Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
A Virgin River Christmas
Mira Books
© 2008 Robyn Carr
Traduzione di Maria Claudia Rey
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l
Luxembourg.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi
riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
ebook ISBN 978-88-6183-590-0
www.eHarmony.it
Questo ebook contiene materiale
protetto da copyright e non può
essere copiato, riprodotto, trasferito,
distribuito, noleggiato, licenziato o
trasmesso in pubblico, o utilizzato in
alcun altro modo ad eccezione di
quanto è stato specificamente
autorizzato dall’editore, ai termini e
alle condizioni alle quali è stato
acquistato
o
da
quanto
esplicitamente previsto dalla legge
applicabile. Qualsiasi distribuzione
o fruizione non autorizzata di questo
testo così come l’alterazione delle
informazioni elettroniche sul regime
dei diritti costituisce una violazione
dei diritti dell’editore e dell’autore
e sarà sanzionata civilmente e
penalmente secondo quanto previsto
dalla Legge 633/1941 e successive
modifiche.
Questo ebook non potrà in alcun
modo essere oggetto di scambio,
commercio, prestito, rivendita,
acquisto rateale o altrimenti diffuso
senza il preventivo consenso scritto
dell’editore. In caso di consenso,
tale ebook non potrà avere alcuna
forma diversa da quella in cui
l’opera è stata pubblicata e le
condizioni incluse alla presente
dovranno essere imposte anche al
fruitore successivo.
Robyn Carr
Le stagioni di
Virgin River
Prologo
Ritta accanto alla Volkswagen verde
mela, Marcie rabbrividì. Il sole si
era appena alzato sull’orizzonte, ma
era un pallido sole di novembre che
scaldava a malapena. Sul sedile
posteriore, Marcie aveva messo un
frigo portatile con bibite e snack, nel
bagagliaio c’erano dodici bottiglie
di acqua minerale, e un thermos di
caffè stava sul sedile del
passeggero. Si era anche portata un
sacco a pelo, nel caso che i letti dei
motel non fossero di suo gradimento.
Nella sacca di tela c’erano jeans
pesanti, felpe e maglioni, calzettoni
spessi e stivali imbottiti, insomma
l’abbigliamento giusto per girare i
paesini di montagna. Adesso Marcie
non vedeva l’ora di partire, ma i
suoi fratelli Erin e Drew non si
decidevano a lasciarla andare.
«Hai preso le carte telefoniche, in
caso il cellulare non funzionasse?»
domandò Erin.
«Sì, certo.»
«Sicura di avere abbastanza
denaro?»
«Sì, stai tranquilla.»
«Mancano meno di due settimane
al Ringraziamento» aggiunse Erin.
«Non credo che ci metterò tanto»
rispose Marcie per evitare altre
discussioni. «Vedrai che troverò Ian
molto in fretta, perché ormai penso
di averlo localizzato.»
«Vorrei tanto che ci ripensassi»
insistette Erin. «Il mio studio legale
impiega degli ottimi investigatori
privati. Potremmo trovare Ian in
pochissimo tempo, e incaricare
l’investigatore di consegnargli gli
oggetti che vuoi dargli.»
«Drew, diglielo tu» lo implorò
Marcie.
Drew trasse un gran respiro.
«Vuole trovarlo lei, sapere come
sta, passare un po’ di tempo con lui,
dargli le figurine del baseball e la
lettera» spiegò. «Poi tornerà a
casa.»
«Ma potremmo farlo noi e...»
Marcie mise una mano sul braccio
della sorella e la guardò con
espressione determinata. «Erin,
smettila. Non posso andare avanti
con la mia vita finché non avrò
portato a termine questo compito, e
lo voglio fare a modo mio. Ne
abbiamo parlato a sufficienza, e io
so benissimo che tu la consideri una
stupidaggine, ma è quel che farò.»
Poi si le si avvicinò e la baciò sulla
guancia. Erin, bionda, snella e
sofisticata, le faceva da madre da
quando Marcie era una bimba: e
aveva difficoltà ad abbandonare
quel ruolo. «Non devi preoccuparti»
aggiunse. «Non ce n’è motivo. Sarò
prudente, e non starò via molto.»
Poi diede un bacio anche a Drew.
«Non puoi darle uno Xanax o
qualcosa di simile?» sussurrò. Drew
studiava medicina e per il momento
non poteva prescrivere medicinali di
alcun genere.
Lui ridacchiò e l’abbracciò. «Tu,
piuttosto, vedi di sbrigartela in
fretta. Altrimenti Erin mi farà
impazzire.»
Marcie guardò severamente la
sorella maggiore. «Trattalo bene» la
ammonì. «Tornerò prima di quanto
pensi.» Dopo di che salì in macchina
e mise in moto, lasciandoli in piedi
davanti a casa; e arrivò fino
all’ingresso dell’autostrada prima di
cedere alle lacrime. I suoi fratelli
erano preoccupati, lo sapeva bene.
Ma lei non poteva agire altrimenti.
Suo marito Bobby era morto da
anno circa, a soli ventisei anni, dopo
aver trascorso tre anni in ospedale,
dapprima, e poi in un istituto. Era
stato ferito durante una missione in
Iraq, dove prestava servizio nei
Marine, e aveva riportato danni
cerebrali irreversibili. Ian Buchanan
era il suo migliore amico e aveva
intenzione di restare in servizio per
vent’anni almeno, ma poco dopo
l’incidente
di
Bobby aveva
abbandonato i Marine ed era sparito.
Marcie sapeva bene che Bobby
non sarebbe mai guarito, e in un
certo senso ne aveva pianto la morte
fin dall’inizio; perciò quando il
marito aveva smesso di soffrire si
aspettava di provare soltanto
sollievo, soprattutto per lui. Vedova
a ventisette anni, pensava di
ricominciare a vivere: di riprendere
gli
studi,
viaggiare,
magari
frequentare altri uomini. Ma dopo un
anno era ancora allo stesso punto:
non riusciva a capire perché l’uomo
che Bobby ammirava più di tutti e
considerava un fratello non aveva
più telefonato né scritto, ed era
come scomparso. Si era estraniato
da tutti, dai suoi colleghi Marine,
dal padre, da lei – la moglie del suo
migliore amico!
E poi c’erano le figurine del
baseball. Marcie sapeva benissimo
che la cosa era ridicola, ma lei
voleva che Ian le avesse. Fin da
quando lo aveva conosciuto, a
quattordici anni, Bobby teneva
moltissimo alla sua collezione di
figurine; e in Iraq, parlandone con
Ian, aveva scoperto che condivideva
la sua passione. Bobby aveva scritto
a Marcie raccontandoglielo, e
dicendo che avevano intenzione di
scambiarsele. L’idea che Bobby e
Ian parlassero di baseball e di
figurine mentre davano la caccia ai
ribelli nel deserto iracheno era
surreale... ma era andata proprio
così.
Infine c’era la lettera, scritta da
Bobby poco prima di essere ferito.
Parlava solo di Ian, di quanto Bobby
lo
ammirasse
e
desiderasse
diventare come lui: di quanto fosse
bravo e coraggioso, di come sapesse
scherzare con i suoi uomini e usare
la sua autorità quand’era necessario,
di come sapesse incoraggiarli in
battaglia o quando ricevevano una
lettera d’addio dalle fidanzate. Ian
sapeva
farli
ridere,
ma
all’occorrenza li faceva lavorare
duramente; insegnava loro ad essere
coraggiosi
ma
prudenti
e
disciplinati, in modo da non
rischiare inutilmente. In quella
lettera Bobby aveva detto a Marcie
che sperava di ottenere il sostegno e
l’aiuto di Ian, se avesse deciso di
fare la carriera militare. Se avesse
potuto diventare come Ian Buchanan,
anche solo in parte, ne sarebbe stato
estremamente orgoglioso. Tutti lo
consideravano come un eroe,
scriveva: una specie di leggenda.
Marcie non voleva separarsi da
quella lettera, ma voleva che Ian la
leggesse e sapesse quel che Bobby
provava per lui.
Nell’ultimo anno, dopo la morte
serena del marito, Marcie aveva
cercato di sopravvivere come
meglio poteva: aveva superato bene
o male il giorno del compleanno di
Bobby, il loro anniversario, le varie
festività. Ma c’era sempre qualcosa
di irrisolto, di non concluso.
Qualcosa mancava.
Ian aveva salvato la vita di
Bobby. Purtroppo non era servito,
Bobby non era mai più stato quello
di prima: tuttavia, Ian aveva sfidato
la morte per portarlo in salvo. E poi
era scomparso. Semplicemente,
Marcie non poteva lasciar perdere.
Non aveva molto denaro. Da
cinque
anni
lavorava
come
segretaria in una ditta, ma lo
stipendio non era molto alto e non
sarebbe bastato per mantenere una
famiglia. Fortunatamente il suo capo
era molto comprensivo e le aveva
dato tutto il tempo necessario per
badare a Bobby, perché, subito dopo
essere stato ferito, era stato
trasportato prima in Germania e poi
a Washington, e naturalmente Marcie
gli era stata vicina. All’epoca
Bobby
guadagnava
circa
millecinquecento dollari al mese, ma
le spese per le cure erano altissime
e quello stipendio non poteva certo
bastare. Erin e la famiglia di Bobby
erano più che disposte a contribuire,
ma ciononostante lei aveva sfruttato
al limite le carte di credito e aveva
finito col chiedere un prestito alla
banca. Nemmeno la liquidazione era
servita a pagare tutti i conti.
Il miracolo era avvenuto quando
Bobby era stato mandato a Chico, in
un istituto finanziato da CHAMPUS,
un’organizzazione che si occupava
dei problemi sanitari dei militari.
Non tutti i militari disabili
riuscivano
a
rientrare
nel
programma di assistenza, ma Erin
aveva messo all’opera le sue
notevoli capacità e la sua esperienza
legale e aveva ottenuto tutti i
possibili contributi finanziari dal
corpo dei Marine. Aveva inoltre
pagato tutti i conti di casa in
sospeso, e riusciva anche a
finanziare gli studi universitari del
fratello.
Perciò, per questo viaggio Marcie
non aveva voluto accettare da Erin
nemmeno un centesimo. Drew aveva
qualche soldo da parte, ma era un
povero studente e i suoi risparmi
erano piuttosto scarsi. Per mettersi
in viaggio alla volta delle montagne
californiane sarebbe stato più
pratico aspettare fino a primavera, e
magari mettere da parte qualche
soldo in più. Ma si avvicinava
l’anniversario della morte di Bobby,
e Marcie era decisa a concludere la
sua ricerca una volta per tutte. Non
sarebbe stato magnifico trovare Ian e
riallacciare i contatti con lui prima
di Natale? Fugare i dubbi, cacciare
tutti i fantasmi, trovare le risposte
alle
domande
in
sospeso.
Ricominciare a vivere...
1
Marcie entrò nel villaggio, il sesto
che visitava quel giorno, e si trovò
di fronte a un gruppo di persone
intente a decorare un albero di
Natale. Un albero enorme.
Parcheggiò davanti a uno chalet
con una grande veranda, spense il
motore e scese. Tre donne stavano
appendendo decorazioni a un abete
alto circa nove metri. Una aveva
circa l’età di Marcie, con morbidi
capelli neri, e reggeva una grossa
scatola, probabilmente piena di
palle colorate. Un’altra era sulla
settantina, con corti capelli bianchi
un po’ ispidi e un grosso paio di
occhiali dalla montatura nera. La
terza, una giovane donna bionda, era
arrampicata in cima a una scala.
L’albero stava tra lo chalet e una
chiesa le cui finestre erano ricoperte
di assi inchiodate. Una sola aveva i
vetri cattedrali ancora intatti.
Mentre Marcie osservava le tre
donne, un uomo uscì dallo chalet,
vide la scena, imprecò e si avvicinò
alla scala a grandi passi. «Non
muoverti» ordinò. «Resta dove sei.»
Poi salì i gradini a due a due,
raggiunse la bionda e la cinse alla
vita, sopra un ventre appena
arrotondato dall’inizio di una
gravidanza.
«Adesso
scendi.
Adagio.»
«Jack, lasciami in pace!» protestò
la donna.
«Se sarà necessario ti porterò giù
di peso» replicò lui testardo.
«Scendi subito da lì.»
«Per l’amor del cie...»
«Subito!»
La bionda cominciò a scendere
uno scalino alla volta, appoggiata al
corpo robusto dell’uomo. Arrivati a
terra si voltò a guardarlo truce, con
le mani sui fianchi. «Non correvo
alcun pericolo!» protestò.
«Che ti è saltato in testa? E se
fossi caduta?»
«La scala è solidissima, non
potevo cadere!»
«Adesso predici anche il futuro?»
ribatté lui. «Brontola pure finché
vuoi, non ti lascio salire fin lassù
nelle tue condizioni. Ti sorveglierò
giorno e notte, se sarà necessario!»
Poi diede un’occhiata alle altre due
donne.
«Io gliel’ho detto che ti saresti
arrabbiato»
disse
la
bruna
scrollando le spalle.
L’uomo chiamato Jack spostò lo
guardo sulla donna dai capelli
bianchi. «Ah, io non mi immischio
nelle faccende private» fece lei.
«Questi sono affari vostri.» E
respinse sul naso gli enormi
occhiali.
Guardando i quattro, Marcie ebbe
un tremendo attacco di nostalgia. Era
in viaggio solo da poche settimane,
ma le mancavano terribilmente le
piccole discussioni in famiglia, le
amiche, il lavoro. Le mancava Erin
con il suo atteggiamento autoritario,
le innumerevoli ragazze di Drew, la
famiglia di Bobby.
Non era tornata a casa per il
Ringraziamento, perché temeva che
se avesse ceduto anche solo per un
paio di giorni non sarebbe mai
riuscita a liberarsi di nuovo dalla
stretta protettiva della sorella. Chico
distava solo poche ore di macchina,
ma tutti pensavano che lei stesse
facendo una grossa stupidaggine:
perciò Marcie aveva telefonato di
tanto in tanto, dicendo che aveva
indicazioni attendibili su Ian e che
stava per localizzarlo. Il che era una
menzogna. Non si stava affatto
avvicinando alla meta. E per di più
c’era un problema sempre più
impellente: il suo denaro stava
finendo.
Ultimamente
aveva
cominciato a dormire in macchina
anziché nei motel, ma la temperatura
stava scendendo e le sue notti erano
sempre meno confortevoli. Di lì a
poco avrebbe cominciato a nevicare,
e se sulle strade si fosse formato il
ghiaccio la sua Volkswagen sarebbe
slittata via come niente.
Ma lei non voleva rinunciare.
Voleva assolutamente completare la
propria missione, e se non ci fosse
riuscita questa volta avrebbe
riprovato a primavera. Però le
seccava arrendersi...
Marcie si rese conto che i quattro
la stavano fissando. Ravviò i lunghi
capelli rossi e disse: «Ehm... se
volete posso salire io sulla scala.
Non soffro di vertigini né altro».
«Non è mica obbligata» disse la
bionda con un sorriso.
«Ci salgo io» decretò Jack con
un’occhiataccia alla moglie. «O
trovo qualcuno che ci vada – ma
certo non sarai tu.»
«Jack, potresti almeno essere
educato» lo rimproverò lei.
L’uomo si schiarì la voce. «Ehm...
grazie, non si preoccupi. Possiamo
fare qualcosa per lei?»
«Be’, ecco...» Marcie prese una
foto dalla tasca del giubbotto
imbottito e gliela porse. «Sto
cercando quest’uomo. È scomparso
circa tre anni fa, ma so che si trova
da queste parti perché, a quanto
pare, ritira la corrispondenza
all’ufficio postale di Fortuna.»
«Dio santo» commentò l’uomo.
«Lo conosce?» domandò Marcie
speranzosa.
«No, ed è strano» disse lui
osservando la foto di Ian in divisa,
completo di berretto e medaglie.
«Non credevo ci fosse un Marine nel
raggio di cinquanta miglia di cui non
avevo almeno sentito parlare.»
«Può darsi non voglia far sapere
che era nei Marine» spiegò Marcie.
«I suoi rapporti con il Corpo sono
stati un po’ difficili, verso la fine.»
L’uomo la guardò con simpatia.
«Sono Jack Sheridan» si presentò.
«Questa è mia moglie Mel, lei è
Paige» continuò accennando alla
donna bruna. «E la signora è Hope
McCrea, il nostro factotum»
continuò tendendo la mano.
Marcie la strinse. «Io sono
Marcie Sullivan.»
«Perché cerca quest’uomo?»
domandò Jack.
«È una lunga storia» rispose lei.
«È un amico del mio defunto marito,
e non sono nemmeno sicura che
abbia ancora questo aspetto. È stato
ferito in Iraq, dovrebbe avere una
cicatrice sulla guancia sinistra e gli
manca
il
sopracciglio.
E
probabilmente ha la barba – per lo
meno ce l’aveva l’ultima volta che è
stato visto da queste parti circa tre
anni fa.»
«Qui attorno le barbe non
mancano» osservò Jack. «È una zona
di boscaioli, e a volte gli uomini
sono un po’ trasandati.»
«Potrebbe essere cambiato per
altri versi» aggiunse lei. «Adesso ha
trentacinque anni, e la foto è stata
scattata quando ne aveva ventotto.»
«Ed è un amico di suo marito, ha
detto? Era anche lui nei Marine?»
«Sì» confermò Marcie. «Ho perso
i contatti con lui da tempo, e vorrei
ritrovarlo.»
Jack studiò la foto per un poco.
«Venga nel bar. Mangia qualcosa,
magari si beve una birra, e poi mi
racconta perché vuole ritrovarlo.
Che ne dice?»
«Il bar?» disse lei guardandosi
intorno.
Jack indicò lo chalet. «Quello. È
un
bar
ristorante,
possiamo
chiacchierare mentre lei mangia un
boccone.»
«Oh» disse Marcie. Erano quasi
le quattro e il suo stomaco
brontolava, ma lei non aveva
pranzato perché voleva risparmiare
per comprarsi la benzina. Più tardi
avrebbe cercato qualcosa di molto
economico, tipo una pagnotta di
pane raffermo da mangiare con il
burro di noccioline che le era
rimasto. Poi avrebbe cercato un
posto sicuro in cui parcheggiare e si
sarebbe chiusa in macchina per la
notte. «Berrei molto volentieri un
bicchier d’acqua» disse. «Ho
guidato per ore, mostrando quella
foto a decine di persone, e ho
davvero sete. Ma non ho molta
fame.»
«Ah, l’acqua non ci manca di
certo» sorrise lui. Le mise una mano
sulla spalla e si avviò con lei verso
il bar, ma poi si fermò corrugando la
fronte. «Vada avanti» disse. «La
raggiungo subito.»
Marcie salì sulla veranda, si voltò
per vedere che cosa faceva Jack e
capì che stava confiscando la scala
in modo che alla moglie non venisse
in mente di usarla. Era una lunga
scala a libro, estensibile, che una
volta ripiegata era alta circa un
metro e mezzo: e lui la portava con
una mano sola, come se non pesasse
niente. Dietro di lui la moglie gridò:
«Sei un insopportabile tiranno!
Dove sta scritto che devo prendere
ordini da te?».
Lui sorrise come se Mel gli
avesse appena mandato un bacio,
entrò nel locale e portò la scala in
una stanza dietro il bancone.
Marcie trasse un gran respiro e
pens ò: Non riuscirò a resistere .
Dalla cucina veniva una serie di
profumi deliziosi: qualcosa di caldo
e aromatico, come uno stufato o una
zuppa, pane appena sfornato,
cioccolato. Lei si premette una mano
sullo stomaco per tacitare il
brontolio.
Jack tornò di lì a poco reggendo
un vassoio su cui c’era una ciotola
fumante, e lo depose di fronte a lei.
Era chili con carne accompagnato da
pane di mais, burro, una ciotolina di
insalata mista. «Davvero» protestò
lei debolmente, «non ho fame...»
Lui riempì un boccale di birra
alla spina, e Marcie deglutì. Ancora
un attimo, pensò, e avrebbe sbavato
sul bancone. Le erano rimasti trenta
dollari, ma non poteva certo
sprecarli per un pasto invece di
riempire il serbatoio e continuare la
sua ricerca nei paesini dei dintorni.
«Bene, mangi solo quel che le va»
replicò Jack. «Ho mostrato la foto a
Preacher, il mio cuoco, ma nemmeno
lui conosce quel tipo. Più tardi
possiamo chiedere a Mike, il
poliziotto del paese. Lui conosce
tutte le strade secondarie della zona,
può darsi che sappia qualcosa di
più. Sono ex Marine tutti e due.»
«Mi dice dove mi trovo,
esattamente?»
«A Virgin River. Popolazione,
seicentoventisette persone, secondo
l’ultimo censimento.»
«Abbastanza grande da figurare
sulle carte geografiche» osservò lei.
«Lo spero bene. In confronto a
certi paesini sperduti siamo una
metropoli. Coraggio, lo assaggi»
disse Jack accennando alla ciotola.
Marcie prese il cucchiaio con una
certa esitazione, lo riempì e portò
alla bocca il chili più buono che
avesse mai assaggiato. Sospirò,
conquistata.
«È carne di cervo» spiegò Jack.
«Lo abbiamo preso un paio di mesi
fa, e Preacher ha preparato e
surgelato
dei
meravigliosi
hamburger, stufati e salsicce.»
Indicò un grosso barattolo di
striscioline di carne secca che stava
appoggiato sul bancone e aggiunse:
«Sa fare anche la miglior carne
secca della zona».
Marcie sospirò di nuovo, quasi
commossa dalla bontà del cibo.
Nonostante le promesse fatte alla
sorella, si era trascurata, stancata,
aveva
quasi
digiunato
per
risparmiare. Quando Erin avesse
visto come i jeans le pendevano
addosso, avrebbe fatto una scenata
memorabile.
«Non vuole parlarmi un po’ di
questo tale, tra un boccone e
l’altro?» propose Jack.
Oh, al diavolo, pensò lei. Non
faceva un pasto decente da giorni...
quando avesse finito il denaro
sarebbe tornata a casa, ma nel
frattempo non poteva proseguire la
sua ricerca se non si reggeva in
piedi!
Mangiò un altro paio di
cucchiaiate per tacitare i morsi più
feroci della fame, poi bevve un
sorso di birra gelata. Paradisiaco,
pensò. «Si chiama Ian Buchanan»
esordì. «Siamo nati nella stessa
città, ma benché Chico sia piuttosto
piccola ci siamo conosciuti solo da
adulti. Ian ha otto anni più di noi –
cioè, di mio marito e me. Bobby ed
io siamo cresciuti insieme, abbiamo
frequentato lo stesso liceo e ci
siamo sposati giovanissimi, a
diciannove anni. Bobby si è
arruolato nei Marine subito dopo il
diploma.»
«Feci così anch’io» disse Jack.
«E sono rimasto nei Marine per
vent’anni. Come si chiamava suo
marito?»
«Bobby... cioè, Robert Wilson
Sullivan. Lo ha mai sentito
nominare?»
«No, non ricordo né Bobby
Sullivan né Ian Buchanan. Ha una
foto di suo marito?»
Marcie prese il portafoglio dalla
tasca del giubbotto, lo aprì e lo
mostrò a Jack. Nelle buste di
plastica c’erano parecchie foto, che
Jack prese a sfogliare. Quella del
loro matrimonio, alcune istantanee,
la foto ufficiale di Bobby che
ritraeva un bel ragazzo in divisa,
dalla faccia aperta e sincera. E
infine l’ultima, di un Bobby smunto e
irriconoscibile,
in
un
letto
d’ospedale. Gli occhi erano aperti
ma vacui e privi di vita, il viso era
pallido. Accanto a lui, Marcie lo
abbracciava con un sorriso.
Jack sollevò lo sguardo, e lei
depose il cucchiaio e si forbì le
labbra con il tovagliolo. «Bobby
andò in Iraq con la prima ondata»
disse. «Aveva ventidue anni. Fu
ferito a ventitré, riportando danni
alla spina dorsale e al cervello, e
trascorse gli ultimi tre anni della sua
vita in un letto.»
«Oh, cara, mi dispiace!» esclamò
Jack. «Deve essere stata dura per
lei.»
Marcie batté le palpebre un paio
di volte ma riuscì a non piangere. In
effetti c’erano stati momenti
terribili, momenti in cui le si era
spezzato il cuore oppure si era
infuriata con il corpo dei Marine per
quel che le faceva soffrire. Altre
volte si era sdraiata accanto a
Bobby, lo prendeva tra le braccia e
restava così, a ricordare i tempi
felici. «A volte sì» rispose. «Ma
abbiamo tirato avanti. Ho avuto
molto sostegno, dalla mia famiglia e
dalla sua. Non mi hanno mai lasciata
sola... e non credo che Bobby abbia
sofferto.»
«Quando è morto?» domandò
Jack.
«Circa un anno fa, poco prima di
Natale. Se n’è andato in pace.»
«Le faccio le mie condoglianze.»
«Grazie. Ian era il suo sergente, e
Bobby lo ammirava moltissimo e gli
voleva un gran bene. Mi parlava
sempre di lui, nelle sue lettere, e lo
definiva il miglior sergente di tutto il
Corpo dei Marine, perché Ian era il
tipo di comandante che stava sempre
accanto ai suoi uomini, in servizio o
a riposo. Loro due diventarono
subito amici, e Bobby fu felice di
scoprire che venivano dalla stessa
città. Sarebbero rimasti amici per
sempre, mi diceva...»
«Anch’io fui mandato subito in
Iraq» disse Jack. «Probabilmente
ero là nello stesso periodo, a
Fallujah.»
«È proprio a Fallujah che è stato
ferito.»
Jack le restituì il portafoglio. «Mi
dispiace moltissimo» disse. «È per
questo che cerca Buchanan? Per
dirglielo?»
«No, credo che lo sappia già,
perché gli ho scritto molte lettere al
fermo posta di Fortuna. Le lettere
non sono mai tornate indietro, perciò
credo che le abbia ritirate e lette.»
Jack corrugò la fronte, incuriosito.
«E adesso non so che gli sia
successo» continuò lei. «Subito
dopo l’incidente, quando Bobby era
in ospedale in Germania e poi a
Washington al Walter Reed , gli
scrivevo spesso e lui mi rispondeva
chiedendomi
notizie
e
domandandomi come me la cavavo
io. Dalle sue lettere cominciavo a
capire quel che Bobby aveva visto
in lui. Mi sentivo già vicina a Ian
grazie alle lettere di Bobby, e
quando cominciammo a scriverci
divenne anche mio amico. Erano
solo lettere, lo so, e parlavano solo
di Bobby, ma mi ero affezionata a
Ian e mi sembrava che lui mi
ricambiasse...»
«Molti Marine si affezionano ai
loro corrispondenti» osservò Jack.
«Specialmente quando si trovano in
posti isolati o pericolosi.»
«Be’, lui non mi disse mai di
essersi particolarmente affezionato,
ma per me era così» continuò lei.
«Poi Ian tornò dall’Iraq, venne a
trovarci una volta, e lasciò i Marine
subito dopo. E non tornò più a
Chico. Non conosco i dettagli, ma
pare che avesse avuto dei problemi
con i suoi superiori. Suo padre
credeva che sarebbe rimasto nei
Marine per sempre, e invece lui li
lasciò all’improvviso e scomparve.»
Marcie rise amaramente. «Smise di
scrivermi, ruppe con la sua ragazza,
litigò con il padre e sparì. Circa un
anno dopo scoprii che viveva nei
boschi come un eremita.»
«Come fece a scoprirlo?»
«A Chico c’è una clinica per i
veterani, e per via di Bobby
conoscevo bene alcuni dei pazienti.
Loro sapevano che volevo mettermi
in contatto con Ian, e come lei sa i
veterani si aiutano l’un altro...
insomma, da loro seppi che tempo
prima Ian era andato in quella
clinica, probabilmente perché era la
più vicina, e come indirizzo aveva
dato l’ufficio postale di Fortuna. Si
era ferito spaccando legna, e aveva
bisogno di punti, di un’iniezione
antitetanica e di antibiotici. Si
immagini... era in città, dove
c’eravamo noi e suo padre, e non ci
fece nemmeno una telefonata per
sapere come stava Bobby o per
darci sue notizie. L’uomo che mio
marito mi aveva descritto non si
sarebbe mai comportato così!»
Jack tacque, e Marcie continuò a
mangiare di gusto, imburrando una
fetta di pane di mais e divorandola.
«A quel punto cominciai a
scrivergli a Fortuna, ma lui non mi
rispose mai. Forse gli scrivevo più
per me stessa che per lui. Lo invitai
anche a telefonarmi a carico del
destinatario, ma lui non si è mai fatto
vivo.»
«E così adesso lo sta cercando»
concluse Jack.
«Sì. E lo troverò. Devo sapere se
sta bene, capisce. Per quel che ne
sappiamo potrebbe essere tornato
dall’Iraq con qualche problema,
qualcosa che non è immediatamente
visibile come le condizioni di
Bobby. Se così fosse, non
perdonerei mai ai Marine di non
averlo aiutato o curato.»
«Be’, in effetti ha ragione,
avrebbero dovuto aiutarlo... ma non
sia troppo severa nei loro confronti.
Un Marine viene addestrato ad avere
coraggio, a non aver paura di niente,
e poi lei si aspetta che chieda aiuto?
Non lo farà mai. Se trovassi la
soluzione a questo dilemma,
scriverei
immediatamente
al
dipartimento di stato.»
«Sì, però...»
«Può darsi che abbia scelto quella
vita perché gli piaceva. Quando ho
lasciato i Marine cercavo solo un
posto tranquillo in cui andare a
caccia e a pesca, come Virgin River,
e per un po’ anch’io mi sono
isolato.»
«E ha tagliato i ponti con la sua
famiglia?» replicò lei alzando un
sopracciglio. «Ha smesso di
rispondere alle lettere?»
Jack era sempre in contatto con la
famiglia, ma anche con gli ex
commilitoni. E mai avrebbe
rinunciato a loro. «No» rispose. «Ha
ragione lei.»
«Ecco perché voglio trovarlo. Ci
sono delle faccende che vanno
sistemate, capisce. Concluse.»
«Ma... e se lui non stesse bene?»
obiettò Jack guardandola dritto in
faccia. «Se fosse un po’ fuori di
testa... magari pericoloso?»
«Non credo» replicò lei. «E
comunque ha un padre anziano e
malato, con cui ha delle questioni in
sospeso. Il signor Buchanan è un
vecchio stizzoso e ostinato, ma
scommetto che malgrado tutto
rivuole suo figlio. Al suo posto lo
vorrei anch’io.»
«Sì, questo lo capisco» disse
Jack. «Ma se Ian fosse pericoloso e
volesse farle del male?»
Marcie attaccò l’insalata. «È
possibile, ma ne dubito» rispose con
una risatina. «Sono stata in tutte le
stazioni di polizia della zona, in tutti
i negozi e i distributori di benzina.
Non ha mai avuto problemi con la
giustizia. Nessuno lo conosce. Se
fosse pericoloso avrebbe attirato
l’attenzione, non crede? No, io
penso che sia soltanto un ex Marine
amareggiato e solitario, convinto che
mollare tutto e tutti sia meglio che
affrontare i problemi. E ovviamente
si sbaglia.»
«Non vuole pensarci su?»
domandò Jack. «Ci possono essere
mille ragioni per cui un Marine
provato dalla guerra ha deciso di
isolarsi dal mondo. Forse vuole solo
dimenticare, e vedere lei potrebbe
peggiorare la situazione.»
«Be’, lei è stato in guerra, no?
Perciò ne saprà qualcosa.»
«Ragazzi, come direbbe mia
moglie. Lo so eccome... Ho anch’io
il mio bravo bagaglio, tra cui un
paio di attacchi di sindrome post
traumatica. Ma per fortuna ho molto
aiuto.»
«Ian ha solo trentacinque anni,
capisce» continuò lei. «Ha tutto il
tempo di ricominciare, di far pace
con le persone da cui si è distaccato,
di superare il trauma di quel che è
successo a Bobby. Può darsi che suo
padre ce l’avesse a morte con lui
anni fa, quando hanno litigato, ma
sono sicura che in fondo gli vuol
bene.» Marcie bevve un sorso di
birra e concluse: «Forse perderei il
mio denaro, ma sono pronta a
scommetterci».
«Ma allora perché suo padre non
lo ha mai cercato?» obiettò Jack.
«E perché non lo ha fatto nessun
altro? Capisco che la sua ex
fidanzata lo odiasse perché lui
l’aveva piantata in asso, e che suo
padre sia un vecchio testardo e
amareggiato... anzi, devo dire che è
veramente meschino e vendicativo.
Ma visto che questa situazione non
cambierà, io sono decisa a ritrovare
il migliore amico di Bobby. Ci
siamo scritti per pochi mesi, ma a
me sembrava di conoscerlo e mi era
parso un ragazzo dolce e gentile. Lo
so che sembra stupido, ma anche la
sua grafia rivelava un animo forte e
sensibile, come le cose che
scriveva. Adesso mi sento come se
avessi perso un amico, e... e sono
ben decisa a ritrovarlo. Sono un tipo
determinato, capisce.»
«E perché?»
Marcie abbassò lo sguardo.
«Perché non potrò ricominciare a
vivere finché non avrò scoperto la
ragione per cui l’uomo che mio
marito ammirava più di ogni altro è
scomparso in questo modo.»
Sospirò. «Ci ha ignorati... si è
lasciato inghiottire dalla foresta e ha
smesso di comunicare con la
famiglia, gli amici, il mondo intero.
Questa è la parte più strana, e io
devo capire perché l’ha fatto. Voglio
assicurarmi che stia bene, e poi lo
lascerò in pace.» Sollevò la testa e
concluse: «Poi, forse, tutti potremo
ricominciare».
Jack le scoccò un sorrisetto.
Quella ragazza sapeva ciò che
voleva. «Le va una fetta di dolce al
cioccolato? Le garantisco che la farà
svenire.»
«No,
grazie.
Era
tutto
buonissimo.» Marcie finì la birra,
prese il portafoglio che stava ancora
sul tavolo e lo aprì. «Quanto le
devo?» domandò.
«Sta scherzando, vero? Se ne va
in giro per i boschi a cercare un mio
commilitone e crede che io accetti il
suo denaro? Anzi, le darei volentieri
una mano, ma lo ha visto anche lei,
non posso lasciar mia moglie un
momento che si caccia nei guai.
Offrirle un pasto è un vero piacere,
torni pure quando vuole. Passi di qui
ogni tanto, così mangia qualcosa e ci
tiene aggiornati sulle sue ricerche.
Ne saremo felici, perché qui in zona
ci sono parecchi ex Marine reduci
da Fallujah.»
«E come mai?» domandò Marcie.
«Mia cara, ci sono Marine
dappertutto» sorrise lui. «Dopo che
avevo aperto il bar, un gruppo di
miei amici ha cominciato a venire
regolarmente a Virgin River per
pescare e cacciare. Due di loro si
sono stabiliti qui. E tutti noi
cerchiamo di aiutarci l’uno con
l’altro.»
Negli anni passati Marcie aveva
imparato ad accettare ogni aiuto
possibile. Richiuse il portafogli,
scoccò a Jack un sorriso pieno di
calore e disse: «Allora, sì, prenderò
una fetta di torta».
«E niente caffè?»
«Oh, Dio, sì, un caffè!» Caffè
caldo e birra ghiacciata erano tra le
sue maggiori debolezze.
«Vedrà, è il miglior caffè che
abbia mai assaggiato» sentenziò
Jack riempiendo una tazza. Le mise
di fronte una bella fetta di torta al
cioccolato e domandò: «E quando
avrà trovato Buchanan, che farà?».
«Be’, è stato magnifico con
Bobby, e io voglio ringraziarlo. E
poi voglio parlargli e conoscerlo
meglio – come avevo cominciato a
fare tempo fa. Devo dargli qualcosa
che apparteneva a Bobby, e
ovviamente voglio vedere se c’è
qualcosa che posso fare per aiutarlo.
Forse, quando ci saremo detti tutto
quanto, saremo entrambi più
tranquilli e pronti a riprendere una
vita normale. È ovvio che lui non
l’ha fatto, e anch’io ho bisogno di
mettere un punto fermo. Sarebbe
bello che potessimo raggiungere
entrambi quest’obiettivo, no? Che
potessimo ottenere la libertà, Jack.
La libertà di lasciarci il passato alle
spalle.»
«E se lui non ne volesse sapere?»
obiettò Jack corrugando la fronte.
Marcie si mise in bocca un
boccone di vellutato, ricco dolce al
cioccolato, e con le labbra ripulì la
glassa dalla forchetta. «Allora
diventerò il suo incubo peggiore, e
lo tormenterò finché non cederà.
Perché non ho la minima intenzione
di rinunciare.»
Mentre Marcie stava finendo il
caffè, un bell’uomo dai tratti latini
entrò nel bar con un catalogo in
mano e un’espressione piena di
sconforto. «Tua moglie mi ha
incaricato
di
trovare
uno
specialissimo puntale per l’albero di
Natale. Chi ha avuto l’idea di
innalzare quel maledetto albero?»
«Tu, credo» replicò Jack, «perciò
non te la prendere con me.
Comunque non riusciremo a finire la
decorazione senza una gru, e dovrò
affrettarmi a trovarne una prima che
Mel cerchi di issarsi sulla cima con
corde e carrucole. Marcie, questo è
Mike Valenzuela. Mike, lei è
Marcie.»
«Come va?» disse lei tendendo
una mano.
Mike la strinse. «Lieto di
conoscerla. E non gli dia retta,
l’idea
è
stata sua» continuò
accennando a Jack. «Voleva un
albero enorme per far colpo sulla
moglie, e ci ha mandati in giro per i
boschi tutto il giorno finché non ha
trovato l’abete più grande che si
riuscisse a spostare.»
Jack lo interruppe con un risolino
imbarazzato. «Marcie sta cercando
un Marine che ha lasciato il Corpo
dopo esser stato in Iraq. Gli mostri
la foto, Marcie.»
Lei la estrasse di nuovo dalla
tasca e spiegò i probabili
cambiamenti nell’aspetto di Ian.
«No, non lo conosco» disse Mike.
«Ma consideri che potrebbe
essere molto diverso...»
«Non riconosco gli occhi» spiegò
Mike.
Lei sospirò. «Ha idea di dove
potrei cercarlo?»
«Be’» disse lui, «il fatto che io
non l’abbia mai visto non significa
che non l’abbia visto qualcun altro.
Su per queste montagne ci sono
parecchie persone che vivono lì da
anni ma non sono molto socievoli...
forse uno di loro sa dov’è.»
«E mi può dire in quale direzione
dovrei muovermi?»
«Posso darle qualche punto di
riferimento» annuì Mike. «Ma
soprattutto le indicherò i posti da cui
deve star lontana. Nei boschi ci sono
anche dei coltivatori illegali che
tengono molto alla loro privacy, e
sono assai poco amichevoli. Spesso
le loro proprietà sono addirittura
minate.» Prese un tovagliolo di carta
dal bancone e la penna che teneva
nel taschino della camicia. «Questa
è la statale numero 36...» esordì. E
in pochi minuti tracciò una mappa
che evidenziava mezza dozzina di
capanne. Chi ci abitava poteva aver
benissimo visto Buchanan, spiegò. E
poi le indicò due o tre zone da
evitare assolutamente.
Le
capanne
che
aveva
contrassegnato si trovavano lungo
strade abbandonate dai boscaioli,
che a volte erano chiuse da cancelli
rudimentali; o nascoste tra gli alberi
e cespugli e perciò non visibili dalla
strada. Chi si era insediato in quei
tratti di foresta, spiegò Mike, aveva
abbattuto gli alberi per venderne la
legna; ma prima che un albero
ricrescesse quanto bastava per
ricavarne del legname bisognava
aspettare dai trenta ai cinquant’anni.
Perciò adesso i terreni erano
disseminati di giovani querce,
madrone, abeti e pini, molto belli a
vedersi ma non abbastanza maturi da
rendere.
«Io ho girato parecchio quella
zona, per vedere com’è e conoscere
chi ci abita» disse Mike. «So che ci
sono due vecchi che vivono da soli,
due vedove anziane, due o tre
coppie e una famiglia di cinque
persone. Ma che io sappia, nessuno
scapolo sui trentacinque anni.»
«Forse non è più scapolo.»
Mike scrollò la testa. «Sono
sicuro che non c’è nessuno di
quell’età, con barba o senza. Non
con occhi come quelli.»
«Può credergli» intervenne Jack.
«Se ne intende, era nella polizia di
Los Angeles prima di venire qui a
fare lo sceriffo da western, in un
paese dove ci sono pochissimi
reati.»
«Bello»
commentò
Marcie.
«Niente reati e un enorme albero di
Natale. Mi pare di capire che non ne
avevate mai avuto uno così grande,
giusto?»
I due uomini risero. «È alto otto
metri» disse Jack. «Ci credevamo
tanto bravi e forti a scegliere un
albero così grande, finché non
l’abbiamo abbattuto e ci siamo resi
conto che per trasportarlo in paese
avremmo dovuto usare un furgone
dei traslochi... Così abbiamo legato
i rami ben stretti e l’abbiamo
trainato attaccandolo a un camion.
Ma quella non è stata la parte più
difficile: per metterlo in piedi ci
abbiamo messo una giornata.»
«Due» corresse Mike. «Quando ci
siamo svegliati la mattina dopo era
disteso in mezzo alla strada. È un
miracolo che non sia caduto sul bar
distruggendo il tetto.»
Marcie rise. «Perché proprio
quest’anno?» domandò a Jack. «Per
far colpo su sua moglie?»
«No, perché era il momento
giusto. Abbiamo appena perso un
commilitone in Iraq, e qualche mese
fa un ragazzo del paese, un tipo
davvero speciale e amato da tutti, si
è arruolato. Così abbiamo pensato di
erigere un simbolo, una specie di
monumento a tutti gli uomini e le
donne che prestano servizio nei
Marine. L’anno prossimo forse
cercheremo un albero più piccolo,
più facile da trasportare. Ma per
questo ho intenzione di andare a
Eureka ad affittare una gru, perché
Melinda e le altre donne del posto si
sono date molto da fare per
decorarlo e voglio che il risultato
sia magnifico.»
«È già bellissimo» disse Marcie
con un po’ di malinconia. Sperava
davvero di ritrovare Ian prima di
Natale: chissà perché, rispettare
quella scadenza le sembrava
essenziale.
Il sole stava tramontando, e il
locale si stava riempiendo di clienti
abituali. Marcie si preparò ad
andarsene, benché ormai fosse
troppo buio per avventurarsi nei
boschi a controllare le capanne che
Mike le aveva indicato. Doveva
trovare un posto sicuro in cui
parcheggiare
per
la
notte,
possibilmente vicino a una stazione
di servizio munita di toilette in modo
da poter compiere le sue abluzioni
mattutine. Poi si sarebbe rimessa in
viaggio, anche se ormai cominciava
a disperare di trovare il suo uomo.
Era stata delusa troppe volte: a
questo punto della sua ricerca, ogni
volta che spuntava un nome o un
luogo dal suo elenco si allontanava
sempre più dalla meta sperata.
Ma prima di risalire in macchina
si avvicinò all’albero, che era
decorato fino a circa metà della sua
altezza. Tra le sfere bianche, rosse e
blu e le stelle dorate c’erano molte
mostrine di quelle che i militari
portano cucite sulla divisa, con il
logo della propria divisione. Marcie
ne sfiorò alcune, notando che erano
rivestite di plastica per proteggerle
dalle intemperie. Primo Battaglione,
Ottavo
Reggimento;
Secondo
Battaglione, Decimo Marine; Primo
Battaglione Operazioni Speciali;
Divisione Aerotrasportata, Squadra
Tiratori Scelti, Quarantunesimo
Battaglione di Fanteria. Sentì un
nodo alla gola e i suoi occhi si
riempirono di lacrime. Ecco perché
voleva ritrovare Ian Buchanan:
perché i Marine non dimenticano,
non abbandonano mai un amico. Ian
doveva aver avuto una ragione molto
seria per lasciare i confratelli, il
Corpo, la famiglia, la sua città. Non
si può salvare la vita di un
compagno e poi ignorarlo. Ian era
stato decorato con una Stella di
Bronzo e con il Purple Heart per
aver trasportato Bobby fino a
un’ambulanza, sfidando il fuoco dei
cecchini. Si era beccato due
pallottole, ma non si era fermato.
Non era il tipo d’uomo che si
arrende. E allora perché, perché poi
si era arreso?
2
I trenta dollari di Marcie – ventotto
e
ventisette
centesimi,
per
l’esattezza – durarono per altre
trentasei ore. Venticinque se ne
andarono per la benzina, tre per una
grossa pagnotta di pane e due mele
da mangiare con il resto del burro di
arachidi. Dopo di che Marcie tornò
nel bar di Virgin River e chiese il
permesso di usare il telefono per
chiamare la sorella. Aveva quasi
esaurito le carte telefoniche che Erin
le aveva dato perché il suo viaggio
era durato assai più del previsto, ma
in una di loro restava qualche
dollaro. Sapeva che Erin era molto
irritata per la sua assenza
prolungata, ma non aveva scelta.
Il cuoco, l’omone che tutti
chiamavano Preacher, la fece entrare
in cucina e le indicò il telefono. E
Marcie, con una stretta alla bocca
dello stomaco, chiamò Erin e le
chiese un po’ di denaro. «È solo un
prestito» disse. E spiegò – mentendo
– che ormai era quasi alla meta,
perché Ian era stato visto nella zona.
«Avevamo fatto un patto» replicò
la sorella. «Tu hai promesso che
saresti stata via due settimane al
massimo, ed è già passato un mese.
Non sei nemmeno tornata per il
Ringraziamento!»
«Ma non potevo, te l’ho spiegato.
Avevo un’indicazione sicura.»
«Adesso basta!» esclamò Erin. «È
ora che torni a casa e trovi un altro
modo per localizzare quel tale.»
«Non ho intenzione di rinunciare»
replicò lei risolutamente.
«D’accordo, ma torna a Chico e
facciamo a modo mio. Incarichiamo
un investigatore, e quando l’avrà
trovato tu potrai riprendere la tua
missione da lì. Mi dispiace, ma
l’unico modo per farti smettere con
questa stupidaggine è dirti di no.
Non ti manderò del denaro, Marcie,
per il tuo bene. Ti spedirò soltanto il
necessario perché tu torni a casa.
Fallo subito, adesso, perché io non
ne posso più e sono preoccupata da
morire.»
«No» rispose lei. «Non ho ancora
finito, non posso fermarmi adesso.»
Dopo di che chiamò il fratello
Drew, che disapprovava il suo
operato quanto Erin, ma di solito era
più facile da convincere. Anche lui,
però, rifiutò di aiutarla. «Non posso,
Marcie» disse. «Erin ha ragione,
questa faccenda è durata troppo.
Devi lasciar perdere... non voglio
nemmeno pensare che te ne vai in
giro per i boschi da sola, alla
ricerca di un pazzo furioso!»
«Ma non è detto che sia pazzo»
protestò lei. «Magari è perfettamente
normale, solo un po’ deluso del
mondo, chissà... Per favore, dammi
una mano. Sono così vicina a
trovarlo... solo qualche altro
giorno!»
Drew sospirò, vinto. «E va bene,
ti mando cento dollari, ma finiti
quelli torni a casa, capito? E che non
ti venga in mente di dire a Erin che
te li ho dati io.»
«Non glielo dirò, stai tranquillo»
sorrise lei. «Grazie, Drew. Ti
adoro.»
«Già, anch’io... ma mi sa che
questo non è il modo migliore di
dimostrartelo. Io mi preoccupo per
te, lo capisci?»
«Ma non devi» protestò lei.
«Senti, versa i cento dollari sul mio
conto, così posso andare a Fortuna e
ritirarli dalla filiale della mia banca.
Sto finendo la benzina, ma la strada
è quasi tutta in discesa e posso
andare in folle.»
«Dove lo hanno visto?» domandò
Drew.
«Sulle montagne qui intorno... in
una capanna lontano dalle strade più
battute. Ho intenzione di andare
lassù
appena
possibile
per
controllare se è davvero lui.» Poi
arrossì, vergognandosi della sua
menzogna, salutò il fratello e
concluse la telefonata. «Accidenti»
sospirò facendosi vento. Si voltò e
si trovò a fissare la faccia truce del
gigantesco cuoco.
«Non è stato visto da nessuna
parte, vero?» disse Preacher.
«Be’, no... ma io ho intenzione di
trovarlo.»
«A volte un uomo vuole solo
essere lasciato in pace per un po’ di
tempo» continuò Preacher. «A
questo non ha pensato?» E mentre
parlava prese da un cassetto un
sacchetto di plastica per alimenti,
aprì il frigorifero e prese due
sandwich avvolti nella pellicola che
mise nel sacchetto.
«È passato molto più che un po’
di tempo» rispose lei. «Ma se è
così, gli darò la possibilità di
dirmelo di persona. Poi lo
ringrazierò per essere stato un buon
amico di mio marito, me ne tornerò a
Chico e dirò a suo padre e agli
amici che gli sono rimasti che vuol
essere lasciato in pace. Però
continua a sembrarmi un po’ strano,
a lei no? Che non si sia più messo in
contatto con nessuno, da anni?»
Preacher prese dal frigorifero una
ciotola colma di insalata di patate,
ne trasferì una buona porzione in un
contenitore più piccolo e lo chiuse
con un coperchio ermetico. «Allora
è proprio decisa a continuare?»
Marcie non rispose. Non voleva
ammetterlo nemmeno con se stessa,
ma era ossessionata dalla scomparsa
di Ian Buchanan. Gli aveva scritto
una trentina di lettere, dapprima per
aggiornarlo sulle condizioni di
Bobby e su quel che succedeva nella
sua famiglia, per rassicurarlo e
incoraggiarlo come poteva. Poi
aveva continuato soprattutto per se
stessa, come se tenesse un diario.
Pur senza saperlo, Ian era stato un
amico prezioso.
Infine scrollò le spalle e disse:
«Ci sono persone che vogliono
sapere la fine delle storie... io sono
una di quelle. Voglio sapere. Anzi,
devo».
Preacher aggiunse il contenitore
di insalata e un cucchiaio al
sacchetto di viveri, poi mise due o
tre cetrioli sott’aceto in un sacchetto
a chiusura ermetica e aggiunse anche
quello al resto. «Perciò immagino
che non si arrenderà» osservò con
calma.
«Infatti.»
Preacher le porse il sacchetto.
«Non conservi l’insalata di patate
troppo a lungo» consigliò. «Fuori fa
piuttosto freddo, se la lascia nel
bagagliaio reggerà tutto il giorno...
ma si ricordi che non deve
fermentare,
sennò
diventa
pericolosa.»
«Perché mi dà tutto questo?»
«La macchina costa» replicò lui
inarcando un sopracciglio, «e lei
non può girare in folle tutto il
tempo.»
Marcie lo guardò a bocca aperta –
e si domandò se Preacher aveva
notato che i jeans ormai le
pendevano addosso. «È molto
gentile» sussurrò. «Io... ehm... le
riporterò il cucchiaio appena
possibile.»
«Se passa da queste parti, bene.
Se no, i cucchiai non ci mancano.»
«Grazie» disse Marcie.
«Buona fortuna» aggiunse lui.
«Spero che le cose vadano come
desidera.»
«Lo spero anch’io» rispose lei
con un sorriso.
Alcune ore dopo, verso la fine del
pomeriggio, stava guidando lungo la
sesta delle varie strade sterrate
segnate sulla mappa di Mike. Fino a
quel momento non aveva avuto molta
fortuna, ma aveva cento dollari in
tasca – in realtà un’ottantina, perché
la Volkswagen vantava un serbatoio
quasi pieno. Aveva mangiato metà
sandwich al prosciutto, un cetriolo
sottaceto e un po’ della miglior
insalata di patate che avesse mai
assaggiato. Quel Preacher era un
genio della cucina.
Tutte le strade che aveva provato
finora portavano verso i boschi, ed
erano in condizioni pietose. La
Volkswagen sobbalzava e ansimava,
ma continuava coraggiosamente
malgrado tutto. Se Marcie avesse
aspettato qualche mese prima di
imbarcarsi nella sua ricerca, forse
avrebbe potuto procurarsi una Jeep
o un altro veicolo a quattro ruote
motrici; ma era troppo impaziente
per rimandare ancora. Così aveva
messo insieme i pochi risparmi di
cui disponeva, si era tracciata un
itinerario e aveva detto ad Erin e
Drew che la sua assenza sarebbe
durata circa due settimane. Ma in
realtà aveva chiesto al suo datore di
lavoro, proprietario dell’agenzia di
assicurazioni presso cui lavorava da
cinque anni, un permesso di quasi un
mese, cioè fino alla fine dell’anno.
Erin aveva contrastato il suo
progetto fin dall’inizio. Marcie ci
aveva messo mesi e mesi a
convincerla, e poi la sorella le
aveva proposto cento altre soluzioni
che secondo lei erano migliori: il
ricorso ai registri anagrafici, un
investigatore privato, qualsiasi cosa
tranne la sua idea di partire da sola
alla ricerca di Ian. Ma lei sentiva la
necessità di ritrovarlo di persona
per vederlo, parlargli, rinnovare
quella che considerava la loro
amicizia passata.
Nemmeno i familiari di Bobby
erano molto d’accordo, ma non
perché nutrissero un particolare
rancore verso Ian – anche perché lo
conoscevano appena. Bobby aveva
scritto
a
Marcie
parlando
continuamente di Ian, ma nelle brevi
lettere ai suoi lo aveva nominato
poche volte. I Sullivan avevano
addirittura suggerito che il legame
tra i due forse non era così forte,
visto che Ian non aveva mai fatto
visita a Bobby mentre era
nell’istituto in cui poi era morto.
Quanto al padre di Ian, una delle
persone più negative, acide e
testarde che Marcie avesse mai
conosciuto,
le
aveva
detto
chiaramente che perdeva il suo
tempo, perché lui non aveva alcun
interesse a ritrovare il figlio. «Se
n’è andato senza una parola e non mi
ha mai cercato» aveva concluso.
«Per me il messaggio è più che
chiaro.»
Marcie non si era data per vinta e
aveva scoperto che il vecchio
Buchanan aveva alcuni problemi di
salute: aveva avuto un ictus, soffriva
di ipertensione, aveva un cancro alla
prostata e il morbo di Parkinson, e
probabilmente soffriva anche di
demenza senile.
«Ma non sente la mancanza di suo
figlio?» aveva domandato. «Non
vuol sapere che gli è successo?»
«Nemmeno per sogno» aveva
ribattuto il vecchio. «È stato lui a
sparire, a bruciarsi tutti i ponti alle
spalle!» Ma i suoi occhi erano umidi
e Marcie si era detta: Non vuole
ammetterlo ma vorrebbe rivedere il
figlio almeno una volta, o almeno
sapere se sta bene.
Shelly, ex fidanzata di Ian, ce
l’aveva ancora con lui per il modo
in cui l’aveva piantata in asso, anche
se ormai da tre anni era sposata con
un altro ed era in attesa del primo
figlio. Non aveva sprecato una
parola per l’uomo che aveva sfidato
il fuoco dei cecchini ed era stato
ferito per salvare un amico, e per
questo era stato decorato con la
Stella di Bronzo e il Purple Heart.
In sostanza odiava ancora Ian perché
lui l’aveva lasciata ed era sparito, e
Marcie non riusciva a capacitarsene.
Possibile che Shelly non si rendesse
conto di come la guerra poteva
cambiare
un uomo,
turbarlo
profondamente, alterare il suo modo
di pensare e le sue emozioni? Dopo
aver passato tre anni al fianco di un
marito totalmente invalido, che non
poteva nemmeno sorriderle, a
Marcie sembrava che concedere un
minimo di pazienza e comprensione
a un uomo che aveva sofferto tanto
non fosse un grande sforzo.
Ma poi si era detta che non
conosceva il peso dei problemi
altrui, solo dei propri, e che non
toccava a lei giudicare.
Ciononostante, per lei era
assolutamente
fondamentale
guardare Ian in faccia e domandargli
come aveva potuto salvare la vita a
suo marito e poi sparire così, senza
rispondere alle sue lettere e senza
dare più un segno di vita.
Forse le risposte di Ian avrebbero
ridato un senso alla sua vita: e per
questo riteneva necessario parlare
con lui faccia a faccia, discutere di
quello che gli era successo,
i n s o mma concludere, come si
diceva in psichiatria.
Mentre si avvicinava a una
capanna costruita in modo piuttosto
rozzo, vide un uomo apparire da
dietro l’angolo con le braccia
cariche di legna da ardere. Era alto
ma incurvato dall’età, calvo, rugoso.
Marcie scese dalla Volkswagen e gli
si avvicinò. «Buonasera» disse
gentilmente.
L’uomo depose a terra il fascio di
legna e la guardò con espressione
sospettosa.
«Forse può aiutarmi» continuò lei.
«Sto cercando una persona.» Gli
mostrò la foto di Ian e spiegò:
«Questa foto è stata scattata circa
sette anni fa, perciò quest’uomo sarà
cambiato e credo che adesso si sia
lasciato crescere la barba... ma mi
hanno detto che vive in queste
colline. Ha trentacinque anni, è
robusto e alto più di un metro e
ottantacinque».
L’uomo prese la foto con le dita
deformate dall’artrite. «Lei è una
parente?» domandò.
«Più o meno... Lui e mio marito
erano insieme nei Marine, ed erano
buoni amici. Vorrei fargli sapere che
mio marito è morto.»
«Mai visto. Mai visto nessuno con
questa faccia.»
«Ma forse è cambiato un po’»
insistette lei. «Potrebbe essere
invecchiato, capisce, magari è
ingrassato o calvo, o magari è molto
magro... chi può dirlo?»
«Coltiva erba?» domandò l’uomo
restituendole la foto.
«Non lo so.»
«Uomini di quell’età da queste
parti coltivano l’erba. E lei farebbe
meglio a stargli alla larga, perché
certe volte quella è gente
pericolosa.»
«Sì, me l’hanno detto. Ma lei non
conosce nessuno come lui a cui
potrei dare un’occhiata, giusto per
cancellarlo dalla mia lista? Sarò
molto prudente.»
«Be’, c’è un tizio in cima alla
collina, piuttosto ben nascosto. Avrà
vent’anni o magari cinquanta, ma
comunque ha la barba ed è grande e
grosso. Deve tornare indietro sulla
statale 36 per circa un miglio, e poi
risalire la collina. La strada è
sterrata, ma a metà c’è un cancello
di ferro che non è mai chiuso perché
dalla strada la casa non si vede. Io
so che c’è perché ci viveva un tale
che conoscevo. C’è solo una stanza,
ma è grande. Quel tale se n’è andato
da un paio d’anni, ormai, ma adesso
in quella casa ci vive uno che è stato
con lui negli ultimi mesi.»
«Come riconosco la strada
giusta?»
Il vecchio scrollò le spalle. «Non
ci sono cartelli o segni. Se dopo un
mezzo miglio non trova il cancello
torni indietro e provi un’altra
strada.»
«Non potrebbe venire e mostrarmi
dov’è?» propose Marcie. «Poi
naturalmente la riporto indietro.»
«No» fece l’uomo scuotendo la
testa. «Non voglio averci niente a
che fare, quello è uno strano. Parla
da solo, fischia e canta la mattina
presto, e si crede un orso.»
«Un orso?»
«Sì, l’ho sentito ringhiare come un
animale una volta che ero andato su
vicino a casa sua. Mi sa che è
meglio se lo lascia in pace.»
«Sì,
capisco»
fece
lei
rimettendosi la foto in tasca.
«Grazie.»
E se ne andò, incoraggiata dal
fatto che la descrizione del vecchio
sembrava
adattarsi
quasi
perfettamente a Ian. Non che fosse la
prima volta. Nel corso della sua
ricerca aveva frequentato i raduni di
veterani, era stata nei rifugi per i
senzatetto, negli ospedali, dai
missionari evangelici; aveva seguito
i vagabondi lungo stradine di
campagna, si era aggirata nei boschi,
aveva conosciuto mandriani e
taglialegna. Ma nessuno di loro era
Ian, nessuno aveva sentito parlare di
lui. E nessuno aveva i suoi occhi.
Marcie
non
avrebbe
mai
dimenticato i suoi occhi. Erano
castani come i capelli, ma le iridi
avevano un bordo color ambra. E lo
sguardo poteva essere dolce e quasi
reverente, ma poi passare a una
collera feroce nel giro di dieci
minuti. Lei aveva visto quel
cambiamento l’unica volta che Ian
era venuto a trovare Bobby. Ian era
in licenza, e lei aveva portato Bobby
a casa per averne cura in attesa che
un istituto accettasse di ricoverarlo.
Passando la grande mano in una
carezza sulla testa di Bobby, Ian
aveva mormorato: «Oh, amico...
amico mio...». Naturalmente Bobby
non aveva risposto, perché ormai
era muto e immobile. Dopo alcuni
minuti Ian aveva spostato lo sguardo
su di lei, e l’oro delle sue iridi
sembrava letteralmente bruciare.
«Non avrei mai dovuto permettere
che questo accadesse a lui e a te»
aveva ringhiato. «Non è giusto... non
è giusto e basta!»
La visita di Ian, cinque mesi dopo
il tragico incidente di Fallujah, era
durata meno di mezz’ora. Marcie si
aspettava che tornasse, ma dopo
quell’unica volta non lo aveva mai
più rivisto.
Se aveva letto le lettere di lei,
doveva sapere che poco dopo la sua
visita Bobby era stato trasferito in
un istituto. Nel corso di quei lunghi
mesi, a volte Marcie aveva la
sensazione che Bobby capisse
qualcosa. Volgeva la testa verso di
lei, sembrava che la guardasse, a
volte addirittura si accostava come
per sentirla più vicina e poi
chiudeva gli occhi, come se sapesse
che lei era lì e potesse sentirne il
calore e il profumo. Forse era
l’unica a crederci, ma sentiva che da
qualche parte, all’interno di quel
guscio immobile, Bobby sapeva di
essere a casa, con sua moglie e la
sua famiglia, e sapeva di essere
amato. Se quella fosse vita, Marcie
non lo sapeva. La famiglia di lui
aveva espresso il desiderio che i
tubi di alimentazione e idratazione
venissero rimossi, in modo che lui
morisse in pace: ma lei non se l’era
sentita. E poi aveva trovato pace nel
pensiero che la scelta non era sua,
che decidere non toccava a lei. Lei
doveva solo stargli accanto, fare del
proprio meglio per confortarlo e
amarlo, assicurarsi che non gli
mancasse nulla. Non era religiosa, e
andava raramente in chiesa; pregava
quando era spaventata o aveva
qualche problema, ma quando le
cose andavano bene se ne
dimenticava. Però, al di là di tutto
questo, era convinta che Dio
avrebbe preso Bobby con sé quando
fosse stato il suo momento. Quel che
doveva accadere sarebbe accaduto.
E così era stato.
Sulla quarta strada sterrata,
finalmente apparve il cancello e
Marcie emise un sospiro di sollievo
perché la sua macchina stava
ansimando, consumando un’enorme
quantità di benzina e faticando non
poco su per le ripide salite
disseminate di rocce. In effetti il
cancello non era chiuso e lei lo
oltrepassò augurandosi di non dover
salire ancora per molto. Date le
condizioni della strada non poteva
superare i venti chilometri all’ora, e
chissà quanto ancora ci sarebbe
voluto... Quando infine avvistò una
capanna e un vecchio pick-up
parcheggiato nei pressi, era ormai
pomeriggio avanzato e di lì a poco
sarebbe calato il buio.
Marcie era talmente stanca che
non aveva ancora pensato a quello
che avrebbe fatto se avesse davvero
trovato Ian. Era stata delusa tante di
quelle volte!
Parcheggiò davanti alla capanna e
suonò il clacson, come si faceva da
quelle parti per annunciare il
proprio arrivo, visto che nessuno
aveva un campanello alla porta. La
gente poteva essere in casa, ma
anche fuori in giardino o lungo il
fiume: l’unico modo per render nota
la propria presenza era dare una
voce, sparare un colpo di fucile o,
appunto, suonare il clacson. La
Volkswagen non aveva un clacson
molto forte, solo una specie di
patetico beep.
Marcie scese e si guardò intorno.
La capanna doveva avere almeno
cinquant’anni, e da qualche traccia
sui muri si intuiva che tanto tempo
prima doveva essere stata dipinta di
arancio. Il terreno intorno era
spoglio e privo di alberi; addossata
a uno dei muri esterni c’era una
grossa catasta di legna protetta da un
telo cerato, ma niente fienile né
recinto per gli animali. Non c’era
veranda, e le finestre erano piccole
e poste piuttosto in alto. Dal tetto
sbucava un comignolo. Poco lontano
dalla capanna c’era un casotto che
probabilmente ospitava una latrina,
e accanto quello che sembrava un
magazzino, una rozza costruzione
che misurava circa due metri per tre.
Come si poteva vivere in quel modo,
pensò lei, così lontani dalla gente,
così privi delle comodità più
elementari?
Prima di bussare alla porta
aspettò di vedere se chi abitava
nella capanna si sarebbe fatto vivo
per primo. Aveva già parlato con
decine, forse centinaia di persone, e
non avrebbe dovuto illudersi
nemmeno questa volta... ma dopo
aver mentito ai fratelli dicendo che
Ian era stato visto da quelle parti,
non poteva impedirsi di sperare che
l’abitante della capanna fosse
davvero lui! Se così non era,
avrebbe mangiato il resto dei
sandwich e dell’insalata di patate, si
sarebbe cercata una stazione di
servizio
e
avrebbe
passato
l’ennesima notte in macchina.
Poi un uomo apparve da dietro
l’angolo della capanna, con in mano
un’ascia. Era grande e grosso, con le
spalle ampie e una barba incolta che
gli arrivava a metà del petto.
Portava una giacca con i polsi
sfilacciati la cui fodera a quadri
pendeva scucita qua e là; i pantaloni
erano rattoppati sulle ginocchia, e
gli stivali erano consumati e pieni di
tagli. Dopo una prima rapida
occhiata, Marcie pensò: Accidenti,
non è lui!. I capelli, lunghi e legati
in una coda, erano castani, ma la
barba era rossiccia, e l’uomo aveva
entrambe le sopracciglia. Non
poteva essere Ian. «Salve» gli disse.
«Mi dispiace disturbarla, ma...»
L’uomo le si avvicinò con
espressione irosa. «Che diavolo ci
fai qui?» ringhiò.
Lei lo guardò, e vide che il color
ambra di quegli occhi prendeva
fuoco.
Gesù benedetto, era lui!
Fece un passo esitante. «Ian?»
«Ho detto, che diavolo ci fai
qui?»
«Stavo... ti ho... ti stavo cercando.
Sono la...»
«So chi sei. Adesso che mi hai
trovato puoi andartene!»
«Aspetta un momento. Adesso che
ti ho trovato dobbiamo parlare.»
«Non mi va di parlare.»
«No, aspetta... devo dirti di
Bobby. Se n’è andato, Ian. È morto,
quasi un anno fa. Te l’ho anche
scritto.»
Lui chiuse gli occhi e rimase
immobile per un momento, con le
braccia lungo i fianchi e le mani
strette a pugno. Sulla sua faccia si
leggeva un dolore profondo.
«Te l’ho scritto...» ripeté lei.
«Va bene» disse lui. «Ho capito.»
«Ma, Ian...»
«Tornatene a casa» fece lui
brusco. «Vivi la tua vita.» Poi si
voltò, entrò nella capanna e le sbatté
la porta in faccia.
Per un attimo Marcie fissò la
porta chiusa. Poi guardò verso il
sole che stava calando e diede
un’occhiata all’orologio. Erano le
cinque, lei si trovava in cima alla
collina e quindi c’era ancora un po’
di luce. Ma siccome si era a metà
dicembre, a valle era ormai buio.
Non le andava di avere una
questione in sospeso con Ian, ma
soprattutto, dopo quello che aveva
patito per trovarlo, non aveva alcuna
intenzione di lasciar perdere. Trasse
un paio di respiri profondi, si disse
che probabilmente era solo turbato e
infelice ma non pazzo, e marciò
verso la porta. Bussò con le nocche,
poi fece un passo indietro per
mettersi al sicuro.
La porta si spalancò e Ian la
fulminò con gli occhi. «Che diavolo
vuoi?»
«Ehi, perché ce l’hai con me?
Voglio solo parlarti.»
«Non mi va» abbaiò lui cercando
di richiudere la porta.
Con inatteso coraggio lei spinse
un piede nell’apertura. «Allora puoi
starmi a sentire.»
«No!» urlò lui.
«Guarda che non mi fai paura!»
urlò Marcie di rimando.
E allora lui ringhiò come un
animale feroce. Mostrò i denti, i
suoi occhi si illuminarono di una
luce selvaggia, e il suono che emise
non aveva nulla di umano.
Marcie sobbalzò e fece un passo
indietro, con gli occhi sbarrati.
«D’accordo» disse alzando le mani,
«forse un po’ di paura me la fai.»
Lui la guardò con gli occhi ridotti
a due fessure, poi sbatté di nuovo la
porta.
«Ma ho fatto troppa strada e mi
sono data troppo da fare per
rinunciare adesso!» urlò lei in
direzione della porta chiusa. Mollò
un forte calcio al battente, si fece
male al piede e si mise a saltellare,
soffocando un grido di dolore.
Ma tutto questo non lo smosse di
un centimetro. Marcie rimase a
fissare la porta chiusa, cercando di
decidere cosa fare. Non aveva
alcuna intenzione di scappare solo
perché lui le aveva ringhiato contro,
lo spaccone, ma per il momento non
se la sentiva di affrontarlo di nuovo.
Probabilmente Ian aveva bisogno di
un po’ di tempo per calmarsi, e per
capire che lei non avrebbe
rinunciato. Perciò la cosa migliore
da farsi era aspettare. E intanto
mangiare qualcosa.
Marcie tornò alla macchina e
prese dal frigorifero/bagagliaio il
resto del cibo avuto da Preacher, poi
distese il sacco a pelo sui sedili
posteriori dopo aver spostato in
avanti il più possibile quelli
anteriori. Si sistemò su quella specie
di divano e attaccò l’ultima metà di
sandwich.
D’accordo, pensò masticando,
non era andata esattamente come
sperava. Immaginando quel che
sarebbe successo quando avesse
trovato Ian, si era prospettata alcune
possibilità. Che lui fosse felice di
vederla, e l’abbracciasse con
calore; o che invece fosse cupo,
rinchiuso in se stesso... o addirittura
un pazzo furioso che viveva fuori
dal mondo. Ma non aveva mai
immaginato che Ian potesse darle
un’occhiata ostile, disperarsi alla
notizia della morte di Bobby, e poi
urlarle di andarsene in quel modo
meschino e crudele.
Marcie bevve un sorso dal
thermos, che aveva riempito di
acqua dal rubinetto di Preacher
perché l’acqua minerale era troppo
costosa per lei. Ogni tanto dava
un’occhiata alla porta della capanna,
e si infuriava sempre di più
pensando al modo in cui Ian l’aveva
trattata dopo tutto quel che lei aveva
sofferto per ritrovarlo. Voleva solo
assicurarsi
che
stesse
bene,
maledizione! D’improvviso i suoi
occhi si riempirono di lacrime.
Quella reazione violenta l’aveva
davvero ferita, e allo stesso tempo
la faceva impazzire di collera. In
fondo che gli aveva fatto? Come
aveva
potuto
trattarla
così,
ringhiarle contro come una bestia e
sbatterle la porta in faccia? Senza
nemmeno starla a sentire? Non
avrebbe potuto invitarla a entrare,
dirle che stava bene ma voleva
essere lasciato in pace, accettare le
figurine del baseball e poi...
Marcie abbassò la testa e lasciò
che le lacrime le scorressero sulle
guance. Era da tanto tempo che non
piangeva così. Adesso lo capiva,
aveva idealizzato le aspettative per
il risultato della sua ricerca, e quella
era la ragione per cui Erin aveva
tanto insistito per assumere un
investigatore
e
affidargli
la
faccenda. Ian Buchanan se n’era
andato lontano da tutti perché non
voleva aver più niente a che fare con
le persone della sua vita passata,
non perché aveva bisogno di aiuto.
Non voleva l’aiuto di nessuno, e in
particolare non voleva il suo.
Tirando su col naso, Marcie
pensò che forse era l e i ad avere
bisogno dell’aiuto di Ian. Forse,
prima di riprendere a vivere doveva
esaminare e capire il rapporto di Ian
con Bobby e con lei, e accettare gli
inevitabili cambiamenti. La reazione
di Ian – il ringhio, la porta sbattuta –
non l’aveva scoraggiata ma non
l’aveva aiutata a capire. Perciò
sarebbe rimasta lì finché Ian non se
ne fosse reso conto: con lui non
aveva ancora finito. E purtroppo la
faccenda si annunciava difficile,
perché c’erano buone probabilità
che quell’uomo fosse davvero fuori
di testa...
Marcie cercò di finire il
sandwich, ma ormai aveva perso
l’appetito. Il fatto era che
ultimamente non aveva mangiato
granché, e meno cibo immetteva
nello stomaco meno le andava di
mangiare. Finalmente rimise i resti
del sandwich nel sacchetto di
plastica e rimase a guardare il sole
che scompariva all’orizzonte. Poi
dietro le finestrelle della capanna si
accese una luce e dal comignolo salì
un filo di fumo.
Lei si appoggiò allo schienale,
piuttosto
comoda
benché
emotivamente distrutta. Ormai aveva
deciso: sarebbe rimasta lì finché non
avesse trovato un modo di farsi
ascoltare.
Affrontando la questione da un
punto di vista più pratico, si augurò
di non doversi alzare nel mezzo
della notte per il bisogno di un
bagno. Di solito sceglieva con cura
il posto in cui dormire, in modo da
non doversi allontanare troppo dalla
macchina se di notte aveva qualche
necessità. Non era mai stata una
campeggiatrice, e non aveva mai
imparato a svuotare la vescica a
comando. Ma dopo un mese di
ricerche lungo i sentieri di montagna
e notti passate nei parcheggi o nelle
stazioni di servizio, finalmente
aveva messo a punto la tecnica
giusta. Adesso era in grado di
scendere dalla macchina, fare quel
che doveva, risalire in macchina e
bloccare la porta, tutto nel giro di un
minuto.
Per lavarsi si arrangiava con le
docce negli ostelli della gioventù o
nelle palestre, dove nessuno
controllava troppo attentamente i
documenti.
La prima settimana aveva dormito
nei motel più economici, ma poi si
era resa conto che anche quelli
costavano troppo e aveva deciso di
dormire in macchina, anche perché
la ricerca si annunciava piuttosto
lunga e lei doveva far durare il
denaro più a lungo possibile.
Poi le venne in mente che accanto
alla capanna aveva notato una
latrina. Accidenti, chi avrebbe mai
pensato che sarebbe stata tanto
contenta di vedere una latrina? La
sua vita stava diventando davvero
interessante!
Drew ed Erin – specialmente
Erin – sarebbero morti se avessero
saputo che lei dormiva in macchina.
Forse sono pazza quanto lui,
pensò Marcie scuotendo la testa. E
poi notò che sul parabrezza della
Volkswagen si fermavano dei
fiocchi di neve. Bei fiocchi di neve
soffici, illuminati da una lama
residua di sole che filtrava tra le
nuvole all’orizzonte e li faceva
scintillare come gioielli.
Il panorama era stupefacente: tra
un fiocco e l’altro brillava un
arcobaleno le cui estremità si
perdevano fra le fronde dei pini.
Uno spettacolo magnifico. Non
poteva essere arrabbiata in un posto
così bello – almeno, non con Ian,
che forse aveva soltanto dimenticato
di essere un suo amico.
Probabilmente, con il suo ringhio
animalesco voleva farle credere di
essere pazzo. Ma lei voleva credere
che al di là di quell’esplosione d’ira
Ian fosse ancora l’uomo che Bobby
le aveva descritto, l’uomo di cui le
aveva tanto parlato nelle sue lettere:
forte, gentile, leale, premuroso con
tutti. E coraggioso. Bisognava essere
davvero coraggiosi per fare quel che
aveva fatto.
Marcie guardò ancora la neve che
cadeva lievemente, l’arcobaleno che
sbiadiva nel tramonto, il buio che
calava a poco a poco. Poi si
appoggiò all’indietro e chiuse gli
occhi per un momento. Solo un
momento, disse a se stessa.
Per pensare.
3
Ian non avrebbe aperto la porta
nemmeno morto, e per la stessa
ragione aveva evitato accuratamente
di guardar fuori. Tra le montagne il
silenzio era tale che se quella pazza
avesse messo in moto per andarsene
lui avrebbe sentito chiaramente il
click
della
chiave
inserita
nell’accensione. Perciò la ignorò,
aggiunse un po’ di legna nella stufa,
accese la cucina a gas e mise a
scaldare due o tre pentole d’acqua
per il bagno.
Da un anno viveva in quella
capanna senza bagno, doccia o
elettricità, ma aveva fatto qualche
miglioria: aveva comprato un
generatore, ci aveva collegato dei
fili per alimentare due lampadine
all’interno, e poi, in un mucchio di
rottami, aveva trovato una vecchia
vasca da bagno con le zampe di
leone che aveva rappezzato. Così si
poteva lavare in qualcosa di un po’
più grande del lavello di cucina.
Non riempiva mai del tutto la
vasca. Due pentole d’acqua fredda
pompate a mano dalla sorgente
accanto alla casa, più due scaldate
sulla cucina a gas, non erano un vero
e proprio bagno. E specialmente
d’inverno, col freddo, si calava
nella vasca, si insaponava e
risciacquava e usciva in tutta fretta.
Non pensava che avrebbe mai avuto
altro che quella vasca, perché
doveva risparmiare e non poteva
permettersi un idraulico, e non era in
grado di installarsi da solo un
sistema di tubature. Erano anni che
non faceva una doccia come si deve,
ma era un uomo e non aveva bisogno
di tante raffinatezze. Gli bastava
essere pulito.
Dopo un rapido bagno indossò
degli abiti puliti, poi riscaldò un po’
di stufato senza nemmeno toglierlo
dal barattolo. Avrebbe voluto sapere
dov’era Marcie Sullivan e che cosa
stava facendo, ma non si affacciò
per scoprirlo. Se l’avesse ignorata e
avesse rifiutato di parlarle, lei
sarebbe andata via. Molto presto. O
così sperava.
Dopo tanti anni, Ian era riuscito a
dimenticare tutto quello che gli era
successo prima di arrivare tra quelle
montagne; ma una sola occhiata alla
massa di riccioli rossi e agli occhi
verde smeraldo di lei aveva
riportato ogni cosa in superficie.
Aveva visto per la prima volta
quel bel faccino in una foto che
Bobby gli aveva mostrato. Il ragazzo
era davvero speciale: quando si
erano conosciuti aveva vent’anni,
era nei Marine da due, e si era già
guadagnato un paio di gradi. Ian
aveva ventotto anni e stava per
assumere il comando di un nuovo
squadrone. Si era subito affezionato
a Bobby, un ragazzone grande e
grosso, simpatico, aperto, che non
conosceva la paura e non si dava
arie. All’inizio Ian lo aveva fatto
lavorare senza pietà, ma lui
sopportava tutto, non era mai stanco
e si impegnava ancora di più; e in
breve Ian aveva cominciato a fargli
da mentore, facendone uno dei suoi
uomini migliori. Di tanto in tanto
bevevano insieme una birra e
parlavano di argomenti che non
riguardavano la vita militare, come
sport, musica, macchine, caccia. Poi,
erano andati insieme in Iraq.
Nel tempo libero si mostravano le
foto delle rispettive ragazze e si
leggevano le lettere che ricevevano,
a volte tralasciando le parti più
personali e a volte no. Bobby aveva
sposato la sua ragazza, ma Ian era
fidanzato da meno di un anno
quand’era partito per l’Iraq.
Shelly stava organizzando il loro
matrimonio, che avrebbe avuto
luogo quando Ian fosse tornato a
casa; Bobby e Marcie stavano
pensando di metter su famiglia.
Entrambe
le
ragazze
erano
bellissime. Marcie era minuta, quasi
fragile, con una massa di riccioli
rossi e un sorriso sbarazzino. Shelly
era una bionda alta e sofisticata con
lunghi capelli lisci. In una lettera,
Marcie aveva mandato al marito un
paio di mutandine di pizzo che lui
mostrava orgogliosamente a tutti, ma
che nessuno poteva toccare. Shelly
aveva mandato a Ian una ciocca di
capelli, e lui non le aveva mai detto
che avrebbe preferito di gran lunga
un paio di mutandine... Poi, Marcie
aveva mandato al marito una foto in
bikini, seduta sulla motocicletta di
Bobby; e Shelly aveva inviato una
sua foto in pantaloni eleganti e
maglione di cachemire, accanto
all’albero di Natale. Entrambe
inviavano anche biscotti, libri,
cartoline, calzini pesanti, nastri con
le canzoni preferite, tutto quello che
poteva confortare e rallegrare i loro
uomini.
Quando
i
giubbotti
antiproiettile avevano cominciato a
scarseggiare e i soldati dovevano
comprarli con il loro denaro, Marcie
e Shelly avevano inviato anche
quelli...
Ian non voleva più pensare al
passato. Non voleva parlarne, non
voleva essere ossessionato dai
ricordi. Possibile che Marcie non lo
capisse? Seduto al piccolo tavolo
della capanna, abbassò la testa tra le
mani e chiuse gli occhi. Ma i ricordi
non volevano andarsene.
A Fallujah non esistevano
missioni di routine. Fino a quel
momento lo squadrone di Ian non
aveva partecipato a molte azioni:
ma
quel
giorno,
mentre
perlustravano un quartiere casa
per casa, a caccia di insorti, gli
uomini
procedevano
con
particolare cautela. Le strade
erano praticamente deserte. Due
donne, ritte sulla soglia di una
casa, li guardavano intimorite.
D’improvviso si scatenò l’inferno.
Un’autobomba
esplose,
poi
scoppiarono alcune granate, e
infine cominciò il fuoco dei
cecchini. Ian vide uno dei suoi
uomini volare in alto, trasportato
dallo
spostamento
d’aria
dell’esplosione, e poi ricadere
pesantemente a terra. Quando il
rumore assordante diminuì un po’,
Ian si rese conto che l’uomo a terra
era Bobby.
Valutò rapidamente la situazione
e vide che gli altri uomini si erano
messi al riparo e stavano
rispondendo al fuoco. Bobby,
invece, era in condizioni critiche:
era stato gettato in aria
dall’esplosione, ma prima di
ricadere a terra era stato ferito da
due spari, uno alla testa e uno al
torace.
Quando Ian si precipitò da lui
Bobby aprì gli occhi e sussurrò:
«Mettiti al riparo, sergente...».
«Non dire stupidaggini» replicò
lui. «Adesso ti porto via da qui.»
Poi lo sollevò tra le braccia – e
capì subito che la situazione era
gravissima. Bobby era inerte e
pesante come un sacco di sabbia di
novanta chili. Se lo issò sulle
spalle, lo portò fino a un edificio in
rovina e lo appoggiò a terra dietro
un muro ancora in piedi, poi
chiamò via radio un medico perché
gli somministrasse le prime cure di
emergenza. Infine premette la mano
sulla ferita alla testa di Bobby,
sperando di arrestare l’emorragia,
e aspettò.
Finalmente arrivò il paramedico
addetto al loro squadrone e aprì la
tuta mimetica di Bobby per
valutare
i
danni.
Spostò
delicatamente il ferito ed esaminò
la schiena. «La pallottola è entrata
e uscita» disse applicando una
compressa di garza per arrestare il
sangue. «Non posso dire quant’è
grave finché non sarà in ospedale. I
segni vitali si percepiscono
appena.»
«Sono certo che ce la farà» disse
Ian, benché Bobby fosse privo di
conoscenza.
Il paramedico disinfettò la ferita
alla testa e ci applicò una garza
sterile fermata da alcuni cerotti.
«Purtroppo non possiamo far
arrivare un elicottero fin qui, in
mezzo a questo inferno» disse.
«Dovremo portarlo a spalla o
trasportarlo con una lettiga.»
«Cerca di mantenerlo in vita
finché non arrivano i trasporti»
disse Ian. Ma poi l’uomo fu
chiamato a curare un altro ferito e
Ian capì che toccava a lui
occuparsi di Bobby e farlo arrivare
in ospedale.
Ormai Bobby era svenuto da un
bel po’ di tempo, e respirava
appena. Ian sapeva che non se la
sarebbe cavata facilmente, ma
rifiutava di pensarci troppo. «Te la
caverai, amico» ripeteva. «Vedrai...
ti porterò via di qui. Resisti. Ce la
farai...» Finalmente via radio
arrivò la notizia che un elicottero
aspettava pochi isolati più in là, in
una zona sicura.
Non appena il fuoco dei cecchini
parve meno intenso, Ian sollevò
Bobby fra le braccia e cominciò a
correre lungo le strade polverose
di
Fallujah,
in
direzione
dell’elicottero e dei medici che
avrebbero curato il suo amico. Un
cecchino lo colpì alla coscia, ma
lui continuò a correre senza
nemmeno sentire il dolore della
ferita. Qualcos’altro lo colpì in
faccia, ma lui non si fermò
nemmeno allora. E finalmente vide
l’edificio dietro il quale c’era
l’elicottero.
Trasportò
Bobby
fino
al
portellone, lo consegnò all’équipe
medica e si voltò per tornare dai
suoi uomini, ma uno dei medici lo
afferrò per la manica. «Aspetti un
minuto,
sergente.
Diamo
un’occhiata alle sue ferite.»
Ian abbassò gli occhi e vide che
era coperto di sangue – non sapeva
se suo o di Bobby. Sentì che la
gamba cominciava a pulsare, e capì
che un suo occhio era offuscato dal
sangue che cadeva copioso da un
sopracciglio.
«Pensate a lui» replicò tuttavia.
«Io sto bene.»
«Il suo amico è affidato al mio
collega» replicò l’uomo. «Adesso si
lasci curare anche lei.» E preso un
paio di forbici tagliò la gamba dei
pantaloni
fino
alla
coscia,
esponendo un foro rossastro e
sanguinante.
«Diavolo» disse Ian. Barcollò e
accettò di sedersi.
Dopo la coscia, il paramedico si
occupò della faccia di Ian. C’era
un taglio sul sopracciglio, e una
ferita che correva lungo la
guancia.
Ian si lasciò disinfettare e
bendare, osservando quelli che si
affaccendavano attorno a Bobby.
Qualcuno disse che aspettavano
l’arrivo di altri due Marine feriti, e
un altro osservò: «Per fortuna oggi
non abbiamo nessun morto».
Si sbagliava, ma non poteva
saperlo...
Finalmente l’elicottero decollò e
si diresse verso l’ospedale da
campo più vicino. Nelle tende
erette in tutta fretta operava
un’équipe di chirurghi, e fu lì che
Ian e Bobby vennero separati.
Bobby venne portato in sala
operatoria, Ian in un ambulatorio.
Qualcuno gli rasò il sopracciglio e
applicò alcuni punti sulla ferita,
mentre l’infermiere gli disse che
probabilmente il sopracciglio non
sarebbe ricresciuto. Le altre ferite
vennero ripulite e bendate, poi
qualcuno procurò a Ian delle
stampelle. Nel frattempo Bobby era
stato stabilizzato e messo su un
aereo diretto in Germania.
Ian rimase in Iraq. Nel giro di
due mesi le ferite guarirono,
lasciandogli però delle brutte
cicatrici. E durante il periodo in
cui non era in prima linea scrisse
spesso alla moglie di Bobby,
cercando
di
rassicurarla
e
dicendole che Bobby se la sarebbe
sicuramente cavata. Appena saputo
quel che era accaduto al marito,
Marcie era partita per la
Germania. Da lì scrisse a Ian
tenendolo
aggiornato
sulle
condizioni di Bobby, poi seguì il
marito a Washington, all’ospedale
Walter Reed , e continuò a scrivere
a Ian – e lui a risponderle.
Poi Ian tornò a combattere, e da
Washington Bobby fu spostato in un
ospedale per veterani in Texas e
infine a casa, con sua moglie. Ian
continuò a scrivere a Marcie, e lei
a rispondergli. Scriveva cose tipo:
Reagisce ancora poco, ma continua
con la fisioterapia ed è molto
seguito, oppure: Non ha respiratore
né altro, e anche: Te lo giuro, Ian,
oggi mi ha sorriso!. Ma scriveva
inoltre che Bobby era paralizzato e
che i medici temevano un danno
cerebrale, non causato dalla
pallottola ma dal fatto che il
cervello si era gonfiato. Paralisi.
Danno cerebrale.
Pochi mesi dopo Marcie aveva
scritto: Ormai è chiaro. Bobby non
migliorerà mai. È paralizzato dal
collo in giù, e se anche è cosciente
non reagisce. La notizia colpì Ian
come un mazzata. Rilesse tutte le
lettere precedenti, ma non vi trovò
alcun
accenno
che
facesse
presagire il disastro. Eppure i fatti
erano lì, incontrovertibili: solo che
per mesi Ian aveva negato
l’evidenza, e Marcie aveva
continuato a sperare.
Dopo qualche tempo Marcie
s c r i s s e : Sono molto felice e
sollevata, Bobby è a casa.
Ian ricevette delle medaglie per
il suo gesto eroico; ma ogni giorno
si domandava che senso aveva
essere premiato per aver salvato la
vita di qualcuno che viveva in un
guscio inerte.
Poiché aveva le informazioni
basilari sulla salute dell’amico,
credeva di essere preparato a
vederlo di persona quando fosse
tornato a casa in licenza. Marcie
era elettrizzata dalla prospettiva, e
non vedeva l’ora di abbracciarlo e
ringraziarlo. Quanto a lui, non si
aspettava certo di trovarli ridotti in
quello stato. Paragonando Marcie
alle foto che Bobby gli aveva
mostrato, la vedeva smagrita,
pallida, terribilmente fragile. E
Bobby non era più lui, ma la
spaventosa ombra di se stesso.
Muscoli spariti, faccia emaciata e
grigiastra, occhi fissi nel vuoto:
veniva nutrito attraverso un tubo e
non reagiva alle carezze della
giovane moglie o alla voce del suo
migliore amico. Era peggio che
morto: eppure il suo cuore batteva
e i suoi polmoni pompavano aria.
Una caricatura, un inganno
vivente. E gli avevano dato delle
medaglie per questo?
Ian riaprì gli occhi e scoprì che
bruciavano, come se ci fosse entrata
della sabbia. Era stato letteralmente
trasportato nel passato – cosa da cui
rifuggiva da anni. Non sapeva
nemmeno se le sue difficoltà erano
state causate dall’Iraq in generale, o
dal singolo evento che aveva
cambiato in modo irrevocabile la
vita di Bobby. Quali che fossero le
cause, quando lui era tornato a casa
in licenza era un uomo finito. La sua
visita a Bobby era durata un quarto
d’ora, non di più, e vedere quel che
aveva fatto – salvare Bobby per
farlo vivere così – lo aveva distrutto
definitivamente. Aveva mandato a
monte il matrimonio spezzando il
cuore di Shelly, poi era tornato in
servizio; ma non era più lo stesso
uomo forte e serio, era un relitto
collerico e irresponsabile.
Si metteva continuamente nei guai.
Non era più un esempio per gli altri,
ma un problema da evitare. Finì col
passare due notti in prigione per via
di una stupida rissa, e suo padre gli
disse che non si era mai vergognato
tanto in vita sua. In tutta risposta, Ian
si comportò talmente male che il
Corpo dei Marine gli suggerì di
congedarsi e di tornare alla vita
civile.
Nel frattempo aveva anche
ricevuto una telefonata da Erin, che
lo pregava di mettersi in contatto
con Marcie, ogni tanto, visto che
badare a Bobby era un compito così
gravoso: e questo aveva aggiunto il
senso di colpa a tutti gli altri demoni
che lo ossessionavano.
Ian non riusciva più ad adattarsi.
Aveva deluso Bobby, si era
allontanato dal padre, aveva
abbandonato la sua donna. E non era
stato di aiuto a Marcie, che meritava
un minimo di comprensione. Si era
isolato dal mondo cercando di
capire e risolvere i suoi problemi,
ma quel compito si era rivelato
impossibile.
Perciò adesso non voleva
rivedere Marcie. Non voleva
rivivere quella parte della sua vita.
Non avrebbe mai potuto ottenere il
suo perdono, né annullare tutti gli
errori che aveva commesso. Marcie
doveva andarsene, doveva lasciarlo
in pace a convivere con i suoi
demoni in quel posto isolato, dove
almeno non avrebbe fatto del male a
nessuno. In quella capanna nel bosco
aveva trovato una sorta di pace: non
aveva alcun senso ricordare con
Marcie tutti i dettagli del passato. Lo
aveva già fatto lui decine di volte,
santo Dio, spesso senza volerlo!
Non avrebbe mai smesso di
sentirsi colpevole, questo era sicuro.
Se Bobby era condannato a una vita
che non era vita, perché lui avrebbe
dovuto riprendere un’esistenza
normale, come se niente fosse? Non
poteva... proprio non poteva. Ma
almeno poteva evitare che qualcuno
gli raccontasse gli orribili dettagli
degli ultimi anni di Bobby!
Diede un’occhiata all’orologio.
Erano le dieci: il suo viaggio nel
passato era durato quasi due ore.
Adesso doveva andare in bagno, ma
non aveva alcuna voglia di uscire.
Pensò per un attimo di usare il vaso
che gli serviva in caso di emergenza,
ma poi decise di controllare se
Marcie se n’era andata mentre lui
era perso nei ricordi.
Infilò il giubbotto per uscire,
sperando malgrado tutto che la
Volkswagen verde fosse scomparsa:
e invece era ancora là, coperta da
uno strato di neve. Ian era così
furioso che emise un ruggito
selvaggio, ma dalla macchina non
venne alcuna risposta. Allora si
avvicinò e batté il pugno sul
finestrino.
«Ehi,
tu!»
gridò.
«Vattene, torna a casa tua!» Ma
nessuno gli rispose.
Ian mise entrambe le mani sul
tettuccio e cominciò a scuotere la
macchina, sempre più incollerito.
Poi si fermò, ma dall’interno non ci
fu nessuna reazione.
Diavolo, pensò, qua fuori si gela.
Non poteva essersi addormentata in
una macchina coperta di neve, no?
Nessuno poteva essere tanto stupido.
Aprì la portiera e vide che la
macchina era vuota. Se n’era andata.
«Accidenti a te!» gridò. «Marcie,
maledizione, dove diavolo sei?»
Nel silenzio della notte, la neve
cadeva leggera. Poi Ian sentì un
cigolio, si voltò e notò che la porta
della latrina era aperta e dondolava
appena, spinta da una lieve brezza.
Si sentì afferrare da un timore
gelido e si precipitò a vedere.
Marcie giaceva a faccia in giù, la
metà superiore del corpo all’interno
della latrina e le gambe fuori,
coperte di neve. Dio santo, pensò
lui. Chissà da quanto tempo era
sdraiata là fuori!
Senza fermarsi a riflettere la
sollevò tra le braccia e accostò le
labbra alla sua fronte per sentirne la
temperatura. Era fredda come il
ghiaccio. Corse verso la capanna,
sempre tenendola fra le braccia,
conscio del fatto che non era ancora
rigida. E pregò – cosa che non
faceva da anni. Dio, ti prego... non
volevo spaventarla con i miei
ruggiti, pensavo solo che sarebbe
stato meglio per entrambi se fosse
andata via! Fa’ che stia bene, che
non le succeda nulla... farò
qualsiasi cosa!
La depose sul divano, aggiunse
due grossi ciocchi di legna nella
stufa, poi tornò accanto al divano e
le controllò il polso. Era abbastanza
regolare, ma l’ipotermia avanzata le
aveva fatto perdere i sensi. Ian
sapeva che cosa fare, e cominciò a
spogliare Marcie eliminando gli
abiti bagnati. Prima il giubbotto
imbottito, poi gli stivali e i jeans.
Per fortuna erano piuttosto spessi, e
gli stivali erano solidi, con una
suola
robusta.
Probabilmente
l’avevano protetta dal congelamento.
La sollevò per sfilarle il pullover
dalla
testa,
e
lei
ricadde
pesantemente sul divano. Poi Ian si
liberò in fretta della giacca e della
camicia, sfilò gli stivali e i jeans e
coprì il corpo fragile di lei con il
proprio, riscaldandola con il suo
calore.
Badando bene a non schiacciarla
con il proprio peso, girò la faccia di
lei e se l’appoggiò alla spalla; e
dopo una decina di minuti sentì che
il gelo diminuiva e la temperatura di
Marcie stava tornando normale.
Gli tremavano le braccia per lo
sforzo di tenersi appena sollevato in
modo da non soffocarla, pur
restando a contatto di pelle. E quello
sforzo richiamò alla memoria una
scena del passato. Fammi venti
piegamenti, soldato... adesso altri
venti! E altri venti! Dio, quanti
piegamenti aveva fatto... e quanti ne
aveva poi ordinati a sua volta!
Rimase sdraiato su di lei per
quasi un’ora, mentre la stufa
riscaldava l’intera capanna. Il
respiro di Marcie era regolare, il
corpo tiepido. Infine, con una certa
riluttanza, Ian si staccò da lei e
l’avvolse in un plaid che stava
ripiegato ai piedi del divano. Si
rivestì, aggiunse altra legna nella
stufa e mise a scaldare una pentola
d’acqua.
Nell’unica stanza c’erano il
divano, un tavolo con due sedie, la
vasca da bagno, la stufa e un
fornello a gas appoggiato su una
rustica
credenza
accanto
al
lavandino, che funzionava con una
pompa. Oltre alla credenza c’erano
alcuni mobiletti, due grossi bauli e
una scatola di metallo in cui Ian
teneva i pochi oggetti di valore.
Accanto alla stufa c’era una catasta
di legna da ardere; negli angoli
erano appoggiati una canna da pesca
e due fucili che Ian usava per
cacciare sulla terra che era diventata
sua. Dormiva su una branda di
listelli di legno, che di giorno
veniva arrotolata, e durante le ore
libere leggeva i libri che prendeva
in biblioteca ogni due settimane
usando la tessera appartenuta al
vecchio Raleigh. In una lettera
scritta poco prima di morire,
Raleigh gli aveva lasciato la
proprietà e la casa.
Ian controllò Marcie, vide che
dormiva profondamente e uscì in
fretta per andare alla latrina. Di
solito a quell’ora anche lui dormiva
già, visto che c’era ben poco altro
da fare. Invece si sedette accanto al
tavolo e aprì il libro che stava
leggendo. Quando il bollitore fischiò
spense la fiamma e si alzò per
controllare di nuovo Marcie, che
sembrava tranquilla e continuava a
dormire. Ian bevve una tazza di tè,
aggiunse un po’ d’acqua nel
bollitore e riprese a leggere.
Ricontrollò Marcie dopo un po’ e
vide che era sempre uguale. I suoi
capelli rossi erano sparsi sul
cuscino, ricci e ribelli. Si domandò
come fossero al tatto. Prima non
aveva avuto occasione di scoprirlo
perché il suo volto era coperto di
barba, così ne prese una ciocca e la
fece scorrere tra le dita. Erano
morbidi e folti. Povera ragazza,
pensò. Ventitré anni, sposata da
quattro, aveva curato amorosamente
un uomo che era ossa e carne ma
nient’altro. Che vita era stata la sua?
Per alcune ore Ian continuò a
leggere, a bere tè e a controllarla di
tanto in tanto. Poi sentì che si
muoveva, e poco dopo udì un colpo
di tosse. Controllando l’ora, vide
che erano quasi le quattro e andò ad
accucciarsi accanto al divano. «Sei
sveglia?» domandò.
Marcie aprì gli occhi e si
raddrizzò puntellandosi su un
gomito. «Che c’è?» esclamò
allarmata.
«Stai tranquilla, va tutto bene... o
quasi.»
Lei batté le palpebre un paio di
volte, poi spalancò gli occhi. «Dove
sono?»
«A casa mia» spiegò Ian. «Ho
dovuto portarti dentro perché stavi
per morire congelata. Mi sa che sei
proprio senza cervello.»
Lei lo guardò stringendo le
labbra. «Grazie tante! È che non
sono abituata alla montagna.» Lo
guardò attentamente e aggiunse:
«Diavolo, se avessi saputo che ti era
ricresciuto il sopracciglio e avevi
una lunga barba rossiccia, ti avrei
trovato molto prima... Me ne vado
subito, non strapparti i capelli»
disse ironicamente. «Anche se ne hai
parecchi.»
«Tu non vai da nessuna parte»
ribatté lui appoggiandole una mano
sullo stomaco per tenerla ferma.
«Non hai scelta... e nemmeno io.»
«Ma figuriamoci. Dormo sempre
in macchina, ho un bel sacco a pelo
pesante e...»
«Allora non mi hai sentito! Ti ho
trovata a terra davanti alla latrina,
priva di sensi, coperta di neve e
semicongelata. Volevi vedermi, no?
Be’, il tuo desiderio è stato
esaudito.»
Marcie spalancò gli occhi ancora
di più. «Sono... ehm, nuda sotto
questa coperta?»
«No, hai indosso la biancheria. O
ti toglievo gli abiti bagnati o ti
lasciavo morire di freddo. Non è
stata una decisione facile» mentì.
«Sicché mi hai spogliata e avvolta
in questa coperta?»
«Più o meno» disse lui. E per
circa un’ora ho stretto il tuo
corpicino morbido contro il mio, il
primo corpo femminile che sentivo
da cinque anni a questa parte.
Finora non aveva capito quanto gli
mancasse quella sensazione. «Che è
successo là fuori?» continuò.
«Com’è che sei svenuta sulla porta
della latrina?»
«Non ne ho la minima idea. Ero
così contenta che ci fosse un bagno,
così non dovevo accucciarmi dietro
un cespuglio... Volevo fare in fretta,
ma ero talmente stanca che non
riuscivo quasi a muovermi, e questa
è l’ultima cosa che ricordo. Poi mi
sono svegliata qui.» Tossì di nuovo.
«Non credevo di essere tanto stanca
da addormentarmi a metà strada...»
«Non ti sei addormentata, hai
perso conoscenza per l’ipotermia»
rettificò Ian. «Te l’ho detto, eri
semiassiderata.»
«Mmh. Be’, adesso ho perfino
troppo caldo, con questa coperta
addosso. E devo andare in bagno.»
Ian guardò attentamente le sue
guance arrossate. Probabilmente era
già semiassiderata prima di uscire
dalla macchina, pensò. Si avvicinò
alla stufa e tastò gli abiti di lei, che
aveva disteso su una delle sedie per
farli asciugare, ma notò che erano
ancora umidi. Aprì un baule, prese
una delle sue camicie di flanella a
quadri e gliela porse. «Tieni, mettiti
questa.» Poi si chinò dietro la stufa,
dove c’era un vaso da notte di
smalto blu a pois bianchi che
doveva avere come minimo
cinquant’anni. Quando si voltò di
nuovo verso di lei, Marcie si stava
abbottonando la camicia.
«Usa questo» disse mostrandole il
vaso.
«Per farci che?»
«La pipì.»
«Ma nemmeno per sogno! Se mi
dai i jeans e gli stivali esco un
attimo e...» Poi si interruppe e tossì
parecchie volte.
«Non puoi uscire. E ti avverto,
cerca di non ammalarti perché io
non ho tempo di curare un malato.»
«Non sono malata, ho solo la gola
secca. Berrei volentieri un po’
d’acqua, ma non prima di essere
andata in...»
«Parliamoci chiaro» fece Ian
seccamente. «Non ti lascio uscire là
fuori al freddo, almeno per un po’.»
Accese di nuovo il fuoco sotto il
bollitore, poi infilò il giubbotto.
«Esco io. Tu fai quello che devi
fare, poi bevi una tazza di tè e torni
a dormire.»
Lei lo fissò per un attimo con gli
enormi occhi verdi. «Hai per caso...
ehm... della carta?» domandò.
Ian sospirò alzando gli occhi al
cielo, le porse il vaso e andò ad
aprire uno degli armadietti da cui
prese un rotolo di carta igienica. Poi
uscì, augurandosi che Marcie non ci
mettesse tanto a fare quello che
doveva. Rimase fuori cinque minuti,
tremando di freddo, poi bussò alla
porta e come tutta risposta la sentì
tossire a lungo. Si precipitò dentro e
la vide appoggiata alla spalliera del
divano, rossa in faccia, con il vaso
da notte in grembo e le gambe sottili
che sbucavano dall’orlo della
camicia troppo grande. «Che cosa
faccio con... con questo?» domandò
levando gli occhi su di lui.
«Ci penso io» disse lui. «Dallo a
me.» Marcie glielo cedette riluttante,
e lui uscì di nuovo per versare il
contenuto del vaso nel buco della
latrina. E mentre tornava in casa
pensò: È malata, non ci sono dubbi.
Ha dormito in quella maledetta
macchina chissà per quante notti,
ed era così debole che si è beccata
qualche virus. Poi il gelo ha fatto il
resto.
Rientrando non disse nulla.
Rimise il vaso al suo posto dietro la
stufa, si lavò le mani, preparò una
tazza di tè, e le portò un bicchiere
d’acqua con tre aspirine.
«E queste perché?» domandò lei.
«Credo che tu abbia la febbre.
Forse perché hai rischiato di
congelarti là fuori, o forse perché
stavi già male prima... comunque
proviamo con le aspirine.»
«Va bene» disse lei accettando le
pillole. «Grazie.»
Le inghiottì con l’acqua, poi gli
restituì il bicchiere e prese la tazza
fumante. Mentre lei beveva il tè, Ian
rimase seduto al tavolo, e dopo un
po’ disse: «Adesso ti dico quel che
facciamo. Stamattina devo lavorare,
non so esattamente quanto ci metterò
ma
dovrei
tornare
verso
mezzogiorno – e quando tornerò
voglio trovarti qui. Se saremo sicuri
che non stai male, potrai andartene,
ma non finché non ti dirò che puoi
farlo. Voglio che tu dorma e ti
rimetta in forze. Usa il vaso, non
uscire per nessuna ragione. Non
farmelo ripetere. Non voglio essere
costretto a cercarti chissà dove,
chiaro?».
Lei sorrise debolmente. «Ma
allora ti importa di me!»
Ian ringhiò, mostrandole i denti
come un animale.
Lei scoppiò a ridere, e la risata si
trasformò in un accesso di tosse.
«Funziona, questo tuo trucchetto?
Ruggire e ringhiare, come se stessi
per fare a brandelli chi ti sta di
fronte?»
Lui distolse lo sguardo e non
rispose.
«Però immagino che tenga a bada
la gente, no?» continuò lei. «Infatti il
tuo vicino mi ha detto che sei pazzo.
Cosa fai, ululi alla luna e tutto
quanto?»
«Se fossi in te cercherei di non
provocarmi»
ribatté
lui
malignamente. «Ti serve dell’altro
tè?»
«Se per te fa lo stesso farò un
sonnellino. Non voglio darti
fastidio, ma sono terribilmente
stanca...»
Ian le tolse di mano la tazza vuota.
«Se non volevi darmi fastidio
perché diavolo non mi hai lasciato
in pace?»
«Perché volevo rivedere un
vecchio amico, pensa che stupida...»
Marcie si distese sul divano,
tirandosi la coperta sulle spalle.
«Che lavoro fai?»
«Vendo legna da ardere» disse
lui. Andò ad aprire la scatola di
metallo, che era inchiodata al
pavimento per evitare che qualcuno
capitasse nella capanna e cercasse
di rubarla – il che era piuttosto
improbabile. Prese un rotolo di
banconote, poi richiuse la scatola
con il lucchetto. «Questa è la prima
nevicata della stagione» spiegò,
«perciò dovrebbe essere una
giornata buona per vendere legna.
Ma a qualsiasi ora torno, voglio che
tu resti qui finché non ti dico che
puoi andartene. Capito bene?»
«Senti, Ian, se sono qui è perché
ci sono voluta venire, e sarà meglio
c h e tu lo capisca bene. Sono io
quella che ti è venuta a cercare,
perciò non illuderti di darmi degli
ordini o di spaventarmi. Se non fossi
così stanca me ne andrei subito,
giusto per farti arrabbiare. Ma mi sa
che a te piace essere arrabbiato!»
Lui si infilò la giacca, prese un
paio di guanti dalla tasca e disse a
bassa voce: «Be’, d’accordo,
cercheremo di intenderci in qualche
modo».
«Aspetta... non è nemmeno
l’alba!»
«Comincio
sempre
prima
dell’alba. Devo caricare la legna sul
pick-up.»
E se ne andò.
Marcie sistemò il cuscino sotto la
testa e chiuse gli occhi. Dapprima
sentì il tonfo dei ciocchi di legna che
venivano caricati sul retro del pickup, poi qualcuno che fischiava. E
fischiava molto bene, seguendo una
melodia precisa. Lei si assopì per
qualche minuto, poi si svegliò di
nuovo perché la capanna era
illuminata dai primi raggi del sole. E
sentì cantare una bella voce
baritonale. Non capiva le parole ma
sapeva che era Ian, e la sua voce
magnifica la lasciò senza fiato.
Se si è arrabbiati o tristi, pensò,
non si può cantare. Proprio non si
può...
4
Nelle cittadine lungo la costa, come
Eureka e Arcata, la neve non era
caduta, ma su per le colline il clima
era umido e freddo, e si prevedeva
altra neve. Ian arrivò a un incrocio
piuttosto trafficato verso le sette del
mattino, e parcheggiò in un punto
strategico, da cui poteva intercettare
la gente che andava al lavoro.
Vendeva legna agli stessi clienti
ormai da quattro anni, ma poiché non
aveva telefono e nessuno sapeva
dove abitasse era sempre lui a farsi
vivo. In breve tempo cinque
macchine si fermarono una dopo
l’altra e lui vendette circa mezzo
quintale di legna. Si segnò gli
indirizzi in un suo taccuino e
promise di consegnare la legna a
domicilio nel giro di un paio di
giorni. Due di loro erano clienti
conosciuti, e Ian accettò i loro
assegni; con gli altri invece si
accordò perché le loro mogli lo
pagassero in contanti alla consegna
del legname.
Il sesto cliente fu il capo della
polizia. Ogni inverno comprava da
Ian un quintale di legna, e ormai era
chiaro che si fidava di lui perché lo
pagava in contanti prima della
consegna. Altri clienti volevano
vedere la legna prima di pagare.
«Hai una buona scorta per
quest’inverno?» gli domandò il capo
estraendo dalla tasca un fascio di
banconote.
«Oh sì, signore, non le mancherà
nulla. Le consegnerò il carico a casa
in giornata.»
«Me lo sistemi nella legnaia, per
favore, e ne lasci un po’ accanto alla
porta sul retro?»
«Sicuro, signore. Come sempre.»
«Bene, allora buona giornata»
disse il capo. «Ah, dimenticavo...
giorni fa da queste parti c’era una
donna che cercava un tale più o
meno della tua corporatura e della
tua età... No, lascia perdere. Non
potevi essere tu.»
Ian sorrise tra sé. No, non potevo
essere io, pensò. «Le porto la legna
stamattina» concluse.
«Grazie, amico.»
Venti minuti dopo, un pick-up si
fermò accanto al suo e Ian prese
l’ultimo ordine della giornata, poi
partì per consegnare la legna al capo
della polizia. Si fermò poco dopo
per far benzina e un po’ di spesa.
Arrivò alla capanna prima di
mezzogiorno.
All’interno faceva freddo perché
nessuno aveva aggiunto legna nella
stufa, ma nonostante questo Marcie
aveva scalciato via le coperte e
giaceva a faccia in giù, con il
sederino coperto di pizzo color
lavanda in piena vista. Era rossa in
faccia per la febbre. Ian depose sul
tavolo le borse della spesa, versò
del succo d’arancia in un bicchiere e
prese il flacone dell’aspirina.
Svegliò Marcie, la coprì con il plaid
e la fece sedere.
«Quando vai via?» domandò lei
con voce impastata di sonno.
«Sono già tornato. Hai la febbre,
devi prendere l’aspirina. Dove ti fa
male? La testa, lo stomaco, la gola,
il petto?»
«Mmh... non lo so» fece lei
lottando
per
svegliarsi.
«Dappertutto... ma forse sono solo
stanca. Tra un po’ mi passa.»
«Devi bere molto e prendere
l’aspirina» ripeté lui sollevandola.
«Coraggio. Hai l’influenza.»
«Mmh» disse lei di nuovo
cercando di mettersi a sedere. «Mi
dispiace... è solo un raffreddore, tra
un po’ starò meglio.» Prese le
aspirine e bevve un po’ di succo
d’arancia.
«Devo uscire di nuovo» disse lui.
«Sul tavolo c’è dell’altro succo
d’arancia, se vuoi. Ti serve il vaso
vicino al divano?»
«No» disse lei appoggiandosi al
cuscino. «Usarlo non mi piace.»
«Vado a vedere se riesco a
trovare delle medicine adatte»
riprese lui. «A Virgin River c’è un
vecchio dottore, può darsi che abbia
delle pillole per l’influenza. Ci
metterò circa mezz’ora ad arrivare e
altrettanto per tornare qui.»
«Virgin River...» disse lei
chiudendo gli occhi. «È il posto
dove hanno fatto un bellissimo
albero di Natale, enorme. Dovresti
vederlo...»
«Sì, certo. Tornerò tra un’ora o
poco più. Il fuoco dovrebbe durare,
ma tu cerca di tenere la coperta
addosso, d’accordo? Finché non
torno.»
«È che ho tanto caldo...»
«Non avrai più caldo tra
mezz’ora, quando l’aspirina avrà
fatto effetto e ti avrà abbassato la
temperatura. Tieni la coperta, va
bene? Fallo per me.»
Marcie
riaprì
gli
occhi.
«Scommetto che adesso sei davvero
arrabbiato con me, eh? Ma io volevo
solo trovarti, non darti tutto questo
fastidio...»
Lui le ravviò una ciocca di
riccioli rossi, umidi di sudore. «Non
sono più arrabbiato, Marcie» disse a
bassa voce. «Quando ti sarà passata
l’influenza ti tratterò di nuovo male.
Che ne dici?»
«D’accordo. E se ti va potrai
anche ringhiarmi contro o ruggire
come un animale selvaggio. Ho la
sensazione che ti piaccia molto.»
Ian sorrise suo malgrado. «Infatti,
lo trovo molto divertente.» Si alzò
dal divano. «Adesso resta sotto le
coperte. Torno il più presto
possibile.»
La prima cosa che Ian vide
entrando in paese fu l’albero di
Natale. Quando Marcie gliene aveva
parlato, aveva pensato che avesse le
allucinazioni per via della febbre, e
si era preoccupato: ma invece
eccolo lì, l’albero più enorme che
lui avesse mai visto. La parte più
bassa, circa un terzo, era decorata
con palle bianche, rosse e blu, stelle
dorate e qualcos’altro che non si
riusciva a vedere chiaramente; il
resto era ancora spoglio.
Ian rallentò un momento per
vedere meglio l’albero. Chissà
perché era decorato con quei colori
patriottici, pensò. Lo facevano ogni
inverno, o era la prima volta – forse
perché un ragazzo del paese era in
guerra?
Poi si riscosse e ricordò a se
stesso che doveva cercare le
medicine per Marcie. Anni prima,
quando il vecchio Raleigh era ormai
alla fine, Doc era venuto spesso a
visitarlo. Ian lo andava a prendere
con il pick-up e lo riaccompagnava,
perché Raleigh si era sempre
rifiutato di installare un telefono.
Quando entrò in ambulatorio, Ian
vide una giovane donna bionda
seduta alla scrivania. «Salve» lo
salutò. Lei si alzò in piedi e lui notò
il
ventre
arrotondato
dalla
gravidanza.
«Doc c’è?» domandò Ian.
«Certo, adesso glielo chiamo. Lei
è un paziente di Doc? Sa, io sono
qui solo da due anni...»
«Sì, diciamo che mi conosce.»
La donna gli sorrise e andò
nell’ufficio di Doc, e poco dopo il
vecchio dottore arrivò zoppicando,
con gli occhiali bassi sul naso e le
sopracciglia
aggrottate.
«Buongiorno» disse.
«Salve, Doc» rispose Ian
tendendogli la mano. «Per caso ha
sottomano
qualcosa
per
l’influenza?»
«Spiacente, figliolo, non ricordo
il tuo nome. La faccia sì, ma il
nome... chi sei?»
«Ian Buchanan. Sto nella vecchia
casa di Raleigh, a Clint Mountain.
Sono quello che lo ha curato, alla
fine.»
«Ah, sì, certo. Certo. Allora, che
ti senti?»
«Non è per me, Doc. Ho un’ospite
che è arrivata ieri, e durante la notte
si è ammalata. Febbre, brividi, gola
infiammata. Le ho dato dell’aspirina
e dei succhi di frutta, ma non volevo
portarla fuori con questo freddo
perché il riscaldamento del pick-up
non funziona. Se ha una medicina da
darmi...»
«Sono pieno di medicine, ragazzo,
ma di solito preferisco farmi le
diagnosi da solo.»
«Be’, il posto è lontano... se lo
ricorda, no?»
«Certo, come si fa a dimenticare
quella capanna a casa del diavolo?
Fammi solo preparare la valigetta e
poi ti seguo con la mia macchina.
Meglio che tu mi faccia da guida,
perché le strade lassù sono tutte
uguali.»
Ian pensò che di questo passo la
sua scorta di denaro per l’inverno si
sarebbe presto assottigliata. Per ora
era a posto, ma se avesse dovuto
usare più benzina del previsto, e più
gas per scaldare la capanna, avrebbe
avuto dei problemi. E in primavera
avrebbe dovuto pagare le tasse sulla
proprietà... L’estate era tutto più
facile. Non che facesse molto caldo,
ma lui non era costretto a scaldare il
cibo o l’acqua per lavarsi, la luce
del giorno durava fino a tardi e
perciò
risparmiava
anche
sull’elettricità. Ogni centesimo in
più veniva accantonato per le
eventuali riparazioni del pick-up e
per altre emergenze. Durante l’estate
lavorava saltuariamente per una ditta
di traslochi, e veniva pagato in
contanti e in nero. Però aveva tempo
per coltivare l’orto, andare a pesca
e abbattere gli alberi la cui legna
avrebbe venduto e usato d’inverno.
Finora se l’era cavata bene, e
l’avrebbe fatto anche quell’anno se
non fosse intervenuto un imprevisto
serio, come una malattia.
Tuttavia, nel caso di Marcie le
spese non avevano importanza. Lui
avrebbe trovato il modo di curarla,
anche se fosse stato necessario
ricoverarla in ospedale. Ormai, tutto
quello che voleva era riportare sulla
sua faccia il bel sorriso della foto
che Bobby gli aveva mostrato.
Immerso nei suoi pensieri, Ian
quasi non si accorse che la giovane
donna bionda aveva fatto una
telefonata e si stava infilando un
giaccone.
Quando Doc ritornò con la sua
valigetta, diede un’occhiataccia alla
donna. «E tu dove credi di andare?»
«Con te» rispose lei imperterrita.
«Jack si prende cura di David, e la
malata è una donna. Vedrai che la
mia presenza ti sarà utile.»
«Sei incinta, e non è il caso che ti
esponga al contagio dell’influenza.»
La donna rise e il suo viso si
illuminò diventando ancora più
grazioso. «Ma fammi il piacere...
come se non mi fossi esposta al
contagio da quando ha cominciato a
piovere e far freddo. Su, andiamo!»
E imboccò la porta.
«Testarda di una donna» brontolò
il dottore. «Non mi sognerei mai di
darle ordini, ma un consiglio
amichevole dovrebbe essere accolto
meglio...» Ian gli tenne aperta la
porta. «Le donne sono solo una
rottura di... ecco perché non mi sono
mai sposato. Be’, diciamo la verità,
anche perché nessuna mi ha voluto.»
Doc scese con cautela gli scalini
della veranda appoggiandosi al
bastone.
«Ehm... non chiude la porta?»
domandò Ian.
«Nooo. Le droghe pericolose
sono sotto chiave, e Jack e Preacher
sono dall’altro lato della strada.
Annusano i guai a un miglio di
distanza, e sono armati fino ai denti.
Solo a un idiota verrebbe in mente
di provarci.»
«Già» fece Ian. In questa piccola
comunità era tutto sotto controllo,
pensò. Chissà che cosa si provava...
era da un pezzo che a lui non
succedeva.
Fuori, vicino al suo vecchio pickup c’era un Hummer nuovo e lucido,
e la bionda sedeva al volante.
L’ambulatorio
doveva
rendere
parecchio perché si permettessero
un veicolo come quello. A Ian parve
che il rotolo di banconote nella sua
tasca si assottigliasse ancora di più.
Mezz’ora dopo, Ian aprì la porta
della capanna per far passare Doc e
Mel, e trovò Marcie profondamente
addormentata. «Aggiungo un po’ di
legna nella stufa e poi aspetto fuori»
disse.
Mel accostò una sedia al letto e
diede un lieve colpetto alla schiena
di Doc, invitandolo a sedersi. Poi
scrollò gentilmente la spalla di
Marcie.
«Marcie,
svegliati...
coraggio, apri gli occhi.»
Lei li aprì a fatica e Mel le
sorrise. «Ehi, ciao. Non ti senti
troppo bene, pare. Ti ricordi di me?
Sono Mel Sheridan di Virgin River
– quella che è stata trascinata di
peso giù dalla scala da un bruto,
davanti a tutto il paese.»
«Sì, certo» fece Marcie, «mi
ricordo.» E poi ebbe un accesso di
tosse.
«Questo è Doc Mullins» proseguì
Mel, «il medico con cui lavoro. Io
sono un’infermiera specializzata e
un’ostetrica. Ian è venuto a cercarci,
e ci ha detto che hai l’influenza. Tu
che diagnosi faresti?»
«Secondo me è solo un
raffreddore.»
«Già, ma non le cola il naso» fece
Doc. «Si metta a sedere, ragazza
mia. Devo auscultarle il torace.»
Mentre
Doc
infilava
lo
stetoscopio sotto la camicia di
flanella, Marcie ebbe un altro
violento accesso di tosse. Quando fu
passato lui le disse di prendere tre o
quattro respiri profondi, poi le
esaminò le orecchie e la gola, le
palpò le ghiandole e le misurò la
temperatura.
«Così hai trovato l’uomo che
cercavi» disse Mel.
«Infatti. Te ne ha parlato tuo
marito?»
«Già. Io di solito non discuto dei
miei pazienti con lui, ma Jack è un
libro aperto – a meno che non abbia
istruzioni precise di non aprir bocca.
Ian come ha reagito?»
«Oh, era scocciatissimo. Dovresti
sentirlo, ruggisce come una tigre...
stupefacente. La prima volta mi ha
proprio spaventata.»
«E adesso?»
«Be’, non più. Mi ha salvato la
vita, capisci. Ha detto che ero quasi
assiderata, mi ha portata in casa e mi
ha riscaldata. E poi è venuto a
cercarvi...»
«Ci ha spiegato che non voleva
portarti in paese perché il
riscaldamento del suo pick-up non
funziona, ma il mio funziona
benissimo e in ambulatorio abbiamo
anche due letti...»
«Non posso restare qui?»
«Sei sicura che sia quello che
vuoi?»
«Be’, ho fatto tutta questa strada
per trovarlo...»
«Puoi venire in paese e stare con
noi finché non ti senti meglio, e poi
deciderai che cosa fare. Puoi sempre
tornare qui, se hai delle questioni in
sospeso. E se ti serve un appoggio ci
siamo mio marito e io.»
«No, grazie. Preferisco risolvere
subito la faccenda, così poi me ne
torno a casa.» Non aggiunse che
temeva di vederlo sparire di nuovo.
«Ma ti senti al sicuro con lui? Qui
è piuttosto spartano... la tua tigre non
ha molte comodità.»
«Sì, Ian non ha granché, così
sperduto nei boschi. Ma è
abbastanza, non trovi? Fa caldo, c’è
cibo a sufficienza, e lui mi ha
preparato del tè, mi ha comprato
delle arance e mi ha dato
l’aspirina...»
«Io non lo conosco, Marcie»
obiettò Mel, «e mi par di capire che
non lo conosci neanche tu. È una
specie di recluso... ha degli amici?»
«Non lo so» ammise lei
scrollando le spalle. «Per ora ha
me.»
«Ne deduco che non ti ringhia più
contro.»
«Direi di no. Credo che si sia
calmato.»
«È che non voglio lasciarti in un
posto
poco
sicuro.
Sarebbe
irresponsabile da parte mia.»
Marcie fece un piccolo sorriso.
«Stamattina, mentre caricava la
legna da ardere sul pick-up, cantava.
Avresti dovuto sentirlo... ha una
voce magnifica. E quando ho sentito
quella voce ho capito: all’esterno
sembra feroce, ma in realtà ha un
cuore d’oro. E credo che lo stia
dimostrando, suo malgrado.»
«La decisione spetta a te,
naturalmente» disse Mel. «Ma se hai
bisogno di aiuto, puoi contare su di
me.»
«Influenza» decretò Doc. «Il
ragazzo è bravo, dovrebbe fare il
medico. Si sentirà di schifo per un
altro paio di giorni, ragazza mia, ma
poi si rimetterà. Adesso le faccio
un’iniezione di antibiotico, che però
servirà soltanto se c’è in corso
un’infezione
batterica
dovuta
all’influenza. Dovrà restare a riposo
un altro po’ di giorni, ma è giovane
e forte e ha un ottimo infermiere.
Buchanan si è preso cura del
vecchio che viveva qui prima di lui,
perciò se ne intende.»
«Può darsi» obiettò Mel, «ma
prima
di
andarmene
voglio
assicurarmi che sia disposto a farlo.
Dobbiamo chiederglielo, Marcie. Se
non se la sente di curarti è meglio
non obbligarlo, tanto più che c’è
un’alternativa. Credo che le sue
finanze siano limitate, e se non è
d’accordo...»
«Va bene» assentì Marcie. «Ma
quando glielo chiedi puoi dirgli per
favore che ho ottanta dollari, e che
posso darglieli per ripagare il mio
vitto e le medicine?»
«Certo, glielo dirò» sorrise Mel.
«E posso chiederti un altro
favore? Per caso hai una sorella
maggiore?»
«Ce l’ho eccome.»
«Ce l’ho anch’io. Si chiama Erin
Elizabeth, ha sette anni più di me, e
mi ha praticamente cresciuta perché
nostra madre è morta quando io
avevo solo quattro anni. Dieci anni
dopo se n’è andato anche nostro
padre, e lei si è presa cura di me e
di mio fratello minore. È una
bravissima ragazza, anche se è un
tantino
autoritaria...
ed
era
assolutamente contraria all’idea che
io mi mettessi a cercare Ian da sola.
Alla fine però non ha potuto
impedirmelo, perché in fondo sono
un’adulta
anch’io.
Abbiamo
concordato che mi sarei messa in
contatto con lei ogni due o tre giorni,
e ogni volta che le parlo lei insiste
perché lasci perdere la mia ricerca.
Non lo fa apposta, ma è un po’
ossessiva... e a volte è difficile da
sopportare.»
«Be’, anche mia sorella è fatta
così» ammise Mel. «E poi, hai visto
anche tu com’è Jack!»
«Sì, ho visto» sorrise Marcie.
«Perciò credo che tu mi capisca.
Avrei bisogno che telefonassi ad
Erin per dirle che ho trovato Ian, che
sto bene e che resterò con lui
qualche giorno. Spiegale che Ian non
ha il telefono, e che la chiamerò
personalmente la prossima volta che
vengo in paese. Così magari si
tranquillizzerà un po’.»
«È tutta la famiglia che hai?»
domandò Mel.
«Sì, lei e mio fratello Drew – ma
ci sono anche i parenti del mio
defunto marito, e sono tanti. Anche
se lui non c’è più, loro mi sono
sempre vicini. Non sono sola,
credimi. Allora, se ti scrivo il
numero di Erin, la puoi chiamare per
conto mio?»
«Purché Ian accetti di tenerti qui,
lo farò volentieri» disse Mel.
«E non c’è bisogno di dirle che
sono malata, vero?»
«Marcie... non mi piace alterare
la verità.»
«Be’, di solito con gli altri non
parli dei tuoi pazienti, no? E il
dottore ha detto che mi rimetterò
presto.»
Mel fece una piccola smorfia. «È
così che sei riuscita a convincere tua
sorella?» domandò scrollando la
testa.
«Con Erin bisogna far così. È
maledettamente in gamba, lei.»
«Fuori il didietro» disse Doc
picchiettando una siringa per
eliminare le bolle d’aria. «Le darò
anche un decongestionante e uno
sciroppo per la tosse, ma a parte
questo le serviranno solo riposo,
succhi di frutta e acqua e dei pasti
leggeri – magari del brodo di pollo.
Non si sforzi e dorma quando si
sente stanca, non spacchi legna e non
faccia il bucato nel ruscello. Di
solito riposo e molti liquidi
eliminano qualsiasi influenza. Vedrà
che tra poco sarà come nuova.»
«Ma potrò usare la latrina invece
del vaso da notte, anche se fuori fa
freddo?» domandò lei.
«Certo. Il freddo non fa
ammalare, fa solo gelare. In ogni
caso si copra bene e faccia in
fretta.»
«Ah, questo non c’è bisogno di
dirlo... ha mai sentito quant’è gelido
l’asse di una latrina esterna,
d’inverno?»
«Ragazza mia, io ho imparato a
usare un bagno con lo sciacquone
solo a vent’anni» replicò Doc con
una risatina chioccia. «È un fatto che
in quell’altro modo ci si sbriga
parecchio, eh?»
Mel richiuse la valigetta. «Se hai
bisogno di qualcosa mandaci Ian»
disse. «Io verrò a prenderti – e stai
tranquilla, non farò domande.»
«Grazie» disse lei. «Sei molto
gentile.»
Quando Doc e Mel uscirono dalla
capanna, Ian camminava avanti e
indietro davanti all’Hummer. Mel si
fermò a parlargli, come aveva
promesso a Marcie, e intanto notò
che appariva abbastanza male in
arnese. Gli abiti erano vecchi e lisi,
la barba incolta; ma d’altra parte chi
lavorava in una fattoria o faceva il
taglialegna non indossava gli abiti
migliori durante la settimana. Nella
zona, quel tipo di indumenti
rappezzati e laceri non indicava
necessariamente
povertà.
Ian
odorava di pulito, pensò ancora.
Aveva visto la vecchia vasca da
bagno all’interno della capanna, il
che significava che lui teneva alla
pulizia, e non appariva magro o
malnutrito.
Doc si avvicinò rapidamente
all’Hummer e si mise al volante, e
Mel fece una comica smorfia.
«Quando vuol guidare si muove
rapidissimo nonostante l’artrite»
osservò. «Signor Buchanan, lei
aveva
ragione:
Marcie
ha
l’influenza. Avrà bisogno di riposo,
dovrà bere molti liquidi e
probabilmente starà male per altri
due o tre giorni. Tutto dipende dalla
rapidità con cui il suo fisico
reagisce. Io le ho proposto di
riportarla in paese e ricoverarla in
ambulatorio, ma lei preferirebbe
restare qui. Il punto è, lei è disposto
a prendersi cura di una malata? Non
che debba far molto, Doc le ha dato
il permesso di usare la latrina
esterna purché si copra bene e
perciò non avrà bisogno di molte
cure... ma si tratta pur sempre di
casa sua.»
«Vuole restare qui?» domandò lui
con la fronte aggrottata.
«Così mi ha detto. Mi ha anche
pregata di dirle che ha ottanta
dollari per ripagare il cibo che
consumerà.»
«Dio santo» fece lui scuotendo la
testa. «Be’, se vuole restare qui
faccia pure. Ma non capisco
perché... non è che io sia di gran
buona compagnia.»
«Immagino che le sia grata per
come l’ha curata finora. Forse ci
sono altre ragioni, che però non mi
ha detto... ma tanto per essere chiari,
sappia che posso venire a prendere
Marcie in qualsiasi momento. In
ambulatorio ci sono due letti e
possiamo ospitarla senza problemi.
La decisione spetta a lei. Se la
malata dovesse diventare un peso,
me lo faccia sapere.»
«Farò del mio meglio» disse Ian.
«Ho comprato dei dadi da brodo,
dei succhi di frutta, mezzo pollo da
bollire che dovrebbe bastare per
almeno due pasti.»
«Ottima idea, il brodo di pollo è
uno dei rimedi che consiglio più
spesso. Direi che ha tutto sotto
controllo... c’è altro che posso
fare?»
«Le avete dato delle medicine?»
«Doc le ha fatto un’iniezione di
antibiotico che non farà miracoli,
dato che pare un’influenza virale. Le
ha anche lasciato delle pillole
decongestionanti e dello sciroppo
per la tosse. In realtà è solo una
questione di tempo, l’influenza deve
seguire il suo corso... a volte si
risolve in fretta, a volte dura di più.
Per fortuna Marcie è giovane e forte.
Lei cerchi di non ammalarsi,
capito?»
Ian annuì ed estrasse dalla tasca
un rotolo di banconote. Mel, che
ormai lavorava con Doc da un po’ di
tempo,
immaginò
che
rappresentassero tutti i suoi averi.
La gente delle campagne non usava
carte di credito o assegni e preferiva
trattare con i contanti: molto
probabilmente quel rotolo di
banconote avrebbe dovuto coprire
tutte le spese invernali di Buchanan,
dal cibo alla benzina al gas per
cucinare.
«Che cosa le devo?» domandò
lui.
«Vediamo... Direi dieci dollari
per l’iniezione e altri dieci per le
pillole e lo sciroppo.»
«E per la visita a domicilio?»
«Facciamo cinque per ripagarci la
benzina?» propose lei.
«Tutto qui? Cos’è, mi sta facendo
lo sconto perché Marcie le ha dato
del denaro?»
«No, la paziente non mi ha dato
niente»
sorrise
Mel.
«Non
chiediamo molto perché si tratta di
medicina generica, pura e semplice.
Cerchiamo di non essere troppo
esigenti, perché un favore alla fine
viene sempre ricambiato.»
«Che cosa mi chiedereste se
vivessi in una casa di lusso e
guidassi una macchina potente?»
«Manderemmo
il
conto
all’assicurazione,
ovviamente
esagerando»
rispose
lei
ammiccando.
Lui rise suo malgrado. Doc
Mullins non aveva un’infermiera
così carina, né un Hummer, quando
veniva a visitare il vecchio Raleigh
in punto di morte; ma diceva
sempre: «Hai ottantasei anni e sei
malato come un cane – non posso
prenderti tutto il denaro senza
lasciarti niente per il funerale». Ian
prese tre biglietti da dieci e li porse
a Mel. «Mangia abbastanza?»
domandò. «Non è che le faccio fare
dei sacrifici pagando così poco?»
«Oh, non si preoccupi. Molto
astutamente
ho
sposato
il
proprietario dell’unico bar e
ristorante in paese, perciò mangio
molto più di quel che dovrei. E
anche Doc se la cava egregiamente,
a giudicare dalla pancetta che lei
avrà notato. Ma grazie, davvero.
Userò il denaro extra per qualcuno
che ne ha bisogno.»
«Bene. Anch’io ho parecchi
favori da ricambiare.»
Lei
gli
porse la mano.
«Scommetto che non sono tanti come
crede» disse. Lui strinse quella
piccola mano forte, Mel salì in
macchina e i due se ne andarono.
Rientrando,
Ian
non
fece
commenti. Aggiunse della legna
nella stufa, si sfilò il giubbotto e si
avvicinò
all’acquaio
della
cosiddetta cucina. Dopo essersi
rimboccato le maniche, si lavò per
bene le mani con sapone e acqua
fredda, poi accese il fornello a gas,
aprì il pacco che conteneva il pollo
e lo mise a bollire in una pentola
d’acqua con una mezza cipolla e un
po’ di sedano.
Rimessosi il giubbotto, uscì di
nuovo, e poco dopo Marcie udì i
tonfi della legna che veniva caricata
sul pick-up. Passarono solo alcuni
minuti prima che Ian cominciasse a
fischiettare. Senza cantare, però.
Peccato, pensò Marcie. Sperava di
non averlo scoraggiato per sempre...
Sentirlo cantare era stata una
totale sorpresa. Bobby non gliene
aveva mai parlato, e ovviamente
l’argomento non era mai stato
affrontato nelle poche lettere che lei
e Ian si erano scambiati. D’altra
parte, un Marine grande e grosso non
cantava certo la serenata alle sue
truppe... e che motivo aveva di
raccontare alla moglie di un suo
soldato che amava cantare e aveva
una voce d’angelo?
Marcie aveva male alle giunture e
si sentiva di nuovo accaldata, perciò
decise di dormire un altro po’.
Avvertì vagamente che Ian entrava e
usciva dalla capanna, sentì il rumore
dell’ascia che spaccava la legna, poi
una serie di tonfi mentre Ian li
caricava sul pick-up.
Dormì a lungo, non sapeva
quanto, e si svegliò con un delizioso
aroma nelle narici. La stanza era
immersa nella penombra del
crepuscolo, ed era rischiarata solo
dal bagliore delle braci nella stufa e
da una lampadina nuda che pendeva
dal soffitto. Sul fornello borbottava
pian piano la pentola che Ian aveva
messo al fuoco ore prima, e lui era
seduto al tavolo della cucina con la
testa abbassata. Gli oggetti che
prima erano nella Volkswagen – il
sacco a pelo, la sacca di tela, lo
zaino e la borsa di Marcie – erano
stati deposti in fondo al divano. Ian
si era cambiato e indossava un paio
di pantaloni di felpa grigia, una
maglietta blu e dei calzettoni spessi.
Gli abiti da lavoro erano distesi sul
baule e a terra c’era una pila di
libri.
Marcie si puntellò sul gomito.
«Che fai?» chiese. Lui chiuse il
libro che era appoggiato sul tavolo e
alzò lo sguardo. «Stavo leggendo.
Per caso vuoi fare una spedizione
alla... ehm, alla toilette?»
Marcie si rizzò a sedere e mise le
gambe sul pavimento. «In effetti
stavo proprio per chiedertelo» disse
mettendosi in piedi e abbassando
l’orlo della camicia di flanella che
le arrivava oltre le ginocchia.
Barcollò un po’ e lui balzò subito in
piedi per sorreggerla, ma lei si
rimise a sedere. «Ti dispiace
passarmi i jeans e gli stivali?»
«Certo» disse Ian prendendoli
dalla spalliera della sedia. Non
appena glieli ebbe dati le voltò la
schiena e infilò a sua volta gli stivali
e il giubbotto. «Hai bisogno di
aiuto?» domandò senza voltarsi.
«No, ce la faccio» rispose
Marcie. Infilò i jeans con una certa
fatica, poi si sedette di nuovo e mise
gli stivali senza le calze. «C’è anche
il mio giaccone da qualche parte?»
Lui prese il giaccone e lo tenne
disteso per aiutarla ad indossarlo.
«Grazie» disse lei. «Ci metto solo
un minuto...»
Ma lui non ne volle sapere, la
sollevò tra le braccia e la portò fino
all’uscita. «Non mi pare che tu sia
tanto in forma. Magari sarà soltanto
perché hai dormito così a lungo, ma
non ho intenzione di raccoglierti di
nuovo da terra. Meglio non correre
rischi.»
Erano a metà strada quando lei
disse: «E così mi hai permesso di
restare».
«È quello che volevi, a quanto mi
ha detto l’infermiera. Anche se non
capisco perché.»
«Allora ti piaccio» insistette lei
accarezzandogli brevemente la
barba rossiccia. «Negalo, se puoi...»
Gli mise le braccia attorno al collo e
appoggiò la testa sulla sua spalla,
poi rovinò tutto con un brutto
accesso di tosse.
Ian voltò la testa per non essere
contagiato dai suoi germi ed emise
un grugnito. Poco dopo si fermò di
fronte alla latrina e la depose a
terra. Lei entrò, uscì quasi subito e
disse: «Preferirei camminare, se non
ti dispiace».
«Però cerca di non cadere, perché
è molto più faticoso sollevarti da
terra che sostenerti se sei in piedi.
Aggrappati
al
mio
braccio,
semmai.»
La neve gelata scricchiolava sotto
i loro piedi mentre tornavano
lentamente indietro. «Mi dispiace di
non avere una toilette interna,
specialmente adesso che sei
ammalata» disse Ian.
«Anzi, è un vero lusso. Di solito
mi fermavo ad una stazione di
servizio per un’ultima visita alla
toilette prima di accamparmi in
macchina per la notte. Spesso ce la
facevo fino alla mattina dopo, ma
altrimenti dovevo arrangiarmi. Il che
significava
accovacciarmi
rapidamente dietro un cespuglio –
ma ultimamente faceva un freddo
terribile.»
Lui la guardò con un misto di
curiosità e simpatia. «Non mi sembri
tanto una dura.»
«Non so se sono una dura – tanto
più adesso, così malconcia. Ma
scommetto che sono testarda quanto
e più di te.»
Ian emise un suono strozzato.
«Dio santo, Ian... quella era una
risata?»
«Un colpo di tosse» mentì lui.
«Probabilmente mi hai attaccato
l’influenza.»
5
Una volta rientrata, Marcie si
sedette di nuovo sul divano mentre
Ian si avvicinava al fornello a gas e
dava una rimescolata al contenuto
della pentola. «Te la senti di
mangiare qualcosa?» domandò.
«Credo di sì. Ha un profumo
delizioso.»
«Non è niente di speciale, solo un
po’ di pollo che ho messo a bollire
con delle verdure» spiegò lui. Mise
un po’ di brodo in una ciotola, ci
aggiunse un cucchiaio e mise su un
piatto una fetta di pane imburrato.
Poi sistemò il tutto su un’asse piatta
a mo’ di vassoio e glielo portò.
«Non ho una gran varietà di
piatti» disse, «solo quel che mi
occorre. Fai attenzione, è molto
caldo.»
Marcie si sistemò sulle ginocchia
il vassoio improvvisato. «Certo che
sai fare miracoli con il poco che
hai» osservò.
Lui emise una specie di grugnito
affermativo, poi tornò accanto al
fornello e riempì di brodo un’altra
scodella per sé. Infine si sedette al
tavolo.
Marcie mangiò due cucchiaiate di
brodo. O era davvero delizioso,
pensò, o lei era morta di fame... Poi
prese il vassoio e lo portò al tavolo,
lo depose di fronte a lui e avvicinò
l’altra sedia per sedersi.
Ian la guardò inarcando le
sopracciglia ma non fece commenti.
«È buonissimo, sai» disse lei. «Ti
dispiace se mangiamo insieme?»
«Se ti va» fece lui con una
scrollata di spalle.
«Potremmo
anche
parlare»
suggerì lei.
Ian depose il cucchiaio nella
scodella e si appoggiò allo
schienale della sedia. «Senti, fammi
essere molto chiaro. Ho passato gli
ultimi anni a cercare di dimenticare
tutto quello che riguarda l’Iraq. A
volte il ricordo si riaffacciava senza
che io volessi, mi faceva venire il
mal di testa e mi causava degli
incubi molto sgradevoli. Perciò non
voglio parlarne. Non voglio
ripensarci e non voglio rispondere a
nessuna domanda sull’argomento.»
Marcie deglutì. «È perfettamente
comprensibile» disse sottovoce,
dopo una pausa di qualche minuto.
«Se è per questo che sei venuta
fin qui, hai sprecato il tuo tempo» la
informò lui.
Ad occhi bassi, Marcie prese un
cucchiaio di brodo. «Non credo
affatto di aver sprecato il mio
tempo.»
«Che ha detto della faccenda la
tua famiglia? Di te che ti sei messa a
cercarmi in questo modo?»
«A mia sorella l’idea non piaceva
troppo» ammise lei scrollando le
spalle.
«Non troppo?»
ripeté
lui
ironicamente. «Ecco, ha detto che
era un’idea stupida e imprudente.
Che non sapevo a che cosa andavo
incontro. E che non ti conoscevo per
niente...»
«Be’, aveva ragione.»
«Tecnicamente sì» concesse lei.
«Non potevo sapere come saresti
stato adesso, dopo tanti anni, ma non
credevo che tu fossi cambiato molto.
E avevo ragione, no? Si è scoperto
che sei una brava persona.»
Lui grugnì.
«Potremmo parlare di altri
argomenti» insistette Marcie. Prese
il libro che stava sul tavolo e diede
un’occhiata alla copertina. «Come
per esempio quello che stai
leggendo. Frequenti la biblioteca?»
«È gratis» fece lui. «Uso la
vecchia tessera che apparteneva
all’uomo che abitava qui prima di
me. Nessuno mi ha mai fatto
domande,
anche
se
sanno
sicuramente che non mi chiamo
Raleigh. Ma ci vado regolarmente e
restituisco sempre i libri in tempo,
perciò credo che non abbia
importanza.»
«Ecco di che cosa potresti
parlarmi, dell’uomo che viveva qui.
Il dottor Mullins ha detto che ti sei
preso cura di lui.»
Ian si portò alla bocca altri due
cucchiai di minestra prima di
rispondere. «Sì, dopo un po’ di
tempo... Prima fu lui a prendersi
cura di me, in un certo senso.»
Marcie aspettò che continuasse,
ma visto che taceva domandò: «E
cioè?».
Lui sollevò la scodella, sorbì il
resto del brodo e la depose sul
tavolo. «Mi ero accampato sulla sua
terra e lui mi sorprese. Era più
vecchio di Noè, non aveva nemmeno
un dente, ed era magro come un
chiodo. Era rimasto qui da solo per
oltre cinquant’anni, senza moglie né
famiglia. Una sera mi trovò
addormentato nel sacco a pelo, sotto
dieci centimetri di neve. E mi prese
a calci.»
«A calci?» ripeté lei sconcertata.
«Sì, e io mi svegliai di
soprassalto. Raleigh disse: “Allora
non sei ancora morto... meno male,
perché altrimenti ti avrebbero
mangiato gli animali. Io non potevo
seppellirti di sicuro, il terreno è
troppo duro e io sono troppo
vecchio”. Così ci conoscemmo. Ci
guardammo in cagnesco per un po’,
e alla fine lui disse che mi avrebbe
dato da mangiare se gli avessi
tagliato la legna per la stufa e gli
avessi dato una mano in altre
incombenze. All’epoca non avevo le
idee chiare, e non avevo nemmeno
pensato a come sarebbe stato
l’inverno quassù sulle montagne.
Dormii all’aperto per altre due o tre
notti, gelandomi fino alle ossa, poi
cedetti e bussai alla sua porta. E
tutto quello che disse lui fu: “Era
ora. Ti credevo già morto stecchito”.
Fu un accordo molto semplice, e non
ci fu bisogno di parole.»
«Ma non parlavate mai?»
domandò lei stupita.
«Dopo un paio di mesi
cominciammo a scambiarci qualche
frase, ma di rado. Lui era stato da
solo così a lungo che non gli andava
molto di parlare... un po’ come me.»
Ian la guardò con intenzione ma lei
fece finta di niente e lui continuò:
«Così cominciai a tagliare la legna
per la stufa, ogni tanto pescavo
qualche pesce o sparavo a un
coniglio. Spazzavo la neve dal tetto
della capanna e della latrina, e
guidavo il suo pick-up quando lui
doveva scendere in paese a fare
qualche commissione, ad esempio
riscuotere l’assegno della pensione
sociale o comprare delle provviste.
Finimmo la legna molto in fretta e
dovetti abbattere altri alberi. Non
sapevo nemmeno quanto di questo
terreno gli appartenesse, ma hai
visto anche tu che è coperto di alberi
e non c’è nessuno intorno per miglia
e miglia. Il primo albero che
abbattei rischiò di cadere sulla
capanna. In quell’occasione Raleigh
parlò eccome... credevo che non la
smettesse più. Qualche mese dopo,
mentre eravamo in paese a far
compere, mi portò in biblioteca e mi
disse di scegliere il libro che
volevo. Lui di solito prendeva dei
libri con illustrazioni o quelli per
bambini, poche parole scritte in
grande. Non glielo chiesi mai, ma
non credo che avesse molta
istruzione. Quando il tempo si fece
più caldo mi spiegò dove voleva
sistemare l’orto, mi fece scavare un
nuovo buco per la latrina e mi
mostrò gli attrezzi che teneva nel
deposito. Se tagliavo abbastanza
legna in primavera e in estate, disse,
e se la lasciavo stagionare, avrei
potuto venderla in inverno. E così ho
fatto in questi anni, dato che non
avevo altro modo di guadagnare
qualcosa. Questa è la fine della
storia».
«Non dev’essere stato facile
vivere con un uomo così» osservò
lei.
«Avevo già avuto esperienza con
i vecchi malmostosi» replicò Ian
senza particolare emozione.
Marcie finì la minestra e lui si
alzò subito in piedi per riempire di
nuovo le ciotole. «A me danne solo
mezza» disse lei mordicchiando la
sua fetta di pane.
«Dovresti mangiare il più
possibile. Mi sa che hai perso
parecchio peso.»
«Può darsi, ma mi succede
facilmente» replicò Marcie. «Se non
ci sto attenta, mi riduco subito pelle
e ossa e sembro malnutrita.»
«E ultimamente non ci sei stata
molto attenta...»
«Be’, risparmiavo i soldi per la
benzina» disse lei sottovoce.
«Per la benzina, hai detto? Tutto
questo perché mi stavi cercando?»
Marcie alzò lo sguardo. «Non so
se hai notato quant’è diventata cara
ultimamente.»
«Cristo santo» fece lui scuotendo
la testa. «Allora, mentre sei qui devi
mangiare. C’è del pane, del burro di
noccioline, della frutta, dei succhi,
della marmellata...»
«Poi il vecchio si ammalò, vero?»
lo interruppe lei. «E allora, il fatto
che tu vivessi qui e lo aiutassi nelle
faccende fu solo l’inizio della
storia.»
«Sai com’è, accadde e basta»
disse lui scrollando di nuovo le
spalle. «Non posso dire che fossimo
diventati amici per la pelle, ma io
ero in debito con lui per il tetto che
mi aveva dato, e mi sdebitavo
guadagnandomi il pane – più che
abbastanza, in effetti. Quando si
ammalò andai a cercare il dottore.
Fu una lezione... la gente di qui, se si
ammala non va certo a fare analisi e
visite, meno ancora se ha più di
ottant’anni. Il dottore disse a Raleigh
– te l’ho detto, no? che si chiamava
Raleigh – gli disse che poteva
trasportarlo all’ospedale di Grace
Valley e che i servizi sociali
avrebbero pensato alle cure. Ma lui
rispose che piuttosto si sarebbe
sparato un colpo in testa, e la
questione fu risolta. Doc Mullins gli
lasciò qualche medicina e tornò a
visitarlo di tanto in tanto. Dopo
circa sei mesi Raleigh morì nel
sonno, e io andai un’ultima volta a
cercare il dottore. Fu Mullins a
mostrarmi un foglio che Raleigh gli
aveva dettato quando si era
ammalato, che diceva: L’uomo
chiamato Ian Buchanan può
prendersi la casa, il pickup, il
terreno e quel che resta dei miei
soldi dopo le spese per il funerale.
Non voglio lapidi. Lo aveva firmato
a modo suo, e Mullins l’aveva
controfirmato come testimone. Io
non credevo che fosse valido, e
nella scatola di latta c’era solo il
denaro sufficiente per un funerale
molto semplice. Quando domandai
al vecchio dottore che cosa dovevo
fare per la capanna e il terreno, lui
disse: “Lascia perdere e non andare
a cercarti guai”.»
Marcie scoppiò a ridere. «Che
cosa voleva dire con questo?»
«Pensai volesse dire che dovevo
far finta di niente e non fare
domande, ma poi scoprii che Doc
Mullins aveva un amico avvocato o
giudice, non sono sicuro, e che
quest’uomo aveva trasferito tutte le
proprietà a mio nome. Così risultava
che Raleigh era morto senza un
centesimo, affidato alle mie cure, e
non c’era bisogno di autenticare il
testamento. Liscio come l’olio.» Ian
si schiarì la gola. «Guardai il
libretto del pick-up e quando vidi
che Raleigh aveva trasferito la
proprietà a me – o forse l’aveva
fatto Doc – cambiai le targhe a mio
nome in modo da non avere guai.
Rinnovo sempre la patente, e in
pratica questa è l’unica incombenza
che ho in fatto di documenti. Quando
arrivano le tasse su questa proprietà,
le pago in banca e basta.»
«Insomma,
possiedi
una
montagna?» domandò lei stupita.
«Già, una montagna piena di
niente. Tagliar legna è proibito
quassù. Possiedo quel che ho
sempre posseduto, una capanna e un
po’ di alberi intorno. E le tasse da
pagare. Me la cavo, ma di solito il
terreno mi costa più di quanto rende
– e mi sembra ancora che sia una
sistemazione temporanea.»
«E che faresti se non potessi più
restare qui, appunto perché è una
sistemazione temporanea?»
Lui scrollò le spalle come
sempre. «La prima volta che non
riesco a pagare le tasse mi sa che me
ne vado. Qualcos’altro troverò.»
Marcie finì la seconda scodella di
minestra in silenzio. «Quando
Raleigh era malato, era molto
grave?» domandò dopo un poco.
«Come dovevi curarlo?»
«Sì, bisogna dire che era piuttosto
grave, e alla fine non si alzava più
dal letto. Qui c’era un letto, solo la
base di legno con un materasso così
sottile che era come se non ci fosse.
Raleigh aveva i problemi di tutti gli
anziani: non riusciva più a mangiare
da solo, si sporcava, eccetera.
Quando morì, bruciai tutto quanto.»
«E hai sempre dormito sul divano,
prima che arrivassi io?»
«No, non ci ho mai dormito
perché è troppo corto e cede sotto il
mio peso. Per dormire srotolo quella
brandina di listelli di legno e la
metto accanto alla stufa. Se ne
avessi bisogno mi comprerei un letto
usato, ma mi va bene così.»
«Però dev’essere stata dura, no?
Curare qualcuno che conoscevi
appena. E probabilmente lui è stato
riconoscente, visto che ti ha lasciato
tutto questo.»
Ian scoppiò in una gran risata, poi
si pulì la bocca sulla manica. «Tutto
questo? Madre di Dio, non ho
nemmeno una toilette con lo
sciacquone!»
«Perché non puoi procurartela o
non vuoi?» insistette lei.
«Quando arrivai qui, Raleigh non
aveva nemmeno un fornello da
campeggio. Si faceva luce con delle
lanterne a petrolio, e si lavava con
un secchio – quando si lavava. Io ho
aggiunto il generatore, ho messo
delle luci, ho comprato la vasca da
bagno e la stufa. Certi mobili erano
più vecchi di lui, perciò ho
comprato un divano e delle sedie.
Sono usati, ma meglio di quello che
c’era prima. L’unica cosa di cui
sento davvero la mancanza è una
doccia, ma proprio non saprei come
installare un impianto idraulico.»
Lei rimase in silenzio un altro
po’. «Sai quella prima sera? Quando
mi hai ringhiato contro cercando di
spaventarmi a morte? Be’, mi hai
proprio terrorizzata.»
«Non abbastanza
da
farti
rinsavire, però» osservò lui.
«Questo è un problema mio più
che tuo. Una volta che mi sono
messa in testa un’idea è difficile
farmela cambiare... ma quando sono
tornata in macchina per mangiare
quello che mi restava, mentre il sole
tramontava e stava cominciando a
nevicare, ho pensato che non avevo
mai visto un posto più bello in vita
mia. C’era un arcobaleno in mezzo
alla neve, pensa! E non avevo
nessuna paura, perché intorno era
così silenzioso, ma puro e
incontaminato e magnifico. Se vivi
in città puoi avere tutte le comodità,
ma questo è uno spettacolo che non
si può comprare.»
Dopo un attimo di silenzio Ian
osservò: «Sai che diceva Bobby di
te? Che eri una vera bomba».
Lei lo guardò negli occhi.
«Questo è quasi come parlare di
tutto quanto, no?»
«Allora fingi che non abbia detto
niente. Dovresti già essere a letto.»
«E tu, quand’è l’ultima volta che
hai dormito?» domandò Marcie.
«Appunto, dovrei già aver
sistemato la mia branda, e tu
dovresti essere addormentata da un
pezzo. Inoltre ho parlato molto più
di quanto sia abituato a fare, e sono
esausto.»
«Hai
ragione» assentì
lei
alzandosi. Poi guardò di nuovo il
libro sul tavolo. «Thomas Jefferson,
eh? Hai mai letto la biografia di
John Adams?»
Ian annuì.
«Anch’io, e mi è piaciuta molto.
Ma quello che ho adorato è il
personaggio della moglie, Abigail.
Lui l’aveva lasciata in una fattoria
solitaria, aveva pochissimo denaro,
doveva badare ai figli e il paese era
in guerra, eppure lei riusciva a
cavarsela benissimo. È il mio idolo.
Se mai potessi essere un’altra
persona, vorrei essere Abigail
Adams.»
«Perché riusciva a cavarsela
benissimo?» commentò lui.
«Perché era felice di farlo e non
si lamentava mai, tanto era devota al
marito e alla sua causa. Lo so, come
donna e come femminista non dovrei
ammirare una donna che si
sacrificava per un uomo, ma in
realtà lei lo faceva per se stessa –
come un suo contributo personale
alla fondazione dell’America. E le
lettere che si scrivevano! Non solo
romantiche lettere d’amore, ma un
dialogo in cui si chiedevano a
vicenda consigli e opinioni. Prima
di tutto erano buoni amici,
rispettavano ognuno l’intelligenza
dell’altro, e poi ovviamente erano
anche amanti dal momento che
avevano un bel po’ di figli... Erano
una vera coppia, molto prima che le
coppie alla pari fossero di moda.
Poi lei...»
«Anche a me piacciono le
biografie» la interruppe lui come se
ne avesse abbastanza di sentir
parlare di Abigail. «Non mi
domandare perché, non saprei
dirtelo.»
Marcie andò a sedersi sul divano
e si tolse gli stivali. «Forse perché ti
piace capire il motivo per cui la vita
della gente prende un certo percorso
e non un altro» osservò. «È sempre
un mistero, non trovi?»
Lui non rispose. Riempì l’acquaio
con la pompa e lavò le scodelle e i
cucchiai, poi mise un coperchio sul
tegame del brodo.
«Come lo conserverai? Non hai
un frigorifero» gli fece notare lei.
«Però c’è il ripostiglio. Il cibo si
conserva bene per un giorno o due.
Non ci posso mettere il latte o le
uova perché gelano, ma se il brodo
gela possiamo scaldarlo di nuovo.»
«Un ripostiglio invece del
frigorifero» sorrise lei. «Mi piace. Il
pick-up è già carico di legna?»
Ian annuì. «Se sono già andato via
quando ti svegli, credi che ce la
farai ad andare alla latrina e tornare
per conto tuo? Perché se no c’è
sempre il vaso blu...»
«Se vedo che non sto in piedi lo
userò, ma mi sento già molto meglio.
Sono solo un po’ stanca, niente di
più.»
«Domani probabilmente farò
avanti e indietro per caricare la
legna e consegnarla» continuò lui.
«Se hai fame, oltre al pane, al burro
di arachidi e al miele, c’è anche del
cibo in scatola che puoi aprire.
Fagioli, verdura e minestrone.» Poi
si diresse verso la porta con il
tegame di brodo.
«Grazie, Ian, per esserti preso
cura di me così bene. So che sono un
terribile fastidio.»
Lui non rispose, ma prima di
uscire si fermò un momento sulla
soglia e fece un cenno con la testa.
Marcie si appoggiò allo schienale
del divano. La piccola capanna non
era un granché – anzi non aveva
quasi niente, spartana com’era e
munita
soltanto
delle
cose
assolutamente
essenziali.
Ma
considerando che finalmente aveva
trovato Ian, lei era più che contenta
di restarci. Se quella fosse stata casa
sua avrebbe comprato dei piatti e
delle ciotole, avrebbe cercato dei
mobili più confortevoli e avrebbe
installato una toilette interna.
Ricordò le parole di Mel:
Dobbiamo chiederglielo, Marcie.
Credo che le sue finanze siano
limitate...
In effetti non si capiva se lo
fossero davvero. Pareva che Ian non
avesse molto denaro, ma chissà
quanta parte della montagna aveva
ereditato, e chissà se aveva qualche
valore? Poteva trattarsi di un
piccolo appezzamento di terreno
senza importanza, ma forse invece
era molto vasto e lui non aveva idea
di quanto valesse. Non sembrava
che ci badasse più di tanto.
Ad
ogni
modo,
Marcie
apprezzava il modo in cui lui sapeva
cavarsela con poco, e gli era molto
grata per averle permesso di restare,
benché la sua presenza comportasse
un notevole impegno. Senza
considerare che lei rappresentava
proprio il passato che Ian cercava di
dimenticare, e da cui era fuggito per
anni.
Quando rientrò, Ian aggiunse
legna alla stufa, poi srotolò la sua
branda di legno, spense la luce e si
sdraiò per dormire. Dopo qualche
minuto Marcie udì la sua voce
sommessa. «Scusa se ti ho
spaventata. Non è che io ringhi così
spesso, sai.»
Marcie sorrise tra sé e si
rannicchiò sotto il plaid, contenta e
in pace come non si sentiva da
tempo.
La mattina, quando si svegliò, Ian
era già uscito. Lei si infilò i jeans e
uscì per andare alla latrina. E mentre
camminava lentamente udì un grido e
alzò la testa. Sopra di lei, magnifica,
volteggiava un’aquila.
Nei giorni seguenti Marcie dormì
parecchio, non solo per sconfiggere
l’influenza ma perché non c’era altro
da fare. Ian tornava a casa nel
pomeriggio e aveva mille faccende
da sbrigare: spaccava la legna, la
caricava sul pianale del pick-up per
il giorno dopo, poi rientrava e si
lavava. A quel punto lei si svegliava
dall’ennesimo sonnellino e scopriva
che Ian si era già cambiato e invece
degli abiti da lavoro indossava i
pantaloni di una tuta, una maglietta e
dei calzettoni spessi.
Di solito, rientrando lui portava
qualcosa da mangiare e preparava la
cena, a volte pancetta e fagioli, a
volte spaghetti in scatola conditi con
una spessa salsa di pomodoro.
Un pomeriggio Marcie aprì gli
occhi e scoprì che lui era in piedi
davanti all’acquaio, nudo. Gli
osservò rapidamente la schiena
muscolosa, con la coda di cavallo
che pendeva in mezzo alle scapole,
le cosce snelle e le lunghe gambe,
poi capì che si stava lavando:
passava una spugna insaponata sotto
le braccia, attorno al collo, e stava
per voltarsi. Con un gridolino di
imbarazzo lei si girò di scatto
dall’altro lato, contro la parete, e
chiuse gli occhi. Lui non disse
niente, ma ridacchiò: e quel suono
profondo echeggiò nella mente di lei
per ore.
Quando si sedettero a tavola per
cenare, le guance di Marcie erano
ancora rosse come la salsa di
pomodoro che stavano mangiando.
In fondo non era strano che lo avesse
sorpreso a lavarsi: Ian odorava
sempre di pulito, era chiaro che
doveva farlo da qualche parte. E non
poteva certo chiederle scusa e
appartarsi in bagno! Marcie riusciva
a lavarsi mentre lui era fuori, ma lui
non aveva scelta: lei era sempre lì,
accampata sul suo divano...
Sarebbe stato perfetto se lui
l’avesse svegliata per dirle: «Mi sto
spogliando per lavarmi, perciò se
non vuoi provare imbarazzo chiudi
gli occhi». Ma Ian non era proprio il
tipo, e quella era la sua capanna – e
poi, era un uomo. Marcie aveva
sempre trovato curioso che gli
uomini potessero andare in giro nudi
come se niente fosse, senza
preoccuparsi di essere visti o
giudicati.
Quella sera mangiarono insieme
come sempre, parlando un po’ meno
del solito, e poi lui andò subito a
dormire. Gliel’aveva detto qualche
sera prima: «Di solito mi
addormento subito dopo cena,
perché la mattina mi alzo molto
presto».
E benché avesse dormito la
maggior parte del giorno, stando
sdraiata sul divano nella stanza ben
riscaldata dalla stufa, Marcie si
addormentava di nuovo senza
difficoltà, e non si svegliava che la
mattina dopo, quando Ian era già
uscito.
Le loro conversazioni durante la
cena erano un diversivo molto
piacevole. A volte Marcie riusciva a
farlo parlare di argomenti su cui lei
aveva riflettuto a lungo, ma c’era un
limite che non osava oltrepassare.
Una sera cominciò a raccontargli
della numerosa famiglia di Bobby, e
lui chiuse strettamente gli occhi per
un momento. Il messaggio era
chiaro, non voleva sentirne parlare.
Tutto quello che riguardava Bobby,
compreso l’attentato di Fallujah che
l’aveva lasciato disabile e aveva
segnato Ian per sempre, era
argomento vietato.
«Ho fatto visita a tuo padre prima
di mettermi in viaggio» gli disse lei
coraggiosamente una sera.
Ian alzò lo sguardo in silenzio, e
le pagliuzze color ambra nei suoi
occhi scintillarono.
«È molto malato» continuò lei.
Lui riabbassò la testa e continuò a
mangiare hamburger e purè di patate.
«Non è stato molto amichevole»
sottolineò lei.
Ian ridacchiò con evidente ironia.
«Non mi dire.»
«Ho immaginato che fosse per via
dell’età e della malattia...»
«Non c’è niente da immaginare. È
sempre stato un uomo sgradevole.»
«Pensavo che forse, dato che non
sta bene...»
Lui la guardò di nuovo, con
rabbia. «Mio padre ed io non ci
siamo mai piaciuti. Essenzialmente
perché lui è un uomo freddo e
sgradevole.»
Marcie mandò giù un paio di
bocconi con una certa difficoltà.
«Pensavo che volessi saperlo.»
Ian trasse un gran respiro, e lei
capì che lottava per trattenere la
collera. «Senti, è chiaro che lui non
si preoccupa per me. Non sta
sveglio la notte a domandarsi dove
sono e come sto, mi pare.»
«Ma visto che non sta bene...»
«Marcie, mia madre morì quando
io avevo vent’anni. Io gli ho sempre
fatto visita regolarmente per
controllare che stesse bene, ma lui
non mi scrive né mi telefona da sette
anni. Sette, capisci?»
Lei deglutì. «Però tu hai
continuato a telefonargli?»
«Sì» disse lui abbassando la testa
e raccogliendo un po’ di cibo con la
forchetta. «Io sì.»
«Dev’essere stato doloroso.»
Ci fu una lunga pausa di silenzio.
«Quand’ero più giovane, a volte»
disse lui infine.
«Che vecchio imbecille» borbottò
lei furibonda, inforcando un pezzo di
carne. «Che idiota.» Masticò il suo
boccone a lungo. «Scusa se te ne ho
parlato.»
Dopo un momento lui rispose
sottovoce: «Non potevi saperlo».
«Be’, non sa quel che si perde.
Ecco tutto.»
Ci fu un altro lungo silenzio.
Entrambi finirono di mangiare, poi
Ian si alzò e portò i loro piatti
nell’acquaio per lavarli. E infine
vennero le parole che mettevano fine
alla serata: «È ora di andare a
dormire».
Marcie era nella capanna da
quattro giorni. La tosse persisteva,
ma lei stava molto meglio, tanto che
ormai si sentiva sopraffare dalla
noia. Quella mattina si alzò dopo
che Ian era uscito, mangiò una fetta
di pane spalmata di miele, uscì per
andare alla latrina, poi rientrò e
bevve il caffè ormai tiepido che lui
aveva lasciato sulla stufa e cercò di
leggere qualche pagina di uno dei
suoi libri. Non sapeva che ora fosse
quando ebbe di nuovo bisogno di
uscire.
L’aria era fredda e limpida, il
cielo era azzurro, sul terreno c’era
qualche centimetro di neve gelata.
Marcie non si era nemmeno data la
pena di infilarsi i jeans, aveva
messo il giaccone e basta, e tra
l’orlo della lunga camicia di flanella
e gli stivali le sue gambe erano
nude. Ma non aveva freddo, ed era
tentata di esplorare un po’ i dintorni:
solo che i boschi erano molto fitti, e
lei temeva di perdersi. In quelle
circostanze, una spedizione alla
latrina era tutto quello che osava
fare.
Era ormai vicina alla porta
quando sentì un rumore, e le si
rizzarono i capelli sulla nuca. Si
voltò lentamente e vide un animale
ritto tra due alberi, sul limitare del
bosco. E mentre lo guardava quello
si accucciò e ruggì, mostrando i
denti. Era una specie di grosso gatto
giallo, qualcosa di simile ad un
leopardo ma senza macchie. Marcie
non aveva mai visto niente del
genere, nemmeno in uno zoo. Diede
una rapida occhiata alla capanna,
poi alla latrina, valutando le
distanze. E in quel momento
l’animale spiccò un balzo verso di
lei.
Con due lunghi passi Marcie
corse dentro la latrina e sbatté la
porta. Si sedette sull’asse perché le
gambe le tremavano, poi sentì un
tonfo contro la porta, il raschiare
degli artigli, e un altro ruggito. Oh,
merda, pensò lei. Ce l’ha proprio
con me... è là fuori che mi aspetta!
Faceva freddo, ma lei preferiva
morire assiderata piuttosto che
massacrata da un misterioso animale
selvaggio. Si alzò in piedi e abbassò
il sedile, poi si sedette di nuovo
cercando di mettersi comoda. Ma il
freddo penetrava attraverso la
camicia di flanella, troppo sottile, e
lei si stava congelando. Era stata una
stupida a non infilarsi i jeans, ma il
fatto era che non si aspettava di
avere compagnia... Guardò il polso,
poi si rese conto che non aveva
messo nemmeno l’orologio.
In effetti viveva da giorni in una
delle camicie di flanella di Ian, ci
aveva dormito, l’aveva tenuta
addosso per mangiare e per andare
alla latrina, mettendoci sopra
soltanto il giubbotto e gli stivali. Era
riuscita a lavarsi i denti e cambiarsi
la biancheria, ma a parte questo non
si era preoccupata molto della
pulizia personale. Si passò una mano
tra i capelli, che di solito erano
naturalmente ricci e morbidi.
Adesso
sembravano
annodati,
stopposi e stavano ritti in tutte le
direzioni. Probabilmente sembrava
una barbona, una senzatetto che si
nascondeva in una latrina...
Si guardò di nuovo il polso privo
di orologio, rabbrividì e cominciò a
contare mentalmente i secondi per
avere un’idea del tempo che
passava. Per quanto tempo un leone
aspetta la sua preda?, pensò.
Oltretutto lei era in posizione di
svantaggio, perché l’animale aveva
la pelliccia e non sentiva il freddo.
Se lei avesse aperto la porta e
avesse constatato che non era in
vista, avrebbe fatto in tempo a
rifugiarsi di corsa nella capanna?
Be’, forse prima era meglio che
facesse quello per cui era venuta,
così non avrebbe dovuto usare il
vaso blu...
Dopo aver finito rimase seduta un
altro po’, immobile. Poi aprì
cautamente uno spiraglio nella porta,
maledicendo le cerniere che
cigolavano, e mise fuori la testa.
Non vide nulla, e arrischiò un altro
passo. Poi sentì un ruggito roco e
vide che l’animale girava attorno al
deposito, a pochi metri da lei. Fece
marcia indietro e sbatté di nuovo la
porta,
chiudendola.
«Merda!»
esclamò ad alta voce. «Merda,
merda, merda!»
Sollevò i piedi appoggiandoli
sull’asse, in modo da potersi coprire
le ginocchia con l’orlo della
camicia, e se le cinse con le braccia.
Là dentro non c’era niente con cui
difendersi – e niente da leggere,
nemmeno una rivista sportiva.
Tipico di Ian, solo l’essenziale.
Niente fronzoli. Anche in casa, non
aveva libri che non fossero quelli
presi in biblioteca.
Dopo un po’ Marcie cominciò a
tremare di freddo, e a tossire. Cercò
di trattenere i colpi di tosse, di
soffocarli, perché il gattone là fuori
poteva sentirla e capire che la sua
preda era ancora viva e in trappola.
E va bene, pensò rassegnata.
Sarebbe morta lì dentro, di freddo.
Non ricordava niente di quando era
quasi morta assiderata, qualche
giorno prima: il che significava che
non doveva essere doloroso.
Poi sentì il pick-up di Ian che si
avvicinava. Non c’erano dubbi che
fosse lui, il motore ansimava e
tossiva. E allora balzò in piedi,
perché il suo solo timore era che Ian
potesse
essere
attaccato
dall’animale che stava là fuori in
attesa. Incollò l’orecchio alla parete
di tronchi e per un po’ non sentì
nulla; poi venne il cigolio della
portiera che si apriva. Marcie
spalancò la porta della latrina e
gridò: «Ian, attento! C’è un...».
L’animale si gettò contro la porta
con un ruggito, e lei la richiuse in
fretta con un grido – felice che
avesse aggredito lei e non Ian, che
non se l’aspettava.
Ecco,
pensò. Io
sono
intrappolata nella latrina e lui è
nella cabina del pick-up. E fa un
freddo del diavolo. Grandioso. E
solo poco fa pensavo a come
sarebbe stato bello avere un forno
a microonde...
Passarono pochi secondi, poi si
sentì uno sparo che le tolse il fiato.
E infine la porta della latrina si
spalancò e lei vide Ian con in mano
un fucile e l’espressione stupefatta.
«Da quanto tempo sei qui?» le
domandò.
«Non ne ho idea. C-credo da ggiorni.»
Lui fece una faccia buffa. «E
adesso hai finito?»
A quel punto lei scoppiò a ridere,
provocandosi un altro violento
accesso di tosse. «Sì, ho finito.
Posso andare a casa?»
«A casa? Ma la tua macchina
non...»
«Intendevo casa tua, Ian» rise lei.
«Santo cielo, dov’è il tuo senso
dell’umorismo?»
«Non l’ho
trovato
affatto
divertente. Non capisco che ci
facesse qui quella belva, non ho
cibo né animali domestici...»
«Si aggirava attorno al deposito
degli attrezzi. Credi che volesse il
brodo di pollo?»
«Non è mai successo prima»
continuò
lui.
«Una
bella
sfacciataggine, farsi vedere così
all’aperto e in pieno giorno!»
«Che cosa diavolo era?»
«Un puma» spiegò lui. «Un leone
di montagna.»
«Ah, ecco... mi sembrava un
leone!» Marcie si fermò di botto.
«Non lo hai ucciso, vero?»
«Diavolo,
quello
voleva
mangiarti! Cos’è, ti preoccupi della
sua anima?»
«Volevo solo che se ne andasse,
non che morisse.»
«E infatti l’ho solo spaventato»
disse
lui
incamminandosi
velocemente verso la capanna. «Ma
se si fosse trattato di scegliere tra la
tua vita e la sua, non gli avresti
sparato?»
«No.»
«No?!»
«Be’, non ho mai preso in mano
un’arma, e non so che cos’avrei
combinato. Probabilmente avrei
sparato a te, o alla capanna, o avrei
fatto saltare in aria la latrina con
tutto il suo contenuto...» Ridacchiò.
«E lui era un bersaglio molto più
piccolo. Ma tu hai una padella, no?
Una grossa, di ferro.»
«Sì, ma che vuoi farci?»
«Be’, in futuro andrò in bagno con
un’arma. Da ragazza giocavo a
softball ed ero un’ottima battitrice.»
Lui si fermò a guardarla
scuotendo la testa. «Ma Dio santo,
puoi sempre usare il vaso!»
«Lo so, ma ci sono cose che una
signora preferisce tenere per sé
anche a rischio della vita.»
Ian sorrise, un autentico sorriso.
«Ah, davvero?» fu la risposta.
6
Il giorno dopo, tornando a casa, Ian
sorprese Marcie in piedi davanti
all’acquaio in camicia di flanella e
stivali – e niente jeans. Forse
indossava un paio di mutandine, ma
lui cercò di non pensarci.
Marcie si stava strofinando la
faccia con un panno insaponato, e i
suoi capelli erano così scarmigliati
che sembravano la parrucca di un
clown. Ian depose il sacchetto di
provviste sul tavolo e domandò:
«Stai meglio?».
«Direi di sì, visto che muoio dalla
voglia di respirare un po’ d’aria
fresca.»
«E vuoi lavarti i capelli?»
«Ero tentata di farlo, ma non so se
la testa bagnata sia una buona idea.
E poi l’acqua della pompa è gelata.»
Lui ridacchiò. «Sei qui da giorni e
non hai ancora capito come
funziona? Strano, non è da te non
badare ai dettagli... E va bene,
diciamo che oggi è il giorno del
bagno.»
«Tu hai fatto il bagno da quando
sono qui?»
«Lo ammetto, ho rimandato e mi
sono arrangiato con una pentola
d’acqua calda nell’acquaio, ma non
solo perché ci sei tu. Immagino avrai
notato che fa abbastanza freddo.»
«Ho anche notato la vasca da
bagno, ma non ho capito come la
usi...»
«Già, non sei abituata alla vita
spartana. Ti spiego come facciamo:
metto un bel po’ di legna nella stufa,
in modo da riscaldare la stanza, e ci
faccio bollire una grossa pentola
d’acqua. Ne faccio bollire anche
un’altra sul fornello a gas, che è
molto più veloce, e con quella
riempiamo l’acquaio per i tuoi
capelli. Intanto facciamo bollire
altra acqua sul fornello, e quando ti
sarai lavata i capelli ci saranno due
pentole d’acqua bollente per il
bagno. Ci aggiungiamo un po’
d’acqua fredda della pompa, e tu ti
immergi. Non posso riempire del
tutto la vasca, perché se aspetto di
riscaldare acqua sufficiente, quella
che ci avrò versato prima sarà già
fredda. Perciò non sarà un vero
bagno, ma sarà caldo e servirà allo
scopo.»
«È molto generoso da parte tua
fare tutto questo per me» disse lei.
«Per noi, Marcie. Io farò il bagno
dopo di te, e domani mi fermerò
nella lavanderia a gettoni per fare il
bucato. Posso portare anche la tua
roba, se vuoi. Ma solo perché non
sei stata troppo bene...»
Poi la guardò e vide che spostava
il peso da un piede all’altro e si
mordeva le labbra. «Che c’è? Non
vuoi fare un bagno?»
«Muoio dalla voglia di un bagno»
sospirò lei. «Ma non ho potuto fare a
meno di notare che non c’è una
stanza separata con una porta che si
chiuda... e mi è parso anche di
capire che questo non ti imbarazza
affatto.»
Lui fece un sorrisetto a labbra
chiuse. «Mentre tu fai il bagno io
posso caricare la legna sul pick-up»
disse.
Lei ci pensò su. «E mentre lo fai
tu io potrei andare a sedermi in
machina.»
«Direi proprio di no. Ormai la tua
macchina è una montagnola di neve,
somiglia ad un igloo... Per non
parlare dei leoni di montagna.»
«E allora come si fa?»
«Be’, puoi fare un sonnellino,
leggere uno dei miei libri, chiudere
gli occhi. Oppure puoi guardarmi e
provare la più grande emozione
della tua vita.»
«Non te ne importerebbe se
guardassi, eh?» domando lei
mettendo le mani sui fianchi con aria
di sfida.
«Francamente no. Un bagno è una
faccenda seria, visto che ci vuole
così tanto per prepararlo. E
d’inverno si fa anche molto alla
svelta.» Poi ridacchiò divertito.
«Che cosa c’è da ridere?»
domandò lei un tantino seccata.
«Niente, stavo pensando... visto
che fa così freddo potresti non
vedere un granché.»
Lei si fece di fiamma ma finse di
non aver capito. «In estate però puoi
stare sdraiato nella vasca tutto il
pomeriggio» osservò.
«D’estate mi lavo nel ruscello.
Intanto, perché non ti togli i nodi dai
capelli? Sembri una Furia.»
Marcie lo fissò per un attimo.
«Non flirtare con me, non ti servirà
a niente» disse. E poi ebbe un
accesso di tosse, che ricordò a
entrambi
che
era
appena
convalescente – e che servì a
mascherare la risata di lui.
Pompando acqua in una grossa
pentola Ian disse: «Prendi il tuo
sciroppo. Hai una tosse spaventosa,
e non voglio che me l’attacchi».
Ci volle una buona mezz’ora
perché l’acqua per i capelli fosse
pronta. Marcie prese il flacone di
shampoo dalla sacca di tela, ripiegò
il colletto della camicia per non
bagnarlo, e si stava rimboccando le
maniche quando Ian si avvicinò e
allungò la mano.
«Che c’è?» domandò lei.
«Dammi lo shampoo e china la
testa nell’acquaio. Te li lavo io.»
«Perché?»
«Perché tu non puoi vedere se
sono ben risciacquati. È più facile e
veloce se ci penso io.»
Così, Marcie prese l’asciugamano
che stava sulla credenza, se lo
premette sulla faccia e si chinò in
avanti,
immergendo
la
testa
nell’acqua calda. Sentì che Ian usava
una tazza per bagnarle tutti i capelli,
e poi cominciava a massaggiare il
cuoio capelluto per far penetrare lo
shampoo. Le sue mani callose erano
incredibilmente delicate, e la punta
delle dita lavorava la schiuma in un
massaggio piacevolissimo. Lei tenne
gli occhi chiusi e si trattenne a stento
dall’emettere mugolii di piacere.
Dopo un po’ disse: «Non è che ti
offri volontario anche per radermi le
gambe, eh?».
Le dita si fermarono di botto, e il
silenzio durò così a lungo che lei si
domandò se lo aveva offeso in
qualche modo.
«Marcie... perché diavolo vuoi
raderti le gambe?» domandò
finalmente lui.
«Perché sono pelosissime!»
«E allora? A chi vuoi che
importi?»
Lei ci pensò su per un poco. Si
trovava in cima alla montagna, in
mezzo al nulla, con un uomo che
sembrava un orso e in una casa in
cui non c’era nemmeno il bagno.
Perché diavolo doveva radersi le
gambe – e le ascelle? Infine,
sottovoce, disse: «Importa a me».
Lui sospirò teatralmente, poi
cominciò a risciacquarle i capelli.
Poi, mentre Marcie si frizionava
la testa con l’asciugamano, lui prese
una camicia pulita dal baule e gliela
porse. Questa volta era una vecchia
camicia di denim, con il collo e i
polsi sfilacciati e i bottoni spaiati.
«Mettiti questa» disse lui. «Tra un
po’ quella a scacchi che indossi
andrà da sola in lavanderia e si
butterà nella lavatrice.» Si voltò, e
lei si sfilò la camicia sporca e le
diede un’annusatina. «Spiritosone»
borbottò.
Quando la vasca fu piena d’acqua,
Ian mise a scaldare altra acqua per il
suo bagno, e poi uscì. Mentre si
depilava gambe e ascelle, Marcie
sentì il tonfo dei ciocchi di legna che
venivano caricati sul pick-up, e poi
Ian che fischiava. Non era solo un
fischiettare senza ritmo, era una vera
e propria melodia. Ian era davvero
dotato. Marcie avrebbe voluto
sentirlo cantare, ma quel giorno lui
evidentemente non era in vena.
Quando rientrò, lei si era
asciugata e indossava la camicia di
jeans. Si era domandata come mai i
bottoni fossero scompagnati, poi
aveva capito che lui li sostituiva
man mano che ne perdeva uno per
mantenere una certa funzionalità agli
indumenti, anche se erano vecchi e
logori. Strano uomo. Viveva in
modo essenziale, spartano, con
capelli e barba allo stato brado,
eppure aveva cura dei vecchi
indumenti.
Lui la stupì ancora una volta
facendo esattamente come lei, cioè
piegandosi nell’acquaio per lavarsi
capelli e barba con l’aiuto di un
pentolino che riempiva man mano di
acqua calda – solo che lo fece a
torso nudo.
Marcie cercò di leggere mentre
lui si lavava, ma non poté fare a
meno di sbirciare al di sopra della
copertina per osservare quella
schiena ampia e possente, la vita
stretta, le natiche sode. Di solito il
suo corpo era ben nascosto dagli
indumenti, ma non c’era da stupirsi
che fosse così ben fatto dato tutto
l’esercizio fisico che faceva.
Abbatteva gli alberi, li tagliava,
caricava la legna sul camion e poi la
scaricava quando la consegnava a
domicilio. Tutto questo gli aveva
dato un corpo perfetto.
La prima volta che lo aveva visto
nudo, Marcie aveva distolto lo
sguardo in tutta fretta e non aveva
avuto il tempo di apprezzarlo a
dovere. Adesso, invece, lo vedeva
bene. Dato che aveva capelli e
barba così folti, si era aspettata una
specie di gorilla con peli dovunque:
invece no, Ian aveva solo una
leggera peluria sul petto, ma l’ampia
schiena e le braccia muscolose
erano glabre. Su ogni avambraccio
aveva dei tatuaggi, un’aquila sul
destro e sull’altro uno stendardo con
la scritta USMC, Corpo dei Marine.
Finito di lavarsi i capelli Ian li
ravviò all’indietro e li riannodò in
una coda, poi si pettinò la barba con
una vecchia spazzola malconcia.
Intanto l’acqua continuava a
riscaldarsi. Finalmente Marcie
capiva perché c’erano tanti tegami
ammucchiati accanto all’acquaio:
non per cucinare pasti abbondanti,
visto che era solo, ma per scaldarsi
l’acqua.
Probabilmente si tagliava barba e
capelli di tanto in tanto, pensò
ancora Marcie. Chissà se li tagliava
molto corti, in modo da cambiare
radicalmente il proprio aspetto, o se
li spuntava solo un po’? Aveva
capelli folti e mossi, castano chiaro,
mentre la barba era rossiccia. Irsuto
com’era, con quegli occhi penetranti
che a volte scintillavano di collera,
sembrava un selvaggio e metteva
davvero paura...
Ma forse tutto questo faceva parte
della maschera che Ian aveva deciso
di indossare per nascondersi. Isolato
tra le montagne, in incognito dietro
la barba e i lunghi capelli incolti...
chi poteva riconoscerlo?
Marcie si lasciò cadere sul
divano e appoggiò il libro sulle
ginocchia sollevate. Quando Ian
riempì la vasca e cominciò a
slacciarsi la cintura, lei affondò
ancora di più sul sedile sfondato e
sollevò il libro davanti alla faccia,
per non vedere anche solo uno
scorcio accidentale di nudità. Lo
sentì ridacchiare, poi venne la sua
voce divertita. «Ti avverto quando
ho finito.»
Marcie cercò di leggere, sentendo
tuttavia lo sciacquio dell’acqua, e
neanche dieci minuti dopo lui disse:
«Finito!». Ma lei gli diede altri due
o tre minuti, perché sospettava che
potesse giocarle un tiro malizioso.
Quando Ian riempì una borsa con
la biancheria da lavare lei vi
aggiunse due paia di jeans, quattro
paia di calzettoni, due magliette e
due paia di pantaloni di felpa. Tenne
la biancheria per sé.
La mattina dopo, appena lui se ne
fu andato, Marcie mise sulla stufa
una pentola d’acqua e aspettò che si
riscaldasse almeno un po’. Poi lavò
mutandine e reggiseni e li distese sul
bordo della vasca, in modo che
asciugassero al calore della stufa.
Quando dovette uscire per andare
alla latrina, si portò dietro la grande
padella di ferro. Se il puma si fosse
fatto vivo, con i suoi ruggiti e i denti
in vista, lei gli avrebbe dato una
lezione da non dimenticare. Non era
certo una cacciatrice, ma ai suoi
tempi era stata un’eccellente
giocatrice di softball. Quando
rientrò, stanca e un po’ sudata,
cominciò a tossire; allora prese lo
sciroppo e fece un lungo sonnellino.
Nel pomeriggio Ian tornò con una
scatola rettangolare di cartone, in
cui c’erano i vestiti lavati, asciugati
e ben ripiegati. Appoggiò la scatola
sul baule e con due dita sollevò un
paio di mutandine dal bordo della
vasca. «Spero che tu cominci
davvero a stare meglio» disse,
«perché non so se sono tagliato per
questo tipo di vita. Mi sa che il
vecchio Raleigh si sta rivoltando
nella tomba...»
Marcie balzò su dal divano,
afferrò la biancheria e la cacciò
nella sua sacca anche se non era
ancora completamente asciutta.
Quella sera a cena mangiarono
patate lesse, due uova alla coque e
alcune spesse fette di prosciutto. E
mangiando parlarono un po’ della
giornata di lavoro di Ian, dei suoi
clienti, del modo un cui tagliava e
preparava la legna; ma prima che
Marcie
potesse
passare
ad
argomenti più delicati, come la
ragione per cui era arrivata fin lì, lui
disse che era ora di stare tranquilli,
perché voleva leggere un po’, prima
di dormire. E lei acconsentì senza
discutere, perché in fondo lo capiva.
Aveva vissuto da solo per tanto
tempo, e la sua richiesta non
significava che fosse sgarbato.
Ormai
lei
cominciava
ad
apprezzare le piccole cose, come
l’occasionale risata sommessa che
ogni tanto Ian si lasciava sfuggire.
Non si poteva nemmeno definire una
vera risata, ma esprimeva il suo
genuino divertimento – di solito
quando lei diceva una battuta
sarcastica. E di tanto in tanto le
sorrideva, con i bellissimi denti che
stavano dietro quel cespuglio
rossiccio di barba.
Ma nonostante ciò, lei cominciava
a sentire la solitudine: e si
domandava come strapparlo dal suo
silenzio.
Poi, un pomeriggio, fu testimone
di una scena incredibile. Ian era
fuori e caricava la legna sul pickup,
fischiettando. Dopo qualche tempo
aveva cominciato a cantare,
dapprima sottovoce e poi a gola
spiegata, con quella bellissima voce
profonda che a Marcie faceva venire
i brividi. D’improvviso cadde il
silenzio. Niente tonfi dei ciocchi di
legna, niente canto, nessun suono.
Ma la porta non si aprì. Marcie
pensò che lui fosse andato in bagno,
ma passavano i minuti e non
succedeva niente. Finalmente lei si
arrischiò a uscire: aprì la porta e
guardò fuori, con cautela.
Ian era accanto al deposito degli
attrezzi, in piedi davanti a un
magnifico cervo con un enorme
palco di corna che misurava almeno
un metro. Aveva un braccio teso
davanti a sé, e l’animale mangiava
qualcosa dalla sua mano. Ian gli
parlava sottovoce, accarezzandolo
sul collo con l’altra mano.
Marcie
si
immobilizzò
e
contemplò quella scena colma di
bellezza e di pace: uomo e animale,
uno di fronte all’altro come i
migliori amici del mondo. C’era in
quell’uomo una gentilezza d’animo
che calmava l’essere più pauroso.
Sarebbe mai riuscita, lei, a toccare
quel lato della sua natura? Era
possibile che Ian ruggisse solo con
chi lo spaventava?
Lei, per esempio, lo aveva
spaventato con la sua pretesa di
parlare del passato, ma adesso
faceva molta attenzione a non
ripetere l’errore. Un po’ più di
tempo, un po’ più di fiducia, e forse
sarebbe riuscita a liberarlo da quei
fantasmi. L’ultima cosa che voleva
era farlo soffrire, perché adesso era
certa che fosse una brava persona.
Come aveva potuto suo padre
voltare le spalle a un uomo come
lui?, pensò. Com’era possibile?
Poi il cervo si voltò e con un paio
di balzi scomparve nel folto degli
alberi. Ian tornò accanto al pick-up,
ma la vide in piedi sulla soglia e le
si avvicinò.
«Quello era il mio amico Buck»
spiegò. «Quando lavoro all’aperto
tengo sempre una mela in tasca, e a
volte lui viene a trovarmi. Se la
mela comincia a marcire prima che
lui si faccia vivo, la mangio io e ne
prendo un’altra per lui.»
«Ma come hai fatto?» domandò
lei incantata.
«Oh, non c’è nessun trucco. L’ho
trovato quand’era cucciolo, ferito
dal fucile di un cacciatore, separato
dalla
madre,
terrorizzato
e
sanguinante. Il vecchio Raleigh mi
disse che i suoi occhi non
funzionavano più, ma i miei sì... e mi
spiegò che cosa fare. Disse che
dovevo curargli la ferita, dargli da
mangiare per qualche giorno e poi
lasciarlo andare. Ed è quello che
feci. Lo tenni chiuso nel deposito, lo
nutrii con delle mele e dell’acqua
pulita, e quando si fu rimesso lo
liberai. Tutto qui.»
«E lui ritorna?»
«Non regolarmente, ma ogni tanto
sì. Sono solo contento che non ne
abbia parlato con i suoi amici – mi
toccherebbe nutrirli tutti.»
Commossa, Marcie posò la mano
sul petto di lui. «Quello che hai fatto
è incredibile...»
«Non fare la sentimentale,
Marcie. Se avessi un freezer
probabilmente gli sparerei.»
«Non oseresti!»
Lui le sorrise. «A me la
cacciagione piace, a te no?»
Lei pensò allo stufato di Preacher
e a come si scioglieva in bocca, ma
replicò: «Non fino a quel punto!».
Poi girò sui tacchi e rientrò, mentre
lui rideva divertito.
Un paio di giorni dopo, a metà
mattina, Marcie sentì una macchina
in arrivo e capì che non poteva
essere Ian, perché quel motore era in
condizioni di gran lunga migliori.
Aprì la porta e vide Mel che
scendeva dall’Hummer con la
valigetta in mano. «Ehi, salve» disse
Mel. «Si vede che stai molto
meglio!»
«Oh, sì, grazie. Sei da sola questa
volta?»
L’altra si avvicinò alla porta. «Sì.
Ero in giro, e ho pensato di fare un
salto a vedere come stavi.»
Marcie ridacchiò. «Nessuno
passa di qui per caso... mi ricordo
bene com’è stato difficile trovare
questo
posto.
Vieni
dentro.
Purtroppo non ti posso offrire tè e
biscotti, ma...»
«Ho parlato con tua sorella»
spiegò Mel. «E ho pensato di venire
a raccontarti com’è andata.»
«Oh, Dio... è stata molto
sgradevole? Ha perso la testa, si è
messa a strillare?»
Mel ridacchiò a sua volta. «No,
non ha perso del tutto la testa, ma mi
ha detto molto chiaramente che cosa
pensa della tua impresa... adesso ti
racconto.»
Marcie accennò alla tavola con le
due sedie, Mel ne prese una e
appena seduta venne subito al
dunque. «Ho fatto quello che mi
avevi chiesto: le ho detto che avevi
trovato Ian Buchanan, che stavi da
lui e avevi intenzione di fermarti per
un po’, e che le avresti telefonato
quando fossi scesa in paese la
prossima volta. Non mi pare proprio
di averle detto altro, ma lei mi ha
subito domandato perché, visto che
l’avevi trovato e gli avevi parlato,
non eri ancora tornata a casa.»
«Oh, santa Maria... no, santa
sorella.» Marcie si mise la testa fra
le mani. «Perché mi sono ammalata,
ma naturalmente non volevo che lo
sapesse! Altrimenti sarebbe arrivata
fin quassù con un’ambulanza. Riesce
a smuovere le montagne, se vuole.
Mobilitare la Guardia Nazionale
sarebbe niente per lei.»
«Sì.
Ho
avuto
quest’impressione.»
«Ma in realtà l’influenza si è
rivelata una benedizione, perché Ian
è un tipo piuttosto chiuso e diffidente
ed è abituato a non avere nessuno
intorno. Il fatto che io mi sia dovuta
fermare da lui qualche giorno ha
fatto sì che si abituasse poco per
volta a me. Abbiamo parlato molto
vagamente delle nostre vite, senza
mai arrivare a sfiorare argomenti
come la guerra, mio marito Bobby, il
motivo per cui lui ha lasciato i
Marine e la sua città natale, e così
via. Ma mi sto avvicinando alla
meta. Siccome deve sopportarmi per
forza stiamo arrivando a conoscerci
– in realtà a conoscerci di nuovo,
perché dopo l’incidente di Bobby ci
eravamo visti brevemente, e anche
scritti per un po’. Così sto cercando
di guadagnarmi la sua fiducia, e
sono certa che uno di questi giorni
riusciremo a parlare davvero.»
«E poi?»
Marcie si strinse nelle spalle.
«Mel, io stessa non so perché sono
dovuta venire a cercarlo... ma era
qualcosa che non potevo evitare.
Quando capirò perché l’uomo che ha
salvato la vita di mio marito poi
ha...»
«Aspetta un momento» interruppe
Mel. «Ha salvato la vita a tuo
marito?»
«Sì, l’ho raccontato a Jack... lui
non te l’ha detto?»
«No, non me ne ha fatto parola.»
«Be’, è quello che Ian ha fatto. Ha
rischiato la vita per salvare Bobby,
ed è stato anche ferito. Non è colpa
di Ian se Bobby è rimasto disabile, e
io gli sarò sempre grata per aver
tentato il tutto per tutto. Non so se
puoi capirlo, ma anche se Bobby ha
vissuto altri tre anni prigioniero in
un corpo immobile, senza sapere
quello che accadeva attorno a lui,
almeno io...» Marcie si interruppe,
inghiottì le lacrime e riprese: «Io ho
potuto restare accanto a lui un po’ di
più. Sono molto grata per il tempo
che mi è stato concesso – anche se
questo può sembrare egoistico nei
confronti di Bobby».
Mel trasse un gran respiro. Anche
lei era vedova, e Jack era il suo
secondo marito. Il suo primo marito
era morto per caso, ferito nel corso
di una rapina nel supermercato in cui
era entrato. Ma adesso non voleva
raccontare i dettagli della sua storia;
mise invece una mano sul braccio di
Marcie
e
disse:
«Capisco
benissimo».
«E ci sono anche altre cose...
quello che Bobby pensava di Ian,
l’ammirazione che aveva per lui.
Bobby lo riteneva l’uomo migliore
della terra, e voleva diventare come
lui. E quest’uomo così speciale è
fuggito via da tutto e da tutti? Non ha
senso. Poi c’è anche un’altra cosa,
ma è molto sciocca. Si tratta delle
figurine del baseball. Bobby e Ian
collezionavano figurine del baseball
fin da quando erano bambini, e
mentre erano in trincea nel deserto,
sotto le bombe o il tiro dei cecchini,
parlavano di quelle stupide figurine.
Sono queste le cose di cui voglio
parlare, capisci? Per conoscere
meglio mio marito, che adesso non
c’è più...»
Mel sorrise. «Capisco» disse
sottovoce.
«Ho cercato di spiegare tutto
questo a Erin, ma lei non riesce a
capirlo. Forse perché si preoccupa
soprattutto per me... tutto quello che
le interessa è proteggermi, ed
evitare che io soffra di nuovo com’è
accaduto negli ultimi anni. Può darsi
che Ian non arrivi mai ad aprirsi con
me, lo so bene, devo prepararmi a
quest’eventualità. È stato molto
chiaro,
non
vuole
parlare
dell’argomento. Quello che è
successo deve aver lasciato un
grande vuoto nel suo cuore.»
«Senti» disse Mel appoggiando i
gomiti sul tavolo, «io non ho una
grande esperienza in questo campo,
ma un po’ sì. Mi sono presa un
Marine che è stato in guerra anche
troppo, e che a volte crolla. Non so
quali possano essere le cause
scatenanti, ma non vorrei che tu
rischiassi la tua incolumità quando
finalmente riuscirai a parlare di
questi argomenti delicati...»
«Non succederà niente» disse
Marcie. «In effetti credo che
nemmeno lui se ne renda conto, ma
non è un uomo torturato dai ricordi.
Forse lo era qualche anno fa, e forse
i ricordi ogni tanto lo turbano
ancora, ma adesso è solo un tipo
solitario che vive tra le montagne,
che fa una vita semplice e tranquilla.
È meno complicato di quanto sembri
– almeno io la vedo così.»
«Lo so... canta» sorrise Mel.
«Non è solo questo. Mi ha parlato
di tante altre cose, del vecchio che
viveva qui e gli ha lasciato la
capanna, del cervo che ogni tanto
viene a trovarlo. Mi ha scaldato
l’acqua perché potessi fare un
bagno, mi ha lavato i capelli! Va
regolarmente in biblioteca e legge
ogni giorno, e non manuali su come
fabbricare una bomba o distillare
veleni, ma biografie di uomini
famosi. È intelligente, ha un senso
dell’umorismo
che
cerca
di
nascondere – probabilmente perché
teme che mi convincerei di essergli
simpatica.»
«Sì, ma...»
«No, non è a un passo dalla
follia» insistette Marcie. «Per
qualche ragione pensa che vivere da
solo sia meglio... alla fine credo che
capirò perché.»
«Però, Marcie, credo che tua
sorella abbia perso definitivamente
la pazienza. Mi ha detto che sta
pensando di venire qui a portarti
via.»
Marcie si irrigidì. «Le hai detto di
non farlo?»
«Le ho detto che ti avevo vista
con i miei occhi, e che stavi bene.
Ma le ho mentito, perché non stavi
affatto bene, avevi la febbre, la tosse
e...»
«E qualcuno mi stava curando!
Vedi che adesso sto bene? Mi sono
addirittura depilata le gambe!»
Mel la guardò stupita.
«Era uno scherzo... volevo
radermi le gambe e Ian si è
domandato perché diavolo ci
badavo, quassù nei boschi. Ma le ho
depilate, accidenti!»
Mel sorrise. «Almeno qui stai
comoda?»
«Be’, non c’è né frigorifero né
bagno. Ian se ne va alle sei del
mattino, torna nel primo pomeriggio
a caricare altra legna sul pick-up e
poi se ne va di nuovo, perciò non lo
vedo fino all’ora di cena. Cucina
qualcosa di caldo e durante la cena
parliamo, ma poi lui vuole un po’ di
pace per leggere qualche pagina e
andare a dormire presto, come ha
sempre fatto. Io mi sento molto sola
e mi mancano le mie serie TV.
Vorrei avere i miei CD preferiti e i
miei film. Pensa che guardavo Love,
Actually circa una volta al mese...
Comoda, dici? Mi adatto. Certo è
meglio di quando giravo i paesini
per cercarlo e dormivo in macchina,
ma...»
«Dormivi in macchina?» domandò
Mel inorridita.
«Be’, ero quasi senza denaro e
non l’avevo ancora trovato... Ma
questo a Erin non vorrei dirlo.»
«Be’, non è esattamente una
questione medica, perciò non rientra
nel mio segreto professionale...»
ammonì Mel.
«Io scommetto di sì. Scommetto
che è per questo che mi sono
ammalata!»
Mel sorrise, poi prese la valigetta
e domandò: «Posso misurarti la
temperatura, controllarti la gola e
auscultarti il petto?».
«Sì, certo. Non riesco a liberarmi
dalla tosse, ma per il resto mi sento
bene.»
Mel si diede da fare, e mentre
visitava Marcie con cura disse:
«Penso che dovresti dire a Ian che
devi fare una telefonata a tua sorella,
per parlarle di persona e
rassicurarla».
«Posso usare la mia macchina»
replicò lei.
«Hai le gomme da neve, o le
catene?»
«Be’, no, ma...»
«Marcie, giù per queste montagne
la tua Volkswagen uscirebbe di
strada alla prima curva. Nevica da
quando sei arrivata, e la tua
macchina non ha peso o trazione
sufficiente. Finché il tempo non
cambia è meglio che tu ti faccia dare
un passaggio su qualcosa di pesante
– come il vecchio pick-up di Ian.
Oppure puoi dirmi in che giorno
vuoi scendere in paese e io verrò a
prenderti. Ma credi, l’idea di
andarci con la tua macchina è pura
follia. E poi sembra che sia
completamente sepolta dalla neve...»
«Va bene, d’accordo. Magari
gliene parlo tra un giorno o due.»
«Sei definitivamente in via di
guarigione, ragazza mia. Non credo
che tu sia più contagiosa. Terremo
d’occhio la tosse, ma intanto tu
continua a prendere lo sciroppo che
ti ha dato Doc. I polmoni sembrano
liberi, va tutto bene, ma non è
insolito che la tosse persista per
qualche giorno. E la tua gola è
ancora un po’ irritata.»
«Senti, non c’era qualcosa da
pagare per la visita a domicilio e
per le medicine?»
«Il conto è già stato regolato»
disse Mel richiudendo la valigetta.
«Da Ian?»
«In effetti sì, credo fosse una
questione di orgoglio. Senti, quando
vieni in paese perché non ti fermi
qualche ora? Ti impedirà di
diventare pazza... Il bar è aperto
dalla mattina presto fino alle nove o
dieci di sera, e c’è gente che va e
viene tutto il giorno. Puoi usare il
telefono del bar o quello della
clinica.»
«Be’, non è una cattiva idea. Ah,
Mel, dimmi dell’albero di Natale...
È finito?»
«Quasi finito, restano poche cose.
È enorme, l’hai visto. Ed è
bellissimo» disse raggiante. «Ah,
non dirlo a Jack, ma mentre lui era
via a fare commissioni ho fatto un
giro sul cestello della gru... è stato
fantastico.»
Marcie aspettò l’ora di cena per
affrontare l’argomento della sua
visita in città, e badò bene a
scegliere il momento giusto. Non
troppo presto, ma nemmeno
all’ultimo boccone, quando lui
avrebbe potuto alzarsi e voltarle la
schiena con la scusa di lavarle il
piatto.
«Quando scendi a vendere legna,
Virgin River è molto fuori dal tuo
percorso?»
Lui alzò gli occhi e la guardò con
fare interrogativo. «Perché?»
«Se non è troppo disturbo, vorrei
che mi dessi un passaggio fin là,
perché dovrei chiamare mia sorella.
Ho pregato Mel, l’infermiera che
lavora con Doc Mullins, di
telefonarle per dirle che ero qui a
casa tua per un po’, e che l’avrei
chiamata quando fossi andata in
paese. E adesso vorrei farlo, in
modo che non si preoccupi.»
«Sarebbe la sorella che pensa tu
sia irresponsabile e pazza?»
Lei sorrise. «Proprio quella.»
Ian depose il cucchiaio nel piatto
di stufato con riso in bianco, e si
appoggiò allo schienale della sedia.
«Se stai meglio, dovresti pensare a
far ritorno a casa. Ormai mi hai
trovato e mi hai detto quello che
volevi dirmi.»
Lei si morse le labbra, poi levò su
di lui i grandi occhi verdi. «Ian, io
sono qui perché ho bisogno del tuo
aiuto. Non lo dico perché tu mi
compatisca, non è necessario. Ma ho
perso Bobby giorno per giorno, per
tre lunghi anni, e pensavo che
quando lui se ne fosse andato io
sarei stata pronta per la fase
successiva della mia vita. Per tre
anni mi sono domandata che avrei
fatto. Pensavo a diverse possibilità:
tornare a scuola, viaggiare, forse
frequentare qualcuno. Avere le
mattine e le sere libere per... per
qualsiasi cosa mi andasse di fare.
Ma non è stato così. Bobby se n’è
andato da un anno, e io sono ancora
allo stesso punto. Non mi va di fare
nessuna delle cose a cui avevo
pensato. Sembra che non riesca a
riprendere la mia vita, e non è solo
per il dolore di averlo perduto. È
che ci sono delle questioni non
concluse. Per questo essere qui con
te è la cosa più giusta da fare...»
«Tu sei rimasta qui perché eri
malata!» rispose lui irritato.
«Be’, non tanto malata da non
apprezzare il fatto che stiamo
cominciando a conoscerci. Anzi, è
come rinnovare una conoscenza, e
per me è davvero un grande aiuto.»
«Che
conoscenza
stiamo
rinnovando? Di che diavolo parli?»
Lei abbassò lo sguardo. «Vedi, io
ti conoscevo. Non personalmente,
come Bobby, ma nelle sue lettere lui
parlava sempre di te... e poi anche
noi due ci siamo scambiati qualche
lettera. E allora mi è parso che ci
conoscessimo bene, che fossimo
amici. Tu eri il legame tra me e...»
Ian picchiò le mani sul tavolo con
tanta forza da farla sobbalzare. «Ma
io non voglio rivangare tutto
questo!»
«Lo so!» gridò lei di rimando.
«Dio santo, ti ho forse chiesto di
farlo? Sei così dannatamente
ostinato... mi domando come
accidenti hai fatto a sopravvivere
tanto tempo senza nessuno con cui
litigare! So bene che hai dei
problemi, ma credi che potresti
pensare a qualcun altro oltre che a te
stesso, per cinque secondi? Se
parlassimo, questo mi aiuterebbe a
mettere alcune cose sotto la giusta
prospettiva, tutto qui. Se vuoi che
me ne vada, me ne vado. Ma se mi
lascerai restare per un altro po’, fino
a quando io non mi senta... Diavolo»
esclamò ravviandosi i capelli rossi,
«non so fino a quando! Fino a
quando capirò che le mie questioni
non concluse invece lo sono. Sarò
ben felice di pagarti per il cibo che
mangio, o di aiutare nelle faccende o
che so io – il fatto è che non posso
andare in città con la mia macchina
perché non ho le gomme da neve né
le catene!» Si fermò per riprendere
fiato, poi deglutì. «Ecco, è tutto
quello che volevo dirti.»
Lui sollevò un angolo della
bocca. «Sei sicura che sia tutto?»
Marcie si appoggiò all’indietro e
lo guardò cauta. «Be’, almeno per
ora.»
L’altro angolo della bocca di lui
si sollevò. «Sei una stronzetta
testarda, eh?»
«Ti avevo avvertito» ribatté lei. E
pensò: Probabilmente è quello che
mi ha permesso di sopravvivere.
«Non c’è bisogno che tu mi paghi
per il tuo cibo, o che sbrighi le
faccende. Solo, non riesco a capire
come un vecchio brontolone come
me possa aiutarti in qualche cosa.»
«Be’» disse lei rabbonita e un po’
confusa, «è per via del modo in
cui...»
«Domani devo consegnare della
legna» la interruppe lui. «Vado via
presto con un carico, torno con il
pick-up vuoto e lo ricarico. A quel
punto ti posso portare con me. Per
consegnare il carico ci metto un paio
d’ore, poi ti passo a riprendere a
Virgin River. Sai cosa fare per tutto
quel tempo?»
«Starò nel bar di Jack a bere
caffè.»
«Ma prima prendi lo sciroppo.
Quella tua tosse fa paura.»
Lei sorrise beata. «Grazie, Ian.» E
fu allora che capì: lui poteva negarlo
quanto voleva, ma aveva bisogno di
ritornare al passato quanto lei. Più si
rifiutava, più diventava evidente che
anche lui aveva un sacco di fantasmi
da cui liberarsi. Col tempo ci
sarebbero arrivati. Poi lei gli
avrebbe mostrato le lettere di
Bobby, gli avrebbe dato quelle
stupide figurine, e sarebbe tornata a
casa. Più leggera, finalmente.
7
Ian entrò a Virgin River e si fermò
di fronte all’albero. Mio Dio, che
meraviglia,
pensò. Decorato
pensando ai Marine, ovviamente. E
sembrava finito, ma la gru era
ancora lì vicino.
«Fatti trovare tra due ore e
mezza» disse a Marcie. «Non voglio
essere costretto a cercarti.»
Lei guardò l’orologio. «Sarò
pronta. E grazie.»
Lui si limitò a un cenno, ma la
seguì con gli occhi mentre saliva i
gradini della veranda ed entrava nel
bar. Poi si avviò, uscendo
lentamente dal paese.
Non voleva ammetterlo nemmeno
con se stesso, ma avere Marcie
attorno gli dava una strana
sensazione di conforto – e non
capiva perché. Forse perché badare
a lei lo faceva sentire utile:
assicurarsi
che mangiasse a
sufficienza, che stesse bene, che
fosse protetta dai pericoli sembrava
che facesse bene anche a lui. In
effetti
occuparsi
di
una
convalescente era un impegno
piuttosto gravoso. Se non ci fosse
stata lei, per esempio, non si
sarebbe dato tanta pena per cucinare
e avrebbe semplicemente aperto una
lattina di minestra pronta o di
stufato. Ma poiché Marcie era stata
malata e aveva bisogno di pasti
caldi, Ian aveva fatto del proprio
meglio.
Marcie aveva anche bisogno di
metter su qualche chilo, e lui
sospettava che proprio il fatto di
cercarlo tanto a lungo, dormendo in
macchina e saltando i pasti, l’avesse
indebolita e resa più fragile.
Sapere che al suo ritorno
l’avrebbe trovata a casa, pronta a
tormentarlo con le sue richieste di
conversazione, faceva sì che si
affrettasse un po’ di più nel lavoro –
per rientrare prima. Anche questo
era incomprensibile: perché certo
non aveva alcuna intenzione di
parlare con lei della guerra, o di
Bobby. Il
solo pensare a
quell’argomento gli pesava nello
stomaco come un macigno e gli
faceva venire l’emicrania. Eppure
aveva la ridicola paura che come
risultato della telefonata alla sorella,
Marcie gli avrebbe detto: Devo
tornare a casa.
D’altra
parte
era
inutile
preoccuparsi: lei sarebbe partita
presto, qualsiasi cosa le dicesse la
sorella. Non poteva accamparsi
nella sua capanna per tutte le feste
natalizie, a casa c’era qualcuno che
la aspettava. Anche se Marcie
brontolava parlando della sorella,
però ce l’aveva: una sorella che le
voleva bene e si preoccupava per
lei. E che aveva detto quando gli
aveva chiesto un passaggio in
paese? Se mi lascerai restare per
un altro po’... Solo un altro po’.
Quello con Marcie era il primo
contatto umano in quattro anni. Il
vecchio Raleigh non contava – con
lui si era trattato di pura servitù. Se
Raleigh non gli avesse lasciato un
pezzo di montagna lui non avrebbe
mai sospettato che potesse essergli
grato per l’assistenza che gli aveva
dato negli ultimi mesi. Ian vedeva
regolarmente
molte
persone:
lavorava per la ditta di trasporti
durante la bella stagione, aveva i
suoi clienti per la legna, andava in
biblioteca, di tanto in tanto mangiava
fuori. La gente lo trattava con
gentilezza e lui era cordiale con
loro. Ma non si apriva mai, non
aveva amicizie. E nessuno lo
stuzzicava come lei, costringendolo
a sorridere suo malgrado.
E la faccenda del puma – quando
Marcie aveva spalancato la porta
della latrina per urlare in quel modo
– be’, temeva che l’animale lo
aggredisse e aveva rischiato la pelle
per metterlo in guardia! Era da un
bel po’ che a nessuno importava
realmente di lui...
Forse è questa la risposta, pensò.
A Marcie importa di me, o così lei
crede, perché io ero importante per
Bobby. Se ci fossimo conosciuti in
un altro modo non sarebbe affatto
così.
Ma comunque, per ora lui
apprezzava quella sensazione, anche
se gli era sconosciuta. Sarebbe
tornato a prenderla tra due ore e
mezzo, e mentre consegnava l’ultimo
carico di legna a un dentista di
Fortuna avrebbe tenuto d’occhio
l’orologio in modo da non essere in
ritardo. E a ogni ciocco che
caricava, si sarebbe augurato che la
famiglia di lei non trovasse il modo
di farla tornare subito a casa.
Erano solo le nove e mezzo
quando Marcie entrò nel bar, e in
sala non c’era nessuno. Ma dalla
cucina provenivano delle voci, e
poiché lei doveva usare il telefono
nel retro si diresse da quella parte,
bussando due colpetti sulla porta
basculante prima di entrare.
«Avanti, avanti» disse qualcuno.
Seguì una risata femminile.
Attorno all’isola di lavoro
c’erano quattro persone, cioè due
coppie. Il cuoco, Preacher, e Paige –
la giovane donna che Marcie aveva
visto decorare l’albero di Natale il
primo giorno. Poi c’era il poliziotto
locale, Mike, accanto a una
bellissima donna di circa trent’anni
con lunghi capelli castani che le
arrivavano fino alla vita. Mike
indossava un grembiule ricoperto di
macchie di glassa rossa e verde.
«Ehi, Marcie» sorrise. «Allora,
hai trovato il tuo Marine?»
«Diavolo. Mel non vi ha detto
niente, eh? L’ho trovato da circa una
settimana!»
Gli altri si scambiarono occhiate
e risatine significative. Era chiaro
che conoscevano Mel e la sua
riservatezza.
«Conosci
tutti?»
continuò Mike.
Lei rispose al tu con altrettanta
naturalezza. «Be’, conosco Preacher,
Paige, e te...»
Lui cinse con un braccio la donna
dai lunghi capelli, e lei si appoggiò
alla sua spalla. «E lei è Brie, la
sorella di Jack.» Le diede un bacio
sul collo e aggiunse: «La mia
ragazza».
«Come va?» sorrise Marcie,
improvvisamente
invidiosa
dell’amore che aleggiava nella
stanza.
«Bene» rispose Brie. «È un
piacere conoscerti.»
«Allora, come sta il tuo eremita?»
si informò Mike.
«Oh, benissimo. Vive sulle
montagne da circa quattro anni. Il
posto è parecchio rustico, ma non ho
mai visto niente di più bello.»
«Ed è stato felice di vederti?»
continuò il poliziotto.
«Oh, sì» mentì lei, «eccome. Se
non si parla delle sue esperienze in
Iraq,
ci
teniamo
un’ottima
compagnia.» Scrollò le spalle e
aggiunse: «Mi ha permesso di
restare a casa sua per un po’... in
effetti mi sono beccata una brutta...
be’, un raffreddore, e lui mi ha
dovuta sopportare. Così cerco di
trarre vantaggio dalla situazione».
Sorrise e aggiunse: «Ma è stato
molto paziente, davvero. Sentite,
devo fare una telefonata a carico del
destinatario. Ho promesso a mia
sorella di farmi viva ogni due o tre
giorni, ma da Ian non c’è il
telefono».
«Fai pure» disse Preacher. «E
telefona senza problemi, abbiamo un
contratto che ci concede un numero
illimitato di telefonate per una
piccola somma mensile.»
«Davvero?»
«Sai, Jack ha quattro sorelle,
Paige ha le sue amiche, perciò
facciamo parecchie chiamate. La tua
è gratis, purché non sia al di fuori
degli Stati Uniti.»
Paige girò attorno al tavolo di
lavoro. «Se ti occorre un po’ di
privacy puoi telefonare dal nostro
appartamento» disse.
«Davvero non ti dispiace?»
«Niente affatto. Vieni con me, ti
faccio strada.»
Marcie fece per seguire Paige,
poi si voltò verso gli altri. «State
facendo dei biscotti natalizi?»
domandò.
«Paige e Brie hanno organizzato
una specie di laboratorio per sole
donne» rise Mike. «Io mi sono unito
a loro solo perché possano avere
qualcuno da prendere in giro, ma
sono molto più bravo a fare i tacos.
E la mia carne asada è magnifica.»
«Per fortuna avevamo già finito di
preparare i nostri biscotti» rise Brie.
«Mike è un disastro... non ho mai
visto qualcuno che non sappia
nemmeno spalmare la glassa sui
biscotti!»
«Vedi, gli uomini non ci si
provano nemmeno perché sanno che
io sono il miglior pasticcere della
terra» disse Preacher.
«Vieni, Marcie» la invitò Paige
con una risata. «Ti mostro dov’è il
telefono.»
Marcie la seguì in un piccolo
appartamento dietro la cucina,
composto di una camera da letto e un
soggiorno. Paige indicò un cordless
sul tavolino accanto a un divano di
pelle. «Accomodati.»
«Grazie. Tu vivi qui?»
«Sì. Ci abitava Jack prima di
sposare Mel e di trasferirsi nel suo
chalet. Poi io ho sposato John e...»
«John?»
«Sì, tutti lo chiamano Preacher ma
il suo vero nome è John, John
Middleton. E io sono Paige
Middleton»
aggiunse
orgogliosamente. «Fai la tua
telefonata, poi ci prendiamo un caffè
con i biscotti. E te ne daremo un po’
da portare a casa.»
Chiuse la porta e la lasciò da
sola.
Era straordinario, pensò Marcie.
Non aveva mai conosciuto gente
come questa, così generosa e
disponibile.
Paige
non
si
preoccupava che lei frugasse nei
suoi cassetti? Non la conoscevano,
non sapevano niente di lei, eppure si
facevano in quattro per aiutarla...
Sospirò
profondamente. Ian
dovrebbe frequentare più spesso
gente come loro, pensò. Si sta
trasformando in un vecchio
brontolone molto prima del tempo...
Poi prese il telefono e chiamò
l’ufficio di Erin.
Rispose la segretaria di Erin e le
spiegò che sua sorella era in
tribunale – e Marcie emise un
sospiro di autentico sollievo. «Non
importa, Barb. Puoi dirle soltanto
che ho chiamato, che sto bene, che le
cose vanno benissimo e che
cercherò di chiamarla di nuovo tra
un paio di giorni? Ti ringrazio.»
«Davvero
le
cose
vanno
benissimo?»
«Oh, sì, perfettamente. Sto da un
amico sulla montagna, e non c’è il
telefono. Posso telefonare solo
quando scendo in paese, perciò
passeranno un paio di giorni prima
che possa provare di nuovo. Ma
dille che quassù è bellissimo e che
mi piace molto.»
Dopo di che riattaccò, e
profittando
della
facilitazione
chiamò Drew sul cellulare. «Drew»
esclamò lei quando il fratello
rispose, «l’ho trovato!»
«Già, così si dice» ridacchiò lui.
«Ma tu stai bene, sorellina?»
«Benissimo.» E poi, inaspettato,
venne un accesso di tosse. «Scusa»
disse lei. «Ho un po’ di tosse, ma ho
visto il dottore qui in paese e lui mi
ha dato uno sciroppo. È una cosa da
niente, non c’è motivo di
preoccuparsi.»
«Non sembra che sia una cosa da
niente» protestò lui. «Dormi in una
casa abbastanza riscaldata?»
«Ma certo» rise lei. «E Ian mi ha
anche preparato del brodo di pollo.
Sei a lezione? Posso raccontarti di
lui senza che tu ti agiti?»
«Sono uscito dall’aula, tanto il
professore sta solo leggendo un
elenco noiosissimo. Perché ti
preoccupi che io mi agiti? Che
cos’ha questo tizio che non va?»
«Niente. È una brava persona, è
gentile e premuroso, ma diventa un
po’ irritabile se la conversazione
verte sulla guerra. Perciò, per
adesso non ne parliamo. Ma è
davvero un personaggio! Non fa
meraviglia che non riuscissi a
trovarlo, ha i capelli lunghi raccolti
in una coda e si è lasciato crescere
una barba cespugliosa che tende al
rosso. Non proprio rossa come i
miei capelli, ma è strana perché i
suoi capelli invece sono castani...
Vive quassù tra le montagne da
parecchi anni, da quando ha lasciato
i Marine. Fa due lavori, va a caccia
e a pesca, spacca la legna. Sto
imparando a conoscerlo, e mi piace
molto.»
E mentre lo diceva pensò: È vero,
mi piace proprio!.
«Quindi» riassunse Drew, «stai
fuori del paese, completamente
isolata, con questo tizio che non ha
telefono e che diventa irritabile
se...»
«Ci teniamo buona compagnia» lo
interruppe lei, «e lui non ha niente di
strano a eccezione di capelli e barba
un po’ incolti. Ma da queste parti
non è insolito. E in paese ci sono
parecchi ex Marine che vegliano su
di me, per assicurarsi che vada tutto
bene.»
Quella era una piccola bugia,
perché in realtà era stata Mel a
vegliare su di lei, ma era chiaro che
anche tutti gli altri si preoccupavano
del suo benessere. «Ti assicuro, va
tutto benissimo.»
Drew sospirò. «E allora quando
torni a casa?»
«Presto» rispose lei. «Non ho
ancora avuto la possibilità di dirgli
certe cose che voglio dirgli – sai, a
proposito delle lettere e delle
figurine del baseball. E poi vorrei
sapere...» Voleva sapere perché Ian
era fuggito in quel modo,
abbandonando tutti quelli che
amava. «Vorrei sapere alcune altre
cose...»
La voce di Drew assunse un tono
paterno. «E se lui non volesse dirti
quello che vuoi sapere? Che fai, lo
ringrazi gentilmente e vieni via?»
«Be’, sì» rispose lei dopo una
pausa un po’ troppo lunga. «È una
brava persona, non voglio farlo
soffrire. Vorrei solo che mi parlasse
di mio marito, ma se non vuole lo
lascerò in pace.»
«Erin sta diventando pazza»
riprese lui. «È sull’orlo di una crisi.
Se non fosse un tipo così controllato
si sarebbe mangiata le unghie a
sangue e si sarebbe strappata tutti i
capelli.»
«Ho cercato di parlarle, ma lei
non c’era. Diglielo. Era in tribunale,
e così ho chiamato te.» Poi Marcie
sorrise tra sé. Bella storiella, pensò.
Non aveva chiamato Drew perché
Erin non c’era, ma perché parlare
con lui la metteva di buonumore.
«Dille tutto quanto, e ricordale che
la chiamerò di nuovo tra un paio di
giorni. D’accordo?»
«C’è qualcosa in questa storia che
non mi suona gius...» tentò lui.
Ma lei lo interruppe in fretta. «È
tutto molto meglio di come
immaginavo» disse. «Mi farò viva
molto presto, ma nel frattempo cerca
di convincere Erin a prendere un
calmante. Non posso portarmi
sempre sulle spalle il peso delle sue
ansie. Voglio concludere quello che
ho cominciato... è il motivo per cui
sono venuta quassù.»
«Lo so» disse Drew con un altro
sospiro. «E lo capisco, anche se non
mi piace.»
Marcie rise dolcemente. «Torna
in aula, adesso. Ci parliamo presto.»
«Ti voglio bene, piccola» disse
lui.
«Anch’io, fratellino.» E riappese.
Poi rimase seduta per un momento
nell’abbraccio
accogliente
del
morbido divano. I suoi non capivano
quello che stava facendo, ma
l’amavano abbastanza da essere in
ansia per lei, e da temere che stesse
commettendo un errore nell’affidarsi
a questo sconosciuto. L’amore di
Erin poteva essere eccessivo, ma se
lo bilanciava con il buonumore di
Drew capiva di essere fortunata ad
avere i due fratelli. Senza il loro
amore la sua vita sarebbe stata del
tutto vuota.
Nessuno dei due aveva idea di
quanto Marcie sentisse la loro
mancanza, di quanto desiderasse
essere a casa con loro per passare le
festività nel modo più leggero e
rapido possibile. Ma quest’anno non
mancava solo Bobby – e d’altronde
Marcie aveva già passato un Natale
senza di lui. Mancava anche Ian, in
un certo senso. Perché lei non aveva
ancora messo insieme le loro storie
– ed era quello che voleva fare.
Quando
tornò
nella
sala
principale Marcie la trovò piena di
donne, almeno una ventina. Sui
tavoli coperti di tovagliette cerate
c’erano cesti, vassoi, scatole di latta
e piatti coperti di pellicola. Le
donne reggevano in mano tazze di
caffè o di tè e chiacchieravano
allegramente. Marcie si fermò sulla
soglia. Ecco che cos’era il
laboratorio per sole donne, pensò.
Ma questo le avrebbe impedito di
starsene seduta al bar fino all’ora
dell’appuntamento con Ian... Doveva
trovarsi qualcos’altro da fare!
«Eccoti» disse Paige. «Hai fatto
una bella chiacchierata con tua
sorella?»
«Be’, no... non l’ho trovata, e così
ho chiamato mio fratello.»
«Hai anche un fratello? Sei
fortunata! Siete molto vicini?»
Marcie trattenne alcune lacrime di
commozione. «Oh, sì» disse con un
cenno della testa.
«Che bello.» Paige la prese per
mano. «Vieni a conoscere le nostre
amiche» disse attirandola nella sala.
«Oggi c’è lo scambio dei biscotti
natalizi. Alcune di loro sono delle
pasticcere di prima classe, ma non
dirlo a John. Lui è convinto di
essere insuperabile, ma credimi,
questi biscotti sono eccezionali.»
«Non vorrei fare la parte
dell’intrusa...»
«Non dire sciocchezze, sei la
benvenuta. A meno che tu abbia
qualcos’altro da fare, naturalmente.»
Lei fece segno di no con la testa.
«È soltanto che... be’, non ho dei
biscotti da scambiare.»
Paige scoppiò a ridere. «Non li ha
neanche Mel, che è a malapena in
grado di far bollire l’acqua. Brie e
io li abbiamo preparati in cucina, ma
Mel ha detto: “Oh, al diavolo...
inutile che faccia finta!”.»
In quel momento, dall’altro lato
della stanza, Mel vide Marcie e si
avvicinò. «Oh, bene, sei venuta in
paese! Molto meglio che starsene
seduta nella capanna da sola, no? E
che magnifica occasione, così puoi
conoscere qualcuna delle nostre
vicine. Non esitare con gli assaggi.
E che ne dici di un caffè?»
«Oh, sarebbe magnifico. Solo che
mi sento un’imbucata.»
«Non qui da noi» rise Mel. «La
gente è felice di fare nuove
conoscenze, altrimenti vedrebbe
sempre le stesse facce.»
Paige le mise in mano una tazza di
caffè fumante, e Mel la presentò ad
alcune delle donne presenti. Connie,
proprietaria dell’emporio, Joy che
dirigeva la biblioteca, Hope
McCrea, che Marcie ricordava di
aver visto accanto all’albero il
primo giorno.
Poi Marcie conobbe molte altre
donne, mogli di proprietari di ranch,
una che possedeva un vigneto, un
paio di donne venute dai paesi
vicini. E naturalmente tutte le
chiesero che cosa l’aveva portata a
Virgin River. Lei rispose molto
semplicemente: «Be’, quattro anni fa
mio marito fu ferito molto
gravemente in Iraq – era nei Marine
– ed è morto l’anno scorso. Ho
saputo che il suo migliore amico
viveva da queste parti e sono venuta
a cercarlo per dargli la notizia e
stare un po’ con lui».
«E l’ha trovato?»
«Sì» sorrise lei. «Vive in una
capanna sulle montagne, e oggi mi ha
portata in paese mentre lui
consegnava legna da ardere ai suoi
clienti. Mi verrà a prendere tra un
paio d’ore. È stato molto gentile...
Adoro questo posto» disse poi per
cambiare discorso. «E il vostro
albero di Natale!»
«Sono state Mel, Paige e Brie ad
avere l’idea» disse Connie. «Anche
se i nostri Marine locali sono in
pensione, si sentono ancora molto
vicini agli uomini e alle donne che
sono ancora in servizio.»
«Facciamo un piatto con tanti tipi
di biscotti da portare al tuo Marine»
propose un’altra.
«Oh, non disturbatevi...»
«Ma a lui farebbe piacere, no?»
disse Mel. «E farebbe piacere anche
alle nostre amiche. Tu resta qui con
loro, io vado a sorvegliare la
confezione del piatto.»
E ciò detto, Mel la lasciò sola.
Marcie si riprese subito dal disagio,
perché chi stava attorno a lei riprese
subito a chiacchierare. Le chiesero
della sua città natale, di suo marito,
del suo lavoro e della sua famiglia.
Marcie aveva in animo di porre lei
alcune domande per riavviare la
conversazione, ma capì che non era
necessario. Lei era la novità, e le
altre erano curiose.
Poi qualcuno le mise in mano un
grande vassoio di plastica coperto
di pellicola, che conteneva un
assaggio di tutti i biscotti: Babbi
Natale, alberi, ornamenti, tondi di
pasta frolla al limone, quadrotti con
gocce di cioccolato, fette di torta,
dolcetti assortiti.
Poco dopo una giovane donna
entrò nel bar, e la sala si fece
silenziosa. La donna era alta, aveva
lunghi capelli biondo rossi, una
scatola di biscotti in mano – e una
gravidanza avanzata. Aveva in
faccia un sorriso esitante, e teneva
gli occhi un po’ abbassati.
Dietro di lei veniva un uomo
molto alto, anche lui piuttosto a
disagio.
Dopo un momento però il silenzio
cessò e tutte le donne presenti
circondarono la nuova arrivata,
abbracciandola e baciandola sulle
guance. Mel la cinse con un braccio
e la condusse al centro della sala. E
la giovane donna cominciò a offrire
in giro i suoi biscotti e a raccogliere
assaggi degli altri da portarsi poi a
casa.
«Quella è Vanessa» disse Brie
sottovoce.
Marcie si voltò a guardare la
sorella di Jack.
«Suo marito è stato ucciso in Iraq
due settimane fa, e il bambino
dovrebbe nascere tra un mese o
poco più. Lei abita con il padre e il
fratello, in un ranch appena fuori
città.»
Marcie inghiottì le lacrime che le
erano salite agli occhi. «E l’uomo
che è con lei?»
«È Paul Haggerty, il migliore
amico di suo marito. È rimasto qui
dopo il funerale perché Vanessa
gliel’ha chiesto. Dovunque vada lei,
vedi Paul a pochi passi. Le è stato
molto vicino in questi momenti
difficili.»
«È generoso da parte sua»
osservò Marcie con una fitta di
invidia.
«Paul è uno dei più vecchi amici
di Jack, Mike e Preacher» continuò
Brie. «Questi ragazzi sono molto
legati, e sono sempre disponibili per
aiutarsi l’un l’altro.»
«Paul sembra triste» osservò lei.
«Ah, non c’è dubbio... lui e Matt
erano amici fin dalle scuole
elementari.» Sospirò e aggiunse:
«Meno male che c’è il bambino in
arrivo, per Vanessa sarà una
benedizione. Vuoi che te la
presenti?».
«No, lasciala stare con le sue
amiche» si affrettò a dire Marcie.
«Non dev’essere facile per lei,
mostrarsi in pubblico così presto
dopo quello che è successo...»
«D’accordo» disse Brie. «Allora
scusami, ma voglio andare ad
abbracciarla. Torno tra poco.»
«Ma certo.»
Le amiche rimasero attorno a
Vanessa, cercando di tenerle
compagnia nel miglior modo
possibile, mentre Paul aspettava con
pazienza accanto alla porta. Dopo
una ventina di minuti Vanessa gli si
avvicinò con la sua raccolta di
biscotti, lui la cinse alla vita ed
entrambi uscirono.
Marcie lasciò sul bar il suo
vassoio di biscotti e li seguì. Erano
arrivati all’ultimo gradino della
veranda quando lei si schiarì la
voce. «Mi scusi... Vanessa, vero?»
Vanessa e Paul si voltarono e
Marcie fece un passo avanti.
«Sono... sono addolorata per il tuo
lutto» disse con familiarità.
«Grazie» rispose lei con un
sorriso gentile e un po’ triste. «Non
ci conosciamo, mi pare.»
«No, sono qui di passaggio. Sono
anch’io vedova di un Marine»
sussurrò Marcie. «È morto un anno
fa.»
«Oh» disse Vanessa, subito
commossa. «Mi dispiace tanto!»
«Grazie. Mio marito era stato
ferito gravemente in Iraq quattro
anni fa, e l’anno scorso alla fine è
morto. E quando ho saputo... Be’
ecco, mi ricordo bene quando il
dolore era così recente e intenso, e
vorrei poterti dire qualcosa che ti
sia d’aiuto.»
L’altra le sorrise di nuovo, con
dolcezza, poi alzò la mano e le
carezzò brevemente i riccioli rossi.
«Lo hai appena fatto. È stato gentile
da parte tua venire a parlarmi... non
eri obbligata.»
«Oh, ma io sentivo di doverlo
fare» rispose Marcie sentendo che le
lacrime le bruciavano gli occhi.
«Ricordo molto bene com’è stato
difficile all’inizio... e sono felice
per te, che almeno hai degli amici
affezionati e un bimbo in arrivo.»
«Tu non hai figli?»
Marcie scrollò la testa in silenzio.
E poi sentì il motore del pick-up di
Ian che entrava in paese, e si
trattenne a stento dal guardare
l’orologio.
Vanessa aprì le braccia e Marcie
accolse l’abbraccio, sentendo le
lacrime
scorrere
liberamente.
C’erano così tanti motivi per
piangere: la giovane donna aveva
appena perso il marito, era incinta,
ma il migliore amico di suo marito
le stava accanto...
Poi Marcie si scostò con un
sorriso, malgrado il pianto. «Ho
sentito il bambino che scalciava!»
disse.
«Sì, è un maschietto» spiegò
Vanessa con orgoglio. «E per
fortuna è molto vivace.»
Marcie si asciugò le lacrime.
«Ecco il mio autista» disse. «Buona
fortuna.»
«Grazie. Qual è il tuo nome?»
«Marcie Sullivan. Sono qui solo
per poco, presto tornerò a Chico,
casa mia, per passare il Natale con
mio fratello, mia sorella e la
famiglia di mio marito.»
«Bene, goditi il tuo soggiorno qui.
Buon Natale, e grazie per la tua
gentilezza.»
Dopo di che salì su un grande
SUV,
mentre
Paul
l’aiutava
premuroso prima di mettersi al
volante.
Marcie fece segno a Ian di
aspettare un minuto, corse nel bar a
prendere il vassoio di biscotti e a
salutare rapidamente le nuove
amiche. Poi salì sul pick-up, e
quando furono fuori del paese lui
domandò:
«Allora,
missione
compiuta?».
«Mia sorella non era in ufficio,
così ho parlato con mio fratello. Le
dirà lui che qui va tutto bene. E ho
scelto bene la giornata, perché nel
bar di Jack oggi c’era una festa con
scambio di biscotti natalizi. Hanno
insistito perché ne accettassi un
vassoio da portare a casa.»
«Mmh» fece lui. «Scommetto che
hai fatto nuove amicizie.»
«Qualcuna. La gente di questo
paese è molto amichevole, forse
dovresti frequentarli anche tu.»
«E quella donna è una delle tue
nuove amiche?»
«Quella
che
stavo
abbracciando?»
«È l’unica che c’era a parte te...»
«Si chiama Vanessa, non ho
capito il cognome. Suo marito è
morto in Iraq due settimane fa. Non
la conoscevo, ma le ho fatto le mie
condoglianze.»
«Quindi l’uomo con lei non era il
marito?»
«No, era...» Avrebbe voluto dire:
Il migliore amico del marito, ma ci
ripensò. «Un amico di famiglia, a
quel che ho capito.»
8
Visto che Marcie non doveva alzarsi
presto per andare a lavorare e non
aveva una TV per guardare le
notizie, i giorni tendevano a
confondersi uno con l’altro e lei non
sapeva mai se era martedì o sabato.
A quanto pareva, inoltre, Ian
lavorava sette giorni su sette e
questo aumentava la confusione.
L’influenza era completamente
passata, a parte la tosse che invece
persisteva, ma la mattina lei
dormiva ancora fino a tardi. Le
giornate si stavano accorciando, la
capanna restava buia più a lungo, e
Ian usciva silenziosamente. A volte
Marcie sentiva il motore del pick-up
– rugginoso e brontolone come lui –
ma poi si girava dall’altra parte e
riprendeva a dormire.
Quando finalmente si svegliava ed
era sola, mangiava qualcosa,
metteva un paio di ciocchi nella
stufa, leggeva qualche pagina dei
suoi libri – che spesso l’annoiavano
a morte. Le biografie non le
dispiacevano, ma avrebbe preferito
leggere la vita di qualche donna
interessante...
La mattina dopo la gita a Virgin
River, invece, si svegliò e scoprì
che Ian era ancora a casa. E aveva
un aspetto molto diverso dal solito.
Indossava una giacca di denim
imbottito, pulita e in buono stato, un
paio di pantaloni kaki e stivali che
non erano screpolati e scalcagnati
come quelli da lavoro. La camicia
sotto il giaccone era bianca. «Mi
assento per un po’» le disse. «Non ti
dispiace? Stai bene?»
«Sto bene, mi sento come nuova.
Ma vai a vendere legna? Non è
tardi?»
«No, stamattina faccio qualcosa
di diverso. Ma tornerò presto.»
Lei si rizzò a sedere sul divano,
incuriosita. «Ian, dove vai?»
domandò.
Lui distolse lo sguardo come se
fosse imbarazzato. «In chiesa»
rispose finalmente. «Ogni tanto lo
faccio. Ma non starò via molto.»
«Appartieni
a
una
congregazione?»
domandò
lei
sempre più stupita.
«No. No, a volte ne frequento una,
a volte un’altra. In realtà non
importa in quale chiesa vado.»
Adesso
Marcie
era
completamente sveglia. «A che
religione appartieni?»
«A nessuna. Davvero. La mia non
era una famiglia religiosa, non siamo
mai andati in chiesa. È qualcosa che
faccio
adesso,
ma
non
regolarmente.»
«Per favore, posso venire con
te?» pregò lei.
«Marcie»
esclamò
lui
strascicando
la
voce,
«non
cominciare!»
Ma lei era già saltata giù dal
divano e aveva afferrato un paio di
jeans puliti dalla sua sacca. «Non ho
dei vestiti eleganti, solo jeans e
stivali, ma l’ultima volta che sono
stata in chiesa erano tutti vestiti
sportivi. Nessuno si mette più in
ghingheri, ormai.»
«Preferirei che restassi a casa...»
«Non ti darò alcun fastidio.»
«Senti, posso parlar chiaro?»
Lei si infilò rapidissima i jeans,
senza pensare che Ian potesse
vedere un lampo della sua
biancheria, finché lui non le voltò le
spalle. «Sarebbe bello che tu
parlassi chiaro» ribatté. Poi sfilò la
camicia e cercò nella sacca il
maglione più bello che aveva.
Senza guardarla Ian spiegò:
«Entro in chiesa tardi, in silenzio, e
mi siedo sul fondo. Non che sia
scortese, dico buongiorno e Dio vi
benedica, e poi me ne vado. La gente
non si ricorda di me, perché non
vado quasi mai nella stessa chiesa.
Non voglio appartenere a nessuna
confessione, voglio solo ascoltare la
musica. Non sono il tipo che si
aggrega a un gruppo...».
«Sì, lo so, sei un lupo solitario.»
«Mi piace la solitudine, infatti,
ma vedo gente di continuo. Però amo
vivere da solo, e non voglio
appartenere a nessuna chiesa o
associazione, ecco tutto. Ci vado per
ascoltare la musica, e forse in questo
c’è qualcosa che mi ispira, chi lo
sa.»
«Va benissimo. Dirò anch’io
buongiorno e Dio vi benedica»
replicò lei infilando il pullover
dalla testa. Poi si guardò e scoprì
che era tutto spiegazzato, ma decise
che non importava e che non voleva
perder tempo. Ian si voltò e scoprì
che era già vestita, e che si stava
infilando gli stivali su un paio di
calzettoni. Dall’espressione della
sua faccia era chiaro che stava
perdendo la pazienza.
«Senti, no, non va bene. Tu sei il
genere di persona con cui la gente
parla volentieri. A te piace fare
nuove amicizie, scambiare opinioni,
a me non va. Me ne resto a casa e...»
Marcie corse all’acquaio, si
bagnò le mani e le passò sui capelli
cercando di domarli un po’.
«Portami con te, Ian. Mi siederò
lontano da te, farò finta di non
conoscerti. Potrai comportarti come
se io fossi una qualunque senzatetto
mal vestita che è capitata in chiesa
per caso nello stesso momento in cui
c’eri tu.»
«Oh, diavolo, Marcie... Non
dovevo proprio dirti niente! E se ti
portassi un libro dalla biblioteca?
Dimmi che genere ti piace.»
«Vai anche in biblioteca? Oh, ti
prego ti prego ti prego, portami con
te! Non sono più stata da nessuna
parte dopo aver trovato la tua
capanna! Non parlerò con nessuno,
lo prometto, ma per l’amor del cielo
non farmi più leggere un’altra
biografia! Non mi siederò accanto a
te e in chiesa, e in biblioteca me ne
starò zitta, ma ho bisogno di uscire e
di vedere gente... Non dico parlare,
quando ti cercavo ho parlato con
decine di persone per un mese,
finché non ne potevo più e quasi mi
si era seccata la gola. Ma adesso, se
potessi vedere un po’ di mondo per
qualche ora... Ti prometto che non ti
metterò a disagio. Se faccio
qualcosa di sbagliato, anche una
cosa sola, puoi ruggire e ringhiare
finché vuoi...» E poi ebbe un
accesso di tosse.
«Vedi? Sei ancora ammalata!»
Marcie trattenne il respiro e la
tosse si calmò. «È perché mi sono
agitata, ma sto benissimo. Mel ha
detto che ero guarita, mi ha visitata
per bene, ha detto che non ero più
contagiosa e che non è insolito che
la tosse rimanga per un altro po’. Ti
prego. Ti prego!»
«Oh, dannazione...» borbottò lui.
Marcie gli sorrise. «Bel modo di
parlare, per uno che sta andando in
chiesa!»
Per l’intero tragitto fino a Fortuna,
Ian non aprì bocca. Guidò guardando
fisso davanti a sé, e Marcie pensò
che dopo averlo tanto pregato di
portare anche lei avrebbe fatto
meglio a star zitta e quieta, facendo
esattamente quello che gli aveva
promesso. Quando si fermarono
davanti a una chiesa presbiteriana
lei entrò per prima, prese un
programma e si sedette verso il
fondo. E non si stupì quando Ian,
entrato poco dopo, scelse un posto
dall’altro lato della navata e si
comportò come se non la
conoscesse.
Bene, voleva proprio starsene da
solo. Che facesse pure, pensò
Marcie: non si sarebbe lasciata
turbare da questo. Ascoltò la lettura
dei brani, il coro, il sermone.
Si era a metà dicembre, il tempo
in cui nelle chiese si cominciava a
raccontare la nascita di Cristo. Di
solito lei non andava in chiesa fino a
qualche giorno prima di Natale, ma
ascoltava sempre con gioia la storia:
la stalla, i pastori, i Re Magi.
«Una delle cose che mi
interessano sempre, tutto l’anno»
disse il ministro, «in qualità di
cristiano, di teologo ma anche di
essere umano, è la stella cometa. Si
fanno molte congetture sul fatto che
si trattasse di un autentico evento
astronomico, o invece di un segno
divino per annunciare la nascita del
Cristo. Voi forse vi aspettate che io
dica, secondo le scritture, che si
trattava di un segno divino. Ma quel
che è importante secondo me, non è
se la cometa fosse un evento naturale
o un miracolo divino: è ciò che
significa per noi oggi. È un simbolo
della cristianità, secondo per
importanza soltanto alla croce. È un
dono di luce, una guida superiore; è
un
modo
di
trasmettere
comprensione e illuminazione. Siete
mai stati attratti da qualcosa, senza
avere una direzione da seguire per
raggiungerla? Siete mai stati come
coloro che non pregano spesso, ma
d’improvviso hanno un disperato
bisogno di aiuto e cadono in
ginocchio? La cometa è fede. È
credere che un potere più grande di
noi, se gliene diamo la possibilità,
ci porterà alla nostra destinazione.
La cometa è significato, scopo,
promessa che ci verrà data
l’illuminazione divina, che sul
nostro cammino brillerà la luce
della comprensione, e che questo ci
impedirà di cadere. Questo è il
miracolo della stella cometa. Stiamo
entrando in una stagione colma di
amore, di comprensione e perdono...
una stagione di promesse. So che
molti di noi guarderanno verso il
cielo alla ricerca di quella stella.
Bene, a volte penso che la stella sia
nei nostri cuori.»
Poi il ministro parlò dei Re Magi,
e dei pastori che avevano
abbandonato le loro greggi. Erano
attirati dalla luce. Avevano un
incarico, una meta. Erano uomini
molto diversi tra loro – gli uni
semplici pastori, gli altri re – ma
non sono solo i ricchi o i poveri a
seguire un richiamo... Tutti loro
avevano reagito d’istinto, avevano
una missione da compiere per il loro
stesso bene, per il salvatore che
erano destinati ad accogliere nel
mondo, per il benessere di tutti.
Doveva essere stato un richiamo
potentissimo,
impossibile
da
ignorare, anche se a molti di quelli
che li circondavano l’impresa
doveva essere apparsa come una
sciocchezza, una follia. «Immaginate
questi re che si mettono in viaggio
attraverso
tutto
il
paese,
semplicemente perché hanno la folle
certezza che un bambino speciale,
venuto a salvare il mondo e a
guarire l’umanità intera, è nato in
una stalla a miglia e miglia di
distanza» disse. «I loro servi e i loro
soldati avranno sicuramente pensato
che avevano perso la testa! Ma poi
apparve la stella, a dir loro la via, a
guidarli. C’è qualcosa che ci
sentiamo chiamati a fare in questa
stagione di generosità e di
rinascita?» domandò ancora. «E la
gente attorno a noi ci suggerisce
invece di badare ai fatti nostri, di
lasciare che le cose vadano come
devono andare?»
Le sue parole cominciarono a
fondersi insieme... Marcie non
sapeva più se stava ascoltando il
sermone, o invece il proprio cuore.
«C’è
qualcosa
che
siete
inspiegabilmente costretti a fare, e
non potete evitarlo, come non potete
fermare il tempo? Si tratta di una
missione di pace, destinata a portare
bontà e sollievo? A trasmettere
amore e gentilezza? Questo, dovete
domandarvi. Questa non è la
stagione per guarire le vostre ferite a
spese di qualcun altro, è il tempo di
riaccendere in voi l’amore per poi
riprendere il cammino verso un
mondo migliore. Non è forse questo
che la nascita di Cristo ci ha
promesso? Un mondo migliore? E
allora dobbiamo domandare a noi
stessi, vedo la via? Vedo la stella a
oriente? Mi conduce sulla strada
giusta?»
Marcie avvertì il calore delle
lacrime sulle guance, e sentì
chiaramente la voce del pastore che
diceva: «Diciamo tutti una preghiera
per permettere a Dio di guidarci
nella direzione giusta, affinché
possiamo agire nel modo migliore:
medicando le ferite che abbiamo
inferto, guarendo la sofferenza dei
nostri cuori e chiedendo perdono. E
poi canteremo insieme».
Ma lei pregava già, anche se non
Dio come avrebbe dovuto.
Oh, Bobby, aiutami! È giusto che
io sia qui? Che abbia fatto quello
che ho fatto? Ian è come avevi
detto, forte, invincibile, ma allo
stesso tempo tenero e dolce. È
complicato e semplice. A volte mi
vengono in mente paragoni
irrazionali, Gesù che caccia
ferocemente i mercanti dal tempio
ma poi nutre una moltitudine
affamata con cinque pani e cinque
pesci... Se l’avessi visto ruggire
contro di me, come se fossi chissà
quale pericolo, e poi nutrire quel
cervo che gli mangiava in mano! Il
giorno che il puma è entrato nella
sua proprietà sono certa che abbia
sparato in aria per spaventarlo
senza fargli male, anche se avrebbe
potuto ucciderlo – e forse avrebbe
dovuto. È un uomo buono, Bobby, e
non può fare un’azione cattiva
senza volerlo... ma se è sbagliato
che io invada il suo mondo,
sconvolga la sua vita e lo renda
infelice, dammi un segno! È vero,
vorrei portarlo a casa, ma ho
bisogno che invece sia lui a portare
a casa me... Giuro su Dio, voglio
solo fare quello che è giusto, voglio
che le cose siano risolte in modo
che tutti possiamo riprendere la
vita che tu avresti voluto per noi.
Ma ti prego, Bobby, dimmi che cosa
devo fare! Starò attenta a capire il
tuo segnale, ma tu dammelo...
E mentre stava a capo chino e
pregava il marito defunto invece di
Dio
com’era
previsto,
la
congregazione si alzò in piedi e
attaccò un inno. Le ci volle un
momento per asciugarsi gli occhi e
p e ns a r e : Sono matta come un
cavallo. Prego un uomo che è
morto da un anno, che ho perduto
molto prima di quel giorno. Credo
davvero che Bobby mi darà una
risposta più rapidamente di Dio?
Poi gettò un’occhiata dall’altro
lato della navata. Ian stava in piedi,
eretto e composto. Ma non stava
cantando! Questa sì che era una
follia. Quello era l’unico luogo in
cui la sua voce sarebbe stata
davvero apprezzata, eppure lui non
cantava. Che spreco! La sua
splendida voce avrebbe stupito e
conquistato la congregazione. E lui
taceva!
Marcie inghiottì le ultime lacrime.
Forse non era così magnifico, pensò.
Forse era solo un egoista.
Non capiva perché questo
episodio,
così
spiritualmente
commovente per lei, dovesse poi
farla arrabbiare. Ma decise di non
soffermarcisi troppo: era meglio
lasciar perdere e restare tranquilla,
come gli aveva promesso. Almeno
finché non capiva meglio quello che
era successo.
Quando l’inno finì e il pastore
ebbe letto la benedizione, Marcie fu
tra i primi a uscire dalla chiesa.
Prese la mano del pastore e lo
ringraziò
per
il
sermone
commovente, e lui replicò con un
sorriso: «Forse l’ha commossa un
po’ troppo, sorella...».
«Sì, mi ha toccata nel profondo»
ammise lei cercando di non piangere
di nuovo.
«Venga qui» disse il pastore. Aprì
le braccia e la strinse a sé.
Se non si fosse controllata, pensò
lei, sarebbe scoppiata in singhiozzi.
Quell’abbraccio toccava una corda
troppo delicata. Aveva ricevuto
mille abbracci confortanti dopo la
morte di Bobby, ma ultimamente
sentiva la mancanza di un contatto
rassicurante... e per quanto si
sentisse ridicola per la preghiera
rivolta a Bobby, sarebbe stato
magnifico sentire la sua mano sulla
spalla, a dirle che doveva continuare
la sua vita, guardare avanti e seguire
il suo cuore.
«Grazie,
pastore»
disse
scostandosi. «Davvero un bellissimo
sermone.»
«Allora sono io a doverla
ringraziare. È sempre difficile per
me prepararli, non mi sento mai
sicuro. Torni a trovarci.»
«Sì, certo.»
Marcie si avvicinò al pick-up per
aspettare Ian, e lo vide uscire a sua
volta dalla chiesa, avvicinarsi al
pastore per stringergli la mano,
parlargli, addirittura ridere con lui.
Dunque ci sono due Ian, pensò.
Quello che sembra solitario e un
po’ cupo, e quello che si è fatto il
suo posto nel mondo senza
difficoltà. Solo che il suo mondo è
di tipo diverso: non è quello
ansioso, sovrappopolato, pieno di
esigenze e obblighi, in cui vivono
molti di noi. Il suo è un mondo
quieto, e anche i suoi rapporti con
la gente lo sono. Proprio come
piace a lui.
Mentre lo cercava, aveva
domandato ad almeno un centinaio
di persone se conoscevano un certo
Ian Buchanan, e la risposta era
sempre la stessa. «No, il nome non
mi dice niente.» Era probabile che
Ian si facesse strada nella vita, sia
pure amichevolmente, senza che
nessuno gli domandasse mai il suo
nome.
Quando lui tornò al pick-up e
mise in moto, Marcie si informò: «Il
pastore ti ha per caso domandato
come ti chiamavi?».
«No, perché?»
«Così, una curiosità.»
«Adesso credo che dovremmo
fare una bella colazione. Ti va di
mangiare prima di andare in
biblioteca?»
«Sì, certo» rispose lei sottovoce.
«Ehi... tutto bene?»
Marcie scrollò le spalle. «Credo
di essermi commossa, in chiesa. Una
bella tazza di caffè forte dovrebbe
rimettermi in sesto.»
«Be’, sei fortunata, perché
conosco il posto giusto.»
Era un ritrovo da camionisti,
ovviamente, e Ian ne era piuttosto
fiero. Nel parcheggio c’erano
almeno una dozzina di TIR, e quando
entrarono una cameriera di mezz’età,
robusta, con i capelli ossigenati, lo
salutò familiarmente. «Ehi, Bub,
tutto bene? È da un po’ che non ci
vediamo.»
«Tutto benissimo, Patti» rispose
lui. La bionda portava una targhetta
con il nome appuntata sul bavero,
perciò Marcie immaginava che non
fossero grandi amici. Ma Ian
frequentava ovviamente parecchi
posti – guarda caso nessuno di quelli
in cui lei lo aveva cercato.
Patti riempì le loro tazze di caffè
e domandò: «Ordinate adesso o vi
serve un po’ di tempo?».
«Sì, diamo alla signora il tempo
di decidere» assentì lui.
«Immagino che tu prenda sempre
le stesse cose, eh?» commentò
Marcie quando la cameriera si fu
allontanata.
«Sì, più o meno.»
Lei studiò brevemente il menu.
«Prenderò
un’omelette
al
formaggio.»
«Bene.» Ian alzò una mano per
chiamare Patti, e quando la donna
arrivò disse: «Un’omelette al
formaggio per la signora, con
contorno, e per me...».
«Quattro uova con pancetta e
salsicce, patate fritte, biscotti salati,
salsa,
toast
integrali,
succo
d’arancia e caffè a litri» terminò la
donna. Ian le sorrise, un autentico
sorriso. Se fossi in lei, rifletté
Ma r c i e , penserei che mi vuol
chiedere un appuntamento. Ma Patti
disse soltanto: «D’accordo, Bub».
Dopo la seconda tazza di caffè
Marcie cominciò a fare pace con il
mondo. Niente le dava la carica
come una dose di caffeina. Un bel
caffè caldo – non la sciacquatura di
piatti che Ian lasciava sulla stufa
quando andava via all’alba. Caffè
caldo e forte, come questo. «Allora,
tu e Patti siete amici?» domandò.
«Vengo qui ogni due mesi circa»
fu la risposta. «E Patti è un buona
cameriera che fa bene il suo
lavoro.»
«Perché in chiesa non hai
cantato?» domandò ancora lei.
Ian depose la tazza. «Non mi
andava.»
«E perché?»
«Senti, non voglio darmi arie. Al
liceo cantavo nel coro, e ho anche
recitato nel musical di fine anno.
Abbiamo messo in scena Grease.
Ho una voce discreta, soltanto che
non voglio unirmi al coro in chiesa.»
«Che parte avevi in Grease?»
«Oh, non ha importanza...»
«Chi eri?»
Lui si portò la mano alla bocca e
borbottò qualcosa.
«Come?»
«Danny.»
«Diavolo, eri la star! Eri John
Travolta – solo che tu canti molto
meglio!»
Lui
si
guardò
intorno
nervosamente. «Ehi, abbassa la
voce!»
«Scusa, scusa. Ma davvero non
hai mai studiato musica?»
«Ho studiato strategia militare.
Pensavo lo sapessi.»
«D’accordo, scusa se ho sfiorato
l’argomento proibito. Ma santo
cielo, tu canti da dio! Non sarebbe
bello se lo facessi sul serio?»
Ian tacque per un momento. «Io
canto per me. Mi piace, mi fa
passare il tempo. Non ti permetterò
di salvarmi, Marcie. Non ti
permetterò di trascinarmi giù dalle
montagne per trasformarmi in una
rockstar!»
Lei lo guardò ammutolita, perché
per un attimo prima aveva pensato
proprio a quello. Non a farlo
diventare una rockstar, ma un
cantante famoso sì. «Be’, è un
peccato che tu non abbia nemmeno
una radio» ribatté sgarbatamente.
«Anche se vivi sulle montagne,
dovresti poter ascoltare della
musica.»
Lui rise, e in quel momento
arrivarono le loro colazioni. Ian
prese subito il conto, mentre lei
fissava l’enorme piatto di lui con
occhi sbarrati.
«E adesso che c’è?» le domandò.
«Dio santo, accendono la griglia
appena ti vedono entrare nel
parcheggio? Ci hanno messo sì e no
cinque minuti!»
Ian sorrise di nuovo, questa volta
solo per lei. «Mi piacciono per
questo, perché sono rapidi ed
efficienti. Sanno lavorare come si
deve.»
«Già, lo vedo. Ehm... lascia che
dividiamo il conto. I soldi li ho.»
«Lo so. Ottanta dollari.» E attaccò
le sue uova con appetito.
«No, davvero, vorrei pagare la
mia parte» insistette Marcie.
Lui prese una frittella di salsiccia
dal suo piatto e lo mise in quello di
lei. «Lascia perdere, ormai l’ho
preso io. E assaggia questa, è la
miglior frittella che tu abbia mai
mangiato.»
«È evidente che hai bisogno di un
bel po’ di carburante, con il lavoro
che fai» osservò lei. Poi assaggiò la
frittella. «Mmh... hai ragione, è
deliziosa.»
Ian tagliò un pezzo di biscotto
salato intinto nella salsa e glielo
porse con la sua forchetta. «E
vedrai, questo è ancora meglio.»
Per un attimo lei si immobilizzò.
La stava letteralmente imboccando
con la propria forchetta? Poi, prima
che il momento magico passasse, si
chinò verso di lui e prese il boccone
che le porgeva. Fece segno di sì,
chiuse gli occhi deliziata, e quando
li riaprì Ian sorrideva beato. C’era
qualcosa di così intimo e generoso
in quel semplice gesto che lei si
sentì profondamente commossa.
«Sapevo che ti sarebbe piaciuto.
Io faccio fatica a finire tutto, perciò
serviti pure.»
«Grazie, Ian» disse lei. E
ricambiò il sorriso.
Quando Ian si fermò davanti alla
biblioteca di Eureka, Marcie
domandò: «Posso curiosare un po’
tra i libri, o abbiamo fretta di
tornare a casa?».
«Dipende da come stai... oggi hai
tossito due o tre volte.»
«Mi sento molto meglio se posso
fare qualcosa di divertente. Vorrei
scegliermi dei libri da leggere
mentre tu sei in giro a vendere legna,
e non so di preciso che cosa
cercare.»
«Allora fai pure con comodo. Io
intanto leggerò i giornali.»
In effetti Marcie se la prese
comoda, e fu un lusso. Si aggirò fra
gli scaffali, prendendo romanzi qua
e là, leggendo la quarta di copertina
e la prima pagina, sempre più
incerta sulla scelta, poi si sedette
per terra a sfogliare due o tre
romanzi che parevano interessanti,
felice di essere attorniata dalla carta
stampata. Negli ultimi anni aveva
letto i classici a Bobby – in realtà
più a se stessa che a lui – ma
preferiva
gli
scrittori
contemporanei,
e
i
romanzi
sentimentali con un lieto fine, quelli
in cui tutti i problemi si risolvevano.
Perse la nozione del tempo, fino a
quando sentì la voce di Ian che
domandava: «Adesso possiamo
andar via?».
«Oh... sì, certo. Posso prendere
questi tre?»
«Credi che farai in tempo a
leggerli prima di tornare a casa
tua?»
Marcie gli sorrise. «Sì» rispose
senza ulteriori commenti.
Mentre Ian registrava i libri da
portar via, Marcie si fermò a parlare
con l’impiegata che li aveva accolti
al
loro
ingresso.
Dapprima
cominciarono sottovoce, ma ben
presto si sorpresero a ridacchiare e
sussurrarsi battute all’orecchio. Ian
si schiarì la voce rumorosamente,
loro si voltarono e lui le fulminò con
un’occhiataccia, ma poi le due
ripresero la loro conversazione.
Erano
diventate
amiche
in
brevissimo tempo.
Infine Marcie salutò con calore la
ragazza e uscì, seguendo Ian fino al
pick-up.
«Avevi promesso che non ti
saresti fatta coinvolgere» brontolò
lui dopo un po’. «Che non avresti
parlato con nessuno, che saresti stata
zitta e buona!»
«Non mi sono fatta coinvolgere
così tanto» protestò lei.
«Ma se sembravate amiche
d’infanzia! Te l’ho detto, tu sei il
tipo di persona con cui la gente
chiacchiera, e...»
«Non preoccupati» lo interruppe
lei. «Ho protetto il tuo anonimato, le
ho detto che eri mio fratello.»
«Ah, grandioso» fece lui ancora
più imbronciato. «Adesso mi
chiederà di te ogni volta. E te l’ho
detto, io sono gentile ed educato ma
voglio farmi i fatti miei!»
«Puoi farli benissimo, lei lo
troverà assolutamente normale.»
«Ah, sì? E come mai?»
«Be’, mi ha detto che la
incuriosisci, che a volte prendi dei
libri piuttosto ponderosi, ma che non
sembri
portato
per
la
conversazione.»
«Ma davvero?» fece lui ironico.
«Sì. E allora le ho detto che sei
molto intelligente, ma che non sei un
animale sociale. Che quindi non
deve aspettarsi delle chiacchiere da
te, ma che sei una bravissima
persona e che non c’è da aver paura,
perché nonostante il tuo aspetto sei
innocuo.»
«E come l’hai convinta di
questo?»
«Oh, le ho detto che sei un idiot
savant – in gambissima per quanto
riguarda la letteratura e le scienze,
ma assolutamente inadatto a stare in
società.»
«Oh, Cristo santo!»
Continuarono in silenzio per un
po’. Il sole cominciava a calare, il
cielo stava diventando violetto, e
dopo un po’ lei disse: «Quand’è
stata l’ultima volta che sei andato
fuori a bere una birra?».
«Non capita da un bel po’» grugnì
lui.
«Mi piacerebbe vedere l’albero
di Natale che c’è a Virgin River, di
notte. Non ti andrebbe di passare di
là per una birra? Quando avremo
finito probabilmente sarà già buio –
e poi dovrei chiamare di nuovo mia
sorella prima che venga quassù a
cercarmi. Là c’è un bar molto
accogliente, con un telefono che
posso usare.»
«Marcieee...»
«E dai, è stata una giornata così
piacevole, finiamola su una nota
positiva! Lascia che ti offra una
birra e magari la cena. Preacher
cucina da dio.»
«Preacher?»
«Il cuoco di quel locale.»
«È che la folla non mi piace...»
Lei scoppiò a ridere. «Ian, se
anche tutto il paese si riversasse nel
bar ci sarebbero meno persone che
nel posto dove abbiamo fatto
colazione, o in chiesa. E poi mi hai
detto tu stesso che vedi una quantità
di gente, no? Non fare l’orso. Ti
piacerà, vedrai.»
Erano passate da poco le cinque
quando Marcie e Ian entrarono nel
locale, e ci trovarono una ventina di
persone. Ian si fermò sulla soglia e
si guardò intorno con cautela. Notò i
trofei di caccia e pesca alle pareti,
le luci morbide, il caminetto acceso,
e pensò che non sembrava male. Ad
alcuni tavoli sedevano gruppi di
persone che chiacchieravano e
ridevano, ma c’erano anche due o tre
clienti che cenavano o bevevano
qualcosa lontano dalla folla, per
conto loro. Uno di questi era il
vecchio dottore, che stava seduto al
bancone del bar e beveva un whisky
senza che nessuno lo disturbasse.
Marcie andò subito a parlare con
il barista; intanto Ian aveva visto uno
sgabello all’estremità del banco,
abbastanza isolato da farlo sentire a
proprio agio. Si stava avvicinando a
Marcie per dirottarla verso quel
punto quando lei si voltò. «Ian, ti
presento Jack Sheridan. Jack, lui è
Ian.»
«Molto lieto» disse l’uomo. «Che
cosa ti do?»
«Una birra.»
«In bottiglia o alla spina?»
«Alla spina, grazie.»
Jack riempì un boccale dicendo a
Marcie: «Vai pure a telefonare,
Preacher è nel retro». Poi depose il
boccale davanti a Ian, e lui lo prese
e lo portò nel punto che si era scelto.
E per un po’ osservò Jack che
serviva alcuni clienti, lustrava i
bicchieri,
scambiava
battute
scherzose con altri clienti, sistemava
le bottiglie, portava un cestello di
bicchieri
sporchi
in cucina,
ignorando completamente Ian, il
dottore e un altro che beveva una
birra all’altra estremità del banco.
Erano già dieci minuti che Marcie
era scomparsa – quella con la
sorella
doveva
essere
una
conversazione molto interessante.
Che ha detto di me a questa gente?,
si domandò.
Jack accennò al suo boccale quasi
vuoto. «Un’altra?» domandò.
«No, va bene così.»
«In caso, fammi sapere» fece Jack
allontanandosi.
«Ehi...» lo richiamò Ian.
Jack si voltò a guardarlo con aria
interrogativa.
«Ti ha detto lei di lasciarmi in
pace?»
Jack ridacchiò. «Amico, la prima
cosa che impari quando apri un bar
è: parla se i clienti parlano, taci se
loro stanno zitti.»
Ian inclinò la testa. Forse poteva
frequentare un posto così, di tanto in
tanto. «Già. Alla bibliotecaria di
Eureka Marcie mi ha descritto come
un idiot savant.»
Jack ridacchiò di nuovo e lui capì
che quella era una storia buffa. Gli
piaceva
raccontare
storielle
divertenti; un tempo faceva ridere i
suoi uomini, quando non li faceva
lavorare duramente. «E ti ha detto
che mi stava cercando?» continuò.
«Sì, me l’ha detto.»
Allora, per chissà quale ragione,
Ian fece qualcosa che non faceva da
quando si era isolato tra quelle
montagne, e cioè abbassò un poco la
guardia. «Ti ha detto qualcosa di
me?»
«Due o tre cosette.»
«Tipo?»
«Tipo che tu e io eravamo a
Fallujah nello stesso periodo.»
«Avrei dovuto capirlo... hai
proprio l’aria da Marine. Tanto per
essere chiari, io di quel periodo non
voglio parlare.»
Un sorrisetto. «Tanto per essere
chiari, neanch’io.»
«Ciao, Erin» disse Marcie al
telefono. «Volevo sapere come va.»
«Marcie, Dio santo, dove diavolo
sei stata?» esclamò Erin.
A Marcie pareva di vederla
camminare avanti e indietro con il
telefono in mano, cosa che faceva
sempre quand’era agitata. «Sai
benissimo dove sono, a Virgin
River» rispose. «Non hai avuto i
messaggi? Ieri ho parlato con Drew,
e Mel Sheridan ti ha telefonato
qualche giorno fa...»
«Sì, una tizia che non conosco e
di cui non avevo mai sentito
parlare» confermò Erin seccamente.
«E dice che stai da lui... cioè, stai
con lui a casa sua? In un posto senza
nemmeno il telefono?»
Marcie sospirò. «Calmati. Non ha
bisogno del telefono. Vive in uno
chalet sulle montagne da cui si gode
una vista incredibile, e mi ha per
così dire invitata a restare, se mi
andava.»
«Per così dire? Se ti andava?
Marcie,
che
accidenti
sta
succedendo?»
«Erin, adesso stammi bene a
sentire e smettila di darmi ordini.
L’ho finalmente trovato, e voglio
conoscerlo e capirlo meglio. Voglio
capire tante cose, e questo richiede
tempo. Perciò resterò qui ancora un
po’.»
«Ma è pazzesco, inaccettabile...
La mia sorellina, isolata in mezzo
alle montagne con uno sconosciuto
fuori di testa!»
«Non è fuori di testa, è una
bravissima persona ed è stato molto
generoso con me! Sono al sicuro,
non c’è ragione che tu ti preoccupi.
Ian va al lavoro ogni giorno, e la
sera quando torna ci mettiamo a
parlare. Stiamo imparando a
conoscerci. Oggi siamo andati in
chiesa e poi in biblioteca...
insomma, smettila di ossessionarmi.
Sapevi che volevo farlo, no?»
«Fammi parlare con lui» disse
Erin. «Passamelo al telefono, voglio
fargli qualche domanda.»
«Nemmeno per sogno» ribatté lei
in preda al panico. «E poi in questo
momento non può venire al telefono,
è di là nel ristorante. Sono un’adulta,
e Ian non ha bisogno del tuo
permesso per invitarmi a stare con
lui nel suo chalet. Devi fidarti di
me!»
«Non si tratta di te, lo sai
benissimo. Si tratta di lui! Non lo
conosco, ma so che quando tu ti
ammazzavi di fatica per curare
Bobby e questo Buchanan aveva già
lasciato i Marine, non ha telefonato
nemmeno una volta per...»
«Ma ha salvato la vita a Bobby!»
esclamò lei. «Ha rischiato la sua
vita per lui. Che altro c’è bisogno di
sapere? Voglio ringraziarlo per
questo, non capisci?»
«Per dirgli grazie non occorrono
più di cinque minuti» ribatté Erin.
«Non voglio più discuterne. Ti
chiamo fra qualche giorno – e tu nel
frattempo vedi di calmarti. E non
rovinarmi tutto!» Marcie interruppe
la comunicazione e sbatté il
ricevitore sulla forcella.
Alzando gli occhi si trovò a
fissare quelli scuri di Preacher.
Sotto la fronte aggrottata, però, c’era
l’accenno di un sorriso. «Bene,
questa è una svolta nella storia.
Sicché ha salvato la vita di tuo
marito? Urrà.»
«Credevo che lo sapessi.»
«Sapevo soltanto che sei vedova.
Allora, questo tizio? È uno a
posto?»
«Gli animali della foresta gli
mangiano in mano.»
«Ma davvero? Be’, mi fido degli
animali molto più che di certi esseri
umani. Perché non restate a cena?»
«Infatti ci stavo pensando, ma
perché me lo dici?» domandò lei,
ripensando intanto al suo commento
di prima.
«Stasera c’è il polpettone. Ed è il
migliore che tu abbia mai
assaggiato.»
«Ah.»
«Ed è una serata speciale. Mel, la
moglie di Jack, ha trovato il puntale
perfetto per l’albero di Natale, così
possiamo finalmente restituire la
gru. Speravamo di farlo da un po’,
ma quella donna ha guardato tutti gli
angeli e le palle colorate e le stelle
luminose di tutta la contea, e non le
andavano mai bene... Adesso
finalmente ha trovato quel che
voleva, così stasera il paese si
raduna per l’accensione delle luci.
L’anno prossimo cominceremo
prima.»
«Che bello» sorrise Marcie. «A
che ora?»
Preacher guardò l’orologio. «Tra
circa un’ora. Ti consiglio di non
mancare.»
9
Tornata in sala, Marcie andò a
sedersi accanto a Ian e Jack fu subito
da lei. «Che cosa ti servo?»
domandò passando lo straccio sul
bancone già pulitissimo.
«Vorrei un bicchiere di vino,
magari un buon merlot» disse lei. «E
poi ordiniamo due polpettoni.
Ricorda, qualsiasi cosa dica questo
signore non permettergli di pagare il
conto... l’ho invitato io, perciò tocca
a me. Lui mi nutre da quando sono
arrivata qui!»
«Affare fatto» replicò Jack.
Ian si voltò verso di lei. «Non so
se mi va di fermarmi a lungo...»
«Se ti viene un attacco di panico
possiamo andarcene, ma se hai
ancora un po’ di pazienza vedrai che
la cena ti conquisterà. Questo
Preacher è incredibile. La prima
volta che sono arrivata in paese ho
mangiato il suo spezzatino di cervo e
a momenti perdevo i sensi, tanto era
buono.»
Ian sorrise ironico. «Allora mangi
la cacciagione?»
«Non avevo nessuna relazione di
amicizia con quel cervo» spiegò lei.
«Non ce l’hai nemmeno col mio.»
«Sì, ma ce l’ho con te – anche
perché mi hai vista con la sola
biancheria indosso. E tu hai una
relazione con il cervo. Se me lo
servissi a tavola mi sentirei una
cannibale. Insomma, una cosa del
genere.»
Ian finì la birra e accennò un
sorriso. «Non ucciderei mai quel
cervo in particolare» ammise. «Ma
se avessi un freezer sparerei senza
problemi a suo fratello.»
«C’è qualcosa che non va in tutta
la faccenda» rispose lei mentre Jack
le metteva davanti un calice di vino.
«Sarebbe più logico se i cacciatori
non conoscessero affatto le loro
prede – o le loro famiglie, no? Oh,
lasciamo perdere... non posso
pensarci adesso, prima di mangiare
il polpettone. Chi sa chi c’è
dentro?»
Ian ridacchiò. «Su una cosa avevi
ragione, questo è un locale
piacevole. Non c’ero mai venuto.»
«Te l’avevo detto» replicò lei
sorseggiando il vino. «Di che cosa
vuoi che parliamo?»
«Ma abbiamo parlato tutto il
giorno! Non ho mai parlato così
tanto in quattro anni, mi sa che sto
per perdere la voce!»
«Io non ho mai parlato così
poco.»
«Lo immaginavo...»
In quel momento, Jack arrivò
dalla cucina reggendo due piatti
fumanti. Li depose sul banco, prese
da un cassetto due set di posate
avvolte nei tovaglioli e domandò:
«Un’altra birra?».
«Perché no» disse Ian in tono
amichevole. «Visto che offre la
signora!» Poi prese il tovagliolo e
se lo posò sulle ginocchia.
Marcie fissò quelle ginocchia per
un po’. Ecco un’altra delle cose che
la confondevano, pensò. Ian
sembrava un po’ pazzo, finché non ci
si abituava a lui. Si comportava
come se non avesse esigenze al di
sopra di quelle puramente basilari,
quasi animali. Dava un nuovo
significato alla parola spartano.
Quando indossava gli abiti da
lavoro sembrava che avesse appena
di che vivere, e oltretutto ringhiava e
ruggiva come un selvaggio. Ma
sapeva parlare con un’ottima
dizione, sapeva stare a tavola, e
anche se era riservato e non troppo
socievole sapeva trattare con le
persone ed essere addirittura
cordiale...
Quando lo stava cercando, lei si
aspettava un uomo totalmente
sconvolto dal passato e dalle
esperienze vissute in guerra, un
uomo chiuso, impossibile da capire
e da cambiare. Insomma, credeva di
dover affrontare una situazione
difficile, anche se comprensibile.
Invece aveva trovato una persona
quasi normale – il che le poneva
altre domande anziché darle le
risposte che cercava.
«Avevi ragione anche riguardo al
cibo» continuò Ian portando il
tovagliolo alle labbra. «Magnifico.»
«Mmh»
confermò
lei,
assaporando un purè di patate così
cremoso e vellutato che sembrava un
nettare degli dei.
Ian ripulì rapidamente il suo
piatto, poi si appoggiò all’indietro
con un sospiro soddisfatto. Poco
dopo Marcie rinunciò e spinse il
piatto verso di lui. «Io non ce la
faccio più» disse. «Serviti pure.»
«Sicura?» domandò lui inarcando
un sopracciglio. «Sì... ma aspetta.»
Prese una forchettata di purè e gliela
porse. «Prova questo» disse.
Lui esitò per un momento, ma poi
si lasciò imboccare e assaporò la
deliziosa pietanza. «Mi sa che il tuo
era più buono» disse con un sorriso.
«Finiscilo tu, Ian. Se mangio
ancora una sola briciola esplodo»
rise lei.
«Forse un boccone o due.» Ma
dopo un po’ dovette arrendersi
anche
lui.
Rimasero
seduti,
soddisfatti, a bere in un amichevole
silenzio. Felici, pensò lei. Erano
felici.
Il momento magico passò quando
Mel entrò nel bar con un bambino
appoggiato al fianco. Marcie sapeva
che era incinta, ma non immaginava
che avesse già un bambino di
nemmeno un anno. Il piccolo era
avvolto dalla testa ai piedi in una
tutina imbottita blu.
Mel sorrise raggiante. «Jack! Ehi,
tutti quanti, è ora! Dite a Preacher di
spegnere i fornelli, di prendere
Christopher e di uscire fuori... su,
non fateci aspettare!»
Ian
guardò
Marcie
con
espressione interrogativa. «Stanno
per accendere le luci dell’albero»
spiegò lei. «Andiamo a vederlo!»
«Se ti fa piacere vai pure.»
«Tu non vieni?»
«No, sto benissimo qui.»
Marcie lo guardò fisso, poi disse:
«Come vuoi» e scese dallo sgabello
per seguire la gente che stava
uscendo dal locale.
Fuori c’era già una folla:
macchine e pick-up parcheggiati
lungo la strada, gente che
chiacchierava e rideva e si salutava
a gran voce, bambini che correvano
qua e là eccitatissimi.
Marcie si tenne indietro, non per
timidezza ma perché voleva vedere
l’albero per intero e godersi
l’effetto. Avrebbe voluto avere Ian
al fianco, ma capiva la sua
riluttanza: niente come le feste
natalizie può risvegliare i ricordi
spiacevoli
dei
propri
cari
scomparsi, delle famiglie disastrate,
della solitudine.
Poi accanto a lei comparve invece
Mel, con il piccolo in braccio.
«Pensavo che aspettassi il tuo
primo figlio» disse Marcie con un
po’ di malinconia. C’era stato un
periodo in cui aveva sperato di
metter su famiglia, ma dopo
l’incidente di Bobby ogni speranza
si era spenta, ogni sogno e ogni
fantasia era stata accantonata.
«Lui è David, mio figlio» sorrise
Mel. «Non credevo di rimanere
incinta così presto dopo la sua
nascita, ma è andata così. Ci sono
cascata di nuovo.» Rise e aggiunse:
«E pensare che un’ostetrica
dovrebbe sapere come funzionano le
cose, no?».
«Ma sei contenta di questo
secondo
bambino?»
domandò
Marcie con franchezza.
«Be’, ci ho messo un po’ ad
accettarlo, ma adesso ha cominciato
a muoversi... cosa che fa cambiare
idea alla più riluttante delle madri.
Allora, come va? Vedo che sei
riuscita a trascinare Ian in paese... E
hai parlato con tua sorella?»
«Va benissimo, grazie, e ho
parlato con Erin. È iperprotettiva,
ma non può proprio farne a meno...
ha sette anni più di me e nove più di
mio fratello, e quando abbiamo
perso i genitori lei ci ha fatto da
madre. Mi ha guidata, protetta, mi è
stata accanto nei momenti peggiori
della mia vita. Adesso che Bobby
non c’è più vorrebbe che mi
risollevassi, che mi godessi la
libertà, che facessi tutto quello che
la vita mi ha negato finora: tornare a
studiare, costruirmi una carriera,
sposare uno dei suoi amici ricchi o
che so io. È di idee così antiquate,
certe volte! Sfidarla in questo modo
mi fa star male – ma non mi dispiace
di averlo fatto. Anche se lei crede
che io sia completamente pazza.»
« M a tu ti consideri pazza?»
chiese Mel.
«A volte sì» ammise lei, «ma ogni
giorno che passa scopro qualcosa di
più su me stessa. Non voglio essere
melensa, ma il mio sta diventando un
viaggio spirituale. Sono partita per
ritrovare Ian, in un certo senso per
salvarlo... ma forse invece lui è
dov’è giusto che sia, e sono io che
devo rivedere alcuni aspetti della
mia vita.»
«Oh, tesoro, non sei affatto
melensa» sorrise Mel. «Se avessimo
tempo ti racconterei alcune delle
cose assurde che ho fatto nel
tentativo di dare un senso alla mia
vita!»
«Mi piacerebbe» rispose Marcie.
Poi sfiorò con le nocche la guancia
rosea di David.
«Guarda... ci siamo» sussurrò
Mel. Volse la faccina di suo figlio in
quella direzione e disse: «David,
guarda... guarda l’albero!».
Marcie notò che Jack era
accucciato dietro l’abete e teneva in
mano due prolunghe elettriche. Le
collegò e l’albero prese vita. Era
stupefacente:
nastri
luccicanti,
bianchi, rossi e blu, pendevano dalla
cima fino alla base. Sfere di
cristallo bianche, rosse e blu
scintillavano in mezzo ad un milione
di luci bianche. Disseminate fra loro
c’erano le mostrine dorate di
centinaia di battaglioni e unità
militari. Ma la cosa che ipnotizzò
Marcie fu la stella sulla cima.
Non era la solita stella che si
vede su molti alberi di Natale. Era
come un faro, bianca e luminosa. E
gettava un fascio di luce tutt’intorno,
come ad illuminare il cammino di
chi arrivava da lontano.
Marcie si portò la mano alla gola,
soffocata dall’emozione. «Quella
stella...» sussurrò incantata.
«Lo so... è bella, vero? Ho
costretto tutti a cercare esattamente
quella. Spero che illumini il
cammino del ritorno a casa.»
«A tutti loro» sussurrò Marcie.
«Tutti.» E pensò a Bobby, che era
finalmente arrivato alla meta dopo
tante sofferenze. Avrebbe potuto la
stella guidare anche Ian fino a casa?
«Come avete fatto a raccogliere
tutte quelle mostrine?» domandò.
«Jack e i ragazzi si sono messi in
contatto con tutti i vecchi amici.
Abbiamo fatto telefonate e scritto
lettere, mandato e-mail e fax. L’idea
ci è venuta un giorno per caso,
perché molti ragazzi del posto si
erano arruolati – non molto tempo fa
anche uno a cui Jack e io siamo
particolarmente affezionati. E poi
c’era il marito di Vanni che è caduto
in Iraq, e che era nello squadrone di
Jack anni fa. L’albero è anche per
lui e per Vanessa. Abbiamo dovuto
affrettarci per finirlo in tempo, e
tutto il paese si è dato da fare.
L’ambulatorio di Doc è stato scelto
come quartier generale, ed era un
disastro.» Rise. «Lui non smetteva
di brontolare, ovviamente, ma io
credo che in realtà fosse
felicissimo.»
«È stupendo» disse Marcie
fissando l’albero.
Poi le esclamazioni di meraviglia
si spensero, e la gente cominciò a
cantare. La prima carola fu Silent
Night, poi venne Away in a Manger.
Marcie guardò verso il bar, perché
sentiva la mancanza di Ian e sperava
che lui uscisse a vedere la stella in
cima all’albero... e lo vide in piedi
sulla veranda, con le mani in tasca e
gli occhi alzati verso la stella.
Sorrise tra sé e pensò: Sarà quel
che sarà. Non cercherò più di
forzare il destino.
Circa mezz’ora più tardi, dopo
aver cantato una decina dei canti più
conosciuti, la gente cominciò ad
allontanarsi. Mel tornò nel bar con il
suo bambino, e Marcie si ritrovò
con le ultime persone rimaste ad
ammirare l’albero, mentre Ian
continuava a rimanere sulla veranda.
Infine scese i pochi gradini e si
avvicinò anche lui, per esaminare da
vicino le decorazioni e le mostrine.
Marcie sapeva quel che avrebbe
visto: un ricordo per quelli che non
c’erano più, e un tributo a tutti gli
eroi dimenticati.
Ian non si fermò a lungo, ma poté
vedere che le mostrine venivano da
tutte le unità militari d’America, e
che decoravano l’enorme albero fino
in cima, a centinaia e centinaia. E
per la prima volta provò una
sensazione che non si concedeva da
anni. Un grande, quieto orgoglio.
Le sue riflessioni furono interrotte
dal violento accesso di tosse che
aveva colto Marcie. Ian le si
avvicinò, la prese per mano e la
condusse verso il pickup. «Ti sei
portata lo sciroppo?» domandò.
«No» ammise lei tossendo di
nuovo. «Sono stata una sciocca... ma
avevo fretta, non volevo ti rendessi
conto che ti avevo quasi costretto a
portarmi con te...»
Salì rapidamente sul veicolo, e
quando Ian si sedette dietro il
volante lei fu scossa da un altro
accesso. «Scusa» disse quando fu
finito.
«Per che cosa? Perché pensi di
tossire fino a casa, o perché mi hai
imposto la tua presenza tutto il
giorno?»
Lei gli gettò un’occhiata. Nella
cabina era buio, non vedeva la sua
espressione e non capiva se fosse
arrabbiato o divertito. «Per tutt’e
due le cose.»
«Be’, non credo che tu tossisca di
proposito. E non sono arrabbiato, è
stata una bella giornata.»
«Davvero?» esclamò lei. «Ma
allora ti sei divertito?»
«Quasi» replicò lui. «Il momento
migliore è stato quando hai detto
alla bibliotecaria che sono un idiot
savant. Certo che ne hai di
immaginazione.»
Marcie sorrise tra sé.
«Ma credo che la giornata sia
stata troppo intensa per te» continuò
lui. «Visto che sei migliorata così in
fretta, abbiamo dimenticato entrambi
che sei stata seriamente ammalata
per qualche giorno. E che avresti
dovuto evitare di stancarti.»
«Mel non mi ha ordinato riposo
assoluto o altro, ma ha detto che
devo prendere lo sciroppo due o tre
volte al giorno, e oggi me ne sono
dimenticata. Ma passerà...»
Tossì di nuovo e poi disse:
«Prenderò lo sciroppo appena
arriviamo a casa. Ian... ti senti mai
solo, lassù sulla montagna?».
Il primo pensiero di lui fu: Finora
non mi era mai accaduto. Ma
invece disse: «Sai, è incredibile
come ci si abitui in fretta al silenzio
o alla solitudine. Solo, non pensavo
che sarebbe durato così a lungo».
«Vuoi dire che avevi in mente di
tornare a Chico? O almeno di uscire
dal tuo nascondiglio?»
Ian si voltò a guardarla, stupito.
«Non mi stavo nascondendo!»
replicò. Poi spostò nuovamente lo
sguardo sulla strada. «Arrivai fin
quassù la prima volta senza dire a
nessuno dove andavo, perché non lo
sapevo. E non dissi a nessuno
dov’ero finito. Ma non mi sono mai
nascosto. Ho la patente, ho un
veicolo registrato, pago le tasse
sulla proprietà, ho un lavoro – anche
se non è proprio ufficiale. E non è
difficile trovarmi. Forse devi
abituarti all’idea che nessuno voleva
trovarmi, nessuno mi aveva mai
cercato – tranne te.»
«Ma io ho cercato dappertutto!
Sono andata alla polizia e in altri
uffici, e qualcuno ha controllato se
possedevi un veicolo. Vero è che mi
hanno detto di non potermi dare altre
informazioni su di te, ma...»
«Hai controllato nella contea di
Humboldt? Perché la capanna si
trova al di là del confine di contea.
Non è in quella di Trinity.»
«Ah» disse lei. Tossì di nuovo,
pensando che non c’era da stupirsi
visto che aveva ancora qualche
strascico di influenza e che quel
giorno si era stancata. «Posso
domandarti come mai sei venuto fin
quassù?» domandò dopo una pausa.
«Ricordavo il posto, perché ci
ero venuto a pesca con mio padre
quand’ero un ragazzino. Questo
accadeva prima che mia madre
morisse e che lui perdesse ogni
interesse nei miei confronti.
Eravamo venuti due o tre volte,
prima quand’ero bambino e poi
qualche anno dopo, e ricordavo che
era un luogo in cui c’era un gran
silenzio, in cui si potevano quasi
sentire i propri pensieri. Mi
occorreva un posto così. E lo hai
detto tu stessa, è bellissimo.»
«E hai finito per restare quattro
anni?»
«Già. È successo così. Nei
Marine ho imparato che lo sforzo
fisico mi dà un’identità, uno scopo.
Amo la sfida con me stesso, amo
spingermi al limite, e nei primi mesi
vissi nel modo più spartano
possibile. Dopo qualche settimana
cominciai ad avere le idee più
chiare. Ero partito verso la fine
dell’estate, con un sacco a pelo e
uno zaino, e cercavo di star lontano
dalla gente il più possibile. E
riflettevo sul modo in cui la mia vita
era cambiata, su quello che avrei
fatto dopo aver lasciato il Corpo dei
Marine. Poi all’improvviso arrivò
l’inverno, cominciò a nevicare e a
fare freddo, ma io non ero ancora
pronto a fare i passi successivi. Le
possibilità erano molte: potevo
tornare a studiare, potevo cercarmi
un lavoro, chissà. Ma non ero
pronto. E il vecchio Raleigh, con i
suoi calci, mi riportò in vita. Quasi
senza rendermene conto mi ritrovai a
vivere con lui, come due vecchi
scapoli che non si davano fastidio
l’un l’altro, ognuno per i fatti suoi.
Poi dovetti curarlo, e poi lui morì.
Ma a quel tempo avevo già una
routine, una vita organizzata... e mi
piaceva.»
«Ma non avevi amici...»
«Già, però non ne avevo bisogno.
Avevo giurato a me stesso che non
sarei mai diventato un eremita, ma
immagino che certi atteggiamenti
siano ereditari...»
«Che vuoi dire?»
Ian tacque a lungo. «Parlo di mio
padre» disse finalmente. «Quando
mia madre morì avevo vent’anni, ed
ero nei Marine da due. Lei aveva
solo cinquantacinque anni, ma aveva
lottato contro il cancro per tre ed era
pronta ad andarsene... Lui no. La
morte di mia madre lo invecchiò di
anni, e lo rese irascibile e meschino
molto più di quanto non fosse già.
Non era mai stato quello che si
definisce un tipo allegro. Si isolò,
perse interesse per tutto quel che
prima gli piaceva, lasciò i pochi
amici che aveva. Ogni volta che
tornavo a casa in licenza lo trovavo
peggiorato. Continuavo a pensare
che si sarebbe ripreso, ma non
accadde mai. E io giurai che questo
a me non sarebbe mai accaduto,
quali che fossero le circostanze.»
«E invece...?»
«No, non è successo – almeno non
come credi tu. Non sono arrabbiato,
non ce l’ho con il mondo. Mi sono
trasformato in un uomo solitario
perché avevo passato gran parte
della mia vita da solo.»
«Ma non ti capita mai di volere di
più? Non so, degli amici, una
doccia, un gabinetto in casa, un
servizio completo di piatti?»
Lui si voltò a sorriderle. «Ho
pensato a una doccia, in effetti.
Riempire la vasca a secchiate è una
bella seccatura. Ma noi montanari
non abbiamo bisogno di lavarci
molto.»
«E non vuoi una televisione, un
lettore di CD, un computer?»
«Vediamo se riesco a spiegarmi.
Voglio gli alberi alti dieci metri, gli
orsi che vengono ad annusare attorno
alla capanna, i cervi che mi
mangiano in mano, e una vista che
ogni mattino mi toglie il respiro. E
voglio lavorare quanto basta per
vivere. Mi dispiace di non avere un
gabinetto in casa, specialmente per
te che sei stata male, ma in realtà
non mi serve.»
Marcie gli mise un mano sul
braccio. «Ma non temi di finire
come il vecchio di cui ti sei preso
cura? Tutto solo quassù, per
cinquant’anni?»
«Ci ho pensato» ammise lui. «Ho
intenzione di andare regolarmente
dal dentista una volta l’anno, perché
mi piacerebbe morire con tutti i miei
denti. Raleigh non poteva mangiare
le cose solide. Ma a parte questo
non ha avuto una brutta vita.»
«D’accordo, ma per guadagnarti
da vivere non preferiresti un modo
diverso che non vendere legname?»
Lui le gettò un’occhiata stupita.
«Non vendo legname perché sono
povero e ignorante, lo faccio perché
si guadagna bene. Gli alberi sono lì,
e a me piace abbatterli e tagliarli in
ciocchi. Ci lavoro tutto l’anno e
quando vendo la legna stagionata
guadagno un bel po’ di denaro.
Lavoro per la ditta di traslochi in
primavera e in estate, quando loro
ne hanno più bisogno. Questo mi
lascia il tempo di accudire l’orto e
di andare a pesca, e anche di
portarmi avanti con la cura della
legna, perché dev’essere stagionata
almeno per sei mesi. Il fiume è
limpido e profondo, i pesci sono
deliziosi. A me va bene così. Se
avessi bisogno di altro lavorerei di
più.»
«Quindi non hai rimpianti?»
«Marcie, ho un mucchio di
rimpianti. Ma non per il modo in cui
vivo o per quello che faccio.»
Lei si morse le labbra, riflettendo.
Poi un altro accesso di tosse la
piegò quasi in due.
«Qui dentro fa troppo freddo per
te» disse Ian. «Non avremmo dovuto
fermarci a Virgin River, saremmo
dovuti tornare subito a casa. Appena
arriviamo vai subito a letto.
Sciroppo per la tosse e a letto.»
Marcie trasse un gran respiro.
«Non rimpiangi di aver lasciato
Shelly?» domandò.
Di nuovo, lui si voltò a fissarla,
come per ricordarle che si stava
avvicinando al territorio proibito.
Ma con sorpresa di lei, alla fine
rispose. «Non andò esattamente
così... non so dire chi dei due lasciò
l’altro.» Poi tornò a fissare la strada
mentre il pick-up si arrampicava su
per la montagna.
«Ma lei ha detto che...»
Lui si voltò di nuovo a fissarla.
«Le hai parlato?»
«Be’, stavo cercando di scoprire
dov’eri...» sussurrò lei, sentendosi
un vero verme.
«Basta» dichiarò lui secco.
«Questa
conversazione
dovrà
aspettare.»
E il silenzio regnò tra loro per il
resto del tragitto. Marcie temeva di
averlo fatto infuriare, e pensò che
probabilmente la mattina dopo
l’avrebbe caricata sul pick-up,
bagagli e tutto, e l’avrebbe portata a
Virgin River scaricandola in
ambulatorio da Mel. Probabilmente
ne aveva più che abbastanza di lei e
di tutte le sue domande su quello che
era avvenuto quattro anni prima.
Quando arrivarono, occuparono a
turno la latrina prima di entrare in
casa. Marcie prese lo sciroppo,
continuando però a tossire, e lui le
voltò la schiena mentre lei si
spogliava per andare a letto. Mise la
legna nella stufa, preparò la
caffettiera per l’indomani, poi
srotolò la sua branda e vi depose
sopra la coperta pesante con cui si
copriva per dormire.
Poi si avvicinò al divano, la fece
spostare con un tocco della mano e
si sedette sul bordo.
«Mentre ero in Iraq, Shelly
preparava il nostro matrimonio. La
data era già fissata, poche settimane
dopo il mio ritorno a casa, e la
cerimonia si stava trasformando in
una maledetta incoronazione. Colpa
mia, probabilmente... le avevo detto
Fai pure tutto quello che ti rende
felice. Ma quando tornai le dissi che
avevo bisogno di tempo per
riflettere, che non me la sentivo
ancora di fare il marito – diavolo,
non me la sentivo nemmeno di fare il
Marine, eppure doveva essere il
lavoro della mia vita! Le chiesi di
rimandare le nozze, ma lei era
immersa
nell’atmosfera
matrimoniale e non mi ascoltava.
Ricordo a malapena alcune delle
cose che mi disse, che il vestito era
già pronto, gli inviti già spediti,
l’anticipo per il ricevimento già
pagato. Io cercai di convincermi che
potevo chiudere gli occhi, annullare
i pensieri per qualche settimana e
togliermi il dente. Ma sapevo che
avrei deluso lei e tante altre
persone, e capivo di dovermi
riprendere perché ero sull’orlo di
una crisi. Lei non aveva idea di
quello che mi stava succedendo, e
come avrebbe potuto? Non lo
sapevo nemmeno io... Mi disse
parecchie frasi, alcune terribili. Ma
ne ricordo una in particolare: se
volevo rovinarle questo matrimonio
per cui si era data tanto da fare,
potevo andare al diavolo.»
Marcie lo guardò con gli occhi
spalancati, verdissimi. «Ian, io...
ecco, io...»
«Non voglio conoscere la sua
versione dei fatti» disse lui alzando
una mano per zittirla. «Spero che
adesso sia felice. Spero di non
averle rovinato del tutto la vita. Ma
credimi, se allora l’avessi sposata
sarebbe stata una tragedia – per lei.
Adesso cerca di dormire. Domani
rientrerò presto, ma tu non stancarti.
Leggi uno dei tuoi libri, e prendi lo
sciroppo.»
«È sposata» disse lei sottovoce.
«E aspetta un bambino.»
«Sono felice per lei» replicò Ian
tranquillamente, «Dunque è andata a
finire bene. Mi raccomando, domani
cerca di curarti quella brutta tosse.»
«Sì» rispose Marcie. «Sì, lo
farò.»
10
Nonostante la conversazione con
Ian, Marcie dormì incredibilmente
bene. Ma lo immaginava ancora, un
Marine di trent’anni appena tornato
a casa dopo la traumatizzante
esperienza della guerra, ferito nel
fisico e nell’animo da tutto quello
che aveva passato... E all’amore
della sua vita non importava un fico
secco di tutto questo, pensava solo a
indossare il suo abito bianco nel suo
giorno speciale!
Questo le riportò alla memoria
alcuni fatti che non aveva tenuto in
considerazione quand’era andata a
trovare Shelly, per sapere se avesse
notizie di Ian. Shelly era ancora
furiosa con lui, e non le interessava
minimamente sapere se stava bene o
no. Ma adesso, dopo aver sentito da
Ian la sua versione dei fatti, Marcie
ricordava
una
conversazione
telefonica avuta con Shelly anni
prima, quando i loro uomini erano
insieme in Iraq.
Le aveva telefonato per proporle
di incontrarsi visto che Bobby e Ian
erano così amici, ma Shelly era
occupatissima. «Organizzare un
matrimonio importante è un vero
lavoro» aveva detto a mo’ di scusa.
«Sarei felice di darti un mano» si
era offerta lei.
«Grazie, ma tra mia madre, le mie
zie e le damigelle d’onore, di aiuto
ne ho fin troppo. E nonostante tutto
non ho un minuto libero...»
«Se riesci a ritagliarti una pausa,
potremmo prendere un caffè
insieme» aveva detto Marcie.
«Viviamo a dieci minuti di strada
una dall’altra... che ne dici?»
«Dammi il tuo numero» aveva
risposto Shelly. «Se trovo il tempo ti
chiamo.»
Ma non lo aveva mai fatto –
chiaramente non ne aveva mai avuto
l’intenzione. Per la prima volta
Marcie si domandò: Ci avrebbe
invitati al matrimonio?.
Ian aveva lasciato il bricco di
caffè sulla stufa, ma mentre Marcie
dormiva il fuoco si era spento e il
caffè era freddo. Lei ripensò al
magnifico, aromatico caffè bevuto
da Jack, e le venne l’acquolina in
bocca. Il caffè di Ian non era così
male, ma se per giunta era freddo...
Marcie si alzò e mise della legna
nella stufa, ma non aveva la pazienza
di aspettare che il fuoco attecchisse
quanto bastava per scaldare il caffè.
Poi guardò il fornello a gas e si
di s s e: Così farei più in fretta!.
Prese il bricco, lo posò sul
bruciatore più vicino e studiò le
chiavette. Quella principale era su
Accensione: sembrava abbastanza
semplice. Girò la chiavetta, ma non
accadde nulla. Marcie ci soffiò su,
come faceva un tempo sul vecchio
fornello del padre. Niente, nessuna
scintilla. Eppure si sentiva odore di
gas.
Aspettò un minuto e recitò una
specie di incantesimo: Accenditi!
Scaldami il caffè! Poi girò di nuovo
la chiavetta, ma ancora una volta la
scintilla non comparve e l’odore di
gas si fece più evidente.
Poi notò i fiammiferi sulla
credenza e pensò: Ah, ecco il
trucco. Si accende il fiammifero, si
gira la chiavetta ed ecco fatto. Girò
di nuovo la chiavetta, accostò il
fiammifero acceso, e dal fornello si
levò una fiammata altissima che la
colpì in piena faccia.
Marcie cacciò un grido e balzò
all’indietro,
picchiettandosi
la
faccia e i capelli per spegnere le
eventuali fiamme. La faccia le
bruciava come se si fosse scottata al
sole. Quando guardò di nuovo il
fornello, la fiamma era normale e
bruciava tranquilla sotto il bricco di
metallo.
Lei cominciò a singhiozzare per
lo shock, pensando a quello che
aveva rischiato. In tutta la casa non
c’era uno specchio, perciò non
aveva modo di controllare i danni...
Corse a infilarsi gli stivali, e
tralasciando il giubbotto uscì fuori e
andò verso la macchina – senza
pensare ai possibili animali selvaggi
in agguato nei dintorni. Poi ripulì
con la manica lo specchietto laterale
della Volkswagen e si guardò in
faccia. E cacciò un altro grido.
La sua faccia era paonazza, e
l’attaccatura dei capelli era tutta
bruciacchiata.
Dalla
fronte
spuntavano
dei
vermiciattoli
nerastri. Le sopracciglia, che già non
erano molto visibili perché erano
quasi bionde, sembravano ancora
più rade. E le ciglia erano più corte.
Ghiaccio, pensò. Qualcosa di
freddo per calmare il bruciore ed
evitare bolle e gonfiore.
Corse di nuovo in casa, spense il
fornello maledicendolo tra sé, poi
cominciò a cercare un asciugamano.
Quando preparava il bagno, Ian
glieli faceva trovare sul bordo della
vasca, ma in quel momento in giro
non ce n’era nemmeno uno e lei fu
costretta a frugare nei bauli. Il primo
conteneva solo vestiti, ma nel
secondo c’erano asciugamani e
panni di spugna. Ne prese uno, lo
bagnò sotto l’acqua gelida che
veniva dalla pompa e se lo premette
sulla faccia. «Dio» sospirò. «Che
sollievo.»
Nel pomeriggio, quando Ian entrò
in casa, la trovò sdraiata sul divano
in camicia e stivali, a gambe nude,
con il panno premuto sulla faccia.
Allarmatissimo, si inginocchiò
accanto a lei e scostò il panno.
«Marcie?» domandò.
E quando lei abbassò le mani, Ian
emise un’esclamazione. «Hai una
ricaduta? Hai la febbre? Adesso ti
porto da...»
«Non ho la febbre!» gridò lei.
«Ma la tua faccia...»
«È paonazza, lo so. E i capelli
sono tutti strinati, e se guardi bene
non ho quasi più le sopracciglia –
non che ne avessi molte nemmeno
prima!»
«Gesù» alitò lui sedendosi a
terra.
«Stavo cercando di scaldarmi il
caffè sul fornello a gas – ma a
quanto pare non so usarlo.»
«E che è successo? Ti sei fatta
male?»
«Male no. Sono un disastro, ma
spero che non sia permanente.»
Marcie raccontò com’era andata,
spiegando che aveva avvicinato il
fiammifero troppo tardi – o aveva
girato la chiavetta troppo presto – e
che la fiammata le era esplosa in
faccia scottandola.
Ian le passò le dita callose lungo
l’attaccatura dei capelli, poi disse:
«Ho del linimento. E i capelli ti
ricresceranno presto...».
Marcie lo guardò e notò che tra i
peli incolti della barba le labbra di
lui tremavano di ilarità.
«Stai ridendo» lo accusò. «Tu stai
ridendo!»
Ian scosse la testa con forza,
cercando di trattenersi. «No... no, è
che...»
«È che... cosa?»
«Scusa, Marcie. Probabilmente è
colpa mia. Avrei dovuto mostrarti
come funziona...»
«Poco ma sicuro che è colpa tua!
Prima mi ruggisci contro come un
maledetto leone, mi spaventi e mi
costringi a essere ancora più
testarda, e poi non mi fai vedere
come funziona il tuo schifoso
fornello, e adesso...»
Lui non resse più e scoppiò a
ridere. «Ti ho costretta a essere
ancora più testarda?» esclamò.
«Be’, sono molto più malleabile
se la gente fa quello che dico. E si
può sapere cos’hai da ridere?»
Per tutta risposta Ian si lasciò
cadere a terra, letteralmente
rotolandosi dalle risate e tenendosi i
fianchi con le braccia. Tra una risata
e l’altra esclamò: «Rido perché sei
rossa come un peperone... e perché
dici che è colpa mia se sei... se sei
testarda! Dio, sei impagabile!».
Mentre lui rideva come un pazzo,
Marcie rimase seduta sul divano,
con i piedi a terra, e lo fissò truce
finché non smise.
Dopo gli ultimi sussulti di risa,
Ian riprese il controllo, si asciugò
gli occhi e finalmente la guardò.
«Mi sorprende che tu non sia
esploso per le risate» sibilò lei
senza l’ombra di un sorriso.
Lui sbuffò ancora un paio di volte.
«Sì, ho dovuto mettercela tutta.» Poi
si alzò da terra, si sedette e
domandò serio: «Ti fa male?».
«Un po’» fece lei sollevando il
mento.
«Fammi cercare il linimento»
disse Ian balzando in piedi. Aprì uno
degli armadietti e prese un barattolo
di pomata che poi spalmò
delicatamente sulla faccia di lei –
trattenendo le risate a labbra strette.
«È proprio tanto buffo?» domandò
lei dopo un po’. «Eh, sì. Il fornello
aveva un’accensione automatica, ma
qualche mese fa si è rotta e per me è
stato più facile accenderlo con i
fiammiferi che portarlo a riparare.
Vedi, è questo che succede quando
si vive da soli. Non badi ai dettagli
della casa, ti arrangi e basta. Lo so,
è indice di pigrizia, ma...»
«Tu non sei pigro. Lavori come un
mulo!»
«Bene, allora vuol dire che non
dovrò preoccuparmi di ripararlo. La
tua faccia non è ridotta tanto male,
davvero» osservò poi con una
risatina.
«Ma sulla fronte ho degli
scarabocchi neri al posto del
ciuffo!»
«Lo
so,
tesoro,
ma
ti
ricresceranno.»
Tesoro? Mi ha chiamata tesoro?
Mi compatisce, fa tutto il gentile
perché mi sono bruciata? «Il
linimento funziona, il bruciore è
passato» disse. «Che cos’è?»
«Una pomata che i veterinari
usano per curare i cavalli.»
«Ah, magnifico!» fece lei
disgustata.
«Ma no, è ottima, meglio delle
pomate che compri al supermercato
o ti fai prescrivere da un medico.
Giuro.» E poi gli sfuggì una risatina.
«Continui a ridere perché sono
ridicola» sbottò lei, «o perché mi
hai appena fatto il tiro di darmi un
linimento da cavalli?»
«No, rido perché... lascia
perdere. Che ne dici se ti spalmo
ancora un po’ di pomata e poi
preparo qualcosa da mangiare? E
poi, mentre aspetti che la pomata
faccia effetto, se ti va potrei leggerti
uno
dei
tuoi
romanzetti
sentimentali.»
«Vuoi dire, leggermelo ad alta
voce?»
«Be’, a volte lo facevo per
Raleigh quando stava molto male.»
«No, non è necessario. Voglio
dire, sarebbe carino, ma se cantassi
sarebbe meglio. Voglio che mi canti
qualcosa.»
«Oh, Marcie...»
«Sono vittima di ustioni. Dovresti
accontentarmi!»
Con un gran sospiro, Ian si
avvicinò a un pensile e lo aprì. Sul
ripiano c’erano una ventina di
barattoli di stufato di manzo, e
quando Marcie li vide esclamò:
«Buon Dio, ti prepari per una guerra
nucleare?».
«No» rise lui, «mi preparo per la
neve. Può capitare di rimanere
bloccati senza possibilità di arrivare
in città, e se non ti sei premunito fai
la fame.»
«E in questi casi vai avanti a
stufato in lattina?»
«È buono, sai» replicò lui
svuotando un paio di lattine in una
pentola. «Se trovassi qualcosa di
meglio lo comprerei, ma questo va
benissimo.»
Marcie lo osservò attentamente
mentre metteva il tegame sul fuoco:
prima il fiammifero, poi la chiavetta
del gas. Certo. Così si faceva.
Quando lo stufato fu pronto, Ian lo
mise in due ciotole, e dopo che
ebbero mangiato la mise a letto, le
rimboccò le coperte, le diede lo
sciroppo e le disse di chiudere gli
occhi. E poi cominciò a cantare.
New York New York , When I fall
in love, You don’t know me – e in
questa lei cercò di non leggere un
messaggio nascosto. Seguirono una
serie di vecchi brani di Sinatra e
Presley, abbelliti dalla splendida
voce profonda di lui.
Marcie aveva paura di aprire gli
occhi, paura che lui smettesse di
cantare.
E si sorprese a pensare ad
Abigail Adams, che allevava cinque
figli e mandava avanti una fattoria
da sola, mentre il marito era
impegnato a fondare l’America.
Marcie aveva sempre ammirato
Abigail, e adesso pensava: era tanto
terribile traversare il cortile per
andare alla latrina? Anche se
bisognava portarsi dietro una
padella per difendersi da eventuali
attacchi degli animali? O scaldarsi
l’acqua per il bagno? Di che cosa
aveva davvero bisogno, in fondo?
Una cosa era certa. Per un po’ non
avrebbe avuto bisogno di depilarsi
le sopracciglia.
Infine scivolò nel sonno, cullata
dalla voce di Ian. Quando si svegliò
la mattina dopo, il bricco del caffè
era sulla stufa, che però si era spenta
come al solito.
Sul tavolo c’era un biglietto: Non
accendere il fornello a gas se non
sei più che sicura di saperlo fare!
Marcie scoppiò a ridere.
Era quasi arrivata a metà di un
romanzo, alla scena in cui l’eroe
stava per afferrare l’eroina per la
vita, attirarla a sé e baciarla fino a
farle uscire gli occhi dalle orbite,
quando le vennero in mente le
lettere.
Oltre a quelle che aveva scritto a
Ian subito
dopo
l’incidente,
parlandogli di Bobby e delle sue
condizioni, quando Ian era ancora in
Iraq, c’erano le lettere che gli aveva
scritto per almeno due anni,
indirizzandole al fermo posta. A
quelle Ian non aveva risposto, ma
non erano nemmeno state respinte.
Chissà se erano nella capanna?
Marcie si alzò in fretta dal divano
e andò per prima cosa a guardare
nella scatola di metallo in cui Ian
riponeva ogni sera il denaro
guadagnato. Notò che lui aveva
smesso di chiuderla con il lucchetto,
e notò inoltre che non conteneva
molto: i documenti della proprietà,
che lei mise da parte, e alcune foto.
Ce n’era una della sua famiglia,
scattata
quando
Ian
aveva
quattordici o quindici anni. Una
bella foto di Shelly con una cappa
nera, forse scattata al college o il
giorno del diploma. Ian e Bobby in
divisa da fatica, sorridenti. Ian con
suo padre, a vent’anni circa. Il padre
non sorrideva.
Le
foto
la
distrassero
momentaneamente dalla ricerca
delle lettere. Erano poche, e
ritraevano le poche persone che
erano state importanti nella vita di
Ian. E segnavano il percorso della
sua vita, dal ragazzino appartenente
a una famiglia media al giovanotto
con un padre scontento e cupo, al
Marine. Poi la sua donna, il suo
amico. E poi, più nulla.
Sotto le foto c’erano le medaglie.
Quelle che Marcie aveva ricevuto
per Bobby erano confezionate in
begli astucci di velluto: queste erano
sciolte. Ma se non altro Ian non le
aveva gettate via in un accesso di
collera o di depressione.
Marcie rimise tutto a posto con
cura, poi richiuse il coperchio della
scatola. Era orribile frugare così tra
le sue cose, ognuno aveva diritto
alla privacy e lei si sentiva in colpa:
ma c’erano troppe cose che non
sapeva e che voleva capire. Così
andò ad aprire il baule in cui lui
teneva i suoi vestiti, e insinuò la
mano lungo i quattro lati, tastando
alla cieca. Dopo un po’ toccò
qualcosa di solido, scostò le camice
e i pantaloni accuratamente ripiegati,
e trovò quel che cercava. Un fascio
di lettere, circa una ventina, tenute
insieme da un elastico. Tutte
indirizzate a Ian, tutte scritte da lei.
E tutte chiuse. Non le aveva aperte,
ma le aveva conservate.
Marcie le fissò, perplessa. Che
significava?
E in quel momento sentì il rombo
di un motore. Ian era tornato presto,
pensò. Rimise a posto le lettere,
richiuse in fretta il baule e si alzò in
piedi. Ma poi capì che non era il
pick-up di Ian, era qualcun altro.
Incuriosita, andò ad aprire.
E vide quello che non avrebbe
mai voluto vedere. Al volante di un
SUV nuovo fiammante c’era sua
sorella, Erin Elizabeth Foley. Erin!
Marcie incrociò le braccia sul petto
e la guardò truce mentre l’altra
scendeva dalla macchina.
Erin fece due passi verso di lei, le
diede un’occhiata e si immobilizzò,
con la bocca semiaperta. «Dio
santo! Che fai conciata così?»
Dimentica della faccia scottata e
dei capelli strinati, Marcie si
guardò. Indossava una delle camice
di Ian, e nient’altro a parte gli
stivali. Le sue gambe nude
sbucavano dall’orlo della camicia di
flanella. «Il pavimento è freddo»
spiegò laconica. «Che ci fai qui?»
«Sono venuta a vedere questo
posto e quest’uomo. Non avrai
creduto che ti lasciassi andare avanti
con questa follia senza sapere con
chi abbiamo a che fare? E meno
male che sono venuta a vedere con i
miei occhi... buon Dio, ti picchia
anche?»
«Picchiarmi? Certo che no!»
esclamò lei indignata. «E non
abbiamo a che fare con niente e con
nessuno, perché questa faccenda non
riguarda te. Vattene, prima di
rovinare tutto!»
Erin si avvicinò ancora, in una
nuvola
di Allure di Chanel.
Indossava una pesante giacca di
pelle color tabacco, uguale agli
stivali con il tacco, probabilmente
marca Cole Haan, e un paio di
costosi pantaloni marrone con la
piega perfettamente stirata. Aveva
guanti da guida di cuoio, i gioielli
d’oro che portava sempre, i capelli
biondi accuratamente pettinati e
naturalmente un foulard di Hermès
annodato al collo, nei toni del rosso,
arancione e marrone. La guardò più
attentamente e domandò: «Allora,
che cos’hai fatto alla faccia?».
Marcie si portò una mano alla
guancia. Non le faceva più male,
perciò se n’era dimenticata. «Ho
avuto un piccolo incidente con il
fornello a gas, ma è stata solo colpa
mia. Comunque sto bene.»
«Sei stata al pronto soccorso?»
«Dove?» Marcie scoppiò a
ridere. «Il primo ospedale è a un
paio d’ore da qui. Ma non
preoccuparti, ci ho messo sopra
dell’ottimo linimento che si usa per i
cavalli.»
«Ma per l’amor del cielo, hai
perso completamente il senno?»
«Non mi fa neanche più male»
disse Marcie sentendosi come una
bambina di dieci anni.
«Ma i tuoi bei capelli... e... e le
sopracciglia!»
«L’ho notato anch’io» ribatté lei.
«Ma Erin, dico sul serio, perché non
puoi lasciarmi in pace? Ho fatto
quello che mi hai chiesto, ti ho
chiamata ogni due o tre giorni
oppure ho pregato qualcuno di farlo,
sono stata prudente, ho...»
Erin strinse le labbra nella sua
tipica espressione da madre in
collera. «Certo. Ma trovarlo è una
cosa, stare con lui in un posto
isolato senza telefono e...» Si
interruppe e indicò la latrina. «Buon
Dio, quella roba è quello che
credo?»
«La toilette» confermò Marcie
divertita. «Purtroppo niente bidet.»
«Mi sa che sto per svenire.»
«Abbiamo un grazioso vaso di
porcellana, se il tempo è brutto e
non te la senti di uscire» aggiunse
Marcie. E non precisò che era
meglio portarsi un’arma quando ci si
avventurava fuori.
In effetti Erin barcollò lievemente
e chiuse gli occhi per un momento,
mentre
Marcie
la
sosteneva
cercando di non ridere. Sua sorella
pensava che la capanna tra i boschi
fosse una cosa terribile? Be’, se
Marcie la immaginava al mattino,
mentre si infilava i suoi stivali di
marca e marciava nella neve per
andare alla latrina, la voglia di
ridere diventava incontenibile...
«Dovresti vedere come ci
organizziamo quando viene il giorno
del bagno» disse, non resistendo al
desiderio di stuzzicarla.
Erin aprì gli occhi di colpo. «Il
giorno del bagno... detto così mi fa
pensare che non succeda tutti i
giorni, e che sia una faccenda
complicata.»
«Questo sì che è un eufemismo.»
«E magari scomoda...» continuò
Erin.
«Be’, dal momento che l’unico
calore viene da una stufa a legna, è
sicuramente una faccenda molto
rapida.»
«Dio santo. Prendi la tua roba e
andiamocene.»
«No. No! Se vuoi puoi entrare,
guardarti intorno e arricciare il tuo
naso aristocratico – e magari
conoscere Ian, se proprio insisti,
anche se sono sicura che non ti
piacerà. Ma poi te ne vai, prima di
essere costretta a usare la toilette. È
tutto quello che ti concedo.
D’accordo?»
«Almeno lascia che ti veda un
dottore» protestò Erin.
«Mi ha già vista» si lasciò
sfuggire Marcie.
«E che cos’ha detto di te che ti
metti in faccia una medicina da
cavalli?»
«È un linimento per cavalli – che
peraltro funziona molto bene. Ma in
effetti non ho visto il dottore per
questo» confessò lei a malincuore.
«Appena arrivata qui mi sono
ammalata. Un’influenza. Ian è andato
a cercare il dottore, e Doc Mullins
con la sua assistente sono venuti
quassù, mi hanno fatto un’iniezione
di antibiotici e mi hanno lasciato
delle medicine. Ian mi ha curata
molto bene, ha perfino fatto il brodo
di pollo.»
Erin si portò le mani alle tempie e
le massaggiò per un momento, poi
scrollò la testa e guardò perplessa
l’igloo di neve accanto al suo SUV.
«Il mio maggiolino» spiegò
Marcie. «Temo che non andrà da
nessuna parte per un po’, perché non
potrebbe affrontare queste strade
ripide e coperte di neve ghiacciata.
Bisognerà aspettare che la stagione
migliori.» Poi si girò per entrare, e
sulla soglia disse: «Erin, visto che
non te ne vai, vieni dentro».
Com’era prevedibile, Erin non fu
benevolmente impressionata dalla
capanna. Per qualche minuto si
guardò intorno senza parlare, con un
piccolo brivido ogni tanto, e infine
domandò: «E dove sono i letti?».
«A dire il vero non ce ne sono. Io
dormo sul divano e Ian dorme su una
branda di listelli di legno accanto
alla stufa. Non gli ho preso il letto,
lui dice che ha sempre usato l’altro
sistema perché sta più comodo. Il
divano è troppo corto.»
«Ma pare che ci sia un’unica
stanza...» osservò Erin.
«È una capanna, ed è stata
concepita per una sola persona. Non
è così diversa dalle capanne che
papà e Drew affittavano per andare
a caccia.»
«Invece è molto diversa, e lo sai
anche tu» ribatté Erin. Poi il suo
tono si fece quasi supplichevole.
«Marcie, cerca di capire, non posso
lasciarti qui. Proprio non posso!»
In quel momento si sentì un altro
veicolo che si arrampicava a fatica
su per la strada, e Marcie si
avvicinò
alla
sorella
con
espressione
quasi
disperata.
«Ascoltami, ma questa volta con
attenzione» disse. «Con Ian non
abbiamo parlato di quello che è
successo a Bobby, né di altro che
riguardi quel periodo. Stavamo
giusto avvicinandoci all’argomento,
perciò tu non devi dire niente,
capito?»
Si sedette sul divano, sfilò gli
stivali e indossò rapidamente i
jeans. «Niente» ripeté. «Comportati
bene, non insultarlo, e usa la tua
mente legale per essere gentile e
diplomatica. Dico sul serio.»
«Ah,
sì?»
ribatté
Erin
irrigidendosi.
«Sì, proprio così» sibilò lei. Si
sedette di nuovo, infilò gli stivali, e
proprio allora Ian varcò la soglia
della capanna.
La sua figura robusta riempì il
vano della porta, poi i suoi occhi si
restrinsero. Nel silenzio si sentì
chiaramente il respiro trattenuto di
Erin.
Marcie lo capiva bene, la sola
presenza di Erin faceva apparire più
lacera la giacca di lui e più incolta e
selvaggia la barba.
Gli occhi di Ian lampeggiarono.
Non era per niente contento della
visita. «La sorella di Marcie,
immagino» disse.
Erin raddrizzò orgogliosamente le
spalle e gli tese la mano. «Sono Erin
Foley. Come sta?»
«Benissimo, grazie, e lei?»
rispose Ian ignorando la mano tesa.
«Bene,
grazie.
Lieta
di
conoscerla. Sono venuta a prendere
Marcie...»
«Capisco» fece lui. «Ma io non
sono affatto pronta ad andarmene»
intervenne Marcie. «Erin voleva
solo conoscerti prima di tornare a
casa. E... non le ho detto io di
venire.»
«Non vedo come avresti potuto»
replicò Ian deponendo sul tavolo il
sacchetto con la spesa. «Magari con
dei segnali di fumo?»
«Va bene, statemi a sentire tutti e
due» disse Erin. «Non mi è piaciuta
fin dall’inizio l’idea che Marcie
venisse fin quassù da sola a
cercarla. Specialmente adesso, in
questa stagione, con le vacanze
natalizie alle porte e a quasi un anno
da quando Bobby...»
«Erin!»
esclamò
Marcie
seccamente.
Lei si schiarì la gola. «Ma come
indubbiamente avrà scoperto, mia
sorella è molto ostinata e fa sempre
quello che vuole.»
«Difficile non rendersene conto»
osservò Ian.
«Trovarla e parlarle era una cosa,
ma questo sta andando oltre ogni
limite» riprese Erin. «Marcie non
può stare qui, signor Buchanan. C’è
un’unica stanza, non un letto decente,
niente gabinetto, e mi pare che mia
sorella non stia troppo bene. È
malata, scottata e... Insomma, è stato
molto gentile da parte sua ospitarla,
curarla eccetera, ma quello che è
troppo è troppo. Marcie deve
tornare a casa, Natale si avvicina, e
tutti noi abbiamo sopportato
abbastanza.» Erin guardò la sorella
con intenzione. «Non sono solo io
che voglio riaverti a casa, anche i
Sullivan sono in pensiero per te.
Forse tu e il signor Buchanan potete
mantenervi in contatto, e incontrarvi
di nuovo dopo Natale. Ma in un
posto dove ci sia un telefono e che
non manchi delle comodità più
elem...»
«Erin!» interruppe Marcie con la
faccia ancora più paonazza.
«Tua sorella ha ragione, dovresti
tornare dalla tua famiglia» disse Ian.
«Ci possiamo sentire più in là.»
«Se avessi voluto andarmene lo
avrei fatto!» esclamò lei. «Avrei
trovato un modo, avrei fatto
l’autostop o che so io. E invece
avevo intenzione di restare... stiamo
appena cominciando a conoscerci!»
«Sei già restata abbastanza a
lungo» rispose lui, «e io non sono
abituato ad avere gente attorno.
Menomale che tua sorella è qui,
visto che non potresti andar via con
la tua macchina.»
«Ma, Ian...»
«Ha ragione, quello che è troppo
è troppo. Fai i bagagli.»
Marcie fece un passo verso di lui
e lo guardò supplichevole. «Ma io
credevo che...»
«Direi che ce la siamo cavata
bene, intrappolati qui con la tua
influenza e tutto quanto» continuò
Ian. «Ma adesso tua sorella è venuta
a prenderti per portarti a casa, e io
sono contento di riavere la mia casa
solo per me. Non sono abituato alla
compagnia, lo sai.» Trasse un
respiro e continuò: «Sei in buone
mani, con lei. Sembra molto...»
guardò Erin da capo a piedi,
«competente».
«Bene» fece Erin strofinandosi le
mani, «allora vogliamo andare?»
Marcie guardò Ian negli occhi.
Nei suoi c’era ancora una preghiera,
ma lo sguardo di lui era freddo e
deciso. «Non dici sul serio» tentò
ancora. «Vuoi davvero che me ne
vada?»
«Vai con tua sorella, Marcie. Ha
ragione, non è giusto che tu tenga in
ansia tutti quanti. Un po’ più in là ci
possiamo incontrare di nuovo, se
vuoi. Ma io sono un eremita, e mi va
bene così.»
«Non sei un eremita. Vendi la
legna ai tuoi clienti, vai in chiesa, in
biblioteca... Non posso credere che
tu voglia mandarmi via» concluse in
un sussurro.
«Già... però sono contento che tu
mi abbia trovato.» Abbassò la testa.
«E mi dispiace tanto per Bobby.
Non saprai mai quanto...» Poi la
guardò negli occhi. «Ma adesso vai,
torna a casa. Il tuo posto è là.»
«Stavo cominciando a pensare
che il mio posto fosse qui» rispose
lei a bassa voce. Si fissarono per un
po’, in silenzio; poi lei si arrese, si
voltò e cominciò a raccogliere la
sua roba. Non ci mise molto, perché
aveva tenuto tutto nella sacca,
compresi i pochi articoli di toeletta
come shampoo e rossetto. Nello
zaino c’erano le cartine stradali e le
figurine del baseball che non era
riuscita a dargli, e poi c’era il sacco
a pelo ancora arrotolato. Marcie
mise insieme tutti i bagagli e poi
cominciò a ripiegare il plaid che
aveva usato per dormire sul divano.
«A quello penso io» disse Ian.
Ma lei continuò a piegarlo con
cura, e quand’ebbe finito lo
appoggiò sul bracciolo e poi mise
sul tavolo i libri della biblioteca.
«Non ho finito nemmeno il primo»
disse, «ed ero anche arrivata alla
parte interessante... Ci ho lasciato il
segnalibro. Grazie di tutto. Hai fatto
così tanto per me.»
«Non ho fatto quasi niente»
replicò lui. «Non ho cambiato le mie
abitudini né altro.»
«Invece sì. Hai cucinato per me,
mi hai curata, mi hai dato le
medicine... e io so di essere stata un
bel fastidio.»
«Oh, non è stato questo grande
sforzo.»
«Per me lo è stato.»
Lui non rispose. Marcie mise a
tracolla la sacca e lo zaino, e andò
verso la porta lasciando che Erin
prendesse il sacco a pelo. Gettò i
bagagli sul sedile posteriore del
SUV, poi salì al suo posto e incrociò
le braccia sul petto.
Perché Ian non aveva ruggito
contro Erin spaventandola a morte?,
pensò furibonda. Ma Erin sarebbe
tornata con tutti i poliziotti della
zona, al contrario di lei che si era
ritirata in buon ordine ed era quasi
morta assiderata!
«Vai in paese» disse seccamente.
«Voglio salutare i miei amici.»
«Vuoi dire Virgin River?»
«Sì.»
«Marcie, ascolta...»
«Non rivolgermi la parola»
ringhiò lei. «Anzi, non guardarmi
nemmeno!»
11
Erin parcheggiò di fronte al bar di
Jack e disse: «Non metterci troppo.
Già così, dovremo viaggiare di
notte».
Marcie non rispose ed entrò a
passo di marcia. E poiché non si
fidava di lei, Erin la seguì.
Vedendo Marcie, Jack accennò un
sorriso, ma si gelò vedendo la faccia
scottata di lei. «Diavolo» disse.
Lei saltò su uno sgabello. «Un
incidente con il fornello a gas. Non
fare domande.»
«Non me lo sogno neanche.»
«Una birra.»
«Arriva subito.»
Jack riempì un boccale e fece un
cenno di saluto a Erin. «Ci
rivediamo. Vedo che ha trovato il
posto senza difficoltà.»
«Grazie a Dio» rispose lei. «Ha
idea delle condizioni di vita lassù?»
Lui ridacchiò. «Non è così
insolito, tra le montagne. Anch’io ho
vissuto accampato per un po’,
mentre costruivo il locale.»
«Ma non c’è nemmeno un
gabinetto interno!»
«Anche questo non è insolito.
Immagino che lei lo sappia, la linea
di fognature non arriva fin lassù, e
bisognerebbe installare una fossa
settica. Ma se uno vive solo
preferisce sfidare il freddo, è più
semplice. E comunque la latrina va
scavata a nuovo ogni due o tre anni.
Lo stesso accade con l’elettricità:
non ci sono linee elettriche e quindi
bisogna ricorrere a un generatore.
Ma ci sono decine di capanne come
quella, sulle nostre montagne.»
«Io mi domando, perché vivere
così?»
«Se si fosse guardata intorno
avrebbe la risposta» sorrise lui.
Due secondi dopo la porta si aprì
ed entrò Mel con David in braccio.
Si sedette accanto a Marcie e passò
il piccolo a suo padre al di là del
banco, poi baciò Jack e si voltò per
salutare Marcie con un sorriso. Ed
emise un’esclamazione.
«Mi sono leggermente scottata»
disse Marcie.
«Ragazzi... e che cosa ci hai
messo?»
«Una specie di linimento per i
cavalli che aveva Ian. Il dolore è
passato subito.»
«Ah, il metilsulfonimetano» disse
Mel con un cenno del capo. «La
gente di qui lo usa per curare quasi
tutto, e in effetti è ottimo per
ricostruire le cellule. Doc aveva
ragione, sei in buone mani.»
«Be’, adesso non più. Ti presento
mia sorella Erin. Erin, lei è Mel
Sheridan. Vi siete parlate al
telefono.»
«Sì, certo» disse Erin. «Come
sta? È stato gentile da parte sua
darmi notizie di Marcie.»
«L’ho fatto con piacere. È stato
bello conoscere sua sorella.»
«E l’ha curata mentre aveva
l’influenza, vero?»
«Sì, con l’aiuto di Doc. Ma non
deve preoccuparsi, direi che è
perfettamente guarita.»
Jack aveva sistemato il figlio nel
marsupio in modo da avere le mani
libere per servire i clienti. Preacher
portò un cestello di bicchieri puliti,
fece un cenno di saluto a tutti,
guardò Marcie con le sopracciglia
inarcate, ma poi tornò in cucina.
Poi dal retro entrò Mike
Valenzuela, si servì una birra e fu
presentato a Erin. Quando guardò
Marcie rimase a bocca aperta.
«Il fornello a gas» spiegò lei.
«Colpa mia. Ho girato la chiavetta
prima di accendere il fiammifero.»
«Scommetto
che
la
volta
successiva hai fatto molta più
attenzione» ridacchiò lui. Bevve un
sorso di birra e tornò in cucina.
Mel abbassò gli occhi per caso e
notò gli stivali Cole Haan di Erin.
«Santo cielo, ne avevo un paio
uguale... e mi piacevano anche
molto. Li ho distrutti nei primi mesi
in cui ero qui, trascinandomi da un
ranch a un vigneto.»
«Ma davvero?» fece Erin.
«Questo è un paese duro, un paese
da uomini – anche se mi disturba
molto usare questa espressione. Non
ero del tutto preparata.»
«Be’, in effetti gli uomini di qui
sono molto...»
«Lo so» rise Mel, «molto. Sono
attraenti ma pericolosi. Stia attenta.»
«Pericolosi?» ripeté Erin con le
sopracciglia aggrottate.
Mel si chinò verso di lei con fare
confidenziale. «Vanno a caccia,
giocano a poker, fumano grossi
sigari puzzolenti. E hanno una conta
di spermatozoi molto alta. So quel
che dico, sono l’ostetrica del
paese.»
Jack ridacchiò ed Erin gli gettò
un’occhiataccia.
«Di dov’è?» domandò Erin.
«Di Los Angeles. E sono finita
quassù
perché
cercavo
un
cambiamento.»
« U n cambiamento?» esclamò
l’altra.
«Già... E sono stata conquistata»
sorrise Mel. «Dalla bellezza delle
montagne,
dal
paesaggio
incontaminato. Da quello che ho
visto la prima mattina, alberi che
toccavano il cielo, aquile che
volavano sopra di me, cervi davanti
a casa. E poi c’è la gente di qui,
brava gente aperta e disponibile. Mi
sono innamorata.» Si massaggiò il
ventre rotondo e riprese: «E poi mi
sono innamorata anche di Jack – che
è decisamente troppo fertile per i
miei gusti, ma ha i suoi pregi».
«Mel» intervenne Marcie, «mi
serve un passaggio fino a casa di
Ian.»
Le due donne si volsero a
guardarla. «Non ti permetterò di fare
una sciocchezza del genere»
esclamò Erin. «Quello è un essere
primitivo, selvaggio... un pazzo
furioso!»
«È molto docile, invece. Mite,
gentile.»
«Ma in quella capanna non ci
sono neanche i letti!»
«Ci ho messo quasi due anni a
ristrutturare il bar» disse Jack, «e
nel frattempo ho dormito sul
pavimento.
Non
mi
radevo
nemmeno, e usavo la doccia a casa
di Doc ogni due o tre giorni. Da
queste parti siamo piuttosto alla
buona.»
«Ma noi no!»
«Jack, chiama lo sceriffo» disse
Marcie. «Stanno cercando di
rapirmi.»
«Sa, quell’aspetto selvaggio è
piuttosto comune da queste parti»
riprese Jack. «Molti boscaioli
d’inverno non si radono. E di solito
non indossano i loro abiti migliori
per spaccare la legna o dare il
foraggio alle pecore. Ian Buchanan è
uno di loro, e sembra una persona
per bene. Al suo posto non mi
preoccuperei.»
Marcie appoggiò la mano sul
braccio di Erin. «Io torno lassù, e
voglio che tu torni a casa. Ti
chiamerò spesso, lo prometto. Ma
stavamo appena cominciando a
parlarci davvero... Non ho finito,
con lui.»
«Marcie, tesoro, non voglio
essere crudele... ma Bobby non lo
hai perso solo tu. C’è la sua
famiglia, ci siamo Drew e io. Anche
noi abbiamo sofferto per la sua
morte.»
«Lo so, non me lo sono
dimenticata. Saremo di nuovo
insieme per Natale, te lo prometto.
Ma per favore non contrastarmi,
lasciami finire quello che ho
cominciato. Solo allora potrò
riprendere la mia vita.» I suoi occhi
si colmarono di lacrime che lei
cercò di trattenere. «Ho solo
bisogno di sentire che ho portato a
termine la mia missione, capisci?»
«Ma come?» sussurrò Erin.
«Come la porterai a temine?»
Marcie gettò a Mel un’occhiata
supplichevole.
Le due donne si fissarono negli
occhi per un momento, poi Mel
spostò lo sguardo sul marito. «Jack,
per favore, riporta Marcie da Ian.
Porta anche David con te. Io baderò
al bar, e se necessario chiederò
aiuto a Preacher o Mike. Credo che
Erin ed io dobbiamo parlare un
po’.»
Jack inarcò un sopracciglio. «Ne
sei sicura?»
Lei annuì con un sorriso. Allora
Jack si chinò a baciarla e disse:
«Tornerò prima dell’ora di cena».
Quando Jack e Marcie se ne
furono andati, Mel passò dietro il
banco e riempì di caffè due tazze.
«Latte o zucchero?» domandò a
Erin.
«Tutt’e due, grazie. Senta, non
credo che lei si renda conto di
quanto...»
«Circa tre anni fa il mio primo
marito è stato assassinato» disse
Mel.
Erin tacque di botto.
«Ero caposala e ostetrica in un
grande ospedale di Los Angeles, e
Mark lavorava al Pronto Soccorso.
Una mattina, dopo trentasei ore di
turno, è entrato in un supermercato a
comprare il latte per la colazione.
Era in corso una rapina, e lui è stato
ferito per sbaglio. Ed è morto sul
colpo.»
«Oh, mi dispiace tanto...»
mormorò Erin.
«Grazie. All’epoca avrei voluto
morire anch’io. Passarono alcuni
mesi, ma non riuscivo a riprendere
la mia vita. E così feci alcune
pazzie, tra cui accettare un lavoro in
questo paese dimenticato da Dio,
per uno stipendio da fame, solo
perché speravo che fosse talmente
diverso dalla vita di prima da darmi
uno scossone. Ho anch’io una
sorella maggiore» disse con un
sorriso. «Joey pensava che fossi
completamente pazza, ed era pronta
a rapirmi e trascinarmi di nuovo a
casa per farmi guarire. A modo suo,
naturalmente.» Si chinò verso Erin e
continuò: «Sono una specie di
esperta in questo campo. Riprendere
a vivere non è mai facile, e il
cammino da percorrere non è mai
chiarissimo. Ma una cosa le posso
dire, credo sia necessario trovarselo
da soli. E credo che Marcie sia
perfettamente al sicuro. Non so se
riuscirà a risolvere i suoi problemi,
ma al posto suo, Erin, non
interferirei con qualcuno che cerca
di ridare un minimo di ordine alla
propria vita. Ci sono cose che sua
sorella sta cercando di capire, ed è
meglio che lo faccia a modo suo.
Dal canto nostro, la terremo
d’occhio anche noi».
Erin sorseggiò il caffè. «So che
nelle sue parole c’è un messaggio e
apprezzo la sua franchezza, ma con
Marcie non...»
«Sì, Erin, il messaggio c’è ed è
questo: forse quello che Marcie
pensa di fare per fugare i suoi dubbi
non ha senso, non è pratico né
saggio, e forse non funzionerà: ma è
convinta della bontà delle sue
azioni. So che anche lei e suo
fratello siete addolorati dalla
perdita di Bobby e dalla lontananza
di Marcie in questo momento, e mi
dispiace molto. Ricordo il dolore di
mia sorella quando mio marito è
morto, perché lei lo amava come un
fratello. Ma alla fin fine Marcie
deve sentire che ha fatto quello che
voleva. Per qualche ragione, sembra
che il suo desiderio sia soprattutto
sistemare una faccenda con Ian. E a
giudicare dalla sua determinazione,
penso che farlo per lei sia
essenziale.»
«Sì, questo è vero... è un tipo
molto determinato.»
«Non starei a dirle tutto questo, se
pensassi anche solo per un momento
che Marcie corre qualche pericolo.
Ma mi creda, io mi preoccupo per le
donne del paese, cerco di
proteggerle, e so che Marcie è al
sicuro. Non è entrata nei dettagli, ma
lei e io sappiamo che cosa sta
cercando. Vuole capire perché
l’uomo che ha salvato la vita di suo
marito
poi
è
fuggito
via.
Abbandonandolo – e abbandonando
lei.»
«Ma... se poi lui la abbandonerà
di nuovo?» domandò Erin con
espressione rattristata.
«Be’, è quello che è venuta a
scoprire» disse Mel. Strinse la mano
di Erin al di là del banco.
«Lasciamo che arrivi all’ultima
pagina di questa storia, mia cara. È
quello che vuole davvero, altrimenti
non avrebbe affrontato tanti disagi.»
«Sì, ma...»
«Non è necessario che noi
capiamo o approviamo» disse Mel
gentilmente.
«Dobbiamo
solo
rispettare le sue scelte. Meglio che
lei torni a casa, Erin. La lasci
terminare quello che è venuta a fare.
Le assicuro che non la perderà per
questo.»
Sulla guancia di Erin rotolò una
grossa lacrima. «Crede che sappia
quanto mi preoccupo per lei... e
quanto le voglio bene?»
«Oh, lo sa di sicuro» disse Mel
con forza. «Ma sa una cosa? La
prossima volta che la vedo – e sarà
molto presto – glielo ripeterò.»
Ian camminò avanti e indietro per
circa un’ora. Non era stato gentile
con la sorella di Marcie, e adesso
gli dispiaceva. Avrebbe dovuto
rassicurarla, tranquillizzarla, in
modo che non si preoccupasse per il
fatto che Marcie stava da lui. Invece
le aveva mandate via tutt’e due.
Ma forse non avrebbe dovuto
accettare che Marcie restasse lì, fin
dall’inizio; avrebbe dovuto dire a
Mel di portarla in paese, da Doc.
Maledetto piccolo elfo con le
lentiggini!
C’erano tante cose che non amava
gli venissero ricordate. Per esempio,
lui non era un eremita, era un tipo
solitario. Ma poiché nella maggior
parte dei casi non si sentiva a
proprio agio con gli altri, se ne stava
per conto suo. Eppure gli dispiaceva
da morire non cantare in chiesa,
perché cantare lo rendeva felice. E
non gli piaceva per niente starsene
seduto da solo in un bar, nell’angolo
più lontano, muto e scostante, per
non essere avvicinato da nessuno. E
amava ridere di cuore – ma non gli
era più successo da anni, fino
all’arrivo di Marcie.
Per la prima volta da quand’era
arrivato su queste montagne,
desiderava qualcosa di più. Come
per esempio dei piatti fondi in cui
mangiare la zuppa, invece di usare i
tazzoni del caffè o mangiare
direttamente dalla lattina. O cose di
cui non aveva mai sentito il bisogno,
come una radio. Marcie aveva
ragione: un persona che ama la
musica dovrebbe poterla ascoltare
quando vuole.
E poi... poi voleva qualcuno che
tenesse abbastanza a lui da cercarlo
per mare e per terra. Qualcuno che
lo amasse! Era da così tanto tempo
che nessuno lo amava...
Tuttavia, la cosa peggiore che
aveva capito per colpa di quel
folletto ossuto dai capelli rossi era
che il folletto aveva sopportato la
malattia devastante e la morte di
Bobby molto meglio di lui. Eppure
aveva passato tre anni accanto al
marito, un terribile giorno dopo
l’altro, mentre lui era semplicemente
fuggi to. Sono io quello debole,
p e ns ò . Lei ha la forza di un
battaglione intero.
Andò ad aprire il baule, ci
affondò la mano ed estrasse il fascio
di lettere. Le mise sul tavolo, poi
andò ad aprire uno degli armadietti e
sul fondo prese una bottiglia di
Canadian Mist che stava lì da
tempo. Trovò un bicchiere, se ne
versò due dita e le buttò giù d’un
fiato.
E fu allora che la porta si aprì e
lei entrò, come se fosse a casa sua.
Aveva con sé tutti i suoi averi:
sacco a pelo, borsone di tela, zaini e
borsa, che mise dov’erano sempre
stati e cioè ai piedi del divano. E Ian
si augurò che la barba nascondesse a
dovere la felicità che provava in
quel momento. «Avrei potuto essere
nudo» disse.
Lei sorrise, si avvicinò al tavolo
e si sedette di fronte a lui. «Già.
Sarebbe stato l’avvenimento più
eccitante della mia vita, eh?» Poi
occhieggiò il bicchiere. «Allora
stasera si beve?»
«Ho deciso che faceva abbastanza
freddo da giustificare un goccetto.»
«Posso unirmi a te?»
«E tua sorella aspetta fuori?»
ribatté lui alzandosi a cercarle un
bicchiere.
Marcie si versò un po’ di whisky.
«Nooo... l’ho rimandata a casa. Ho
dovuto promettere che le avrei
telefonato ogni due giorni, ma che
sarei tornata a casa per Natale,
perciò temo che dovrai sopportare il
fastidio della mia presenza... voglio
dire, per un altro po’. Ti chiedo
scusa.»
«Qual è esattamente la tua
missione qui? Credi che riuscirai a
raddrizzarmi, a ripulirmi per
rendermi presentabile? Cos’è, vuoi
compiere una buona azione?»
«Ragazzi, certo che sei proprio un
genio dell’autocompatimento. Non
dovresti bere se sei così sbroccato.
L’alcool è un depressivo, sai.»
Lui si raddrizzò di botto.
«La mia missione, come la chiami
tu, è molto semplice. Ho queste
stupide figurine del baseball. Nelle
sue lettere Bobby mi diceva che
anche tu le collezionavi, così te le
ho portate.»
Andò a frugare nella sua sacca,
prese un album in cui Bobby aveva
sistemato con ordine le figurine, e lo
depose sul tavolo.
«Non è facile da spiegare. Per
chissà quale ragione, l’idea di voi
due che parlavate delle figurine nel
bel mezzo di una guerra, nel deserto,
sotto le bombe e il tiro dei cecchini,
mi ha sempre fatto venire un nodo
alla gola...» Trasse un respiro
profondo e continuò: «Voglio che
sia
chiaro,
mi
è
difficile
separarmene perché erano sue. Lui
ci teneva molto. Ma avrebbe voluto
che le avessi tu».
Ian guardò l’album ma non lo
toccò. «Perché non me le hai date
subito?»
«Perché ero malata» sospirò lei.
«E perché tu non volevi parlare
dell’argomento.»
«Mi dispiace» disse lui. «Non
credevo di poterlo fare.» Fissò il
tavolo per un momento, poi
domandò: «Tutto qui, dunque? Le
figurine del baseball?».
«Non proprio. Qualche anno fa
c’è stato un periodo, quando ci
scrivevamo, in cui ci siamo
appoggiati l’uno all’altro perché
Bobby stava male... Poi tu sei
sparito. Svanito nel nulla. Così sono
venuta a conoscerti – o meglio, a
rinnovare
la
conoscenza,
a
ringraziarti, ad assicurarmi che
stessi bene e a dirti come stava tuo
padre. E si è scoperto che stai
benissimo – in un certo senso meglio
di me. Vivi esattamente come ti
piace, parli con la gente quando ti va
e te ne stai da solo quando
preferisci, sei in contatto con la
natura e non sei appesantito da
troppi fardelli perché possiedi solo
il necessario. E non credo affatto
che tu debba essere ripulito e reso
presentabile. Stai benissimo così.»
«Ma hai detto che sembravo un
selvaggio!»
«Infatti» sorrise lei, «ma ormai mi
ci sono abituata.»
«E per che cosa volevi
ringraziarmi?»
domandò
Ian
riempiendosi di nuovo il bicchiere.
«Stai scherzando? Ma andiamo...
per aver salvato la vita di Bobby!»
«Non devi ringraziarmi... non
devi nemmeno pensarlo. Ho un
sacco di rimpianti, ragazza mia, ma
quello è il primo della lista.»
«Vuoi dire che rimpiangi di
averlo salvato? Senti, a tutti noi
dispiaceva che fosse stato ferito così
gravemente, che fosse un invalido
irrecuperabile. Ma nessuno avrebbe
potuto farci niente...»
«Tu credi?» replicò Ian. «Perché
io invece lo capii subito. Lo sollevai
e lo sentii inerte, pesantissimo. Il
suo corpo non aveva alcun tono
muscolare, era un peso morto. E mi
trovai di fronte a una scelta. Potevo
deporlo a terra, coprirlo con il mio
corpo per evitare che lo ferissero di
nuovo, e aspettare con lui la fine.
Così tu non avresti sopportato il
fardello che ti è toccato per tre anni,
e lui sarebbe stato libero. Buon Dio,
eri solo una ragazzina! E sapevo che
Bobby non avrebbe mai voluto
quella vita – gli uomini in guerra
parlano spesso di queste cose. Ma
fui egoista, pensai solo a me stesso e
a quello che ero stato addestrato a
fare. Non sopportavo l’idea di
lasciarlo morire così, e agii come un
maledetto eroe.»
Marcie lo fissò a lungo. «Gesù
santo» disse infine. «È questo che
pensi? Che la scelta toccasse a te? E
che le tue azioni abbiano fatto della
mia vita un incubo? Ma non è andata
affatto così. Avresti dovuto leggere
quelle dannate lettere!»
Ian fissò il mucchietto sul tavolo,
poi alzò gli occhi a guardarla. Così
Marcie aveva frugato nella sua roba,
aveva trovato le lettere e sapeva che
lui non le aveva mai aperte!
«Ti racconto com’è andata,
invece» esordì lei.
«Marcie» la fermò lui. «Non
voglio parlarne, chiaro?»
«Dio santo, e io che pensavo di
essere quella che doveva ancora
capire tante cose...» ribatté lei
bevendo un sorso di whisky. Fece
una smorfia, strinse le labbra, poi
continuò: «Adesso invece mi starai a
sentire. Abbiamo perso nostra madre
quando Drew aveva solo due anni,
io quattro e mia sorella undici.
Crescemmo con nostro padre, ma
quando avevo quindici anni anche
lui morì, all’improvviso. Un
embolo, durante una banalissima
operazione al ginocchio. Un caso
molto raro. Erin aveva appena finito
il college e si era iscritta alla facoltà
di legge. Prese il posto di entrambi i
genitori, e tutti e tre restammo nella
casa in cui eravamo cresciuti.
Naturalmente, quando Bobby partì
per l’Iraq tornai a vivere con Erin e
Drew. E quando lo portammo
indietro, fu in quella casa che lo
portammo. Ed è lì che tu ci facesti
visita. All’epoca non eravamo molto
ben organizzati. Assistere un malato
era una cosa nuova per tutti, e
probabilmente tu avrai pensato che
non ce l’avremmo fatta. Chissà come
ti parve terribile tutto quanto...»
Ian lo ricordava perfettamente:
anzi c’erano giorni in cui non
riusciva a togliersi la scena dalla
mente. La casa era un disastro,
sporca e in disordine, Marcie era
pallida e magrissima e non
dimostrava più di tredici anni. Il
letto da ospedale era la prima cosa
che si vedeva entrando in casa,
perché dominava la sala da pranzo e
non lasciava alla famiglia alcuno
spazio in cui mangiare. Tutt’intorno
c’erano altre attrezzature mediche:
una grande poltrona a rotelle munita
di un sostegno per la testa, di un
sistema di abbassamento idraulico e
di contrappesi per spostare meglio il
peso morto di Bobby; e poi una
pompa aspirante, delle bombole di
ossigeno,
dei
catini,
degli
asciugamani.
«Si trattava di scegliere tra
portarlo a casa o lasciarlo in un
istituto per lungodegenti in un altro
stato» continuò Marcie. «Ma dopo
due o tre mesi riuscimmo a
sistemarlo in una casa di cura a
Chico, un posto eccellente che
veniva pagato da CHAMPUS. Devo
ringraziare Erin per questo, si è
battuta finché non ha ottenuto quello
che ci occorreva. Bobby aveva una
famiglia numerosa – era il più
giovane di sette fratelli – e tutti ci
diedero una mano, Dio li benedica.
Sono stati un aiuto formidabile. Una
vera famiglia.»
«CHAMPUS finanziava la casa di
cura?» domandò Ian.
«Sì... ma non tutti sono così
fortunati.
Molti
soldati
che
necessitano di lunghe cure vengono
mandati negli ospedali militari,
dovunque ci sia posto, e quasi mai
vicino alla città in cui vive la loro
famiglia. Io temevo di dover
lasciare Bobby a Washington, o
sulla Costa Orientale, o in Texas.
Invece abbiamo avuto fortuna,
perché lui è stato sempre vicino a
noi e ha ricevuto le cure migliori. Lo
so che a vederlo non sembrava
stesse bene, ma non ha mai mostrato
sintomi di sofferenza o di stress. Lo
abbiamo curato con amore, abbiamo
sempre fatto in modo che fosse
comodo e in ordine, ed eravamo in
tanti a darci il turno. Tutta la
famiglia di Bobby, i suoi genitori e i
sei fratelli e sorelle con i mariti e le
mogli, i nipoti, e poi io e Drew e sì,
anche Erin. Lo massaggiavamo, gli
leggevamo dei libri o il giornale, lo
abbracciavamo e lo baciavamo per
dimostrargli il nostro amore. Non
era mai solo. Avevamo stabilito dei
turni di visite, in modo che non fosse
mai solo per più di cinque minuti. E
ti assicuro, non è stata una tortura
per me. Perderlo è stato un dolore
grande, ma in effetti lo avevo già
perso tanto tempo prima, e quando
se n’è andato io...»
«Hai provato sollievo» disse Ian.
«Per lui» rispose Marcie. «Per
me, è stata la fine di un lungo
viaggio. Davvero, avresti dovuto
leggere le mie lettere.»
Lui scrollò la testa. «Non volevo
sapere. Né se era morto né se era
ancora vivo.»
«Era vivo, curato e amato» disse
lei. Accennò al mucchietto di lettere.
«Ti ho scritto per parlarti di lui, ma
anche di me. All’inizio è stata molto
dura, lo piangevo come se fosse già
morto... ma poi la mia vita è
diventata quasi normale. Uscivo con
le amiche, mi sono anche concessa
due brevi vacanze – su questo i
genitori di Bobby hanno insistito
molto. Ti ho scritto anche questo,
non domandarmi perché. Ti ho
scritto tutto quello che mi
succedeva, anche le stupidaggini,
come se tu fossi stato il miglior
amico mio e non di Bobby...»
«Però eri sempre legata a un
invalido che...»
«Non è vero» protestò lei
scuotendo il capo. «Io lo amavo.
Sapevamo tutti che non sarebbe mai
guarito, e i familiari di Bobby
cercavano di farmi uscire, di
presentarmi gente nuova, a volte
anche uomini. Se avessi voluto la
libertà da lui e dai miei obblighi,
nessuno della mia famiglia o della
sua avrebbe detto una parola. Anzi,
discutemmo a lungo di argomenti del
genere, come divorziare da lui in
modo che fossi libera di frequentare
qualcun altro, o staccare i tubi di
alimentazione in modo che lui
morisse in pace. Ma...»
«E perché non l’hai fatto?
Perché?»
«Perché no. Nutrirlo era uno dei
tanti modi per accudirlo.»
«E se, chiuso in quel guscio, lui
era in grado di pensare?» domandò
Ian con la pena nella voce. «Se per
lui era una tortura non essere in
grado di muoversi o di comunicare,
se odiava vivere in quel modo?»
Lei sorrise dolcemente. «Se era in
grado di pensare questo, allora
pensava anche alle legioni di
persone che si dedicavano a lui, che
lo facevano sentire amato e protetto
e al sicuro fino a quando non avesse
intrapreso l’ultima parte del suo
viaggio.»
Dopo un lungo silenzio Ian
sussurrò: «E nessuna di quelle
persone ero io».
«Avevi i tuoi problemi» disse lei
sorseggiando tranquillamente il
whisky. «Bobby era ferito nel fisico,
ma tu lo eri nell’animo. Ognuno ha
diritto ai sui spazi e ai suoi tempi
per riprendersi. E poi mi avevi dato
quello a cui tenevo di più, e di
questo ti sarò grata per sempre.
Grazie a te ho avuto la possibilità di
dirgli addio, e per me è stato molto
importante. Anche se non era più lui,
avevo davvero bisogno di tenerlo
fra le braccia, di dirgli che lo
amavo, e che era giusto che se ne
andasse se era giunta la sua ora. Che
io sarei stata bene. Hai idea di
quello che ha significato per me? »
«Anche se hai dovuto sopportare
tanto?»
«Te l’ho detto, non è stato
difficile. Assisterlo era un impegno
per tutti, questo è vero. Ma ognuno
provava quello che provavo io –
anche se a livelli diversi. Bobby era
il più piccolo dei figli, e sua madre
aveva bisogno di passare quel tempo
con lui. Era l’orgoglio di suo padre
– e anche lui aveva bisogno di
stargli accanto. Era stato una
persona speciale, e i suoi fratelli
avevano bisogno di tempo per dirgli
addio.»
Ian tacque di nuovo, a lungo. «Se
avessi letto le tue lettere, avrei
potuto essere uno di quelli che si
davano i turni per assisterlo... nel
caso che il suo cervello funzionasse
e lui contasse le facce.»
Marcie riempì di nuovo i loro
bicchieri. «Vuoi davvero trovare
altre ragioni per sentirti in colpa,
visto che i tuoi motivi di prima non
coprono tutte le possibilità? Per
come la vedo io, tu eri appena
tornato da un guerra orribile, avevi
rotto con la tua fidanzata, avevi
litigato con tuo padre, avevi lasciato
i Marine che avrebbero dovuto
essere la tua famiglia per almeno
vent’anni. Quel che era accaduto a
Bobby era un dolore aggiunto agli
altri. Ma tutta la famiglia ti è e ti
sarà sempre grata, perché tu hai
rischiato la vita per salvare la sua.»
Bevve un sorso. «E nessuno ce l’ha
con te perché non c’eri.»
«Ne sei sicura?»
Lei lo guardò con due serissimi
occhi verdi, poi afferrò il fascio di
lettere e lo spostò verso di sé.
«Cominciamo da qui» disse. Tolse
l’elastico, vide che le lettere erano
in ordine cronologico e allora prese
la prima e l’aprì.
Caro Ian,
Spero che tu stia bene. Non ti
vediamo da troppo tempo, e io
sento la tua mancanza. Mi
piacerebbe avere tue notizie...
Voglio farti sapere che Bobby è
stato trasferito in una bellissima
casa di cura qui a Chico. La sua
famiglia e la mia si danno da fare
per assicurarsi che con lui ci sia
sempre qualcuno dei suoi cari.
Diamo una mano anche con le cure
vere e proprie, ma il personale è
meraviglioso. E lui non soffre,
davvero.
Naturalmente
non
possiamo esserne sicuri al cento
per cento, ma i dottori hanno fatto
tutte le analisi possibili e lo hanno
visitato decine di volte, e hanno
accertato che non sente niente dal
collo in giù. Ma non dà mai alcun
segno di tensione o di ansietà. Mi
hanno detto che potrebbe piangere
se soffrisse, ma io non ho mai visto
una lacrima. Anzi, e so che sembra
pazzesco, a volte mi sembra di
vedergli in faccia l’accenno di un
sorriso.
La mia vita è praticamente
normale. Lavoro sempre nella
stessa agenzia di assicurazioni, e
non guadagno molto, ma il mio
capo è comprensivo e mi concede
tutti i permessi necessari. È una
bravissima persona, pensa che si
porta in ufficio tutti i giorni il suo
Labrador. La mamma di Bobby, che
è una donna eccezionale, insiste
perché ogni tanto esca con le mie
amiche, le stesse che frequentavo
quando voi due eravate in Iraq. A
volte andiamo anche a ballare, ma
siccome due di loro sono incinte
andiamo più spesso a mangiare una
pizza o al cinema, a volte alle feste
a casa di altri amici. Sono le stesse
persone che conosco da anni – ci
sono tre ragazze che erano al liceo
con me, e quattro donne che ho
conosciuto in ufficio quando ho
cominciato a lavorare. Sarebbe
logico pensare che lavorando
insieme tutti i giorni non abbiamo
più molto da dirci, e invece ridiamo
e scherziamo tutto il tempo, tanto
che a volte il capo si arrabbia...
Mi piace andare a trovare Bobby la
mattina presto, prima di andare in
ufficio, anche se non riesco a farlo
tutti i giorni. Ma quando si sveglia
mi piace essere la prima persona
che vede. Non ridere, ma io credo
che mi riconosca dall’odore. Volge
la testa verso di me, e io capisco
che sa che ci sono. La sera, invece,
gli leggo dei libri ad alta voce. In
questo periodo gli leggo Ivanohe,
ed è incredibile quanto mi prenda
questo romanzo per il solo fatto di
leggerlo ad alta voce. No so se lui
mi ascolta, temo che non capisca
quello che dico, ma non vedo l’ora
di arrivare nella sua camera per
continuare nella lettura. Bobby ha
letto più romanzi classici da
quando è ricoverato che in tutta la
sua vita. Io mi sdraio accanto a lui
sul letto, e a volte lui gira la testa
verso di me e la appoggia alla mia
spalla...
Marcie andò avanti a leggere,
versando del whisky nei loro
bicchieri di tanto in tanto. A un certo
punto si alzò e si prese un bicchiere
d’acqua fredda dall’acquaio, ma poi
continuò. Verso la fine le lettere
parlavano sempre più di lei e meno
di Bobby, perché le condizioni di lui
non erano cambiate. Marcie gli
aveva raccontato del suo viaggio
nella Columbia Britannica, dei
magnifici panorami, della gente
amichevole e simpatica; e poi della
sua crociera di sole ragazze, durata
quattro giorni.
Nelle sue lettere gli raccontava
due anni della sua vita di moglie,
sorella,
cognata,
amica,
dei
battesimi, delle feste in famiglia, dei
matrimoni. Insomma, una vita
normale. Aveva litigato con una
cara amica, ed erano rimaste senza
vedersi per alcune settimane: ma
nella lettera successiva gli spiegava
come avevano fatto pace. Gli
parlava di un taglio di capelli mal
riuscito, di Drew e della sua schiera
di fidanzate intercambiabili, perfino
di un guasto alla pompa di benzina
della Volkswagen.
E dalle lettere si capiva che la
vita di Marcie non era stata la
tortura che Ian immaginava. Ma
quello che lo colpiva di più era il
fatto che gli scrivesse come a un
vecchio amico, un amico fraterno.
Aggiungeva sempre il numero di
telefono, pregandolo di chiamarla
quando voleva, anche a carico del
destinatario. E concludeva ogni
lettera con le parole Mi manchi.
Poi c’era l’ultima, scritta l’anno
prima, in cui gli diceva che Bobby
se n’era andato, dolcemente e
serenamente, e che per un colpo di
fortuna lei era presente. Poiché
andava da lui solo per poche ore al
giorno e a volte si assentava per un
giorno intero, lo considerava un
piccolo miracolo. Era seduta sul
letto accanto a Bobby, con la sua
testa sulla spalla, e stava leggendo
ad alta voce, quando si era resa
conto che lui non muoveva la testa o
gli occhi da un po’ di tempo. Gli
aveva tastato il polso, aveva
avvicinato la faccia alla sua bocca
per controllare se respirava. E l’ho
capito subito... non dall’assenza di
polso o di respiro, no. Ma ho
sentito che il suo spirito lo aveva
lasciato in quel momento. Non so se
riesco a spiegarmi: è stato un gran
sollievo capire che per tutti questi
anni, mentre lo amavamo tanto, il
suo spirito era ancora con lui.
Avevo sempre temuto che se ne
fosse andato lontano prima del suo
corpo terreno, ma ti giuro, in quel
momento ho provato una pienezza
nel cuore, come se l’anima di
Bobby fosse passata attraverso di
me mentre lui se ne andava. E gli
ho detto: Addio, tesoro mio. Ci
mancherai tanto. Ma ero felice per
lui.
Quando Marcie finì di leggere
l’ultima lettera era piuttosto tardi, e
il livello di liquore nella bottiglia
era notevolmente calato. Lei lasciò
cadere la busta sul mucchietto e
rimase in silenzio. Ian tirò su col
naso un paio di volte, poi si asciugò
gli occhi con un gesto impaziente.
«Forse mi serve una scorta fino
alla toilette» disse lei dopo un po’.
«Sono alquanto brilla.»
La frase riscosse Ian dalla sua
tristezza. «Tu dici?» domandò con
un sorrisetto.
«Be’, non ho la tua stazza o la tua
resistenza, e non sono abituata a
bere. Al massimo una birra o un
bicchiere di vino. E temo che non mi
reggerò in piedi...»
Lui rise. «Nessuno ti ha tenuta con
la forza per versarti il whisky in
gola, mi pare.»
«È terribile leggere le lettere che
hai scritto. Tutte le frasi costruite
male, gli errori di ortografia, le
stupidaggini.
Scommetto
che
all’inferno ti leggono tutto quello
che hai scritto in vita tua, ad alta
voce.»
Lui ridacchiò ancora, poi si alzò.
«Vieni, peso piuma, ti accompagno
fuori.» Ma intanto pensava che le
sue lettere erano bellissime. E che
se lui le avesse lette, lo avrebbero
aiutato a schiarirsi le idee molto
prima. Quello che gli era più
mancato nella vita, qualcuno che
tenesse a lui – Marcie gliel’aveva
offerto da tempo.
L’accompagnò fino alla latrina,
l’aspettò fuori, poi la riaccompagnò
alla capanna prima di tornare fuori a
sua volta. Lei si gettò sul divano
senza nemmeno togliersi gli stivali
né coprirsi con il plaid.
«Dormirai come un sasso, poco
ma sicuro» disse Ian. Poi le sfilò gli
stivali e le mise la coperta addosso.
«È l’ultima volta che mi fai
ubriacare, Buchanan» borbottò lei.
«Come ho già detto, nessuno ti ha
trattenuta con la forza.»
«Mi sa che c’è un problema. Il
sapore mi è piaciuto troppo.» Poi,
Marcie emise un singhiozzo.
«Domani, quando finalmente
riaprirai gli occhi, io me ne sarò
andato da un pezzo» le ricordò lui.
«Devo consegnare della legna.»
«Già. Lo so. Ci sono ancora i
libri che ho preso in biblioteca?»
«Come credi che avrei fatto a
riportarli indietro, nell’ora che sei
stata via?»
«Oh, lascia perdere. Buonanotte,
mio dolce orso.»
Quelle parole gli gonfiarono il
cuore. Incapace di trattenersi, Ian si
chinò a deporle un bacio leggero
sulla tempia, e lei sollevò una mano
e gli carezzò la faccia irsuta.
«L’unico problema con tutta questa
barba è che non capisco quando
sorridi. E mi piace tanto il tuo
sorriso...»
«Buonanotte, peso piuma.»
Mentre Marcie crollava in un
profondo sonno alcolico, Ian sfogliò
l’album di figurine immaginando le
dita di Bobby che le sistemavano
con tanta cura. Marcie non sapeva
quanto quel semplice regalo
significasse per lui, pensò. E lasciò
che
le
lacrime
scorressero
liberamente, purificando la sua
anima dal dolore e dal rimorso.
12
Quando Marcie riaprì finalmente gli
occhi, una banda marciava nella sua
testa accompagnata dai tamburi.
Diavolo, pensò. Aveva continuato a
bere mentre leggeva una dozzina di
lettere – ed era stata una pessima
idea. Per fortuna sapeva dove Ian
teneva l’aspirina. Si rizzò a sedere
con cautela. La stanza era in ordine
come Ian la lasciava ogni mattina.
Le lettere erano state riposte, solo
l’album con le figurine era ancora
sul tavolo dove lei lo aveva lasciato
la sera prima. Il bricco di caffè era
sulla stufa, che però aveva bisogno
di essere rifornita di legna.
Marcie ci mise un paio di ciocchi,
poi infilò gli stivali e fece una
spedizione fuori. Quando rientrò il
caffè era tiepido, ma lei lo buttò giù
d’un fiato perché ne aveva davvero
bisogno. Poi diede un’occhiata
all’orologio e capì che Ian non
sarebbe rientrato ancora per un bel
po’; e poiché ormai aveva capito
come funzionava il fornello pensò di
approfittare della sua assenza per
lavarsi.
Mise a scaldare per prima cosa
l’acqua per i capelli, e nel frattempo
svuotò e ripulì la vasca dagli ultimi
residui del bagno precedente – un
compito assai più gravoso che non
riempirla. Quand’ebbe finito era
piuttosto stanca, ma si disse che la
stanchezza era dovuta al whisky e
all’ora tarda della sera prima, più
che agli strascichi dell’influenza.
Dopo aver lavato i capelli e aver
fatto il bagno, prese le forbicine da
unghie e riuscì a tagliar via le punte
bruciacchiate del ciuffo. Nello
specchietto da borsa vide che la sua
faccia era rosea, ma non più
scottata. Stava guarendo. Applicò un
leggero trucco – cosa che non si era
più data la pena di fare da quand’era
arrivata. Visto che aveva imposto la
sua presenza a Ian, per la seconda
volta,
perché
non
essere
presentabile? Truccò un po’ gli
occhi, mise un filo di rossetto, poi
aprì una lattina di stufato e ne
mangiò la metà. E infine si
accomodò sul divano con il suo
libro, sentendosi una donna nuova.
Anche il mal di testa era quasi
passato.
E poi, senza preavviso, la donna
nuova scomparve e Marcie si
ritrovò proiettata indietro nel tempo.
Quel giorno era l’anniversario della
morte di Bobby – e stranamente la
sera prima non ci aveva pensato
nemmeno una volta mentre leggeva
le lettere. Neanche quella che recava
la data del decesso di Bobby: 17
dicembre, una settimana prima di
Natale.
Era stata un’esperienza molto
particolare. Quando aveva capito
che Bobby non c’era più Marcie era
rimasta dov’era, seduta sul letto con
lui fra le braccia. Non aveva pianto;
non aveva chiamato un’infermiera. E
mentre lo teneva stretto gli aveva
parlato, augurandogli di essere
felice e in pace là dov’era andato.
Era passata quasi un’ora prima
che qualcuno entrasse in camera –
una aiuto-infermiera di mezz’età che
portava le lenzuola pulite da mettere
nel letto l’indomani. «Si è fermata
fino a tardi, stasera» osservò la
donna.
Marcie stava accarezzando la
guancia di Bobby, gli riavviava i
capelli, lo abbracciava. Non
rispose, perché sapeva che quando
lo avesse lasciato non avrebbe mai
più potuto tenerlo fra le braccia. Ma
forse il modo in cui lo teneva stretto
a sé fece capire all’infermiera che
c’era qualcosa di strano. Si avvicinò
al letto e appoggiò due dita al collo
di Bobby. «Signora Sullivan» disse
gentilmente, «suo marito...»
«Lo so» rispose lei in un sussurro.
«Ma ho difficoltà a lasciarlo
andare.»
«La capisco. Adesso chiamo
qualcuno, così non sarà sola e...
Insomma, qualcuno che stia con lei.»
«Non potrebbe aspettare? Non
potrebbe darmi un altro po’ di tempo
con lui?»
«Senta, finisco il mio giro con la
biancheria e poi faccio quella
telefonata. Preferisce che avvisi
prima i genitori? O sua sorella?»
«Chiami i suoi genitori. Devono
essere loro i primi a sapere. E poi
mia sorella, per favore.»
«Certo.» La donna accarezzò
teneramente la fronte di Marcie.
Doveva essere abituata a vedere
ogni tipo di reazione alla morte.
«Faccia con comodo. Si prenda tutto
il tempo che vuole.»
Così, quando l’infermiera ebbe
lasciato la stanza, Marcie riprese il
libro che stava leggendo a Bobby e
continuò a leggere per quasi un’ora.
Intanto il corpo di lui era diventato
freddo, ed era così immobile, così
privo di vita che non sembrava più
lui. Era immobile e silenzioso anche
quand’era ancora in vita: ma il
cambiamento era evidentissimo.
Bobby non aveva mai mostrato alcun
sintomo di tensione, ma adesso i
suoi tratti erano composti, sereni, e
lui era bellissimo. Immateriale, ma
in pace. E tranquillo, silenzioso,
freddo. Andato via, per sempre.
Poi i signori Sullivan entrarono in
camera e la trovarono con Bobby fra
le braccia e il libro aperto in
grembo. «Marcie... che cosa fai?»
«Non ero pronta a lasciarlo
andare» rispose lei. La voce era
limpida, gli occhi asciutti.
«È sotto shock» disse la madre di
Bobby al marito. «Dovremmo
chiamare il dottore e...»
«No, non sono sotto shock»
replicò lei con una risatina. «Buon
Dio, mi sono preparata a questo per
tre anni... ma adesso che è successo
e so che non potrò mai più toccarlo,
ho un po’ di difficoltà a lasciarlo
andare.»
La signora Sullivan le tolse
gentilmente il libro di mano e l’aiutò
ad alzarsi in piedi, poi lei e il marito
baciarono Bobby e gli coprirono la
faccia con il lenzuolo. Marcie si
avvicinò al letto e lo tirò di nuovo
giù. Non c’era motivo di
nasconderlo:
sembrava
addormentato ed era così sereno. Gli
accarezzò ancora una volta i capelli
castani, lisci e morbidi.
«Abbiamo chiamato l’agenzia di
pompe funebri» disse il padre di
Bobby. «Saranno qui a momenti.»
«Non ho fretta» rispose lei. Non
c’erano decisioni da prendere,
perché tutti gli accordi erano già
stati presi due anni prima. Il corpo
di Bobby sarebbe stato cremato, e ci
sarebbe stato un servizio funebre.
Ma fino a quando non lo avessero
portato via, era ancora suo...
«Adesso appartiene a un’autorità
superiore» disse la voce di Erin.
«Puoi lasciarlo andare senza paura...
è in buone mani.»
«L’ho detto ad alta voce?»
domandò Marcie.
«Che cosa?»
«Che fino a quando gli incaricati
dei funerali non vengono a
prenderlo, lui è ancora mio?»
«No, tesoro. Non hai detto niente,
ma io l’ho capito.»
«Voglio solo stare ancora un po’
con lui, finché non arrivano...»
«Puoi stare qui tutto il tempo che
vuoi. Al diavolo quelli delle pompe
funebri, aspetteranno.»
«Grazie» sussurrò lei. Si sedette
di nuovo sul letto, baciò Bobby sulla
fronte, gli sussurrò qualcosa
all’orecchio. I suoceri pensavano
che avesse perso il senno, ma Erin li
portò in corridoio e Marcie la sentì
dir loro: «Datele tregua. Rinunciare
a lui non è facile. Ha bisogno di
farlo a modo suo».
Quando gli incaricati vennero a
prendere Bobby, Marcie gli diede un
ultimo bacio e si allontanò da lui.
Poi abbracciò i suoceri e se ne andò
a casa.
Adesso le lacrime scorrevano
sulle sue guance, ma lei non era
triste. Sentiva solo quella terribile
solitudine che a volte l’afferrava
senza preavviso. Quella sensazione
di non aver più nessun legame. Di
non avere uno scopo.
Passò un’altra ora prima che Ian
ritornasse, e quando entrò in casa,
Marcie capì perché ci aveva messo
tanto. Si era tagliato capelli e barba,
che adesso erano corti e ordinati.
Portava in braccio due sacchetti
della spesa, e benché cercasse
ovviamente
di
nasconderlo
sorrideva compiaciuto.
«Ian!»
«Aspettavi forse qualcun altro?»
Lei lo guardò e dimenticò tutto il
resto. «Che hai fatto?» domandò.
Ian si avvicinò al tavolo e ci
depose i sacchetti. «Ho altra roba da
prendere, non ti muovere» disse.
Uscì di nuovo e tornò con due
scatoloni colmi di roba, che posò
anche quelli sul tavolo. E infine si
voltò verso di lei e si lasciò
esaminare.
Marcie si alzò dal divano e gli
appoggiò una mano sulla guancia. Al
posto
dei
dieci
centimetri
abbondanti di barba incolta adesso
ce n’erano solo due, ben tagliati,
morbidi come piume. Anche il collo
era rasato a dovere, e anche i capelli
erano corti e ben pettinati. «Dov’è
finito il mio pazzo selvaggio?»
sorrise Marcie.
Lui la guardò corrugando la
fronte. «Ma tu hai pianto!»
«Scusa» fece lei distogliendo lo
sguardo. «È una di quelle giornate
un po’ storte.»
Delicatamente, lui la fece voltare
verso di sé. «Che succede?»
domandò. «Vuoi parlarne?»
«No» disse Marcie scuotendo la
testa. «È un argomento che non ti
va...»
«Coraggio, dimmelo. Perché hai
pianto? Hai nostalgia di casa? Ti
senti sola?»
Lei sospirò. «Bobby è morto un
anno fa oggi. Mi ha colta un po’ alla
sprovvista.»
«Ah.» Ian cinse le sue spalle con
un braccio. «Le lacrime sono
comprensibili. Mi dispiace, Marcie.
Immagino che a volte faccia ancora
male...»
«Non esattamente. Ma mi sento
inutile,
capisci?»
Marcie
si
appoggiò a lui. «Sola. Ci sono tante
persone che mi vogliono bene, ma a
volte senza Bobby mi sento
terribilmente sola.» Rise piano. «E
sa il cielo che lui non era una gran
compagnia.»
«Credo di capire» osservò Ian
stringendola un po’ più forte.
E
Marcie
pensò
che
probabilmente la capiva davvero.
Vedeva sempre gente, ma non aveva
un vero contatto con nessuno. Si
scostò da lui e domandò: «Perché ti
sei tagliato i capelli?».
«Ho pensato di sistemarmi un po’,
e magari di portarti fuori.»
«No, aspetta un momento. Non
avrai creduto che fosse necessario,
vero? Per via di quello che ha detto
mia sorella?»
Ian rise, e sulla sua faccia priva
di barba l’emozione divenne
chiaramente visibile. «Guarda, se
me lo avessi chiesto probabilmente
non lo avrei fatto. Non credere di
essere più testarda di me... Ho
sempre tenuto la barba lunga per via
della cicatrice...» Le mostrò la
guancia sinistra. «E anche per una
posa di menefreghismo.»
Marcie scostò delicatamente i
corti peli della barba e trovò una
cicatrice appena visibile. «Non si
nota quasi, Ian. È una riga sottile,
non c’è alcun bisogno di
nasconderla. Non sei sfigurato, anzi,
sei piuttosto attraente» sorrise.
«Forse me la ricordavo diversa»
osservò lui. «Comunque, stasera c’è
la parata di Natale dei camionisti. I
conduttori di TIR dell’area decorano
i loro veicoli e sfilano lungo un
tratto della superstrada. Io la vedo
ogni anno, è fantastica. Te la senti...
visto che è un giorno particolare?»
«Sì, forse è una buona idea» annuì
lei. «Uscire, cambiare umore.
Perché no.»
«Possiamo anche mangiare fuori.»
«Ma... tutto questo cos’è?»
domandò lei accennando ai sacchetti
e alle scatole sul tavolo.
«Sono previste pesanti nevicate, e
da queste parti ci si premunisce. Ma
questa volta ho comprato qualcosa
di diverso, nel caso ti fossi stancata
delle scatolette. Di solito non mi
interessa, ma tu sei una ragazza...
perciò ti ho comprato delle verdure
fresche e delle uova, che durino un
paio di giorni. Non di più, perché se
li mettiamo fuori nel deposito
gelano.»
«Ma... per la toilette? Come
facciamo per uscire, se c’è la
neve?»
«Oh, non è un problema» rise lui.
«Libererò un sentiero con la pala. E
spalerò anche un accesso alla strada,
ma sarà un lavoro lento... e se
nevica per un po’, sarà ancora più
lento.»
«Accidenti. Ma se usciamo
stasera, riusciremo a rientrare?»
«Qui non ci sono bufere di neve,
Marcie. La neve cade, tanta, ma
lentamente. Pensavo a un bagno...
che ne dici?»
Lei si mise le mani sui fianchi e lo
guardò torva. «Bada a come parli...
Ho fatto il bagno, mi sono lavata i
capelli e mi sono anche truccata.
Cos’è, vuoi ripulirmi ancora di
più?»
Ian aggrottò la fronte. «Dicevo,
bagno per me, naturalmente. Tu non
ne hai bisogno... stai benissimo.» Le
passò il pollice sotto un occhio. «A
parte il segno di qualche lacrima...
ma a questo saprai rimediare. Bene,
fammi mettere via questa roba e poi
mi scaldo l’acqua per il bagno. Hai
qualcosa da leggere – o aspetti
l’esperienza più elettrizzante della
tua vita?»
«Ho qualcosa da leggere, grazie»
rise lei. E pensò: alla fin fine gli
uomini sono tutti uguali.
Ian conosceva un ristorante
italiano ad Arcata. C’era stato un
paio di volte, e aveva mangiato al
banco del bar da solo. Ma questa
volta scelse un tavolo per due,
ordinò del vino rosso, e lui e Marcie
chiacchierarono. Era impossibile
riconoscere in lui l’uomo che si
limitava a grugnire e non voleva
gente intorno. Marcie non fece
commenti sul cambiamento. Ormai
era lì da dieci giorni, e mancava una
settimana esatta a Natale.
«Che tipo eri da bambina?»
domandò Ian a un certo punto.
«Un disastro. Un autentico
monellaccio. Non avevo amichette,
solo maschi, e riuscivo a batterli
tutti anche se combattevo con armi
da ragazza – li prendevo a morsi,
tiravo i capelli e cose così. Usavo
anche la fionda con palline di carta
masticata, e mio padre veniva
convocato a scuola di continuo. Ero
un diavolo dalla testa rossa, la
peggiore della classe.»
Lui le scoccò un bellissimo
sorriso. «Chissà perché non mi
stupisce affatto. Adesso ti sai
comportare un po’ meglio, ma
neanche tanto.»
«Poi, in terza media il ragazzo più
carino della scuola si prese una
cotta per me. Il mio primo pensiero
fu: scommetto che posso batterlo.
Poi invece pensai: scommetto che
posso costringerlo a baciarmi... E
mi trasformai in una ragazza nel giro
di una notte. Una metamorfosi. Il
ragazzo era Bobby... Mia sorella
Erin era leziosa e a modo fin dalla
nascita, e non immagini quanto mi
desse fastidio chiederle aiuto per
sembrare carina. Ovviamente questo
la faceva gongolare.»
«Bobby?
Dall’epoca
delle
medie?»
«Già. Stemmo insieme per tutto il
liceo e ci sposammo che non
avevano ancora diciannove anni.»
«Così giovani» osservò Ian.
«Eh, sì. Le nostre famiglie
volevano che aspettassimo, ma poi
si convinsero... noi non riuscivamo a
toglierci le mani di dosso, e io credo
che i nostri parenti cedettero
sperando che ci dessimo una
calmata. Il giorno del matrimonio gli
amici inventarono una serie di
battutacce, per esempio che io
portavo i pantaloni della tuta sotto il
vestito bianco in modo da poter
cominciare
subito
con
la
ginnastica... cose così.»
«E funzionò? Voglio dire, vi deste
una calmata?»
«Se non altro non ci tastavamo in
pubblico» rise lei. «Adesso però
tocca a te, Buchanan. Raccontami.
Tu eri la star musicale del liceo,
chissà quante ragazze ai tuoi piedi...
no?»
Ian fece un sorrisetto. «Ero una
specie di puttana, lo ammetto...» E
lei rise così forte che nel ristorante
molte teste si girarono.
«Insomma, niente senso morale»
disse poi.
«Poco» ammise lui. «Rischiai
anche di mettere nei guai un ragazza
che quasi non amavo.»
«Quasi? Vuoi dire che dicevi
loro di amarle solo per fartele?»
«Cerca di capire, ero un
ragazzo!»
«Allora lo facevi davvero... ma
che cane!»
«Ero un cucciolo, piuttosto. I
Marine erano stati un’idea di mio
padre, ma l’idea gli si ritorse contro.
Non solo il Corpo cominciò a
piacermi, ma un Marine con la sua
bella divisa non fa fatica a
rimorchiare le ragazze.»
«Mio fratello Drew è un po’ come
te. È un bel ragazzo, intelligente e
divertente, e ogni mese ha una
ragazza diversa. È un tale farfallone
che sembra impossibile possa
diventare un dottore.»
«Un dottore?» domandò Ian con la
bocca piena.
«Eh già. Frequenta la facoltà di
Medicina. Mia sorella è avvocato,
mio fratello sarà un dottore, e io ho
finito a stento il liceo.»
«Oh, andiamo... sono sicuro che
eri una studentessa eccellente.»
«No. Mi mantenevo nella media
del sei quando andava bene. Ma
avevo altre cose per la mente, come
il divertimento e Bobby. Adesso
sono molto più seria.»
«Mi sarebbe piaciuto conoscerti
allora... dovevi essere un’autentica
mina vagante. Che genere di dottore
pensi diventerà tuo fratello?»
«Di questo passo, sicuramente un
ginecologo.»
Lo scambio di battute andò avanti
per tutta la cena. Per Marcie era
tutto molto piacevole e divertente,
ma non così diverso da altre
occasioni in cui era stata in
compagnia a ridere e scherzare.
Immaginava che per Ian, dopo la
solitudine degli ultimi anni, fosse un
evento eccezionale: ma dal modo in
cui gli scintillavano gli occhi,
pareva che si sentisse bene anche
lui.
La parata cominciò dopo cena,
quando era ormai buio. Ian
parcheggiò il pick-up su una strada
che sovrastava la statale e per un
po’ guardarono lo spettacolo da lì,
ma poi decisero che avrebbero visto
meglio fuori del veicolo e si
sedettero sul cofano. I camion, come
aveva detto lui, erano magnifici:
decorati con luci intermittenti, con
Babbi Natale montati sulla cabina,
con scene della natività o paesaggi
innevati sul pianale di carico. Erano
dipinti
di
ogni
colore
dell’arcobaleno, e i guidatori
suonavano il clacson a distesa in
risposta agli applausi del pubblico
schierato ai due lati della strada.
Dopo essere rimasta in piedi
all’aperto per un’ora, il viaggio di
ritorno nel pick-up privo di
riscaldamento faceva letteralmente
tremare di freddo Marcie. Così Ian
suggerì di passare da Virgin River
prima di salire su per la montagna.
Se non era troppo tardi, disse,
potevano bere qualcosa di forte per
riscaldarsi.
L’albero illuminato, con la
magnifica stella ardente come un
faro, li guidò fino alla meta. Quando
entrarono nel locale di Jack,
trovarono alcuni clienti, le luci
soffuse e un bel fuoco scoppiettante
nel caminetto, e andarono a sedersi
al banco di fronte a lui.
«Ehi, bene arrivati» sorrise Jack.
«Posso fare una telefonata mentre
sono qui?» domandò Marcie.
«Vorrei assicurarmi che Erin sia
tornata a casa sana e salva.»
«Ma certo. Intanto ti preparo
qualcosa?»
«Un brandy, per favore» disse lei
scendendo
dallo
sgabello.
«Morbido, e non troppo forte.»
«Arriva subito. E per te?»
domandò a Ian mentre lei andava in
cucina.
«Una schnapps.»
Jack mise i due bicchieri sul
bancone. «Hai approfittato degli
sconti natalizi dal barbiere?»
domandò.
«Molto divertente. Ma il tuo
motto non era parla se i clienti
parlano, taci se loro stanno zitti?»
«Sì, però sappiamo anche leggere
le facce. E la tua non ha traccia di
infelicità... un look del tutto nuovo.»
«Ho portato Marcie a vedere la
parata dei camionisti» disse lui. «Tu
l’hai mai vista?»
«Sì, un paio di volte. Stasera Mel
e mia sorella ci hanno portato
David, ma io avevo troppi clienti.
La gente viene da tutta la contea a
vedere quel maledetto albero. Mi
aspetto di veder entrare i Re Magi
da un momento all’altro.»
«È un albero niente male»
osservò Ian.
«Grazie, ma l’anno prossimo ne
faremo uno molto più piccolo. Mel
si era fissata con questo albero
enorme, ma non hai idea di quant’è
stato complicato. A un certo punto
abbiamo addirittura pensato di
affittare un camion dei traslochi per
portarlo in paese.»
Ian ridacchiò e bevve un sorso dal
suo bicchiere. «Che cosa ti ha
portato qui, Jack? A Virgin River?»
«Dopo vent’anni nei Marine, vuoi
dire? Cercavo un po’ di pace e di
tranquillità. Volevo riprendere fiato,
e pensare.»
«Ma guarda. E io che pensavo di
aver avuto un’idea originale.»
Jack rise. «Poi è arrivata
Melinda, e adesso pace e tranquillità
appartengono al passato.»
«Certo ti sei messo in una
situazione terribile» fece Ian.
«Già. Una bella bionda nel mio
letto ogni mattina al risveglio»
sogghignò Jack. «Ti assicuro, una
sofferenza senza fine.» Poi, prima
che Ian rispondesse, Marcie tornò e
si sedette accanto a lui.
«Tutto bene» disse. Bevve un
sorso di brandy e sospirò contenta.
«È buonissimo, Jack.»
«Non so quando hai intenzione di
tornare a casa, Marcie» proseguì lui,
«ma la vigilia di Natale qui
organizziamo una riunione. Dal
momento che non abbiamo una
chiesa, e il giorno di Natale
Preacher chiuderà il locale per
passare la festa con la sua famiglia,
il ventiquattro la gente del paese si
radunerà attorno all’albero con le
candele accese, per cantare tutti
insieme le carole natalizie.»
«Davvero? A che ora?»
«Non sarà una messa di
mezzanotte, poco ma sicuro» rise
lui. «Qui sono quasi tutti rancher o
proprietari di fattorie, e cominciano
a lavorare all’alba anche il giorno di
Natale. So che si pensa di
cominciare verso le otto, e che la
cerimonia durerà circa un’ora. Noi
andiamo a Sacramento per le
vacanze, perciò non ci saremo. Ma
se sei ancora qui, vieni.»
«Oh, lo farò» promise lei.
Nonostante il liquore arrivarono a
casa morti di freddo, e Ian rifornì di
legna
la
stufa
prima
di
accompagnare Marcie alla latrina.
Entrambi tennero addosso giubbotti
e stivali fino a quando la capanna
non si fu riscaldata. Poi Marcie
distese il sacco a pelo sul divano e
vi si infilò vestita, togliendo solo gli
stivali.
Ian stava srotolando il suo
giaciglio davanti al fuoco quando la
sentì dire sottovoce: «Grazie per la
bellissima serata, Ian. È stata la
migliore che io abbia trascorso da...
da anni». E poi sbadigliò.
Lui non si mosse. Una strana
sensazione gli bloccava il respiro,
gli gonfiava il petto e gli inumidiva
gli occhi. No, grazie a te!, avrebbe
voluto dire. Ma temeva di non
riuscire a tirar fuori la voce. Lei non
aveva idea di come lo avesse
cambiato, nella mente e nel cuore, il
solo fatto di aver qualcuno vicino,
con cui parlare e ridere. Quella
monellaccia dalla testa rossa era
arrivata da lui come un angelo, lo
aveva tirato fuori dal suo isolamento
e per la prima volta dopo anni gli
aveva fatto sentire che viveva,
anziché solo esistere. Non era sicuro
di meritare quel dono, dopo aver
chiuso fuori il mondo come aveva
fatto... e dopo aver cercato di
spaventarla per rimandarla da
dov’era venuta.
Il problema era che non credeva
di poter tornare alla vita silenziosa e
anonima di prima. Eppure non aveva
alternative... e non aveva nient’altro,
a parte la capanna e due o tremila
dollari che gli dovevano durare tutto
l’inverno. Non aveva conti in banca,
lui, non aveva assegno della
sicurezza sociale, non aveva
pensione. Poteva mettere in vendita
la proprietà, ma probabilmente non
avrebbe trovato un compratore per
anni. E non aveva nient’altro da
vendere o barattare.
Avrebbe potuto pregarla di
rimanere, ma temeva che non
sarebbe mai stato capace di
costruirle un bagno interno. Si era
lasciato andare poco per volta fino a
non avere praticamente nulla, e
aveva addirittura assaporato le sue
privazioni come se le meritasse. Poi
era
comparsa
Marcie:
e
d’improvviso lui si era sentito ricco.
Si stava preparando a dirle
qualcosa come: No, Marcie, sei
stata tu a rendere perfetta questa
serata, quando la sentì russare
sonoramente. Scrollò la testa e
ridacchiò tra sé. Dormiva bene su
quel divano pieno di bozzi. Segno
che era in pace, anziché provare
irritazione per tante scomodità.
In questo si somigliavano, loro
due. Lei sapeva adattarsi al poco,
come lui, eppure nella sua vita
aveva tanto di più: la famiglia, il
lavoro, gli amici. Una vita piena.
Ian sfilò i jeans e indossò una tuta,
poi si sdraiò davanti alla stufa. Ma
il sonno tardava a venire. Pensava a
come la sua vita fosse cambiata di
botto, come adesso sembrasse piena
di possibilità, mentre solo due
settimane prima lo aspettava
un’infinita serie di giorni tutti uguali,
per sempre. Da tempo non pensava a
che cosa sarebbe stato di lui in
futuro; e anzi, sembrava che un
futuro non ci fosse per niente.
Le vecchie abitudini sono dure a
morire. Per un attimo pensò che era
il momento di ignorarla, di
respingerla, e che le strane emozioni
di quella sera sarebbero svanite
molto presto. Ma sapeva di non
volerlo fare. No, avrebbe permesso
che gli accadesse questo miracolo
per un altro po’. Lei avrebbe
riempito la sua vita di gioia, poi
sarebbe partita; e lui avrebbe
esaminato i suoi sentimenti in un
secondo tempo. Poteva pensare a lei
come a un regalo di Natale. Un
meraviglioso assaggio di quello che
avrebbe potuto essere la sua vita in
altre circostanze.
Gli ci volle parecchio per
addormentarsi. E si era appena
assopito che sentì un rumore e riaprì
gli occhi. Marcie era vicino a lui,
avvolta nel sacco a pelo e con i
capelli ritti in testa per averci
dormito su. «Ho freddo, anche con il
sacco a pelo» disse.
«Metto un altro po’ di legna»
rispose lui. Si alzò e aggiunse due
ciocchi nella stufa. Poi si sdraiò di
nuovo lasciandole un po’ di spazio e
l’attirò a sé. «Vieni qui, ragazzina.
Fatti scaldare.»
«Mmh... proprio quello che mi ci
voleva.»
«Anche a me» sussurrò lui
dandole un leggero bacio sulla
tempia.
«Posso dirti una cosa?»
Ian rise. «Non sei ancora stanca
di parlare?»
Lei lo ignorò. «È quella faccenda
del matrimonio... sai, con Shelly.»
«In questo momento non ci
pensavo proprio» replicò lui
attirandola più vicino.
«Sì, ma vedi, volevo solo dirti...
ho preso parte a quattro matrimoni,
compreso il mio. E tutte le spose, a
un certo momento, arrivano alla fase
in cui contano solo loro e la loro
cerimonia. È facile dimenticare che
l’aspetto importante è il matrimonio,
non la cerimonia. Poi la realtà
riprende il sopravvento. Certe spose
sono peggiori di altre... ma
probabilmente Shelly non intendeva
dire quello che disse.»
Ian tacque per un attimo, incapace
di richiamare alla memoria il viso di
Shelly. Poi domandò: «Quattro?».
«Mmh?»
«Quattro matrimoni?»
«Già. E sono stata due volte
madrina. Anzi a marzo lo sarò di
nuovo, perché la mia amica Mable
aspetta il suo primo figlio.»
Ian ridacchiò. «Hai davvero
un’amica che si chiama Mable?»
«Sì... lei sostiene che è la
vendetta di sua madre per tutte le
nausee che le ha provocato durante
la gravidanza. Ma noi la chiamiamo
Maybe. Suo marito si chiama
William detto Will, e tutti gli amici
li chiamano Maybe Will.»
«Hai un sacco di amici. Sono
contento per te» osservò lui.
Lei si accoccolò contro la sua
spalla. «E adesso ho anche te, e ne
sono molto contenta.» Sbadigliò di
nuovo. «Ma questo ti volevo dire a
proposito del matrimonio con
Shelly... credo che ti sia andata
molto meglio così.»
Lui rise. Oh, eccome, pensò. Non
ero destinato a finire con Shelly.
«Adesso basta parlare» mormorò
lei.
«Bene.»
Ian chiuse gli occhi, ma un ultimo
pensiero si affacciò alla sua mente.
Le rare volte che si era concesso di
pensare a Marcie, l’aveva sempre
immaginata sola e disperata. Ma non
aveva capito invece che era una
moderna
Abigail
Adams,
instancabile, positiva, ottimista. Non
aveva mai pensato che potesse
essere così.
Benché stesse sulla cima della
montagna, non vedeva così lontano
come amava credere.
13
Marcie si svegliò sentendo che
qualcosa le toccava i capelli. Aprì
gli occhi e si trovò a fissare quelli
castani di Ian. Era appena l’alba, e
lui le stava accarezzando i riccioli
rossi. «Buongiorno» disse lei ancora
assonnata.
Ian non disse nulla, si chinò e
appoggiò le labbra su quelle di lei,
dolcemente. Marcie avvertì il tocco
della sua barba, la morbidezza di
quelle labbra sulle sue, e chiuse gli
occhi. Dopo un momento gli cinse il
collo con un braccio e sospirò
contenta.
Ian si staccò da lei. «Tesoro...
siamo sepolti dalla neve.»
«Bene.»
Lui le ravviò i capelli dietro
l’orecchio «Ero geloso di Bobby,
sai» disse dopo un po’.
«Attento...
stai
parlando
dell’argomento proibito.»
«Sono disposto a dirti tutto quello
che vuoi. Eravamo tutti un po’ gelosi
di Bobby, perché lui aveva te. Ed eri
speciale... gli avevi mandato un paio
di mutandine.»
Lei arrossì e lo guardò con gli
occhi sgranati. «Te le fece vedere?»
esclamò.
«Le fece vedere a tutti» ridacchiò
Ian. «Erano molto succinte... verde
mela, mi pare, con dei bordi di pizzo
nero.»
«Non posso credere che le
mostrasse a tutti!»
«Oh, ne era molto fiero. Le teneva
nella tasca interna, come un amuleto.
E poi gli mandasti quella tua foto
sulla motocicletta...»
Lei si coprì la faccia con le mani.
«Sono mortificata» disse con la
voce soffocata.
Ian le scostò le mani e la baciò di
nuovo.
«Sicché la notte in cui sono quasi
morta assiderata era la seconda
volta che mi vedevi con indosso la
sola biancheria» osservò lei.
«Tecnicamente ho visto la tua
biancheria parecchie altre volte. In
un paio di occasioni, tornando a
casa ti ho trovata addormentata con
il sederino che spuntava dalle
coperte... senza contare tutte le tue
cose che asciugavano sul bordo
della vasca da bagno.» Sospirò
lievemente. «E darei la vita per
vederti di nuovo così.»
Marcie sgranò di nuovo gli occhi,
poi si lasciò sfuggire una risatina.
«Nella mia limitata esperienza ho
sentito diverse avance... ma questa è
proprio nuova. Dovrò spararti dopo
che ti ho lasciato guardare?»
«Se ti dicessi che dovrai spararmi
per impedirmelo, ti spaventerebbe?»
«Non mi spaventi affatto, Ian. So
che mi proteggerai sempre – anche
contro di te.»
Lui coprì di piccoli baci la sua
faccia. Il suo respiro si stava
facendo più affannoso, la sua voce
più sommessa. «Voglio dirti una
cosa. L’idea che qualcosa del genere
potesse accadere tra noi non mi
aveva mai nemmeno sfiorato la
mente, finché...»
«Finché?» lo incitò lei in una
pausa.
«Finché non sei tornata. Ma non è
necessario
che
accada,
sai.
Dimmelo, se non vuoi.»
«Oh, Ian» rise lei, «quanto parli!»
Le pagliuzze dorate negli occhi di
lui si accesero, e la sua bocca coprì
quella di lei con forza e passione.
Un braccio passò sotto di lei per
stringerla meglio; il braccio di lei
ricambiò, attirando Ian contro di sé.
Il corpo di Marcie si inarcò,
incollandosi a lui, avido, esigente.
Doveva averlo, ma non per puro
desiderio fisico. Era proprio lui che
voleva, Ian, a cui ormai era legata in
modo indissolubile.
Senza interrompere il bacio Ian
cominciò ad accarezzarla, poi
insinuò la mano sotto la maglia di lei
per sfiorarle i seni, sospirando di
piacere. E poi l’aiutò a sfilarsi la
maglia e i jeans, facendoli scivolare
lungo i fianchi e le gambe. Infine si
tolse la T-shirt e rimase lì, a
contemplarla. «Dio mio» disse in un
sussurro colmo di reverenza.
«È così che mi guardavi la sera
che mi hai salvato la vita?»
domandò Marcie. «Quando mi hai
spogliata e mi hai tenuta stretta per
riscaldarmi?»
Lui crollò la testa, con un
sorrisetto malizioso sulle labbra.
«Allora non avevo in mente niente di
divertente. Ma questa volta sì...»
«Bene» disse lei chiudendo gli
occhi. «Molto bene.»
Allora Ian ricominciò a baciarla,
sul collo, le spalle, il petto, il
ventre. Insinuò un dito sotto
l’elastico delle mutandine – molto
succinte, come sempre – e disse:
«Avrei voglia si strappartele a
morsi...».
Lei ebbe un piccolo brivido.
«Posso sempre comprarne delle
altre.»
Ian rise, una profonda risata di
gola. Questo era uno dei tratti che
amava in lei, la sua voglia di
scherzare. Ma amava anche il suo
corpo minuto, solo in apparenza
fragile... e i suoi capelli di fiamma, i
suoi occhi verdi come smeraldi.
Forse sarebbe stato più facile
elencare quello che non gli piaceva
– ma non riusciva a trovare proprio
niente.
Per prima cosa fece sparire il
reggiseno, e accarezzò i piccoli seni
con la lingua strappandole dei gemiti
di piacere. Poi abbassò la testa,
prese tra i denti l’elastico delle
mutandine e le tirò giù facendole
scivolare lungo le gambe. Finì di
sfilarle con la mano e poi tornò a
baciarla sulla bocca, a lungo.
«Una rossa naturale» osservò
carezzandole i fianchi e le natiche
sode.
«Come potevi dubitarne?» ribatté
lei. «Specialmente dopo due
settimane fra i boschi...»
«Marcie, tesoro» sussurrò lui.
«Voglio sentire che sapore hai.
Devo, capisci?»
«Dio mio» sussurrò lei. «Se
devi...» E dischiuse le gambe.
Ian si abbassò e seppellì il volto
tra i riccioli rossi, finché sentì le
dita di lei che gli afferravano i
capelli e udì le sue piccole grida di
estasi. Si rialzò e raggiunse la sua
bocca. «Amore, sei pronta»
sussurrò.
«Per te. Sono pronta per te.»
Allora, con un calcio, lui si liberò
dei pantaloni della tuta e si abbassò
tra le gambe di lei. La trovò, la
penetrò lentamente, ma lei aveva
fretta e si inarcò contro di lui,
attirandolo più a fondo dentro di sé.
Fissandosi negli occhi, le labbra che
si toccavano appena, rimasero
immobili
per
un
momento
assaporando la gioia di essere uniti.
Poi Marcie chiuse gli occhi con un
sospiro e lui cominciò a muoversi,
dapprima
trattenendosi,
poi
aumentando il ritmo, spingendosi più
a fondo dentro di lei, finché non
accadde tutto insieme: le dita di lei
che gli artigliavano le spalle, le
anche spinte in alto verso di lui, e
una serie di fremiti pulsanti che lo
avvolsero in un fuoco liquido. Solo
allora cedette e si abbandonò,
seguendola nell’estasi.
Poi la tenne stretta a lungo, con le
labbra sul suo collo, mentre il loro
respiro si faceva più calmo e i corpi
madidi di sudore si rilassavano.
«A che hai pensato mentre
accadeva?» domandò lei dopo un
po’.
Ian rispose la semplice verità.
«Pensavo: grazie a Dio non ho
dimenticato come si fa.» Marcie
rise di gusto e gli carezzò la schiena.
«E tu?»
«Oh, io ho pensato: Grazie a Dio
non ha dimenticato come si fa.»
Ma lui non rise. Le accarezzò i
capelli e sussurrò: «Sei davvero
speciale, tu. Non pensavo che
accadesse, ma...». E non terminò la
frase.
Marcie gli appoggiò una mano
sulla guancia. «È bello quello che
mi dici, Ian. Sei speciale anche tu.
Infatti ti ho permesso di spogliarmi
dopo neanche dieci giorni che ti
conosco.»
«Be’, mi hai permesso ben di
più.»
«Perché volevo che tu facessi
l’amore con me. Penserai che sono
una cattiva ragazza.»
«Infatti sei una cattiva ragazza, la
migliore che ci sia al mondo – come
a scuola eri la peggiore monellaccia
di tutti. Ma sei anche la cosa
migliore che mi sia mai capitata.
Stavo morendo, lo sai... e tu hai
cambiato la mia vita. È quello che
hai sempre voluto, no? Cambiare le
cose... essere diversa da tutti. Come
la tua diletta Abigail.»
«È la frase più carina che mi
abbiano mai detto» sorrise lei.
Ian sfiorò le sue labbra con un
bacio. «Non ti sto schiacciando?»
domandò.
«No. E non muoverti, per favore.
Voglio godermi la sensazione di
essere parte di te.»
Lui avrebbe voluto dirle che
sarebbe stata parte di lui per sempre
– ma non voleva spaventarla. «Va
bene. E allora, se sei d’accordo, ti
vizierò un po’.»
«Sembra interessante... come hai
intenzione di viziarmi, sentiamo?»
«Per cominciare eviterò di
spalare la neve per liberare la
strada» rispose lui. «Che ne dici?»
«Mi sembra un paradiso» sorrise
Marcie. «Un vero paradiso.»
Finalmente Ian e Marcie si
vestirono con una certa riluttanza e
uscirono per controllare a che punto
era la neve. La neve continuava a
cadere, lentamente, dolcemente, e si
accumulava sul terreno.
Marcie uscì per usare la latrina
per prima, poi toccò a Ian. E quando
uscì,
si
ritrovò
da
solo.
Probabilmente lei era tornata in
casa, al caldo, pensò preparandosi a
seguirla. Fece qualche passo, e
venne colpito in piena faccia da una
palla di neve. Si ripulì e vide
Marcie che faceva capolino da
dietro un albero, ridendo. «Te
l’avevo detto, no, che ero brava a
softball? Infatti ho fatto centro!»
Ian si mise all’inseguimento con
un ruggito che venne accolto con una
gran risata. Era più forte di lei e più
abituato a camminare nella neve, ma
lei era agile e veloce e riuscì a
colpirlo con due o tre palle di neve
mentre gli sfuggiva. Corse tra gli
alberi, girò attorno al deposito degli
attrezzi, si beccò un paio di proiettili
nella schiena ma li ricambiò. La
caccia finì quando inciampò in una
radice nascosta dalla neve e atterrò
a faccia in giù.
Ian corse al suo fianco e la girò,
preoccupatissimo, ma vide che
rideva e sputacchiava la neve che
aveva ingoiato. Non c’era niente che
la disturbasse?, pensò lui. Che la
spaventasse, o la facesse entrare nel
panico? Si chinò a baciarla con
passione, e quando fu in grado di
parlare, lei disse: «Aspetta... prima
di rientrare facciamo gli angeli di
neve!».
«Non me lo sogno nemmeno»
replicò lui. «Se Buck mi vedesse, mi
sarei rovinato la reputazione per
sempre.»
«Uno solo, dai... Il tuo sarà bello
grande, come l’arcangelo Gabriele.»
«Poi però rientriamo? Basta con
le stupidaggini qui fuori?»
«Ma io pensavo che fare
stupidaggini fosse la tua attività
preferita!» replicò lei raccogliendo
una
manciata
di
neve
e
strofinandogliela in faccia.
Con un ruggito lui balzò in piedi,
se la caricò su una spalla come un
sacco di patate e la riportò nella
capanna. Prima di entrare la rimise
in piedi e le spazzò via la neve dagli
abiti, poi fece altrettanto con i
propri.
«Hai dimenticato come si gioca»
lo accusò lei.
«Tu giochi abbastanza per tutti e
due.»
Entrò, e senza togliersi il
giaccone mise a scaldare dell’acqua.
«Ti do un po’ di privacy mentre
spalo il sentiero fino alla latrina e
aggancio lo spazzaneve al pick-up.
Ce la fai a sollevare le pentole da
sola?»
«Ma come, liberi la strada così
presto?» domandò lei delusa.
«Non proprio. Faccio un paio di
passaggi fino alla strada, ma non c’è
bisogno che gli altri lo sappiano.
Voglio solo evitare di restare
bloccato per davvero. Mi fai un
favore? Quando hai finito con il tuo
bagno, scaldi dell’acqua anche per
me?»
«Ma certo» sorrise lei. «E se
sarai molto gentile con me può darsi
che ti lavi la schiena.»
L’inverno era sempre stato un
peso per Ian, e spalare la neve per
avere accesso alla latrina e alla
strada era una gran fatica. Ma la
pesante nevicata di quella notte era
stata una benedizione. Sarebbe stato
bello tenere Marcie prigioniera
nella capanna per due settimane...
ma in realtà non poteva permettersi
che un giorno e una notte.
Dopo aver spalato un sentiero
fino alla latrina, Ian agganciò la
lama spazzaneve al pick-up e lo
caricò con della legna per renderlo
più stabile. Coprì la legna con un
telo cerato e scese lentamente lungo
la strada d’accesso alla capanna.
C’erano circa cinquanta centimetri
di neve, ma se avesse liberato la
strada quel giorno l’indomani non
sarebbe stato così difficile rifare il
percorso.
Un paio di miglia più a valle
abitava un vecchio che non
possedeva una lama spazzaneve, e il
cui trattore era abbandonato e fuori
uso fin da quando Ian era arrivato
fra quelle montagne. La strada
d’accesso dalla casa del vicino fino
alla statale non era molto lunga; Ian
decise che l’indomani sarebbe
andato da lui per assicurarsi che
avesse cibo a sufficienza, e gli
avrebbe liberato la strada. Non
erano amici, e in quegli anni si erano
scambiati sì e no qualche parola. Ma
Ian non sopportava l’idea che
l’uomo potesse morire di fame o di
freddo, abbandonato a se stesso.
Fargli visita non gli sarebbe costato
niente.
Quando finalmente ritornò alla
capanna, Marcie esclamò: «Alla
buon’ora! Credevo di dover uscire
per venire a darti una mano!».
Lui si tolse i guanti. «La strada è
libera, se per caso dovessimo
andarcene da qui. Ma non vedo
perché dovremmo... È pronta la mia
acqua calda?»
«Sissignore. E se ti comporti bene
ti cucino due uova, prima che
vadano a male.»
Lui si tolse il giubbotto e lo
appoggiò sulla spalliera di una
sedia. «E adesso, mentre mi tolgo i
vestiti e mi lavo, tu leggerai il tuo
libro?» domandò.
La risposta fu un sorrisetto
malizioso. «Nemmeno per sogno!»
Furono solo due notti e un giorno,
ma per Ian furono un ritorno alla vita
– e per Marcie, pura magia.
Mangiarono molto, fecero l’amore,
sonnecchiarono di fronte alla stufa,
parlarono. La fine del secondo
giorno li trovò sdraiati insieme sul
divano, Ian appoggiato al bracciolo
e Marcie accoccolata contro di lui,
con la testa sul suo petto. La grossa
mano di lui le accarezzava i capelli
di fuoco, facendoli scorrere tra le
dita.
«Dimmi qualcosa di più di tua
sorella» disse. «Non vi somigliate
per niente...»
«Per niente» confermò lei. «Ma ci
sono tre Erin diverse. Se vuoi i
dettagli mettiti comodo.»
«Sono comodissimo» sorrise lui.
«Ecco, mentre crescevamo e lei
era tanto più grande di noi, era solo
una
sorella
maggiore
molto
autoritaria. Credo sia nell’ordine
naturale delle cose, ma ancora di più
quando manca la madre. La figlia
maggiore ne assume il ruolo, e
spesso è una gran seccatrice. Ma
quando perdemmo anche nostro
padre e lei si ritrovò da sola a
badare a noi, le cose cambiarono.
Eravamo troppo grandi per essere
accuditi come prima: avevamo
tredici e quindici anni, ci
adattavamo a modo nostro, avevamo
le nostre vite. Io avevo Bobby,
Drew aveva lo sport e gli amici. A
pensarci bene fummo davvero
ingrati, perché non offrimmo alcun
sostegno morale a Erin. Lei stava
cominciando la facoltà di legge, che
era davvero impegnativa, e noi non
le dicevamo nemmeno un parola di
incoraggiamento... ma eravamo degli
stupidi ragazzini egoisti, che non
capivano niente.»
«Glielo dicesti, naturalmente»
osservò lui. «Quando te ne rendesti
conto.»
«Naturalmente. Stavo per mettere
di nuovo a soqquadro la sua vita, ma
se non altro all’epoca lei era già un
avvocato e lavorava in un buono
studio legale. Fu allora che gettai la
bomba del matrimonio. Lei cercò di
farmi ragionare, ma io avevo una
sola cosa in mente. Ci furono feroci
litigi e pianti disperati, ma alla fine
Erin fece quello che avrebbe fatto
nostro padre, e mi regalò una
magnifica cerimonia.»
«Te la regalò lei?»
«Lei o mio padre, dipende da
come vedi la cosa. Dopo la morte di
papà, Erin aveva tenuto da parte il
denaro della sua assicurazione per
pagare gli studi a me e Drew. Ma io
non volevo studiare, non mi
interessava, volevo solo sposare
Bobby. E dal momento che non
riusciva a convincermi, Erin fece
l’unica cosa che mi avrebbe resa
felice. Io sapevo che disapprovava
ferocemente la mia decisione, ma
durante la cerimonia fu magnifica e
sorrise tutto il tempo. Non era
dispiaciuta perché si trattava di
Bobby, anzi lo adorava. Era solo
perché eravamo tanto giovani. Poi
Bobby tornò a casa, invalido. E mia
sorella, che avevo contrastato e
contraddetto per anni, si trasformò
nel mio sostenitore più tenace. Mise
a frutto il suo cervello acutissimo e
la sua preparazione legale per
ottenere tutti le agevolazioni
disponibili dal Corpo dei Marine.
Sai com’è, vero, cercare di ottenere
qualcosa dai militari... bisogna
essere ostinati, non mollare mai la
presa. Dei veri bulldog. Certi hanno
dei colpi di fortuna e ottengono case
più grandi o l’assistenza di
CHAMPUS, ma altri devono
aspettare e aspettare finché non si
smuove qualcosa. E questo richiede
energia, e tempo. Erin fece migliaia
di telefonate, scrisse centinaia di
lettere, si rivolse addirittura al
senatore del nostro stato. E infine
trovò quella meravigliosa casa di
cura. Tu l’hai vista, no? Bella,
elegante, perfetta. Be’, si sporcava
le mani anche lei, aiutava a lavare
Bobby, a cambiare le lenzuola, a
lavargli i denti, a mettergli le gocce
negli occhi. Lo teneva fra le braccia
e gli parlava, come tutti noi. Dava
una mano in tutti i modi. Fu davvero
magnifica.»
Ian sentiva un nodo in gola. Cercò
di vedere nel ruolo di infermiera la
donna piena di arie che era venuta a
portar via Marcie. Non riusciva
nemmeno a immaginarla mentre
usciva nella neve per una spedizione
a l l a toilette, come amavano
chiamarla scherzosamente.
«E sono queste le tre Erin?»
«No, sono le prime due. La
sorella maggiore autoritaria e
maligna e la figura materna
dominante. Poi c’è quella che hai
conosciuto, l’avvocato di successo.
Guadagna bene, i clienti sono
soddisfatti di lei e i soci dello studio
la portano in palmo di mano. La sua
principale preoccupazione siamo
ancora Drew e io, e lei si adopera
perché possiamo avere tutto quello
che ci occorre. Ma ha trentaquattro
anni, ed è sola. Ha avuto qualche
fidanzato – che è durato molto poco
– ma viviamo tutti e tre nella stessa
casa, a parte il breve periodo in cui
io ho vissuto con Bobby. Erin non ha
altro nella vita, a parte noi. Ci ha
dato tutto. Appare fredda, autoritaria
e forse calcolatrice, ma in realtà ha
sacrificato tutto a noi, anche la sua
vita privata. Alla sua età dovrebbe
essere sposata, o almeno innamorata
di qualcuno. Invece ha passato ogni
minuto libero ad assicurarsi che noi
non mancassimo di niente – io con
Bobby, Drew al college e poi
all’università.
Non hai
idea
dell’impegno e del denaro che ci
vogliono per studiare medicina.
Drew non ce l’avrebbe mai fatta
senza Erin, così come io non avrei
saputo che fare con Bobby senza il
suo aiuto. Le devo moltissimo. Ci
litigo quando cerca di farmi fare
quello che vuole, ma le devo tutto.»
Ian la baciò sulla tempia. «Già,
pare anche a me.»
«Ecco perché le ho promesso di
essere a casa per Natale» disse
Marcie. Si voltò a guardarlo.
«Vorrei stare qui per sempre, ma
gliel’ho promesso. E non è solo per
Erin, c’è anche la famiglia di Bobby.
Mi considerano un figlia e una
sorella, tutto quello che abbiamo
passato insieme ci ha legati per
sempre.»
«Lo capisco. Te la sei cavata
molto bene quassù. La vita qui è
dura.»
«Non è poi così dura. Certo, ti si
gela il didietro quando la natura
chiama, e adesso mi porto sempre la
padella pesante... Ma uscirei a
gelarmi quando vuoi, pur di vedere
quel cervo che ti mangia in mano.»
«Be’, il trucco del cervo
addomesticato dopo un po’ ti
verrebbe a noia» sorrise lui
avvolgendosi un ricciolo rosso
attorno al dito. «Quando hai deciso
di venire quassù, che cosa credevi
che sarebbe successo?»
«Questo certo no» rise lei. «Anzi,
lo ritenevo proprio impossibile.»
«Ma che cosa volevi?»
«La pace» rispose Marcie. «Per
entrambi. Volevo dirti quello che
era successo nel mondo, e volevo
assicurarmi che stessi bene in modo
che tutti e due potessimo riprendere
a vivere con l’animo in pace.» Si
raddrizzò e si inginocchiò tra le
lunghe gambe di lui, guardandolo in
faccia. «Ian, perché l’hai fatto?
Perché sei rimasto qui così a lungo,
senza farti vivo con nessuno?»
«Te l’ho detto, ero accampato qui
e...»
Marcie scrollò il capo. «No,
c’erano altri motivi. Capisco che tu
ti sia imbattuto in questo posto e
abbia finito col fermarti, ma non ci
fu un evento traumatico che ti spinse
a lasciare il mondo?»
Ian aggrottò la fronte. «Credi che
debba essere per forza così? Jack mi
ha detto che è venuto quassù per
stare solo e riflettere...»
«Sì, ma poi si è messo a lavorare.
E nella sua vita ci sono parecchie
persone che dipendono da lui. Il tuo
mi sembra un caso diverso. Fu per
colpa di Shelly? Per la faccenda del
matrimonio?»
«Fu tutto quanto» disse lui
accarezzandole
una
guancia.
«Troppo, e tutto insieme. Fallujah e
Bobby. Shelly e mio padre...»
«Ma non ti è pesato lasciare
Shelly?» insistette lei.
Ian distolse lo sguardo per un
momento. «Ti faccio una domanda.
Shelly ti ha mai telefonato? Ha mai
fatto visita a te e Bobby? O sei stata
tu a metterti in contatto con lei?»
«Stavo cercando te...»
La risposta fu sufficiente. «Nelle
mie lettere, prima dell’incidente a
Fallujah, avevo suggerito a Shelly di
telefonarti. Vivevate nella stessa
città. Bobby era un mio amico.»
«Sì, ma vedi...»
«Lo so, lo so. Quello che accadde
a me e Bobby fu una delle ragioni
principali per cui dovetti prendermi
un po’ di tempo. Shelly sapeva
quello che era accaduto, sapeva che
Bobby era invalido e che tu lo
curavi. Sapeva che eri stata in
Germania, poi a Washington e infine
a casa, eppure non ti scrisse
nemmeno un biglietto, né ti chiamò.
Viveva nella tua stessa città, il
migliore amico del suo fidanzato era
in quelle condizioni, e io avevo
rischiato la vita per portarlo in
salvo...» Ian fece una smorfia amara.
«Non credevo che fosse quel tipo di
persona. Credevo che fosse
generosa, che avrebbe...»
«Ian» lo interruppe lei, «quando
tornammo a Chico nemmeno io la
cercai di nuovo. L’ho fatto solo
quando ho deciso di ritrovare te.»
«Di nuovo?» domandò lui
scrutandola.
Colta in fallo, Marcie abbassò gli
occhi. «Prima di Fallujah le avevo
telefonato» confessò. «Dato che tu e
Bobby eravate buoni amici, pensavo
che avremmo potuto vederci... ma
lei era molto occupata. Si fece dare
il mio numero e disse che se avesse
avuto un po’ di tempo libero mi
avrebbe telefonato.»
«E non trovò mai il tempo, vero?
Non me lo disse mai, ma io lo
sospettavo.» Ian inspirò a fondo.
«Tu eri presa giorno e notte dalle
cure a Bobby, lei organizzava un
matrimonio. La differenza è
spaventosa. Scopro che Shelly
aveva un visione limitata, vedeva
solo quello che le interessava. E non
sono sicuro che io facessi parte di
quella visione.» Le sfiorò di nuovo
una guancia. «Avevi ragione, mi è
andata proprio bene. Non ne ero
sicuro, ma sapevo che c’era
qualcosa di storto in tutta la
faccenda.»
«Già... oltre a tutto il resto» disse
Marcie. «E tuo padre? Che cosa
fece, lui?»
Ian distolse di nuovo lo sguardo.
«Niente che non avesse fatto tutta la
vita» ammise poi. E poiché voleva
essere sincero con lei, continuò:
«Era sempre stato molto difficile da
accontentare, pensava che facendomi
costantemente
pressione
sarei
diventato un uomo, ma non lo ero
mai abbastanza. Io avrei voluto un
parola di elogio, un sorriso di
incoraggiamento, ma non li ebbi
mai».
«E tua madre?»
Lui sorrise teneramente. «Oh, mia
madre era incredibile. Lo amava,
qualunque cosa facesse lui. E con lei
io non dovevo fare niente di
speciale per farmi considerare un
eroe. Se cadevo a faccia in giù lei
sorrideva orgogliosa e diceva: Hai
visto come sa cadere bene? Che
bravo!. Quando ebbi la parte in quel
musical lei pensò che fossi l’attore
più bravo che la città avesse mai
visto, ma mio padre mi domandò se
ero gay.» Fece una risatina amara.
«Mia madre era la persona più
generosa, gentile e dolce della terra.
Sempre positiva, sempre paziente.
Mio padre poteva avere uno dei suoi
attacchi di umor nero e trovava che
tutto andava storto: la cena non
sapeva di niente, la partita in TV non
si vedeva bene, la batteria della
macchina si stava esaurendo, il suo
lavoro era uno schifo, i vicini erano
troppo rumorosi... E mia madre,
invece di dirgli: Ma perché non ti
decidi a crescere, vecchio stronzo
brontolone,
sorrideva.
“John”
diceva, “scommetto che ho qualcosa
che ti farà tornare il buonumore...
oggi ho fatto la torta al cioccolato.”»
Marcie
sorrise.
«Era
meravigliosa.»
«Oh, sì. Anche quando lottava
contro il cancro era così forte, così
serena che io ero convinto che ce
l’avrebbe fatta. Mio padre, invece,
era sempre più cupo e irascibile. E
sì che l’avevo capito abbastanza
presto, lui era fatto così e basta. Non
mi aveva mai picchiato, non alzava
nemmeno la voce. Non si ubriacava,
non spaccava i mobili, non si
dimenticava di andare al lavoro,
ma...»
«Ma che faceva?» domandò lei.
Ian batté le palpebre due o tre
volte. «Sapevi che mi avevano dato
delle medaglie per aver salvato
Bobby a Fallujah?»
Marcie annuì. «Anche Bobby ne
ricevette.»
«Bene, mio padre era presente
quando fui decorato. Se ne stava lì,
ritto come un fuso, e ringraziava tutti
quelli che si congratulavano con lui.
Ma a me non disse una parola.
Qualche tempo dopo, quando gli
comunicai che lasciavo i Marine, mi
disse che ero un fallito, che non
sapevo apprezzare i privilegi che
avevo. E poi disse...» Ian si
interruppe per un momento e deglutì.
«Disse che non si era mai
vergognato tanto di me in tutta la
vita, e che se me ne fossi andato non
sarei più stato suo figlio.»
Invece di scoppiare in lacrime per
simpatia, Marcie gli carezzò la
guancia e sorrise. «Insomma, è stato
lo stesso per tutta la vita.»
Ian fece un sorrisetto malinconico.
«Lo stesso. Un maledetto figlio di
puttana.»
«Non ci sono scuse per uno così»
disse lei. «La gentilezza non costa
nulla!»
Ian inarcò un sopracciglio.
«Davvero?»
«Davvero. Dovrebbe vergognarsi.
Tutti possono essere almeno civili, e
invece quando l’ho visto ho capito
subito che era un uomo sgradevole e
meschino.»
«Tra un po’ mi dirai che non sarò
mai veramente libero finché non
l’avrò perdonato» commentò lui.
«Sai come si dice, non per la
persona che è stata orribile, ma per
te stesso.»
«Da me non lo sentirai dire di
sicuro» disse lei. «Certo, se fosse
lui a chiedere perdono...»
«Nooo... non succederà mai.»
«Già, non me lo aspetterei
neanch’io. L’ho conosciuto, ricorda.
E niente di quello che mi hai detto
mi stupisce.»
«Io non lo odio, giuro, ma non
vedo perché dovrei prendermi il
disturbo di dirgli: Per me va
benissimo se sei il più gelido figlio
di puttana di questo mondo. A che
scopo?»
Marcie gli appoggiò la testa sulla
spalla. «Già, perché dovresti? È
molto improbabile che cambi, Ian, e
tu certo non puoi far niente per
cambiarlo. Adesso capisco. Adesso
andrà tutto bene.»
«Che cos’è che capisci?»
«Eri ferito nell’anima. Avevi
perso il tuo migliore amico anche se
se tecnicamente era ancora vivo –
una
complicazione
che
probabilmente rendeva tutto ancora
peggiore. La tua storia d’amore
vacillava. Questo succede molto
spesso, quando un soldato torna a
casa da una zona di guerra...
scommetto che succedeva già
all’epoca della prima guerra
mondiale se non prima. Peccato che
sia andata così, ma non credo che tu
avresti potuto rimediare. Naturale
che ti servisse un po’ di tempo...»
«Adesso capisco che avrei avuto
bisogno di aiuto. Ma se qualcuno me
lo avesse offerto allora, gli avrei
spaccato la faccia.»
«Ne sono sicura. Probabilmente
avevi una quantità di rabbia repressa
– e avevi tutto il diritto di averla. Il
minimo che una persona possa fare
in questi casi è cercare di capire ed
essere paziente. Chi ti voleva bene
avrebbe dovuto...»
«Be’, si è scoperto che non avevo
nessuno che mi volesse bene» disse
lui sottovoce.
Marcie alzò la testa e lo fissò
negli occhi. «Adesso ce l’hai. E
voglio ringraziarti, perché dovevo
capire che ti era successo. Non
volevo altro, e tu non eri obbligato a
dirmelo ma lo hai fatto.»
Ian le ravviò una ciocca di
capelli. «Però avevi una tua idea su
quello che sarebbe successo quando
mi avessi trovato. Ammettilo.»
«Be’, sì» ridacchiò lei. «Ma non
comprendeva del sesso favoloso.
Pensavo che ti avrei trovato, ti avrei
detto alcune cose che ti avrebbero
messo l’animo in pace, e poi ti avrei
riportato a casa.»
«A casa?»
«A Chico, o in qualsiasi posto ti
sentissi a casa. Molti del tuo
squadrone venivano a visitare
Bobby e mi domandavano se sapevo
dov’eri. Non eri solo come pensavi
– ma adesso credo che avresti
qualche difficoltà a rintracciarli. Sei
stato lontano troppo a lungo. Quando
la gente pensa che non la vuoi
vedere, alla fine ti lascia in pace.»
«Non tutti» rise lui.
«Te l’ho detto, posso essere più
testarda di te.»
«Allora, dimmi
di
questa
faccenda del perdono che non
accetti» riprese lui.
«Oh, Ian, sono nella tua stessa
situazione. Se qualcuno mi facesse
qualcosa di orribile e non si
scusasse mai, né mi chiedesse
perdono, io certo non mi darei la
pena di perdonarlo.»
«E che mi dici di Dio?»
«Dio capisce tutto, ma perfino lui
fa degli errori ogni tanto. Guarda la
dimensione dei semi di avocado, per
esempio. Troppo grossi. E i
melograni, con tutti quei semi? Che
spreco!»
Lui rise forte. «E allora come si
fa per non avercela con chi si
comporta male con noi?»
Marcie lo guardò di nuovo negli
occhi, e il suo sguardo color
smeraldo era pieno di dolcezza. «Li
accettiamo per quello che sono, e se
non possiamo amarli come fratelli
cerchiamo di capirli e lasciamo che
se la vedano da soli con i loro
problemi. Buon Dio, questa non è
già un’impresa? Accetta tuo padre
com’è, Ian, un povero stronzo che
non è mai stato felice un solo giorno
in vita sua. E a cui tu non somigli
affatto.»
Lui cercò inutilmente di trattenere
le lacrime. Passarono alcuni minuti
durante i quali Marcie guardò quegli
occhi umidi senza paura. Ormai non
temeva più nulla, né la sua collera
né i suoi ruggiti, e nemmeno le
lacrime.
«Come fa una ragazza così
giovane e così testarda ad acquisire
tanta saggezza?» domandò Ian dopo
un po’.
«Saggezza? Non credo di averla,
ho solo imparato a resistere. Non ho
sofferto quello che hai sofferto tu,
ma ho fatto del mio meglio... tutto
qui. E voglio dirti un’altra cosa, Ian.
Non ti ho amato solo con il mio
corpo. Ci ho messo anche il cuore,
spero che tu lo sappia.»
«Oh, lo so.» La baciò dolcemente,
poi domandò: «E che cos’ha che non
va? Mio padre, intendo. Mi hai detto
che era malato».
«Ha avuto il cancro alla prostata
ed è ancora sotto chemioterapia, ha
il morbo di Parkinson, è reduce da
un leggero attacco cardiaco e temo
che soffra anche di demenza senile.
Ma potrebbe durare anni.» Sorrise e
aggiunse: «Potresti tornare a casa
con me, per Natale».
Ian tacque per un momento. «No.
Non credo.»
«Perché no? Temi che la gente
della contea rimanga senza legna da
ardere? O che la capanna venga
sepolta dalla neve?»
Lui le sorrise. «Piccola, non
posso negarlo: tu hai cambiato la
mia vita in soli dieci giorni, ma non
abbastanza da ripulirmi e riportarmi
in città. Tu e io... be’, è molto bello,
ma credo che non sia destinato a
durare. Non doveva nemmeno
accadere.»
«Ma non ti dispiace che sia
accaduto» disse lei.
«Sai bene che non mi dispiace.
Ne sono felice.»
«Forse, se mi fermassi un po’ di
più...»
«Credi che mi convinceresti? Che
potresti trasformarmi in un uomo
diverso, che potresti strapparmi
dalla mia capanna cadente e fare di
me un uomo civilizzato?»
Marcie scrollò il capo. «Non mi è
mai venuto in mente niente del
genere – e sei più civilizzato di tanti
uomini che conosco. Ma sto
pensando che se mi fermassi qui un
po’ più a lungo tu rideresti di più,
canteresti per la gente anziché per
gli animali della foresta, e forse
inviteresti la bibliotecaria a bere
qualcosa.»
«Già» rise lui. «Ma prima dovrei
trovare il modo di convincerla che
non sono un idiot savant.»
«Se io tornassi a trovarti mi
chiuderesti fuori?» domandò lei.
«Mi faresti dormire in macchina?»
Ian rise scrollando la testa. «No.»
Ma pensò fuggevolmente: Potrebbe
tornare una volta, forse due. E poi
non sarebbe più tornata, perché lui e
la sua capanna non sarebbero
cambiati. E Marcie meritava molto
di più di un Marine malconcio che si
era nascosto nei boschi.
«Visto che non vuoi venire con
me, mi fermo fino alla vigilia di
Natale. Partirò la mattina seguente,
magari non all’alba, ma arriverò in
tempo per cena. Sono solamente
poche ore di viaggio.»
«Erin non sarà contenta» osservò
lui. «Ti vuole a casa subito.»
«Be’, dovrà aspettare. Faccio
quello che posso... e non voglio
lasciarti. Vorrei non lasciarti mai.»
Ian preferì cambiare argomento.
«Pensi che sia troppo presto per fare
di nuovo l’amore?»
«No» sorrise lei.
Lui l’attirò a sé. Era meglio non
aggiungere le parole Ti amo a tutti i
problemi che c’erano, pensò. La
situazione era già abbastanza
difficile per lei. Invece la baciò con
tutta la passione di cui era capace, e
la
accarezzò
con
dolcezza
promettendo altra passione.
La mattina dopo, quando Marcie
si svegliò, lui se n’era andato. E
aveva lasciato un biglietto: Amore,
sono in giro a vendere legna e a
liberare un po’ di strade qui
intorno. Torno presto. Ian.
«Amore» sussurrò lei. Piegò il
biglietto in quattro, poi lo mise al
sicuro nel portafoglio. Per sempre.
14
Ian consegnò l’intero carico di legna
in poco tempo, e ricevette ordini per
tre altri carichi, ognuno da mezzo
quintale. Tra caricare e consegnare
ci avrebbe messo un’altra giornata
intera, e così per Natale i suoi
clienti avrebbero avuto il loro bel
caminetto acceso. La sua scorta di
legna si stava esaurendo, il che
rientrava nei suoi piani. Aveva
spaccato legna per tutta la
primavera, l’estate e l’autunno,
mettendola a seccare in cataste
ordinate, proprio con la speranza di
vendere tutto quanto in poche
settimane.
Arrivò a Virgin River poco prima
di mezzogiorno e parcheggiò davanti
al bar, ma non entrò. Si avvicinò
all’albero, esaminò da vicino le
diverse mostrine, poi si guardò
intorno e constatò che era solo.
Allora estrasse dalla tasca alcuni
oggetti a cui aveva assicurato dei fili
metallici, in modo da poterli
appendere ai rami dell’albero. La
mostrina della sua divisione – la
stessa di Bobby. Il Purple Heart. E
la Stella di Bronzo. Medaglie che
venivano conferite per atti di grande
coraggio e valore. Le fissò ai rami,
in pochi minuti.
«Farò in modo che ti siano
restituite» disse una voce alle sue
spalle.
Ian si voltò e vide Mel Sheridan.
Era avvolta strettamente nel
giaccone e aveva le mani in tasca
per difendersi dal freddo e dagli
occasionali fiocchi di neve. «Non
sarò qui per Natale» continuò,
«perché andiamo a trovare la
famiglia di Jack. Ma dirò a Paige, la
moglie di Preacher, di tenerti da
parte le medaglie quando recupera
le mostrine. Non bisogna perderle,
sono importanti.»
«Non mi preoccupo di quello che
può succedere alle medaglie»
replicò lui. «Non mi servono a
molto, adesso.»
Mel ridacchiò. «Questa l’ho già
sentita.»
«Ah, sì?»
«Da mio marito, per esempio.
Siete proprio strani, voi Marine. Vi
addestrate a compiere gli atti che
meritano le medaglie, ma poi non
volete metterle in mostra. Jack
voleva addirittura disfarsene, ma per
fortuna suo padre gliele ha
confiscate per metterle al sicuro.
Jack diceva che non sono le
medaglie ad essere importanti, sono
gli uomini. Perciò, se riesci a
ricordare gli uomini insieme alle
medaglie, direi che va bene... Farò
in modo che tu le riabbia.»
«Grazie» disse Ian sottovoce.
«Ma secondo me stanno meglio
qui.»
«Per adesso» precisò Mel.
«Immagino che Marcie debba
tornare a casa tra poco, ma se tu sei
qui la vigilia di Natale...»
«Sì, l’ho saputo» disse Ian. «Una
cerimonia qui in paese. Non so se...»
«Be’, qui non siamo formali e non
chiediamo prenotazioni. Se ti va...»
E gli sorrise.
«Gentile da parte tua. Adesso
devo andare. C’è un tale piuttosto
vecchio, che vive vicino a me e non
ha lo spazzaneve...»
«È generoso da parte tua badare a
lui, Ian.»
«Non è che faccia niente, solo...»
Poi Ian si interruppe alla vista di
Jack, Preacher e Mike che uscivano
di corsa dal bar, infilandosi i
giacconi e reggendo i loro fucili.
«Jack, che succede?» domandò
Mel.
Lui era diretto al suo camion e
non si fermò. «Travis Goesel si è
perso. Manca da ieri sera. La sua
famiglia lo ha cercato dappertutto
intorno alla fattoria e nei campi,
inutilmente.» Gettò una sacca di tela
sul camion e aggiunse: «David è con
Brie».
«Si è perso?» domandò ancora
Mel. «Ma come avrà fatto?»
«Stava seguendo un leone di
montagna. Quello ha ammazzato il
suo cane, e allora lui ha preso il
fucile e gli è andato dietro. È un
buon cacciatore e un ottimo tiratore.
Ma dovrebbe sapere che non è il
caso di rimanere fuori la notte, con
questa neve.»
«Dov’è la fattoria dei Goesel?»
domandò Ian.
«Conosci la zona di Pauper’s
Pond?» rispose Jack.
«Sì, più o meno. Il fiume che
scorre vicino a casa mia alimenta un
paio di ruscelli e uno stagno... se è
quello, la fattoria è a ovest rispetto a
me. Quel puma è stato anche sul mio
terreno.»
«Come fai a sapere che è lo
stesso?»
«Era aggressivo, e non è scappato
come fanno di solito.»
«Ah, davvero? Visto che conosci
la zona non potresti darci una
mano?»
Ian non vedeva l’ora di tornare
dalla sua ragazza, e tanto più adesso
che quel puma era in giro e aveva
sete di sangue.
«Il ragazzo ha sedici anni»
continuò Jack, «ed è forte e robusto.
Ma sono d’accordo con suo padre, il
fatto che non sia tornato è
preoccupante. Non so cos’è peggio,
che lo uccida il puma o il freddo.»
«Bene» disse Ian. «Se il ragazzo
sa il fatto suo non sarà salito verso
casa mia. Io posso cominciare dalla
base della montagna andando verso
ovest, e tu puoi fare altrettanto verso
est. Che ne dici? D’altra parte
teniamo presente che un ragazzo di
quell’età può camminare per miglia
e miglia.»
«Suo padre, con i fratelli e
qualche vicino, stanno passando al
setaccio i boschi attorno alla
fattoria. Noi cercheremo nell’area
più esterna.» Jack riprese la sacca
dal suo camion e disse: «Preacher e
Mike possono andare a ovest, io
verrò con te e procederemo verso
est».
«Il mio pick-up non ha
riscaldamento» disse Ian.
«Sì, ma hai lo spazzaneve e
questo potrebbe tornarci utile.
Bisognerà che me ne procuri uno
anch’io, da agganciare al mio
camion. Anch’io ho una strada
piuttosto ripida per andare alla
nuova casa.»
Ian guardò Mel. «Ho lasciato
Marcie molto presto stamattina per
consegnare la legna. Lei non capirà
perché non sono rientrato, e se cerca
di scendere in paese con la sua
macchina...»
«Facciamo così, appena avrò
messo David a letto per il suo
sonnellino farò una corsa fin da lei
per dirle che sta succedendo. Va
bene?»
«Dille che dovrà restare in casa.
Protesterà, perché non le va di
arrangiarsi in casa senza andare alla
toilette fuori. Ma dille che il puma è
di nuovo in giro e che è sempre più
feroce.»
«Glielo dirò. Tu fai attenzione,
per favore. E, Jack» aggiunse a voce
più alta, «fai attenzione anche tu!»
Jack
sorrise
alla
moglie.
«Tornerò presto, Melinda. Travis ha
dei regali che lo aspettano sotto
l’albero, perciò dobbiamo riportarlo
a casa. Tu intanto bada ai miei due
figli.
Coraggio,
Buchanan,
mettiamoci in cammino.»
I quattro uomini lasciarono la città
nei due veicoli, Ian con Jack e
Preacher con Mike. Presero la stessa
strada statale, e giunti al bivio che
portava alla fattoria dei Goesel si
divisero.
Mike
e
Preacher
svoltarono a sinistra, Ian e Jack
proseguirono per aggirare la fattoria
dall’altro lato. «Quanta terra hai
lassù, attorno alla capanna?»
domandò Jack.
«Seicentosessanta acri» ripose
Ian. Jack fischiò. «Ma è tutto rocce e
boschi, in una zona dove ci sono
limitazioni al taglio degli alberi.
Perciò è una gran distesa di niente.»
«Niente, a parte la bellezza e la
quiete.»
«C’è un fiume dove la pesca è
abbondante. Anche la caccia frutta
bene. E poi taglio gli alberi per
farne legna da ardere, un po’ qua e
un po’ là. Credo che il vecchio
Raleigh ci si fosse installato
abusivamente.»
«Come
l’hai
conosciuto?»
domandò ancora Jack.
Ian rise. «Stavo vagando per la
montagna senza una meta, mi
accampavo qua e là, cacciavo i
conigli. Poi, di botto, arrivò
l’inverno. Raleigh era già più
vecchio di Noè, e non riusciva più a
spaccarsi la legna per la stufa. Così
mi diede un tetto in cambio di un
aiuto nei lavori pesanti.»
«Un colpo di fortuna, per te.»
«Sì, ma anche un’arma a doppio
taglio. Raleigh si ammalò e a quel
punto gli occorreva un infermiere,
oltre a tutto il resto.»
Jack ridacchiò. «Devi aver tenuto
duro, visto che sei ancora là.»
«Non ne avevo idea» disse Ian
scrollando le spalle. «Ma lui scrisse
una specie di testamento che Doc
controfirmò. Se non mi avesse
lasciato la proprietà, a quest’ora
forse avrei già capito che cosa fare
della mia vita...»
«Amico, non c’è niente di male
nell’avere più di una scelta. Adesso
dovremmo parcheggiare lungo la
strada e proseguire a piedi.»
«Conosco una strada che ci
porterà intorno alla collina. Solo
altre due miglia, e arriveremo più in
fretta al punto che vogliamo. Dimmi
di questo ragazzo. Perché ha fatto
una sciocchezza del genere?»
«Hai mai avuto un cane?»
«Sì... Velvet, un Labrador nero.»
Velvet era cresciuta con lui, ed era
arrivata fino all’età di quattordici
anni: finché la sua schiena era così
incurvata e le sue zampe così storte
che faceva male solo a guardarla.
Bisognava intervenire perché non
soffrisse più, ma lui non riusciva a
decidersi. Aveva diciassette anni, e
lei era la sua migliore amica da una
vita.
Una mattina, mentre si preparava
per la scuola, sentì suo padre
maledire il cane e capì che la
povera Velvet aveva fatto un
disastro durante la notte. Ormai era
vecchia e malata, e non sempre
riusciva a trattenersi fino all’ora
della passeggiata. «Questa bestia
dev’essere abbattuta» dichiarò suo
padre.
Temendo di tornare a casa da
scuola e non trovarla più, Ian non ci
andò e portò Velvet dal veterinario.
E la tenne fra le braccia mentre lei si
addormentava, senza più soffrire.
Non poteva sopportare l’idea che
morisse da sola, e suo padre era
capacissimo
di
portarla
dal
veterinario, mollarla lì e lasciare
che se ne andasse per conto suo.
Nella morte, la sua espressione
era tranquilla e in pace, molto più
che negli ultimi mesi. Vedendola
così, Ian avrebbe dovuto essere
felice e sollevato. Non sarebbe
vissuta ancora a lungo in ogni caso.
Per questo l’aveva tenuta fra le
braccia fino all’ultimo. Non voleva
arrivare a casa e scoprire che non
c’era più, voleva restare con lei e
accompagnarla, come Marcie aveva
voluto fare con Bobby. Deglutì.
La perdita di Velvet lo aveva
distrutto. Si era nascosto in un posto
isolato, per piangere disperato senza
che i suoi genitori o gli amici lo
vedessero in quello stato.
«Era da un po’ che quel puma si
aggirava nella fattoria» continuò
Jack. «E i cani erano sempre riusciti
a cacciarlo, proteggendo le capre e
le galline.»
«Quanti anni aveva il cane del
ragazzo?» domandò Ian.
«Non so, sei o sette. Era un cane
da pastore, una Border Collie
chiamata Whip. I Goesel hanno una
mezza dozzina di cani da pastore,
bestie che vivono all’aperto, ma
Travis aveva scelto quella da una
cucciolata e l’aveva allevata sé. Per
un po’ l’avevano seguita anche gli
scout del suo gruppo, e ancora
adesso pare che la cagna dormisse
nel letto di Travis. Goesel
ovviamente disapprovava. Sai come
sono gli agricoltori con i loro cani,
non si lasciano prendere dal
sentimentalismo. Non so come il
puma sia riuscito ad arrivare fino al
cane – di solito non si cimentano con
loro perché quelli sanno difendersi.»
«Credo che anch’io avrei dato la
caccia al quel figlio di puttana»
disse Ian a denti stretti.
«Già» replicò Jack annuendo.
«Avevo anch’io un cane, un grosso
cane chiamato Spike. Non molto
fantasioso come nome. Era un
animale
quasi
perfetto,
ma
permetteva alle mie sorelle di
vestirlo... e ti assicuro che questo mi
dava la nausea. Non capisco come
potesse lasciarsi umiliare in quel
modo.»
Ian gli diede un’occhiata.
Immaginava un grosso pastore
tedesco in tutù e un ragazzo con
l’aria disgustata, e scoppiò a ridere.
«Guarda che non era per niente
divertente» protestò Jack.
«Oh, scommetto che lo era.» Ian
fermò di botto il pick-up
all’imbocco di una stretta curva
sulla sinistra e disse: «Dammi un
minuto». Scese dal posto di guida,
prese alcuni attrezzi dalla cassetta
che stava sul pianale e allentò le viti
che tenevano la lama spazzaneve
agganciata al parafango anteriore.
Afferrò la lama e la tirò con forza
per cambiare angolazione, riassicurò
le viti e tornò al volante.
«Il mio spazzaneve non ha i
comandi idraulici che si azionano
dalla cabina» spiegò. «È piuttosto
vecchio e bisogna regolarlo a mano,
ma funziona benissimo.»
«Però non vedo strade» osservò
Jack. «Tu sì?»
Ian rise. «So dov’è la strada.»
«E come fai?»
«La sento sotto le ruote.
Rilassati.»
Jack appoggiò saldamente i piedi
sul pavimento e si sostenne al bordo
del cruscotto. «Mi rilasserò quando
sarò sicuro che non finiamo in una
scarpata. Vai piano.»
Ian ridacchiò. «Allora» riprese,
«se il ragazzo è passato di qui
dobbiamo cercare delle tracce, un
rifugio oppure...»
«Oppure un corpo» disse Jack.
«Se si è perso, magari, ha seguito
il fiume o la strada» continuò Ian.
«Prima che cadesse la notte può
aver trovato uno dei vecchi sentieri
usati dai boscaioli. Quando sono
coperti di neve non si vedono, ma si
capisce dove sono seguendo la linea
degli alberi. Come sto facendo io
adesso.»
«Io non sono ancora sicuro che
davanti a noi non ci sia una grossa
buca nascosta dalla neve» replicò
Jack. «Dovresti andare un po’ più
piano.»
«E tu dovresti rilassarti. Conosco
molto bene questa zona.» Dopo dieci
minuti fermò il pick-up e disse:
«Adesso continuiamo a piedi, va
bene?».
«D’accordo.»
Ian prese la torcia che teneva nel
cruscotto e staccò un fucile dalla
rastrelliera del pick-up, e Jack aprì
la sacca di tela. «Ho un solo razzo
di segnalazione» disse, «ma ho
portato un passamontagna e una
sciarpa in più. Meglio che tu li
metta. Cominciamo a cercare lungo
questa strada, ma poi ci separiamo.
E se trovi qualcosa spara due volte.
D’accordo?»
«D’accordo» Ian si abbottonò il
giaccone, rimpiangendo di non aver
indossato i mutandoni di lana quella
mattina. Poi passò due volte la
sciarpa attorno al collo e si coprì
parzialmente la faccia. In quel
momento la sua folta barba gli
avrebbe fatto comodo, pensò.
«Forse il cane non era magro e
sparuto come gli altri perché Travis
lo viziava un po’ di più» rifletté
come se conoscesse il ragazzo e il
cane. «E questo può essere stato uno
svantaggio.»
«Già, è probabile» concordò
Jack. «Come va la tua torcia? Ti
servono delle batterie?»
«A dire la verità non lo so.»
Jack prese dalla sacca una pistola
che infilò nella cintura, alcune
batterie e due bottiglie d’acqua che
diede a Ian. Ian mise tutto in tasca e i
due si incamminarono, guardando
attentamente a destra e a sinistra del
sentiero.
«Io vado da quella parte, in quel
folto d’alberi» disse Jack dopo un
po’.
«Bene, io vado di là» disse Ian. E
si separarono. Ian si diresse verso il
fiume con gli occhi fissi sul terreno,
ma senza dimenticare di alzare lo
sguardo verso gli alberi di tanto in
tanto, nel caso il puma stesse
giocando a nascondino. E intanto
pensava al ragazzo, ricordando
com’era stato lui a diciassette anni.
Una testa calda, affezionato a poche
cose importanti – tra cui il suo cane.
E anche molto arrabbiato con suo
padre, in generale. Suo padre era
una persona crudele in un suo modo
aggressivo-passivo. Non lasciava
mai una mancia, guidava lentissimo
nella corsia del sorpasso, non aveva
mai la minima dimostrazione di
affetto per nessuno. Ogni biglietto
d’auguri
era
firmato Papà e
Mamma, ma da sua madre. Ogni
parola che usciva dalla bocca del
padre era aspra o critica.
Dopo la morte di Velvet, Ian
aveva smesso di fingere che non gli
importasse. Era più alto e più forte
di suo padre e gli teneva testa,
rispondendogli per le rime – ma
aveva capito ben presto che sua
madre ne soffriva moltissimo. Lo
pregava di lasciar perdere, di
ignorare le critiche continue del
padre. «Come fai a sopportarlo?»
gridava lui. «Dovrebbe baciarti i
piedi, e invece ti tratta come un
schiava!»
E sua madre, la sua dolcissima
madre, diceva: «Ian, mi è fedele e
lavora duramente per mantenerci.
Non sarà romantico né affettuoso,
ma mi ha dato te. E se anche da lui
non avrò mai nient’altro, tu sei il
regalo più prezioso del mondo».
Non è abbastanza, aveva pensato
lui. Arruolarsi nei Marine gli era
sembrato il modo più rapido per
andarsene lontano, in un posto da cui
poteva mantenere i contatti con la
madre senza dover sopportare anche
il padre.
Poi sua madre era morta, ed erano
venuti gli incarichi in Iraq. Suo
padre era tutta la famiglia che gli era
rimasta, ed era terribilmente
inadeguato. Dopo l’Iraq, dopo alcuni
problemi che erano dovuti alla
sindrome
da
disturbo
posttraumatico – questo lo sapeva pure
lui – Ian aveva cominciato a temere
che sarebbe diventato come suo
padre. Attaccava briga con gente che
nemmeno conosceva: qualcosa gli
dava fastidio e lui perdeva il
controllo e menava pugni. E anche
se il Corpo dei Marines aveva finto
di non vedere per un certo periodo,
Ian si rendeva conto che non poteva
andare avanti così. Era stato un
leader forte e rispettato, e adesso
stava diventando uno stronzo che
non si adattava più a niente e a
nessuno. A quel punto se n’era
andato, sperando di poter tornare ad
essere un uomo che gli altri
ammiravano e seguivano.
Suo padre gli aveva detto:
«Questa è una fuga da vigliacco. Se
te ne vai, non sei più mio figlio».
«Per te non lo sono mai stato»
aveva risposto lui, altrettanto gelido.
Continuò ad esaminare il terreno,
cercando le eventuali tracce lasciate
dal ragazzo: cespugli o rami
spezzati, gocce di sangue, impronte
sulla neve.
Poi i suoi pensieri andarono a
Marcie. Quand’era entrata a forza
nella sua vita, non l’aveva trovata
bella o sexy. In effetti, non l’aveva
nemmeno considerata come donna:
era
malata,
pallida,
smunta,
vulnerabile. Attraente come un pollo
bollito. E quando aveva cominciato
a riprendersi, quando le sue guance
avevano recuperato un po’ di colore,
non era stata la sua bellezza a
conquistarlo, al contrario. Era stata
la sua grinta, la sua voglia di
combattere, la sua ostinazione. Ian
aveva sempre apprezzato le persone
dotate di fegato.
Era lì da nemmeno una settimana,
e dalla scintilla che brillava nei suoi
occhi già si capiva che avrebbe
ottenuto quello che voleva, avrebbe
detto quello che pensava, e al
diavolo le conseguenze. Non
avrebbe potuto somigliargli di più,
aveva pensato allora. E l’aveva
apprezzata ancora di più, seppure a
malincuore.
E poi, lentamente, Marcie aveva
cominciato a piacergli. Anche se
voleva interferire nei suoi affari e
scombinargli la vita, lo faceva con
una ostinazione che lui non poteva
fare a meno di ammirare. E non
agiva solo per se stessa, anzi: lo
faceva per il marito morto, per la
famiglia di lui, per Ian, per quel
padre scorbutico e arcigno che Ian
era assolutamente deciso a non
imitare... ma a cui forse somigliava
già.
Quando Marcie aveva sfidato la
raffinata sorella maggiore per
tornare nella sua polverosa capanna,
Ian era stato definitivamente
conquistato. Tanta determinazione a
stare con lui, a risolvere la
questione che considerava non
conclusa, quale che fosse, lo aveva
colpito al cuore. Forse nemmeno lei
sapeva bene perché fosse tornata,
ma non era disposta a lasciar
perdere. E aveva la folle idea che
poi sarebbe andato tutto bene... Che
lo avrebbe riportato a quello che era
prima, l’amico di suo marito, il
leader coraggioso, il soldato senza
paura. Non un poveraccio che si era
isolato dal mondo perché odiava se
stesso. No, l’uomo di cui suo padre
avrebbe dovuto essere fiero, se non
fosse stato troppo amaro e meschino.
Dio mio, pensò. Non posso essere
diventato come mio padre!
Poi si riscosse e si costrinse a
pensare a Travis Goesel. Riprese a
esaminare con attenzione i rami, il
terreno, i cespugli rinsecchiti dal
gelo. Guardò il vecchio orologio e
scoprì che aveva camminato da solo
per più di due ore, e che ormai
erano le quattro. Restavano al
massimo due ore di luce. «Travis!»
chiamò. «Travis, rispondi... fammi
sapere che ci sei!»
Poi accelerò il passo, con gli
occhi puntati sul terreno, e gli venne
in mente che era bello far parte di un
gruppo. Non poteva vedere Jack e
gli altri uomini che erano dall’altro
lato della collina, ma si sentiva di
nuovo parte di un’unità che aveva
uno scopo comune. Non provava
quella sensazione da tempo. Era così
deciso a isolarsi, a cancellare con la
solitudine gli orrori della guerra,
che aveva dimenticato com’era
confortante quel sentimento di
fratellanza.
E
anche
questo,
doveva
ammetterlo, era successo solo
perché quella dannata testa rossa era
entrata nella sua vita. Era stata lei a
spingerlo. Lei a tirarlo fuori dal suo
bozzolo, benché non fosse pronto.
Ma se avesse lasciato il marito
disabile nelle mani di qualcun altro
e fosse venuta a cercarlo tre anni
prima, pensò ancora, sarebbe
riuscita a farlo uscire dal suo
isolamento? Probabilmente no. Si
era leccato le ferite per così tanto
tempo che era ormai abituato a
commiserarsi, e non avrebbe saputo
come smettere...
Ormai era stanco e gelato, e si
aggirava in quei boschi da ore.
Aveva sete, ma preferì mangiare
manciate di neve e tenere in serbo
l’acqua, in caso avesse trovato il
ragazzo e ne avesse avuto bisogno
per lui.
Poi notò una macchia di sangue e
alcune tracce fresche, appena
coperte da un nuovo strato di neve.
Era il puma, ed era ferito. Ian seguì
le tracce per un po’ e capì che
l’animale
si
trascinava
pesantemente, segno che la ferita era
grave. Poi pensò che se il ragazzo
sapeva il fatto suo, aveva scelto la
direzione opposta a quella presa dal
puma, e così fece anche lui.
Arrivò fino al fiume e continuò a
guardarsi intorno con attenzione,
mentre ormai calava la notte. Tra
poco sarebbe dovuto tornare al pickup, se non altro per mettersi
d’accordo con Jack e stabilire un
piano d’azione. Se dovevano
continuare le ricerche di notte,
bisognava vestirsi adeguatamente.
Ma per ora non se la sentiva di
abbandonare le ricerche.
Poi la notte cadde sul serio. Ian
proiettò la luce della torcia
sull’orologio, vide che erano le sei e
chiamò per la millesima volta:
«Travis! Travis!».
Il raggio della torcia cadde sulla
neve e lui vide una goccia di sangue,
poi un’altra e un’altra. Dunque il
ragazzo
era
ferito,
e
intelligentemente stava seguendo il
corso del fiume per tornare a casa.
Puntò la torcia sul terreno, e dopo
qualche metro vide un mucchio di
aghi di pino e rametti, non molto
lontano dalla riva del fiume.
Qualche tempo prima aveva ripreso
a nevicare, e il mucchio era coperto
da un leggero strato di neve fresca.
Ian diede al mucchietto un leggero
colpo con il piede, un paio di rami
caddero di lato e lui vide una
manica. Si gettò in ginocchio e
cominciò a scavare, e poco dopo
apparve la sagoma del ragazzo. La
faccia era terrea, le labbra livide,
gli occhi chiusi. Ian lo scrollò con
forza, senza capire se era vivo o
morto, e lo chiamò ad alta voce un
paio di volte.
Finalmente il ragazzo aprì gli
occhi e lo guardò con l’espressione
incerta di chi non sa dove si trova.
Cercò di umettarsi le labbra aride,
deglutì e mormorò: «Papà... mi
dispiace...».
«Gesù, Travis!» esclamò lui,
enormemente sollevato. «Va tutto
bene, figliolo, adesso va tutto
bene...» Lo spostò delicatamente sul
fianco e vide che il suo giaccone era
lacerato sulla schiena, e macchiato
di sangue. Il maledetto puma lo
aveva assalito alle spalle, ma grazie
all’imbottitura del giaccone non
aveva fatto gran danno, e la neve
aveva fermato il sangue.
«Lo
hai
preso,
figliolo?»
domandò.
«Non credo. Scusa, papà, mi
dispiace...»
Travis doveva essere in preda al
delirio, forse più per il freddo che
per la ferita. Ma grazie al cielo si
era coperto con aghi di pino e foglie
secche per mantenere un po’ di
calore. «Ti porto a casa, ragazzo
mio» disse Ian. «Resisti ancora un
po’.» Poi, agendo automaticamente
come gli era stato insegnato, sparò
due colpi nel tronco di un albero.
Tre spari erano il segnale standard
che ti eri perso, due la risposta di
una squadra di soccorso. Uno sparo
solo poteva essere scambiato per
l’opera di un cacciatore, e non
veniva usato quasi mai. E un Marine
addestrato non sparava mai in aria,
con il rischio che il proiettile
tornasse giù e colpisse un essere
umano.
Ian si mise il fucile a tracolla e
sollevò Travis fra le braccia. Come
aveva fatto con Bobby, pensò in un
lampo... ma adesso la situazione era
diversa, il corpo di Travis aveva
tono muscolare e il ragazzo reagiva
al dolore che si doveva essere
ridestato.
«Svegliati, Travis» esclamò Ian.
«Rimani sveglio! È stato il puma ad
assalirti, eh? Raccontami com’è
andata...»
E
si
incamminò,
procedendo più in fretta che poteva.
Il suo torace era ben protetto contro
il freddo dalla camicia di flanella e
dal giaccone imbottito, ma le gambe
e i piedi affondavano nella neve e si
stavano congelando. «Sei sveglio,
ragazzo?»
domandò
ancora,
ansimando per la fatica.
«Chi... chi sei?»
Sentendo la voce di Travis, Ian
rise sollevato. «Il tuo angelo
custode, ragazzo mio. Hai sparato al
puma?»
«Non lo so... non credo...»
«Ha lasciato delle tracce
insanguinate. Magari lo hai colpito
di striscio?»
«Non... non posso averlo colpito»
disse Travis parlando a fatica.
«Io scommetto di sì. Sei stato
bravo, quello sanguina molto più di
te...» replicò Ian. «Continua a
parlare. Raccontami come ti ha
ferito.»
La voce del ragazzo era sempre
più debole e confusa, ma lui obbedì.
«Mi ha assalito dall’albero...
l’avevo visto, stavo per prenderlo...
quel bastardo aveva ucciso il mio
Whip...»
«Sì, bravo, continua a parlare»
ansimò Ian, sempre più affaticato dal
peso di Travis e dalla difficoltà di
avanzare nella neve. «Siamo quasi
arrivati» disse ancora. Ma in realtà
non sapeva quanto distasse il suo
pick-up. Continuò ad arrancare,
sempre
più
lentamente.
Ma
conosceva quei boschi, e conosceva
il percorso del fiume che passava
nella sua proprietà. «Parlami» disse
ancora. «Raccontami della tua
ragazza.»
Travis ci provò, spiegò che si
chiamava Felicity, poi tacque.
Felicity, pensò Ian ridendo tra sé.
Doveva essere uno di quei nomi di
moda... «Vai avanti... sei innamorato
di lei, o cosa?»
«Lei è... è un brava ragazza...»
«Peccato. Sarebbe meglio che
fosse una cattiva ragazza. Tu non lo
sai ancora, ma le cattive ragazze ti
entrano sotto la pelle e non ti
mollano più... È carina?»
«S-sì... carina...» balbettò il
ragazzo.
«Bravo, continua a parlare» disse
lui deponendolo delicatamente a
terra. «Sparo due colpi per avvisare
che stiamo arrivando» spiegò. E
sparò altri due proiettili in un grosso
tronco poco lontano, tanto per
assicurarsi che ci fosse qualcuno nei
paraggi. Il ragazzo stava perdendo
rapidamente le forze, e Ian era
pronto a portarlo in paese e poi
tornare a cercare Jack, ma sarebbe
stato meglio di no...
«Ehi» gridò Jack. «Che cos’hai
trovato?»
«Il ragazzo» rispose lui con voce
roca per lo sforzo. Poi vide il pickup, un centinaio di metri più in là.
«Aspetta, ti aiuto» gridò ancora
Jack.
«Lo tengo io. Tu guida.»
«Ma non conosco la strada... non
la sento!»
Ian rise suo malgrado. «Amico, te
l’ho ripulita dalla neve due ore fa.
Coraggio, andiamo!»
Si avvicinarono al veicolo, Ian
sostenne il ragazzo e cercò in tasca
le chiavi del pick-up, poi le diede a
Jack. E infine salì al posto del
passeggero, tenendo in grembo un
ragazzo grande e robusto come un
uomo fatto. La testa di Travis
ciondolava, e lui lottava per tenere
gli occhi aperti.
Mentre Jack inseriva la chiave
nell’accensione, Ian aprì il giaccone
e la camicia del ragazzo, sollevò la
maglietta di cotone, poi fece
altrettanto con i propri abiti e
premette il torace nudo e gelido di
Travis contro il proprio, per
trasmettergli il suo calore.
Jack girò cautamente il volante
per cambiare direzione, poi
cominciò a scendere lungo la strada.
«La lama del tuo spazzaneve è
abbassata» disse. «Devo fermarmi e
tirarla su?»
«No. Faremo un servizio gratuito
alla contea.»
«Ma
la
lama
potrebbe
danneggiarsi...»
«E che importa?»
«Dove siamo diretti?» domandò
ancora Jack.
«Non so, dimmelo tu. Il ragazzo
ha bisogno di un medico.»
«Andiamo a Virgin River» decise
Jack. È meglio portarlo direttamente
in paese, dove Mel e Doc possono
dargli subito un’occhiata, piuttosto
che fermarci alla fattoria e chiamarli
perché vengano a vederlo. E poi noi
abbiamo l’ambulanza. Come sta?»
«Ha cercato di non congelarsi ed
è stato bravo, si è coperto con un
mucchio di aghi di pino e foglie
secche. Ma se avessimo tardato altre
due ore sarebbe stato troppo tardi.»
Strinse meglio a sé il corpo gelido
del ragazzo. «Il puma lo ha aggredito
e ferito, ma per fortuna il freddo e la
neve hanno fermato il sangue. Però
non sono un esperto... vai un po’ più
veloce, eh?»
«Sissignore» fece Jack.
Ian si sistemò sul sedile e si
appoggiò la faccia del ragazzo
contro la spalla, sentendo che la
carotide pulsava regolarmente.
Dopo qualche minuto Travis aprì gli
occhi e lo guardò stupito. «Chi sei?»
domandò con un filo di voce.
«La tua fata buona» rispose lui.
«Vedrai che andrà tutto bene,
ragazzo. Adesso bevi questo.» Prese
la bottiglia d’acqua dalla tasca del
giaccone e gliel’accostò alle labbra.
«Piano, mi raccomando... ecco,
bravo.» Poi strinse di nuovo il
ragazzo contro di sé. «Farò
aggiustare il riscaldamento di questa
carretta, fosse l’ultima cosa che
faccio» dichiarò. «Credo che tu
abbia colpito il puma, sai?»
«Gli ho sparato, ma lui mi è
balzato addosso e allora l’ho colpito
sulla testa con il fucile, più forte che
potevo. E lui è scappato...»
«Sanguinava parecchio. Devi
avergli dato una bella botta.»
«Sì, però non l’ho fatto fuori»
proseguì Travis debolmente. «L’ho
solo fatto scappare il tempo
necessario a seppellirmi sotto gli
aghi di pino...»
«Avevo un cane anch’io, una
Labrador» disse Ian. «È stata la mia
migliore amica per anni, e dormiva
sul mio letto. Era una brava
bestia...»
«Anche Whip era un bravo cane»
mormorò Travis.
Ian gli arruffò i capelli. «Amavo
il mio cane. E avrei fatto quello che
hai fatto tu. Quel puma è
pericoloso... l’ho visto in giro.»
«Davvero?»
«Già, e avrei dovuto ucciderlo. È
stato uno sbaglio non farlo. Ha
intrappolato la mia ragazza nella
latrina per ore, al freddo, ma io ho
sparato in aria per spaventarlo. Mi
dispiace, ragazzo mio. Avrei dovuto
ucciderlo.»
«Avrei dovuto ucciderlo io» disse
Travis con voce assonnata. Poi
appoggiò la testa sulla spalla di Ian
e chiuse gli occhi, esausto.
«Tieni, bevi un altro po’ d’acqua»
disse Ian accostandogli la bottiglia
alla bocca.
Pochi minuti dopo Jack entrò in
paese e suonò il clacson a distesa,
facendo uscire dal bar tutti i
presenti, compresi Mel e Doc
Mullins. Jack parcheggiò accanto
all’Hummer, e Ian scese con Travis
fra le braccia.
Mel e Doc si misero subito in
azione: aprirono lo sportello
posteriore dell’Hummer, estrassero
la lettiga e Ian vi depose piano il
ragazzo.
Mentre Doc gli controllava la
temperatura, il polso e i segni vitali,
Ian spiegò che Travis aveva una
lacerazione sulla schiena, dove il
puma l’aveva aggredito. Mel lo fece
girare su un fianco, Doc sollevò il
giaccone e diede un’occhiata alla
ferita. «Non è così male... adesso
pensiamo all’ipotermia. Melinda, tu
sali dietro, mettigli una coperta
termica e praticagli una flebo mentre
io guido. Lo portiamo a Grace
Valley, ma non è grave. Se la caverà
benissimo.» Poi si rivolse a Jack.
«Tu chiama la fattoria e avverti la
famiglia.»
«Sicuro. Poi sparerò il razzo
segnalatore per avvertire Preacher e
Mike. Tu dici che non corre
pericolo?»
«Assolutamente no. Andiamo,
Melinda, sbrigati. Cos’è, batti la
fiacca?»
«Oh, vai al diavolo, vecchio
brontolone» ribatté lei issandosi
sull’Hummer. «Jack, tu bada a
David!»
Jack le sorrise. «D’accordo,
amore mio.»
Intanto Ian pensava: Sono parte di
una comunità. Anche lì, in quel
paesino in mezzo al nulla, c’erano
persone unite, che si interessavano
agli altri. In un certo senso lui
l’aveva sempre saputo, ma non
aveva mai pensato che sarebbe stato
bene accetto fra loro.
L’Hummer si allontanò e Jack
guardò Ian con un sopracciglio
aggrottato. «La tua ragazza, eh?»
domandò.
«Stavo solo parlando con
Travis... ma era così, tanto per
dire.»
«Certo, certo. Be’, adesso sarà
meglio che tu torni a casa.»
15
Quando finalmente Ian entrò nella
sua capanna, erano le otto passate e
lui era talmente stanco e infreddolito
che temeva gli ci sarebbe voluta
metà della notte per riprendersi. Per
non parlare della fatica di caricare
sul pick-up la legna per il giorno
dopo, che non si sentiva davvero di
affrontare. Non aveva ancora
richiuso la porta che sentì uno
strillo, e poi Marcie gli balzò
addosso, gettandogli le braccia al
collo e avvolgendo le gambe attorno
ai suoi fianchi.
«Ehi» rise lui tenendola stretta.
«Mi stai appiccicata come una
zecca!»
Lei si scostò un momento per
guardarlo in faccia. «Stai bene?»
«Sono congelato e affamato. Ti
sei preoccupata?»
Lei scrollò la testa. «Hai trovato
il ragazzo?»
«Sì, l’abbiamo trovato» disse Ian
senza precisare il suo ruolo.
«Semicongelato e ferito, ma se la
caverà. Puoi scaldarmi e darmi da
mangiare? Abigail Adams l’avrebbe
fatto, no?»
«Oh, sì, e nel frattempo avrebbe
arato due campi e messo al mondo
un bambino» rise lei.
Dio, è così piena di vita, pensò
lui. Tenerla nascosta sulla cima di
una montagna sarebbe farle un
torto.
Ma per ora, averla con lui sulla
cima della montagna era la risposta
a tutte le sue preghiere.
La mattina dopo Ian si alzò molto
presto per caricare la legna sul pickup, sentendosi molto meglio di
quanto avrebbe dovuto dal momento
che quella notte Marcie non l’aveva
lasciato dormire granché. Si mise al
volante, ma anziché dirigersi verso
il solito incrocio in cui incontrava i
suoi clienti prese la direzione
opposta. Dopo circa due miglia si
fermò, sistemò la lama dello
spazzaneve e ripulì il tratto di strada
fino alla casa del suo vicino.
Quello che vide avvicinandosi
non fu rassicurante. Nessun filo di
fumo usciva dal camino, e non c’era
segno di vita. Dio, pensò, spero di
non essere costretto a riscaldare un
altro corpo assiderato...
Ma poi la porta si aprì con un
cigolio e il vecchio comparve sulla
soglia, con indosso stivali e
giaccone.
«Le ho liberato la strada, in caso
qualcuno dovesse arrivare fin qui»
disse Ian.
«Ah» brontolò l’altro.
«Senta, come sta a legna da
ardere? E ha del cibo in scatola,
visto che continua a nevicare?»
«Me la caverò» fu la risposta.
A quel punto, il vecchio Ian
avrebbe fatto un cenno di saluto,
avrebbe girato sui tacchi e avrebbe
proseguito fino alla statale 36 per
sbrigare le sue faccende. Invece,
soffocando un’esclamazione, andò a
sollevare il telo che copriva la legna
e prese una bracciata di ciocchi.
Tornò fino alla porta con il suo
carico, e l’uomo rimase dov’era
sbarrandogli l’ingresso. Ian lo
squadrò. «Andiamo, si sposti.
Questa legna le servirà per la stufa.»
Dopo una breve esitazione il
vecchio lo lasciò entrare di
malagrazia. Mentre si avvicinava
alla stufa per deporre la legna, Ian
sentì una zaffata di un odore
disgustoso, ma tenne la bocca chiusa
perché sapeva di che cosa si
trattava. Chinandosi per deporre la
legna a terra toccò la stufa con la
mano inguantata e sentì che era
fredda come il ghiaccio. Allora si
alzò, tornò al pick-up e prese
un’altra bracciata di legna. E
tornando verso la capanna si diede
un’occhiata intorno e vide quello
che si aspettava. La latrina era
sepolta da mezzo metro di neve, e
non c’era alcun sentiero per
arrivarci. Il vecchio non era in grado
di spaccarsi la legna – sempre che
avesse della legna da spaccare – e
non poteva andare alla latrina o
temeva di cadere strada facendo e di
non riuscire più a rialzarsi. Quanto a
liberare il sentiero, probabilmente
non ne aveva più la forza. Così
aveva fatto ricorso ad una specie di
grande vaso da notte, che avrebbe
svuotato quando avesse potuto
raggiungere di nuovo la latrina. Era
una cosa orribile.
Ian gli portò un terzo carico di
legna e disse: «Accenda la stufa, e
intanto io le sgombro il sentiero.
Dov’è la pala?».
«Non ce n’è bisogno, lo farò io
quando...»
«Non discuta. Dov’è questa
pala?»
Il vecchio accennò con la testa
verso l’esterno, Ian uscì e trovò la
pala appoggiata al muro, quasi
sepolta dalla neve. I clienti lo
aspettavano e lui aveva fretta, perciò
avrebbe potuto scavare solo un
sentiero molto stretto. Ma era una
cosa che andava fatta. Solo un’idiota
poteva lasciarsi morire congelato in
mezzo ai propri escrementi per una
questione di orgoglio.
E questo a me non succederà,
pensò, perché non lo permetterò.
Già, proprio come aveva sempre
pensato che non sarebbe mai
diventato come suo padre...
Quand’ebbe finito bussò alla
porta del vecchio e domandò: «Le
piace lo stufato Dinty Moore?».
«Perché?» fu la risposta.
«Ne ho una bella scorta. Pensavo
di portargliene un po’, oggi
pomeriggio.»
«Non si scomodi.»
«Suvvia, è un gesto da buon
vicino... la donna che sta da me non
lo può soffrire e non lo mangia.
Gliene porto un po’ di barattoli –
sempre che per lei non sia troppa
fatica prendermeli di mano.»
Il vecchio fece spallucce.
«Coltiva l’erba, lassù dov’è?»
domandò dopo una pausa.
«Diavolo, no. Come le viene in
mente?»
«Allora che ci fa lassù?»
«Taglio alberi e vendo la legna.
D’estate vado a pesca... ultimamente
spalo una quantità di neve. Non
conosco il suo nome» aggiunse poi.
«Siamo pari, nemmeno io il suo.»
«Ian Buchanan» disse lui senza
tendergli la mano.
«Michael Jackson» fece il
vecchio. Ian si lasciò sfuggire una
risatina e il vecchio lo guardò truce.
Solo allora lui si rese conto che
l’altro non vedeva la televisione da
decenni – se mai l’aveva vista.
«Lieto di fare la sua conoscenza,
signor Jackson» disse educatamente.
«Sicuro che non coltiva l’erba?
Perché io non mi mescolo con quella
gente per nessuno stufato.»
«Sicurissimo. Più tardi glielo
porto, ma intanto può scaldare la
casa e andare alla latrina.»
Ian tornò al suo pick-up, sollevò
la lama spazzaneve perché non si
rovinasse sull’asfalto e se ne andò.
Il vecchio non gli aveva detto né
grazie
né lieto di conoscerla.
D’altra parte, Ian gli liberava la
strada di casa da due o tre anni
senza che l’altro gli avesse mai detto
una parola.
Però non c’erano dubbi, la
situazione stava peggiorando. Finora
Jackson era riuscito a liberarsi la
strada fino a casa, ma adesso non
era più nemmeno in grado di
liberarsi un sentiero per usare la
latrina e probabilmente in casa non
aveva cibo. Ricordando che Doc era
venuto regolarmente a controllare
Raleigh, Ian decise di parlargliene
alla prima occasione. Non voleva
avere il vecchio Jackson sulla
coscienza: al momento la sua
coscienza era già carica.
Ci mise più del solito per
consegnare la legna. Dovette
aspettare che due nuovi clienti
andassero a ritirare dei contanti da
un Bancomat perché non accettava
assegni da chi non conosceva, e
quando tornò a casa era ormai
pomeriggio.
Marcie aveva messo a scaldare i
pentoloni d’acqua per il bagno.
«Bene, Abigail» sorrise lui,
«vedo che aspettavi il mio ritorno.
Hai arato i campi?»
«Sì, e ho anche ricostruito il
granaio» disse Marcie ricambiando
il sorriso. «Ci hai messo parecchio,
oggi.»
«Certi giorni le cose vanno più
per le lunghe» disse lui. «Devo fare
un rapida commissione, non più di
dieci minuti.» Si avvicinò alla
dispensa, l’aprì e domandò: «A
quanti barattoli di stufato sei
disposta a rinunciare?».
«Perché?»
«Credo che il mio vicino non si
sia fatto una scorta di cibo» spiegò
lui. Prese otto grossi barattoli, li
posò sul tavolo e ne riempì una
sacca di tela che aveva preso dal
camion.
«È molto generoso da parte tua
dividere il cibo con lui» disse
Marcie.
«Nooo... voglio solo evitare che
il cattivo odore arrivi fin quassù.
Tienimi l’acqua in caldo, torno
subito.»
Michael Jackson non fu più
amichevole o gentile di quella
mattina: ma non fece storie, accettò
lo stufato con un cenno e richiuse la
porta.
Quel momento per Ian fu una
rivelazione. Ci si poteva comportare
in due modi, pensò. Far parte di una
comunità, conoscere bene i vicini,
fidarsi e aiutarsi reciprocamente a
superare i tempi difficili. Oppure
comportarsi come il vecchio
Jackson, che non permetteva a
nessuno di avvicinarsi – tanto che
dopo un po’ la gente aveva capito
che voleva essere lasciato in pace.
Lassù, dove i vicini erano separati
da grandi distanze, da boschi e
colline e molto spesso dalla povertà,
nessuno lottava per ottenere
l’amicizia o la compagnia di
qualcuno.
Bisognava
venirsi
incontro a metà strada.
E lui stesso non aveva dato molto
di sé alla gente di Virgin River.
Proprio come suo padre. Ma grazie
a Dio Marcie aveva insistito e non si
era lasciata scoraggiare... Adesso
lui doveva cambiare stile di vita, o
sarebbe finito come il suo vicino, o
come il vecchio Raleigh.
Ian tornò a casa, dove Marcie
continuò ad impersonare Abigail, e
fu molto divertente. Rimanevano
loro pochi giorni e lui intendeva
assaporarli al meglio. E poiché
sapeva che per lei sarebbe stato
difficile andar via e porre fine alla
missione che si era proposta, si
ripromise di facilitarle il distacco in
tutti modi possibili.
Fece un bagno, mangiò con
Marcie, poi la tenne stretta per un
poco mentre leggeva ad alta voce la
parte più piccante del libro che lei
stava finendo – il che non era niente
a paragone di quello che accadde
dopo... Poi si rivestirono e scesero
insieme a Fortuna per fare il bucato
in una lavanderia a gettone. E Ian le
comunicò il suo piano.
«Domani, quando torno dopo aver
venduto la legna, ho intenzione di
liberare la tua macchina dalla neve e
di trainarla giù in paese. La
parcheggiamo davanti al bar di Jack,
mettiamo le catene nel baule e io ti
insegno come si montano, in modo
che tu sia pronta quando deciderai di
partire. Per favore non fare colpi di
testa mentre io non ci sono, e non
andartene senza dirmi addio.
Percorrere queste strade senza
catene è un’imprudenza. Prometti
che non lo farai?»
«Prometto.»
«Voglio essere sicuro che non
corri
rischi»
insistette
lui.
«Chiaro?»
Marcie abbassò la testa senza
rispondere, come lui prevedeva. Era
tranquilla, silenziosa, un po’ triste.
Lei, che non era mai silenziosa.
Mentre il loro bucato girava
nell’asciugatrice e le altre macchine
ronzavano in sottofondo, Ian prese
Marcie per le spalle e la fece
voltare verso di sé. «Abbiamo
ancora tempo, Marcie» disse
sollevandole il mento con due dita.
«Hai tempo di pormi tutte le
domande che hai in mente, così
potrai tornare a casa tranquilla. In
pace con te stessa.»
«E tu, lo sei?» domandò lei.
Ian le carezzò una guancia con il
dorso della mano. «Non sono così in
pace da anni. Sfrutteremo al meglio
il tempo che ci rimane.» Sfiorò le
sue labbra con un bacio e continuò:
«Ero così in collera con te, quando
ti ho vista la prima volta sulla mia
porta... ma adesso non lo sono più.
Tu hai reso tutto più facile e più
bello».
«Tra noi è successo molto più di
quanto avrei potuto immaginare»
sussurrò lei. «Ma ne sono felice.»
«Allora pieghiamo la biancheria e
torniamo a Virgin River. Forse
possiamo bere qualcosa con Jack e
Preacher prima che chiudano. Poi ce
ne torniamo a casa, mettiamo un po’
di legna nella stufa, e se vuoi ti
rileggo la parte porno di quel libro.»
Marcie gli diede un colpetto
scherzoso sul braccio. «Non è
porno, è romantica!»
«Sì, certo» rise lui. «Molto
romantica.» E le diede un lieve
bacio in fronte.
Quando arrivarono da Jack
scoprirono che era la sua ultima sera
in paese, prima che partisse per
Sacramento con la famiglia. C’erano
anche Mel, Brie con il suo
compagno Mike, e il piccolo David
dormiva
nell’appartamento
di
Preacher dietro il bar. Tutti erano
elettrizzati all’idea del viaggio. Ian e
Marcie ordinarono due birre e
furono contagiati dall’umore allegro
degli altri.
Doc non c’era. Perciò, mentre
Marcie telefonava a sua sorella, Ian
prese Mel da parte e le parlò del suo
vicino, suggerendo che forse non
stava bene e poteva aver bisogno di
aiuto. «Grazie, Ian» sorrise lei.
«Prima di partire domattina ne
parlerò a Doc e lui andrà a
controllare. Se il tuo vicino ha
bisogno di assistenza medica, Doc
farà quel che può. Ma ti avverto,
certi vecchi solitari come lui sono
molto testardi quando si tratta di
aiuto, o di cure mediche.»
«Non dirlo a me» rispose Ian.
«Ero con Raleigh quando se n’è
andato.»
«Allora lo sai» sorrise di nuovo
lei. «Passa un buon Natale.»
«Anche tu.»
Non festeggiava il Natale da anni,
pensò Ian. L’ultima volta era stato
con Shelly, prima di partire per
l’Iraq. Le aveva regalato un anello, e
di botto la vacanza si era trasformata
in un fidanzamento formale.
Suo padre non era mai stato il tipo
da festeggiare alcunché. Era sua
madre che faceva del Natale una
festa, decorando la casa, facendo
torte e biscotti, componendo cesti da
regalare ai conoscenti, comprando i
regali dopo lunghe riflessioni. Suo
padre finiva sempre col dare alla
moglie regali anonimi e banali:
l’abbonamento a una rivista, un
pullover orrendo su cui lei si
sdilinquiva
come
fosse
una
meraviglia, due libri di ricette.
Oppure sostituiva qualche oggetto
per la casa, come lavatrice o
aspirapolvere, e lo faceva passare
per un regalo.
Dopo la morte di sua madre il
Natale era stato cancellato del tutto.
Niente albero, niente luci esterne,
niente pranzo speciale. Ian era ben
contento di non essere più a casa.
Ma il Natale in cui aveva dato
l’anello a Shelly, le aveva anche
regalato una collana e una bellissima
vestaglia di seta. Adesso ricordava:
era stata l’occasione in cui aveva
deciso
che non sarebbe mai
diventato come suo padre. Invece,
sarebbe stato premuroso e gentile.
Per Ian nemmeno quest’anno il
Natale sarebbe stato una vera festa,
ma il suo spirito era più sereno di
quanto non lo fosse stato da secoli.
Ovviamente
non
possedeva
decorazioni di alcun genere, ed era
probabile che il suo pranzo sarebbe
stato un barattolo di stufato. Gli
dispiaceva di non avere un regalo
per Marcie, ed era contento che lei
non avesse modo di comprarne uno
per lui. Tuttavia gli piaceva
l’atmosfera che c’era in paese, con
gli abitanti pronti a radunarsi attorno
all’albero per onorare gli uomini e
le donne che servivano la patria.
Questo già bastava a fare di quei
giorni un periodo colmo di gioia.
Con stupore, Ian capì che stava
cominciando a pensare a possibili
cambiamenti nella sua vita. Perché
ho passato queste settimane con
Marcie,
così
inattese
e
istruttive,pensò. Lei gli aveva
aperto gli occhi in tanti modi... Poi
rise tra sé, perché i suoi pensieri si
erano rivolti alle fosse settiche. Che
ci sarebbe voluto ad installare una
fossa settica, a costruire un bagno
interno, a montare uno scaldabagno?
Del denaro, per cominciare, del
denaro vero e non i guadagni precari
ottenuti dalla vendita di legname o
dal facchinaggio estivo.
L’uomo che possedeva la ditta di
traslochi gli aveva offerto già un
paio di volte un impiego fisso,
perché Ian era forte e svelto. Lui
aveva rifiutato, ma adesso pensava
che avrebbe potuto chiamare quel
tale e accettare l’offerta. Forse si
sarebbe anche guardato intorno e
avrebbe cercato altri datori di
lavoro, dato che era in buona forma
fisica e non aveva paura di lavorare
sodo.
Poi una vocina interna gli ricordò
che da quattro anni non compilava
una
denuncia
dei
redditi,
semplicemente perché non voleva
rogne. Si era isolato dal mondo
reale. Poteva davvero sperare di
inserirsi di nuovo?
Eppure desiderava provarci,
pensò ancora, e per un’ottima
ragione. Marcie gli aveva insegnato
di nuovo a ridere. Solo questo
meritava un lavoro a tempo pieno e
una fossa settica – non perché
importava a lei, ma perché sarebbe
stato bello vivere in condizioni
migliori, anziché limitarsi a esistere.
E perché erano passati secoli
dall’ultima volta che aveva fatto una
doccia come Dio comanda.
Marcie uscì dalla cucina e saltò
sullo sgabello vicino a quello di Ian.
La sua faccia era piuttosto incupita.
«Erin si sta veramente arrabbiando»
annunciò. «Vuole che torni a casa
subito. E intende subito.»
«Non dovrebbe sorprenderti. In
fondo gliel’hai promesso.»
«Già. E ho omesso di dirle che
resto qui fino alla vigilia di Natale.
Tanto sono solo quattro ore di
macchina, più o meno.»
Lui le cinse le spalle e la baciò
sulla tempia. «Lo devi fare, Marcie,
è giusto così. La tua famiglia ti ama
e ha bisogno che tu stia con loro.
Non dare il loro affetto per
scontato.»
«Lo so. Ma il fatto è che adesso
ho troppe cose giuste da fare qui.
Scaldarti l’acqua del bagno, arare i
tuoi campi...»
«Farmi ridere...»
«Farti ruggire...» rise lei.
«Qualsiasi cosa tu pensi adesso,
sarò felice quando sarai a casa tua»
disse Ian. «Al sicuro, comoda, con i
tuoi. Senti, quando hai detto a mio
padre che venivi a cercarmi, lui che
cos’ha risposto?»
«Te l’ho detto» borbottò lei
fissando il suo bicchiere. «Che
probabilmente perdevo il mio
tempo.»
«Lo conosco troppo bene. Che
altro ha detto?»
«Ma è solo un vecchio stizzoso
che...»
«Andiamo, non tirarti indietro.
Dimmi la verità.»
Marcie si voltò a fissarlo con due
enormi occhi verdi. «Be’, ha detto...
che se ti avessi trovato dovevo
comunicarti che ha lasciato la casa e
la macchina al ragazzo dei giornali.»
Ian gettò la testa all’indietro e
scoppiò in una grossa, rumorosa
risata. Marcie lo fissò, mentre lui
rideva fino ad avere le lacrime agli
occhi. Quando infine si calmò lei
disse: «Non è affatto divertente.
Anzi, credo che sia orribile».
«Ma è così degno di lui... Mi
domando se ha bruciato tutte le mie
figurine e le divise da baseball, o se
le ha semplicemente date via.»
«Be’, non ti merita» commentò lei
facendo il broncio e bevendo un
sorso di birra.
«Allora non insisti perché io torni
a Chico per vederlo un’ultima volta
prima che muoia?» la provocò Ian.
Marcie lo guardò stupita. «Non ho
mai voluto niente di simile. E sono
certa che non vedresti niente che tu
non abbia già visto quattro o cinque
anni fa.»
«Allora non hai mai voluto che lo
vedessi un’ultima volta?»
«No, Ian, questo no... volevo che
lui vedesse te! Volevo che sapesse
che stai bene, che anche se lui era
stato meschino, se ti aveva trattato
crudelmente, tu stavi bene ed eri
forte. Anzi, più precisamente,
volevo che tu gli facessi sapere tutto
questo. Giuro.»
«Ma perché?» domandò lui
confuso.
Marcie mise la mano sulla sua.
«Perché in te c’è gentilezza e bontà.
Lui non la merita, non ha mai fatto
niente per meritarla e non ti
ringrazierebbe di sicuro – ma sta
male e sarebbe una cosa giusta da
fare. Fargli sapere che nonostante
tutto sei un uomo buono e forte, con
un gran cuore, che non sei come lui e
non lo sarai mai. Tutto qui.» Tacque
per
un
poco
e
aggiunse:
«Immaginavo che un giorno o l’altro
ci avresti pensato comunque, e non
volevo che ci pensassi quand’era
ormai troppo tardi. Non per lui, ma
per te» concluse con un sorriso.
«Credi di conoscermi così bene?»
«Credo di sì. Ti ho osservato, sai,
con gi animali, con i vicini. Ti
riesce naturale agire con buon cuore
e generosità – e scommetto che per
te questo è stato il tratto più difficile
a cui rinunciare.»
La mattina del 24 dicembre, Ian
non si alzò presto per consegnare la
legna. Avrebbe potuto vendere un
ultimo carico, probabilmente a un
prezzo maggiorato, ma invece
preparò il caffè e ne portò un tazza
bollente a Marcie. «È mattina,
tesoro. E oggi è il grande giorno.»
Lei si alzò a sedere. «Non vendi
legna?» domandò assonnata.
«Oggi no. Tieni, il caffè è caldo
ma non troppo.»
«Mmh» sospirò Marcie dopo aver
bevuto il primo sorso. «Sei
bravissimo nel ruolo di Abigail...»
«Dimmi che posso fare per
semplificarti la partenza» disse
ancora lui.
Marcie bevve un altro sorso di
caffè, riflettendo. «Due cose.»
«Sentiamo.»
«Portami in paese, dimmi addio e
vattene, non fermarti, non stare a
guardare mentre vado via.»
Lui fece un cenno di assenso. «Va
bene. Come vuoi.»
«E dimmi... provi qualcosa per
me?»
Ian posò la mano sui riccioli rossi
di lei. «Provo tutto quello che è
possibile provare per te – ma questo
non cambia nulla. Siamo due
estranei, apparteniamo a due mondi
diversi che non si incontreranno mai,
e io ho ancora quelli che tu chiami
problemi, una montagna di problemi.
Non sono pronto a operare dei
cambiamenti rapidi, benché ne abbia
già fatto qualcuno mio malgrado.
Tanto per dirne uno, sono molto
meno peloso.»
«E stai benissimo» sorrise lei
dandogli un leggero bacio. «Se
avessi più tempo...»
Lui prese il viso di lei fra le mani.
«Stammi bene a sentire. Non posso
negarlo, tu hai cambiato la mia vita.
Torna, se te la senti... ma se non
verrai non te ne farò una colpa.
Ricorda quello che mi hai detto.
Dopo
aver
compiuto
questa
missione, dopo avermi trovato e
ringraziato, dopo avermi fatto tutte
le domande che avevi in mente e
detto tutto quello che dovevo sapere,
saresti stata libera di riprendere la
tua vita... Ecco, va bene così,
Marcie. Anche dopo quello che c’è
stato fra noi, anzi, specialmente
dopo quello che c’è stato fra noi.
Puoi continuare con la tua vita, se
vuoi. È ciò che mi aspetto, e andrà
bene così. Sarebbe giusto.»
«E se invece quello che voglio
fossi tu?» domandò lei sottovoce.
«L’unica cosa al mondo che temo
sarebbe di non renderti felice.
Questa è la possibilità che mi
spaventa di più: che tu mi voglia e
che io invece finisca col deluderti.»
«Perché mai pensi una cosa
simile?»
«Una vecchia, brutta abitudine»
fece lui con un sorrisetto amaro.
«Scommetto che potresti perderla,
se solo ti ci mettessi...»
Ian sorrise. «Questa è una delle
caratteristiche migliori che hai, il
tuo eterno ottimismo.»
«Oh, Ian, non è ottimismo. È fede.
Dovresti provare, una volta o
l’altra.»
16
All’una Ian accompagnò Marcie in
paese, dov’era parcheggiato il
Maggiolino verde. Le mostrò come
installare le catene, se avesse
trovato la neve lungo il percorso; ma
per ora le strade erano sgombre e il
cielo era limpido, perciò poteva
mettersi in marcia tranquillamente.
Infine l’abbracciò e le diede un
lungo bacio appassionato, senza
curarsi che qualcuno li vedesse.
«Grazie per essere stata più testarda
di me» disse.
«Non so se me la sento di partire»
sospirò lei. «Lasciarti è molto
difficile.»
«Quando sarai più vicino a casa,
comincerai a sentirti meglio, e sarai
felice di essere con loro. Ti sono
sempre
stati
vicini.
Non
dimenticarlo.»
«Allora add...»
«Ssh» la zittì lui appoggiandole
un dito sulle labbra. «Non dirlo. E
guida con prudenza.»
«Se ti scriverò, mi risponderai?»
«Sicuramente.»
«Bene, questo è un passo avanti»
disse Marcie debolmente. «Ho... ti
ho lasciato qualcosa. L’ho infilato
nel baule dove tieni gli indumenti, in
un momento in cui tu non guardavi.»
«Marcie, non avresti dovuto...»
«Non è un regalo di Natale. È
qualcosa che volevo darti da tempo,
ma non ho mai trovato il momento
giusto. E poi ho deciso che dovevi
vederlo in privato. Ci vediamo
presto, Ian.» Gli rivolse un sorriso
tremulo, e una lacrima rotolò lungo
la sua guancia. «Sii prudente quando
spacchi la legna, mi raccomando. E
abbi cura di Buck.»
«Lo farò.» Ian sfiorò le sue labbra
con un dito. «Arrivederci.»
«Va bene. Arrivederci.»
Marcie salì i gradini della
veranda ed entrò nel bar, mentre Ian
saliva sul suo pick-up. Lei sentì il
rombo del vecchio motore che si
allontanava e solo allora pensò che
Ian non le aveva chiesto un numero
di telefono, in caso avesse deciso di
chiamarla. Nelle lettere che gli
aveva scritto c’era il suo numero di
casa, ma lei pensò che lo avrebbe
lasciato anche a Preacher. Temeva
però che Ian non sarebbe sceso in
paese tanto spesso: anzi, forse si
sarebbe isolato ancora di più.
A quell’ora nel bar c’erano solo
due uomini che finivano di pranzare.
Preacher uscì dalla cucina e
domandò: «Come vanno le cose,
Marcie?».
«Bene. Sono in partenza, torno a
Chico... ma prima vorrei un caffè.»
«Sicuro. Ehi, stai bene?»
«Credo di sì. Ho detto addio a
Ian, e non sopporto l’idea di
andarmene. Chi poteva immaginare
che l’avrei trovato e che saremmo
diventati così amici...»
Preacher le riempì di caffè una
tazza. «Invece l’hai trovato, e penso
che tu abbia risolto tutte le faccende
insolute.»
«Sì. Abbiamo parlato molto, e
adesso va tutto bene» disse lei
sollevando coraggiosamente la testa.
«Mi fa piacere saperlo. Ian mi
sembra un tipo a posto. Ha trovato il
ragazzo, sai. Travis Goesel. Gli ha
salvato la vita.»
Marcie spalancò gli occhi. «L’ha
trovato lui?»
«Già. Lo ha tirato fuori da un
mucchio di foglie secche e aghi di
pino dove si era nascosto per non
congelare, e lo ha portato in braccio
per oltre un miglio. E il ragazzo è
più di un metro e ottanta e bello
robusto, perciò pesante. Ian si è
anche tolto la camicia per scaldarlo.
Un’altra ora e avrebbero trovato
solo un cadavere... Invece il ragazzo
sta bene, e domani mattina aprirà i
suoi regali con la famiglia.»
«Ma lui mi aveva detto... mi
aveva detto che il ragazzo era stato
trovato, non si è preso il merito né
niente! Senti, Preacher... Gesù, non
so come dirlo, ma potresti cercare di
tirarlo fuori dal suo guscio, ogni
tanto? Non dev’essere per forza
un’occasione speciale, ma mentre
c’ero io siamo scesi in paese un
paio di volte e mi sembrava che...»
«Ma certo, ragazza mia. Ci piace
averlo intorno, come ti ho detto è
uno a posto.»
«E ti lascio anche il mio numero a
Chico, in caso servisse.» Marcie
attirò a sé un tovagliolo di carta e ci
scrisse il numero di telefono.
«Questo è il mio numero di casa, se
mai dovessi metterti in contatto con
me. C’è la segreteria, puoi lasciare
un messaggio.» Poi aggiunse un altro
numero. «E questo è il cellulare.
Così puoi trovarmi se... be’,
insomma, hai capito.»
«Sì, certo. Stai tranquilla.»
Preacher prese il tovagliolo, lo
ripiegò e se lo mise in tasca, poi
appoggiò il bricco del caffè vicino a
lei. «Senti, visto che stasera c’è la
riunione
attorno
all’albero,
prevediamo di avere molta gente,
perciò stiamo lavorando in cucina e
io devo tornare ad aiutare Paige. Se
ti serve qualcosa affacciati e dacci
una voce.»
«Vai pure, io sono a posto» lo
rassicurò Marcie. «Vado via dopo
questo caffè.»
Così era stato Ian a trovare il
ragazzo e a salvarlo, pensò. E poi
aveva portato tutti quei barattoli di
stufato al vicino. O era cambiato
drasticamente in quei pochi giorni, o
era sempre stato il tipo di persona
che deve aiutare gli altri appena ne
ha l’occasione. Lei stessa aveva
notato alcuni cambiamenti, ma
adesso sospettava che quella sua
vita da eremita non fosse
esattamente una scelta. Ian non era
fuggito, era stato abbandonato. Dal
Corpo dei Marine, dalla fidanzata,
da suo padre, dai commilitoni. Per
questo si era isolato per un po’, per
rimettersi in sesto, decidere che
cosa volesse fare della sua vita e
dove l’avrebbe vissuta. E forse, le
notizie che lei gli aveva portato
riguardo a Bobby e alla sua morte lo
avevano aiutato a concludere quel
periodo tormentato. In fondo era
venuta proprio per questo, e se ci
era riuscita non poteva chiedere di
più.
Quanto a lei, anziché concludere
una parte della sua vita, le era
accaduto il contrario: e adesso non
voleva rinunciare a lui. Ma doveva
tornare a casa, dalla sua famiglia,
alle sue radici. Non poteva
rinunciare nemmeno a loro.
La porta si aprì alle sue spalle,
ma lei era assorta nei suoi pensieri e
non si voltò. «Ehi!» disse una voce.
«Ragazza!»
Marcie si volse e vide Doc in
piedi sulla soglia. «Sai guidare un
Hummer?» domandò il vecchio
dottore.
«Be’, no» disse lei, «Ho una
Volkswagen...»
«Allora imparerai. Melinda non
c’è e io ho un ferito alla testa che
devo portare a Grace Valley. Non
posso guidare e curarlo allo stesso
tempo, mi servi tu.»
«Ma io sto partendo...»
«Coraggio, andiamo» ordinò lui
uscendo.
Marcie rimase seduta per un
attimo, a riflettere. La porta si riaprì
e Doc abbaiò: «Ho detto andiamo!».
«Oh, Dio santo» borbottò lei. Poi
afferrò la borsa e lo seguì.
Ian tornò a casa, mise la legna
nella stufa, pensò che avrebbe potuto
spaccare qualche ciocco o spalare la
neve o andare a controllare il
vecchio Jackson. E invece si sedette
al tavolo e non fece niente. Niente, a
parte ricordare ogni espressione sul
viso di Marcie e ogni frase che gli
aveva detto. Poi prese il libro della
biblioteca e rilesse il passaggio
romantico che le piaceva tanto,
quello che scatenava i loro
amplessi. Non ricordava che
l’amore fosse mai stato così dolce,
in tutta la sua vita. Forse perché non
lo faceva da tanto tempo... o forse
perché era bello che due persone
senza molta esperienza imparassero
insieme
come
darsi
piacere
reciproco?
Era un bene che lei fosse tornata a
casa. Era quello il suo posto, era
giusto così. Quanto a lui, Chico non
era più casa sua, non lo era più da
quando suo padre aveva affondato
l’ultimo chiodo nella bara del loro
rapporto. Doveva affrontare la
realtà: non aveva più nessuno, là.
Nessuno.
Eccetto Marcie, la ragazza che gli
aveva insegnato a ridere e ad amare
di nuovo. Ma questo era avvenuto
qui, dove le circostanze li avevano
costretti a stare insieme. Una volta
che le cose fossero tornate al loro
posto, quello che c’era tra loro non
sarebbe stato più lo stesso.
Eppure non poteva evitare di
domandarsi come sarebbe stato
rivedere il padre ancora una volta
prima che se ne andasse. Prima che
fosse troppo tardi. Non si faceva
illusioni: suo padre non era certo
diventato un vecchietto tenero e
affettuoso. Anzi, probabilmente era
ancora peggio di prima, con l’età e
le malattie. Era sempre stato freddo,
rigido, irremovibile, e non poteva
essere cambiato. Se era stato
impossibile
ottenere
la
sua
approvazione o suscitare il suo
orgoglio allora, quand’era nei
Marine, sarebbe stato impossibile
adesso, dopo quattro anni.
Ma forse, rivedere il vecchio
poteva essere l’antidoto necessario,
quello che gli avrebbe impedito di
diventare come lui. Forse Marcie
aveva
ragione:
non
doveva
perdonare suo padre, doveva
perdonare se stesso per averlo
odiato, per aver permesso che la
disapprovazione del vecchio lo
trasformasse in un uomo amaro e in
collera con il mondo. Forse,
rivedere il padre era la sua via
d’uscita.
Come poteva una piccola, ostinata
testa rossa essere tanto perspicace?
Lui non riusciva a capirlo...
Poi ricordò il qualcosa che
Marcie aveva lasciato per lui. Non
era sicuro di farcela a guardare che
cos’era... ma una voce dentro di lui
gli diceva che qualcosa di concreto,
che lo aiutasse a ricordarla, poteva
portare un po’ di gioia nei suoi
giorni solitari.
Infine si alzò, andò ad aprire il
baule e lì, sopra a tutti i vestiti, vide
una lettera indirizzata a Marcie. Sul
retro della busta lei aveva scritto
qualcosa.
Ian caro,
volevo mostrarti questa lettera
perché non pensavo di potermene
separare – ma invece adesso voglio
che la tenga tu. Quando la leggerai
capirai perché. Dicevo sul serio,
sai. Sono innamorata di te.
Marcie
Ian rimase in piedi accanto alla
stufa, aprì la lettera e cominciò a
leggerla, ma poi dovette sedersi per
finirla. Era stata scritta da Bobby a
Marcie, su quella carta fornita ai
militari che si ripiega e diventa una
busta, con il logo dell’Aquila
Americana in cima alla pagina. A
giudicare dalla data era molto
probabile che Bobby l’avesse scritta
mentre stava seduto vicino a lui, in
uno dei rari momenti di pausa.
Marcie, piccola, mi manchi da
morire. Penso a te ogni singolo
giorno, e conto i minuti che mi
separano dal momento in cui ti
terrò di nuovo tra le braccia.
Grazie, amore, perché affronti con
tanto coraggio questo periodo così
orribile. Non credo che potrei stare
accanto a una donna diversa. Ci
sono certi ragazzi qui, le loro
fidanzate gli scrivono di quant’è
difficile vivere lontani e tutto
quanto, ma io non potrei
sopportare che tu facessi così. E mi
domando come facevo già a sapere
che saresti stata la donna per me
quando avevamo solo quattordici
anni... sarà perché sono un fottuto
genio!
Devo dirti una cosa. Non è che te la
dico per lettera perché ho paura,
invece di aspettare quando tornerò
a casa. È che non posso aspettare.
Vedi, voglio che questa diventi la
mia vita. Magari penserai che sono
fuori di testa a dire una cosa del
genere,
specialmente
adesso.
Voglio dire, qui è orribile. Finora
noi non abbiamo avuto molti
problemi, ma altri squadroni sono
caduti in imboscate, sono stati
presi di mira dai cecchini, sono
stati attaccati da autobombe e via
di seguito, e sappiamo bene che un
giorno di questi potrebbe toccare a
noi.
Una delle ragioni per cui a noi non
è ancora successo è Ian.
Quell’uomo è incredibile. Non ho
mai conosciuto uno come lui, e sì
che di gente straordinaria ne ho
conosciuta, specialmente tra i
Marine. Ma lui è un soldato
dell’altro mondo, piccola. Sa
sempre quello che fa. Ti può
condurre in territorio ostile
facendoti credere che è proprio
quello che volevi. È lui che
impedisce a tutti di aver paura o di
crollare, e l’ho visto mettersi tra un
giovane Marine e il fuoco dei
cecchini. Una volta abbiamo avuto
un incidente durante la strada, un
ragazzo ha messo il piede su una
grossa buca e si è rotto la caviglia,
e lui l’ha portato a spalle fino al
campo, che dovevano essere circa
cinque miglia. Non ha voluto darlo
a nessun altro, e nemmeno dividere
il peso. Io mi sono offerto di
portarlo per un po’, ma lui ha
detto: Tu guarda bene dove vai,
Marine, se no sarò costretto a
portarne due.
Una volta, mentre perlustravamo
casa per casa, abbiamo trovato due
insorti armati e Ian ne ha atterrato
uno a pugni. Un’ora dopo l’ho visto
con in braccio un neonato
iracheno, e intanto parlava alla
madre e le sorrideva cercando di
rassicurarla. Non so come faccia,
può essere l’uomo più forte e
crudele del mondo e due minuti
dopo è dolce e gentile. E alla fine
della giornata, quando siamo tutti
stufi e infangati e distrutti dalla
stanchezza, parla a ognuno di noi e
si assicura che siamo tranquilli e
abbiamo la testa ben piantata sulle
spalle. Vuole che nessuno sia
troppo scosso o spaventato o solo,
così da non sapersela cavare se si
trova nei guai. Uno dei ragazzi ha
ricevuto una lettera d’addio dalla
sua fidanzata, ed era in uno stato
pietoso. Ian avrebbe potuto
ordinargli di darsi un tono e di
essere forte, e invece ha parlato
con lui per un po’ e quando il tizio
si è messo a piangere non lo ha
preso in giro né niente, gli ha
tenuto una mano sulla spalla e gli
ha parlato sottovoce, dicendo che
nella vita non c’era niente di
garantito e che per guarire da certe
cose ci voleva un po’ di tempo, ma
che se gli serviva di consolazione
poteva essere sicuro che i suoi
commilitoni non lo avrebbero mai
abbandonato. Se la ragazza non
aveva la forza di restare con lui, gli
ha detto, era molto meglio averlo
scoperto in tempo. Perché per stare
con un Marine ci vuole una donna
molto speciale.
Su questo ha ragione, sai, perché tu
sei speciale. Non so se te la senti di
sopportare che io faccia carriera
nei Marine, ma spero proprio di
sì... e ti dirò, se potessi diventare
anche solo la metà di quello che è
Ian Buchanan, sarei già una
leggenda. Non vedo l’ora che tu lo
conosca. Sono sicuro che lo
ammirerai quanto me – ma invece
magari lo tratterai malissimo
perché è colpa sua se il Corpo dei
Marine mi sembra una tale
meraviglia... ma lui non si stupirà,
gli ho parlato moltissimo di te, e gli
ho detto che puoi sembrare uno
scampolo di donna ma che non hai
paura di guardare in faccia la
gente e dire quello che pensi.
Mi manchi da morire, Marcie, ma
tornerò prima di quello che ti
aspetti. Ti amo tanto.
Ian trasse alcuni respiri profondi,
poi rilesse la lettera daccapo. Che
cos’era quella storia? Pensò. Come
poteva Bobby avere un’opinione
così alta di lui? Non meritava certo
questa venerazione quasi infantile:
aveva solo fatto il lavoro per cui era
stato addestrato, e in questo non
c’era niente di straordinario...
Bobby però aveva ragione
riguardo a Marcie. Lei era davvero
una bomba, una piccola bomba dagli
occhi verdi che portava luce e
allegria dovunque andasse. Una
ragazza decisa, che non si arrendeva
facilmente: sarebbe stata un ottimo
Marine. Bobby aveva avuto fortuna
a catturarla fin dai tempi della
scuola. Non era facile trovare una
donna così forte, così in gamba, così
sicura di sé e di quel che voleva.
E dopo tutto quel che lei aveva
sofferto, dopo tutto quel che avevano
vissuto insieme, che uomo era lui
per non dirle come minimo: Ti amo
anch’io?.
Doc portò Marcie fino a una
fattoria ai piedi della montagna, e le
ordinò in malo modo di aiutarlo a
estrarre la lettiga. Poi salì nel retro
per assistere il ferito, un allevatore
che era stato colpito alla testa dal
calcio di un mulo. La ferita era
aperta e l’uomo vedeva doppio, ma
era cosciente. Doc lo stabilizzò, e
poi ebbe agio di sgridare Marcie per
il modo in cui guidava – mentre a lei
sembrava di cavarsela benissimo
considerando che non aveva mai
guidato un veicolo così grande.
Quando arrivarono in ospedale
dovettero aspettare che il paziente
fosse sottoposto a una radiografia,
perché Doc non voleva andarsene
senza conoscere i risultati. Poi lo
lasciarono in corsia e Doc costrinse
Marcie a guidare di nuovo fino
Virgin River in modo da far pratica
– e senza che lui dovesse gridarle le
istruzioni
dal
retro. Quando
arrivarono in paese lei era uno
straccio.
«Vieni» disse Doc, «ti offro da
bere. Te lo sei meritato, sei andata
benissimo.»
«Non si sarebbe detto, visto che
mi urlava contro come un ossesso»
brontolò lei.
«No, sei stata brava quasi come
Melinda, il che è notevole perché lei
è abituata. Ormai gira su quell’affare
come se fosse uno skateboard. Su,
andiamo a farci un bicchierino.»
«Dovevo partire di qui cinque ore
fa!» protestò Marcie.
«Be’, e non sei contenta di avermi
potuto aiutare? Di avermi dato una
mano? Se non ti avessi trovata avrei
dovuto chiederlo a Paige, o magari
alla moglie del ferito che non
sarebbe stata in grado di tenere gli
occhi sulla strada. È stata una
fortuna per tutti, credimi. Adesso
bevi qualcosa e mangia un boccone,
poi parti. Sai guidare al buio, no?
Prima ti riempiremo di caffè, così
non ti addormenti per strada.»
«Sì» cedette lei stancamente.
«Perché no. Tanto sono già in
ritardo, non arriverei in tempo per la
cena della vigilia.»
«Ecco, vedi. Un’altra buona
ragione.»
«Mia sorella non la vedrà in
questo modo...»
«Sarebbe ancora meglio se ti
facessi un paio di bicchierini invece
di uno solo» continuò Doc, «e se
passassi la notte nel letto degli
ospiti da me. Decisamente meglio.»
«No» disse Marcie, «devo
proprio andare. Non posso restare
qui, mi rattrista troppo.»
«Fai quel che devi fare» disse il
vecchio dottore. «L’offerta resta
valida.»
Il bar era affollato di gente che si
preparava alla piccola cerimonia
attorno all’albero. Sui tavoli c’erano
vassoi di antipasti caldi, tartine e
dolcetti natalizi. Persone che Marcie
non aveva mai visto si presentarono,
le domandarono da dove veniva e se
si sarebbe fermata per le carole
natalizie. Marcie chiacchierò con
loro, accettò un bicchiere di brandy
da Preacher, mangiò due o tre
antipasti e poi andò in cucina per
telefonare alla sorella.
«Mi dispiace, ma volevo dirti che
sono in ritardo...»
«Cosa?!» strillò Erin. «Ma stai
scherzando? Hai promesso di
tornare a casa!»
«E infatti lo farò. Ma c’è stata
un’emergenza, un allevatore qui in
paese è stato ferito alla testa da un
calcio del suo mulo e Doc aveva
bisogno che qualcuno guidasse
l’ambulanza mentre lui curava il
ferito... Be’, è andata a finire che ci
abbiamo messo cinque ore, mi
dispiace. Ma sto arrivando, anche se
probabilmente sorprenderò Babbo
Natale mentre scende dal camino.»
«Ma ormai è buio! Così mi fai
stare in ansia!»
Marcie sospirò. «Sono abituata a
guidare di notte, l’ho sempre fatto,
ma se proprio vuoi preoccuparti
accomodati.
Adesso
mangio
qualcosa e bevo un bel caffè, e poi
mi metto in viaggio.»
Quando tornò in sala, era
moralmente esausta. Sentiva di aver
deluso tutti, compresa se stessa. Era
stanca anche fisicamente, senza
dubbio per la lunga giornata,
l’emozione di lasciare Ian e la folle
corsa in ambulanza con Doc. Ma il
dolore più acuto era un altro: sapere
che il rapporto stabilito con Ian non
era destinato a durare.
D’altronde, che si aspettava? Che
parlassero, ridessero insieme, si
amassero per circa una settimana e
lui cambiasse tutta la sua vita? E lei,
che aveva tanto detto di voler
restare in quella capanna per
sempre, era certa che poi, nel giro di
un anno, non sarebbe impazzita? Gli
aveva dato un certo sollievo, pensò
ancora, ma non lo aveva guarito del
tutto: Ian aveva ancora tante ferite da
curare. E probabilmente sapeva
meglio di tutti quel che gli
occorreva: spaccar legna, nutrire il
suo amico cervo, cantare per se
stesso la mattina. E poi, forse,
lentamente, tornare nel mondo.
Marcie era in lutto e il cuore le
doleva. Ma quello che le premeva di
più era che Ian trovasse la sua
strada, e con quella la pace interiore
e la felicità – con lei o senza di lei.
Sapeva di avere molti difetti, ma
l’egoismo non era tra questi.
La gente stava uscendo dal bar
per radunarsi attorno al grande
albero. Sulla veranda qualcuno le
disse. «Tieni, Marcie» e le porse
una candela. In fondo non avrebbe
fatto questa gran differenza se fosse
rimasta a cantare una carola o due,
pensò lei.
L’albero era splendido, e la stella
brillava nella notte come un faro.
Radunata
attorno
alla
base
dell’albero c’era molta più gente
che nel bar, e l’aria risuonava di
richiami, saluti e risate. Non
sembrava ci fosse un piano preciso,
poi qualcuno disse: «Cominciamo
c o n Away in a Manger» e il coro
iniziò. Dapprima esitante, un po’
stonato e goffo, ma a metà le voci si
erano fatte più sicure e squillanti.
Poi qualcun altro disse: «Silent
Night» e le voci si levarono di
nuovo
nell’aria.
Seguirono We
Three Kings e Silver Bells, che non
tutti conoscevano e che finì in grandi
risate.
I
suggerimenti
si
sovrapposero uno all’altro per un
poco, senza che si arrivasse ad una
decisione. Poi una splendida voce
baritonale si levò dai margini del
gruppo. Dolce, profonda e limpida.
«O notte santa /in ciel le stelle
brillano /è nato il Salvatore...»
Con il cuore in gola e gli occhi
colmi di lacrime Marcie si voltò, ma
tutta la folla alle sue spalle si era
girata verso la voce e lei non vedeva
nulla. Porse la sua candela al vicino,
si fece strada tra la gente e infine lo
vide, in piedi dall’altro lato della
strada. La luce della stella lo
illuminava, e Marcie lo riconobbe a
stento. Le sue guance erano prive di
barba, gli abiti puliti e stirati. E
accanto a lui, sul marciapiede, c’era
una sacca di tela. Un bagaglio,
pronto.
Marcie si portò la mano alla gola,
che le si era chiusa d’improvviso, e
lasciò che le lacrime scorressero
libere sulle sue guance. Ian le
sorrise brevemente e continuò a
cantare con gli occhi fissi alla cima
dell’albero.
«Cadete in ginocchio /sentite il
coro d’angeli /notte divina /in cui
nasce il Signore/ notte, o notte
divina...»
La sua era davvero una voce
d’angelo, pensò Marcie. Cantava
Cadete in ginocchio e aveva
ragione, lei si reggeva in piedi a
stento. Ma Ian non smise di cantare:
terminò l’inno, poi ne attaccò un
altro
altrettanto
profondo
e
commovente.
Dalla folla non veniva un fiato e
nessuno si unì a lui. La sua voce
appassionata era troppo bella per
non ascoltarla in reverente silenzio.
Quando il secondo inno finì, Ian
chinò
il
capo
e
tacque,
semplicemente.
Si levarono esclamazioni di
approvazione,
qualche
ringraziamento, e infine un lungo
applauso. Marcie si avvicinò a lui a
passo malfermo. I suoi occhi
scintillavano di lacrime di gioia.
Mise una mano sulla sua guancia
segnata dalla sottile cicatrice, e Ian
le accarezzò i morbidi capelli.
«Che cosa ci fai qui?» domandò
Marcie.
«Mi alleno a cantare per la gente
e non solo per gli animali della
foresta» spiegò lui. «Sei tu che non
dovresti più essere qui. Non mi
aspettavo di trovarti. Pensavo di
fermarmi a cantare per un poco, e
poi di mettermi in viaggio.»
«Sono stata trattenuta... è una
lunga storia. Ma tu dove vai?»
«A Chico» sorrise Ian. «Ci abita
una ragazza che conosco.»
«Allora starai da me?»
«Forse per una notte, visto che si
sta facendo tardi. Poi andrò dal
ragazzo dei giornali e vedrò se mi
affitta una stanza.»
«Oh,
Ian...»
sospirò
lei
gettandogli le braccia al coll. Lui la
strinse forte sollevandola da terra e
la baciò con passione, tra gli
applausi dei presenti.
Poi la depose a terra e la scostò
da sé per guardarla negli occhi.
«Stammi a sentire, Abigail, perché
ci sono alcune cose che devi sapere.
Possiedo quattrocentoundici dollari
in contanti, e non ho altri risparmi.
Non compilo una denuncia dei
redditi da quattro anni. Ma se in
primavera non pago le tasse sulla
proprietà la perderò, e non potrò
pagarle se non mi trovo un lavoro.
Un lavoro vero, regolare, che non ho
da lungo tempo. Quanto a mio padre,
non mi illudo che il nostro incontro
possa essere commovente e
risolutivo – probabilmente mi
caccerà via a calci e tanti saluti.
Perciò devi sapere che ho ancora
una quantità di problemi. Il fatto che
abbia cantato per gli altri non
significa che...»
«Credi
che
io
sia
una
pappamolle?»
interruppe
lei
incredula. «Dopo tutto quel che hai
visto, mi ritieni una donnina debole?
E allora perché vieni, proprio tu che
odi la debolezza?»
«Per vedere se per noi c’è un
futuro, Marcie. Non ti farei soffrire
per niente al mondo, perciò devi
dirmi se te la senti di rischiare –
anche che le cose non funzionino.
Perché credere in noi comporta dei
rischi, e il primo fra tutti sono io.
Potrei rivelarmi una terribile
delusione.»
Dopo una pausa lei domandò:
«Hai riportato i miei libri in
biblioteca?».
Ian scrollò il capo. «No. Non
potevo fare più di tanto, se volevo
raggiungerti prima di Natale.»
Lei gli sorrise e guardò
brevemente in alto, verso la stella.
«Vedi,
nemmeno
io
sapevo
esattamente dove stavo andando. Ma
poi ho visto questa luce, e l’ho
seguita. Te l’ho detto, Ian... ti amo.
Ti amo da morire. Posso cominciare
da lì, e prendere le cose come
verranno.»
«Io invece non te l’ho detto,
perché non volevo complicarti la
vita né deluderti... ma non ricordo di
aver mai provato niente del genere
in tutta la mia vita. Ti amo, Marcie.
E accetterò tutto quel che viene.»
«Va bene. Cominciamo da questo,
dalla fiducia reciproca. E poi
vedremo.»
«Erin non sarà tanto contenta di
vedermi» fece lui con una risatina.
Marcie gli carezzò la guancia.
«Per un paio di giorni non ti
riconoscerà
nemmeno.
Sei
magnifico. Chi darà da mangiare a
Buck?»
«Per ora Buck se la caverà da
solo, e lo rivedremo quando la neve
si scioglie. Che te ne pare?»
«Un piano perfetto» disse lei. E
pensò: Se queste montagne sono
così belle d’inverno saranno
stupende in primavera, con la
promessa di una nuova vita. Una
vita nuova, come la sua.
Come la loro.
Scarica

non - leggerechepassione