TÀ A modo mio Giovani e adulti raccontano com’è vivere con il microinfusore. LI BER www.accu-chek.it www.microinfusori.it 00042000935 0406 A modo mio Giovani e adulti raccontano com’è vivere con il microinfusore C ON I Q U I S TA D A modo mio Giovani e adulti raccontano com’è vivere con il microinfusore. Prefazione Cambiare abitudini è sempre difficile e la scelta di passare dalla classica terapia insulinica multi iniettiva a quella con microinfusore è impegnativa. Il consiglio del Team diabetologico, la disponibilità a discutere preventivamente ogni aspetto della terapia e gli studi che confermano i vantaggi offerti da questo strumento non sempre sono sufficienti a prendere questa importante decisione. Come Roche Diagnostics siamo in dialogo continuo con i Team diabetologici e partecipiamo, attraverso il lavoro dei nostri esperti collaboratori, a questo processo decisionale; conosciamo i dubbi iniziali, le domande che sorgono ad adulti, ragazzi, bambini e genitori che stanno valutando se utilizzare il microinfusore. Per la maggioranza delle persone che oggi portano un microinfusore, l’elemento determinante nella loro scelta di provare questo tipo di terapia è stato l’incontro con qualcuno che già lo usava. Del resto se riflettiamo sulla nostra esperienza scopriamo tutti come la testimonianza di una persona sia spesso la molla che ha fatto scattare decisioni importanti della nostra vita. Per questo www.microinfusori.it, il nuovo sito realizzato da Roche Diagnostics, ha deciso di intervistare molte persone, dai 12 anni in su, invitandole a parlare della loro esperienza. Ne sono emerse testimonianze che, senza nulla togliere all’impegno e alla difficoltà psicologica di gestire il diabete insulinodipendente, chiariscono i vantaggi che il microinfusore può offrire e rispondono alle prime domande che vengono in mente a chi deve scegliere se passare a questa modalità di somministrazione. All’entusiasmo con il quale le persone hanno accettato di farsi intervistare e fotografare, coscienti di dare così un supporto ad altre persone, ha fatto seguito la freschezza, la sincerità e la maturità delle loro riflessioni, ben rese nelle interviste. Visto il gran numero di pagine scaricate da questa sezione del sito, abbiamo pensato che queste interviste potevano rappresentare la prosecuzione ideale dei libri che abbiamo edito nella collana ‘Conquista di libertà’: ‘Il mio microinfusore’, ‘Vivere con il microinfusore’ e ‘Amici per davvero’. Trovando l’accordo pieno degli intervistati, abbiamo deciso di riportarle in un volume. Essendo il paziente al centro del Team e protagonista di ogni aspetto del percorso terapeutico, abbiamo voluto continuare la nostra attività di informazione e divulgazione facendo sentire la loro voce, il loro modo di vedere le sfide e le opportunità aperte dalla terapia con microinfusore. Buona lettura, Massimo Balestri Roche Diagnostics Indice 1 Ragazzi pag. 7 2 Giovani pag. 17 3 Adulti pag. 39 5 Giovani 1 Alfredo 2 Marco 3 Martina Ragazzi Più in forma con il microinfusore Anche i ragazzi ormai badano alla forma fisica e ad Alfredo, un ragazzo di 14 anni, proprio non piacevano quei chili ‘messi su’ per colpa del diabete. Al resto era abbastanza abituato, dopo oltre dieci anni. «Ma l’insulina – e ne dovevo assumere tanta – mi portava a ingrassare. E non era solo quello, mi sentivo spesso ‘gonfio’, affaticato, insomma proprio fuori forma», racconta Alfredo, un ragazzo tranquillo abbastanza abitudinario ma simpatico e allegro. Una delle conseguenze, una vera e propria sopresa, del passaggio al microinfusore è stata la rapida riduzione della quantità di insulina assunta ogni giorno. I libri dicono che – per effetto dell’assunzione ‘più fisiologica’ – il fabbisogno di insulina può scendere anche del 20% rispetto alla terapia tradizionale. Nel caso di Alfredo è sceso alla metà. Diventato più snello il corpo di Alfredo è divenuto ancora più sensibile all’insulina e questo ha permesso di ridurre ancora il fabbisogno. Risultato: «Ho perso qualche chilo e mi sento più snello, più scattante, più in forma insomma». Ragazzi 9 Chi ha suggerito per primo l’idea di passare al microinfusore? Il mio diabetologo. Le glicemie non andavano bene, capitava spesso di trovare 300 o 400 sul reflettometro. Ho avuto anche una chetoacidosi. Al Servizio di diabetologia hanno iniziato a parlare di questo nuovo modo di fare l’insulina, che forse era più adatto a me, che era più comodo, che mi avrebbe reso più libero. Io non ero convintissimo a dire il vero. 10 Cosa ti ha convinto? Devo dire che non sapevo molto sull’argomento, per cui sono state importantissime le conversazioni con il mio diabetologo e con Roberto, l’esperto di microinfusori di Roche Diagnostics. Hanno parlato con me e con i miei genitori dandoci tutte le informazioni che volevamo, rispondendo a tutte le domande che ci venivano in mente e ci siamo convinti. Mi ha aiutato molto anche parlarne con un ragazzo più o meno della mia età che utilizzava già il microinfusore. In famiglia cosa pensavano? Dopo tanti anni ti abitui alle penne e fai fatica a pensare a qualcosa di diverso. Ma anche per loro è stato importante saperne di più. Mia sorella grande in particolare è stata incoraggiante. Quando hai iniziato, gli amici, i professori a scuola cosa ti hanno detto? Molte domande, curiosità: come funziona, fammi vedere, ma come fai a fare questo o quello. Dopodiché basta. Ovviamente tutti sanno che ho il diabete. Ci mancherebbe altro. Qualcuno aveva paura che si rompesse, che tu fossi divenuto più ‘fragile’? No. Un po’ io. Ricordo una volta che sono caduto per uno spintone proprio sopra il microinfusore. Ero molto preoccupato ma non è successo niente, solo un graffio sulla superfice. Nello sport? Da qualche tempo faccio nuoto. In piscina d’inverno, al mare d’estate. Generalmente tengo la cannula inserita e il microinfusore lo lascio a casa. Devo solo stare attento con i tuffi perché altrimenti si stacca. Per il resto nessun problema. Ho iniziato a 13 anni e in un certo senso il microinfusore ha coinciso con una fase nuova. Facevo già da solo iniezioni e controlli ma è chiaro che a un certo punto diventi autonomo anche nelle decisioni. E il microinfusore è arrivato proprio in quel momento. A modo mio E le glicemie? Vanno molto meglio, i 300 e i 400 sono un ricordo. Piuttosto devo stare attento alle ipoglicemie, nonostante continui a ridurre il dosaggio delle insuline. Anche lì è una questione di pratica. Si aggiusta la basale magari anche solo di un decimo di punto... arrivato proprio in quel momento. Perciò non mi è mai capitato di pensare: “Ah, se avessi iniziato prima”. Questo era proprio il momento giusto. Sei capace di farlo da solo? Certo: non è poi complicatissimo, impostarli sulla macchina è un attimo e in fondo anche valutare le variazioni da fare non è un problema. E lo stesso vale per i pasti o per l’esercizio fisico non previsto: a me piace correre per esempio. Devo dire che, più o meno, mangio sempre le stesse cose; diventa facile quindi calcolare i boli necessari. L’anno prossimo andrai alle superiori. Hai iniziato a usare il microinfusore l’anno scorso a 13 anni, è l’età in cui generalmente si inizia a gestire davvero da soli la terapia... Sì, in un certo senso il microinfusore ha coinciso con una fase nuova. Ovviamente già facevo iniezioni e controlli da solo, ma è chiaro che a un certo punto diventi autonomo anche nelle decisioni. E il microinfusore è Ragazzi 11 Il diabete? Non mi tange 12 ‘Non mi tange’, dicono i ragazzi oggi, per dire, ‘non mi interessa’, ‘non mi colpisce’. E avere il diabete a 16 anni «tange tutto e non tange nulla», sintetizza in maniera felice Marco, studente al liceo scientifico. Il microinfusore però ‘tange’, cambia qualcosa, anzi molto: «Il microinfusore non fa passare il diabete ma migliora quasi tutto. Con lui è una cosa diversa», afferma Marco; «riprendi il controllo; puoi fare cose che prima non facevi». Per esempio? Mah, la prima cosa che mi viene in mente è il gelato la sera. D’estate si esce e, a una certa ora, è il momento del gelato. Se hai il diabete e non hai un microinfusore il gelato non lo pigli. Se hai il microinfusore, invece, sì. Più o meno i gelati sono tutti uguali e impari presto quante unità devi fare per ‘coprirlo’. Ti godi il gelato, la serata e la compagnia e vai a letto sereno con delle glicemie decenti. Gli amici? Ovviamente sanno tutto del diabete, se no che amici sarebbero? Ma col microinfusore è un successone, “fammelo vedere”, dicono, “ma come funziona?”... Neanche fosse l’ultimo modello di cellulare. A scuola? A scuola non cambia molto, si sta seduti sui banchi come prima. Il microinfusore non ti fa capire meglio il latino. A modo mio Abbassa le medie glicemiche ma non alza quelle scolastiche. E infatti così è successo: la glicata è migliorata, la scuola è rimasta uguale. Eppure ci potrebbe essere un modo di mettere nella memoria del microinfusore che ne so: versioni di latino tradotte, formule matematiche... Scherzi a parte, lo sport? Il mio sport principale è il calcio. Durante le partite tolgo il microinfusore perché faccio il portiere e rischio di prendere una pallonata. Ruolo di tutto riposo quello del portiere... Se la squadra funziona. Se tutti sono nell’altra metà del campo, devi correre verso la palla, saltare di qua e di là. E poi prenderti la colpa di ogni tiro che entra in porta. Nessuno che mai si domandi come mai la palla era nell’area sbagliata. Comunque, al di là delle partite ‘formali’, il ‘micro’ ti aiuta in quelle partitine improvvisate che si decidono all’ultimo momento. Basta ridurre la basale e tutto va a posto. È proprio tutta un’altra vita. Che rapporto hai con il microinfusore? Ottimo, è davvero un amico. Più di un amico, perché qualsiasi cosa io faccia, la fa con me, e dopo ne discutiamo... Come, ‘ne discutiamo’? Sì, lui sa tutto ormai di me: vita, morte e miracoli. Magari mi chiedo: vediamo un po’ che bolo avevo fatto ieri sera o quante unità nel corso della giornata.. e lui si ricorda tutto. Da un anno e tre mesi ho ‘qualcuno’ che mi aiuta e mi è vicino in quella gestione quotidiana del diabete che di fatto non puoi condividere con altri. A proposito di condividere con altri... i genitori cosa ne pensano? Sono contenti. Devo dire che all’inizio io non ero molto convinto di questo passo. Loro sono stati di supporto, senza tuttavia spingermi troppo. Mio padre è così, mi ha sempre detto: “Certe scelte le devi fare tu”. “Se vuoi il mio parere”, ha aggiunto, “mi sembra una cosa buona”. Allora ho pensato ‘tentar non nuoce’, e dopo quattrocinque giorni mi sono abituato, anzi più che abituato al microinfusore. E l’idea di essere attaccati a una macchina, le paure... Sparite. Tutto ciò ‘non mi tange’. D’estate si esce e, a una certa ora, è il momento del gelato. Se hai il diabete e non hai un microinfusore il gelato non lo pigli. Se hai il microinfusore, invece, sì. Ragazzi 13 Se va bene a lei... 14 «Avevamo letto molto sui microinfusori e ci eravamo convinti che si potesse trattare di una soluzione interessante per nostra figlia» racconta Roberta, mamma di Martina oggi dodicenne. Martina è una ragazzina precisa, perfino pignola; come capita alla sua età ha abitudini regolari, fa tanto sport. Il suo equilibrio glicemico è molto vicino alla perfezione. Ma la mamma e il papà di Martina hanno chiesto di provare con il microinfusore. La pediatra diabetologa che segue Martina dall’esordio si è detta d’accordo. «Martina può mettere il microinfusore, ha infatti la maturità necessaria, conosce il calcolo dei carboidrati e usa l’analogo rapido per coprire i pasti. Tutto OK quindi». Il ‘passaggio’ quindi è avvenuto senza drammi... Non abbiamo avuto grandi problemi, sia il Team diabetologico sia l’‘esperta’ di Roche Diagnostics ci hanno dato tutte le informazioni necessarie. La definizione dello schema basale non è stato un problema. Con l’aiuto di un sensore continuo della glicemia è stato rivisto e perfezionato il primo schema. Martina ha un diabete ben controllato, senza troppi sbalzi... Merito anche suo, e forse nostro. Sappiamo che la pubertà comporterà qualche modifica nel fabbisogno di insulina e forse qualche ritocco degli schemi, ma pensiamo di aver dato il meglio a nostra figlia. A modo mio Al momento di iniziare la terapia con il microinfusore c’è stato qualche patema? No, però forse – per quanto piccoli – questi microinfusori risultano ancora un po’ troppo grandi sul corpo di una ragazzina. Martina è entrata nell’età in cui si tiene molto all’aspetto esteriore: il microinfusore è stato un problema? Tutt’altro, Martina lo esibiva con orgoglio portandolo legato alla cintura. Gli amici erano incuriositi e la circondavano di attenzioni e di interesse, che è poi quello che una ragazza cerca a quell’età. In estate? In estate adottiamo uno schema ‘misto’: Martina tiene il microinfusore di notte mentre di giorno pratichiamo delle iniezioni attraverso il set di intermedia e rapida. Se il microinfusore ha fascino, lo stesso non si può dire del cerotto che copre l’agocannula. Martina non può nasconderlo sotto il costume? Ma lei non ha idea di come sono succinti i costumi di questi tempi. Speriamo che cambi la moda. Costumi a parte siete tutti a vostro agio con il microinfusore mi pare... In effetti ce la caviamo abbastanza bene. Martina sa cosa vuole e noi... abbiamo imparato tante cose sul diabete e sul microinfusore e siamo quindi in grado di sfruttare tutta la flessibilità che questo tipo di terapia offre. Ciò è importante ora e lo sarà soprattutto in futuro, quando nostra figlia diventerà più grandicella, sarà più autonoma e farà una vita magari meno regolare. Ormai è un anno che Martina porta il microinfusore: quali cambiamenti sono avvenuti? Sicuramente la possibilità di affrontare con molta tranquillità quello che avviene nella giornata. I fuori pasto per esempio: esce con le amiche e queste decidono di prendere un gelato. Prima lei doveva dire di no o tornare a casa e fare una iniezione di ultrarapida. Oggi non è più un problema. Oppure lo sci. Farsi le punture nei bagni delle stazioni di arrivo delle funivie o dei rifugi non è una cosa semplice mi creda, con il microinfusore è un attimo. E poi guardi, se una ragazza puntigliosa e polemica come Martina non trova nulla da dire, vuol dire proprio che è una soluzione perfetta! Ragazzi 15 1 Cristina 2 Emanuel 3 Giuseppe 4 Pietro 5 Sebastiano 6 Valentina 7 Virna 3 Giovani Studiare, che stress! Cristina si è laureata da poco in Biologia, con un lavoro di ricerca che intende continuare nella sua università o all’estero, pubblicandolo e puntando a un dottorato di ricerca. È una ragazza ‘tosta’ Cristina, che ha preso lo studio molto seriamente. Se si studia tanto per fare, al liceo o all’università, il diabete non è un gran problema. Ma quando vuoi veramente dare il meglio di te e apprendere davvero quello che stai leggendo, macinando un esame dopo l’altro, puntando se possibile al massimo dei voti, le cose sono diverse. «Una perfetta concentrazione richiede una perfetta glicemia», afferma Cristina, che da brava biologa ha seguito con molta attenzione la questione; «nel mio caso il livello ideale è 100-110: sotto si può avere una iniziale sensazione di lucidità ma non si riesce a tenere la concentrazione, sopra si riduce la capacità di apprendere», afferma. Provare per credere. Il diabete di tipo 1 insegna a riflettere su quello che si fa, a tenere conto delle esigenze dell’organismo. Il bello del microinfusore è che tutto questo cessa di essere un obbligo e diviene una scelta consapevole. Giovani 19 20 Il microinfusore aiuta a studiare? Sicuramente sì. Prima di tutto – come avviene un po’ per tutti quelli che mangiano fuori casa – il microinfusore ti permette di non mangiare, cosa che capita all’università, vuoi perché preferisci continuare a studiare, vuoi perché quello che ti propone la mensa universitaria non è... come dire, di tuo completo gradimento e così il digiuno diviene un’opzione. Se hai fatto l’iniezione prima, devi mangiare comunque. In secondo luogo, e questo vale per tutti i giovani, ti permette di gestire le serate. Quando usavo la penna, se gli amici mi chiamavano la sera invitandomi fuori, spesso dovevo dire di no. Ma nello specifico dello studio il microinfusore che aiuto dà? Sembrerebbe un’attività sedentaria e regolare. Sedentaria lo è anche troppo, ma regolare no. Pensiamo allo stress pre-esame. A me è capitato di dover aumentare del 20-30% le dosi di insulina proprio per far fronte al semplice ‘stress della vigilia’. Studiare in vista di un esame lontano non è la stessa cosa che ripassare per un esame che si terrà domani, per non parlare delle variazioni drastiche che avvengono nei giorni dopo un esame, quando la tensione crolla, e magari riprendi a fare movimento fisico e l’insulinoresistenza sparisce. Anche in una persona piuttosto metodica come me sono vere e proprie montagne russe. Per fortuna le situazioni sono abbastanza prevedibili, una volta che hai imparato a gestire lo stress e le ‘vacanze dopo esame’, non sbagli più. Qual è la situazione glicemica ideale per affrontare un esame universitario o un’interrogazione liceale ‘difficile’? In questo caso bisogna non solo avere una glicemia perfetta nelle ore dell’esame ma anche averla avuta nella notte precedente. Io soffrivo di ipoglicemie notturne non solo frequenti ma anche piuttosto serie. È per questo che hanno deciso di mettermi il microinfusore. Una notte in ipo ti sballa tutta la mattinata e la giornata non solo sotto il profilo glicemico ma anche dal punto di vista della concentrazione. Sei ‘stordito’ fino a sera. A modo mio E per quanto riguarda il ‘fenomeno Alba’? In quel caso lo gestisco io... Svegliandomi all’alba, ho visto che le ore del primo mattino sono ideali per la concentrazione. Studiando dalle 5 alle 10 si apprende più che in una giornata ‘normale’ di studio. Certo questo avviene se hai passato una notte glicemicamente tranquilla. Gli insegnanti? Gli amici? Il diabete è arrivato d’improvviso quando ero in terza liceo. Per il primo mese gli insegnanti mi ‘coccolavano’ un po’, non solo consentendomi di assentarmi per controllare la glicemia o per mangiare, ma forse anche tenendomi un po’ fuori dalle interrogazioni. Passato il primo mese, poi, le cose sono tornate come prima... giustamente. Lo stesso ovviamente vale all’università. Non ti fanno sconti, né devono farli. Quanto agli amici è chiaro che quelli più vicini non solo sanno che ho il diabete e che porto il microinfusore ma sono anche in grado di aiutarmi se qualcosa va storto. Specialmente prima del microinfusore quando – avendo perso la sensibilità ai segni premonitori dell’ipoglicemia – mi capitava di accorgermi dell’ipo quando non ero quasi più in grado di intervenire da sola. scientifiche prevede soggiorni all’estero. Il microinfusore sarà un vantaggio? Sinceramente spero di non dover andare troppo lontano e troppo a lungo; credo infatti che le abitudini alimentari italiane siano l’ideale per tutti, tra l’altro la mia tesi verte proprio sugli effetti benefici di un componente tipico dell’alimentazione mediterranea nella apoptosi delle cellule tumorali e comunque – questo è ampiamente dimostrato – per chi ha problemi nel metabolismo. In ogni caso, credo che il microinfusore sia un modo per ridurre l’impatto del diabete nella vita di una persona. Viaggi all’estero compresi. Lei si definisce una persona molto metodica nello studio. È il diabete che l’ha aiutata a essere così? Ci ho pensato spesso. Sicuramente il diabete di tipo 1 insegna a riflettere su quello che si fa, a tenere conto delle esigenze dell’organismo e a adottare, là dove possibile, orari e abitudini. Il bello del microinfusore è che tutto questo cessa di essere un obbligo imposto dalla terapia e diviene una consapevole scelta di vita arricchita dalle doverose eccezioni. La carriera di un ricercatore soprattutto nelle materie Giovani 21 Se il controllo è difficile 22 Emanuel è molto sincero: «Io non so se qualcuno riesce davvero ad ‘accettare’ il diabete; di sicuro io non ci riesco», afferma. Non sembra tanto vero: Emanuel, che ha 27 anni, ha un rapporto normalmente conflittuale soprattutto con le tante routine della terapia e con una glicemia che – non solo per suoi errori – fluttua su e giù come impazzita. O meglio, fluttuava, perché da qualche tempo le cose stanno andando meglio. Da un’emoglobina glicata di 10, Emanuel è sceso a 8,5. «E posso attendermi risultati ancora migliori», sostiene Emanuel, sposato da pochi mesi. Quello di Emanuel è un caso da manuale di come la terapia con microinfusore possa adattarsi a persone che «un po’ per sfortuna, un po’ per colpa» hanno un cattivo controllo glicemico. Non a caso il Centro che lo segue ha sempre consigliato il microinfusore. «Io facevo finta di niente, rimandavo. Fino a quando», ricorda Emanuel, «proprio mentre aspettavo la visita, ho parlato con un ragazzo più o meno della mia età che come me viaggiava spesso. Mi ha spiegato che il microinfusore rendeva la vita molto più comoda. In pochi secondi ho deciso». Ed è vero? Sì, è vero. Certo, il diabete resta il diabete, un bel peso che ti devi portare sulle spalle. Ma il microinfusore rende la cosa più leggera, ti aiuta. Molte operazioni di routine sono più semplici; A modo mio prendiamo il bolo per esempio: ormai lo programmo senza nemmeno guardare il display, premendo il bottone e seguendo soltanto i bip di risposta. sarei andato avanti se non ci fosse stata questa opzione. Credo che il controllo sarebbe molto peggiorato. I miglioramenti clinici hanno confermato la scelta fatta? Sì, anche se a questo punto... mi chiamano in causa perché sebbene il mio sia un diabete difficile, io sono un paziente ancora più difficile, i controlli... gli orari... non sono sempre da manuale. Hai avuto problemi nell’indossarlo, nel farlo vedere ad altri? No, questo è un problema che non mi caratterizza. Agli altri dico: “Io ho il diabete”. Punto. Non è una scelta o una cosa che si discute. Se ti va bene, bene. Se non ti va è un problema tuo, non mio. Quindi vado in spiaggia con il microinfusore, mi butto in mare con l’ago inserito, giro per clienti, esco con gli amici. Si può sempre migliorare. Sì, io credo che ci si mette una vita ad accettare questo diabete, è un processo lento. Il microinfusore ti viene in soccorso eliminando alcune rigidità e aiutandoti a controllare meglio la glicemia. Per esempio un piccolo bolo di una o due unità per correggere una moderata iperglicemia con il ‘micro’ si può fare, con la penna... parliamoci chiaro: chi lo fa davvero? In ogni caso penna o microinfusore che sia, il diabete è nella testa ed è lì che si svolgono tutti i giochi. Com’è passare al microinfusore dopo vent’anni di penne? Io mi trovavo abbastanza bene con le penne. Alcuni mesi fa in occasione del mio viaggio di nozze, ho deciso di prendere una vacanza dal microinfusore. Tutto bene per carità, ma tornato a casa, il giorno dopo ho rimesso il ‘micro’. Se prima ero poco convinto, devo dire che adesso sono entusiasta. Valeva la pena di decidersi prima? Ho dovuto maturare una scelta. Proprio perché era il momento giusto è stata subito una scelta convinta. Quando ho deciso di passare al microinfusore ero davvero ai ferri corti con il diabete: ero stufo, nauseato dalla malattia e dalla terapia. Sinceramente non so come Quando ho deciso di passare al microinfusore ero ai ferri corti con il diabete. Non so come sarei andato avanti altrimenti. Giovani 23 Uscire la sera? Non è più un problema 24 Fino all’anno scorso il quotidiano di Giuseppe era reso difficile dal diabete. Poi la qualità della vita del giovane pugliese è migliorata nettamente. Il primo passo è stato, nel marzo 2004, il passaggio a una terapia con analoghi lenti e rapidi. A settembre 2004 un ulteriore salto di qualità con il passaggio alla terapia con microinfusore: «Oggi invece di una iniezione di ultrarapida, mi basta premere due tasti. Ma soprattutto, e questa è stata la grande vittoria, posso mangiare una pizza senza rischiare iperglicemie». Com’era la sua vita prima del microinfusore? Prima era tutto più difficile. Per esempio, uscendo con gli amici è normale che si decida all’ultimo momento cosa fare, quando andare a mangiare e dove. Io ero l’unico ad aver bisogno di orari fissi, a dover sapere con anticipo cosa avrei mangiato e a che ora, anche con il passaggio agli analoghi. Quando si usciva a cena, avevo bisogno di andare in bagno – che poi i bagni dei locali pubblici non sono certo un inno all’igiene – e di farmi una A modo mio Fra gli amici io ero l’unico ad aver bisogno di orari fissi, a dover sapere con anticipo cosa avrei mangiato e a che ora. Era difficile essere spensierati. iniezione. Era difficile insomma essere spensierati. Il problema non esiste più. Mi è capitato di fare con gli amici un giro in moto per il Gargano e abbiamo pranzato alle 3 del pomeriggio. Una volta non sarebbe stato possibile. La pizza è un ostacolo difficile... È vero per tutti gli amici con diabete che ho conosciuto, ma soprattutto per me. È un alimento con un indice glicemico molto particolare e mi alzava le glicemie fino alle 5 del mattino! Del resto cosa si fa da ragazzi in coppia o con il gruppo? Si va in pizzeria. Superata la ‘sfida pizza’... Ho affrontato la ‘sfida mare’. L’anno scorso avevo deciso di iniziare la terapia con microinfusore in settembre apposta per non avere problemi. Quest’anno a luglio ho provato a recarmi alla spiaggia con il microinfusore ed è andata benissimo. Indossavo un costume da bagno con una tasca interna e lì ci tenevo l’apparecchietto, togliendolo prima di buttarmi in acqua e stando attento ad asciugarmi bene prima di rimetterlo. Qualità della vita a parte, il passaggio al microinfusore ha portato dei vantaggi clinici? Direi proprio di sì. Per la prima volta posso seriamente pormi l’obiettivo di scendere sotto il 7% di emoglobina glicata. Dall’8,4% della terapia insulinica con analoghi sono arrivato a circa il 7,5%. Io ho sempre avuto difficoltà a mantenere la glicemia a norma dopo i pasti. Occorreva un ‘rabbocco’ qualche ora dopo, col rischio di sbagliare e la noia di fare una o due iniezioni in più al giorno. Inoltre avevo anche un ‘fenomeno Alba’ abbastanza marcato. Studiando la questione insieme al mio diabetologo abbiamo trovato la soluzione: nel primo caso raddoppio la velocità basale due ore dopo il pasto per un’ora; nel secondo caso basta aumentare di un decimo di unità/ora la basale dalle 4 alle 5 di mattina. Tutto qui? Sì, ma non è stato facile capire quali fossero il momento giusto e il dosaggio corretto. Per quel che riguarda i pasti, poi, ho imparato il calcolo dei carboidrati che è importante per godere appieno della libertà che il microinfusore consente. Giovani 25 La libertà è anche questione di calcoli... Probabilmente sì, a me comunque piacciono i conti precisi. Per l’attività fisica per esempio, con un amico anche lui con microinfusore mi sono iscritto a una palestra con gli apparecchi di ultima generazione, capaci di calcolare il dispendio energetico richiesto da ogni esercizio. E abbiamo visto quanti carboidrati si bruciano in un’ora di esercizio in palestra: da 50 a 60. 26 Per la prima volta posso seriamente pormi l’obiettivo di scendere sotto il 7% di emoglobina glicata. Fa esercizio fisico tenendo il microinfusore? Sì. All’inizio come tutti mi intimidiva l’idea di essere ‘sempre attaccato a qualcosa’, ora mi va benissimo, è divenuto una parte di me e lo tolgo solo lo stretto necessario. Ma tornando all’esercizio fisico, per me è stato importante perché, oltre a tutto, soffrivo anche di ipoglicemie frequenti e non facili da correggere con la classica bustina di zucchero. E ora? Le ipoglicemie sono più rare, sono più facili da gestire e soprattutto ho ripreso ad accorgermene in tempo. Cosa non secondaria per chi come me si trova spesso a lavorare in un cantiere edile. A modo mio Fuori per lavoro La sveglia suona alle 5 circa, un po’ prima, un po’ dopo, a seconda del giorno della settimana. In realtà non fa nemmeno in tempo a suonare perché Pietro ormai ci è abituato. Ha 28 anni ma è una vita che lavora nella vendita ‘ambulante’. Pietro è un piccolo imprenditore, nemmeno dei più piccoli visto che alla sua famiglia fanno capo quattro ‘negozi’ che ogni giorno, tranne il martedì ma compreso il sabato e alterne domeniche, aprono nei mercati di Roma città e dei dintorni e due negozi in città. I mercati sono affascinanti ma faticosi e non solo per gli orari. «I prezzi sono bassi, i margini ridotti. Se in negozio bastano due o tre clienti ogni mezza giornata per pagare le spese, con i mercati devi vendere un capo via l’altro. Guadagni sul volume». Pietro tratta abbigliamento e questo rende più complicate le cose. «C’è il cliente che vuole provare il capo, quello che ti fa mille domande, quello che porta via la merce senza pagare... e tutti sono impazienti. Bisogna avere mille occhi e mille mani e non bastano ancora», racconta Pietro. Negli ultimi mesi, poi, il papà di Pietro non sta bene e le responsabilità sono aumentate. Come si fa a fare questo lavoro con il diabete? Sinceramente non me lo sono mai chiesto. Era chiaro che – diabete o non diabete – questa sarebbe stata la mia vita. Ho subito imparato a usare Giovani 27 la penna, anche nelle situazioni più improbabili e ad arrangiarmi. Con quali risultati in termini di controllo glicemico? In effetti i risultati non erano brillanti. Quando si fa questa vita non puoi programmare niente. A volte riesci a fare colazione in pace verso le 8, quando il ‘negozio’ è ormai pronto ma la gente non è ancora arrivata. A volte invece non fai in tempo a scaricare la merce e già hai la fila di clienti. Lo stesso vale per il pranzo. Non è come fare la vita d’ufficio e nemmeno come avere il negozio. In un mercato ambulante non puoi chiudere e mettere un cartello ‘torno subito’. caldo, avevo bisogno di una terapia davvero flessibile in grado di seguire una giornata imprevedibile. Mi hanno proposto il microinfusore, mi sono fatto spiegare un po’ come funzionava e... ho accettato. E adesso? Adesso va meglio, molto meglio. Le glicemie non sono ancora perfette ma avendo messo a punto un buon schema basale le cose sono molto migliorate. Faccio i boli in maniera più precisa e impiego meno tempo. Non devo andare a cercare un bagno chissà dove. Tengo il microinfusore nella tasca dei jeans, faccio una glicemia rapida e con due tasti definisco il bolo. 28 Quindi le glicemie non erano tanto perfette. No, non lo erano. È vero che, svegliandomi sempre alle 5, ormai anche nei giorni di riposo per abitudine, e iniziando subito a muovermi non ho un ‘fenomeno Alba’, ma nelle condizioni in cui lavoro, mettiamoci pure il freddo o il Vivendo in mezzo alla calca della gente pensavo che potesse rompersi la macchina o staccarsi il catetere. Invece niente. Sono caduto anche dalla moto con il microinfusore in tasca e non si è nemmeno graffiato. Aveva delle paure prima di iniziare? Mah, temevo che fosse meno solido e resistente. Vivendo in mezzo alla calca della gente pensavo che potesse rompersi la macchina o staccarsi il catetere. Invece niente. Il set di infusione lo inserisco sulla parte alta del gluteo in modo che il catetere dalla tasca dei jeans faccia il giro sotto la cintura, senza rischio di impigliarsi da qualche parte. Quanto alla solidità, basti dire che sono caduto anche dalla moto con il microinfusore in tasca e non si è nemmeno graffiato. Si dice spesso che i microinfusori ricordano i cellulari, ma io di cellulari ne ho sfasciati dieci! A modo mio Fra una pesata e l’altra Repartista ortofrutta in un ipermercato, un lavoro che richiede forza di braccia. Sebastiano non ha certo visto nel diabete una ragione per rifiutare questo ‘posto’. All’inizio non erano rose e fiori. «Ipoglicemie, iperglicemie anche improvvise e non sempre spiegabili», racconta Sebastiano, 31 anni, «l’emoglobina glicata si avvicinava a 10, e questi sbalzi minavano oltre alla salute anche la sicurezza in me stesso». Anche sul lavoro? Il lavoro non era la causa di questi sbalzi, avevo problemi anche nei giorni di riposo. La ditta non ha mai fatto nessuna difficoltà e non ho avuto guai reali, anche se sul lavoro mi sentivo un pò a disagio proprio per questi sbalzi improvvisi. Poi dopo il consiglio di un amico, cambio diabetologo, perché dove mi curavo non mi trovavo bene, negli ultimi tempi non avevo la continuità di cura dello stesso diabetologo, così all’improvviso la mia vita è cambiata, in meglio naturalmente, e adesso vi racconto in breve il primo incontro: mi trovo davanti una diabetologa, una donna straordinaria. Dopo un colloquio per raccontare un poco di me, si decide insieme di cambiare qualcosa della vecchia terapia continuando con la multiniettiva e cambiando solamente zone d’inoculo, i miglioramenti sono stati immediati. Visto questo, dopo qualche tempo mi ha consigliato il Giovani 29 microinfusore e dopo diversi training si è deciso per l’impianto. Le cose sono subito migliorate radicalmente. 30 Sotto il profilo glicemico o della qualità della vita? Tutti e due. Oggi, grazie al microinfusore, è migliorata la mia sensibilità alle ipoglicemie, sono diventate rare e leggere e non ho più sbalzi, così come le iperglicemie, tanto che la glicata è scesa sotto il 7% e si aggira tra il 6,4% e il 5,8%. Ovviamente anche il mio umore e la mia sicurezza sono cresciute. Sul lavoro non ho nessun problema. Una volta doversi ricordare dell’’appuntamento’ con l’iniezione, andare in bagni non sempre perfetti sotto il profilo igienico e farsi l’insulina erano un problema quotidiano. Oggi mi basta premere un pulsante, lo posso fare anche senza allontanarmi dal banco. Perfino mentre servo un cliente. Dice: “Due chili di pomodori, un euro, signora, permette un attimo?” Praticamente sì. Fra una pesata e l’altra. È fantastico, e lo stesso vale per la vita fuori dal lavoro. Ti senti più libero e tutto è più semplice. Il suo lavoro prevede dei turni? Si, diverse volte inizio a lavorare alle 4. I clienti si stupiscono sempre quando entrano la mattina e trovano tutta la merce ben riposta negli scaffali. Questo I miei genitori all’inizio erano perplessi quando mi hanno visto arrivare con il microinfusore mi guardavano come se fossi stato il primo uomo sbarcato sulla luna. avviene perché qualcuno ben prima ha provveduto a rifornirli, si lavora anche durante l’orario di apertura al pubblico, ma il meno possibile, per non creare disagi alla clientela. Probabilmente lei con il diabete avrebbe potuto essere esentato dai turni... Forse sì, ma non mi interessa. All’azienda ho detto che avevo il diabete ma che ero in grado di fare il lavoro di qualunque altra persona. Non ho mai voluto essere trattato diversamente. Giusto, ma iniziare a lavorare alle 4 del mattino non è come iniziare alle 9 sotto il profilo glicemico. Insieme alla diabetologa abbiamo approntato una basale apposita per il turno che inizia di notte, diversa da quella che uso quando prendo servizio durante la giornata, anche se devo dire che non sempre la utilizzo e le cose vanno bene lo stesso. Il suo lavoro richiede sforzi, piegamenti, non le danno fastidio il microinfusore o la cannula? A modo mio Gli sforzi fanno solo bene, alcune volte posso anche fare a meno di un bolo. Quanto al fastidio basta scegliere un punto adatto per l’inserimento dell’agocannula, per esempio appena sotto l’ombelico, in modo che anche piegandosi non si ‘senta’ la cannula. Il microinfusore, poi, dà meno problemi del telefonino. All’inizio ero molto preoccupato di urtarlo per sbaglio e mi comportavo come se fosse stato di cristallo. Poi mi sono abituato, ho visto che è molto resistente e non ho più avuto questo tipo di preoccupazioni. vedono come tutto è improvvisamente andato a posto. Riequilibrate le glicemie, con un lavoro che garantisce un esercizio fisico continuativo: in effetti, lei ha uno stile di vita ideale. Immagino che mangerà anche molta frutta e verdura... A dire il vero non troppa. Contrariamente a quello che tutti pensano. E poi... quando torno a casa preferisco trovare pasta e carne. Se mi siedo e vedo verdure e agrumi... quasi mi torna in mente il lavoro! E i suoi colleghi, gli amici... Quelli che sanno che ho il diabete e lo vedono mi dicono: “Ehi, ma che è?” con aria stupita e divertita. I più affamati di informazioni sono i soci dell’associazione fra pazienti Diabaino Vip-Vip dello Stretto della quale faccio parte, anche se molti di loro ormai hanno il microinfusore. Gli amici sono felici che io abbia superato molti problemi, perché da un anno e mezzo, da quando ho questo apparecchietto, la mia vita è davvero cambiata. 31 E i suoi genitori? All’inizio erano perplessi e non volevano perché lo consideravano una cosa nuova e poco sicura. Quando mi hanno visto arrivare con il microinfusore mi guardavano come se fossi stato il primo uomo sbarcato sulla luna. Poi si sono abituati e soprattutto Giovani La mia vita col ‘coso’ 32 Nella vita capita spesso, davanti a una nuova prospettiva, di avere dubbi e timori che poi, una volta effettuato il cambiamento, si rivelano infondati. Questo avviene anche per il ‘passaggio’ al microinfusore. «Ricordo benissimo che la mia paura principale», racconta Valentina, 23 anni, emiliana, in procinto di laurearsi e partire per un mese negli Usa, «era di trovarmi ‘attaccata a un corpo estraneo’ come il microinfusore, tanto che per lungo tempo non l’ho mai chiamato ‘il microinfusore’ ma piuttosto ‘il coso’». Ancora oggi? Ancora oggi, ma per scherzo, non più per timore. Del resto ho scoperto che tante persone creano una relazione stretta con degli oggetti come il telefonino, il PC, l’automobile o la moto. Diventano parte di loro. Oggi sinceramente non mi sento affatto di ‘dipendere da una macchina’, so che posso benissimo staccarlo. Spesso però non lo faccio perché penso di avere nel microinfusore un alleato, un amico. Infatti questa estate avevo programmato di tornare per qualche A modo mio tempo alla terapia multi-iniettiva e invece... mi tengo il microinfusore. Come si supera questa sensazione? Potrei rispondere che si supera perché i vantaggi del microinfusore in termini di libertà e flessibilità, oltre che di controllo glicemico, sono tali da compensare ogni riserva. Ma in realtà la cosa è più profonda ed è anche un discorso un po’ lungo. La ascolto, mi piacciono i discorsi lunghi. Tutti ci diciamo che la persona insulinodipendente deve controllare il suo diabete. In realtà io credo che tutto sommato molti pensano di essere controllati dal diabete più che di doverlo controllare. Ovviamente è un errore logico: il diabete non è qualcosa che si aggiunge al tuo organismo e lo minaccia. È una cosa... che non c’è, è uno dei tanti piccoli automatismi presenti nel nostro corpo e che però non funziona. E allora devo sostituirlo io. Come? Pensando a quello che faccio e controllando questo benedetto processo dei carboidrati e dell’insulina. Il diabete è una malattia di ragionamento, consiste nel dover ragionare e nel ‘sentirsi’. Il microinfusore ti aiuta a ragionare e a controllare. E soprattutto ‘ascoltandomi’! Il diabete è una malattia di ragionamento, consiste nel dover ragionare e nel ‘sentirsi’. E il microinfusore? È qualcosa che ti aiuta a ragionare e a controllare. Certo che devi continuare a pensare, a prendere decisioni insieme al diabetologo e in parte da sola, pensiamo ai boli per esempio; ma è anche vero che, impartite le istruzioni, una volta per tutte con le basali o periodicamente con i boli e le basali temporanee, ci pensa lui. O meglio, forse dire che ci pensa lui è troppo... diciamo che ci sono momenti in cui hai la sensazione di non dover stare in guardia. Il microinfusore è un alleato, un amico che ti aiuta. Ti senti meno solo! A proposito di amici. È importante parlarne con loro? Gli amici sono importanti e ancora di più lo è il fidanzato. Il percorso di accettazione del microinfusore passa anche attraverso l’accettazione da parte loro. Gli amici mi chiedono: “Come va il coso?” e si scherza insieme, come quella volta che una signora, intravedendo il catetere sopra i jeans, pensò che si trattasse di un filo della maglietta e cercò di tirarlo. Ero al lavoro in un bar, feci un balzo per non permetterle di afferrarlo e mi misi a ridere vedendo la faccia della cliente! Giovani 33 Il fidanzato poi, è importantissimo che accetti il microinfusore, lo prenda in mano, guardi come funziona; è importante che lo apprezzi insomma e non abbia nessun problema a vederti girare per casa magari in T-shirt e con il microinfusore... Il mio fidanzato mi chiama “la mia robottina preferita”. 34 Mi pare che gli amici e il fidanzato siano stati bravissimi. Certamente, però... io penso una cosa. Se in cuor tuo non accetti il microinfusore, o meglio se in cuor tuo non accetti il diabete e non capisci che tu stai controllando lui e non viceversa... Cosa succede? Succede che magari ti dici anche che lo accetti ma alla fine trasmetti le tue sensazioni negative agli altri e gli altri, gli amici, il fidanzato, reagiscono a quello che sei veramente, proprio perché ti sono vicini, e ti restituiscono quelle riserve, quella Il fidanzato poi, è importantissimo che accetti il microinfusore, lo prenda in mano, guardi come funziona; è importante che lo apprezzi insomma e non abbia nessun problema a vederti girare per casa magari in T-shirt e con il microinfusore. scarsa accettazione che tu stessa hai dentro. Diventa un circolo vizioso. Viceversa se uno si trova bene... Capisce che il diabete consiste nel controllare delle cose e che il ‘coso’ aiuta in questo e rende la vita più semplice. Il tuo vissuto positivo coinvolgerà gli amici e chi ti è vicino e questi, a loro volta, ti restituiranno un vissuto positivo. Uno mi ha detto: “Certo che chi ha inventato il coso è proprio un genio”. A proposito, lei sa per caso chi lo ha inventato? A dire il vero no... Be’, secondo me chi lo ha inventato, aveva il diabete o comunque sapeva che il vero problema, dopo un po’ di tempo che hai il diabete di tipo 1, non è fare iniezioni, controllare la glicemia o dover rinunciare a qualcosa. A tutto questo ti abitui. La noia è essere costretti a organizzare sempre quello che si fa. E il microinfusore è un oggetto che ti permette di pensare un po’ meno. Hai la sensazione che c’è qualcosa che lavora per te. Ti senti meno sola in questa sfida, non troppo difficile ma continua, che ti accompagna, quella sì, per tutta la vita. Chi ha inventato il microinfusore ha saputo davvero bene immedesimarsi nella testa di chi ha il diabete! A modo mio Accettare il microinfusore, se stessi e il diabete Accettare il diabete è difficile, non è un obiettivo 35 che si può raggiungere in un momento, quanto il risultato di un percorso. La terapia con microinfusore può aiutare in questo percorso, può anzi rappresentare la chiave per sbloccare vissuti negativi. Almeno questa è l’esperienza di una giovane ragazza. Dire che Virna non aveva accettato il diabete è dire poco. Forse non c’è un’età giusta per scoprire di avere il diabete, ma iniziare a 11 anni è proprio il peggio. Quando inizi a contemplare quello che ti aspetta, “zac”, un fulmine. Virna oggi ha 26 anni e guarda con una certa serenità ma senza dimnenticare quello che ha passato. Fin dalle prime settimane. Cosa dicevano i medici? I medici la fanno semplice. Ci sono queste, queste e queste cose da fare: test, iniezioni e ancora test, iniezioni, non devi distrarti assolutamente dalla dieta, tutto esclusivamente senza zuccheri ma per il resto? Per il resto presta molta e molta attenzione. Capite un po’: una prigione, un ergastolo e allora subito il pensiero di evadere e io evadevo. Come? Facendo finta di non essere ammalata. Prima di tutto non dicendolo agli altri: “guai a farlo sapere”. Giovani E poi? Comportandosi esattamente come un coetaneo, uno ‘normale’, mangiavo quando e quello che volevo senza limitazioni. Le glicemie? Era un gioco da ragazzi inventarle, consegnavo il diario fatto all’ultimo minuto. La glicata non era mai inferiore a nove, ma io facevo proprio finta di niente. Insomma bugie su bugie... Mentivo spudoratamente dalla mattina alla sera. Che fatica! Anche se in realtà non era mentire, era non riconoscere una Virna diabetica. La vera Virna non aveva il diabete, che senso aveva parlarne con gli altri, con chi, prima considerava la malattia, e poi te come persona. Non sarei mai stata capita. 36 Poi cosa è successo? A 18 anni ho lasciato la struttura pediatrica che mi seguiva e sono entrata nel centro di diabetologia per gli adulti. Come primo acchito una tristezza, persone più grandi di me rassegnate alla loro croce. Ma poi ho iniziato a parlare con il Team e questi hanno completamente cambiato il mio modo di vedere le cose. Insomma mi hanno rivoltata come un calzino e fra le altre cose mi hanno proposto il microinfusore... È stato proprio il microinfusore a farmi crescere e responsabilizzarmi, a far sì che prendessi in mano le redini della mia vita Lei non ci aveva mai pensato? Non l’avevo mai voluto, pensavo che mi avrebbe ricordato il diabete 24 ore su 24. È stato invece proprio il microinfusore a farmi crescere e responsabilizzarmi, a far sì che prendessi in mano le redini della mia vita che, seppur giovane, a un certo punto non poteva venire risparmiata dalle complicanze di 10 anni di cattive glicemie. Era un sogno. Dopo aver imparato il conteggio dei carboidrati potevo spaziare come volevo: chi avrebbe mai immaginato di saltare la colazione! Avere la possibilità di mangiare a un orario sempre diverso, di fare uno spuntino con una mega pizza alle tre di notte, di farsi la quotidiana dose per strada pigiando un piccolo bottoncino e tutto senza la paura di fare poi i conti con la tua glicata perché tanto questa era 7,2. Insomma ha sviluppato un buon rapporto con il microinfusore? A modo mio Quella macchinetta che mai avevo voluto è diventata parte integrante di me anche nelle situazioni più imbarazzanti (per gli altri), va tutto a gonfie vele: in aereo, in piscina, al mare, persino facendo fuoristrada niente e nessuno ci separa; sono riuscita anche a vedere il medico con occhi diversi: non è più il solito esattore di glicemie, il custode della prigione ma una persona pronta ad ascoltarmi e capirmi, ad adattare la terapia alle mie esigenze. E adesso, dopo due anni con il microinfusore? Ora sono entusiasta; è stato il trampolino di lancio per migliorare la mia vita. Mi ha dato tantissima flessibilità, la possibilità di cambiare, di cambiare nella testa (se non fossi cambiata nella testa tutto questo non sarebbe servito a niente) non dico di essermi liberata ma non sono nemmeno più schiacciata da un macigno sconosciuto e minaccioso. 37 Giovani 1 Adriana 2 Annagrazia 3 Elena 4 Emanuela 5 Fabio 6 Gaetano 7 Giuseppe 8 Luca 9 Marco 10 Marisa 11 Sabina 12 Serena Adulti Il diabete batte in testa Adriana ha 33 anni e almeno due ragioni per essere intervistata. È laureata in Psicologia e ora segue un master in Psicologia della salute e della prevenzione, una specializzazione che trova la sua applicazione concreta proprio come risorsa da inserire nei Team che si occupano di prevenzione e gestione di patologie croniche. In secondo luogo è una donna con diabete, un diabete non facile, perfino diagnosticarlo esattamente ha richiesto un certo lavoro. Una donna che da pochi mesi prova a gestire con il microinfusore il suo equilibrio glicemico. Si tratta di una ‘svolta’ tecnologica che fa seguito a una svolta nel rapporto di Adriana con la sua condizione. L’ultima di tante. «Il percorso di accettazione, se vogliamo usare questa parola un po’ impropria, del diabete è lungo, impervio ed è un aspetto essenziale della terapia. Non lo dico solo come psicologa ma soprattutto come persona con il diabete. Intorno all’idea di ‘essere diabetica’ o di ‘avere il diabete’ – le due formulazioni sono ben diverse – si sviluppa una serie successiva di elaborazioni», afferma Adriana che vive e lavora in una media città del Piemonte, «anno dopo anno ci si crea un’immagine diversa del diabete e soprattutto di se stessi. E questo anche nell’età cosiddetta matura». Adulti 41 Parla come psicologa o come paziente? La questione è ben studiata in psicologia ma mi è nota soprattutto come paziente. Io credo di avere attraversato tutte le fasi arrivando a quella attuale che definirei una consapevolezza piena del problema e del modo di affrontarlo ma, partendo dal panico e attraversando fasi, se vogliamo autodistruttive, nelle quali non seguivo più se non il minimo necessario della terapia. Insomma per dirla chiara ho mandato tutto a quel paese. 42 Perché viene questa tentazione? Perché una persona con il diabete di tipo 1 decide di... Di mandare tutto a quel paese? Dipende. Ci possono essere due ordini di cause. Da una parte la ribellione: è ben difficile accettare che tu sei il protagonista della tua cura, che una serie di attenzioni e se vogliamo di limitazioni devi averle tu a favore di te stesso. È quindi comprensibile che le ‘regole del diabete’ siano accomunate con le ‘altre regole’ imposte, che ne so, dalla famiglia, dalla scuola, dalla società... A questo punto una fase di rifiuto delle regole ‘esterne’ facilita anche una presa di distanza dalla terapia. In questo senso vorrei ricordare che la storia del diabete è sempre la storia di una persona e del suo contesto. Dietro le emoglobine glicate c’è quindi un ‘album di famiglia’... Certo, potrei prendere le glicate di tutti i miei anni e associarne molte a degli episodi della mia vita affettiva e familiare... Quindi l’equilibrio della glicemia dipende anche dall’equilibrio della persona. Ma purtroppo avviene anche il contrario, e questa è la seconda causa di allontanamento dalla terapia: il senso di impotenza. E cioè? Parliamoci chiaro. Non sempre le glicemie rispecchiano puntualmente un comportamento corretto. Spesso, ma non sempre. I tempi del corpo non sono quelli della mente. Quando ho deciso di riprendere nelle mie mani il destino del mio diabete mi attendevo che a un radicale cambio di atteggiamento corrispondesse un altrettanto radicale miglioramento delle glicemie. Questo non è avvenuto, o comunque solo in parte. E devo confessare che la A modo mio delusione è stata forte. La tentazione di lasciar perdere e arrendersi c’era. Quindi le glicemie possono portare delusione, un senso di impotenza. Una frustrazione. Ma questo approccio ‘ultima spiaggia’ non è tanto adeguato alla situazione. Come la ‘penna’, il microinfusore è uno strumento con il quale si possono impostare differenti schemi terapeutici via via sempre più adeguati... È vero, ma il vissuto emotivo tiene conto fino a un certo punto di questi fatti. Forse l’idea stessa di diabete, inteso come condizione cronica, e soprattutto l’idea che questa ‘malattia’ non possa essere delegata a un medico o a una macchina risultano proprio nuove e difficili da accettare. A volte l’atteggiamento negativo che io temo o prevedo negli altri, rispecchia una scarsa accettazione. Sono io che penso male di me perché ho il diabete ma presto agli altri questo atteggiamento. Come in quella vecchia trasmissione TV lei poteva ‘lasciare’ e invece ha ‘raddoppiato’ passando al microinfusore. Che effetto le ha fatto sentirselo proporre? Vista la storia che c’era dietro, l’effetto è stato diverso da quello provato da molte ‘colleghe’ e ‘colleghi’ di diabete. Proprio perché percepivo e percepisco il microinfusore come lo strumento migliore a disposizione di chi ha il diabete, quello in grado di offrire l’insulinizzazione più vicina a quella naturale del pancreas, la mia reazione è stata: “E se poi nemmeno questo approccio funziona?” Avrei quasi preferito rimandarlo e lasciarmi la riserva mentale, la speranza che – se la terapia non avesse ottenuto gli effetti sperati – avrei sempre potuto ricorrere al microinfusore. Molte persone, invece, quando si sentono proporre il microinfusore, pur accettando l’idea con interesse, si pongono dei problemi appunto psicologici legati al fatto di essere ‘sempre legati a uno strumento’ o alla possibilità che ‘gli altri se ne accorgano’... Come psicologa posso confermare che l’idea che noi abbiamo del nostro corpo non coincide con il corpo organico. Posso sentire come estranea una parte ‘organica’ del mio corpo o sentire come ‘mio’ un elemento che apparentemente è esterno. Allo stesso modo so bene che essere accettati dagli altri è importante, anche se spesso questa accettazione rispecchia il proprio atteggiamento, ma... Adulti 43 Un attimo, un attimo... cosa vuol dire che l’accettazione degli altri rispecchia il proprio atteggiamento? Semplicemente che a volte l’atteggiamento negativo che io temo o prevedo negli altri, “penseranno male di me se vengono a sapere che ho il diabete”, rispecchia una scarsa accettazione. Sono io che penso male di me perché ho il diabete ma siccome non lo posso ammettere, presto agli altri questo atteggiamento. 44 Come fa un ventriloquo, che emette il suono fingendo che sia un pupazzo a parlare... Più o meno. Se devo riportare la mia esperienza personale, questi aspetti non li ho sentiti. Ho accettato il microinfusore e non mi interessa che gli altri lo vedano, anzi lo porto in una busta legata all’esterno della cintura. La motivazione, mi faceva capire, è essenziale. Secondo lei il microinfusore aiuta la motivazione? Anche. La motivazione principale viene dai risultati. E per risultati intendo sia le glicemie sia l’andamento delle complicanze, le quali purtroppo dipendono molto più dall’andamento passato che da quello presente. In questo senso, visto che il microinfusore dà i risultati, rafforza la motivazione. In secondo luogo, avere in mano un oggetto sofisticato come il microinfusore ti dà l’idea concreta dell’appoggio che hai dal Team diabetologico. Dalla società in un certo senso. Anche l’idea che c’è una macchina che ‘lavora per te’ può essere di appoggio. Ma soprattutto il microinfusore presuppone motivazione, deve arrivare per forza di cose in una fase abbastanza avanzata del percorso di elaborazione del paziente. Perché? Tutti sanno che lei ha il diabete? No, non tutti. Qualcuno lo apprende proprio per il microinfusore. Ma sinceramente non mi importa. È proprio l’ultimo dei problemi. Tra l’altro il diabete è un aspetto importante della mia vita, perché dovrei nasconderlo? Come si fa a misurare dall’esterno questo percorso e come si fa a promuoverlo? Ci vuole una psicologa in ogni Team di diabetologia! A parte le battute un parametro oggettivo potrebbe essere il ritmo dei controlli. Se misuri le glicemie con attenzione e mostri A modo mio di aver riflettuto sui dati rilevati vuol dire che da una parte hai voglia di controllare il tuo diabete, dall’altra che sei anche disponibile ad accettare dei dati negativi. Quanto al promuovere questo processo... sicuramente il ruolo del Team è fondamentale. Io ho la fortuna di essere stata seguita da un Team e da un medico di eccezionali qualità umane ed empatiche. Il loro segreto è stato forse quello di non farmi fretta, di stimolare un’evoluzione ma accogliendo ogni singolo passaggio di una strada molto lunga. 45 Adulti Ago e filo 46 Ad Annagrazia non piace quando i conti non tornano. A scuola andava bene in matematica e nel lavoro ha imparato che dietro i numeri ci sono delle persone, e che quando i conti non tornano c’è qualcosa che non va anche nelle persone. Annagrazia lavora all’Agenzia delle entrate, nel fisco insomma. Quasi sempre allo sportello, a cercare di capire e di associare... delle cifre a delle persone. «Il diabete è una questione di numeri», si lascia sfuggire. È una donna adulta, piacevole e precisa, fa un lavoro faticoso allo ‘sportello’ ma parla spesso del contatto con le persone come di un valore. Cosa è cambiato nella sua vita da quando è passata alla terapia con microinfusore? Moltissimo. Questo tipo di terapia mi dà una sensazione di assoluta autonomia e libertà. Non ho problemi di orari e di tempo. Se all’intervallo di pranzo decido di mangiare solo un toast e di utilizzare quell’ora e mezza per fare shopping o per guardare le vetrine posso farlo; idem se all’ultimo momento con le amiche si decide di andare in palestra o in piscina. C’è un altro aspetto poi. Ieri A modo mio se dovevo iniettare insulina dovevo alzarmi e andare da qualche parte e fare l’iniezione; ora mi basta premere due tasti. E poi, oltre ad avere meno disagio, creo anche meno disagio. mettere la comodità? E c’è un altro aspetto che mi piace del microinfusore e mi fa pensare spesso “Ah, se l’avessi avuto prima!”. Non so se capisco bene... Intendo dire disagio negli altri. Anche agli amici più cari forse faceva un po’ impressione vedermi fare una iniezione, le penne sono più simpatiche delle siringhe, ma l’ago... colpisce un po’ tutti, anche gli adulti. Ora invece il problema non c’è più, o quasi. Bisogna cambiare il set di infusione. Sì, su questo punto ci vuole attenzione. Due o tre volte la settimana occorre qualche minuto di calma per cambiare ago e filo. Ci si mette di più che a fare una iniezione e forse è anche un pochino più doloroso, ma prima di tutto stiamo parlando di due o tre volte la settimana, non di trenta volte, e poi posso sempre scegliere il momento. Se al mattino non posso o non ho voglia, posso aspettare il pomeriggio... vuoi Per cambiare il set di infusione ci vuole attenzione. Due o tre volte la settimana occorre qualche minuto di calma per cambiare ‘ago e filo’. Quale aspetto? Il fatto che con il microinfusore i conti tornano. Mi spiego: il diabete è una questione di numeri. Io passavo la vita a chiedermi, ma perché i conti non tornano? Perché ho questa glicemia a 250 o questo inizio di ipoglicemia? E trovare la causa non è semplice, con la terapia multi-iniettiva ci sono troppe variabili. Prima di tutto usi diverse insuline. Potrei aver sbagliato insulina usando una penna al posto dell’altra? Poi è facile commettere errori nell’iniezione, dopo un po’ di tempo l’iniezione si fa un po’ troppo velocemente, si prendono delle scorciatoie... che ne so, non si tiene l’ago infilato contando fino a cinque. Le stesse insuline, soprattutto le lunghe, non hanno sempre il medesimo comportamento. Una volta durano di più, una volta di meno. Lei ha il diabete da molti anni… Sì, ma forse una volta avevo più tempo e voglia di pensare. Con l’età la complessità si sopporta meno. Si ha meno voglia e tempo di porsi domande. Si apprezzano – molto di più che da ragazzi – le soluzioni semplici e razionali. Adulti 47 E con il microinfusore i conti tornano? Sì, e soprattutto hai meno variabili da tenere d’occhio. L’insulina è una sola, non puoi sbagliare. Basta un’occhiata al display e sai quanta insulina hai fatto nel bolo e quando, essendo un’ultrarapida, non devi stare lì a chiederti quanta insulina hai ancora in corpo dalla precedente iniezione. 48 Mi faccia indovinare: si chiede perché i conti non tornano. Esatto, ma a quel punto è una curiosità, perché il problema è risolto e molto probabilmente non si ripresenterà. Non hai ‘magazzino’, come si direbbe in contabilità. Esatto. Non ci sono partite pregresse come avviene con le insuline medie e lente. Insomma, non dico di non avere mai glicemie ‘strane’ da quando uso il microinfusore, ma è più raro, inoltre mi è più facile trovare una spiegazione. E questo mi rende più serena. Quando qualche conto non torna cosa fa? Se la glicemia è più alta del normale e non mi viene subito in mente una spiegazione logica, io non sto tanto lì a pensare: cambio tutto, ‘ago e filo’. Porto sempre con me un set infusionale e una batteria di riserva, occupano meno posto della penna. Prima agisco e poi mi chiedo. A modo mio Una vita speciale I medici dicono sempre che “una ragazza con il diabete può avere una vita normale”. A Elena di avere una vita normale non interessa per niente. La sua infatti è una vita speciale, anche se lei rifiuta la definizione. «Io vivo come voglio, che sia una vita ‘normale’ o ‘speciale’ non mi interessa». Elena in effetti fa delle cose normali (anche se a livelli piuttosto alti, bisogna dire). Si è laureata, in Fisica subnucleare, lavora in una multinazionale dell’elettronica, è sposata e vive a Milano. Ma Elena, 33 anni è anche altro. È una ragazza che a 20 anni e qualcosa ha attraversato da sola il Laos e la Thailandia, che nelle ultime vacanze insieme a un gruppo di amici ha girato l’Africa più deserta dal Botswana al Kenya. «L’Africa è una passione», ammette, «mia e di mio marito». Viaggi a parte, Elena scrive. Ha scritto insieme a Daniele Paolocci un bel libro che racconta la storia di due ragazzi con diabete, Prima la panna e poi il cioccolato, ne ha scritto un altro e ha in tasca un contratto con una casa editrice per un terzo libro. È tra i fondatori del sito Progettodiabete, fa delle bellissime foto e nei momenti liberi sviluppa software. Adulti 49 Come è nato Prima la panna e poi il cioccolato? Letteralmente in chat. Nella chat di Progettodiabete ho incontrato Stefano e molte altre persone. È nata così l’idea e il ‘materiale’. Il libro infatti è solo in parte autobiografico: sia io sia Stefano abbiamo fatto riferimento, oltre che al nostro, a molto del vissuto che abbiamo colto nel rapporto con altre persone. Una persona con il diabete, se ha esperienza, non solo è in grado ‘come gli altri’ di vivere queste avventure, ma meglio degli altri. 50 La scena chiave del libro, quella che gli dà il titolo e nella quale i due protagonisti si incontrano, si svolge in una pasticceria, attorno a gelati e cioccolate con panna. Cibi che una volta venivano proibiti alle persone con il diabete. In realtà a me il cioccolato piace molto anche se non mi fa perdere la testa, però a volte capita che con il diabete scaturisca una sorta di passione per i dolci. Io credo che spesso sia una reazione più che un desiderio. Mi spiego. La gente cosa sa del diabete? Quasi nulla, confonde il diabete di tipo 1 con quello di tipo 2 e sa poco dell’uno e dell’altro. Il diabetico è quello “che non può mangiare cose dolci, poverino”. È comprensibile che molti, per reazione o per dimostrare che non si sentono diversi, sviluppino una passione per cioccolato o gelati. Li mangi perché ti senti normale e vuoi farlo capire agli altri. Ci sono poi persone che si sono viste proibire queste cose per anni da bambini e per loro questo tabù è diventato una ossessione. Ovviamente il problema non esiste. Con il microinfusore e, più in generale con le ultrarapide, dolci e cioccolato si possono benissimo mangiare; anzi, per certi versi la curva di assunzione di questi dolci è più vicina a quella di azione dell’insulina. Lei ha una personalità molto spiccata e particolare, eppure nel suo libro parla spesso di sensibilità e problemi che provengono da altre persone con il diabete. Come è possibile? Me lo chiedo anch’io. Mi capita di sentirmi molto vicina a delle persone alle quali – se non condividessero con me il problema diabete – non avrei magari nulla in comune. C’è qualcosa che sotto sotto ci unisce e ci divide dagli altri. Qualcuno le ha detto però che le sue sono scelte un po’ speciali... Sì. Quando giravo da sola in Africa o quando sono stata in Indocina, mi hanno dato in tanti della matta. A modo mio Per il diabete... No, lo dicevano anche persone che non sapevano del diabete. Una ragazza che gira da sola in posti poco noti... scandalo! Ma io volevo fare quei viaggi e non conoscevo nessun altro che condividesse questo mio interesse. Poi ho scoperto un gruppo di persone come me e ora, a volte, viaggio in compagnia. In Namibia eravamo io e mio marito. La Namibia non credo sia una zona ricca di Centri di diabetologia... Nemmeno di ospedali se è per questo. Sono stata in zone dove il medico più vicino si trovava a 5 giorni di fuoristrada. sa anche quali sono i limiti che non è saggio superare. Una persona che non ha una malattia cronica invece rischia di sottovalutare segnali importanti o di andare al di là di certi limiti. In genere nel gruppo io sono quella che ha meno problemi di salute. E il microinfusore? Sicuramente aiuta, in queste esperienze un po’ estreme come in quelle di ogni giorno. Avere una basale a posto migliora la forma fisica e permette di superare qualche difficoltà in più. 51 E come si fa? Si fa, si fa. Ovviamente devi essere in grado di gestire bene il diabete, devi avere con te tutto il necessario e anche di più. Posso dire che una persona con il diabete, se ha esperienza, non solo è in grado ‘come gli altri’ di vivere queste avventure, ma meglio degli altri. Come mai? Perché è attenta ai segnali che vengono dal proprio corpo. Sa cosa può chiedere al proprio organismo ma Adulti Ho vinto tutto tranne la paura (degli altri) 52 Poche volte Emanuela ha visto qualcuno tagliare prima di lei il traguardo dei 400 metri. A 20 anni volava con tempi che le avrebbero garantito, se non una medaglia, almeno la partecipazione alla finale alle Olimpiadi di Mosca. Il diabete, arrivato nel pieno della preparazione atletica, non l’ha fermata. Con un perfetto controllo e utilizzando uno dei primi lettori della glicemia, è riuscita a mantenere le sue performance a livelli olimpici. Come tante persone capaci di accettare il diabete, Emanuela è stata danneggiata dalla paura che ‘gli altri’ hanno del diabete. I dirigenti sportivi le hanno negato il biglietto per Mosca. Quando ha scoperto di essere una sportiva di livello agonistico? L’amore per l’atletica è nato prima del diabete: in seconda media. Ho iniziato a correre e a vincere facilmente. Ho vinto tutte le gare studentesche e poi i Giochi della gioventù e le varie gare in giro per l’Italia. A quel punto sono entrata nella Nazionale di velocità femminile dopo essermi classificata quarta nei 400 metri ai Campionati assoluti a Roma, nel 1978: il faticosissimo giro di pista che molti atleti cercano di evitare. A quel punto, avevo 20 anni, è arrivato il diabete. È stata una mazzata? Sì, ma fino a un certo punto perché, nonostante il diabete, sono riuscita a A modo mio mantenere per un paio di anni le mie performance agonistiche su alti livelli. Nessuno mi poteva fermare e il mio obiettivo era quello di tutti gli atleti: arrivare alle Olimpiadi, nel mio caso quelle di Mosca del 1980. Correndo i 400 metri in 54 secondi avrei potuto benissimo farcela ma... Avrebbe vinto a Mosca? L’oro dei 400 metri no, lo vinse Marita Koch che scese sotto i 50 secondi per poi far scendere il suo record a 49 e poi a 48 e 16, un mito dell’atletica. Per salire sul podio avrei dovuto scendere sotto i 51 secondi, il che era davvero difficile visto che l’ottava classificata, Lindsey McDonald, segnò 52 e 40 che non era ancora un tempo nelle mie possibilità. Comunque avrei potuto ben figurare fra le ragazze della staffetta Nazionale azzurra della 4x400 ma, al di là di tutto, mi sarebbe bastato partecipare a una Olimpiade che è sempre stato il sogno della mia vita. E invece ho perso l’aereo per Mosca e anche qualcos’altro... Ma? I dirigenti della Federazione non ritennero opportuno mandarmi nella selezione azzurra alle Olimpiadi di Mosca. Dicevano: “Se poi ti succede qualcosa in pista o fuori...”, e avevano troppa paura delle conseguenze per ignoranza della malattia. Era assurdo. Io ero seguita dai migliori medici, controllavo perfettamente il diabete, si figuri che avevo uno dei primi glucometri fatti venire dalla Gran Bretagna, un oggetto scomodissimo grande come una scatola da scarpe. Eppure... 53 Sembra incredibile, tra l’altro a quella Olimpiade non parteciparono gli Usa e numerose nazioni, le possibilità di vincere una gara di atletica erano quindi maggiori del solito... Esatto, ma al tempo non si parlava come oggi di diabete e sport, non c’erano le testimonianze di decine di persone che, nonostante il diabete, hanno vinto gare in ogni disciplina. Il diabete faceva paura. Uno sportivo deve amare e quindi rispettare il proprio corpo, per cui non è un problema controllare la propria alimentazione. Quando è arrivato il diabete mi è stato facile inserirlo nel mio autocontrollo’. Cioè? Ho perso il mio allenatore, che aveva puntato su di me, e anche un po’ di amore nei confronti dello sport organizzato: infatti ho continuato a correre a livello italiano ancora per un po’, poi mi sono laureata, sposata e ho preferito abbandonare l’agonismo per altre scelte di vita. Adulti 54 Ma non l’attività fisica... Quella mai. Pensi che in Africa ho vinto una gara, amatoriale ma combattuta, ed ero al quarto mese di gravidanza. Non sono mai stata più di un mese senza correre, salvo in presenza di seri motivi. Poi sono tornata in Italia e ho ritrovato l’entusiasmo per lo sport su pista grazie alle gare Master, sportivi che vogliono ancora mettersi in gioco dopo i 35 anni di età. Esistono infatti Campionati regionali, nazionali, europei e mondiali: io sono stata campionessa italiana dei Master 35 nei 200 metri indoor, dei master 40 nei 200 e 400 metri all’aperto nel 1998 a Viareggio e dei master 45 nei 200 e 400 metri a Caorle nel 2004. Mi alleno tre volte la settimana, conosco un sacco di gente e mi diverto. In un certo senso c’è anche un’atmosfera più sana fra i Master che fra i giovani. Cosa intende dire? È un discorso lungo. Vede: uno sportivo deve amare e quindi rispettare il proprio corpo, per cui non è un problema controllare la propria alimentazione, rinunciare anche a un bicchiere di vino, andare a dormire presto, perché sa bene che qualunque cosa può influire, anche se in misura limitata, sull’efficienza del suo organismo. E questa è una cosa positiva. Quando è arrivato il diabete mi è stato facile inserirlo nel mio autocontrollo’. È una cosa che rimane per sempre. Ci sono però degli eccessi che sono sempre controproducenti. Lo sport deve essere divertimento; la perfetta efficienza del corpo è un mezzo, non un fine. In questo senso da giovani si esagera, forse ancora di più oggi che perfino nell’atletica si sono imposti interessi economici e guadagni che una volta erano sconosciuti. Fra gli ‘anziani’ invece... C’è divertimento. Si fanno le gare e ci si allena per il gusto di fare una vita sana e di conoscere persone con interessi comuni. La voglia di vincere rimane, per carità. Ma se mi alleno correndo tre volte la settimana è prima di tutto per il piacere di farlo. Dove si allena? A Macerata esiste un sodalizio sportivo, la Società Educazione Fisica, S.E.F., che compie quast’anno 100 anni di storia e che attualmente si dedica unicamente all’attività dei Master. Abbiamo quindi un campo sportivo a nostra disposizione. Solo che... mi rattrista un po’ notare che su quella stessa pista a 20 anni mi bastavano 55 secondi per fare il giro, dieci anni fa 64 e oggi, se va bene, ne impiego 66. Ma suvvia, lei ha anche più di 45 anni. La gran parte delle sue coetanee non riescono a fare tre piani di scale a piedi senza ansimare! A modo mio È vero, ma uno sportivo di solito fa paragoni solo con altri sportivi e con se stesso. Ieri come oggi per esempio, mi secca molto quando in qualche gara vedo qualcuna tagliare il traguardo prima di me, anche se è più giovane. fisico, poi mi sono affidata con grande soddisfazione alle cure del Centro di Macerata. Mi hanno consigliato con forza il microinfusore e anche di passare dalle gare di velocità a quelle di mezzo fondo, i 3 mila metri per esempio. Capita? Di rado, ma capita. Nelle competizioni a carattere regionale sui 200 e 400 non mi è mai successo né da giovane né da Master. A livello nazionale poche volte, non mi ricordo una gara nella quale non sia salita almeno sul podio. Ci stavamo dimenticando il diabete... In effetti come le ho detto il diabete in sé non ha cambiato la mia vita, è stata la paura che gli altri avevano del diabete a farmi del male. Anche per questo io non ne ho mai parlato quasi con nessuno. Solo da poco tempo mi sono aperta, ho iniziato partecipando alle riunioni dell’Aniad. E ha seguito questi consigli? Per quanto riguarda il microinfusore sì, per quanto riguarda i 3 mila metri... Beh ho qualche remora ma penso che lo farò. Teme di non essere prima? Guarda caso, io sono la prima persona che il mio Centro di diabetologia di Macerata ha dotato di un microinfusore. Era destino. Il diabete in sé non ha cambiato la mia vita, è stata la paura che gli altri avevano del diabete a farmi del male. E il microinfusore? Lei che è stata una delle prime in Italia a usarlo? Ovviamente lo conoscevo da tempo, solo che fino a due anni fa ho vissuto all’estero, in Paesi non troppo avanzati peraltro. Quando sono tornata in Italia ho preso dapprima contatto con il Centro di Perugia che sapevo essere particolarmente attento all’equilibrio glicemico e metabolico delle persone impegnate in un importante esercizio Adulti 55 Capirsi al volo 56 Fabio, 33 anni, si occupa di informatica da quando ne aveva 19 e lavora per un’importante società del mondo bancario. Ovvio che ami la tecnologia, quando funziona bene e porta dei vantaggi concreti, e che quindi da molti anni abbia un microinfusore. Non pensate però al maniaco di computer introverso e solitario. Fabio è un grande amante dello sport, della montagna e del windsurf in particolare, è sposato e da pochi mesi ha una figlia. Da ‘addetto ai lavori’ come le sembra l’interfaccia utente (la parte del software che ‘dialoga’ con l’utilizzatore fornendogli informazioni e opzioni) dei microinfusori? Molto buona. È un campo nel quale si vede un continuo miglioramento. Recentemente ho cambiato microinfusore e il nuovo riesce a proporre molte più opzioni senza essere complesso. A modo mio Come ha ottenuto questo risultato? Premesso che... non l’ho progettato, io credo che sia stato concepito per un utilizzo a due livelli: una serie di comandi semplici per l’utilizzatore e un ‘secondo livello’, più complesso e ricco di opzioni, per l’utente avanzato, si tratti del Team diabetologico che lo programma o dello stesso utilizzatore, che consentono di ‘personalizzare’ lo strumento. Direi che siamo ad alti livelli di user friendliness. Cos’è la user friendliness? È la facilità con la quale uno strumento o un software può essere utilizzato da una persona. Una caratteristica sulla quale negli ultimi anni l’informatica ha investito molte risorse. Lei è stato uno dei primi utilizzatori di microinfusore nella sua ASL, cosa l’ha spinta a chiedere di adottare questa modalità di assunzione dell’insulina? C’erano due aspetti. Uno clinico: io ho una sorta di ‘effetto Alba’ al contrario, di prima mattina la glicemia, invece di alzarsi, si abbassa. Era assai difficile gestire questa cosa con le iniezioni. E questo spiega forse perché sono un early adopter come si chiamano gli ‘utenti pilota’ dei nuovi strumenti. Ma altrettanto importante è la flessibilità che concede soprattutto negli orari. Ma il suo mestiere, progettare software, mi suona come una attività abbastanza sedentaria e regolare... Sedentaria lo è. Regolare no. Quando si lavora presso un cliente per esempio gli orari li decide lui. Non parliamo poi delle riunioni o dei problemi che sorgono all’ultimo momento e che ti fanno fare notte. E poi la flessibilità nei pasti. Mangio spesso fuori casa, in posti diversi. Impossibile prevedere cosa e quanto ti porteranno a tavola. Io ordino e quando arriva il piatto capisco di quante unità ho bisogno, premo un pulsante e faccio il bolo. Da quando è nata la bambina sarà più spesso a casa... Sì, ma la variabilità rimane. L’orario di cena lo decide lei. È il ‘cliente’ più esigente. Se quando arrivo dorme magari ceniamo alle 7, se è sveglia bisogna aspettare che dorma, se non si mette a piangere proprio mentre scoli la pasta... Non oso pensare a come avrei fatto a gestire questo periodo con le penne. Quando si lavora presso un cliente gli orari li decide lui. Non parliamo poi delle riunioni o dei problemi che sorgono all’ultimo momento e che ti fanno fare notte. Adulti 57 Sembrava una scommessa 58 A quarant’anni, bisogna ammetterlo, si diventa un po’ conservatori. Si cambiano malvolentieri le proprie abitudini, ogni ‘grande passo’ viene soppesato mille volte. «È stato difficile decidere», ammette Gaetano, 46 anni, «anche se, devo dire, avevo tutti gli elementi a disposizione». Cosa la frenava? Mah... le solite ansie. Devo dire che era un qualcosa di abbastanza irrazionale. Ho fatto un corso insieme ad altri pazienti e mi hanno spiegato tutto quello che c’era da sapere, i medici che mi seguivano avevano consigliato con una certa forza il microinfusore per risolvere il mio problema principale: improvvise e assai serie crisi ipoglicemiche. Mi hanno dato perfino per un paio di giorni il microinfusore da tenere a casa, ho letto il libretto delle istruzioni... Sono servite queste informazioni? Sì, soprattutto gli incontri con persone che già avevano il microinfusore. In ogni caso l’incertezza irrazionale rimaneva. Per quanto ti possano dare informazioni, non c’è nulla come provare a metterlo per qualche giorno, diciamo una settimana. Solo così puoi davvero convincerti. A modo mio E quindi? E quindi ‘mi sono buttato’ e ho detto al mio medico: “OK, proviamo”, assicurandomi che non ci sarebbe stato nessun problema se l’avessi riportato indietro. Ovviamente oggi non ci penserei nemmeno, ma i primi giorni temevo, chissà perché, che il microinfusore non facesse per me. Cosa consiglierebbe a un amico che si trovasse nella stessa incertezza? Di provare. Per quanto ti possano dare informazioni, non c’è nulla come provare a metterlo per qualche giorno, diciamo una settimana. Solo così puoi davvero convincerti che le tue ansie sono senza fondamento. Nel suo caso, nei primi giorni come è andata? Ero un po’ guardingo, controllavo continuamente il display, le prime notti mi svegliavo... ma già dopo una settimana, anche prima, era tutto a posto. Scarsa fiducia nella tecnologia? No, anzi, io uso computer, telefonini e quant’altro. Solo che quando la tecnologia è collegata al tuo corpo... è un’altra cosa: ‘hai voija’ come dicono a Roma. Come ha superato questa diffidenza? Con i fatti. Ho notato subito un miglioramento netto. Nella qualità della vita o nell’equilibrio glicemico? In tutti e due. Nel mio caso poi i due aspetti erano collegati. Io soffrivo di ipoglicemie molto serie che mi coglievano all’improvviso, o meglio avevo perso la capacità di accorgermi dei sintomi premonitori. Mi trovavo da un momento all’altro con la glicemia a 20 o 30, e poi magari rimbalzava a 400. A parte i rischi, è proprio deprimente subire questi alti e bassi. Ti sembra davvero di aver perso il controllo sulla tua vita. Qualsiasi cosa fai ti chiedi... “e se mi succede?”. Sui libri c’è scritto che - se si riescono a evitare ipoglicemie per alcune settimane o pochi mesi la capacità di percepire i segni premonitori della ipo si ristabilisce. È successo così anche nel suo caso? Sì, il diabetologo mi aveva spiegato Adulti 59 60 che questo era uno degli obiettivi cui si poteva puntare con la terapia con microinfusore: smussare gli ‘alti’ e i ‘bassi’ della glicemia, rendere meno frequenti e meno gravi le ipoglicemie e riprendere la sensibilità. In effetti così è successo. Le ipo non sono sparite del tutto, ma sono molto più rare, meno gravi, e me ne accorgo prima. Anche intervenire è più facile. Anche solo questo mi ha cambiato la vita, devo dire. Poi bisogna aggiungere il miglioramento dell’equilibrio e soprattutto la flessibilità e la qualità della vita. Io e mia moglie usciamo spesso, la primavera e l’estate a Roma ci sono un sacco di cose da fare, gli amici... ho anche ripreso a fare sport. Con il microinfusore puoi decidere all’ultimo momento, puoi fare un bolo senza alzarti da tavola. Insomma un successo pieno. Una scommessa vinta, quindi. Sì, sembrava una scommessa anche se in realtà non c’era nulla da perdere e solo da guadagnare. E pensare che io di lavoro mi occupo proprio di scommesse e concorsi a pronostici! A modo mio Tenacia e controllo Giuseppe se la ride. E si prende anche il gusto di canzonare bonariamente gli ‘esperti’ che gli dissero, una volta diagnosticato il diabete, che la sua carriera agonistica era finita, che un diabetico non può fare sport. A un congresso di medici Giuseppe, che tutti chiamano Pippo, intervenne con una proiezione che intercalava queste frasi fatte a immagini che lo vedevano impegnato in estenuanti maratone, gare nelle quali l’atleta di Marsala si è sempre classificato fra i primi. Il segreto? Una non comune forza di volontà e una grande capacità di autocontrollo. Chi non ha mai fatto gare di fondo, prima fra tutte la maratona, pensa che il segreto per arrivare al traguardo sia una straordinaria forza fisica. Non è così. Ci vuole un fisico allenato, ovviamente, ma soprattutto ci vuole una grande capacità di Adulti 61 controllare il corpo e la mente. È la forza di volontà che permette di partecipare con risultati di alto livello alle principali maratone italiane (quella ‘in casa’, di Palermo, quella di Carpi e di Roma), a molte mezze maratone e a competizioni su distanze minori come i 10 mila metri, per non parlare dei chilometri macinati ogni giorno in allenamento. 62 Da dove viene questa forza di volontà? Da sempre lo sport è la mia passione. Una passione che – senza mai puntare al professionismo – ho costantemente cercato di esprimere a buoni livelli. Ho iniziato con il tennis e poi ho scoperto il fondo, le lunghe distanze. Fino a quando il diabete ha... scoperto te. A 30 anni, è stata una mazzata, anche perché molti mi dicevano – o mi facevano capire – che sì, avrei potuto riprendere una vita normale, forse fare anche qualche corsetta, ma certamente senza esprimermi ai livelli cui puntavo. E invece... E invece la mia carriera è proseguita. Ho corso distanze più lunghe e ho avuto piazzamenti migliori. Certamente mi sono fermato per un po’, ho dovuto raggiungere un buon equilibrio glicemico, imparare molte cose in più sul metabolismo in generale, allenarmi dapprima su distanze medie, 5 chilometri, poi 10, poi mezze maratone, ne ho corse 22, e infine la regina delle gare, la corsa di 42 chilometri che ho fatto dieci volte anche in meno di tre ore. Molte cose in più... perché un maratoneta è già un esperto di metabolismo? Sì, è una gara che impegna una dopo l’altra tutte le fonti di energia dell’organismo. Quando corri devi sapere che ‘carburante’ stai usando: glucosio o grassi o gli stessi tessuti. E devi cercare di prevedere quando passerai da una fonte all’altra. In questo senso partivo ‘avvantaggiato’. Una persona che fa sport di questo tipo conosce e rispetta il funzionamento del proprio corpo. Da come parla sembra che il diabete sia un vantaggio... No, non lo è, ovviamente. Devi agire per ottenere un risultato, il compenso glicemico, che negli altri atleti è garantito. Ma non è nemmeno un ostacolo impossibile da superare. Una buona conoscenza del tuo metabolismo e la possibilità di controllarlo sono anche un aiuto. Il diabete aggiunge una dimensione in più al rapporto con il mio corpo. Devo fare ancora più attenzione all’alimentazione, devo sapere quanta insulina vuole, devo sapere se durante il percorso A modo mio ha bisogno di ingerire zuccheri o controllare se sta bene. Il diabete non è un ostacolo per chi vuole fare sport. Il messaggio che io porto correndo è proprio questo: “Chi ha il diabete, se vuole, può fare sport anche agonistico”. Tuttavia vorrei dire una cosa. Io correndo dimostro qualcosa, ma non corro per dimostrare qualcosa. Perché allora? Semplicemente corro perché mi piace, mi piace molto; non tolleravo che il diabete me lo impedisse. Mi piace quasi quanto mia moglie e le mie due gemelle. Grazie anche a lei, a loro, il diabete non ha distrutto i miei sogni. Ecco, credo che questo sia un messaggio che vale per tutti, anche per chi non ama correre o non ama fare sport. Il diabete non deve distruggere i tuoi sogni. Sei diverso, inutile negarlo, ma non devi sentirti malato. Detto in altre parole, sconfiggere il diabete nel senso di eliminare il problema ancora non si può. Ma sconfiggere l’idea che ci si fa del diabete è possibilissimo. Basta volerlo. E veniamo ora al microinfusore che usi da qualche mese. È come passare da una 500 a una Ferrari. A dire il vero anche con la ‘500’, con le penne, riuscivo a tenere ben sotto controllo le glicemie; ma quasi tutti gli amici che fanno sport con il diabete usano il microinfusore, e mi sono convinto che questo tipo di terapia poteva essere utile anche per chi compie sforzi di lunga durata ed estenuanti come avviene nel podismo. Ho iniziato e mi trovo bene, anche se ho dovuto imparare molte cose. Risultati? Ancora non ho partecipato a gare ma sono molto fiducioso. Vedo in questi allenamenti che ho fatto che il microinfusore – oltre a rendere più semplice la gestione del diabete – mi permette di condurre meglio la gara. Faccio un esempio: io ero costretto a iniziare la gara in iperglicemia. Se fossi partito con le glicemie in equilibrio avrei rischiato l’ipoglicemia, che significa doversi fermare e uscire dalla gara stessa o interrompere l’allenamento. Con il microinfusore, invece, posso dosare in ogni momento della gara l’insulinizzazione, posso Adulti 63 partire in equilibrio e mantenerlo per tutta la gara. Tra l’altro il microinfusore mi aiuta a gestire anche le ore dopo un allenamento o una gara. Nelle ore seguenti a uno sforzo importante infatti, i muscoli recuperano le riserve perse assorbendo glucosio dal sangue. Se non hai un mezzo per gestire bene questa fase, rischi di trovarti con una inattesa ipoglicemia. Nei primi mesi continuavo a correre e a controllare la glicemia raccogliendo dati e informazioni. Le prime gare le farò più tardi, dapprima 5 e 10 mila metri e poi mezze maratone e maratone e credo sinceramente che ne trarrò vantaggio. 64 È come passare da una 500 a una Ferrari. A dire il vero anche con la ‘500’, con le penne, riuscivo a tenere ben sotto controllo le glicemie; ma quasi tutti gli amici che fanno sport con il diabete usano il microinfusore. Cosa dirai quando concluderai la prima maratona con microinfusore? Credo che dirò quello che ho detto quando ho concluso la prima maratona con il diabete in tre ore e cinque minuti (un tempo di tutto rispetto): «Forza Pippo sei stato grande ancora una volta». A modo mio In caso di stress Quali sono le fonti principali di stress? Dover cambiare lavoro e inventarsene uno nuovo, un trasloco e la nascita di un figlio. Luca, 35 anni, le ha vissute tutte nell’arco di un anno circa. «Per fortuna, prima che iniziasse il caos avevo accettato la proposta di mettere il microinfusore», afferma Luca, convinto che con la terapia tradizionale non sarebbe stato possibile affrontare una fase di questo tipo. «La mia glicata che era intorno a 7 sarebbe schizzata a due cifre. Invece nell’insieme è andata bene. Gastriti, notti insonni, ansie di ogni tipo sono state tutto sommato ben assorbite dal lavoro continuo del microinfusore e dall’infusione ‘fisiologica’ della basale. E poi c’è il fatto che il microinfusore è di una comodità estrema». Si può parlare di comodità in una fase di stress come questa? In particolare in queste fasi. Prendiamo anche solo avere un bambino. Molti sanno di cosa sto parlando: passi la notte in bianco e magari potresti riposare la mattina, mangi quando hai un minuto libero... l’ultima cosa di cui hai bisogno in questi momenti è dover rispettare orari fissi per le iniezioni. I bambini non conoscono orari... E non te li fanno conoscere. Una volta forse erano solo le mamme a preoccuparsi, oggi anche i padri condividono gli impegni. Ci si alza di Adulti 65 notte, li si accompagna all’asilo, li si cambia, li si imbocca... tutto insomma. Io poi da qualche mese sono un libero professionista, posso passare diverse ore del giorno a casa e mia moglie invece lavora otto ore fuori. Non dico che si sono invertiti i ruoli ma... siamo pari. Il mio forse è un caso limite ma le cose sono cambiate rispetto anche solo ai nostri genitori. 66 Sono mutati i tempi: una volta si mangiava quando arrivava papà... Certo. Per una famiglia di oggi con uno o con due bambini come noi, il peso è distribuito in maniera molto più equa. E questo è giusto, è bello... ma dove lo mettiamo il diabete? Il microinfusore ti dà quella flessibilità che è sempre piacevole avere ma che in questi casi è assolutamente necessaria. Lei quindi consiglierebbe il microinfusore agli uomini con diabete che hanno figli piccoli? Non solo con i piccoli. Prendiamo il più grandicello. Se me lo chiede, posso uscire e andare a giocare a pallone con lui, abbasso la basale ed esco. E non solo a chi ha figli. Io sono entusiasta del microinfusore. Essendo presidente di una associazione fra persone con il diabete ho spesso contatti con amici insulinodipendenti e lo consiglio a tutti, è la cosa migliore inventata negli ultimi dieci anni. E cosa dicono i bambini a vederla con uno strano oggetto e un tubicino? Non è un problema, il microinfusore crea curiosità, è vero, mio figlio piccolo lo guarda, lo sfiora – devo dire molto delicatamente – capita a volte che io lo prenda in braccio a torso nudo e si impigli il piedino nel sondino, ma anche così non riesce a staccarlo. Devo dire che io non ho mai avuto nessun problema a farmi vedere né con il microinfusore né quando facevo le iniezioni. Però conosco persone che non amavano farsi vedere mentre si iniettavano insulina e ottenere questa privacy non è facile in famiglia: per loro il microinfusore ha un vantaggio in più. Passi la notte in bianco e magari potresti riposare la mattina, mangi quando hai un minuto libero... l’ultima cosa di cui hai bisogno in questi momenti è dover rispettare orari fissi. A modo mio Una corsa al giorno ti porta sul Pamir Con il microinfusore, Marco, 35 anni, alpinista per passione, è salito sul Pik Lenin, a 7134 metri, la più alta cima eurasiatica nell’altopiano del Pamir. Marco non è nuovo a queste imprese, co-fondatore e presidente di ADIQ, Alpinisti Diabetici In Quota, Marco è stato protagonista di numerose spedizioni nelle quali gruppi di esperti e semplici amanti della montagna accompagnati da medici, hanno scalato le vette più alte del globo: il Kilimangiaro, per esempio, o il Cho Oyu, un 8 mila himalayano. L’ascensione del Picco Lenin è stata la tappa più alta (è il caso di dirlo) di una spedizione composta da 24 persone, Islet 2005 che ha attraversato per un mese l’altopiano del Pamir nella Repubblica asiatica, ex sovietica, del Kirgizistan. «Queste iniziative», sottolinea Marco, «non servono tanto a far vedere che una persona con il diabete può ‘perfino scalare le più alte montagne del mondo’, anche se purtroppo ogni tanto è bene ricordarlo». Adulti 67 Anche solo per muoversi oltre i 4-5 mila metri di altezza è necessario un ottimo allenamento, occorre camminare a piedi o andare in bicicletta, anche in pianura, ogni giorno. 68 L’obiettivo di ADIQ e dell’ANIAD, l’Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici, co-organizzatrice di Islet e di altre iniziative, è piuttosto sottolineare lo stretto rapporto tra forma fisica e diabete. Non dico per fare scalate ma anche solo per muoversi oltre i 4-5 mila metri di altezza non occorre un ‘fisico bestiale’, ma è necessario un ottimo allenamento; la preparazione dunque è determinante: camminare a piedi o in bicicletta, anche in pianura, (Marco è di Vicenza) ogni giorno e passare molti weekend tra i 3 e i 4 mila metri di quota. «Io devo il mio buon controllo glicemico all’amore per la montagna. Mi sono accorto che non sarei mai diventato un buon scalatore senza avere un buon equilibrio glicemico e a quel punto ho trovato la motivazione per affrontare le sfide di ogni giorno. Il resto è venuto da sé...». E questo vale per tutti, con diabete e non. Marco tiene a sottolineare che un terzo dei componenti di Islet 2005 è arrivato in vetta e la proporzione fra persone con diabete e senza era la stessa. Il microinfusore, a dire il vero, non era previsto. Molti amici e compagni di scalate di Marco lo usano da tempo ma fino a pochi mesi prima della partenza, Marco si trovava benissimo con le sue ‘penne’. Perché ha deciso di cambiare? Molti amici e medici me ne avevano parlato bene. Io però resistevo. Pensavo che sarebbe stato scomodo, invasivo. Mia moglie mi ha convinto con il più saggio degli argomenti: “Provalo, che ti costa?” mi ha detto. L’ho sperimentato in ‘pianura’, poi negli allenamenti e infine ho deciso di tenerlo per la spedizione. Il Pamir è stata la mia ‘prima’ con il microinfusore. E come è andata? Bene e non solo per me. I microinfusori sono risultati, dall’esperienza che abbiamo intrapreso in Pamir, che aveva anche una serie di scopi medicoscientifici, come una modalità più duttile di assumere insulina. Chi ha usato la terapia per microinfusione ha mantenuto un controllo glicemico molto soddisfacente, riducendo le oscillazioni rispetto alla terapia multiiniezione tradizionale usata nelle precedenti spedizioni. Nel mio caso ricordo di aver misurato la ‘glicata’ prima della partenza e dopo l’arrivo. È rimasta praticamente identica. Al ritorno dalle precedenti esperienze d’alta quota l’emoglobina glicata invece risultava di molto superiore. A modo mio Come mai? L’esercizio fisico non manca certo... È vero, ma il problema di mantenere l’equilibrio glicemico resta. L’altitudine scatena la produzione di ormoni iperglicemizzanti: è un ‘fenomeno Alba’ continuo insomma. A questo bisogna aggiungere che in una spedizione di alta montagna non ti puoi portare i panini col pollo; devi per forza assumere cibi che diano il massimo nutrimento occupando il minimo spazio con il minor peso. Questo significa alimenti ad alto tenore di zuccheri e grassi che sballano la glicemia. Per esempio in questi casi impostando un bolo a onda doppia ho potuto evitare picchi iperglicemici a distanza dal pasto che altrimenti avrei dovuto inevitabilmente subire. Infine va considerato che lo sport, qualunque esso sia, praticato a livello agonistico comporta, per l’intensità e la quantità, un’ulteriore variabile rispetto all’equilibrio glicemico. Tutto questo si aggiunge ai problemi che conoscono bene anche gli ‘alpinisti della domenica’... Certo, in alcuni frangenti dell’attività alpinistica non puoi certo permetterti un’ipoglicemia, e anche una iperglicemia può ridurre la tua efficienza psicofisica. Il freddo non era un problema? No, proprio perché il microinfusore sta vicino all’unica cosa calda di cui si dispone a quelle altezze: il proprio corpo. Esiste invece un problema potenziale che è la formazione di bolle all’interno del reservoir di insulina, provocate dalla differenza di pressione. La cosa migliore è quindi riempire i reservoir uno o due giorni prima di usarli, in modo che le bolle abbiano il tempo di formarsi e quindi di essere fatte uscire prima di inserire la cartuccia nello strumento. Inutile dire che, quando la temperatura dentro la tenda scende a dieci, venti o anche trenta gradi sotto zero, il microinfusore è più facile da usare: meno pelle scopri, meglio è. In alta montagna devi assumere alimenti ad alto tenore di zuccheri e grassi che sballano la glicemia. Impostando un bolo a onda doppia ho potuto evitare picchi iperglicemici a distanza dal pasto. Adulti 69 Lo stesso vale per i reflettometri, immagino? Quando si è impegnati in uno sforzo importante è necessario misurare spesso la glicemia. Soprattutto quando stai facendo una spedizione e il luogo di cura più vicino è a sei giorni di marcia. Occorre quindi un sistema estremamente pratico, leggero e affidabile. Il che a 6-7 mila metri di altezza non è banale. 70 I componenti di Islet 2005 hanno avuto la possibilità di provare Aviva che ha mostrato grande accuratezza. Con la tecnologia disponibile anche solo quindici anni fa sarebbe stato impossibile portare a termine in sicurezza imprese come questa. Mi pare che uno dei problemi sia l’ematocrito: il sangue quando sei in alta quota è particolarmente denso di globuli rossi. Esatto. E non sono molti i reflettometri che rimangono affidabili in quelle condizioni. I componenti di Islet 2005 hanno avuto la possibilità di provare Aviva che ha mostrato grande accuratezza. Ma quello che mi preme dire è che in generale il progresso tecnologico è il protagonista nascosto di queste imprese. Con la tecnologia disponibile anche solo quindici anni fa sarebbe stato impossibile portare a termine in sicurezza imprese come questa. A modo mio La storia siamo noi Per chi ha il diabete a Forlì, Marisa è un punto di riferimento: fondatrice e attuale presidente dell’Associazione Diabetici Forlivesi, questa donna, con due figli e una nipotina, ha combattuto tante battaglie grandi e piccole, da quelle per l’applicazione della legge 115 in poi. «Aiutando gli altri ci si aiuta, anzi si riceve molto più di quello che si dà» commenta. Le Associazioni sono importanti per garantire la migliore assistenza alla persona con il diabete? Certo, Associazione e Centro di diabetologia svolgono ruoli complementari a vari livelli. Se ci sono certe decisioni da prendere a livello di ASL per esempio, un’Associazione può far valere la voce dei pazienti, che non sono pochi: solo come Associazione abbiamo oltre 1200 soci. Quello delle cifre e dei voti è un linguaggio che a livello di direttori di ASL, e fino in Regione, serve per essere più ascoltati, e per avere più peso anche con i medici. Lo stesso vale per le iniziative di dialogo e sensibilizzazione dell’opinione pubblica e soprattutto dei singoli. Noi abbiamo sempre avuto, come Associazione, la nostra sede proprio nel Centro di diabetologia, siamo decisamente, a tutti gli effetti, parte della ‘squadra’, con un ruolo preciso di appoggio e magari di istruzione al paziente. Adulti 71 Questo vale anche per i microinfusori? Direi di sì. Io ho portato il microinfusore per dieci anni e, dopo un periodo senza, l’ho rimesso recentemente; sono sempre stata disponibile a dare informazioni e a raccontare ‘com’è vivere con il microinfusore’. È un ruolo complementare ma serve: magari, al medico, un paziente non va a chiedere tante cose che per lui sono importanti, vuoi perché si vergogna, vuoi perché teme siano piccolezze. A me le chiedono. L’esperienza certo non mi manca e posso trasferirla assieme a tanti consigli utili. 72 Come sono cambiati i microinfusori in questi decenni? Sono cambiati radicalmente, sia sotto il profilo diciamo così ‘clinico’ (per esempio una volta non era possibile modificare il profilo basale) sia in termini di comodità del paziente. Del resto lo vediamo un po’ su tutto, pensiamo ai sistemi di iniezione, ai lettori della glicemia... le Case produttrici hanno messo a disposizione strumenti sempre più piccoli, leggeri, comodi, veloci e anche più sicuri. I microinfusori non fanno eccezione. Oggi hanno più allarmi, possono essere staccati facilmente. E lo stesso vale per gli aghi, più corti e più facili da inserire, o per i cerotti, che si attaccano molto bene alla pelle. Sono anche sempre Io non sono un diabetologo ma posso dire una cosa: se dopo quarant’anni di diabete non ho serie complicanze, il merito va sicuramente ai tanti anni che ho passato con il microinfusore. più semplici da usare e questo inoltre è importante soprattutto per i non giovanissimi. Lei consiglia a tutti il microinfusore? Il microinfusore permette di ottenere risultati in termini glicemici quando la terapia tradizionale non ci riesce. Questi risultati nel corso del tempo sono più marcati, si raggiungono più spesso e con minor fastidio. Certamente è indispensabile valutare attentamente il soggetto da trattare in quanto spesso c’è un rifiuto a portare un ago impiantato o a condividere con una ‘macchina’ la vita di tutti i giorni; spesso questi problemi si superano con un’adeguata informazione e una buona assistenza in fase iniziale. Sono aumentate l’efficacia clinica e allo stesso tempo la comodità per il paziente. Esatto, io non sono un diabetologo ma posso dire una cosa: se dopo quarant’anni di diabete non ho serie complicanze, il merito va sicuramente ai tanti anni che ho passato con il microinfusore. A modo mio al nostro corpo l’assoluta perfezione. La pubblicità ci martella in continuazione con immagini di sessantenni super giovanili. Vogliamo la gioventù eterna. È molto difficoltoso, forse oggi più di ieri, accettare il fatto che si ha una malattia cronica, e che può essere gestita in maniera semplice ed efficace. Cosa invece non è cambiato in questi decenni? Non è cambiata la mentalità delle persone e nemmeno l’informazione. Oggi come ieri nessuno sa cosa sia il diabete di tipo 1, e anche sul diabete di tipo 2 c’è poca informazione corretta. La reazione all’esordio del diabete di tipo 1, e anche quando si rileva un diabete di tipo 2, non è cambiata. In questi decenni, insomma, il diabete viene curato molto meglio e con molti minori fastidi. Ma la gente non lo sa e continua a essere spaventata oppure a banalizzare. È un problema solo di informazione? No, anche di mentalità. Penso ai quarantenni o cinquantenni che scoprono di avere il diabete di tipo 2 e si trovano a dover controllare la glicemia o a prendere qualche farmaco: per loro la diagnosi è un macigno. Il fatto è che oggi chiediamo Adulti 73 ‘Indossare’ il microinfusore 74 «Io il diabete me lo vivo benissimo, nessun problema a parlarne ma... quando e con chi voglio io». Sabina, 33 anni, impiegata in una grande azienda della sua zona, fa una vita normalissima, anzi un po’ più che normale: riceve fornitori (si occupa di macchine per la produzione di mobili) e molti weekend sale sulla moto e, insieme a un gruppo di amici, gira l’Italia o partecipa a motoraduni dormendo, se capita, in tenda. Molte sere esce a ballare o va al mare, che è a mezz’ora di macchina. Al microinfusore è arrivata per ragioni cliniche, un diabete un po’ difficile da trattare con la terapia iniettiva classica. «Mi sono fatta le domande che si fanno tutti: “Si vedrà?” “Non si vedrà?”, “Al Secondo me, quando per i fidanzati il diabete è un problema i casi sono due. O sono fidanzati che non valgono nulla o sei tu che in realtà vivi male il diabete e il fidanzato ti ributta il tuo disagio. Lo stesso vale per gli amici. mio fidanzato farà o non farà un brutto effetto?”..., poi mi sono resa conto che stavo sbagliando l’approccio: non sono io che devo adattare la mia vita al microinfusore ma lui che deve adattarsi a me». Cosa intende dire? Facciamo un esempio concreto... Una delle prime cose che ho pensato è stato: “Oddio, adesso devo cambiare A modo mio tutto il mio guardaroba, perché con gli abiti che mi piacciono si vede”. Ma questo è sbagliato, e ho fatto mille prove per capire come metterlo anche con i vestiti che ho e che voglio tenere. E adesso... Ora mi trovo benissimo ricorrendo a un trucco che mi ha consigliato l’esperto della Roche Diagnostics: metto il microinfusore alla caviglia, il catetere sale su e arriva alla parte alta del gluteo o della pancia dove c’è il set di infusione. È fantastico perché non si vede assolutamente e posso controllare il display semplicemente incrociando le gambe e sollevando un poco l’orlo dei pantaloni. Posso usare i miei jeans con tranquillità e con il sito di infusione nel gluteo posso anche tenere l’ombelico fuori. Geniale! Ho provato di tutto, sono piccolina e magra per cui altre soluzioni classiche, come appenderlo al reggiseno o sui fianchi, non funzionavano. Questa è una delle migliori. Ma sono anche andata al mare sa? È stata una bellissima prova! E come ha fatto? Sono andata da sola perché... era la prima volta. Mi sono sdraiata sul bagnasciuga e un’altra volta sul lettino, ho messo il microinfusore sotto un asciugamano, più che altro perché non prendesse caldo, e stando a pancia in su non si vedeva nulla. Per fare il bagno ho controllato la glicemia, ho fatto un bolo piccolissimo, ho staccato il catetere e via in acqua. Insomma è una questione di abilità e di ingegno... È anche una questione di testa. Io ho girato tanti ospedali, ho visto tanta gente che stava male per davvero. Per questo non sopporto che semplici conoscenti mi guardino con l’aria di dire ‘poverina’. E neppure mi va che tutti vedano il microinfusore. Ma con i miei amici non c’è problema. Anche il mio fidanzato è tranquillissimo. Io sono alta 155 centimetri e peso 40 chili. Se sono riuscita a nasconderlo io e a non avere problemi, vuol dire che lo possono fare tutti. Adulti 75 Bravo! Bravo lui e brava io!. Secondo me, quando per i fidanzati il diabete è un problema i casi sono due. O sono fidanzati che non valgono nulla o sei tu che in realtà vivi male il diabete e il fidanzato ti ributta il tuo disagio. Lo stesso vale per gli amici. 76 È un consiglio che darebbe a tutti? Certo. Per prima cosa devi chiarirti le cose in testa. Poi devi capire che il microinfusore è fatto per seguire quello che vuoi fare, e non viceversa. Quanto a nasconderlo: io sono alta 155 centimetri e peso 40 chili, ho un lavoro impegnativo e faccio la vita di una ragazza... Se sono riuscita a nasconderlo io e a non avere problemi, vuol dire che lo possono fare tutti. A modo mio Gravidanza da manuale Serena è proprio... serena con il suo pancione al quarto mese. Ha fatto le cose come si dovevano. Sapeva che per azzerare i rischi, non solo la gravidanza ma anche il concepimento devono avvenire in una situazione di perfetto controllo glicemico. «Il mio controllo era buono, ma non perfetto», ricorda Serena. L’emoglobina glicata era intorno a 8, soprattutto a causa di un marcato ‘fenomeno Alba’. «Le iperglicemie mattutine spesso ti rovinano la giornata; parti con il piede sbagliato e non riesci più a imbroccare una glicemia normale fino a sera», ricorda Serena. Quando ha deciso di volere un bambino è andata dalla diabetologa che la segue da anni e insieme hanno deciso di provare a utilizzare il microinfusore per raggiungere un obiettivo ambizioso: portare l’emoglobina glicata sotto il 6,5%. Il successo è stato completo. Ci è voluto un po’ di tempo ma ora Serena e il Team che la segue ‘vantano’ un equilibrio glicemico perfetto: 6,1%. L’arma segreta che ha consentito di raggiungere questi livelli è stato il microinfusore, che viene ormai consigliato di routine alle donne con diabete che desiderano avere un figlio per prepararsi al concepimento e per gestire le varie fasi della gravidanza. Adulti 77 78 È stato facile? Ovviamente raggiungere ‘quota 6’ richiede tempo, io ho sempre seguito un’alimentazione corretta e su quel punto non ho dovuto lavorare molto. La terapia con microinfusore comporta diversi elementi di novità, ma io già seguivo una terapia insulinica caratterizzata da una ‘basale’ garantita dall’analogo lento e da ‘boli’ di insulina ultrarapida per i pasti. Sapevo quindi come adeguare le dosi preprandiali ai pasti. Le basi quindi erano buone, ma raggiungere la perfezione significa misurare e ogni volta ragionare: capire perché la glicemia non va bene e ricordarsi, se invece va bene, cosa ha permesso di ottenere questo risultato. La cosa difficile è stata trovare uno schema insulinico basale capace di far sparire il ‘fenomeno Alba’. Ho dovuto intensificare i controlli arrivando anche a 10 glicemie al giorno. ‘Al giorno’ è un modo di dire perché misuravo la glicemia anche di notte. Non ero abituata a svegliarmi di notte. Ora succede? Sì, ora succede; al quarto mese la pancia inizia a farsi sentire, e trovare la posizione giusta per dormire non è facile. Mi capita quindi di essere sveglia alle 3 o alle 5. In compenso, però, sono a casa dal lavoro e quindi perdere qualche decina di minuti di sonno non è un gran problema. Oltre al pieno successo, diciamo così, glicemico, nota anche dei miglioramenti nella qualità della vita? Sicuramente sì; li ho notati soprattutto quando non aspettavo e quindi facevo una vita più normale: puoi gestire i tuoi orari con maggiore flessibilità, per esempio. Ora, però, sono concentrata sull’‘operazione gravidanza’. Il microinfusore permette di far fronte a una tipica difficoltà che si presenta nel primo trimestre di gravidanza, suddividendo i boli o affiancando a un bolo una basale temporanea più alta... Intende dire le nausee? Io le ho avute. Devo dire che la mia è una gravidanza da manuale. Tutto quello che può accadere è accaduto. Nausee terribili: non sopportavo l’aroma del caffè, per esempio, o certi odori tipici della cucina. Facevo da mangiare con bocca e naso coperti da un fazzoletto ripiegato tipo ‘rapina nel Far West’! Non mi è successo però di dover interrompere un pasto o di rimettere. Ho scoperto il ‘trucco’ di prepararmi pasti brevi, magari con un piatto unico, in modo da avere la sicurezza di finirli. Lo schema insulinico immagino debba essere corretto periodicamente per adeguarsi alle variazioni nel fabbisogno di insulina tipiche della gravidanza... A modo mio Certamente. Io vado al Servizio di diabetologia una volta ogni due o tre settimane. I libri dicono che nel I trimestre, l’organismo della donna in attesa diventa più sensibile all’insulina? È esattamente quello che mi è successo. Abbiamo dovuto ridurre di diverse unità sia la basale sia i boli. Ora sono all’inizio del II trimestre e – come da manuale – sto sperimentando, al contrario, una certa insulinoresistenza. Quindi abbiamo dovuto alzare la basale e soprattutto aumentare i boli prandiali. In compenso la pancia mi permette di nascondere un po’ meglio il microinfusore. Io sono piuttosto magra e, soprattutto nella bella stagione, non sapevo bene come indossarlo. Fra qualche mese forse, avrà anche qualche difficoltà di digestione. L’aumento di dimensioni della placenta potrebbe alzare il diaframma riducendo lo spazio per lo stomaco... Mi succede già adesso. Ma, almeno per ora, più che una difficoltà di digestione, sperimento una sensazione di sazietà anticipata. È come se lo stomaco fosse diventato più piccolo. Mangio il giusto e mi sento piena come dopo un banchetto. Terminata la gravidanza pensa di continuare a usare il microinfusore? Non so, tutto sommato io andavo piuttosto bene anche con la terapia tradizionale. Certo che se i primi mesi e anni di vita con il neonato sono davvero come dicono... una certa flessibilità nella terapia potrebbe far comodo. Perché lo voleva nascondere? Non per nascondere il diabete ma... per velocità. Tante persone lo notano e ti chiedono. Una cosa è essere disponibili a parlarne, un’altra è avere il tempo di spiegare a tutti cos’è il microinfusore, cos’è il diabete... Al quarto mese già si nota una certa pancia. Dove applica il microinfusore? Sempre nello stesso punto, sull’addome. So che a qualche donna fa impressione ‘bucare’, anche se solo sottocute, la pancia. Forse capiterà anche a me quando sarà davvero pronunciata e tesa, ma per ora no. Adulti 79 TÀ A modo mio Giovani e adulti raccontano com’è vivere con il microinfusore. LI BER www.accu-chek.it www.microinfusori.it 00042000935 0406 A modo mio Giovani e adulti raccontano com’è vivere con il microinfusore C ON I Q U I S TA D