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A modo mio
Giovani e adulti raccontano com’è
vivere con il microinfusore.
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www.accu-chek.it
www.microinfusori.it
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A modo mio Giovani e adulti raccontano com’è vivere con il microinfusore
C
ON
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Q U I S TA D
A modo mio
Giovani e adulti raccontano com’è
vivere con il microinfusore.
Prefazione
Cambiare abitudini è sempre difficile e la scelta di passare dalla classica terapia
insulinica multi iniettiva a quella con microinfusore è impegnativa. Il consiglio del Team
diabetologico, la disponibilità a discutere preventivamente ogni aspetto della terapia e gli
studi che confermano i vantaggi offerti da questo strumento non sempre sono sufficienti a
prendere questa importante decisione.
Come Roche Diagnostics siamo in dialogo continuo con i Team diabetologici e
partecipiamo, attraverso il lavoro dei nostri esperti collaboratori, a questo processo decisionale; conosciamo i dubbi iniziali, le domande che sorgono ad adulti, ragazzi, bambini e
genitori che stanno valutando se utilizzare il microinfusore.
Per la maggioranza delle persone che oggi portano un microinfusore, l’elemento
determinante nella loro scelta di provare questo tipo di terapia è stato l’incontro con qualcuno che già lo usava.
Del resto se riflettiamo sulla nostra esperienza scopriamo tutti come la testimonianza di una persona sia spesso la molla che ha fatto scattare decisioni importanti della
nostra vita.
Per questo www.microinfusori.it, il nuovo sito realizzato da Roche Diagnostics,
ha deciso di intervistare molte persone, dai 12 anni in su, invitandole a parlare della loro
esperienza.
Ne sono emerse testimonianze che, senza nulla togliere all’impegno e alla difficoltà psicologica di gestire il diabete insulinodipendente, chiariscono i vantaggi che il microinfusore può offrire e rispondono alle prime domande che vengono in mente a chi deve
scegliere se passare a questa modalità di somministrazione.
All’entusiasmo con il quale le persone hanno accettato di farsi intervistare e fotografare, coscienti di dare così un supporto ad altre persone, ha fatto seguito la freschezza,
la sincerità e la maturità delle loro riflessioni, ben rese nelle interviste.
Visto il gran numero di pagine scaricate da questa sezione del sito, abbiamo
pensato che queste interviste potevano rappresentare la prosecuzione ideale dei libri che
abbiamo edito nella collana ‘Conquista di libertà’: ‘Il mio microinfusore’, ‘Vivere con il microinfusore’ e ‘Amici per davvero’. Trovando l’accordo pieno degli intervistati, abbiamo deciso
di riportarle in un volume.
Essendo il paziente al centro del Team e protagonista di ogni aspetto del percorso terapeutico, abbiamo voluto continuare la nostra attività di informazione e divulgazione
facendo sentire la loro voce, il loro modo di vedere le sfide e le opportunità aperte dalla
terapia con microinfusore.
Buona lettura,
Massimo Balestri
Roche Diagnostics
Indice
1 Ragazzi
pag. 7
2 Giovani
pag. 17
3 Adulti
pag. 39
5
Giovani
1
Alfredo
2
Marco
3
Martina
Ragazzi
Più in forma
con il microinfusore
Anche i
ragazzi
ormai
badano
alla forma
fisica e ad
Alfredo, un ragazzo di 14
anni, proprio non piacevano quei chili
‘messi su’ per colpa del diabete. Al
resto era abbastanza abituato, dopo
oltre dieci anni. «Ma l’insulina – e ne
dovevo assumere tanta – mi portava
a ingrassare. E non era solo quello,
mi sentivo spesso ‘gonfio’, affaticato,
insomma proprio fuori forma»,
racconta Alfredo, un ragazzo tranquillo
abbastanza abitudinario ma simpatico
e allegro.
Una delle conseguenze, una vera e
propria sopresa,
del passaggio
al microinfusore
è stata la rapida
riduzione della quantità
di insulina assunta ogni
giorno.
I libri dicono che – per effetto
dell’assunzione ‘più fisiologica’ – il
fabbisogno di insulina può scendere
anche del 20% rispetto alla terapia
tradizionale. Nel caso di Alfredo è
sceso alla metà. Diventato più snello
il corpo di Alfredo è divenuto ancora
più sensibile all’insulina e questo
ha permesso di ridurre ancora il
fabbisogno. Risultato: «Ho perso
qualche chilo e mi sento più snello, più
scattante, più in forma insomma».
Ragazzi
9
Chi ha suggerito per primo l’idea di
passare al microinfusore?
Il mio diabetologo. Le glicemie non
andavano bene, capitava spesso di
trovare 300 o 400 sul reflettometro.
Ho avuto anche una chetoacidosi. Al
Servizio di diabetologia hanno iniziato
a parlare di questo nuovo modo di
fare l’insulina, che forse era più adatto
a me, che era più comodo, che mi
avrebbe reso più libero. Io non ero
convintissimo a dire il vero.
10
Cosa ti ha convinto?
Devo dire che non sapevo molto
sull’argomento, per cui sono state
importantissime le conversazioni con
il mio diabetologo e con Roberto,
l’esperto di microinfusori di Roche
Diagnostics. Hanno parlato con
me e con i miei genitori dandoci
tutte le informazioni che volevamo,
rispondendo a tutte le domande che ci
venivano in mente e ci siamo convinti.
Mi ha aiutato molto anche parlarne con
un ragazzo più o meno della mia età
che utilizzava già il microinfusore.
In famiglia cosa pensavano?
Dopo tanti anni ti abitui alle penne e fai
fatica a pensare a qualcosa di diverso.
Ma anche per loro è stato importante
saperne di più. Mia sorella grande in
particolare è stata incoraggiante.
Quando hai iniziato, gli amici, i
professori a scuola cosa ti hanno
detto?
Molte domande, curiosità: come
funziona, fammi vedere, ma come fai
a fare questo o quello. Dopodiché
basta. Ovviamente tutti sanno che ho il
diabete. Ci mancherebbe altro.
Qualcuno aveva paura che si
rompesse, che tu fossi divenuto più
‘fragile’?
No. Un po’ io. Ricordo una volta che
sono caduto per uno spintone proprio
sopra il microinfusore. Ero molto
preoccupato ma non è successo niente,
solo un graffio sulla superfice.
Nello sport?
Da qualche tempo faccio nuoto. In
piscina d’inverno, al mare d’estate.
Generalmente tengo la cannula inserita
e il microinfusore lo lascio a casa. Devo
solo stare attento con i tuffi perché
altrimenti si stacca. Per il resto nessun
problema.
Ho iniziato a 13 anni e in un certo senso
il microinfusore ha coinciso con una
fase nuova. Facevo già da solo iniezioni
e controlli ma è chiaro che a un certo
punto diventi autonomo anche
nelle decisioni. E il microinfusore è
arrivato proprio in quel momento.
A modo mio
E le glicemie?
Vanno molto meglio, i 300 e i 400 sono
un ricordo. Piuttosto devo stare attento
alle ipoglicemie, nonostante
continui a ridurre
il dosaggio delle
insuline. Anche lì è
una questione di
pratica. Si aggiusta
la basale magari
anche solo di un
decimo di punto...
arrivato proprio in quel momento.
Perciò non mi è mai capitato di
pensare: “Ah, se avessi iniziato prima”.
Questo era proprio il momento
giusto.
Sei capace di farlo da
solo?
Certo: non è poi complicatissimo,
impostarli sulla macchina è un attimo
e in fondo anche valutare le variazioni
da fare non è un problema. E lo stesso
vale per i pasti o per l’esercizio fisico
non previsto: a me piace correre per
esempio. Devo dire che, più o meno,
mangio sempre le stesse cose; diventa
facile quindi calcolare i boli necessari.
L’anno prossimo andrai alle
superiori. Hai iniziato a usare il
microinfusore l’anno scorso a 13
anni, è l’età in cui generalmente si
inizia a gestire davvero da soli la
terapia...
Sì, in un certo senso il microinfusore
ha coinciso con una fase nuova.
Ovviamente già facevo iniezioni e
controlli da solo, ma è chiaro che a un
certo punto diventi autonomo anche
nelle decisioni. E il microinfusore è
Ragazzi
11
Il diabete?
Non mi tange
12
‘Non mi tange’, dicono
i ragazzi oggi, per dire, ‘non mi
interessa’, ‘non mi colpisce’. E avere il
diabete a 16 anni «tange tutto e non
tange nulla», sintetizza in maniera felice
Marco, studente al liceo scientifico.
Il microinfusore però ‘tange’, cambia
qualcosa, anzi molto: «Il microinfusore
non fa passare il diabete ma migliora
quasi tutto. Con lui è una cosa diversa»,
afferma Marco; «riprendi il controllo;
puoi fare cose che prima non facevi».
Per esempio?
Mah, la prima cosa che mi viene in
mente è il gelato la sera. D’estate si
esce e, a una certa ora, è il momento
del gelato. Se hai il diabete e non hai
un microinfusore il gelato non lo pigli.
Se hai il microinfusore, invece, sì. Più
o meno i gelati sono tutti uguali e
impari presto quante unità devi fare per
‘coprirlo’. Ti godi il gelato, la serata e
la compagnia e vai a letto sereno con
delle glicemie decenti.
Gli amici?
Ovviamente sanno tutto del diabete,
se no che amici sarebbero? Ma col
microinfusore è un successone,
“fammelo vedere”, dicono, “ma come
funziona?”... Neanche fosse l’ultimo
modello di cellulare.
A scuola?
A scuola non cambia molto, si sta seduti
sui banchi come prima. Il microinfusore
non ti fa capire meglio il latino.
A modo mio
Abbassa le medie glicemiche ma
non alza quelle scolastiche.
E infatti così è successo: la glicata
è migliorata, la scuola è rimasta
uguale. Eppure ci potrebbe essere un
modo di mettere nella memoria del
microinfusore che ne so: versioni di
latino tradotte, formule matematiche...
Scherzi a parte, lo sport?
Il mio sport principale è il calcio.
Durante le partite tolgo il microinfusore
perché faccio il portiere e rischio di
prendere una pallonata.
Ruolo di tutto riposo quello del
portiere...
Se la squadra funziona. Se tutti sono
nell’altra metà del campo, devi correre
verso la palla, saltare di qua e di là.
E poi prenderti la colpa di ogni tiro
che entra in porta. Nessuno che mai
si domandi come mai la palla era
nell’area sbagliata. Comunque, al di là
delle partite ‘formali’, il ‘micro’ ti aiuta
in quelle partitine improvvisate che si
decidono all’ultimo momento. Basta
ridurre la basale e tutto va a posto. È
proprio tutta un’altra vita.
Che rapporto hai con il
microinfusore?
Ottimo, è davvero un amico. Più di un
amico, perché qualsiasi cosa io faccia,
la fa con me, e dopo ne discutiamo...
Come, ‘ne discutiamo’?
Sì, lui sa tutto ormai di me: vita, morte
e miracoli. Magari mi chiedo: vediamo
un po’ che bolo avevo fatto ieri sera o
quante unità nel corso della giornata..
e lui si ricorda tutto. Da un anno e tre
mesi ho ‘qualcuno’ che mi aiuta e mi
è vicino in quella gestione quotidiana
del diabete che di fatto non puoi
condividere con altri.
A proposito di condividere con
altri... i genitori cosa ne pensano?
Sono contenti. Devo dire che all’inizio
io non ero molto convinto di questo
passo. Loro sono stati di supporto,
senza tuttavia spingermi troppo. Mio
padre è così, mi ha sempre detto:
“Certe scelte le devi fare tu”. “Se vuoi il
mio parere”, ha aggiunto, “mi sembra
una cosa buona”. Allora ho pensato
‘tentar non nuoce’, e dopo quattrocinque giorni mi sono abituato, anzi più
che abituato al microinfusore.
E l’idea di essere attaccati a una
macchina, le paure...
Sparite. Tutto ciò ‘non mi tange’.
D’estate si esce e, a una certa ora,
è il momento del gelato. Se hai il
diabete e non hai un microinfusore
il gelato non lo pigli. Se hai il
microinfusore, invece, sì.
Ragazzi
13
Se va bene a lei...
14
«Avevamo letto molto
sui microinfusori e ci
eravamo convinti che si potesse trattare
di una soluzione interessante per
nostra figlia» racconta Roberta, mamma
di Martina oggi dodicenne. Martina
è una ragazzina precisa, perfino
pignola; come capita alla sua età ha
abitudini regolari, fa tanto sport. Il suo
equilibrio glicemico è molto vicino alla
perfezione. Ma la mamma e il papà di
Martina hanno chiesto di provare con il
microinfusore. La pediatra diabetologa
che segue Martina dall’esordio si è
detta d’accordo. «Martina può mettere
il microinfusore, ha infatti la maturità
necessaria, conosce il calcolo dei
carboidrati e usa l’analogo rapido per
coprire i pasti. Tutto OK quindi».
Il ‘passaggio’ quindi è avvenuto
senza drammi...
Non abbiamo avuto grandi problemi,
sia il Team diabetologico sia l’‘esperta’
di Roche Diagnostics ci hanno dato
tutte le informazioni necessarie. La
definizione dello schema basale non
è stato un problema. Con l’aiuto di un
sensore continuo della glicemia è stato
rivisto e perfezionato il primo schema.
Martina ha un diabete ben
controllato, senza troppi sbalzi...
Merito anche suo, e forse nostro.
Sappiamo che la pubertà comporterà
qualche modifica nel fabbisogno di
insulina e forse qualche ritocco degli
schemi, ma pensiamo di aver dato il
meglio a nostra figlia.
A modo mio
Al momento di iniziare la terapia
con il microinfusore c’è stato
qualche patema?
No, però forse – per quanto piccoli –
questi microinfusori risultano ancora
un po’ troppo grandi sul corpo di una
ragazzina.
Martina è entrata nell’età in cui si
tiene molto all’aspetto esteriore: il
microinfusore è stato un problema?
Tutt’altro, Martina lo esibiva con
orgoglio portandolo legato alla
cintura. Gli amici erano incuriositi
e la circondavano di attenzioni e di
interesse, che è poi quello che una
ragazza cerca a quell’età.
In estate?
In estate adottiamo uno
schema ‘misto’: Martina
tiene il microinfusore
di notte mentre di
giorno pratichiamo
delle iniezioni
attraverso il set di
intermedia e rapida.
Se il microinfusore ha
fascino, lo stesso non
si può dire del cerotto che
copre l’agocannula.
Martina non può nasconderlo sotto
il costume?
Ma lei non ha idea di come sono
succinti i costumi di questi tempi.
Speriamo che cambi la moda.
Costumi a parte siete tutti a vostro
agio con il microinfusore mi pare...
In effetti ce la caviamo abbastanza
bene. Martina sa cosa vuole e noi...
abbiamo imparato tante cose sul
diabete e sul microinfusore e siamo
quindi in grado di sfruttare tutta la
flessibilità che questo tipo di terapia
offre. Ciò è importante ora e lo sarà
soprattutto in futuro, quando nostra
figlia diventerà più grandicella, sarà più
autonoma e farà una vita magari meno
regolare.
Ormai è un anno che Martina porta
il microinfusore: quali cambiamenti
sono avvenuti?
Sicuramente la possibilità di affrontare
con molta tranquillità quello che avviene
nella giornata. I fuori pasto per
esempio: esce con le amiche
e queste decidono di
prendere un gelato.
Prima lei doveva dire
di no o tornare a casa
e fare una iniezione
di ultrarapida. Oggi
non è più un problema.
Oppure lo sci. Farsi le
punture nei bagni delle
stazioni di arrivo delle funivie o
dei rifugi non è una cosa semplice mi
creda, con il microinfusore è un attimo.
E poi guardi, se una ragazza puntigliosa
e polemica come Martina non trova
nulla da dire, vuol dire proprio che è
una soluzione perfetta!
Ragazzi
15
1
Cristina
2
Emanuel
3
Giuseppe
4
Pietro
5
Sebastiano
6
Valentina
7
Virna
3
Giovani
Studiare,
che stress!
Cristina si è laureata
da poco in Biologia, con un lavoro
di ricerca che intende continuare
nella sua università o all’estero,
pubblicandolo e puntando a un
dottorato di ricerca. È una ragazza
‘tosta’ Cristina, che ha preso lo studio
molto seriamente. Se si studia tanto
per fare, al liceo o all’università, il
diabete non è un gran problema. Ma
quando vuoi veramente dare il meglio
di te e apprendere davvero quello che
stai leggendo, macinando un esame
dopo l’altro, puntando se possibile al
massimo dei voti, le cose sono diverse.
«Una perfetta concentrazione richiede
una perfetta glicemia», afferma Cristina,
che da brava biologa ha seguito con
molta attenzione la questione; «nel mio
caso il livello ideale è 100-110: sotto
si può avere una iniziale sensazione
di lucidità ma non si riesce a tenere
la concentrazione, sopra si riduce
la capacità di apprendere», afferma.
Provare per credere.
Il diabete di tipo 1 insegna a riflettere
su quello che si fa, a tenere conto delle
esigenze dell’organismo. Il bello del
microinfusore è che tutto questo cessa
di essere un obbligo e diviene una scelta
consapevole.
Giovani
19
20
Il microinfusore aiuta a studiare?
Sicuramente sì. Prima di tutto –
come avviene un po’ per tutti quelli
che mangiano fuori casa – il
microinfusore ti permette
di non mangiare,
cosa che capita
all’università, vuoi
perché preferisci
continuare a
studiare, vuoi
perché quello
che ti propone la
mensa universitaria
non è... come dire, di
tuo completo gradimento
e così il digiuno diviene
un’opzione. Se hai fatto l’iniezione
prima, devi mangiare comunque. In
secondo luogo, e questo vale per tutti i
giovani, ti permette di gestire le serate.
Quando usavo la penna, se gli amici mi
chiamavano la sera invitandomi fuori,
spesso dovevo dire di no.
Ma nello specifico dello studio
il microinfusore che aiuto dà?
Sembrerebbe un’attività sedentaria
e regolare.
Sedentaria lo è anche troppo, ma
regolare no. Pensiamo allo stress
pre-esame. A me è capitato di dover
aumentare del 20-30% le dosi di
insulina proprio per far fronte al
semplice ‘stress della vigilia’. Studiare
in vista di un esame lontano non è
la stessa cosa che ripassare per un
esame che si terrà domani, per non
parlare delle variazioni drastiche che
avvengono nei giorni dopo un esame,
quando la tensione crolla, e
magari riprendi a fare
movimento fisico e
l’insulinoresistenza
sparisce. Anche
in una persona
piuttosto
metodica
come me sono
vere e proprie
montagne russe.
Per fortuna le
situazioni sono
abbastanza prevedibili,
una volta che hai imparato a
gestire lo stress e le ‘vacanze dopo
esame’, non sbagli più.
Qual è la situazione glicemica
ideale per affrontare un esame
universitario o un’interrogazione
liceale ‘difficile’?
In questo caso bisogna non solo
avere una glicemia perfetta nelle ore
dell’esame ma anche averla avuta
nella notte precedente. Io soffrivo di
ipoglicemie notturne non solo frequenti
ma anche piuttosto serie. È per questo
che hanno deciso di mettermi il
microinfusore. Una notte in ipo ti sballa
tutta la mattinata e la giornata non solo
sotto il profilo glicemico ma anche dal
punto di vista della concentrazione. Sei
‘stordito’ fino a sera.
A modo mio
E per quanto riguarda il ‘fenomeno
Alba’?
In quel caso lo gestisco io...
Svegliandomi all’alba, ho visto che le
ore del primo mattino sono ideali per la
concentrazione. Studiando dalle 5 alle
10 si apprende più che in una giornata
‘normale’ di studio. Certo questo
avviene se hai passato una notte
glicemicamente tranquilla.
Gli insegnanti? Gli amici?
Il diabete è arrivato d’improvviso
quando ero in terza liceo. Per il primo
mese gli insegnanti mi ‘coccolavano’
un po’, non solo consentendomi
di assentarmi per controllare la
glicemia o per mangiare, ma forse
anche tenendomi un po’ fuori dalle
interrogazioni. Passato il primo mese,
poi, le cose sono tornate come prima...
giustamente. Lo stesso ovviamente
vale all’università. Non ti fanno sconti,
né devono farli. Quanto agli amici è
chiaro che quelli più vicini non solo
sanno che ho il diabete e che porto
il microinfusore ma sono anche in
grado di aiutarmi se qualcosa va storto.
Specialmente prima del microinfusore
quando – avendo perso la sensibilità
ai segni premonitori dell’ipoglicemia
– mi capitava di accorgermi dell’ipo
quando non ero quasi più in grado di
intervenire da sola.
scientifiche prevede soggiorni
all’estero. Il microinfusore sarà un
vantaggio?
Sinceramente spero di non dover
andare troppo lontano e troppo a
lungo; credo infatti che le abitudini
alimentari italiane siano l’ideale per
tutti, tra l’altro la mia tesi verte proprio
sugli effetti benefici di un componente
tipico dell’alimentazione mediterranea
nella apoptosi delle cellule tumorali
e comunque – questo è ampiamente
dimostrato – per chi ha problemi nel
metabolismo. In ogni caso, credo che il
microinfusore sia un modo per ridurre
l’impatto del diabete nella vita di una
persona. Viaggi all’estero compresi.
Lei si definisce una persona molto
metodica nello studio. È il diabete
che l’ha aiutata a essere così?
Ci ho pensato spesso. Sicuramente il
diabete di tipo 1 insegna a riflettere su
quello che si fa, a tenere conto delle
esigenze dell’organismo e a adottare, là
dove possibile, orari e abitudini. Il bello
del microinfusore è che tutto questo
cessa di essere un obbligo imposto
dalla terapia e diviene una consapevole
scelta di vita arricchita dalle doverose
eccezioni.
La carriera di un ricercatore
soprattutto nelle materie
Giovani
21
Se il controllo
è difficile
22
Emanuel è molto
sincero: «Io non so se qualcuno
riesce davvero ad ‘accettare’ il diabete;
di sicuro io non ci riesco», afferma. Non
sembra tanto vero: Emanuel, che ha
27 anni, ha un rapporto normalmente
conflittuale soprattutto con le tante
routine della terapia e con una glicemia
che – non solo per suoi errori – fluttua
su e giù come impazzita. O meglio,
fluttuava, perché da qualche tempo
le cose stanno andando meglio. Da
un’emoglobina glicata di 10, Emanuel
è sceso a 8,5. «E posso attendermi
risultati ancora migliori», sostiene
Emanuel, sposato da pochi mesi. Quello
di Emanuel è un caso da manuale di
come la terapia con microinfusore
possa adattarsi a persone che «un
po’ per sfortuna, un po’ per colpa»
hanno un cattivo controllo glicemico.
Non a caso il Centro che lo segue ha
sempre consigliato il microinfusore. «Io
facevo finta di niente, rimandavo. Fino
a quando», ricorda Emanuel, «proprio
mentre aspettavo la visita, ho parlato
con un ragazzo più o meno della mia
età che come me viaggiava spesso.
Mi ha spiegato che il microinfusore
rendeva la vita molto più comoda. In
pochi secondi ho deciso».
Ed è vero?
Sì, è vero. Certo, il diabete resta il
diabete, un bel peso che ti devi portare
sulle spalle. Ma il microinfusore rende
la cosa più leggera, ti aiuta. Molte
operazioni di routine sono più semplici;
A modo mio
prendiamo il bolo per esempio: ormai
lo programmo senza nemmeno
guardare il display, premendo il bottone
e seguendo soltanto i bip di risposta.
sarei andato avanti se non ci fosse
stata questa opzione. Credo che il
controllo sarebbe molto peggiorato.
I miglioramenti clinici hanno
confermato la scelta fatta?
Sì, anche se a questo punto... mi
chiamano in causa perché sebbene
il mio sia un diabete difficile, io sono
un paziente ancora più difficile, i
controlli... gli orari... non sono sempre
da manuale.
Hai avuto problemi nell’indossarlo,
nel farlo vedere ad altri?
No, questo è un problema che non
mi caratterizza. Agli altri dico: “Io ho
il diabete”. Punto. Non è una scelta o
una cosa che si discute. Se ti va bene,
bene. Se non ti va è un problema tuo,
non mio. Quindi vado in spiaggia con
il microinfusore, mi butto in mare con
l’ago inserito, giro per clienti, esco con
gli amici.
Si può sempre migliorare.
Sì, io credo che ci si mette una vita
ad accettare questo diabete, è un
processo lento. Il microinfusore ti viene
in soccorso eliminando alcune rigidità
e aiutandoti a controllare meglio la
glicemia. Per esempio un piccolo bolo
di una o due unità per correggere una
moderata iperglicemia con il ‘micro’
si può fare, con la penna... parliamoci
chiaro: chi lo fa davvero? In ogni
caso penna o microinfusore che sia,
il diabete è nella testa ed è lì che si
svolgono tutti i giochi.
Com’è passare al microinfusore
dopo vent’anni di penne?
Io mi trovavo abbastanza bene
con le penne. Alcuni mesi fa in
occasione del mio viaggio di nozze, ho
deciso di prendere una vacanza dal
microinfusore. Tutto bene per carità,
ma tornato a casa, il giorno dopo ho
rimesso il ‘micro’. Se prima ero poco
convinto, devo dire che adesso sono
entusiasta.
Valeva la pena di decidersi prima?
Ho dovuto maturare una scelta. Proprio
perché era il momento giusto è stata
subito una scelta convinta. Quando ho
deciso di passare al microinfusore ero
davvero ai ferri corti con il diabete: ero
stufo, nauseato dalla malattia e dalla
terapia. Sinceramente non so come
Quando ho deciso di passare al
microinfusore ero ai ferri corti con il
diabete. Non so come sarei andato
avanti altrimenti.
Giovani
23
Uscire la sera?
Non è più
un problema
24
Fino all’anno scorso
il quotidiano di Giuseppe era reso
difficile dal diabete. Poi la qualità della
vita del giovane pugliese è migliorata
nettamente. Il primo passo è stato, nel
marzo 2004, il passaggio a una terapia
con analoghi lenti e rapidi. A
settembre 2004 un ulteriore
salto di qualità con il
passaggio alla terapia
con microinfusore:
«Oggi invece di
una iniezione di
ultrarapida, mi basta
premere due tasti. Ma
soprattutto, e questa
è stata la grande vittoria,
posso mangiare una pizza senza
rischiare iperglicemie».
Com’era la sua vita prima del
microinfusore?
Prima era tutto più difficile. Per
esempio, uscendo con gli amici è
normale che si decida all’ultimo
momento cosa fare, quando andare a
mangiare e dove. Io ero l’unico
ad aver bisogno di orari
fissi, a dover sapere
con anticipo cosa
avrei mangiato e a
che ora, anche con
il passaggio agli
analoghi. Quando si
usciva a cena, avevo
bisogno di andare in
bagno – che poi i bagni
dei locali pubblici non sono
certo un inno all’igiene – e di farmi una
A modo mio
Fra gli amici io ero l’unico ad aver
bisogno di orari fissi, a dover sapere con
anticipo cosa avrei mangiato e a che
ora. Era difficile essere spensierati.
iniezione. Era difficile insomma essere
spensierati. Il problema non esiste più.
Mi è capitato di fare con gli amici un
giro in moto per il Gargano e abbiamo
pranzato alle 3 del pomeriggio. Una
volta non sarebbe stato possibile.
La pizza è un ostacolo difficile...
È vero per tutti gli amici con diabete
che ho conosciuto, ma soprattutto
per me. È un alimento con un indice
glicemico molto particolare e mi alzava
le glicemie fino alle 5 del mattino! Del
resto cosa si fa da ragazzi in coppia o
con il gruppo? Si va in pizzeria.
Superata la ‘sfida pizza’...
Ho affrontato la ‘sfida mare’. L’anno
scorso avevo deciso di iniziare la
terapia con microinfusore in
settembre apposta per
non avere problemi.
Quest’anno a luglio
ho provato a recarmi
alla spiaggia con il
microinfusore ed è
andata benissimo.
Indossavo un costume
da bagno con una
tasca interna e lì ci tenevo
l’apparecchietto, togliendolo prima di
buttarmi in acqua e stando attento ad
asciugarmi bene prima di rimetterlo.
Qualità della vita a parte, il
passaggio al microinfusore ha
portato dei vantaggi clinici?
Direi proprio di sì. Per la prima volta
posso seriamente pormi l’obiettivo di
scendere sotto il 7% di emoglobina
glicata. Dall’8,4% della terapia insulinica
con analoghi sono arrivato a circa il
7,5%. Io ho sempre avuto difficoltà a
mantenere la glicemia a norma dopo i
pasti. Occorreva un ‘rabbocco’ qualche
ora dopo, col rischio di sbagliare e
la noia di fare una o due iniezioni in
più al giorno. Inoltre avevo anche un
‘fenomeno Alba’ abbastanza marcato.
Studiando la questione insieme al
mio diabetologo abbiamo trovato la
soluzione: nel primo caso raddoppio la
velocità basale due ore dopo il pasto
per un’ora; nel secondo caso basta
aumentare di un decimo di unità/ora la
basale dalle 4 alle 5 di mattina.
Tutto qui?
Sì, ma non è stato facile
capire quali fossero il
momento giusto e il
dosaggio corretto. Per
quel che riguarda i
pasti, poi, ho imparato
il calcolo dei carboidrati
che è importante per
godere appieno della libertà
che il microinfusore consente.
Giovani
25
La libertà è anche questione di
calcoli...
Probabilmente sì, a me comunque
piacciono i conti precisi. Per l’attività
fisica per esempio, con un amico anche
lui con microinfusore mi sono iscritto
a una palestra con gli apparecchi di
ultima generazione, capaci di calcolare
il dispendio energetico richiesto da
ogni esercizio. E abbiamo visto quanti
carboidrati si bruciano in un’ora di
esercizio in palestra: da 50 a 60.
26
Per la prima volta posso seriamente
pormi l’obiettivo di scendere sotto il 7%
di emoglobina glicata.
Fa esercizio fisico tenendo il
microinfusore?
Sì. All’inizio come tutti mi intimidiva
l’idea di essere ‘sempre attaccato
a qualcosa’, ora mi va benissimo, è
divenuto una parte di me e lo tolgo
solo lo stretto necessario. Ma tornando
all’esercizio fisico, per me è stato
importante perché, oltre a tutto, soffrivo
anche di ipoglicemie frequenti e non
facili da correggere con la classica
bustina di zucchero.
E ora?
Le ipoglicemie sono più rare, sono più
facili da gestire e soprattutto ho ripreso
ad accorgermene in tempo. Cosa non
secondaria per chi come me si trova
spesso a lavorare in un cantiere edile.
A modo mio
Fuori
per lavoro
La sveglia suona
alle 5 circa, un po’ prima,
un po’ dopo, a seconda del giorno
della settimana. In realtà non fa
nemmeno in tempo a suonare perché
Pietro ormai ci è abituato. Ha 28
anni ma è una vita che lavora nella
vendita ‘ambulante’. Pietro è un
piccolo imprenditore, nemmeno dei
più piccoli visto che alla sua famiglia
fanno capo quattro ‘negozi’ che ogni
giorno, tranne il martedì ma compreso
il sabato e alterne domeniche, aprono
nei mercati di Roma città e dei dintorni
e due negozi in città. I mercati sono
affascinanti ma faticosi e non solo per
gli orari. «I prezzi sono bassi, i margini
ridotti. Se in negozio bastano due o tre
clienti ogni mezza giornata per pagare
le spese, con i mercati devi vendere un
capo via l’altro. Guadagni sul volume».
Pietro tratta abbigliamento e questo
rende più complicate le cose. «C’è
il cliente che vuole provare il capo,
quello che ti fa mille domande, quello
che porta via la merce senza pagare...
e tutti sono impazienti. Bisogna avere
mille occhi e mille mani e non bastano
ancora», racconta Pietro. Negli ultimi
mesi, poi, il papà di Pietro non sta bene
e le responsabilità sono aumentate.
Come si fa a fare questo lavoro con
il diabete?
Sinceramente non me lo sono mai
chiesto. Era chiaro che – diabete o
non diabete – questa sarebbe stata la
mia vita. Ho subito imparato a usare
Giovani
27
la penna, anche nelle situazioni più
improbabili e ad arrangiarmi.
Con quali risultati in termini di
controllo glicemico?
In effetti i risultati non erano brillanti.
Quando si fa questa vita non puoi
programmare niente. A volte riesci
a fare colazione in pace verso le 8,
quando il ‘negozio’ è ormai pronto ma
la gente non è ancora arrivata. A volte
invece non fai in tempo a scaricare
la merce e già hai la fila di clienti.
Lo stesso vale per il pranzo. Non è
come fare la vita d’ufficio e nemmeno
come avere il negozio. In un mercato
ambulante non puoi chiudere e mettere
un cartello ‘torno subito’.
caldo, avevo bisogno di una terapia
davvero flessibile in grado di seguire
una giornata imprevedibile. Mi hanno
proposto il microinfusore, mi sono fatto
spiegare un po’ come funzionava e... ho
accettato.
E adesso?
Adesso va meglio, molto meglio. Le
glicemie non sono ancora perfette ma
avendo messo a punto un buon schema
basale le cose sono molto migliorate.
Faccio i boli in maniera più precisa e
impiego meno tempo. Non devo andare
a cercare un bagno chissà dove. Tengo
il microinfusore nella tasca dei jeans,
faccio una glicemia rapida e con due
tasti definisco il bolo.
28
Quindi le glicemie non erano tanto
perfette.
No, non lo erano. È vero che,
svegliandomi sempre alle 5, ormai
anche nei giorni di riposo per
abitudine, e iniziando subito a
muovermi non ho un ‘fenomeno
Alba’, ma nelle condizioni in cui
lavoro, mettiamoci pure il freddo o il
Vivendo in mezzo alla calca della
gente pensavo che potesse rompersi la
macchina o staccarsi il catetere. Invece
niente. Sono caduto anche dalla moto
con il microinfusore in tasca e non si è
nemmeno graffiato.
Aveva delle paure prima di iniziare?
Mah, temevo che fosse meno solido
e resistente. Vivendo in mezzo alla
calca della gente pensavo che potesse
rompersi la macchina o staccarsi
il catetere. Invece niente. Il set di
infusione lo inserisco sulla parte alta
del gluteo in modo che il catetere dalla
tasca dei jeans faccia il giro sotto la
cintura, senza rischio di impigliarsi da
qualche parte. Quanto alla solidità,
basti dire che sono caduto anche dalla
moto con il microinfusore in tasca e
non si è nemmeno graffiato. Si dice
spesso che i microinfusori ricordano
i cellulari, ma io di cellulari ne ho
sfasciati dieci!
A modo mio
Fra una pesata
e l’altra
Repartista ortofrutta
in un ipermercato,
un lavoro che richiede forza di braccia.
Sebastiano non ha certo visto nel
diabete una ragione per rifiutare
questo ‘posto’. All’inizio non erano
rose e fiori. «Ipoglicemie, iperglicemie
anche improvvise e non sempre
spiegabili», racconta Sebastiano, 31
anni, «l’emoglobina glicata si avvicinava
a 10, e questi sbalzi minavano oltre alla
salute anche la sicurezza in me stesso».
Anche sul lavoro?
Il lavoro non era la causa di questi
sbalzi, avevo problemi anche nei
giorni di riposo. La ditta non ha mai
fatto nessuna difficoltà e non ho
avuto guai reali, anche se sul lavoro
mi sentivo un pò a disagio proprio
per questi sbalzi improvvisi. Poi dopo
il consiglio di un amico, cambio
diabetologo, perché dove mi curavo
non mi trovavo bene, negli ultimi tempi
non avevo la continuità di cura dello
stesso diabetologo, così all’improvviso
la mia vita è cambiata, in meglio
naturalmente, e adesso vi racconto
in breve il primo incontro: mi trovo
davanti una diabetologa, una donna
straordinaria. Dopo un colloquio per
raccontare un poco di me, si decide
insieme di cambiare qualcosa della
vecchia terapia continuando con la
multiniettiva e cambiando solamente
zone d’inoculo, i miglioramenti sono
stati immediati. Visto questo, dopo
qualche tempo mi ha consigliato il
Giovani
29
microinfusore e dopo diversi training si
è deciso per l’impianto. Le cose sono
subito migliorate radicalmente.
30
Sotto il profilo glicemico o della
qualità della vita?
Tutti e due. Oggi, grazie al
microinfusore, è migliorata la mia
sensibilità alle ipoglicemie, sono
diventate rare e leggere e non ho
più sbalzi, così come le iperglicemie,
tanto che la glicata è scesa sotto il
7% e si aggira tra il 6,4% e il 5,8%.
Ovviamente anche il mio umore e la
mia sicurezza sono cresciute. Sul lavoro
non ho nessun problema. Una volta
doversi ricordare dell’’appuntamento’
con l’iniezione, andare in bagni non
sempre perfetti sotto il profilo igienico
e farsi l’insulina erano un problema
quotidiano. Oggi mi basta premere un
pulsante, lo posso fare anche senza
allontanarmi dal banco. Perfino mentre
servo un cliente.
Dice: “Due chili di pomodori, un
euro, signora, permette un attimo?”
Praticamente sì. Fra una pesata e
l’altra. È fantastico, e lo stesso vale
per la vita fuori dal lavoro. Ti senti più
libero e tutto è più semplice.
Il suo lavoro prevede dei turni?
Si, diverse volte inizio a lavorare alle 4.
I clienti si stupiscono sempre quando
entrano la mattina e trovano tutta la
merce ben riposta negli scaffali. Questo
I miei genitori all’inizio erano perplessi
quando mi hanno visto arrivare con
il microinfusore mi guardavano come
se fossi stato il primo uomo sbarcato
sulla luna.
avviene perché qualcuno ben prima ha
provveduto a rifornirli, si lavora anche
durante l’orario di apertura al pubblico,
ma il meno possibile, per non creare
disagi alla clientela.
Probabilmente lei con il diabete
avrebbe potuto essere esentato dai
turni...
Forse sì, ma non mi interessa.
All’azienda ho detto che avevo il
diabete ma che ero in grado di fare
il lavoro di qualunque altra persona.
Non ho mai voluto essere trattato
diversamente.
Giusto, ma iniziare a lavorare alle 4
del mattino non è come iniziare alle
9 sotto il profilo glicemico.
Insieme alla diabetologa abbiamo
approntato una basale apposita per
il turno che inizia di notte, diversa da
quella che uso quando prendo servizio
durante la giornata, anche se devo dire
che non sempre la utilizzo e le cose
vanno bene lo stesso.
Il suo lavoro richiede sforzi,
piegamenti, non le danno fastidio il
microinfusore o la cannula?
A modo mio
Gli sforzi fanno solo bene, alcune volte
posso anche fare a meno di un bolo.
Quanto al fastidio basta scegliere
un punto adatto per l’inserimento
dell’agocannula, per esempio appena
sotto l’ombelico, in modo che anche
piegandosi non si ‘senta’ la cannula. Il
microinfusore, poi, dà meno problemi
del telefonino. All’inizio ero molto
preoccupato di urtarlo per sbaglio e
mi comportavo come se fosse stato di
cristallo. Poi mi sono abituato, ho visto
che è molto resistente e non ho più
avuto questo tipo di preoccupazioni.
vedono come tutto è improvvisamente
andato a posto.
Riequilibrate le glicemie, con un
lavoro che garantisce un esercizio
fisico continuativo: in effetti, lei ha
uno stile di vita ideale. Immagino
che mangerà anche molta frutta e
verdura...
A dire il vero non troppa.
Contrariamente a quello che tutti
pensano.
E poi... quando torno a casa preferisco
trovare pasta e carne. Se mi siedo e
vedo verdure e agrumi... quasi mi torna
in mente il lavoro!
E i suoi colleghi, gli amici...
Quelli che sanno che ho il diabete
e lo vedono mi dicono: “Ehi, ma che
è?” con aria stupita e divertita. I più
affamati di informazioni sono i soci
dell’associazione fra pazienti Diabaino
Vip-Vip dello Stretto della quale faccio
parte, anche se molti di loro ormai
hanno il microinfusore. Gli amici sono
felici che io abbia superato molti
problemi, perché da un anno e mezzo,
da quando ho questo apparecchietto,
la mia vita è davvero cambiata.
31
E i suoi genitori?
All’inizio erano perplessi e non
volevano perché lo consideravano
una cosa nuova e poco sicura.
Quando mi hanno visto arrivare con il
microinfusore mi guardavano come se
fossi stato il primo uomo sbarcato sulla
luna. Poi si sono abituati e soprattutto
Giovani
La mia vita
col ‘coso’
32
Nella vita
capita
spesso,
davanti a una
nuova prospettiva,
di avere dubbi
e timori che poi,
una volta effettuato il
cambiamento, si rivelano infondati.
Questo avviene anche per il ‘passaggio’
al microinfusore. «Ricordo benissimo
che la mia paura principale», racconta
Valentina, 23 anni, emiliana, in procinto
di laurearsi e partire per un mese negli
Usa, «era di trovarmi ‘attaccata a un
corpo estraneo’ come il microinfusore,
tanto che per lungo tempo non l’ho mai
chiamato ‘il microinfusore’ ma piuttosto
‘il coso’».
Ancora oggi?
Ancora
oggi, ma
per scherzo,
non più per
timore. Del resto
ho scoperto che
tante persone creano
una relazione stretta con degli
oggetti come il telefonino, il PC,
l’automobile o la moto. Diventano
parte di loro. Oggi sinceramente
non mi sento affatto di ‘dipendere
da una macchina’, so che posso
benissimo staccarlo. Spesso però
non lo faccio perché penso di avere
nel microinfusore un alleato, un
amico. Infatti questa estate avevo
programmato di tornare per qualche
A modo mio
tempo alla terapia multi-iniettiva e
invece... mi tengo il microinfusore.
Come si supera questa sensazione?
Potrei rispondere che si supera
perché i vantaggi del microinfusore
in termini di libertà e flessibilità, oltre
che di controllo glicemico, sono tali da
compensare ogni riserva. Ma in realtà
la cosa è più profonda ed è anche un
discorso un po’ lungo.
La ascolto, mi piacciono i discorsi
lunghi.
Tutti ci diciamo che la persona
insulinodipendente deve controllare
il suo diabete. In realtà io credo che
tutto sommato molti pensano di essere
controllati dal diabete più che di
doverlo controllare. Ovviamente è un
errore logico: il diabete non è qualcosa
che si aggiunge al tuo organismo e lo
minaccia. È una cosa... che non c’è,
è uno dei tanti piccoli automatismi
presenti nel nostro corpo e che però
non funziona. E allora devo sostituirlo
io. Come? Pensando a quello che
faccio e controllando questo benedetto
processo dei carboidrati e dell’insulina.
Il diabete è una malattia di
ragionamento, consiste nel dover
ragionare e nel ‘sentirsi’.
Il microinfusore ti aiuta a ragionare
e a controllare.
E soprattutto ‘ascoltandomi’! Il diabete
è una malattia di ragionamento,
consiste nel dover ragionare e nel
‘sentirsi’.
E il microinfusore?
È qualcosa che ti aiuta a ragionare e a
controllare. Certo che devi continuare a
pensare, a prendere decisioni insieme
al diabetologo e in parte da sola,
pensiamo ai boli per esempio; ma è
anche vero che, impartite le istruzioni,
una volta per tutte con le basali o
periodicamente con i boli e le basali
temporanee, ci pensa lui. O meglio,
forse dire che ci pensa lui è troppo...
diciamo che ci sono momenti in cui
hai la sensazione di non dover stare in
guardia. Il microinfusore è un alleato,
un amico che ti aiuta. Ti senti meno
solo!
A proposito di amici. È importante
parlarne con loro?
Gli amici sono importanti e ancora
di più lo è il fidanzato. Il percorso di
accettazione del microinfusore passa
anche attraverso l’accettazione da parte
loro. Gli amici mi chiedono: “Come
va il coso?” e si scherza insieme,
come quella volta che una signora,
intravedendo il catetere sopra i jeans,
pensò che si trattasse di un filo della
maglietta e cercò di tirarlo. Ero al
lavoro in un bar, feci un balzo per non
permetterle di afferrarlo e mi misi a
ridere vedendo la faccia della cliente!
Giovani
33
Il fidanzato poi, è
importantissimo che
accetti il microinfusore,
lo prenda in mano,
guardi come funziona;
è importante che lo
apprezzi insomma e non
abbia nessun problema a vederti
girare per casa magari in T-shirt e con
il microinfusore... Il mio fidanzato mi
chiama “la mia robottina preferita”.
34
Mi pare che gli amici e il fidanzato
siano stati bravissimi.
Certamente, però... io penso una
cosa. Se in cuor tuo non accetti il
microinfusore, o meglio se in cuor tuo
non accetti il diabete e non capisci che
tu stai controllando lui e non viceversa...
Cosa succede?
Succede che magari ti dici anche
che lo accetti ma alla fine trasmetti
le tue sensazioni negative agli altri
e gli altri, gli amici, il fidanzato,
reagiscono a quello che sei veramente,
proprio perché ti sono vicini, e ti
restituiscono quelle riserve, quella
Il fidanzato poi, è importantissimo
che accetti il microinfusore, lo prenda
in mano, guardi come funziona;
è importante che lo apprezzi insomma
e non abbia nessun problema a vederti
girare per casa magari in T-shirt
e con il microinfusore.
scarsa accettazione che
tu stessa hai dentro.
Diventa un circolo
vizioso.
Viceversa se uno si
trova bene...
Capisce che il diabete consiste
nel controllare delle cose e che il
‘coso’ aiuta in questo e rende la vita
più semplice. Il tuo vissuto positivo
coinvolgerà gli amici e chi ti è vicino
e questi, a loro volta, ti restituiranno
un vissuto positivo. Uno mi ha detto:
“Certo che chi ha inventato il coso è
proprio un genio”. A proposito, lei sa
per caso chi lo ha inventato?
A dire il vero no...
Be’, secondo me chi lo ha inventato,
aveva il diabete o comunque sapeva
che il vero problema, dopo un po’
di tempo che hai il diabete di tipo
1, non è fare iniezioni, controllare la
glicemia o dover rinunciare a qualcosa.
A tutto questo ti abitui. La noia è
essere costretti a organizzare sempre
quello che si fa. E il microinfusore è
un oggetto che ti permette di pensare
un po’ meno. Hai la sensazione che
c’è qualcosa che lavora per te. Ti
senti meno sola in questa sfida, non
troppo difficile ma continua, che ti
accompagna, quella sì, per tutta la vita.
Chi ha inventato il microinfusore ha
saputo davvero bene immedesimarsi
nella testa di chi ha il diabete!
A modo mio
Accettare il microinfusore,
se stessi e il diabete
Accettare il diabete
è difficile, non è un obiettivo
35
che si può raggiungere in un momento,
quanto il risultato di un percorso.
La terapia con microinfusore può
aiutare in questo percorso, può anzi
rappresentare la chiave per sbloccare
vissuti negativi. Almeno questa è
l’esperienza di una giovane ragazza.
Dire che Virna non aveva accettato
il diabete è dire poco. Forse non c’è
un’età giusta per scoprire di avere il
diabete, ma iniziare a 11 anni è proprio
il peggio. Quando inizi a contemplare
quello che ti aspetta, “zac”, un fulmine.
Virna oggi ha 26 anni e guarda
con una certa serenità ma senza
dimnenticare quello che ha passato. Fin
dalle prime settimane.
Cosa dicevano i medici?
I medici la fanno semplice. Ci sono
queste, queste e queste cose da fare:
test, iniezioni e ancora test, iniezioni,
non devi distrarti assolutamente dalla
dieta, tutto esclusivamente senza
zuccheri ma per il resto? Per il resto
presta molta e molta attenzione. Capite
un po’: una prigione, un ergastolo e
allora subito il pensiero di evadere e io
evadevo.
Come?
Facendo finta di non essere ammalata.
Prima di tutto non dicendolo agli altri:
“guai a farlo sapere”.
Giovani
E poi?
Comportandosi esattamente come un
coetaneo, uno ‘normale’, mangiavo
quando e quello che volevo senza
limitazioni. Le glicemie? Era un gioco
da ragazzi inventarle, consegnavo il
diario fatto all’ultimo minuto. La glicata
non era mai inferiore a nove, ma io
facevo proprio finta di niente.
Insomma bugie su bugie...
Mentivo spudoratamente dalla mattina
alla sera. Che fatica! Anche se in realtà
non era mentire, era non riconoscere
una Virna diabetica. La vera Virna
non aveva il diabete, che senso aveva
parlarne con gli altri, con chi, prima
considerava la malattia, e poi te come
persona. Non sarei mai stata capita.
36
Poi cosa è successo?
A 18 anni ho lasciato
la struttura pediatrica
che mi seguiva
e sono entrata
nel centro di
diabetologia per
gli adulti. Come
primo acchito una
tristezza, persone più
grandi di me rassegnate
alla loro croce. Ma poi ho
iniziato a parlare con il Team e questi
hanno completamente cambiato il
mio modo di vedere le cose. Insomma
mi hanno rivoltata come un calzino e
fra le altre cose mi hanno proposto il
microinfusore...
È stato proprio il microinfusore
a farmi crescere e responsabilizzarmi,
a far sì che prendessi in mano
le redini della mia vita
Lei non ci aveva mai pensato?
Non l’avevo mai voluto, pensavo
che mi avrebbe ricordato il diabete
24 ore su 24. È stato invece proprio
il microinfusore a farmi crescere
e responsabilizzarmi, a far sì che
prendessi in mano le redini della mia
vita che, seppur giovane, a un certo
punto non poteva venire risparmiata
dalle complicanze di 10 anni di cattive
glicemie. Era un sogno. Dopo aver
imparato il conteggio dei carboidrati
potevo spaziare come
volevo: chi avrebbe mai
immaginato di saltare
la colazione! Avere
la possibilità di
mangiare a un
orario sempre
diverso, di fare
uno spuntino con
una mega pizza
alle tre di notte, di
farsi la quotidiana dose
per strada pigiando un
piccolo bottoncino e tutto senza
la paura di fare poi i conti con la tua
glicata perché tanto questa era 7,2.
Insomma ha sviluppato un buon
rapporto con il microinfusore?
A modo mio
Quella macchinetta che mai avevo
voluto è diventata parte integrante
di me anche nelle situazioni più
imbarazzanti (per gli altri), va tutto
a gonfie vele: in aereo, in piscina, al
mare, persino facendo fuoristrada
niente e nessuno ci separa; sono
riuscita anche a vedere il medico con
occhi diversi: non è più il solito esattore
di glicemie, il custode della prigione
ma una persona pronta ad ascoltarmi e
capirmi, ad adattare la terapia alle mie
esigenze.
E adesso, dopo due anni con il
microinfusore?
Ora sono entusiasta; è stato il
trampolino di lancio per migliorare
la mia vita. Mi ha dato tantissima
flessibilità, la possibilità di cambiare,
di cambiare nella testa (se non fossi
cambiata nella testa tutto questo
non sarebbe servito a niente) non
dico di essermi liberata ma non sono
nemmeno più schiacciata da un
macigno sconosciuto e minaccioso.
37
Giovani
1 Adriana
2 Annagrazia
3 Elena
4 Emanuela
5 Fabio
6 Gaetano
7 Giuseppe
8 Luca
9 Marco
10 Marisa
11 Sabina
12 Serena
Adulti
Il diabete
batte in testa
Adriana ha 33 anni
e almeno due ragioni per essere
intervistata. È laureata in Psicologia
e ora segue un master in Psicologia
della salute e della prevenzione, una
specializzazione che trova la sua
applicazione concreta proprio come
risorsa da inserire nei Team che si
occupano di prevenzione e gestione di
patologie croniche. In secondo luogo
è una donna con diabete, un diabete
non facile, perfino diagnosticarlo
esattamente ha richiesto un certo
lavoro. Una donna che da pochi mesi
prova a gestire con il microinfusore
il suo equilibrio glicemico. Si tratta di
una ‘svolta’ tecnologica che fa seguito
a una svolta nel rapporto di Adriana
con la sua condizione. L’ultima di
tante. «Il percorso di accettazione,
se vogliamo usare questa parola un
po’ impropria, del diabete è lungo,
impervio ed è un aspetto essenziale
della terapia. Non lo dico solo come
psicologa ma soprattutto come
persona con il diabete. Intorno all’idea
di ‘essere diabetica’ o di ‘avere il
diabete’ – le due formulazioni sono
ben diverse – si sviluppa una serie
successiva di elaborazioni», afferma
Adriana che vive e lavora in una
media città del Piemonte, «anno dopo
anno ci si crea un’immagine diversa
del diabete e soprattutto di se stessi.
E questo anche nell’età cosiddetta
matura».
Adulti
41
Parla come psicologa o come
paziente?
La questione è ben studiata in
psicologia ma mi è nota soprattutto
come paziente. Io credo di avere
attraversato tutte le fasi arrivando
a quella attuale che definirei una
consapevolezza piena del problema e
del modo di affrontarlo ma, partendo
dal panico e attraversando fasi, se
vogliamo autodistruttive, nelle quali
non seguivo più se non il minimo
necessario della terapia. Insomma per
dirla chiara ho mandato tutto a quel
paese.
42
Perché viene questa tentazione?
Perché una persona con il diabete
di tipo 1 decide di...
Di mandare tutto a quel paese?
Dipende. Ci possono essere due
ordini di cause. Da una parte la
ribellione: è ben difficile
accettare che tu sei il
protagonista della
tua cura, che una
serie di attenzioni
e se vogliamo di
limitazioni devi
averle tu a favore
di te stesso. È quindi
comprensibile che le
‘regole del diabete’ siano
accomunate con le ‘altre regole’
imposte, che ne so, dalla famiglia, dalla
scuola, dalla società... A questo punto
una fase di rifiuto delle regole ‘esterne’
facilita anche una presa di distanza
dalla terapia. In questo senso vorrei
ricordare che la storia del diabete è
sempre la storia di una persona e del
suo contesto.
Dietro le emoglobine glicate c’è
quindi un ‘album di famiglia’...
Certo, potrei prendere le glicate di
tutti i miei anni e associarne molte a
degli episodi della mia vita affettiva
e familiare... Quindi l’equilibrio della
glicemia dipende anche dall’equilibrio
della persona. Ma purtroppo avviene
anche il contrario, e questa è la
seconda causa di allontanamento dalla
terapia: il senso di impotenza.
E cioè?
Parliamoci chiaro. Non sempre le
glicemie rispecchiano puntualmente
un comportamento corretto.
Spesso, ma non sempre.
I tempi del corpo non
sono quelli della
mente. Quando
ho deciso di
riprendere nelle
mie mani il destino
del mio diabete
mi attendevo che a
un radicale cambio
di atteggiamento
corrispondesse un altrettanto
radicale miglioramento delle glicemie.
Questo non è avvenuto, o comunque
solo in parte. E devo confessare che la
A modo mio
delusione è stata forte. La tentazione
di lasciar perdere e arrendersi c’era.
Quindi le glicemie possono portare
delusione, un senso di impotenza. Una
frustrazione.
Ma questo approccio ‘ultima
spiaggia’ non è tanto adeguato alla
situazione.
Come la ‘penna’, il microinfusore
è uno strumento con il quale
si possono impostare differenti
schemi terapeutici via via sempre
più adeguati...
È vero, ma il vissuto emotivo tiene
conto fino a un certo punto di questi
fatti. Forse l’idea stessa di diabete,
inteso come condizione cronica, e
soprattutto l’idea che questa ‘malattia’
non possa essere delegata a un medico
o a una macchina risultano proprio
nuove e difficili da accettare.
A volte l’atteggiamento negativo
che io temo o prevedo negli altri,
rispecchia una scarsa accettazione.
Sono io che penso male di me perché
ho il diabete ma presto agli altri
questo atteggiamento.
Come in quella vecchia
trasmissione TV lei poteva ‘lasciare’
e invece ha ‘raddoppiato’ passando
al microinfusore. Che effetto le ha
fatto sentirselo proporre?
Vista la storia che c’era dietro, l’effetto
è stato diverso da quello provato
da molte ‘colleghe’ e ‘colleghi’ di
diabete. Proprio perché percepivo e
percepisco il microinfusore come lo
strumento migliore a disposizione di
chi ha il diabete, quello in grado di
offrire l’insulinizzazione più vicina a
quella naturale del pancreas, la mia
reazione è stata: “E se poi nemmeno
questo approccio funziona?” Avrei
quasi preferito rimandarlo e lasciarmi
la riserva mentale, la speranza che – se
la terapia non avesse ottenuto gli effetti
sperati – avrei sempre potuto ricorrere
al microinfusore.
Molte persone, invece, quando si
sentono proporre il microinfusore,
pur accettando l’idea con interesse,
si pongono dei problemi appunto
psicologici legati al fatto di essere
‘sempre legati a uno strumento’ o
alla possibilità che ‘gli altri se ne
accorgano’...
Come psicologa posso confermare che
l’idea che noi abbiamo del nostro corpo
non coincide con il corpo organico.
Posso sentire come estranea una parte
‘organica’ del mio corpo o sentire come
‘mio’ un elemento che apparentemente
è esterno. Allo stesso modo so bene
che essere accettati dagli altri è
importante, anche se spesso questa
accettazione rispecchia il proprio
atteggiamento, ma...
Adulti
43
Un attimo, un attimo... cosa
vuol dire che l’accettazione
degli altri rispecchia il proprio
atteggiamento?
Semplicemente che a volte
l’atteggiamento negativo che io temo
o prevedo negli altri, “penseranno
male di me se vengono a sapere che
ho il diabete”, rispecchia una scarsa
accettazione. Sono io che penso male
di me perché ho il diabete ma siccome
non lo posso ammettere, presto agli
altri questo atteggiamento.
44
Come fa un ventriloquo, che emette
il suono fingendo che sia un
pupazzo a parlare...
Più o meno. Se devo riportare la mia
esperienza personale, questi aspetti
non li ho sentiti. Ho accettato il
microinfusore e non mi interessa che
gli altri lo vedano, anzi lo porto in una
busta legata all’esterno della cintura.
La motivazione, mi faceva capire,
è essenziale. Secondo lei il
microinfusore aiuta la motivazione?
Anche. La motivazione principale viene
dai risultati. E per risultati intendo
sia le glicemie sia l’andamento delle
complicanze, le quali purtroppo
dipendono molto più dall’andamento
passato che da quello presente. In
questo senso, visto che il microinfusore
dà i risultati, rafforza la motivazione.
In secondo luogo, avere in mano
un oggetto sofisticato come il
microinfusore ti dà l’idea concreta
dell’appoggio che hai dal Team
diabetologico. Dalla società in un
certo senso. Anche l’idea che c’è
una macchina che ‘lavora per te’ può
essere di appoggio. Ma soprattutto il
microinfusore presuppone motivazione,
deve arrivare per forza di cose in una
fase abbastanza avanzata del percorso
di elaborazione del paziente.
Perché? Tutti sanno che
lei ha il diabete?
No, non tutti.
Qualcuno lo
apprende proprio
per il microinfusore.
Ma sinceramente
non mi importa. È
proprio l’ultimo dei
problemi. Tra l’altro
il diabete è un aspetto
importante della mia vita,
perché dovrei nasconderlo?
Come si fa a misurare
dall’esterno questo
percorso e come si
fa a promuoverlo?
Ci vuole una
psicologa in
ogni Team di
diabetologia! A
parte le battute un
parametro oggettivo
potrebbe essere il ritmo
dei controlli. Se misuri le
glicemie con attenzione e mostri
A modo mio
di aver riflettuto sui dati rilevati vuol
dire che da una parte hai voglia di
controllare il tuo diabete, dall’altra che
sei anche disponibile ad accettare dei
dati negativi. Quanto al promuovere
questo processo... sicuramente il ruolo
del Team è fondamentale. Io ho la
fortuna di essere stata seguita da un
Team e da un medico di eccezionali
qualità umane ed empatiche. Il loro
segreto è stato forse quello di non
farmi fretta, di stimolare un’evoluzione
ma accogliendo ogni singolo passaggio
di una strada molto lunga.
45
Adulti
Ago e filo
46
Ad Annagrazia
non piace
quando i conti
non tornano. A scuola
andava bene in matematica e nel
lavoro ha imparato che dietro i numeri
ci sono delle persone, e che quando i
conti non tornano c’è qualcosa che non
va anche nelle persone. Annagrazia
lavora all’Agenzia delle entrate, nel
fisco insomma. Quasi sempre allo
sportello, a cercare di capire e di
associare... delle cifre a delle persone.
«Il diabete è una questione di numeri»,
si lascia sfuggire. È una donna adulta,
piacevole e precisa, fa un lavoro
faticoso allo ‘sportello’ ma parla spesso
del contatto con le persone come di un
valore.
Cosa è cambiato nella sua vita da
quando è passata alla terapia con
microinfusore?
Moltissimo. Questo tipo di terapia
mi dà una sensazione di assoluta
autonomia e libertà. Non ho problemi
di orari e di tempo. Se all’intervallo
di pranzo decido di mangiare solo
un toast e di utilizzare quell’ora
e mezza per fare shopping o per
guardare le vetrine posso farlo; idem
se all’ultimo momento con le amiche
si decide di andare in palestra o in
piscina. C’è un altro aspetto poi. Ieri
A modo mio
se dovevo iniettare insulina dovevo
alzarmi e andare da qualche parte e
fare l’iniezione; ora mi basta premere
due tasti. E poi, oltre ad avere meno
disagio, creo anche meno disagio.
mettere la comodità? E c’è un altro
aspetto che mi piace del microinfusore
e mi fa pensare spesso “Ah, se l’avessi
avuto prima!”.
Non so se capisco bene...
Intendo dire disagio negli altri. Anche
agli amici più cari forse faceva un po’
impressione vedermi fare una iniezione,
le penne sono più simpatiche delle
siringhe, ma l’ago... colpisce un po’
tutti, anche gli adulti. Ora invece il
problema non c’è più, o quasi.
Bisogna cambiare il set di
infusione.
Sì, su questo punto ci vuole attenzione.
Due o tre volte la settimana occorre
qualche minuto di calma per cambiare
ago e filo. Ci si mette di più che a
fare una iniezione e forse è anche un
pochino più doloroso, ma prima di tutto
stiamo parlando di due o tre volte la
settimana, non di trenta volte, e poi
posso sempre scegliere il momento. Se
al mattino non posso o non ho voglia,
posso aspettare il pomeriggio... vuoi
Per cambiare il set di infusione ci vuole
attenzione. Due o tre volte la settimana
occorre qualche minuto di calma per
cambiare ‘ago e filo’.
Quale aspetto?
Il fatto che con il microinfusore i conti
tornano. Mi spiego: il diabete è una
questione di numeri. Io passavo la vita
a chiedermi, ma perché i conti non
tornano? Perché ho questa glicemia
a 250 o questo inizio di ipoglicemia?
E trovare la causa non è semplice,
con la terapia multi-iniettiva ci sono
troppe variabili. Prima di tutto usi
diverse insuline. Potrei aver sbagliato
insulina usando una penna al posto
dell’altra? Poi è facile commettere
errori nell’iniezione, dopo un po’ di
tempo l’iniezione si fa un po’ troppo
velocemente, si prendono delle
scorciatoie... che ne so, non si tiene
l’ago infilato contando fino a cinque.
Le stesse insuline, soprattutto le
lunghe, non hanno sempre il medesimo
comportamento. Una volta durano di
più, una volta di meno.
Lei ha il diabete da molti anni…
Sì, ma forse una volta avevo più
tempo e voglia di pensare. Con l’età
la complessità si sopporta meno.
Si ha meno voglia e tempo di porsi
domande. Si apprezzano – molto di più
che da ragazzi – le soluzioni semplici e
razionali.
Adulti
47
E con il microinfusore i conti
tornano?
Sì, e soprattutto hai meno variabili da
tenere d’occhio. L’insulina è una sola,
non puoi sbagliare. Basta un’occhiata
al display e sai quanta insulina hai
fatto nel bolo e quando, essendo
un’ultrarapida, non devi
stare lì a chiederti
quanta insulina hai
ancora in corpo
dalla precedente
iniezione.
48
Mi faccia indovinare: si chiede
perché i conti non tornano.
Esatto, ma a quel punto è una curiosità,
perché il problema è risolto e molto
probabilmente non si ripresenterà.
Non hai
‘magazzino’,
come si direbbe in
contabilità.
Esatto. Non ci sono partite
pregresse come avviene con le insuline
medie e lente. Insomma, non dico di
non avere mai glicemie ‘strane’ da
quando uso il microinfusore, ma è più
raro, inoltre mi è più facile trovare una
spiegazione. E questo mi rende più
serena.
Quando qualche conto non torna
cosa fa?
Se la glicemia è più alta del normale
e non mi viene subito in mente una
spiegazione logica, io non sto tanto lì a
pensare: cambio tutto, ‘ago e filo’. Porto
sempre con me un set infusionale e
una batteria di riserva, occupano meno
posto della penna. Prima agisco e poi
mi chiedo.
A modo mio
Una vita
speciale
I medici
dicono
sempre che
“una ragazza con
il diabete può avere
una vita normale”. A Elena
di avere una vita normale non
interessa per niente. La sua infatti è
una vita speciale, anche se lei rifiuta la
definizione. «Io vivo come voglio, che
sia una vita ‘normale’ o ‘speciale’ non
mi interessa».
Elena in effetti fa delle cose normali
(anche se a livelli piuttosto alti,
bisogna dire). Si è laureata, in
Fisica subnucleare, lavora in una
multinazionale dell’elettronica, è sposata
e vive a Milano. Ma Elena, 33 anni è
anche altro. È una ragazza che a 20
anni e qualcosa
ha attraversato da
sola il Laos e la
Thailandia, che nelle
ultime vacanze insieme a
un gruppo di amici ha girato
l’Africa più deserta dal Botswana
al Kenya. «L’Africa è una passione»,
ammette, «mia e di mio marito».
Viaggi a parte, Elena scrive. Ha scritto
insieme a Daniele Paolocci un bel
libro che racconta la storia di due
ragazzi con diabete, Prima la panna e
poi il cioccolato, ne ha scritto un altro
e ha in tasca un contratto con una
casa editrice per un terzo libro. È tra
i fondatori del sito Progettodiabete, fa
delle bellissime foto e nei momenti
liberi sviluppa software.
Adulti
49
Come è nato Prima la panna e poi il
cioccolato?
Letteralmente in chat. Nella chat di
Progettodiabete ho incontrato Stefano
e molte altre persone. È nata così
l’idea e il ‘materiale’. Il libro infatti è
solo in parte autobiografico: sia io sia
Stefano abbiamo fatto riferimento, oltre
che al nostro, a molto del vissuto che
abbiamo colto nel rapporto con altre
persone.
Una persona con il diabete, se ha
esperienza, non solo è in grado ‘come
gli altri’ di vivere queste avventure, ma
meglio degli altri.
50
La scena chiave del libro, quella
che gli dà il titolo e nella quale i
due protagonisti si incontrano, si
svolge in una pasticceria, attorno a
gelati e cioccolate con panna. Cibi
che una volta venivano proibiti alle
persone con il diabete.
In realtà a me il cioccolato piace molto
anche se non mi fa perdere la testa,
però a volte capita che con il diabete
scaturisca una sorta di passione per
i dolci. Io credo che spesso sia una
reazione più che un desiderio. Mi
spiego. La gente cosa sa del diabete?
Quasi nulla, confonde il diabete di
tipo 1 con quello di tipo 2 e sa poco
dell’uno e dell’altro. Il diabetico è
quello “che non può mangiare cose
dolci, poverino”. È comprensibile che
molti, per reazione o per dimostrare
che non si sentono diversi, sviluppino
una passione per cioccolato o gelati.
Li mangi perché ti senti normale e
vuoi farlo capire agli altri. Ci sono poi
persone che si sono viste proibire
queste cose per anni da bambini e
per loro questo tabù è diventato una
ossessione. Ovviamente il problema
non esiste. Con il microinfusore e, più
in generale con le ultrarapide, dolci
e cioccolato si possono benissimo
mangiare; anzi, per certi versi la curva
di assunzione di questi dolci è più
vicina a quella di azione dell’insulina.
Lei ha una personalità molto
spiccata e particolare, eppure nel
suo libro parla spesso di sensibilità
e problemi che provengono da altre
persone con il diabete.
Come è possibile?
Me lo chiedo anch’io. Mi capita di
sentirmi molto vicina a delle persone
alle quali – se non condividessero con
me il problema diabete – non avrei
magari nulla in comune. C’è qualcosa
che sotto sotto ci unisce e ci divide
dagli altri.
Qualcuno le ha detto però che le
sue sono scelte un po’ speciali...
Sì. Quando giravo da sola in Africa
o quando sono stata in Indocina, mi
hanno dato in tanti della matta.
A modo mio
Per il diabete...
No, lo dicevano anche
persone che non
sapevano del diabete.
Una ragazza
che gira da sola
in posti poco
noti... scandalo!
Ma io volevo fare
quei viaggi e non
conoscevo nessun altro
che condividesse questo
mio interesse. Poi ho scoperto un
gruppo di persone come me e ora, a
volte, viaggio in compagnia. In Namibia
eravamo io e mio marito.
La Namibia non credo sia una zona
ricca di Centri di diabetologia...
Nemmeno di ospedali se è per questo.
Sono stata in zone dove il medico
più vicino si trovava a 5 giorni di
fuoristrada.
sa anche quali sono i limiti che
non è saggio superare. Una
persona che non ha una
malattia cronica invece
rischia di sottovalutare
segnali importanti o
di andare al di là di
certi limiti. In genere
nel gruppo io sono
quella che ha meno
problemi di salute.
E il microinfusore?
Sicuramente aiuta, in queste esperienze
un po’ estreme come in quelle di ogni
giorno. Avere una basale a posto
migliora la forma fisica e permette di
superare qualche difficoltà in più.
51
E come si fa?
Si fa, si fa. Ovviamente devi essere in
grado di gestire bene il diabete, devi
avere con te tutto il necessario e anche
di più. Posso dire che una persona con
il diabete, se ha esperienza, non solo è
in grado ‘come gli altri’ di vivere queste
avventure, ma meglio degli altri.
Come mai?
Perché è attenta ai segnali che
vengono dal proprio corpo. Sa cosa
può chiedere al proprio organismo ma
Adulti
Ho vinto tutto
tranne la paura
(degli altri)
52
Poche volte
Emanuela ha visto
qualcuno tagliare prima di lei il
traguardo dei 400 metri. A 20 anni
volava con tempi che le avrebbero
garantito, se non una medaglia,
almeno la partecipazione alla finale
alle Olimpiadi di Mosca. Il diabete,
arrivato nel pieno della preparazione
atletica, non l’ha fermata. Con un
perfetto controllo e utilizzando uno dei
primi lettori della glicemia, è riuscita a
mantenere le sue performance a livelli
olimpici.
Come tante persone capaci di
accettare il diabete, Emanuela è stata
danneggiata dalla paura che ‘gli altri’
hanno del diabete. I dirigenti sportivi
le hanno negato il biglietto per Mosca.
Quando ha scoperto di essere una
sportiva di livello agonistico?
L’amore per l’atletica è nato prima del
diabete: in seconda media. Ho iniziato
a correre e a vincere facilmente.
Ho vinto tutte le gare studentesche
e poi i Giochi della gioventù e le
varie gare in giro per l’Italia. A quel
punto sono entrata nella Nazionale
di velocità femminile dopo essermi
classificata quarta nei 400 metri ai
Campionati assoluti a Roma, nel 1978:
il faticosissimo giro di pista che molti
atleti cercano di evitare. A quel punto,
avevo 20 anni, è arrivato il diabete.
È stata una mazzata?
Sì, ma fino a un certo punto perché,
nonostante il diabete, sono riuscita a
A modo mio
mantenere per un paio di anni le mie
performance agonistiche su alti livelli.
Nessuno mi poteva fermare e il mio
obiettivo era quello di tutti gli atleti:
arrivare alle Olimpiadi, nel mio caso
quelle di Mosca del 1980. Correndo i
400 metri in 54 secondi avrei potuto
benissimo farcela ma...
Avrebbe vinto a Mosca?
L’oro dei 400 metri no, lo vinse Marita
Koch che scese sotto i 50 secondi per
poi far scendere il suo record a 49 e
poi a 48 e 16, un mito dell’atletica. Per
salire sul podio avrei dovuto scendere
sotto i 51 secondi, il che era davvero
difficile visto che l’ottava classificata,
Lindsey McDonald, segnò 52 e 40 che
non era ancora un tempo nelle mie
possibilità. Comunque avrei potuto ben
figurare fra le ragazze della staffetta
Nazionale azzurra della 4x400 ma,
al di là di tutto, mi sarebbe bastato
partecipare a una Olimpiade che è
sempre stato il sogno della mia vita. E
invece ho perso l’aereo per Mosca e
anche qualcos’altro...
Ma?
I dirigenti della Federazione non
ritennero opportuno mandarmi nella
selezione azzurra alle Olimpiadi di
Mosca. Dicevano: “Se poi ti succede
qualcosa in pista o fuori...”, e avevano
troppa paura delle conseguenze per
ignoranza della malattia. Era assurdo.
Io ero seguita dai migliori medici,
controllavo perfettamente il diabete,
si figuri che avevo uno dei primi
glucometri fatti venire dalla Gran
Bretagna, un oggetto scomodissimo
grande come una scatola da scarpe.
Eppure...
53
Sembra incredibile, tra l’altro a
quella Olimpiade non parteciparono
gli Usa e numerose nazioni, le
possibilità di vincere una gara di
atletica erano quindi maggiori del
solito...
Esatto, ma al tempo non si parlava
come oggi di diabete e sport, non
c’erano le testimonianze di decine di
persone che, nonostante il diabete,
hanno vinto gare in ogni disciplina. Il
diabete faceva paura.
Uno sportivo deve amare e quindi
rispettare il proprio corpo, per cui non
è un problema controllare la propria
alimentazione. Quando è arrivato il
diabete mi è stato facile inserirlo nel
mio autocontrollo’.
Cioè?
Ho perso il mio allenatore, che aveva
puntato su di me, e anche un po’
di amore nei confronti dello sport
organizzato: infatti ho continuato a
correre a livello italiano ancora per un
po’, poi mi sono laureata, sposata e ho
preferito abbandonare l’agonismo per
altre scelte di vita.
Adulti
54
Ma non l’attività fisica...
Quella mai. Pensi che in Africa ho vinto
una gara, amatoriale ma combattuta,
ed ero al quarto mese di gravidanza.
Non sono mai stata più di un mese
senza correre, salvo in presenza di seri
motivi. Poi sono tornata in Italia e ho
ritrovato l’entusiasmo per lo sport su
pista grazie alle gare Master, sportivi
che vogliono ancora mettersi in gioco
dopo i 35 anni di età. Esistono infatti
Campionati regionali, nazionali, europei
e mondiali: io sono stata campionessa
italiana dei Master 35 nei 200 metri
indoor, dei master 40 nei 200 e 400
metri all’aperto nel 1998 a Viareggio
e dei master 45 nei 200 e 400 metri a
Caorle nel 2004. Mi alleno tre volte la
settimana, conosco un sacco di gente e
mi diverto. In un certo senso c’è anche
un’atmosfera più sana fra i Master che
fra i giovani.
Cosa intende dire?
È un discorso lungo. Vede: uno
sportivo deve amare e quindi
rispettare il proprio corpo, per cui
non è un problema controllare la
propria alimentazione, rinunciare
anche a un bicchiere di vino, andare
a dormire presto, perché sa bene che
qualunque cosa può influire, anche se
in misura limitata, sull’efficienza del
suo organismo. E questa è una cosa
positiva. Quando è arrivato il diabete
mi è stato facile inserirlo nel mio
autocontrollo’. È una cosa che rimane
per sempre. Ci sono però degli eccessi
che sono sempre controproducenti.
Lo sport deve essere divertimento;
la perfetta efficienza del corpo è un
mezzo, non un fine. In questo senso da
giovani si esagera, forse ancora di più
oggi che perfino nell’atletica si sono
imposti interessi economici e guadagni
che una volta erano sconosciuti.
Fra gli ‘anziani’ invece...
C’è divertimento. Si fanno le gare e ci si
allena per il gusto di fare una vita sana
e di conoscere persone con interessi
comuni. La voglia di vincere rimane,
per carità. Ma se mi alleno correndo tre
volte la settimana è prima di tutto per il
piacere di farlo.
Dove si allena?
A Macerata esiste un sodalizio sportivo,
la Società Educazione Fisica, S.E.F., che
compie quast’anno 100 anni di storia e
che attualmente si dedica unicamente
all’attività dei Master. Abbiamo
quindi un campo sportivo a nostra
disposizione. Solo che... mi rattrista un
po’ notare che su quella stessa pista a
20 anni mi bastavano 55 secondi per
fare il giro, dieci anni fa 64 e oggi, se
va bene, ne impiego 66.
Ma suvvia, lei ha anche più di
45 anni. La gran parte delle sue
coetanee non riescono a fare
tre piani di scale a piedi senza
ansimare!
A modo mio
È vero, ma uno sportivo di solito fa
paragoni solo con altri sportivi e con se
stesso. Ieri come oggi per esempio, mi
secca molto quando in qualche gara
vedo qualcuna tagliare il traguardo
prima di me, anche se è più giovane.
fisico, poi mi sono affidata con grande
soddisfazione alle cure del Centro
di Macerata. Mi hanno consigliato
con forza il microinfusore e anche di
passare dalle gare di velocità a quelle
di mezzo fondo, i 3 mila metri per
esempio.
Capita?
Di rado, ma capita. Nelle competizioni
a carattere regionale sui 200 e 400 non
mi è mai successo né da giovane né da
Master. A livello nazionale poche volte,
non mi ricordo una gara nella quale
non sia salita almeno sul podio.
Ci stavamo dimenticando il
diabete...
In effetti come le ho detto il diabete
in sé non ha cambiato la mia vita, è
stata la paura che gli altri avevano del
diabete a farmi del male. Anche per
questo io non ne ho mai parlato quasi
con nessuno. Solo da poco tempo mi
sono aperta, ho iniziato partecipando
alle riunioni dell’Aniad.
E ha seguito questi consigli?
Per quanto riguarda il microinfusore
sì, per quanto riguarda i 3 mila metri...
Beh ho qualche remora ma penso che
lo farò.
Teme di non essere prima?
Guarda caso, io sono la prima persona
che il mio Centro di diabetologia
di Macerata ha dotato di un
microinfusore. Era destino.
Il diabete in sé non ha cambiato la
mia vita, è stata la paura che gli altri
avevano del diabete a farmi del male.
E il microinfusore? Lei che è stata
una delle prime in Italia a usarlo?
Ovviamente lo conoscevo da tempo,
solo che fino a due anni fa ho vissuto
all’estero, in Paesi non troppo avanzati
peraltro. Quando sono tornata in Italia
ho preso dapprima contatto con il
Centro di Perugia che sapevo essere
particolarmente attento all’equilibrio
glicemico e metabolico delle persone
impegnate in un importante esercizio
Adulti
55
Capirsi al volo
56
Fabio, 33 anni, si occupa
di informatica da quando ne aveva
19 e lavora per un’importante società
del mondo bancario. Ovvio che ami la
tecnologia, quando funziona bene e
porta dei vantaggi concreti, e
che quindi da molti anni
abbia un microinfusore.
Non pensate
però al maniaco
di computer
introverso e
solitario. Fabio è
un grande amante
dello sport, della
montagna e del
windsurf in particolare,
è sposato e da pochi mesi
ha una figlia.
Da ‘addetto ai lavori’ come le
sembra l’interfaccia utente (la
parte del software che ‘dialoga’
con l’utilizzatore fornendogli
informazioni e opzioni) dei
microinfusori?
Molto buona.
È un campo nel
quale si vede
un continuo
miglioramento.
Recentemente
ho cambiato
microinfusore e
il nuovo riesce
a proporre molte
più opzioni senza
essere complesso.
A modo mio
Come ha ottenuto questo risultato?
Premesso che... non l’ho progettato,
io credo che sia stato concepito per
un utilizzo a due livelli: una serie di
comandi semplici per l’utilizzatore e
un ‘secondo livello’, più complesso e
ricco di opzioni, per l’utente avanzato,
si tratti del Team diabetologico che lo
programma o dello stesso utilizzatore,
che consentono di ‘personalizzare’ lo
strumento. Direi che siamo ad alti livelli
di user friendliness.
Cos’è la user friendliness?
È la facilità con la quale uno strumento
o un software può essere utilizzato da
una persona. Una caratteristica sulla
quale negli ultimi anni l’informatica ha
investito molte risorse.
Lei è stato uno dei primi utilizzatori
di microinfusore nella sua ASL,
cosa l’ha spinta a chiedere di
adottare questa modalità di
assunzione dell’insulina?
C’erano due aspetti. Uno clinico: io ho
una sorta di ‘effetto Alba’ al contrario,
di prima mattina la glicemia, invece di
alzarsi, si abbassa. Era assai difficile
gestire questa cosa con le iniezioni. E
questo spiega forse perché sono un
early adopter come si chiamano gli
‘utenti pilota’ dei nuovi strumenti. Ma
altrettanto importante è la flessibilità
che concede soprattutto negli orari.
Ma il suo mestiere, progettare
software, mi suona come una
attività abbastanza sedentaria e
regolare...
Sedentaria lo è. Regolare no. Quando
si lavora presso un cliente per esempio
gli orari li decide lui. Non parliamo
poi delle riunioni o dei problemi che
sorgono all’ultimo momento e che ti
fanno fare notte.
E poi la flessibilità nei pasti. Mangio
spesso fuori casa, in posti diversi.
Impossibile prevedere cosa e quanto ti
porteranno a tavola. Io ordino e quando
arriva il piatto capisco di quante unità
ho bisogno, premo un pulsante e faccio
il bolo.
Da quando è nata la bambina sarà
più spesso a casa...
Sì, ma la variabilità rimane. L’orario
di cena lo decide lei. È il ‘cliente’ più
esigente. Se quando arrivo dorme
magari ceniamo alle 7, se è sveglia
bisogna aspettare che dorma, se non si
mette a piangere proprio mentre scoli
la pasta... Non oso pensare a come
avrei fatto a gestire questo periodo con
le penne.
Quando si lavora presso un cliente
gli orari li decide lui. Non parliamo
poi delle riunioni o dei problemi che
sorgono all’ultimo momento e che ti
fanno fare notte.
Adulti
57
Sembrava
una scommessa
58
A quarant’anni,
bisogna ammetterlo, si diventa un po’
conservatori. Si cambiano malvolentieri
le proprie abitudini, ogni ‘grande passo’
viene soppesato mille volte. «È stato
difficile decidere», ammette Gaetano,
46 anni, «anche se, devo dire, avevo
tutti gli elementi a disposizione».
Cosa la frenava?
Mah... le solite ansie. Devo dire che era
un qualcosa di abbastanza irrazionale.
Ho fatto un corso insieme ad altri
pazienti e mi hanno spiegato tutto
quello che c’era da sapere, i medici
che mi seguivano avevano consigliato
con una certa forza il microinfusore
per risolvere il mio problema
principale: improvvise e assai serie crisi
ipoglicemiche. Mi hanno dato perfino
per un paio di giorni il microinfusore da
tenere a casa, ho letto il libretto delle
istruzioni...
Sono servite queste informazioni?
Sì, soprattutto gli incontri con persone
che già avevano il microinfusore.
In ogni caso l’incertezza irrazionale
rimaneva.
Per quanto ti possano dare informazioni,
non c’è nulla come provare a metterlo
per qualche giorno, diciamo una
settimana. Solo così puoi davvero
convincerti.
A modo mio
E quindi?
E quindi ‘mi sono
buttato’ e ho detto
al mio medico:
“OK, proviamo”,
assicurandomi
che non ci
sarebbe stato
nessun problema
se l’avessi riportato
indietro. Ovviamente
oggi non ci penserei
nemmeno, ma i primi giorni
temevo, chissà perché, che il
microinfusore non facesse per me.
Cosa consiglierebbe a un amico
che si trovasse nella stessa
incertezza?
Di provare. Per quanto ti possano
dare informazioni, non c’è nulla come
provare a metterlo per qualche giorno,
diciamo una settimana. Solo così puoi
davvero convincerti che le tue ansie
sono senza fondamento.
Nel suo caso, nei primi giorni come
è andata?
Ero un po’ guardingo, controllavo
continuamente il display, le prime
notti mi svegliavo... ma già dopo una
settimana, anche prima, era tutto a
posto.
Scarsa fiducia nella tecnologia?
No, anzi, io uso computer, telefonini
e quant’altro. Solo che quando la
tecnologia è collegata al tuo
corpo...
è un’altra cosa: ‘hai
voija’ come dicono a
Roma.
Come ha
superato questa
diffidenza?
Con i fatti. Ho
notato subito un
miglioramento netto.
Nella qualità della vita o
nell’equilibrio glicemico?
In tutti e due. Nel mio caso poi i due
aspetti erano collegati. Io soffrivo
di ipoglicemie molto serie che mi
coglievano all’improvviso, o meglio
avevo perso la capacità di accorgermi
dei sintomi premonitori. Mi trovavo da
un momento all’altro con la glicemia a
20 o 30, e poi magari rimbalzava a 400.
A parte i rischi, è proprio deprimente
subire questi alti e bassi. Ti sembra
davvero di aver perso il controllo sulla
tua vita. Qualsiasi cosa fai ti chiedi... “e
se mi succede?”.
Sui libri c’è scritto che - se si
riescono a evitare ipoglicemie per
alcune settimane o pochi mesi la capacità di percepire i segni
premonitori della ipo si ristabilisce.
È successo così anche nel suo
caso?
Sì, il diabetologo mi aveva spiegato
Adulti
59
60
che questo era uno degli obiettivi cui
si poteva puntare con la terapia con
microinfusore: smussare gli ‘alti’ e i
‘bassi’ della glicemia, rendere meno
frequenti e meno gravi le ipoglicemie e
riprendere la sensibilità. In effetti così
è successo. Le ipo non sono sparite
del tutto, ma sono molto più rare,
meno gravi, e me ne accorgo prima.
Anche intervenire è più facile. Anche
solo questo mi ha cambiato
la vita, devo dire. Poi
bisogna aggiungere
il miglioramento
dell’equilibrio e
soprattutto la
flessibilità e la
qualità della vita.
Io e mia moglie
usciamo spesso, la
primavera e l’estate a
Roma ci sono un sacco
di cose da fare, gli amici...
ho anche ripreso a fare sport. Con il
microinfusore puoi decidere all’ultimo
momento, puoi fare un bolo senza
alzarti da tavola. Insomma un successo
pieno.
Una scommessa vinta, quindi.
Sì, sembrava una scommessa anche
se in realtà non c’era nulla da perdere
e solo da guadagnare. E pensare
che io di lavoro mi occupo proprio di
scommesse e concorsi a pronostici!
A modo mio
Tenacia e controllo
Giuseppe se la ride.
E si prende anche il gusto di canzonare
bonariamente gli ‘esperti’ che gli
dissero, una volta diagnosticato il
diabete, che la sua carriera
agonistica era finita, che
un diabetico non
può fare sport. A
un congresso
di medici
Giuseppe, che
tutti chiamano
Pippo,
intervenne con
una proiezione
che intercalava
queste frasi fatte
a immagini che lo
vedevano impegnato in
estenuanti maratone, gare nelle
quali l’atleta di Marsala si è sempre
classificato fra i primi. Il segreto? Una
non comune forza di volontà e una
grande capacità di autocontrollo.
Chi non ha mai fatto gare
di fondo, prima fra
tutte la maratona,
pensa che il
segreto per
arrivare al
traguardo sia
una straordinaria
forza fisica. Non
è così. Ci vuole
un fisico allenato,
ovviamente, ma
soprattutto ci vuole
una grande capacità di
Adulti
61
controllare il corpo e la mente. È
la forza di volontà che permette di
partecipare con risultati di alto livello
alle principali maratone italiane (quella
‘in casa’, di Palermo, quella di Carpi
e di Roma), a molte mezze maratone
e a competizioni su distanze minori
come i 10 mila metri, per non parlare
dei chilometri macinati ogni giorno in
allenamento.
62
Da dove viene questa forza di
volontà?
Da sempre lo sport è la mia passione.
Una passione che – senza mai puntare
al professionismo – ho costantemente
cercato di esprimere a buoni livelli. Ho
iniziato con il tennis e poi ho scoperto
il fondo, le lunghe distanze.
Fino a quando il diabete ha...
scoperto te.
A 30 anni, è stata una mazzata, anche
perché molti mi dicevano – o mi
facevano capire – che sì, avrei potuto
riprendere una vita normale, forse fare
anche qualche corsetta, ma certamente
senza esprimermi ai livelli cui puntavo.
E invece...
E invece la mia carriera è proseguita.
Ho corso distanze più lunghe e
ho avuto piazzamenti migliori.
Certamente mi sono fermato per
un po’, ho dovuto raggiungere un
buon equilibrio glicemico, imparare
molte cose in più sul metabolismo
in generale, allenarmi dapprima su
distanze medie, 5 chilometri, poi 10,
poi mezze maratone, ne ho corse 22, e
infine la regina delle gare, la corsa di
42 chilometri che ho fatto dieci volte
anche in meno di tre ore.
Molte cose in più... perché un
maratoneta è già un esperto di
metabolismo?
Sì, è una gara che impegna una
dopo l’altra tutte le fonti di energia
dell’organismo. Quando corri devi
sapere che ‘carburante’ stai usando:
glucosio o grassi o gli stessi tessuti.
E devi cercare di prevedere quando
passerai da una fonte all’altra. In
questo senso partivo ‘avvantaggiato’.
Una persona che fa sport di questo tipo
conosce e rispetta il funzionamento del
proprio corpo.
Da come parla sembra che il
diabete sia un vantaggio...
No, non lo è, ovviamente. Devi agire
per ottenere un risultato, il compenso
glicemico, che negli altri atleti è
garantito. Ma non è nemmeno un
ostacolo impossibile da superare. Una
buona conoscenza del tuo metabolismo
e la possibilità di controllarlo sono
anche un aiuto. Il diabete aggiunge
una dimensione in più al rapporto
con il mio corpo. Devo fare ancora
più attenzione all’alimentazione,
devo sapere quanta insulina vuole,
devo sapere se durante il percorso
A modo mio
ha bisogno di ingerire zuccheri o
controllare se sta bene.
Il diabete non è un ostacolo per chi
vuole fare sport.
Il messaggio che io porto
correndo è proprio
questo: “Chi ha il
diabete, se vuole,
può fare sport
anche agonistico”.
Tuttavia vorrei
dire una cosa. Io
correndo dimostro
qualcosa, ma non
corro per dimostrare
qualcosa.
Perché allora?
Semplicemente corro perché mi
piace, mi piace molto; non tolleravo
che il diabete me lo impedisse. Mi
piace quasi quanto mia moglie e le
mie due gemelle. Grazie anche a lei,
a loro, il diabete non ha distrutto i
miei sogni. Ecco, credo che questo
sia un messaggio che vale per tutti,
anche per chi non ama correre o
non ama fare sport. Il diabete non
deve distruggere i tuoi sogni. Sei
diverso, inutile negarlo, ma non devi
sentirti malato. Detto in altre parole,
sconfiggere il diabete nel senso di
eliminare il problema ancora non si
può. Ma sconfiggere l’idea che ci si
fa del diabete è possibilissimo. Basta
volerlo.
E veniamo ora al microinfusore che
usi da qualche mese.
È come passare da una 500 a una
Ferrari. A dire il vero anche con la
‘500’, con le penne, riuscivo a
tenere ben sotto controllo
le glicemie; ma quasi
tutti gli amici che
fanno sport con il
diabete usano il
microinfusore, e
mi sono convinto
che questo tipo
di terapia poteva
essere utile anche
per chi compie sforzi di
lunga durata ed estenuanti
come avviene nel podismo. Ho
iniziato e mi trovo bene, anche se ho
dovuto imparare molte cose.
Risultati?
Ancora non ho partecipato a gare
ma sono molto fiducioso. Vedo in
questi allenamenti che ho fatto che
il microinfusore – oltre a rendere più
semplice la gestione del diabete – mi
permette di condurre meglio la gara.
Faccio un esempio: io ero costretto
a iniziare la gara in iperglicemia.
Se fossi partito con le glicemie in
equilibrio avrei rischiato l’ipoglicemia,
che significa doversi fermare e uscire
dalla gara stessa o interrompere
l’allenamento. Con il microinfusore,
invece, posso dosare in ogni momento
della gara l’insulinizzazione, posso
Adulti
63
partire in equilibrio e mantenerlo per
tutta la gara. Tra l’altro il microinfusore
mi aiuta a gestire anche le ore dopo
un allenamento o una gara. Nelle
ore seguenti a uno sforzo importante
infatti, i muscoli recuperano le riserve
perse assorbendo glucosio dal sangue.
Se non hai un mezzo per gestire bene
questa fase, rischi di trovarti con una
inattesa ipoglicemia. Nei primi mesi
continuavo a correre e a controllare
la glicemia raccogliendo dati e
informazioni. Le prime gare le farò più
tardi, dapprima 5 e 10 mila metri e poi
mezze maratone e maratone e credo
sinceramente che ne trarrò vantaggio.
64
È come passare da una 500 a una
Ferrari. A dire il vero anche con la ‘500’,
con le penne, riuscivo a tenere ben sotto
controllo le glicemie; ma quasi tutti gli
amici che fanno sport con il diabete
usano il microinfusore.
Cosa dirai quando concluderai la
prima maratona con microinfusore?
Credo che dirò quello che ho detto
quando ho concluso la prima maratona
con il diabete in tre ore e cinque minuti
(un tempo di tutto rispetto): «Forza
Pippo sei stato grande ancora una
volta».
A modo mio
In caso
di stress
Quali sono le fonti
principali di stress?
Dover cambiare lavoro e inventarsene
uno nuovo, un trasloco e la nascita di
un figlio. Luca, 35 anni, le ha vissute
tutte nell’arco di un anno circa. «Per
fortuna, prima che iniziasse il caos
avevo accettato la proposta di mettere
il microinfusore», afferma Luca,
convinto che con la terapia tradizionale
non sarebbe stato possibile affrontare
una fase di questo tipo. «La mia glicata
che era intorno a 7 sarebbe schizzata a
due cifre. Invece nell’insieme è andata
bene. Gastriti, notti insonni, ansie di
ogni tipo sono state tutto sommato
ben assorbite dal lavoro continuo
del microinfusore e dall’infusione
‘fisiologica’ della basale. E poi c’è il
fatto che il microinfusore è di una
comodità estrema».
Si può parlare di comodità in una
fase di stress come questa?
In particolare in queste fasi. Prendiamo
anche solo avere un bambino. Molti
sanno di cosa sto parlando: passi
la notte in bianco e magari potresti
riposare la mattina, mangi quando hai
un minuto libero... l’ultima cosa di cui
hai bisogno in questi momenti è dover
rispettare orari fissi per le iniezioni.
I bambini non conoscono orari...
E non te li fanno conoscere. Una
volta forse erano solo le mamme
a preoccuparsi, oggi anche i padri
condividono gli impegni. Ci si alza di
Adulti
65
notte, li si accompagna all’asilo, li
si cambia, li si imbocca...
tutto insomma. Io poi da
qualche mese sono un
libero professionista,
posso passare
diverse ore del
giorno a casa e
mia moglie invece
lavora otto ore fuori.
Non dico che si sono
invertiti i ruoli ma...
siamo pari. Il mio forse è
un caso limite ma le cose sono
cambiate rispetto anche solo ai nostri
genitori.
66
Sono mutati i tempi: una volta si
mangiava quando arrivava papà...
Certo. Per una famiglia di oggi con uno
o con due bambini come noi, il peso è
distribuito in maniera molto più equa.
E questo è giusto, è bello... ma dove lo
mettiamo il diabete? Il microinfusore
ti dà quella flessibilità che è sempre
piacevole avere ma che in questi casi è
assolutamente necessaria.
Lei quindi consiglierebbe il
microinfusore agli uomini con
diabete che hanno figli piccoli?
Non solo con i piccoli. Prendiamo il
più grandicello. Se me lo chiede, posso
uscire e andare a giocare a pallone con
lui, abbasso la basale ed esco. E non
solo a chi ha figli. Io sono entusiasta
del microinfusore. Essendo presidente
di una associazione fra persone
con il diabete ho spesso
contatti con amici
insulinodipendenti e
lo consiglio a tutti,
è la cosa migliore
inventata negli
ultimi dieci anni.
E cosa dicono i
bambini a vederla
con uno strano
oggetto e un tubicino?
Non è un problema, il
microinfusore crea curiosità, è vero,
mio figlio piccolo lo guarda, lo sfiora –
devo dire molto delicatamente – capita
a volte che io lo prenda in braccio a
torso nudo e si impigli il piedino nel
sondino, ma anche così non riesce a
staccarlo. Devo dire che io non ho mai
avuto nessun problema a farmi vedere
né con il microinfusore né quando
facevo le iniezioni. Però conosco
persone che non amavano farsi
vedere mentre si iniettavano insulina e
ottenere questa privacy non è facile in
famiglia: per loro il microinfusore ha un
vantaggio in più.
Passi la notte in bianco e magari
potresti riposare la mattina, mangi
quando hai un minuto libero... l’ultima
cosa di cui hai bisogno in questi
momenti è dover rispettare orari fissi.
A modo mio
Una corsa al giorno
ti porta sul Pamir
Con il microinfusore,
Marco, 35 anni, alpinista per passione,
è salito sul Pik Lenin, a 7134 metri, la
più alta cima eurasiatica nell’altopiano
del Pamir. Marco non è
nuovo a queste imprese,
co-fondatore e
presidente di ADIQ,
Alpinisti Diabetici
In Quota, Marco è
stato protagonista
di numerose
spedizioni nelle
quali gruppi di
esperti e semplici
amanti della montagna
accompagnati da medici,
hanno scalato le vette più alte del
globo: il Kilimangiaro, per esempio,
o il Cho Oyu, un 8 mila himalayano.
L’ascensione del Picco Lenin è stata
la tappa più alta (è il caso di dirlo)
di una spedizione composta da 24
persone, Islet 2005 che ha
attraversato per un mese
l’altopiano del Pamir
nella Repubblica
asiatica, ex sovietica,
del Kirgizistan.
«Queste iniziative»,
sottolinea Marco,
«non servono tanto
a far vedere che una
persona con il diabete
può ‘perfino scalare le
più alte montagne del mondo’,
anche se purtroppo ogni tanto è bene
ricordarlo».
Adulti
67
Anche solo per muoversi oltre i 4-5
mila metri di altezza è necessario un
ottimo allenamento, occorre camminare
a piedi o andare in bicicletta, anche in
pianura, ogni giorno.
68
L’obiettivo di ADIQ e dell’ANIAD,
l’Associazione Nazionale Italiana
Atleti Diabetici, co-organizzatrice di
Islet e di altre iniziative, è piuttosto
sottolineare lo stretto rapporto tra
forma fisica e diabete. Non dico
per fare scalate ma anche solo
per muoversi oltre i 4-5 mila metri
di altezza non occorre un ‘fisico
bestiale’, ma è necessario un ottimo
allenamento; la preparazione dunque
è determinante: camminare a piedi o
in bicicletta, anche in pianura, (Marco
è di Vicenza) ogni giorno e passare
molti weekend tra i 3 e i 4 mila
metri di quota. «Io devo il mio buon
controllo glicemico all’amore per la
montagna. Mi sono accorto che non
sarei mai diventato un buon scalatore
senza avere un buon equilibrio
glicemico e a quel punto ho trovato la
motivazione per affrontare le sfide di
ogni giorno. Il resto è venuto da sé...».
E questo vale per tutti, con diabete e
non. Marco tiene a sottolineare che
un terzo dei componenti di Islet 2005
è arrivato in vetta e la proporzione
fra persone con diabete e senza era
la stessa. Il microinfusore, a dire il
vero, non era previsto. Molti amici
e compagni di scalate di Marco lo
usano da tempo ma fino a pochi mesi
prima della partenza, Marco si trovava
benissimo con le sue ‘penne’.
Perché ha deciso di cambiare?
Molti amici e medici me ne avevano
parlato bene. Io però resistevo. Pensavo
che sarebbe stato scomodo, invasivo.
Mia moglie mi ha convinto con il più
saggio degli argomenti: “Provalo, che ti
costa?” mi ha detto. L’ho sperimentato
in ‘pianura’, poi negli allenamenti
e infine ho deciso di tenerlo per la
spedizione. Il Pamir è stata la mia
‘prima’ con il microinfusore.
E come è andata?
Bene e non solo per me. I microinfusori
sono risultati, dall’esperienza che
abbiamo intrapreso in Pamir, che aveva
anche una serie di scopi medicoscientifici, come una modalità più
duttile di assumere insulina. Chi ha
usato la terapia per microinfusione
ha mantenuto un controllo glicemico
molto soddisfacente, riducendo le
oscillazioni rispetto alla terapia multiiniezione tradizionale usata nelle
precedenti spedizioni. Nel mio caso
ricordo di aver misurato la ‘glicata’
prima della partenza e dopo l’arrivo.
È rimasta praticamente identica. Al
ritorno dalle precedenti esperienze
d’alta quota l’emoglobina glicata invece
risultava di molto superiore.
A modo mio
Come mai? L’esercizio fisico non
manca certo...
È vero, ma il problema di mantenere
l’equilibrio glicemico resta. L’altitudine
scatena la produzione di ormoni
iperglicemizzanti: è un
‘fenomeno Alba’
continuo insomma.
A questo bisogna
aggiungere che in
una spedizione di
alta montagna non
ti puoi portare i
panini col pollo; devi
per forza assumere
cibi che diano il massimo
nutrimento occupando il
minimo spazio con il minor peso.
Questo significa alimenti ad alto tenore
di zuccheri e grassi che sballano la
glicemia. Per esempio in questi casi
impostando un bolo a onda doppia
ho potuto evitare picchi iperglicemici
a distanza dal pasto che altrimenti
avrei dovuto inevitabilmente subire.
Infine va considerato che lo sport,
qualunque esso sia, praticato a livello
agonistico comporta, per l’intensità e la
quantità, un’ulteriore variabile rispetto
all’equilibrio glicemico.
Tutto questo si aggiunge
ai problemi che conoscono
bene anche gli ‘alpinisti della
domenica’...
Certo, in alcuni frangenti dell’attività
alpinistica non puoi certo permetterti
un’ipoglicemia, e anche una
iperglicemia può ridurre la tua
efficienza psicofisica.
Il freddo non era un problema?
No, proprio perché il
microinfusore sta vicino
all’unica cosa calda
di cui si dispone a
quelle altezze: il
proprio corpo. Esiste
invece un problema
potenziale che è la
formazione di bolle
all’interno del reservoir
di insulina, provocate
dalla differenza di pressione.
La cosa migliore è quindi riempire
i reservoir uno o due giorni prima di
usarli, in modo che le bolle abbiano
il tempo di formarsi e quindi di
essere fatte uscire prima di inserire la
cartuccia nello strumento. Inutile dire
che, quando la temperatura dentro la
tenda scende a dieci, venti o anche
trenta gradi sotto zero, il microinfusore
è più facile da usare: meno pelle
scopri, meglio è.
In alta montagna devi assumere
alimenti ad alto tenore di zuccheri e
grassi che sballano la glicemia.
Impostando un bolo a onda doppia ho
potuto evitare picchi iperglicemici a
distanza dal pasto.
Adulti
69
Lo stesso vale per i reflettometri,
immagino?
Quando si è impegnati in uno sforzo
importante è necessario misurare
spesso la glicemia. Soprattutto quando
stai facendo una spedizione e il luogo
di cura più vicino è a sei giorni di
marcia. Occorre quindi un sistema
estremamente pratico, leggero e
affidabile. Il che a 6-7 mila metri di
altezza non è banale.
70
I componenti di Islet 2005 hanno avuto
la possibilità di provare Aviva che ha
mostrato grande accuratezza.
Con la tecnologia disponibile anche solo
quindici anni fa sarebbe stato impossibile
portare a termine in sicurezza imprese
come questa.
Mi pare che uno dei problemi sia
l’ematocrito: il sangue quando sei
in alta quota è particolarmente
denso di globuli rossi.
Esatto. E non sono molti i reflettometri
che rimangono affidabili in quelle
condizioni. I componenti di Islet
2005 hanno avuto la possibilità di
provare Aviva che ha mostrato grande
accuratezza. Ma quello che mi preme
dire è che in generale il progresso
tecnologico è il protagonista nascosto
di queste imprese. Con la tecnologia
disponibile anche solo quindici anni
fa sarebbe stato impossibile portare
a termine in sicurezza imprese come
questa.
A modo mio
La storia
siamo noi
Per chi ha il diabete
a Forlì, Marisa è un punto
di riferimento: fondatrice e attuale
presidente dell’Associazione Diabetici
Forlivesi, questa donna, con due figli
e una nipotina, ha combattuto tante
battaglie grandi e piccole, da quelle
per l’applicazione della legge 115 in
poi. «Aiutando gli altri ci si aiuta, anzi
si riceve molto più di quello che si dà»
commenta.
Le Associazioni sono importanti per
garantire la migliore assistenza alla
persona con il diabete?
Certo, Associazione e Centro
di diabetologia svolgono ruoli
complementari a vari livelli. Se ci sono
certe decisioni da prendere a livello di
ASL per esempio, un’Associazione può
far valere la voce dei pazienti, che non
sono pochi: solo come Associazione
abbiamo oltre 1200 soci. Quello delle
cifre e dei voti è un linguaggio che
a livello di direttori di ASL, e fino in
Regione, serve per essere più ascoltati,
e per avere più peso anche con i
medici.
Lo stesso vale per le iniziative di
dialogo e sensibilizzazione dell’opinione
pubblica e soprattutto dei singoli.
Noi abbiamo sempre avuto, come
Associazione, la nostra sede proprio
nel Centro di diabetologia, siamo
decisamente, a tutti gli effetti, parte
della ‘squadra’, con un ruolo preciso
di appoggio e magari di istruzione al
paziente.
Adulti
71
Questo vale anche per i
microinfusori?
Direi di sì. Io ho portato il
microinfusore per dieci anni e, dopo
un periodo senza, l’ho rimesso
recentemente; sono sempre stata
disponibile a dare informazioni
e a raccontare ‘com’è vivere
con il microinfusore’. È un ruolo
complementare ma serve: magari, al
medico, un paziente non va a chiedere
tante cose che per lui sono importanti,
vuoi perché si vergogna, vuoi perché
teme siano piccolezze. A me le
chiedono. L’esperienza certo non mi
manca e posso trasferirla assieme a
tanti consigli utili.
72
Come sono cambiati i microinfusori
in questi decenni?
Sono cambiati radicalmente, sia sotto
il profilo diciamo così ‘clinico’ (per
esempio una volta non era possibile
modificare il profilo basale) sia in
termini di comodità del paziente.
Del resto lo vediamo un po’ su tutto,
pensiamo ai sistemi di iniezione,
ai lettori della glicemia... le Case
produttrici hanno messo a disposizione
strumenti sempre più piccoli, leggeri,
comodi, veloci e anche più sicuri. I
microinfusori non fanno eccezione.
Oggi hanno più allarmi, possono essere
staccati facilmente. E lo stesso vale per
gli aghi, più corti e più facili da inserire,
o per i cerotti, che si attaccano molto
bene alla pelle. Sono anche sempre
Io non sono un diabetologo ma posso
dire una cosa: se dopo quarant’anni di
diabete non ho serie complicanze, il
merito va sicuramente ai tanti anni che
ho passato con il microinfusore.
più semplici da usare e questo inoltre
è importante soprattutto per i non
giovanissimi.
Lei consiglia a tutti
il microinfusore?
Il microinfusore permette di ottenere
risultati in termini glicemici quando
la terapia tradizionale non ci riesce.
Questi risultati nel corso del tempo
sono più marcati, si raggiungono
più spesso e con minor fastidio.
Certamente è indispensabile valutare
attentamente il soggetto da trattare in
quanto spesso c’è un rifiuto a portare
un ago impiantato o a condividere con
una ‘macchina’ la vita di tutti i giorni;
spesso questi problemi si superano con
un’adeguata informazione e una buona
assistenza in fase iniziale.
Sono aumentate l’efficacia clinica e
allo stesso tempo la comodità per il
paziente.
Esatto, io non sono un diabetologo
ma posso dire una cosa: se dopo
quarant’anni di diabete non ho serie
complicanze, il merito va sicuramente
ai tanti anni che ho passato con il
microinfusore.
A modo mio
al nostro corpo l’assoluta perfezione. La
pubblicità ci martella in continuazione
con immagini di sessantenni super
giovanili. Vogliamo la gioventù eterna. È
molto difficoltoso, forse oggi più di ieri,
accettare il fatto che si ha una malattia
cronica, e che può essere gestita in
maniera semplice ed efficace.
Cosa invece non è cambiato in
questi decenni?
Non è cambiata la mentalità delle
persone e nemmeno l’informazione.
Oggi come ieri nessuno sa cosa sia il
diabete di tipo 1, e anche sul diabete di
tipo 2 c’è poca informazione corretta.
La reazione all’esordio del diabete di
tipo 1, e anche quando si rileva un
diabete di tipo 2, non è cambiata. In
questi decenni, insomma, il diabete
viene curato molto meglio e con molti
minori fastidi. Ma la gente non lo sa e
continua a essere spaventata oppure a
banalizzare.
È un problema solo di
informazione?
No, anche di mentalità. Penso ai
quarantenni o cinquantenni che
scoprono di avere il diabete di tipo
2 e si trovano a dover controllare
la glicemia o a prendere qualche
farmaco: per loro la diagnosi è un
macigno. Il fatto è che oggi chiediamo
Adulti
73
‘Indossare’
il microinfusore
74
«Io il diabete me lo
vivo benissimo, nessun
problema a parlarne ma... quando e
con chi voglio io». Sabina, 33 anni,
impiegata in una grande azienda della
sua zona, fa una vita normalissima,
anzi un po’ più che normale: riceve
fornitori (si occupa di macchine per la
produzione di mobili) e molti weekend
sale sulla moto e, insieme a un gruppo
di amici, gira l’Italia o partecipa a
motoraduni dormendo, se capita, in
tenda. Molte sere esce a ballare o va
al mare, che è a mezz’ora di macchina.
Al microinfusore è arrivata per ragioni
cliniche, un diabete un po’ difficile da
trattare con la terapia iniettiva classica.
«Mi sono fatta le domande che si fanno
tutti: “Si vedrà?” “Non si vedrà?”, “Al
Secondo me, quando per i fidanzati il
diabete è un problema i casi sono due.
O sono fidanzati che non valgono nulla
o sei tu che in realtà vivi male il diabete
e il fidanzato ti ributta il tuo disagio.
Lo stesso vale per gli amici.
mio fidanzato farà o non farà un brutto
effetto?”..., poi mi sono resa conto
che stavo sbagliando l’approccio: non
sono io che devo adattare la mia vita al
microinfusore ma lui che deve adattarsi
a me».
Cosa intende dire? Facciamo un
esempio concreto...
Una delle prime cose che ho pensato
è stato: “Oddio, adesso devo cambiare
A modo mio
tutto il mio guardaroba, perché con
gli abiti che mi piacciono si vede”.
Ma questo è sbagliato, e
ho fatto mille prove
per capire come
metterlo anche
con i vestiti che
ho e che voglio
tenere.
E adesso...
Ora mi trovo
benissimo
ricorrendo a
un trucco che mi
ha consigliato l’esperto
della Roche Diagnostics: metto il
microinfusore alla caviglia, il catetere
sale su e arriva alla parte alta del
gluteo o della pancia dove c’è il set di
infusione. È fantastico perché non si
vede assolutamente e posso controllare
il display semplicemente incrociando le
gambe e sollevando un poco l’orlo dei
pantaloni. Posso usare i miei jeans con
tranquillità e con il sito di infusione nel
gluteo posso anche tenere l’ombelico
fuori.
Geniale!
Ho provato di tutto, sono piccolina e
magra per cui altre soluzioni classiche,
come appenderlo al reggiseno o sui
fianchi, non funzionavano. Questa è
una delle migliori. Ma sono anche
andata al mare sa? È stata una
bellissima prova!
E come ha fatto?
Sono andata da sola perché... era
la prima volta. Mi sono
sdraiata sul bagnasciuga
e un’altra volta sul
lettino, ho messo il
microinfusore sotto
un asciugamano,
più che altro perché
non prendesse
caldo, e stando a
pancia in su non si
vedeva nulla. Per fare
il bagno ho controllato
la glicemia, ho fatto un
bolo piccolissimo, ho staccato il
catetere e via in acqua.
Insomma è una questione di abilità
e di ingegno...
È anche una questione di testa. Io ho
girato tanti ospedali, ho visto tanta
gente che stava male per davvero.
Per questo non sopporto che semplici
conoscenti mi guardino con l’aria di
dire ‘poverina’. E neppure mi va che
tutti vedano il microinfusore. Ma con i
miei amici non c’è problema. Anche il
mio fidanzato è tranquillissimo.
Io sono alta 155 centimetri e peso 40
chili. Se sono riuscita a nasconderlo io
e a non avere problemi, vuol dire che lo
possono fare tutti.
Adulti
75
Bravo!
Bravo lui e brava io!. Secondo me,
quando per i fidanzati il diabete è
un problema i casi sono due. O sono
fidanzati che non valgono nulla o sei
tu che in realtà vivi male il diabete e
il fidanzato ti ributta il tuo disagio. Lo
stesso vale per gli amici.
76
È un consiglio che darebbe a tutti?
Certo. Per prima cosa devi chiarirti le
cose in testa. Poi devi capire che il
microinfusore è fatto per seguire quello
che vuoi fare, e non viceversa.
Quanto a nasconderlo: io
sono alta 155 centimetri
e peso 40 chili, ho un
lavoro impegnativo
e faccio la vita di
una ragazza... Se
sono riuscita a
nasconderlo io e a
non avere problemi,
vuol dire che lo
possono fare tutti.
A modo mio
Gravidanza da manuale
Serena è
proprio...
serena con il
suo pancione al quarto
mese. Ha fatto le cose come si
dovevano. Sapeva che per azzerare i
rischi, non solo la gravidanza ma anche
il concepimento devono avvenire in
una situazione di perfetto controllo
glicemico. «Il mio controllo era buono,
ma non perfetto», ricorda Serena.
L’emoglobina glicata era intorno a
8, soprattutto a causa di un marcato
‘fenomeno Alba’. «Le iperglicemie
mattutine spesso ti rovinano la
giornata; parti con il piede sbagliato
e non riesci più a imbroccare una
glicemia normale fino a sera», ricorda
Serena.
Quando ha
deciso di volere un
bambino è andata dalla
diabetologa che la segue
da anni e insieme hanno deciso
di provare a utilizzare il microinfusore
per raggiungere un obiettivo ambizioso:
portare l’emoglobina glicata sotto il
6,5%. Il successo è stato completo. Ci è
voluto un po’ di tempo ma ora Serena
e il Team che la segue ‘vantano’ un
equilibrio glicemico perfetto: 6,1%.
L’arma segreta che ha consentito
di raggiungere questi livelli è stato
il microinfusore, che viene ormai
consigliato di routine alle donne con
diabete che desiderano avere un figlio
per prepararsi al concepimento e per
gestire le varie fasi della gravidanza.
Adulti
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78
È stato facile?
Ovviamente raggiungere ‘quota 6’
richiede tempo, io ho sempre seguito
un’alimentazione corretta e su quel
punto non ho dovuto lavorare molto.
La terapia con microinfusore comporta
diversi elementi di novità, ma io
già seguivo una terapia insulinica
caratterizzata da una ‘basale’ garantita
dall’analogo lento e da ‘boli’ di insulina
ultrarapida per i pasti. Sapevo quindi
come adeguare le dosi preprandiali
ai pasti. Le basi quindi erano buone,
ma raggiungere la perfezione significa
misurare e ogni volta ragionare: capire
perché la glicemia non va bene e
ricordarsi, se invece va bene, cosa ha
permesso di ottenere questo risultato.
La cosa difficile è stata trovare uno
schema insulinico basale capace di far
sparire il ‘fenomeno Alba’.
Ho dovuto intensificare i controlli
arrivando anche a 10 glicemie al
giorno. ‘Al giorno’ è un modo di dire
perché misuravo la glicemia anche di
notte. Non ero abituata a svegliarmi di
notte.
Ora succede?
Sì, ora succede; al quarto mese la
pancia inizia a farsi sentire, e trovare
la posizione giusta per dormire non
è facile. Mi capita quindi di essere
sveglia alle 3 o alle 5. In compenso,
però, sono a casa dal lavoro e quindi
perdere qualche decina di minuti di
sonno non è un gran problema.
Oltre al pieno successo, diciamo
così, glicemico, nota anche dei
miglioramenti nella qualità della
vita?
Sicuramente sì; li ho notati soprattutto
quando non aspettavo e quindi facevo
una vita più normale: puoi gestire i
tuoi orari con maggiore flessibilità, per
esempio. Ora, però, sono concentrata
sull’‘operazione gravidanza’.
Il microinfusore permette di far
fronte a una tipica difficoltà che
si presenta nel primo trimestre di
gravidanza, suddividendo i boli o
affiancando a un bolo una basale
temporanea più alta...
Intende dire le nausee? Io le ho
avute. Devo dire che la mia è una
gravidanza da manuale. Tutto quello
che può accadere è accaduto. Nausee
terribili: non sopportavo l’aroma del
caffè, per esempio, o certi odori tipici
della cucina. Facevo da mangiare con
bocca e naso coperti da un fazzoletto
ripiegato tipo ‘rapina nel Far West’!
Non mi è successo però di dover
interrompere un pasto o di rimettere.
Ho scoperto il ‘trucco’ di prepararmi
pasti brevi, magari con un piatto unico,
in modo da avere la sicurezza di finirli.
Lo schema insulinico immagino
debba essere corretto
periodicamente per adeguarsi alle
variazioni nel fabbisogno di insulina
tipiche della gravidanza...
A modo mio
Certamente. Io vado al Servizio di
diabetologia una volta ogni due o
tre settimane. I libri dicono che nel I
trimestre, l’organismo della donna in
attesa diventa più sensibile all’insulina?
È esattamente quello che mi è
successo. Abbiamo dovuto ridurre di
diverse unità sia la basale sia i boli. Ora
sono all’inizio del II trimestre e – come
da manuale – sto sperimentando, al
contrario, una certa insulinoresistenza.
Quindi abbiamo dovuto alzare la basale
e soprattutto aumentare i boli prandiali.
In compenso la pancia mi permette
di nascondere un po’ meglio il
microinfusore. Io sono piuttosto magra
e, soprattutto nella bella stagione, non
sapevo bene come indossarlo.
Fra qualche mese forse, avrà anche
qualche difficoltà di digestione.
L’aumento di dimensioni della
placenta potrebbe alzare il
diaframma riducendo lo spazio per
lo stomaco...
Mi succede già adesso. Ma, almeno
per ora, più che una difficoltà di
digestione, sperimento una sensazione
di sazietà anticipata. È come se lo
stomaco fosse diventato più piccolo.
Mangio il giusto e mi sento piena come
dopo un banchetto.
Terminata la gravidanza pensa di
continuare a usare il microinfusore?
Non so, tutto sommato io andavo
piuttosto bene anche con la terapia
tradizionale. Certo che se i primi mesi
e anni di vita con il neonato sono
davvero come dicono... una certa
flessibilità nella terapia potrebbe far
comodo.
Perché lo voleva nascondere?
Non per nascondere il diabete ma... per
velocità. Tante persone lo notano e ti
chiedono. Una cosa è essere disponibili
a parlarne, un’altra è avere il tempo di
spiegare a tutti cos’è il microinfusore,
cos’è il diabete...
Al quarto mese già si nota una
certa pancia. Dove applica il
microinfusore?
Sempre nello stesso punto,
sull’addome. So che a qualche donna
fa impressione ‘bucare’, anche se solo
sottocute, la pancia. Forse capiterà
anche a me quando sarà davvero
pronunciata e tesa, ma per ora no.
Adulti
79
TÀ
A modo mio
Giovani e adulti raccontano com’è
vivere con il microinfusore.
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www.microinfusori.it
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A modo mio Giovani e adulti raccontano com’è vivere con il microinfusore
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Q U I S TA D
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