradossalmente dovrebbe essere (solo in questo) “più thatcheriano della Thatcher”... Il resto dei propositi forse è ancora da costruire... con l’aiuto delle scienze sociali e di una nuova economia, non più ideologica, non più dogmatica, il cui linguaggio esoterico deve essere maggiormente spiegato ai cittadini: in altre parole, non possiamo più avere modelli matematici usati per finalità di politica economica (e che quindi decidono sul destino di miliardi di persone) dove, ad esempio, si ipotizza a priori che la 16 distribuzione del reddito non ha alcun effetto sull’economia, i disoccupati, se sono tali, lo sono volontariamente e dove tutti gli individui sono identici, senza alcuna differenza (descritti con la metafora del cosiddetto agente rappresentativo) e onniscienti (cioè, impossibilitati, in media, a formulare previsioni sbagliate, in nome del principio delle cosiddette “aspettative razionali”). Sembra impossibile, ma la scienza economica e i modelli “ortodossi” di politica economica sono proprio basati su questi principi, di cui è evidente la natura idelogica. Nell’attuale fase di crisi economica che sta colpendo il nostro Paese esiste una grave emergenza sociale, che rischia di esplodere nei prossimi mesi: mentre, da un lato, è in aumento il fenomeno dell’evasione fiscale, cresce pericolosamente il numero di disoccupati senza la protezione della cassa integrazione. Ogni mese scadono infatti circa trecentomila contratti di lavoro precari (qualche anno fa era di moda definirli “flessibili”) di varia forma giuridica, ma che hanno in comune il fatto di non prevedere ammortizzatori sociali per chi perde il posto di lavoro. Si tratta in molti casi di lavoratori giovani, altamente qualificati, con laurea o titoli di studio avanzati e che nella maggior parte dei casi hanno famiglia e figli. Poiché la maggior parte di questi contratti di lavoro precario in scadenza non sono, di questi tempi, rinnovati, in alcuni mesi alcune persone si troveranno senza lavoro e a reddito zero, cioè senza cassa integrazione. Si tratta di una vera e propria bomba sociale, che rischia di creare gravi emergenze. Volendo fare una battuta provocatoria, potremmo dire che, così come una legge approvata dal Parlamento sull’onda del caso Englaro, sancisce il diritto all’alimentazione del malato privo di conoscenza, allora occorre garantire il diritto all’alimentazione dei disoccupati... Volendo invece trattare l’argomento con la serietà e la gravità che merita, è importante 17 sottolineare che solo limitando il crollo della domanda dei ceti sociali più deboli (che, come ci insegna la teoria economica sono caratterizzati da una propensione al consumo maggiore rispetto alle classi sociali più ricche, poiché utilizzano una quota molto più alta del loro reddito per acquistare beni di consumo) si riuscirà a mantenere un livello di domanda accettabile, che permetterà alle imprese di continuare a vendere parte dei loro prodotti e alla nostra economia di uscire più facilmente dalla crisi. Ma come limitare il crollo della domanda dei ceti sociali più deboli? Per rispondere, occorre considerare un semplice fatto statistico oggettivo: basta un recupero di pochi punti percentuali della scandalosa evasione fiscale che caratterizza il nostro Paese (e che, purtroppo, risulta essere in aumento negli ultimi mesi) per finanziare un limitato sussidio di disoccupazione (circa 500 euro al mese) per tutti i lavoratori, precari o non precari. Tale sussidio di disoccupazione dovrebbe essere condizionato al fatto che il lavoratore non rifiuti nessuna offerta di lavoro (neppure a basso reddito e neppure di bassa qualifica), pena la perdita del sussidio stesso. Si tratta di un provvedimento che risponde non solo a criteri etici e di equità, ma anche a criteri di efficienza, poiché garantisce il sostegno della domanda (e dunque la possibilità per le imprese di avere ancora davanti a sé un mercato) e facilita l’uscita dalla crisi. Non occorre poi dimenticare che uno dei problemi che agitava l’industria italiana e l’economia italiana in generale già prima della crisi era la scarsa capacità innovativa, l’eccessiva concentrazione in settori produttivi tradizionali dove la concorrenza di prezzo dei Paesi in via di sviluppo era insostenibile. Una delle cause di questa situazione è la persistente riduzione della spesa per ricerca e università, messa in atto ormai da diversi anni da vari governi di diverso orientamento politico. I tagli alla ricerca e all’università non possono certo consentire di creare le basi per uno stabile 18 sviluppo dell’economia, poiché senza innovazione impossibile crescere, in un mondo globalizzato. è In generale le linee guida di politica economica devono essere ispirate dal principio della mobilità sociale. In altre parole, le politiche economiche devono creare gli strumenti, i dispositivi e le risorse affinché tutti gli individui, anche quelli provenienti dai ceti sociali più deboli, possano avere accesso ai servizi, alle opportunità, all’istruzione superiore ed universitaria, in modo che, nella società, ogni persona possa contribuire al meglio sulla base dei propri talenti. Quegli stessi “talenti” che fanno funzionare la società in modo più efficiente ma che danno anche significato etico pregnante alla vita di ognuno, secondo l’accezione biblica della parola “talento”. Credo che siamo chiamati ad una testimonianza difficile, che prevede anche una critica sociale ed una critica agli stili di vita, ai comportamenti consumistici e alla sottocultura di taluni messaggi pubblicitari e modelli di comportamento (fatti propri da grandi network televisivi privati) che hanno tra i loro punti di forza la mercificazione del corpo della donna. E’ una battaglia impari tra la propria individuale testimonianza eticoreligiosa e potentissimi strumenti di comunicazione mediatica. Ma chi è motivato dalla fede o da forti valori etici non ha paura delle battaglie impari. Marco Mazzoli 19 SEGUONO ALCUNI INTERVENTI DEL PUBBLICO (CORSIVO) E LE RELATIVE RISPOSTE DEL RELATORE. Da cosa deriva la sua ostilità verso la cultura americana? L’America è responsabile della crisi, ma per ben due volte in Europa ha sacrificato i suoi figli per darci la possibilità di esprimere liberamente i nostri pensieri. Ammiro molto la cultura americana. Per hobby suono il piano pianista blues e jazz, amo la letteratura americana, amo i grandi romanzieri americani. Mia mamma raccontava che il giorno della liberazione da parte degli angloamericani era stato il giorno più bello della sua vita (aveva 16 anni)... Beh, nei suoi anni a venire immagino che avrà avuto altri “giorni più belli della sua vita”.... Onestamente credo di non avere dei pregiudizi nè ostilità verso l’America. Sono stato visiting fellow per un semestre all’università di Princeton, ma purtroppo, se devo dar conto dei fatti economici che hanno originato la crisi attuale, non posso fare a meno di specificare le cause e le responsabilità della finanza e delle politiche economiche statunitensi che ci hanno portato a questa situazione. Vero è che c’è un’altra America: composta da milioni di persone, capaci di atti di generosità, di volontariato, da Associazioni non profit, da persone che, come voi, sono dediti ad atti di puro altruismo. C’è molta spiritualità negli Stati Uniti di America. Il mio non era un attacco all’America; ho anche detto che dal 1945 al 1971 sono stati anni di grande prosperità, di pace e di crescita, oserei dire sotto la vigilanza del ruolo che ebbero gli Stati Uniti. Furono certamente anni non facili, almeno inizialmente: c’era Stalin fino al 1953, quindi era un mondo percorso da molte inquietudini. Il ruolo degli Stati Uniti fu 20 fondamentale per molto tempo, poi vi fu l’America del grande sogno di Kennedy, Presidente cattolico irlandese, che pose fine alla ignobile e vergognosa discriminazione dei cittadini americani di colore. Quindi esiste un’altra America, fatta di grande generosità, di cultura, di creatività artistica. Per queste cose l’America è un paese fantastico. Ho anche detto che esiste una piccolissima élite. Non i ricchi, ma i super ricchi, al di sopra del livello di ricchezza così come lo immaginiamo. È un’élite che non esiste solo in America, ma in tutto il mondo. Anche nei paesi poveri c’è una piccolissima minoranza di persone che detengono la quasi totalità delle risorse. Oserei dire che, forse, se gli esseri umani fossero stati meno egoisti nel passato, ci sarebbero stati anche meno eccessi rivoluzionari: penso a certi paesi devastati dell’America Latina, a volte percorsi da fremiti rivoluzionari, dove la mortalità infantile è a livelli assurdi e dove 5 famiglie detengono tutta la terra dell’intero paese, dove masse enormi di popolazione non hanno accesso nemmeno all’educazione della scuola elementare e dove la sopravvivenza è precaria per tutti. Quale può essere lo stato d’animo di una madre, di un padre di famiglia che vede morire gran parte dei suoi bambini, perché la mortalità è infantile? Non possiamo immaginare che abbia la stessa serenità che abbiamo noi nel valutare gli eventi storici o nel valutare la gravità delle cose. A volte mi viene da pensare che certi movimenti estremistici e rivoluzionari (che certamente hanno gravi colpe) avrebbero avuto molto meno seguito se gli esseri umano fossero stati un po’ più coerenti con la morale cristiana. Volevo chiarire che non sono un antiamericano sul piano culturale, faccio la distinzione tra pre-globalizzazione e postglobalizzazione. Esistono però dati economici oggettivi. I mercati finanziari denominati in dollari rappresentano circa la metà dei mercati finanziari mondiali. I mercati finanziari denominati in euro rappresentano circa un quarto. 21 Quindi, quando le decisioni di politica monetaria della Federal Reserve o i fenomeni finanziari negli Stati Uniti, si irradiano in tutto il mondo. Tutto questo avviene a causa della dimensione dell’economia americana. Anche senza volerlo. Quello che invece io critico sono alcuni eccessi del pensiero neoconservatore americano, britannico ed Europeo. Lo critico perché tutti abbiamo memoria storica: pochi anni fa, quando si parlava dei futures, chiunque parlava di difesa dello stato sociale e di politiche economiche “attive” veniva considerato o un visionario o uno statalista. Questa visione, che viene anche dal mondo protestante americano (di per sé molto variegato, poiché include anche esponenti vicini alla teologia della liberazione), ha avuto un influsso negativo sulle scelte di politica economica. Possiamo collocare l’inizio di questo influsso culturale negli anni Ottanta, dopo la fine del sistema a cambi fissi, quindi in un preciso periodo storico e in un preciso ambiente. Secondo me questo pensiero neoconservatore rispondeva non agli interessi degli imprenditori, non dei produttori di beni reali, ma agli speculatori finanziari professionisti. Si tratta di una professione ben diversa da quella dell’imprenditore, ossia di colui che produce beni materiali come tavoli, vestiti, beni alimentari. Ebbene, esiste una piccolissima minoranza, una élite finanziaria e di businessmen che, anche attraverso il controllo dei mass media, ha potuto influenzare ampi settori della società. Quindi la mia critica non è assolutamente contro l’America né tantomeno contro la sua cultura, ma verso alcuni problemi etici insiti nel pensiero neoconservatore, che, per un’insieme di cause, ha ottenuto forte seguito negli Stati Uniti, anche se non solo negli Stati Uniti. 22 E il debito pubblico dell’Italia? Non è stato causato da una mala gestione, come l’andare in pensione dopo pochi anni di servizio? È vero che l’Italia ha un gravissimo debito pubblico. Questo è il problema fondamentale italiano. La lotta contro il debito pubblico italiano ha avuto fasi alterne. Sono pienamente d’accordo sul fatto che questo debito pubblico è stato frutto di un certo malcostume generalizzato, che non riguardava una sola parte politica. Esisteva certamente una certa demagogia che consentiva sacche di inefficienza nel settore pubblico, assenteismo e altri fenomeni negativi. Ma tra i dipendenti pubblici non ci sono solo assenteisti, ci sono anche persone di grandi capacità ed efficienza, ma la cui abilità non è premiata. Esistono una serie di normative e di meccanismi della pubblica amministrazione per cui è difficile sanzionare i comportamenti scorretti ed è difficile premiare i comportamenti di onestà e di efficienza superiore alla media. Su questo bisogna indubbiamente mettere mano e io lo dico da economista keynesiano: proprio perché credo nell’intervento regolatore (non nell’irruenza) dello Stato, non si può accettare, sul piano logico, che lo stato sia inefficiente, o che sia un’arma spuntata. Chi crede nelle politiche economiche attive, a maggior ragione dovrebbe essere ancora più fermo e più severo nel pretendere che determinati comportamenti inefficienti siano colpiti: la mala sanità, l’assenteismo nella Pubblica Amministrazione, all’inefficienza dei dirigenti. L’art. 18 dello Statuto dei lavoratori esiste, dovrebbe essere applicato anche nel settore pubblico. Episodi di assenteismo seri, le prime volte sanzionati se reiterati, dovrebbero portare al licenziamento e al tempo stesso bisogna premiare chi, nel settore pubblico, svolge maggiormente il lavoro. 23 È un dato di fatto però che il debito pubblico italiano ha avuto fasi alterne. Verso la fine degli anni Novanta (intorno al 1997-98) si era raggiunto l’avanzo primario, con politiche molto oculate. Che cos’è l’avanzo primario? È una differenza positiva tra spesa pubblica ed entrate: la situazione in cui le entrate dello Stato sono più alte della spesa pubblica. Non c’era l’avanzo complessivo, ossia il settore pubblico era in deficit complessivamente, perché la spesa sugli interessi passivi, sul debito pubblico accumulato era alta, tanto alta da più che compensare l’avanzo primario (ossia la semplice differenza tra entrate fiscali e spese). Il debito pubblico è sceso in certe fasi e cresciuto in altre e adesso è effettivamente un problema. È però probabile che anche i vincoli del trattato di Maastricht, che pongono limiti ben precisi alla dinamica sul debito pubblico, in questa fase di crisi così severa, potranno essere leggermente allentati. Personalmente, non sono per allentarli senza limiti, altrimenti si rischiano derive demagogico-populiste o la perdita del controllo del debito pubblico, come è avvenuto in Islanda, Paese insolvente. Non bisogna eliminare i dispositivi di politica economica di controllo del debito pubblico, però i vincoli posti dal trattato di Maastricht potranno forse in futuro essere un po’ allentati, o quanto meno l’interpretazione di questi vincoli potrebbe diventare un po’ più accomodante. È vero il fatto però che il debito pubblico americano ha avuto un’espansione senza freni, senza contenimento. La politica monetaria della Federal Riserve dal 2007 ad oggi è stata volta ad abbassare continuamente i tassi ufficiali di sconto, mentre la nostra banca centrale faceva una politica più restrittiva e più severa. In una prima fase aveva anche le sue ragioni. Ma perché faceva questo la Fed? Ha certamente economisti brillantissimi e di grande statura, ma in quella fase la politica faceva pressione sulle scelte economiche, come ha affermato 24 anche il Prof. Savona, proprio pochi giorni fa alle “Lezioni Arcelli”, tenutesi presso la mia Facoltà, l’Università Cattolica – sede di Piacenza. Personalmente mi limito a osservare che dal 2007 alla fine del 2008, l’agenda politica americana prevedeva scelte di politica estera che implicavano un forte volume di spesa militare, legata in gran parte alla guerra dell’Irak. Questo ha generato un livello di debito pubblico molto alto. La Fed avrebbe potuto monetizzare il debito pubblico (come ha effettivamente fatto, continuando ad acquistare titoli di debito pubblico, tenendo, di conseguenza, i tassi a un livello basso), o non monetizzare il debito pubblico, lasciando che i tassi crescessero. Ma se i tassi fossero cresciuti, la gente avrebbe comprato meno case, i prezzi delle case sarebbero crollati e la bolla speculativa “immobiliare” sarebbe scoppiata prima. La crisi del mercato del subprime sarebbe scoppiato un anno o due prima, allora perché solo posticiparla? Il mio punto di vista, del tutto criticabile, è il seguente: il grado di indipendenza del presidente della Federal Reserve è inferiore rispetto al grado di indipendenza degli altri bancheri centrali, poiché il Presidente degli Stati Uniti è l’autorità che nomina il Presidente della Federal Riserve. Personalmente ho molta ammirazione per Bernanke, essendo stato visiting fellow a Princeton quando lui era direttore del dipartimento di economia, però è un dato di fatto che Bernanke era un economista vicino a Bush e al suo entourage. Posto che la bolla sul mercato immobiliare prima o poi sarebbe scoppiata, cercare di ritardare il momento dello “scoppio” della bolla speculativa di un paio di anni, dopo la crisi dei subprime del 2007, poteva avere qualche significato politico. Non dimentichiamo che le elezioni presidenziali americane si sono tenute nel novembre 2008. Come economista non posso non rilevare, come peraltro osservato dalla maggior parte degli economisti, che la politica 25 di tassi bassi, di basso costo del denaro e di facile finanziamento per le banche, induceva le banche stesse ad essere poco prudenti nel concedere credito alla clientela, allentando il grado di rigore nel monitorare e distinguere i clienti rischiosi da quelli meno rischiosi. Lo stesso Greespan ha fatto pubblica ammenda. Diversamente dalla Federal Reserve, la Banca Centrale Europea ha seguito una politica monetaria molto più severa e rigorosa e il processo di nomina del presidente della BCE e dei suoi organismi dirigenti la rende molto più indipendente dal potere politico di quanto non sia la FED. Se uno va in banca e investe i titoli al 2% e qualcuno gli dice che al 5% ci sarebbero altri titoli, perché non li compera? La colpa non è solo di chi li proponeva, ma anche di chi li accettava perché ne avrebbe avuto guadagni maggiori. A fare questo errore sono stati molti, e qui c’è una responsabilità delle nostre banche. La banca presso la quale ho il mio conto corrente, nell’estate del 2008, ha cercato di vendermi le obbligazioni Lehman Brothers, dandomi qualche consiglio. Ho risposto di no, dicendo che mi occupavoo un pochino di economia e ritenevo avventato acquistare quei titoli in quel momento. Poco tempo prima del fallimento di Lehman Brothers, “Patti Chiari” assegnava la tripla A ai suoi titoli e molte delle banche aderenti a “Patti Chiari” continuavano a collocare titoli “Lehman Brothers” presso la loro clientela, composta anche di persone anziane o che non si interessavano di economia e che in buona fede si fidano dei consigli dati dai funzionari. E che facevano questi funzionari? Ricevevano pressioni dai loro dirigenti per 26 collocare questi titoli e la loro stessa carriera dipendeva dal fatto di riuscire a collocare questi titoli. È tutto il sistema che è perverso. Anche io ho litigato con il direttore di una filiale di banca che cercava di vendere ad una mia zia molto anziana delle obbligazioni molto dubbie. Quali sono gli stili di vita dominanti? Qual è il ruolo dell’educazione? Che cosa pensa dell’industria della moda? È un’industria importante per l’economia italiana. Credo che forse però trasmetta dei valori discutibili sul piano etico: che senso ha vendere a 5000 euro un vestito che sarà acquistato e indossato solo per due o tre occasioni? Questo ci dovrebbe portare a riflettere. Molte persone si ispirano a questo stile di vita, anche per effetto dei modelli culturali televisivi, che trasmettono una mentalità narcisistica, che esalta solo l’immagine esteriore e l’apparenza di una persona. Un libro che mi piace molto è Anatomia della distruttività umana, che descrive il narcisismo individuale, la scelta di “apparire” anziché “essere”, la scelta della superficialità come modo di vita. Credo che manchi una critica sociale. La valutazione sociale e comune di ciò che era bello e di ciò che era elegante, negli anni settanta, rispondeva a dei canoni un po’ più accettabili sul piano etico: uno poteva essere bello con i jeans, con vestiti più sobri e questo rifletteva uno stile un po’ meno mediato dall’immagine, dal voler apparire. Sono completamente d’accordo sul fatto che ci debba essere una riflessione sugli stili di vita e sul narcisismo e su quali sono le origini anche psicologiche del narcisismo. 27 L’apparenza è diventato tutto: il riuscire ad avere un look da quarantenne anche se si hanno 70 anni sembra la cosa più importante per la vita di molte persone. Spesso una persona soffre perché si sente insoddisfatta e se non ha l’immagine di sé si sente persa. Bisogna fare in modo che questa persona trovi altre gioie più genuine, più dirette, legate all’essere, non all’apparire. L’educazione e il lavoro costante degli educatori è insostituibile. È stato dato un quadro un po’ pessimistico, che cosa possiamo fare noi in questa situazione? Sono d’accordo sul fatto che bisogna rimboccarsi le maniche, bisogna avere non l’atteggiamento passivo assistenzialista di chi aspetta la manna che venga dal cielo a darci l’aiuto. Le forme di intervento a tutela di chi perde il lavoro, di solidarietà devono essere organizzate in modo da essere non delle distribuzioni a pioggia, ma di sussidi per attività socialmente utili delle persone che li ricevono. Tito Boeri afferma che a volte le attività di formazione per i disoccupati non funzionano bene, perché si finanziano i formatori più che i lavoratori disoccupati. Probabilmente è meglio sussidiare i disoccupati facendoli lavorare su progetti utili e condizionare il sussidio al fatto che non si possano rifiutare offerte di lavoro, pena la perdita del sussidio. Che cosa possiamo fare noi? Nella nostra attività quotidiana vigilare, dare testimonianza, fare pressione contro tutti i comportamenti non etici, scorretti sul piano della gestione del denaro pubblico. Credo che questo sia difficile, ma parlo a persone che sono motivate da valori etici forti: sapere che il nostro compito morale è difficile e che siamo in pochi a testimoniare i nostri valori non ci deve scoraggiare. 28 Le economie emergenti (Brasile, Cina, India) Brasile, Cina e India diventeranno e sono già in parte delle potenze economiche. La Cina sta avendo un ruolo politico enorme nei paesi africani (abbiamo visto il Sud Africa non ammettere il Dalai Lama ad un’importante conferenza su pressione della Cina e, personalmente, trovo aberrante quello che sta accadendo in Tibet). L’economia cinese è un’economia di comando, perché il sistema comunista cinese si è trasformato in un sistema in tutto e per tutto ultraliberista, con un liberismo più sfrenato, privo di ogni vincolo. L’India è un paese che ha moltissime contraddizioni. Ad esempio, c’è ancora il peso delle caste, ma è un paese che ha un grande avvenire. Presto questi Paesi saranno le nuove potenze economiche. Credo che in futuro ci sarà una riduzione del potere economico mondiale degli Stati Uniti e dell’Europa, anche del nostro, e un aumento del potere economico mondiale di questi paesi. Il ruolo dell’Italia in questo contesto L’Italia, purtroppo, già da prima della crisi finanziaria non versava in condizioni particolarmente felici, perché l’industria italiana è poco presente nei settori altamente tecnologici e innovativi. La stessa India è all’avanguardia nei settori come l’informatica. Questa è un po’ colpa nostra. L’Italia è un paese che continua con tutti i governi di qualunque colore politico a 29 togliere risorse alla ricerca. E la ricerca non include solo studi teorici ed astratti (che comunque hanno la loro funzione), ma anche è la ricerca ingegneristica, per soluzioni tecnologiche, nuovi macchinari. Prima dell’euro molte imprese, anche di questa zona del nord est, basavano la loro prosperità sulle continue svalutazioni della lira, che voleva dire prodotti da vendere a buon mercato i nostri prodotti ai tedeschi e agli altri Paesi europei, con cui la nostra economia era fortemente integrata. Arrivato l’euro, questo è finito. D’altra parte non ci fosse stato l’euro avremmo pagato la benzina carissima e i tassi di interesse sarebbero schizzati a livelli altissimi, quindi la situazione economica sarebbe stata molto peggiore. Il ruolo dell’Italia era già un po’ problematico; io credo che bisogna anche qui investire nella ricerca. E investire nella ricerca vuol dire investire nell’uomo, nelle capacità umane di creare invenzione, di creare nuove soluzioni. Su questo mi piacerebbe che ci fosse un accordo, indipendentemente dal colore politico dei governi, per cui tutti dovrebbero impegnarsi a non tagliare più risorse all’istruzione e all’università e ad aumentarle. Il ruolo dei fondi sovrani Bisogna riscrivere le regole dei mercati mondiali. Secondo me non lo si sta facendo. Il rischio è che si cambi tutto per non cambiare nulla. I punti focali che ho cercato di esprimere erano questi: bisogna impedire questa deregulation assoluta e bisogna, se non altro, che non si concedano dei fondi pubblici a chi ha avuto responsabilità in questo fallimento. I modelli economici su cui si basavano le politiche economiche erano modelli abbastanza ideologici. Un tempo 30 c’era il marxismo, un’ideologia di altra natura, oggi ci sono delle ideologie magari più sofisticate, ma sono sempre delle ideologie. Vi faccio un esempio: su cosa si fondano i modelli neoliberisti di decisione della politica economica? Si descrive, da un punto di vista matematico, l’economia con il cosiddetto “agente rappresentativo”, l’italiano medio, l’americano medio, ecc.. Poi si moltiplica per 57 milioni di volte l’individuo medio, immaginando che il comportamento collettivo sia rappresentabile in questo modo. Primo problema: seguendo questo approccio si esclude l’eterogeneità. Si ipotizza a priori che non esista differenza di comportamento né di bisogni tra i poveri, tra chi è più amante del rischio, e chi è più avverso. Secondo aspetto: si sosteneva che la semplice concorrenza sarebbe stata sufficiente a impedire questi squilibri abnormi tra redditi dei lavoratori e redditi dei grandi manager. Credo che il fatto che in epoca keynesiana un top manager potesse guadagnare 20 volte lo stipendio di un operaio potesse essere giustificato da vari fattori, ma il fatto che pochi mesi fa, alla vigilia della crisi, un top manager finanziario fosse pagato 300 volte lo stipendio di un operaio, è assurdo e non ha giustificazione. Semmai dimostra che la convinzione degli ultraliberisti, secondo la quale bastava la pressione competitiva tra le grandi società per contenere le sperequazioni salariali è pura ideologia o, nella migliore delle ipotesi, una pia illusione. Così come non è vera la grande bufala ideologica secondo cui si poteva eliminare il rischio di un portafoglio titoli diversificandolo sufficientemente bene, per settori industriali, per nazioni, per paesi. È stato sottovalutato il rischio di sistema. Forse è stato addirittura ignorato. 31 Tutte le critiche al pensiero neoliberista prima non c’erano? Molte delle cose che ho detto oggi le ho pubblicate in vari articoli, su varie riviste, a partire dagli anni 2000. Posso eventualmente darvi gli estremi di queste riviste. Quando dicevo queste cose mi davano dello statalista, del comunista. Io non credo di essere né statalista né comunista, però queste cose le dicevo motivato da argomentazioni tecniche di tipo economico. Gli ammortizzatori vanno fatti in modo corretto Sono d’accordo sul fatto che gli ammortizzatori sociali devono essere fatti in modo corretto, compatibile con gli incentivi, senza demagogia. La crisi su chi graverà di più? Mi rendo conto che una gran parte della crisi graverà sugli stranieri e sui lavoratori stranieri, perchè sono i meno tutelati e, spesso, meno consapevoli dei loro diritti e del modo con cui difenderli. Quindi sono più deboli. Vorrei richiamare il valore della gratuità Questo ci ricollega al ragionamento che facevamo del legame che ci deve essere tra etica ed economia. 32 Io credo che siano i principi cristiani ad averci insegnato il valore del dono, della gratuità. Gratuità non vuol dire essere ingenui e quindi dare a chi non se lo merita: il principio della gratuità può suggerirci di individuare delle fasce sociali che richiedono interventi pubblici, non soggetti a controlli e a limiti sulla base di valori etici; ad esempio rispetto dell’infanzia, diritto alla vita, sostegno alle ragazze madri in situazioni famigliari ed economiche disagiate, in modo da scoraggiare il ricorso all’aborto. Per fare questo però occorrono politiche di Welfare molto decise e di largo respiro . Non si può parlare di diritto alla vita e non garantire l’intervento dello Stato per ragazze madri, abbandonate in situazioni disagiate. La gratuità è un fatto importante. Gli economisti ci insegnano che debba essere conciliata (mi spiace fare l’avvocato del diavolo) con il principio di incentivo di compatibilità. Le risorse, il denaro pubblico devono essere compatibili con gli incentivi di ognuno: se si è incentivati a non impegnarsi, a non dare la propria produttività e si riceve denaro senza nulla in cambio, non si può pensare di vivere in una società efficiente e produttiva. Però una cosa che si può fare è prevedere un ruolo delle fondazioni benefiche, delle Associazioni di volontariato e del settore no profit. Quello che lo Stato dovrebbe fare è dare maggiori risorse (sulla base di “bilanci sociali” che rivelino gli obiettivi sociali raggiunti) al settore no profit, al settore del volontariato, il quale, non essendo titolare di politiche economiche universalistiche, può intervenire ad personam col principio della gratuità cristiana. Queste considerazioni dovrebbero indurci a richiedere che lo Stato abbia un occhio particolare, che non tolga risorse al settore no-profit in questa situazione di crisi, magari sottoponendolo a degli standard di controllo, costituiti da misuratori sociali del servizio offerto alla collettività. 33 I titoli tossici e il problema dei “futures” C’è certamente un problema dei futures. Cosa sono i futures? Con un future si acquista oggi non un titolo, ma il diritto di comprare in futuro un titolo a un prezzo pattuito oggi. Per esempio, se c’è un’azione che vale 100 e mi aspetto che tra un mese valga 110, io compro il diritto di avere tra un mese a un prezzo pattuito oggi. Tra un mese riceverò il titolo (al prezzo complessivo, pattuito oggi, di 100) e lo rivenderò a 110. Il future dunque è lo specchio delle aspettative che il mercato formula sul prezzo di questa azione domani. Il future tuttavia non è il prezzo intero dell’azione, ma il prezzo del solo diritto di avere domani questa azione. Comprando un futures, faccio una scommessa sulle aspettative, sulle mie previsioni, quindi il mercato dei futures è altamente volatile e oscilla tantissimo, così come oscillano tantissimo le aspettative e la percezione degli individui sul mercato futuro. Il pensiero neoliberista (anche Keynes era liberista, anch’io, che sono keynesiano, lo sono, ma essere liberisti non significa affatto condividere il pensiero neoconservatore), prima della crisi sosteneva che il mercato futures avesse la facoltà di rendere il sistema finanziario più sicuro, facilitando la diversificazione del rischio e permettendo agli operatori di “assicurarsi” contro le oscillazioni dei prezzi dei titoli. Tutte queste opinioni si sono rivelate profondamente sbagliate, perché il sistema dei futures si basava implicitamente sull’idea delle cosiddette aspettative razionali. Cosa sono le aspettative razionali? Sono l’idea economica, tipica del pensiero neoconservatore, secondo cui le previsioni formulate dagli individui sul mercato non sono sistematicamente sbagliate. Magari gli individui sbagliano le previsioni, ma non sempre nella stessa direzione: a volte in eccesso e a volte in difetto, ma mediamente le previsioni 34 saranno giuste. Di per sé questa può sembrare un’affermazione ragionevole e condivisibile. Tuttavia, in termini matematici, nei modelli teorici utilizzati per la politica economica, questa ipotesi si è tradotta nell’ipotesi che gli individui non sbagliano le previsioni, e che questo sia possibile semplicemente diversificando in modo adeguato il rischio. Gli errori di previsione in difetto dovrebbero compensarsi con gli errori di previsione in eccesso e, di conseguenza, gli individui non sbaglierebbero le loro previsioni... Dunque, stando a questa interpretazione, l’aspettativa razionale degli individui si avvicina all’idea che il mercato (ossia gli esseri umani nel loro complesso e nel loro comportamento collettivo) formulino previsioni perfette. Sul piano della riflessione teologica ho più di una difficoltà nell’accettare questa idea secondo cui che gli esseri umani, sia pure nel loro complesso e nel loro comportamento collettivo, facciano delle previsioni perfette. Questo è un altro degli esempi, a mio avviso, della debolezza, sul piano etico, di questo tipo di visione economica. L’illusione secondo cui si potesse diversificare quasi sempre adeguatamente il rischio, l’illusione di aspettative razionali illimitate sono tipici elementi del pensiero neoconservatore, caratterizzato da forti venature ideologiche. Erano questi i principi teorici dell’ideologia dell’ultraliberismo, del profitto fine a se stesso e del mercato fine a se stesso. Premesso che nessuno mette in discussione il mercato, che nessuno dubita del fatto che il mercato sia meglio di altre organizzazioni sociali (come l’aberrante pianificazione centralizzata), la cosa da richiedere è che si crei maggiore controllo: occorre una governance internazionale e una governance dei mercati finanziari, così come occorre dare un ruolo maggiore ai paesi più poveri, che adesso hanno un peso di voto bassissimo nelle organizzazioni finanziarie internazionali. 35 Il risparmio eroso e l’evasione fiscale Condivido la preoccupazione espressa dal sindaco di Affi sul fatto che il risparmio sia stato eroso. Il comportamento tipico degli italiani è un po’ cambiato, soprattutto per le persone di queste zone, che un tempo erano più propense al risparmio. Condivido anche il discorso sull’evasione fiscale. Quello che ho detto nel mio intervento è che l’impatto macroeconomico dell’evasione fiscale è molto forte e sono pienamente d’accordo che l’evasione fiscale sia da combattere con decisione. Cosa è successo in Italia dopo il 2000? L’Italia aveva già un’economia in rallentamento prima della crisi, dovuta alla scarsità di innovazione delle nostre aziende e anche alla scarsità di fondi destinati alla ricerca e allo sviluppo. Il resto del mondo non era in recessione prima del 2007. Noi non eravamo, strettamente parlando, in recessione ma avevamo una crescita molto stentata e molto rallentata. La crisi finanziaria, ovviamente, non ha fatto che aggravare questa situazione di farci cadere in una grave recessione. È importante il problema di chi fa le leggi sull’evasione fiscale La lotta all’evasione fiscale è un fatto di volontà politica. Sarebbe auspicabile che questo fosse un impegno pubblico “bipartisan”, indipendentemente dal colore politico di chi governa. Chi governa però non deve mai strizzare l’occhiolino 36 agli evasori per cercare consenso in certe categorie sociali e non deve mai più giustificare in alcun modo, diretto o indiretto, l’evasione fiscale. Si attuino concreti provvedimenti per avere, senza sforzi per la guardia di finanza, una riduzione del fenomeno. Ad esempio, è sufficiente reintrodurre la norma sulla tracciabilità degli assegni bancari, abolita dal presente Governo, oppure basterebbe rendere pubbliche le dichiarazioni dei redditi. Questo richiederebbe solo alcune piccole modifiche sulla normativa della privacy e, ripeto, basterebbero alcuni punti percentuali di recupero dell’evasione fiscale per avere le risorse per finanziare maggiori ammortizzatori sociali, come il sussidio di disoccupazione generalizzato. Il problema degli ammortizzatori sociali È un problema grave. Già Biagi, quando aveva parlato della sua proposta di legge, aveva ipotizzato di mettere mano al meccanismo degli ammortizzatori sociali e purtroppo questo non è stato fatto con la dovuta decisione da nessun governo di nessun orientamento politico. Anche questo è un fatto importante. Può la crisi avere qualche aspetto educativo? Penso di sì. Forse ci potrà aiutare a capire, se vogliamo essere più vicini alla sofferenza delle persone che fanno parte della comunità e che sono in difficoltà, e possiamo sentire di più anche il valore del sacrificio, della rinuncia, e forse potremo imparare ad apprezzare il dare come il ricevere. 37 Quale uomo, quale società, quale Chiesa stiamo servendo? Sono completamente d’accordo sulla necessità di una riflessione, sul cambiamento antropologico dell’essere umano negli ultimi vent’anni e su quanto si sia enormemente ridotto il peso dei rapporti umani. I giovani passano molto meno tempo in compagnia di quanto ne passano davanti al computer e davanti alla televisione. Questo sta avendo degli effetti molto negativi sulla capacità di interagire. In una delle sue lettere, l’apostolo Paolo affermava che il nostro corpo è come il tempio di Dio, il tempio dello Spirito: quindi è importante ascoltare la voce della coscienza se ci parla e ci suggerisce quando è giusto intervenire e dare testimonianza pubblica, sul piano sociale o nei rapporti con gli altri esseri umani o nell’impegno civile, sempre con molta sincerità, a costo di apparire scomodi, o, magari, di suscitare qualche controversia, tra le tante opinioni presenti anche all’interno della Chiesa o della confessione religiosa di cui facciamo parte. Mi perdonerete se mi sono permesso di concludere così. Credo che la sincerità di spirito e la chiarezza con cui si espone il proprio pensiero non deve farci paura: perché, se anche saremo criticati (magari qualche volta anche da fratelli della nostra Chiesa, o della nostra confessione religiosa), se parliamo con limpidezza, onestà, spiegando bene i sentimenti e le ragioni alla base del nostro pensiero, ebbene, credo che la nostra testimonianza meriti sempre di essere espressa. 38 Stampato in proprio ad uso interno Eventuali imprecisioni nel testo (non rivisto dal relatore) dipendono dal fatto che esso è stato trascritto direttamente dalla registrazione 39