Titolo originale dell’edizione in lingua inglese: A Virgin River Christmas Mira Books © 2008 Robyn Carr Traduzione di Maria Claudia Rey Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano ebook ISBN 978-88-6183-590-0 www.eHarmony.it Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. 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Sul sedile posteriore, Marcie aveva messo un frigo portatile con bibite e snack, nel bagagliaio c’erano dodici bottiglie di acqua minerale, e un thermos di caffè stava sul sedile del passeggero. Si era anche portata un sacco a pelo, nel caso che i letti dei motel non fossero di suo gradimento. Nella sacca di tela c’erano jeans pesanti, felpe e maglioni, calzettoni spessi e stivali imbottiti, insomma l’abbigliamento giusto per girare i paesini di montagna. Adesso Marcie non vedeva l’ora di partire, ma i suoi fratelli Erin e Drew non si decidevano a lasciarla andare. «Hai preso le carte telefoniche, in caso il cellulare non funzionasse?» domandò Erin. «Sì, certo.» «Sicura di avere abbastanza denaro?» «Sì, stai tranquilla.» «Mancano meno di due settimane al Ringraziamento» aggiunse Erin. «Non credo che ci metterò tanto» rispose Marcie per evitare altre discussioni. «Vedrai che troverò Ian molto in fretta, perché ormai penso di averlo localizzato.» «Vorrei tanto che ci ripensassi» insistette Erin. «Il mio studio legale impiega degli ottimi investigatori privati. Potremmo trovare Ian in pochissimo tempo, e incaricare l’investigatore di consegnargli gli oggetti che vuoi dargli.» «Drew, diglielo tu» lo implorò Marcie. Drew trasse un gran respiro. «Vuole trovarlo lei, sapere come sta, passare un po’ di tempo con lui, dargli le figurine del baseball e la lettera» spiegò. «Poi tornerà a casa.» «Ma potremmo farlo noi e...» Marcie mise una mano sul braccio della sorella e la guardò con espressione determinata. «Erin, smettila. Non posso andare avanti con la mia vita finché non avrò portato a termine questo compito, e lo voglio fare a modo mio. Ne abbiamo parlato a sufficienza, e io so benissimo che tu la consideri una stupidaggine, ma è quel che farò.» Poi si le si avvicinò e la baciò sulla guancia. Erin, bionda, snella e sofisticata, le faceva da madre da quando Marcie era una bimba: e aveva difficoltà ad abbandonare quel ruolo. «Non devi preoccuparti» aggiunse. «Non ce n’è motivo. Sarò prudente, e non starò via molto.» Poi diede un bacio anche a Drew. «Non puoi darle uno Xanax o qualcosa di simile?» sussurrò. Drew studiava medicina e per il momento non poteva prescrivere medicinali di alcun genere. Lui ridacchiò e l’abbracciò. «Tu, piuttosto, vedi di sbrigartela in fretta. Altrimenti Erin mi farà impazzire.» Marcie guardò severamente la sorella maggiore. «Trattalo bene» la ammonì. «Tornerò prima di quanto pensi.» Dopo di che salì in macchina e mise in moto, lasciandoli in piedi davanti a casa; e arrivò fino all’ingresso dell’autostrada prima di cedere alle lacrime. I suoi fratelli erano preoccupati, lo sapeva bene. Ma lei non poteva agire altrimenti. Suo marito Bobby era morto da anno circa, a soli ventisei anni, dopo aver trascorso tre anni in ospedale, dapprima, e poi in un istituto. Era stato ferito durante una missione in Iraq, dove prestava servizio nei Marine, e aveva riportato danni cerebrali irreversibili. Ian Buchanan era il suo migliore amico e aveva intenzione di restare in servizio per vent’anni almeno, ma poco dopo l’incidente di Bobby aveva abbandonato i Marine ed era sparito. Marcie sapeva bene che Bobby non sarebbe mai guarito, e in un certo senso ne aveva pianto la morte fin dall’inizio; perciò quando il marito aveva smesso di soffrire si aspettava di provare soltanto sollievo, soprattutto per lui. Vedova a ventisette anni, pensava di ricominciare a vivere: di riprendere gli studi, viaggiare, magari frequentare altri uomini. Ma dopo un anno era ancora allo stesso punto: non riusciva a capire perché l’uomo che Bobby ammirava più di tutti e considerava un fratello non aveva più telefonato né scritto, ed era come scomparso. Si era estraniato da tutti, dai suoi colleghi Marine, dal padre, da lei – la moglie del suo migliore amico! E poi c’erano le figurine del baseball. Marcie sapeva benissimo che la cosa era ridicola, ma lei voleva che Ian le avesse. Fin da quando lo aveva conosciuto, a quattordici anni, Bobby teneva moltissimo alla sua collezione di figurine; e in Iraq, parlandone con Ian, aveva scoperto che condivideva la sua passione. Bobby aveva scritto a Marcie raccontandoglielo, e dicendo che avevano intenzione di scambiarsele. L’idea che Bobby e Ian parlassero di baseball e di figurine mentre davano la caccia ai ribelli nel deserto iracheno era surreale... ma era andata proprio così. Infine c’era la lettera, scritta da Bobby poco prima di essere ferito. Parlava solo di Ian, di quanto Bobby lo ammirasse e desiderasse diventare come lui: di quanto fosse bravo e coraggioso, di come sapesse scherzare con i suoi uomini e usare la sua autorità quand’era necessario, di come sapesse incoraggiarli in battaglia o quando ricevevano una lettera d’addio dalle fidanzate. Ian sapeva farli ridere, ma all’occorrenza li faceva lavorare duramente; insegnava loro ad essere coraggiosi ma prudenti e disciplinati, in modo da non rischiare inutilmente. In quella lettera Bobby aveva detto a Marcie che sperava di ottenere il sostegno e l’aiuto di Ian, se avesse deciso di fare la carriera militare. Se avesse potuto diventare come Ian Buchanan, anche solo in parte, ne sarebbe stato estremamente orgoglioso. Tutti lo consideravano come un eroe, scriveva: una specie di leggenda. Marcie non voleva separarsi da quella lettera, ma voleva che Ian la leggesse e sapesse quel che Bobby provava per lui. Nell’ultimo anno, dopo la morte serena del marito, Marcie aveva cercato di sopravvivere come meglio poteva: aveva superato bene o male il giorno del compleanno di Bobby, il loro anniversario, le varie festività. Ma c’era sempre qualcosa di irrisolto, di non concluso. Qualcosa mancava. Ian aveva salvato la vita di Bobby. Purtroppo non era servito, Bobby non era mai più stato quello di prima: tuttavia, Ian aveva sfidato la morte per portarlo in salvo. E poi era scomparso. Semplicemente, Marcie non poteva lasciar perdere. Non aveva molto denaro. Da cinque anni lavorava come segretaria in una ditta, ma lo stipendio non era molto alto e non sarebbe bastato per mantenere una famiglia. Fortunatamente il suo capo era molto comprensivo e le aveva dato tutto il tempo necessario per badare a Bobby, perché, subito dopo essere stato ferito, era stato trasportato prima in Germania e poi a Washington, e naturalmente Marcie gli era stata vicina. All’epoca Bobby guadagnava circa millecinquecento dollari al mese, ma le spese per le cure erano altissime e quello stipendio non poteva certo bastare. Erin e la famiglia di Bobby erano più che disposte a contribuire, ma ciononostante lei aveva sfruttato al limite le carte di credito e aveva finito col chiedere un prestito alla banca. Nemmeno la liquidazione era servita a pagare tutti i conti. Il miracolo era avvenuto quando Bobby era stato mandato a Chico, in un istituto finanziato da CHAMPUS, un’organizzazione che si occupava dei problemi sanitari dei militari. Non tutti i militari disabili riuscivano a rientrare nel programma di assistenza, ma Erin aveva messo all’opera le sue notevoli capacità e la sua esperienza legale e aveva ottenuto tutti i possibili contributi finanziari dal corpo dei Marine. Aveva inoltre pagato tutti i conti di casa in sospeso, e riusciva anche a finanziare gli studi universitari del fratello. Perciò, per questo viaggio Marcie non aveva voluto accettare da Erin nemmeno un centesimo. Drew aveva qualche soldo da parte, ma era un povero studente e i suoi risparmi erano piuttosto scarsi. Per mettersi in viaggio alla volta delle montagne californiane sarebbe stato più pratico aspettare fino a primavera, e magari mettere da parte qualche soldo in più. Ma si avvicinava l’anniversario della morte di Bobby, e Marcie era decisa a concludere la sua ricerca una volta per tutte. Non sarebbe stato magnifico trovare Ian e riallacciare i contatti con lui prima di Natale? Fugare i dubbi, cacciare tutti i fantasmi, trovare le risposte alle domande in sospeso. Ricominciare a vivere... 1 Marcie entrò nel villaggio, il sesto che visitava quel giorno, e si trovò di fronte a un gruppo di persone intente a decorare un albero di Natale. Un albero enorme. Parcheggiò davanti a uno chalet con una grande veranda, spense il motore e scese. Tre donne stavano appendendo decorazioni a un abete alto circa nove metri. Una aveva circa l’età di Marcie, con morbidi capelli neri, e reggeva una grossa scatola, probabilmente piena di palle colorate. Un’altra era sulla settantina, con corti capelli bianchi un po’ ispidi e un grosso paio di occhiali dalla montatura nera. La terza, una giovane donna bionda, era arrampicata in cima a una scala. L’albero stava tra lo chalet e una chiesa le cui finestre erano ricoperte di assi inchiodate. Una sola aveva i vetri cattedrali ancora intatti. Mentre Marcie osservava le tre donne, un uomo uscì dallo chalet, vide la scena, imprecò e si avvicinò alla scala a grandi passi. «Non muoverti» ordinò. «Resta dove sei.» Poi salì i gradini a due a due, raggiunse la bionda e la cinse alla vita, sopra un ventre appena arrotondato dall’inizio di una gravidanza. «Adesso scendi. Adagio.» «Jack, lasciami in pace!» protestò la donna. «Se sarà necessario ti porterò giù di peso» replicò lui testardo. «Scendi subito da lì.» «Per l’amor del cie...» «Subito!» La bionda cominciò a scendere uno scalino alla volta, appoggiata al corpo robusto dell’uomo. Arrivati a terra si voltò a guardarlo truce, con le mani sui fianchi. «Non correvo alcun pericolo!» protestò. «Che ti è saltato in testa? E se fossi caduta?» «La scala è solidissima, non potevo cadere!» «Adesso predici anche il futuro?» ribatté lui. «Brontola pure finché vuoi, non ti lascio salire fin lassù nelle tue condizioni. Ti sorveglierò giorno e notte, se sarà necessario!» Poi diede un’occhiata alle altre due donne. «Io gliel’ho detto che ti saresti arrabbiato» disse la bruna scrollando le spalle. L’uomo chiamato Jack spostò lo guardo sulla donna dai capelli bianchi. «Ah, io non mi immischio nelle faccende private» fece lei. «Questi sono affari vostri.» E respinse sul naso gli enormi occhiali. Guardando i quattro, Marcie ebbe un tremendo attacco di nostalgia. Era in viaggio solo da poche settimane, ma le mancavano terribilmente le piccole discussioni in famiglia, le amiche, il lavoro. Le mancava Erin con il suo atteggiamento autoritario, le innumerevoli ragazze di Drew, la famiglia di Bobby. Non era tornata a casa per il Ringraziamento, perché temeva che se avesse ceduto anche solo per un paio di giorni non sarebbe mai riuscita a liberarsi di nuovo dalla stretta protettiva della sorella. Chico distava solo poche ore di macchina, ma tutti pensavano che lei stesse facendo una grossa stupidaggine: perciò Marcie aveva telefonato di tanto in tanto, dicendo che aveva indicazioni attendibili su Ian e che stava per localizzarlo. Il che era una menzogna. Non si stava affatto avvicinando alla meta. E per di più c’era un problema sempre più impellente: il suo denaro stava finendo. Ultimamente aveva cominciato a dormire in macchina anziché nei motel, ma la temperatura stava scendendo e le sue notti erano sempre meno confortevoli. Di lì a poco avrebbe cominciato a nevicare, e se sulle strade si fosse formato il ghiaccio la sua Volkswagen sarebbe slittata via come niente. Ma lei non voleva rinunciare. Voleva assolutamente completare la propria missione, e se non ci fosse riuscita questa volta avrebbe riprovato a primavera. Però le seccava arrendersi... Marcie si rese conto che i quattro la stavano fissando. Ravviò i lunghi capelli rossi e disse: «Ehm... se volete posso salire io sulla scala. Non soffro di vertigini né altro». «Non è mica obbligata» disse la bionda con un sorriso. «Ci salgo io» decretò Jack con un’occhiataccia alla moglie. «O trovo qualcuno che ci vada – ma certo non sarai tu.» «Jack, potresti almeno essere educato» lo rimproverò lei. L’uomo si schiarì la voce. «Ehm... grazie, non si preoccupi. Possiamo fare qualcosa per lei?» «Be’, ecco...» Marcie prese una foto dalla tasca del giubbotto imbottito e gliela porse. «Sto cercando quest’uomo. È scomparso circa tre anni fa, ma so che si trova da queste parti perché, a quanto pare, ritira la corrispondenza all’ufficio postale di Fortuna.» «Dio santo» commentò l’uomo. «Lo conosce?» domandò Marcie speranzosa. «No, ed è strano» disse lui osservando la foto di Ian in divisa, completo di berretto e medaglie. «Non credevo ci fosse un Marine nel raggio di cinquanta miglia di cui non avevo almeno sentito parlare.» «Può darsi non voglia far sapere che era nei Marine» spiegò Marcie. «I suoi rapporti con il Corpo sono stati un po’ difficili, verso la fine.» L’uomo la guardò con simpatia. «Sono Jack Sheridan» si presentò. «Questa è mia moglie Mel, lei è Paige» continuò accennando alla donna bruna. «E la signora è Hope McCrea, il nostro factotum» continuò tendendo la mano. Marcie la strinse. «Io sono Marcie Sullivan.» «Perché cerca quest’uomo?» domandò Jack. «È una lunga storia» rispose lei. «È un amico del mio defunto marito, e non sono nemmeno sicura che abbia ancora questo aspetto. È stato ferito in Iraq, dovrebbe avere una cicatrice sulla guancia sinistra e gli manca il sopracciglio. E probabilmente ha la barba – per lo meno ce l’aveva l’ultima volta che è stato visto da queste parti circa tre anni fa.» «Qui attorno le barbe non mancano» osservò Jack. «È una zona di boscaioli, e a volte gli uomini sono un po’ trasandati.» «Potrebbe essere cambiato per altri versi» aggiunse lei. «Adesso ha trentacinque anni, e la foto è stata scattata quando ne aveva ventotto.» «Ed è un amico di suo marito, ha detto? Era anche lui nei Marine?» «Sì» confermò Marcie. «Ho perso i contatti con lui da tempo, e vorrei ritrovarlo.» Jack studiò la foto per un poco. «Venga nel bar. Mangia qualcosa, magari si beve una birra, e poi mi racconta perché vuole ritrovarlo. Che ne dice?» «Il bar?» disse lei guardandosi intorno. Jack indicò lo chalet. «Quello. È un bar ristorante, possiamo chiacchierare mentre lei mangia un boccone.» «Oh» disse Marcie. Erano quasi le quattro e il suo stomaco brontolava, ma lei non aveva pranzato perché voleva risparmiare per comprarsi la benzina. Più tardi avrebbe cercato qualcosa di molto economico, tipo una pagnotta di pane raffermo da mangiare con il burro di noccioline che le era rimasto. Poi avrebbe cercato un posto sicuro in cui parcheggiare e si sarebbe chiusa in macchina per la notte. «Berrei molto volentieri un bicchier d’acqua» disse. «Ho guidato per ore, mostrando quella foto a decine di persone, e ho davvero sete. Ma non ho molta fame.» «Ah, l’acqua non ci manca di certo» sorrise lui. Le mise una mano sulla spalla e si avviò con lei verso il bar, ma poi si fermò corrugando la fronte. «Vada avanti» disse. «La raggiungo subito.» Marcie salì sulla veranda, si voltò per vedere che cosa faceva Jack e capì che stava confiscando la scala in modo che alla moglie non venisse in mente di usarla. Era una lunga scala a libro, estensibile, che una volta ripiegata era alta circa un metro e mezzo: e lui la portava con una mano sola, come se non pesasse niente. Dietro di lui la moglie gridò: «Sei un insopportabile tiranno! Dove sta scritto che devo prendere ordini da te?». Lui sorrise come se Mel gli avesse appena mandato un bacio, entrò nel locale e portò la scala in una stanza dietro il bancone. Marcie trasse un gran respiro e pens ò: Non riuscirò a resistere . Dalla cucina veniva una serie di profumi deliziosi: qualcosa di caldo e aromatico, come uno stufato o una zuppa, pane appena sfornato, cioccolato. Lei si premette una mano sullo stomaco per tacitare il brontolio. Jack tornò di lì a poco reggendo un vassoio su cui c’era una ciotola fumante, e lo depose di fronte a lei. Era chili con carne accompagnato da pane di mais, burro, una ciotolina di insalata mista. «Davvero» protestò lei debolmente, «non ho fame...» Lui riempì un boccale di birra alla spina, e Marcie deglutì. Ancora un attimo, pensò, e avrebbe sbavato sul bancone. Le erano rimasti trenta dollari, ma non poteva certo sprecarli per un pasto invece di riempire il serbatoio e continuare la sua ricerca nei paesini dei dintorni. «Bene, mangi solo quel che le va» replicò Jack. «Ho mostrato la foto a Preacher, il mio cuoco, ma nemmeno lui conosce quel tipo. Più tardi possiamo chiedere a Mike, il poliziotto del paese. Lui conosce tutte le strade secondarie della zona, può darsi che sappia qualcosa di più. Sono ex Marine tutti e due.» «Mi dice dove mi trovo, esattamente?» «A Virgin River. Popolazione, seicentoventisette persone, secondo l’ultimo censimento.» «Abbastanza grande da figurare sulle carte geografiche» osservò lei. «Lo spero bene. In confronto a certi paesini sperduti siamo una metropoli. Coraggio, lo assaggi» disse Jack accennando alla ciotola. Marcie prese il cucchiaio con una certa esitazione, lo riempì e portò alla bocca il chili più buono che avesse mai assaggiato. Sospirò, conquistata. «È carne di cervo» spiegò Jack. «Lo abbiamo preso un paio di mesi fa, e Preacher ha preparato e surgelato dei meravigliosi hamburger, stufati e salsicce.» Indicò un grosso barattolo di striscioline di carne secca che stava appoggiato sul bancone e aggiunse: «Sa fare anche la miglior carne secca della zona». Marcie sospirò di nuovo, quasi commossa dalla bontà del cibo. Nonostante le promesse fatte alla sorella, si era trascurata, stancata, aveva quasi digiunato per risparmiare. Quando Erin avesse visto come i jeans le pendevano addosso, avrebbe fatto una scenata memorabile. «Non vuole parlarmi un po’ di questo tale, tra un boccone e l’altro?» propose Jack. Oh, al diavolo, pensò lei. Non faceva un pasto decente da giorni... quando avesse finito il denaro sarebbe tornata a casa, ma nel frattempo non poteva proseguire la sua ricerca se non si reggeva in piedi! Mangiò un altro paio di cucchiaiate per tacitare i morsi più feroci della fame, poi bevve un sorso di birra gelata. Paradisiaco, pensò. «Si chiama Ian Buchanan» esordì. «Siamo nati nella stessa città, ma benché Chico sia piuttosto piccola ci siamo conosciuti solo da adulti. Ian ha otto anni più di noi – cioè, di mio marito e me. Bobby ed io siamo cresciuti insieme, abbiamo frequentato lo stesso liceo e ci siamo sposati giovanissimi, a diciannove anni. Bobby si è arruolato nei Marine subito dopo il diploma.» «Feci così anch’io» disse Jack. «E sono rimasto nei Marine per vent’anni. Come si chiamava suo marito?» «Bobby... cioè, Robert Wilson Sullivan. Lo ha mai sentito nominare?» «No, non ricordo né Bobby Sullivan né Ian Buchanan. Ha una foto di suo marito?» Marcie prese il portafoglio dalla tasca del giubbotto, lo aprì e lo mostrò a Jack. Nelle buste di plastica c’erano parecchie foto, che Jack prese a sfogliare. Quella del loro matrimonio, alcune istantanee, la foto ufficiale di Bobby che ritraeva un bel ragazzo in divisa, dalla faccia aperta e sincera. E infine l’ultima, di un Bobby smunto e irriconoscibile, in un letto d’ospedale. Gli occhi erano aperti ma vacui e privi di vita, il viso era pallido. Accanto a lui, Marcie lo abbracciava con un sorriso. Jack sollevò lo sguardo, e lei depose il cucchiaio e si forbì le labbra con il tovagliolo. «Bobby andò in Iraq con la prima ondata» disse. «Aveva ventidue anni. Fu ferito a ventitré, riportando danni alla spina dorsale e al cervello, e trascorse gli ultimi tre anni della sua vita in un letto.» «Oh, cara, mi dispiace!» esclamò Jack. «Deve essere stata dura per lei.» Marcie batté le palpebre un paio di volte ma riuscì a non piangere. In effetti c’erano stati momenti terribili, momenti in cui le si era spezzato il cuore oppure si era infuriata con il corpo dei Marine per quel che le faceva soffrire. Altre volte si era sdraiata accanto a Bobby, lo prendeva tra le braccia e restava così, a ricordare i tempi felici. «A volte sì» rispose. «Ma abbiamo tirato avanti. Ho avuto molto sostegno, dalla mia famiglia e dalla sua. Non mi hanno mai lasciata sola... e non credo che Bobby abbia sofferto.» «Quando è morto?» domandò Jack. «Circa un anno fa, poco prima di Natale. Se n’è andato in pace.» «Le faccio le mie condoglianze.» «Grazie. Ian era il suo sergente, e Bobby lo ammirava moltissimo e gli voleva un gran bene. Mi parlava sempre di lui, nelle sue lettere, e lo definiva il miglior sergente di tutto il Corpo dei Marine, perché Ian era il tipo di comandante che stava sempre accanto ai suoi uomini, in servizio o a riposo. Loro due diventarono subito amici, e Bobby fu felice di scoprire che venivano dalla stessa città. Sarebbero rimasti amici per sempre, mi diceva...» «Anch’io fui mandato subito in Iraq» disse Jack. «Probabilmente ero là nello stesso periodo, a Fallujah.» «È proprio a Fallujah che è stato ferito.» Jack le restituì il portafoglio. «Mi dispiace moltissimo» disse. «È per questo che cerca Buchanan? Per dirglielo?» «No, credo che lo sappia già, perché gli ho scritto molte lettere al fermo posta di Fortuna. Le lettere non sono mai tornate indietro, perciò credo che le abbia ritirate e lette.» Jack corrugò la fronte, incuriosito. «E adesso non so che gli sia successo» continuò lei. «Subito dopo l’incidente, quando Bobby era in ospedale in Germania e poi a Washington al Walter Reed , gli scrivevo spesso e lui mi rispondeva chiedendomi notizie e domandandomi come me la cavavo io. Dalle sue lettere cominciavo a capire quel che Bobby aveva visto in lui. Mi sentivo già vicina a Ian grazie alle lettere di Bobby, e quando cominciammo a scriverci divenne anche mio amico. Erano solo lettere, lo so, e parlavano solo di Bobby, ma mi ero affezionata a Ian e mi sembrava che lui mi ricambiasse...» «Molti Marine si affezionano ai loro corrispondenti» osservò Jack. «Specialmente quando si trovano in posti isolati o pericolosi.» «Be’, lui non mi disse mai di essersi particolarmente affezionato, ma per me era così» continuò lei. «Poi Ian tornò dall’Iraq, venne a trovarci una volta, e lasciò i Marine subito dopo. E non tornò più a Chico. Non conosco i dettagli, ma pare che avesse avuto dei problemi con i suoi superiori. Suo padre credeva che sarebbe rimasto nei Marine per sempre, e invece lui li lasciò all’improvviso e scomparve.» Marcie rise amaramente. «Smise di scrivermi, ruppe con la sua ragazza, litigò con il padre e sparì. Circa un anno dopo scoprii che viveva nei boschi come un eremita.» «Come fece a scoprirlo?» «A Chico c’è una clinica per i veterani, e per via di Bobby conoscevo bene alcuni dei pazienti. Loro sapevano che volevo mettermi in contatto con Ian, e come lei sa i veterani si aiutano l’un altro... insomma, da loro seppi che tempo prima Ian era andato in quella clinica, probabilmente perché era la più vicina, e come indirizzo aveva dato l’ufficio postale di Fortuna. Si era ferito spaccando legna, e aveva bisogno di punti, di un’iniezione antitetanica e di antibiotici. Si immagini... era in città, dove c’eravamo noi e suo padre, e non ci fece nemmeno una telefonata per sapere come stava Bobby o per darci sue notizie. L’uomo che mio marito mi aveva descritto non si sarebbe mai comportato così!» Jack tacque, e Marcie continuò a mangiare di gusto, imburrando una fetta di pane di mais e divorandola. «A quel punto cominciai a scrivergli a Fortuna, ma lui non mi rispose mai. Forse gli scrivevo più per me stessa che per lui. Lo invitai anche a telefonarmi a carico del destinatario, ma lui non si è mai fatto vivo.» «E così adesso lo sta cercando» concluse Jack. «Sì. E lo troverò. Devo sapere se sta bene, capisce. Per quel che ne sappiamo potrebbe essere tornato dall’Iraq con qualche problema, qualcosa che non è immediatamente visibile come le condizioni di Bobby. Se così fosse, non perdonerei mai ai Marine di non averlo aiutato o curato.» «Be’, in effetti ha ragione, avrebbero dovuto aiutarlo... ma non sia troppo severa nei loro confronti. Un Marine viene addestrato ad avere coraggio, a non aver paura di niente, e poi lei si aspetta che chieda aiuto? Non lo farà mai. Se trovassi la soluzione a questo dilemma, scriverei immediatamente al dipartimento di stato.» «Sì, però...» «Può darsi che abbia scelto quella vita perché gli piaceva. Quando ho lasciato i Marine cercavo solo un posto tranquillo in cui andare a caccia e a pesca, come Virgin River, e per un po’ anch’io mi sono isolato.» «E ha tagliato i ponti con la sua famiglia?» replicò lei alzando un sopracciglio. «Ha smesso di rispondere alle lettere?» Jack era sempre in contatto con la famiglia, ma anche con gli ex commilitoni. E mai avrebbe rinunciato a loro. «No» rispose. «Ha ragione lei.» «Ecco perché voglio trovarlo. Ci sono delle faccende che vanno sistemate, capisce. Concluse.» «Ma... e se lui non stesse bene?» obiettò Jack guardandola dritto in faccia. «Se fosse un po’ fuori di testa... magari pericoloso?» «Non credo» replicò lei. «E comunque ha un padre anziano e malato, con cui ha delle questioni in sospeso. Il signor Buchanan è un vecchio stizzoso e ostinato, ma scommetto che malgrado tutto rivuole suo figlio. Al suo posto lo vorrei anch’io.» «Sì, questo lo capisco» disse Jack. «Ma se Ian fosse pericoloso e volesse farle del male?» Marcie attaccò l’insalata. «È possibile, ma ne dubito» rispose con una risatina. «Sono stata in tutte le stazioni di polizia della zona, in tutti i negozi e i distributori di benzina. Non ha mai avuto problemi con la giustizia. Nessuno lo conosce. Se fosse pericoloso avrebbe attirato l’attenzione, non crede? No, io penso che sia soltanto un ex Marine amareggiato e solitario, convinto che mollare tutto e tutti sia meglio che affrontare i problemi. E ovviamente si sbaglia.» «Non vuole pensarci su?» domandò Jack. «Ci possono essere mille ragioni per cui un Marine provato dalla guerra ha deciso di isolarsi dal mondo. Forse vuole solo dimenticare, e vedere lei potrebbe peggiorare la situazione.» «Be’, lei è stato in guerra, no? Perciò ne saprà qualcosa.» «Ragazzi, come direbbe mia moglie. Lo so eccome... Ho anch’io il mio bravo bagaglio, tra cui un paio di attacchi di sindrome post traumatica. Ma per fortuna ho molto aiuto.» «Ian ha solo trentacinque anni, capisce» continuò lei. «Ha tutto il tempo di ricominciare, di far pace con le persone da cui si è distaccato, di superare il trauma di quel che è successo a Bobby. Può darsi che suo padre ce l’avesse a morte con lui anni fa, quando hanno litigato, ma sono sicura che in fondo gli vuol bene.» Marcie bevve un sorso di birra e concluse: «Forse perderei il mio denaro, ma sono pronta a scommetterci». «Ma allora perché suo padre non lo ha mai cercato?» obiettò Jack. «E perché non lo ha fatto nessun altro? Capisco che la sua ex fidanzata lo odiasse perché lui l’aveva piantata in asso, e che suo padre sia un vecchio testardo e amareggiato... anzi, devo dire che è veramente meschino e vendicativo. Ma visto che questa situazione non cambierà, io sono decisa a ritrovare il migliore amico di Bobby. Ci siamo scritti per pochi mesi, ma a me sembrava di conoscerlo e mi era parso un ragazzo dolce e gentile. Lo so che sembra stupido, ma anche la sua grafia rivelava un animo forte e sensibile, come le cose che scriveva. Adesso mi sento come se avessi perso un amico, e... e sono ben decisa a ritrovarlo. Sono un tipo determinato, capisce.» «E perché?» Marcie abbassò lo sguardo. «Perché non potrò ricominciare a vivere finché non avrò scoperto la ragione per cui l’uomo che mio marito ammirava più di ogni altro è scomparso in questo modo.» Sospirò. «Ci ha ignorati... si è lasciato inghiottire dalla foresta e ha smesso di comunicare con la famiglia, gli amici, il mondo intero. Questa è la parte più strana, e io devo capire perché l’ha fatto. Voglio assicurarmi che stia bene, e poi lo lascerò in pace.» Sollevò la testa e concluse: «Poi, forse, tutti potremo ricominciare». Jack le scoccò un sorrisetto. Quella ragazza sapeva ciò che voleva. «Le va una fetta di dolce al cioccolato? Le garantisco che la farà svenire.» «No, grazie. Era tutto buonissimo.» Marcie finì la birra, prese il portafoglio che stava ancora sul tavolo e lo aprì. «Quanto le devo?» domandò. «Sta scherzando, vero? Se ne va in giro per i boschi a cercare un mio commilitone e crede che io accetti il suo denaro? Anzi, le darei volentieri una mano, ma lo ha visto anche lei, non posso lasciar mia moglie un momento che si caccia nei guai. Offrirle un pasto è un vero piacere, torni pure quando vuole. Passi di qui ogni tanto, così mangia qualcosa e ci tiene aggiornati sulle sue ricerche. Ne saremo felici, perché qui in zona ci sono parecchi ex Marine reduci da Fallujah.» «E come mai?» domandò Marcie. «Mia cara, ci sono Marine dappertutto» sorrise lui. «Dopo che avevo aperto il bar, un gruppo di miei amici ha cominciato a venire regolarmente a Virgin River per pescare e cacciare. Due di loro si sono stabiliti qui. E tutti noi cerchiamo di aiutarci l’uno con l’altro.» Negli anni passati Marcie aveva imparato ad accettare ogni aiuto possibile. Richiuse il portafogli, scoccò a Jack un sorriso pieno di calore e disse: «Allora, sì, prenderò una fetta di torta». «E niente caffè?» «Oh, Dio, sì, un caffè!» Caffè caldo e birra ghiacciata erano tra le sue maggiori debolezze. «Vedrà, è il miglior caffè che abbia mai assaggiato» sentenziò Jack riempiendo una tazza. Le mise di fronte una bella fetta di torta al cioccolato e domandò: «E quando avrà trovato Buchanan, che farà?». «Be’, è stato magnifico con Bobby, e io voglio ringraziarlo. E poi voglio parlargli e conoscerlo meglio – come avevo cominciato a fare tempo fa. Devo dargli qualcosa che apparteneva a Bobby, e ovviamente voglio vedere se c’è qualcosa che posso fare per aiutarlo. Forse, quando ci saremo detti tutto quanto, saremo entrambi più tranquilli e pronti a riprendere una vita normale. È ovvio che lui non l’ha fatto, e anch’io ho bisogno di mettere un punto fermo. Sarebbe bello che potessimo raggiungere entrambi quest’obiettivo, no? Che potessimo ottenere la libertà, Jack. La libertà di lasciarci il passato alle spalle.» «E se lui non ne volesse sapere?» obiettò Jack corrugando la fronte. Marcie si mise in bocca un boccone di vellutato, ricco dolce al cioccolato, e con le labbra ripulì la glassa dalla forchetta. «Allora diventerò il suo incubo peggiore, e lo tormenterò finché non cederà. Perché non ho la minima intenzione di rinunciare.» Mentre Marcie stava finendo il caffè, un bell’uomo dai tratti latini entrò nel bar con un catalogo in mano e un’espressione piena di sconforto. «Tua moglie mi ha incaricato di trovare uno specialissimo puntale per l’albero di Natale. Chi ha avuto l’idea di innalzare quel maledetto albero?» «Tu, credo» replicò Jack, «perciò non te la prendere con me. Comunque non riusciremo a finire la decorazione senza una gru, e dovrò affrettarmi a trovarne una prima che Mel cerchi di issarsi sulla cima con corde e carrucole. Marcie, questo è Mike Valenzuela. Mike, lei è Marcie.» «Come va?» disse lei tendendo una mano. Mike la strinse. «Lieto di conoscerla. E non gli dia retta, l’idea è stata sua» continuò accennando a Jack. «Voleva un albero enorme per far colpo sulla moglie, e ci ha mandati in giro per i boschi tutto il giorno finché non ha trovato l’abete più grande che si riuscisse a spostare.» Jack lo interruppe con un risolino imbarazzato. «Marcie sta cercando un Marine che ha lasciato il Corpo dopo esser stato in Iraq. Gli mostri la foto, Marcie.» Lei la estrasse di nuovo dalla tasca e spiegò i probabili cambiamenti nell’aspetto di Ian. «No, non lo conosco» disse Mike. «Ma consideri che potrebbe essere molto diverso...» «Non riconosco gli occhi» spiegò Mike. Lei sospirò. «Ha idea di dove potrei cercarlo?» «Be’» disse lui, «il fatto che io non l’abbia mai visto non significa che non l’abbia visto qualcun altro. Su per queste montagne ci sono parecchie persone che vivono lì da anni ma non sono molto socievoli... forse uno di loro sa dov’è.» «E mi può dire in quale direzione dovrei muovermi?» «Posso darle qualche punto di riferimento» annuì Mike. «Ma soprattutto le indicherò i posti da cui deve star lontana. Nei boschi ci sono anche dei coltivatori illegali che tengono molto alla loro privacy, e sono assai poco amichevoli. Spesso le loro proprietà sono addirittura minate.» Prese un tovagliolo di carta dal bancone e la penna che teneva nel taschino della camicia. «Questa è la statale numero 36...» esordì. E in pochi minuti tracciò una mappa che evidenziava mezza dozzina di capanne. Chi ci abitava poteva aver benissimo visto Buchanan, spiegò. E poi le indicò due o tre zone da evitare assolutamente. Le capanne che aveva contrassegnato si trovavano lungo strade abbandonate dai boscaioli, che a volte erano chiuse da cancelli rudimentali; o nascoste tra gli alberi e cespugli e perciò non visibili dalla strada. Chi si era insediato in quei tratti di foresta, spiegò Mike, aveva abbattuto gli alberi per venderne la legna; ma prima che un albero ricrescesse quanto bastava per ricavarne del legname bisognava aspettare dai trenta ai cinquant’anni. Perciò adesso i terreni erano disseminati di giovani querce, madrone, abeti e pini, molto belli a vedersi ma non abbastanza maturi da rendere. «Io ho girato parecchio quella zona, per vedere com’è e conoscere chi ci abita» disse Mike. «So che ci sono due vecchi che vivono da soli, due vedove anziane, due o tre coppie e una famiglia di cinque persone. Ma che io sappia, nessuno scapolo sui trentacinque anni.» «Forse non è più scapolo.» Mike scrollò la testa. «Sono sicuro che non c’è nessuno di quell’età, con barba o senza. Non con occhi come quelli.» «Può credergli» intervenne Jack. «Se ne intende, era nella polizia di Los Angeles prima di venire qui a fare lo sceriffo da western, in un paese dove ci sono pochissimi reati.» «Bello» commentò Marcie. «Niente reati e un enorme albero di Natale. Mi pare di capire che non ne avevate mai avuto uno così grande, giusto?» I due uomini risero. «È alto otto metri» disse Jack. «Ci credevamo tanto bravi e forti a scegliere un albero così grande, finché non l’abbiamo abbattuto e ci siamo resi conto che per trasportarlo in paese avremmo dovuto usare un furgone dei traslochi... Così abbiamo legato i rami ben stretti e l’abbiamo trainato attaccandolo a un camion. Ma quella non è stata la parte più difficile: per metterlo in piedi ci abbiamo messo una giornata.» «Due» corresse Mike. «Quando ci siamo svegliati la mattina dopo era disteso in mezzo alla strada. È un miracolo che non sia caduto sul bar distruggendo il tetto.» Marcie rise. «Perché proprio quest’anno?» domandò a Jack. «Per far colpo su sua moglie?» «No, perché era il momento giusto. Abbiamo appena perso un commilitone in Iraq, e qualche mese fa un ragazzo del paese, un tipo davvero speciale e amato da tutti, si è arruolato. Così abbiamo pensato di erigere un simbolo, una specie di monumento a tutti gli uomini e le donne che prestano servizio nei Marine. L’anno prossimo forse cercheremo un albero più piccolo, più facile da trasportare. Ma per questo ho intenzione di andare a Eureka ad affittare una gru, perché Melinda e le altre donne del posto si sono date molto da fare per decorarlo e voglio che il risultato sia magnifico.» «È già bellissimo» disse Marcie con un po’ di malinconia. Sperava davvero di ritrovare Ian prima di Natale: chissà perché, rispettare quella scadenza le sembrava essenziale. Il sole stava tramontando, e il locale si stava riempiendo di clienti abituali. Marcie si preparò ad andarsene, benché ormai fosse troppo buio per avventurarsi nei boschi a controllare le capanne che Mike le aveva indicato. Doveva trovare un posto sicuro in cui parcheggiare per la notte, possibilmente vicino a una stazione di servizio munita di toilette in modo da poter compiere le sue abluzioni mattutine. Poi si sarebbe rimessa in viaggio, anche se ormai cominciava a disperare di trovare il suo uomo. Era stata delusa troppe volte: a questo punto della sua ricerca, ogni volta che spuntava un nome o un luogo dal suo elenco si allontanava sempre più dalla meta sperata. Ma prima di risalire in macchina si avvicinò all’albero, che era decorato fino a circa metà della sua altezza. Tra le sfere bianche, rosse e blu e le stelle dorate c’erano molte mostrine di quelle che i militari portano cucite sulla divisa, con il logo della propria divisione. Marcie ne sfiorò alcune, notando che erano rivestite di plastica per proteggerle dalle intemperie. Primo Battaglione, Ottavo Reggimento; Secondo Battaglione, Decimo Marine; Primo Battaglione Operazioni Speciali; Divisione Aerotrasportata, Squadra Tiratori Scelti, Quarantunesimo Battaglione di Fanteria. Sentì un nodo alla gola e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Ecco perché voleva ritrovare Ian Buchanan: perché i Marine non dimenticano, non abbandonano mai un amico. Ian doveva aver avuto una ragione molto seria per lasciare i confratelli, il Corpo, la famiglia, la sua città. Non si può salvare la vita di un compagno e poi ignorarlo. Ian era stato decorato con una Stella di Bronzo e con il Purple Heart per aver trasportato Bobby fino a un’ambulanza, sfidando il fuoco dei cecchini. Si era beccato due pallottole, ma non si era fermato. Non era il tipo d’uomo che si arrende. E allora perché, perché poi si era arreso? 2 I trenta dollari di Marcie – ventotto e ventisette centesimi, per l’esattezza – durarono per altre trentasei ore. Venticinque se ne andarono per la benzina, tre per una grossa pagnotta di pane e due mele da mangiare con il resto del burro di arachidi. Dopo di che Marcie tornò nel bar di Virgin River e chiese il permesso di usare il telefono per chiamare la sorella. Aveva quasi esaurito le carte telefoniche che Erin le aveva dato perché il suo viaggio era durato assai più del previsto, ma in una di loro restava qualche dollaro. Sapeva che Erin era molto irritata per la sua assenza prolungata, ma non aveva scelta. Il cuoco, l’omone che tutti chiamavano Preacher, la fece entrare in cucina e le indicò il telefono. E Marcie, con una stretta alla bocca dello stomaco, chiamò Erin e le chiese un po’ di denaro. «È solo un prestito» disse. E spiegò – mentendo – che ormai era quasi alla meta, perché Ian era stato visto nella zona. «Avevamo fatto un patto» replicò la sorella. «Tu hai promesso che saresti stata via due settimane al massimo, ed è già passato un mese. Non sei nemmeno tornata per il Ringraziamento!» «Ma non potevo, te l’ho spiegato. Avevo un’indicazione sicura.» «Adesso basta!» esclamò Erin. «È ora che torni a casa e trovi un altro modo per localizzare quel tale.» «Non ho intenzione di rinunciare» replicò lei risolutamente. «D’accordo, ma torna a Chico e facciamo a modo mio. Incarichiamo un investigatore, e quando l’avrà trovato tu potrai riprendere la tua missione da lì. Mi dispiace, ma l’unico modo per farti smettere con questa stupidaggine è dirti di no. Non ti manderò del denaro, Marcie, per il tuo bene. Ti spedirò soltanto il necessario perché tu torni a casa. Fallo subito, adesso, perché io non ne posso più e sono preoccupata da morire.» «No» rispose lei. «Non ho ancora finito, non posso fermarmi adesso.» Dopo di che chiamò il fratello Drew, che disapprovava il suo operato quanto Erin, ma di solito era più facile da convincere. Anche lui, però, rifiutò di aiutarla. «Non posso, Marcie» disse. «Erin ha ragione, questa faccenda è durata troppo. Devi lasciar perdere... non voglio nemmeno pensare che te ne vai in giro per i boschi da sola, alla ricerca di un pazzo furioso!» «Ma non è detto che sia pazzo» protestò lei. «Magari è perfettamente normale, solo un po’ deluso del mondo, chissà... Per favore, dammi una mano. Sono così vicina a trovarlo... solo qualche altro giorno!» Drew sospirò, vinto. «E va bene, ti mando cento dollari, ma finiti quelli torni a casa, capito? E che non ti venga in mente di dire a Erin che te li ho dati io.» «Non glielo dirò, stai tranquillo» sorrise lei. «Grazie, Drew. Ti adoro.» «Già, anch’io... ma mi sa che questo non è il modo migliore di dimostrartelo. Io mi preoccupo per te, lo capisci?» «Ma non devi» protestò lei. «Senti, versa i cento dollari sul mio conto, così posso andare a Fortuna e ritirarli dalla filiale della mia banca. Sto finendo la benzina, ma la strada è quasi tutta in discesa e posso andare in folle.» «Dove lo hanno visto?» domandò Drew. «Sulle montagne qui intorno... in una capanna lontano dalle strade più battute. Ho intenzione di andare lassù appena possibile per controllare se è davvero lui.» Poi arrossì, vergognandosi della sua menzogna, salutò il fratello e concluse la telefonata. «Accidenti» sospirò facendosi vento. Si voltò e si trovò a fissare la faccia truce del gigantesco cuoco. «Non è stato visto da nessuna parte, vero?» disse Preacher. «Be’, no... ma io ho intenzione di trovarlo.» «A volte un uomo vuole solo essere lasciato in pace per un po’ di tempo» continuò Preacher. «A questo non ha pensato?» E mentre parlava prese da un cassetto un sacchetto di plastica per alimenti, aprì il frigorifero e prese due sandwich avvolti nella pellicola che mise nel sacchetto. «È passato molto più che un po’ di tempo» rispose lei. «Ma se è così, gli darò la possibilità di dirmelo di persona. Poi lo ringrazierò per essere stato un buon amico di mio marito, me ne tornerò a Chico e dirò a suo padre e agli amici che gli sono rimasti che vuol essere lasciato in pace. Però continua a sembrarmi un po’ strano, a lei no? Che non si sia più messo in contatto con nessuno, da anni?» Preacher prese dal frigorifero una ciotola colma di insalata di patate, ne trasferì una buona porzione in un contenitore più piccolo e lo chiuse con un coperchio ermetico. «Allora è proprio decisa a continuare?» Marcie non rispose. Non voleva ammetterlo nemmeno con se stessa, ma era ossessionata dalla scomparsa di Ian Buchanan. Gli aveva scritto una trentina di lettere, dapprima per aggiornarlo sulle condizioni di Bobby e su quel che succedeva nella sua famiglia, per rassicurarlo e incoraggiarlo come poteva. Poi aveva continuato soprattutto per se stessa, come se tenesse un diario. Pur senza saperlo, Ian era stato un amico prezioso. Infine scrollò le spalle e disse: «Ci sono persone che vogliono sapere la fine delle storie... io sono una di quelle. Voglio sapere. Anzi, devo». Preacher aggiunse il contenitore di insalata e un cucchiaio al sacchetto di viveri, poi mise due o tre cetrioli sott’aceto in un sacchetto a chiusura ermetica e aggiunse anche quello al resto. «Perciò immagino che non si arrenderà» osservò con calma. «Infatti.» Preacher le porse il sacchetto. «Non conservi l’insalata di patate troppo a lungo» consigliò. «Fuori fa piuttosto freddo, se la lascia nel bagagliaio reggerà tutto il giorno... ma si ricordi che non deve fermentare, sennò diventa pericolosa.» «Perché mi dà tutto questo?» «La macchina costa» replicò lui inarcando un sopracciglio, «e lei non può girare in folle tutto il tempo.» Marcie lo guardò a bocca aperta – e si domandò se Preacher aveva notato che i jeans ormai le pendevano addosso. «È molto gentile» sussurrò. «Io... ehm... le riporterò il cucchiaio appena possibile.» «Se passa da queste parti, bene. Se no, i cucchiai non ci mancano.» «Grazie» disse Marcie. «Buona fortuna» aggiunse lui. «Spero che le cose vadano come desidera.» «Lo spero anch’io» rispose lei con un sorriso. Alcune ore dopo, verso la fine del pomeriggio, stava guidando lungo la sesta delle varie strade sterrate segnate sulla mappa di Mike. Fino a quel momento non aveva avuto molta fortuna, ma aveva cento dollari in tasca – in realtà un’ottantina, perché la Volkswagen vantava un serbatoio quasi pieno. Aveva mangiato metà sandwich al prosciutto, un cetriolo sottaceto e un po’ della miglior insalata di patate che avesse mai assaggiato. Quel Preacher era un genio della cucina. Tutte le strade che aveva provato finora portavano verso i boschi, ed erano in condizioni pietose. La Volkswagen sobbalzava e ansimava, ma continuava coraggiosamente malgrado tutto. Se Marcie avesse aspettato qualche mese prima di imbarcarsi nella sua ricerca, forse avrebbe potuto procurarsi una Jeep o un altro veicolo a quattro ruote motrici; ma era troppo impaziente per rimandare ancora. Così aveva messo insieme i pochi risparmi di cui disponeva, si era tracciata un itinerario e aveva detto ad Erin e Drew che la sua assenza sarebbe durata circa due settimane. Ma in realtà aveva chiesto al suo datore di lavoro, proprietario dell’agenzia di assicurazioni presso cui lavorava da cinque anni, un permesso di quasi un mese, cioè fino alla fine dell’anno. Erin aveva contrastato il suo progetto fin dall’inizio. Marcie ci aveva messo mesi e mesi a convincerla, e poi la sorella le aveva proposto cento altre soluzioni che secondo lei erano migliori: il ricorso ai registri anagrafici, un investigatore privato, qualsiasi cosa tranne la sua idea di partire da sola alla ricerca di Ian. Ma lei sentiva la necessità di ritrovarlo di persona per vederlo, parlargli, rinnovare quella che considerava la loro amicizia passata. Nemmeno i familiari di Bobby erano molto d’accordo, ma non perché nutrissero un particolare rancore verso Ian – anche perché lo conoscevano appena. Bobby aveva scritto a Marcie parlando continuamente di Ian, ma nelle brevi lettere ai suoi lo aveva nominato poche volte. I Sullivan avevano addirittura suggerito che il legame tra i due forse non era così forte, visto che Ian non aveva mai fatto visita a Bobby mentre era nell’istituto in cui poi era morto. Quanto al padre di Ian, una delle persone più negative, acide e testarde che Marcie avesse mai conosciuto, le aveva detto chiaramente che perdeva il suo tempo, perché lui non aveva alcun interesse a ritrovare il figlio. «Se n’è andato senza una parola e non mi ha mai cercato» aveva concluso. «Per me il messaggio è più che chiaro.» Marcie non si era data per vinta e aveva scoperto che il vecchio Buchanan aveva alcuni problemi di salute: aveva avuto un ictus, soffriva di ipertensione, aveva un cancro alla prostata e il morbo di Parkinson, e probabilmente soffriva anche di demenza senile. «Ma non sente la mancanza di suo figlio?» aveva domandato. «Non vuol sapere che gli è successo?» «Nemmeno per sogno» aveva ribattuto il vecchio. «È stato lui a sparire, a bruciarsi tutti i ponti alle spalle!» Ma i suoi occhi erano umidi e Marcie si era detta: Non vuole ammetterlo ma vorrebbe rivedere il figlio almeno una volta, o almeno sapere se sta bene. Shelly, ex fidanzata di Ian, ce l’aveva ancora con lui per il modo in cui l’aveva piantata in asso, anche se ormai da tre anni era sposata con un altro ed era in attesa del primo figlio. Non aveva sprecato una parola per l’uomo che aveva sfidato il fuoco dei cecchini ed era stato ferito per salvare un amico, e per questo era stato decorato con la Stella di Bronzo e il Purple Heart. In sostanza odiava ancora Ian perché lui l’aveva lasciata ed era sparito, e Marcie non riusciva a capacitarsene. Possibile che Shelly non si rendesse conto di come la guerra poteva cambiare un uomo, turbarlo profondamente, alterare il suo modo di pensare e le sue emozioni? Dopo aver passato tre anni al fianco di un marito totalmente invalido, che non poteva nemmeno sorriderle, a Marcie sembrava che concedere un minimo di pazienza e comprensione a un uomo che aveva sofferto tanto non fosse un grande sforzo. Ma poi si era detta che non conosceva il peso dei problemi altrui, solo dei propri, e che non toccava a lei giudicare. Ciononostante, per lei era assolutamente fondamentale guardare Ian in faccia e domandargli come aveva potuto salvare la vita a suo marito e poi sparire così, senza rispondere alle sue lettere e senza dare più un segno di vita. Forse le risposte di Ian avrebbero ridato un senso alla sua vita: e per questo riteneva necessario parlare con lui faccia a faccia, discutere di quello che gli era successo, i n s o mma concludere, come si diceva in psichiatria. Mentre si avvicinava a una capanna costruita in modo piuttosto rozzo, vide un uomo apparire da dietro l’angolo con le braccia cariche di legna da ardere. Era alto ma incurvato dall’età, calvo, rugoso. Marcie scese dalla Volkswagen e gli si avvicinò. «Buonasera» disse gentilmente. L’uomo depose a terra il fascio di legna e la guardò con espressione sospettosa. «Forse può aiutarmi» continuò lei. «Sto cercando una persona.» Gli mostrò la foto di Ian e spiegò: «Questa foto è stata scattata circa sette anni fa, perciò quest’uomo sarà cambiato e credo che adesso si sia lasciato crescere la barba... ma mi hanno detto che vive in queste colline. Ha trentacinque anni, è robusto e alto più di un metro e ottantacinque». L’uomo prese la foto con le dita deformate dall’artrite. «Lei è una parente?» domandò. «Più o meno... Lui e mio marito erano insieme nei Marine, ed erano buoni amici. Vorrei fargli sapere che mio marito è morto.» «Mai visto. Mai visto nessuno con questa faccia.» «Ma forse è cambiato un po’» insistette lei. «Potrebbe essere invecchiato, capisce, magari è ingrassato o calvo, o magari è molto magro... chi può dirlo?» «Coltiva erba?» domandò l’uomo restituendole la foto. «Non lo so.» «Uomini di quell’età da queste parti coltivano l’erba. E lei farebbe meglio a stargli alla larga, perché certe volte quella è gente pericolosa.» «Sì, me l’hanno detto. Ma lei non conosce nessuno come lui a cui potrei dare un’occhiata, giusto per cancellarlo dalla mia lista? Sarò molto prudente.» «Be’, c’è un tizio in cima alla collina, piuttosto ben nascosto. Avrà vent’anni o magari cinquanta, ma comunque ha la barba ed è grande e grosso. Deve tornare indietro sulla statale 36 per circa un miglio, e poi risalire la collina. La strada è sterrata, ma a metà c’è un cancello di ferro che non è mai chiuso perché dalla strada la casa non si vede. Io so che c’è perché ci viveva un tale che conoscevo. C’è solo una stanza, ma è grande. Quel tale se n’è andato da un paio d’anni, ormai, ma adesso in quella casa ci vive uno che è stato con lui negli ultimi mesi.» «Come riconosco la strada giusta?» Il vecchio scrollò le spalle. «Non ci sono cartelli o segni. Se dopo un mezzo miglio non trova il cancello torni indietro e provi un’altra strada.» «Non potrebbe venire e mostrarmi dov’è?» propose Marcie. «Poi naturalmente la riporto indietro.» «No» fece l’uomo scuotendo la testa. «Non voglio averci niente a che fare, quello è uno strano. Parla da solo, fischia e canta la mattina presto, e si crede un orso.» «Un orso?» «Sì, l’ho sentito ringhiare come un animale una volta che ero andato su vicino a casa sua. Mi sa che è meglio se lo lascia in pace.» «Sì, capisco» fece lei rimettendosi la foto in tasca. «Grazie.» E se ne andò, incoraggiata dal fatto che la descrizione del vecchio sembrava adattarsi quasi perfettamente a Ian. Non che fosse la prima volta. Nel corso della sua ricerca aveva frequentato i raduni di veterani, era stata nei rifugi per i senzatetto, negli ospedali, dai missionari evangelici; aveva seguito i vagabondi lungo stradine di campagna, si era aggirata nei boschi, aveva conosciuto mandriani e taglialegna. Ma nessuno di loro era Ian, nessuno aveva sentito parlare di lui. E nessuno aveva i suoi occhi. Marcie non avrebbe mai dimenticato i suoi occhi. Erano castani come i capelli, ma le iridi avevano un bordo color ambra. E lo sguardo poteva essere dolce e quasi reverente, ma poi passare a una collera feroce nel giro di dieci minuti. Lei aveva visto quel cambiamento l’unica volta che Ian era venuto a trovare Bobby. Ian era in licenza, e lei aveva portato Bobby a casa per averne cura in attesa che un istituto accettasse di ricoverarlo. Passando la grande mano in una carezza sulla testa di Bobby, Ian aveva mormorato: «Oh, amico... amico mio...». Naturalmente Bobby non aveva risposto, perché ormai era muto e immobile. Dopo alcuni minuti Ian aveva spostato lo sguardo su di lei, e l’oro delle sue iridi sembrava letteralmente bruciare. «Non avrei mai dovuto permettere che questo accadesse a lui e a te» aveva ringhiato. «Non è giusto... non è giusto e basta!» La visita di Ian, cinque mesi dopo il tragico incidente di Fallujah, era durata meno di mezz’ora. Marcie si aspettava che tornasse, ma dopo quell’unica volta non lo aveva mai più rivisto. Se aveva letto le lettere di lei, doveva sapere che poco dopo la sua visita Bobby era stato trasferito in un istituto. Nel corso di quei lunghi mesi, a volte Marcie aveva la sensazione che Bobby capisse qualcosa. Volgeva la testa verso di lei, sembrava che la guardasse, a volte addirittura si accostava come per sentirla più vicina e poi chiudeva gli occhi, come se sapesse che lei era lì e potesse sentirne il calore e il profumo. Forse era l’unica a crederci, ma sentiva che da qualche parte, all’interno di quel guscio immobile, Bobby sapeva di essere a casa, con sua moglie e la sua famiglia, e sapeva di essere amato. Se quella fosse vita, Marcie non lo sapeva. La famiglia di lui aveva espresso il desiderio che i tubi di alimentazione e idratazione venissero rimossi, in modo che lui morisse in pace: ma lei non se l’era sentita. E poi aveva trovato pace nel pensiero che la scelta non era sua, che decidere non toccava a lei. Lei doveva solo stargli accanto, fare del proprio meglio per confortarlo e amarlo, assicurarsi che non gli mancasse nulla. Non era religiosa, e andava raramente in chiesa; pregava quando era spaventata o aveva qualche problema, ma quando le cose andavano bene se ne dimenticava. Però, al di là di tutto questo, era convinta che Dio avrebbe preso Bobby con sé quando fosse stato il suo momento. Quel che doveva accadere sarebbe accaduto. E così era stato. Sulla quarta strada sterrata, finalmente apparve il cancello e Marcie emise un sospiro di sollievo perché la sua macchina stava ansimando, consumando un’enorme quantità di benzina e faticando non poco su per le ripide salite disseminate di rocce. In effetti il cancello non era chiuso e lei lo oltrepassò augurandosi di non dover salire ancora per molto. Date le condizioni della strada non poteva superare i venti chilometri all’ora, e chissà quanto ancora ci sarebbe voluto... Quando infine avvistò una capanna e un vecchio pick-up parcheggiato nei pressi, era ormai pomeriggio avanzato e di lì a poco sarebbe calato il buio. Marcie era talmente stanca che non aveva ancora pensato a quello che avrebbe fatto se avesse davvero trovato Ian. Era stata delusa tante di quelle volte! Parcheggiò davanti alla capanna e suonò il clacson, come si faceva da quelle parti per annunciare il proprio arrivo, visto che nessuno aveva un campanello alla porta. La gente poteva essere in casa, ma anche fuori in giardino o lungo il fiume: l’unico modo per render nota la propria presenza era dare una voce, sparare un colpo di fucile o, appunto, suonare il clacson. La Volkswagen non aveva un clacson molto forte, solo una specie di patetico beep. Marcie scese e si guardò intorno. La capanna doveva avere almeno cinquant’anni, e da qualche traccia sui muri si intuiva che tanto tempo prima doveva essere stata dipinta di arancio. Il terreno intorno era spoglio e privo di alberi; addossata a uno dei muri esterni c’era una grossa catasta di legna protetta da un telo cerato, ma niente fienile né recinto per gli animali. Non c’era veranda, e le finestre erano piccole e poste piuttosto in alto. Dal tetto sbucava un comignolo. Poco lontano dalla capanna c’era un casotto che probabilmente ospitava una latrina, e accanto quello che sembrava un magazzino, una rozza costruzione che misurava circa due metri per tre. Come si poteva vivere in quel modo, pensò lei, così lontani dalla gente, così privi delle comodità più elementari? Prima di bussare alla porta aspettò di vedere se chi abitava nella capanna si sarebbe fatto vivo per primo. Aveva già parlato con decine, forse centinaia di persone, e non avrebbe dovuto illudersi nemmeno questa volta... ma dopo aver mentito ai fratelli dicendo che Ian era stato visto da quelle parti, non poteva impedirsi di sperare che l’abitante della capanna fosse davvero lui! Se così non era, avrebbe mangiato il resto dei sandwich e dell’insalata di patate, si sarebbe cercata una stazione di servizio e avrebbe passato l’ennesima notte in macchina. Poi un uomo apparve da dietro l’angolo della capanna, con in mano un’ascia. Era grande e grosso, con le spalle ampie e una barba incolta che gli arrivava a metà del petto. Portava una giacca con i polsi sfilacciati la cui fodera a quadri pendeva scucita qua e là; i pantaloni erano rattoppati sulle ginocchia, e gli stivali erano consumati e pieni di tagli. Dopo una prima rapida occhiata, Marcie pensò: Accidenti, non è lui!. I capelli, lunghi e legati in una coda, erano castani, ma la barba era rossiccia, e l’uomo aveva entrambe le sopracciglia. Non poteva essere Ian. «Salve» gli disse. «Mi dispiace disturbarla, ma...» L’uomo le si avvicinò con espressione irosa. «Che diavolo ci fai qui?» ringhiò. Lei lo guardò, e vide che il color ambra di quegli occhi prendeva fuoco. Gesù benedetto, era lui! Fece un passo esitante. «Ian?» «Ho detto, che diavolo ci fai qui?» «Stavo... ti ho... ti stavo cercando. Sono la...» «So chi sei. Adesso che mi hai trovato puoi andartene!» «Aspetta un momento. Adesso che ti ho trovato dobbiamo parlare.» «Non mi va di parlare.» «No, aspetta... devo dirti di Bobby. Se n’è andato, Ian. È morto, quasi un anno fa. Te l’ho anche scritto.» Lui chiuse gli occhi e rimase immobile per un momento, con le braccia lungo i fianchi e le mani strette a pugno. Sulla sua faccia si leggeva un dolore profondo. «Te l’ho scritto...» ripeté lei. «Va bene» disse lui. «Ho capito.» «Ma, Ian...» «Tornatene a casa» fece lui brusco. «Vivi la tua vita.» Poi si voltò, entrò nella capanna e le sbatté la porta in faccia. Per un attimo Marcie fissò la porta chiusa. Poi guardò verso il sole che stava calando e diede un’occhiata all’orologio. Erano le cinque, lei si trovava in cima alla collina e quindi c’era ancora un po’ di luce. Ma siccome si era a metà dicembre, a valle era ormai buio. Non le andava di avere una questione in sospeso con Ian, ma soprattutto, dopo quello che aveva patito per trovarlo, non aveva alcuna intenzione di lasciar perdere. Trasse un paio di respiri profondi, si disse che probabilmente era solo turbato e infelice ma non pazzo, e marciò verso la porta. Bussò con le nocche, poi fece un passo indietro per mettersi al sicuro. La porta si spalancò e Ian la fulminò con gli occhi. «Che diavolo vuoi?» «Ehi, perché ce l’hai con me? Voglio solo parlarti.» «Non mi va» abbaiò lui cercando di richiudere la porta. Con inatteso coraggio lei spinse un piede nell’apertura. «Allora puoi starmi a sentire.» «No!» urlò lui. «Guarda che non mi fai paura!» urlò Marcie di rimando. E allora lui ringhiò come un animale feroce. Mostrò i denti, i suoi occhi si illuminarono di una luce selvaggia, e il suono che emise non aveva nulla di umano. Marcie sobbalzò e fece un passo indietro, con gli occhi sbarrati. «D’accordo» disse alzando le mani, «forse un po’ di paura me la fai.» Lui la guardò con gli occhi ridotti a due fessure, poi sbatté di nuovo la porta. «Ma ho fatto troppa strada e mi sono data troppo da fare per rinunciare adesso!» urlò lei in direzione della porta chiusa. Mollò un forte calcio al battente, si fece male al piede e si mise a saltellare, soffocando un grido di dolore. Ma tutto questo non lo smosse di un centimetro. Marcie rimase a fissare la porta chiusa, cercando di decidere cosa fare. Non aveva alcuna intenzione di scappare solo perché lui le aveva ringhiato contro, lo spaccone, ma per il momento non se la sentiva di affrontarlo di nuovo. Probabilmente Ian aveva bisogno di un po’ di tempo per calmarsi, e per capire che lei non avrebbe rinunciato. Perciò la cosa migliore da farsi era aspettare. E intanto mangiare qualcosa. Marcie tornò alla macchina e prese dal frigorifero/bagagliaio il resto del cibo avuto da Preacher, poi distese il sacco a pelo sui sedili posteriori dopo aver spostato in avanti il più possibile quelli anteriori. Si sistemò su quella specie di divano e attaccò l’ultima metà di sandwich. D’accordo, pensò masticando, non era andata esattamente come sperava. Immaginando quel che sarebbe successo quando avesse trovato Ian, si era prospettata alcune possibilità. Che lui fosse felice di vederla, e l’abbracciasse con calore; o che invece fosse cupo, rinchiuso in se stesso... o addirittura un pazzo furioso che viveva fuori dal mondo. Ma non aveva mai immaginato che Ian potesse darle un’occhiata ostile, disperarsi alla notizia della morte di Bobby, e poi urlarle di andarsene in quel modo meschino e crudele. Marcie bevve un sorso dal thermos, che aveva riempito di acqua dal rubinetto di Preacher perché l’acqua minerale era troppo costosa per lei. Ogni tanto dava un’occhiata alla porta della capanna, e si infuriava sempre di più pensando al modo in cui Ian l’aveva trattata dopo tutto quel che lei aveva sofferto per ritrovarlo. Voleva solo assicurarsi che stesse bene, maledizione! D’improvviso i suoi occhi si riempirono di lacrime. Quella reazione violenta l’aveva davvero ferita, e allo stesso tempo la faceva impazzire di collera. In fondo che gli aveva fatto? Come aveva potuto trattarla così, ringhiarle contro come una bestia e sbatterle la porta in faccia? Senza nemmeno starla a sentire? Non avrebbe potuto invitarla a entrare, dirle che stava bene ma voleva essere lasciato in pace, accettare le figurine del baseball e poi... Marcie abbassò la testa e lasciò che le lacrime le scorressero sulle guance. Era da tanto tempo che non piangeva così. Adesso lo capiva, aveva idealizzato le aspettative per il risultato della sua ricerca, e quella era la ragione per cui Erin aveva tanto insistito per assumere un investigatore e affidargli la faccenda. Ian Buchanan se n’era andato lontano da tutti perché non voleva aver più niente a che fare con le persone della sua vita passata, non perché aveva bisogno di aiuto. Non voleva l’aiuto di nessuno, e in particolare non voleva il suo. Tirando su col naso, Marcie pensò che forse era l e i ad avere bisogno dell’aiuto di Ian. Forse, prima di riprendere a vivere doveva esaminare e capire il rapporto di Ian con Bobby e con lei, e accettare gli inevitabili cambiamenti. La reazione di Ian – il ringhio, la porta sbattuta – non l’aveva scoraggiata ma non l’aveva aiutata a capire. Perciò sarebbe rimasta lì finché Ian non se ne fosse reso conto: con lui non aveva ancora finito. E purtroppo la faccenda si annunciava difficile, perché c’erano buone probabilità che quell’uomo fosse davvero fuori di testa... Marcie cercò di finire il sandwich, ma ormai aveva perso l’appetito. Il fatto era che ultimamente non aveva mangiato granché, e meno cibo immetteva nello stomaco meno le andava di mangiare. Finalmente rimise i resti del sandwich nel sacchetto di plastica e rimase a guardare il sole che scompariva all’orizzonte. Poi dietro le finestrelle della capanna si accese una luce e dal comignolo salì un filo di fumo. Lei si appoggiò allo schienale, piuttosto comoda benché emotivamente distrutta. Ormai aveva deciso: sarebbe rimasta lì finché non avesse trovato un modo di farsi ascoltare. Affrontando la questione da un punto di vista più pratico, si augurò di non doversi alzare nel mezzo della notte per il bisogno di un bagno. Di solito sceglieva con cura il posto in cui dormire, in modo da non doversi allontanare troppo dalla macchina se di notte aveva qualche necessità. Non era mai stata una campeggiatrice, e non aveva mai imparato a svuotare la vescica a comando. Ma dopo un mese di ricerche lungo i sentieri di montagna e notti passate nei parcheggi o nelle stazioni di servizio, finalmente aveva messo a punto la tecnica giusta. Adesso era in grado di scendere dalla macchina, fare quel che doveva, risalire in macchina e bloccare la porta, tutto nel giro di un minuto. Per lavarsi si arrangiava con le docce negli ostelli della gioventù o nelle palestre, dove nessuno controllava troppo attentamente i documenti. La prima settimana aveva dormito nei motel più economici, ma poi si era resa conto che anche quelli costavano troppo e aveva deciso di dormire in macchina, anche perché la ricerca si annunciava piuttosto lunga e lei doveva far durare il denaro più a lungo possibile. Poi le venne in mente che accanto alla capanna aveva notato una latrina. Accidenti, chi avrebbe mai pensato che sarebbe stata tanto contenta di vedere una latrina? La sua vita stava diventando davvero interessante! Drew ed Erin – specialmente Erin – sarebbero morti se avessero saputo che lei dormiva in macchina. Forse sono pazza quanto lui, pensò Marcie scuotendo la testa. E poi notò che sul parabrezza della Volkswagen si fermavano dei fiocchi di neve. Bei fiocchi di neve soffici, illuminati da una lama residua di sole che filtrava tra le nuvole all’orizzonte e li faceva scintillare come gioielli. Il panorama era stupefacente: tra un fiocco e l’altro brillava un arcobaleno le cui estremità si perdevano fra le fronde dei pini. Uno spettacolo magnifico. Non poteva essere arrabbiata in un posto così bello – almeno, non con Ian, che forse aveva soltanto dimenticato di essere un suo amico. Probabilmente, con il suo ringhio animalesco voleva farle credere di essere pazzo. Ma lei voleva credere che al di là di quell’esplosione d’ira Ian fosse ancora l’uomo che Bobby le aveva descritto, l’uomo di cui le aveva tanto parlato nelle sue lettere: forte, gentile, leale, premuroso con tutti. E coraggioso. Bisognava essere davvero coraggiosi per fare quel che aveva fatto. Marcie guardò ancora la neve che cadeva lievemente, l’arcobaleno che sbiadiva nel tramonto, il buio che calava a poco a poco. Poi si appoggiò all’indietro e chiuse gli occhi per un momento. Solo un momento, disse a se stessa. Per pensare. 3 Ian non avrebbe aperto la porta nemmeno morto, e per la stessa ragione aveva evitato accuratamente di guardar fuori. Tra le montagne il silenzio era tale che se quella pazza avesse messo in moto per andarsene lui avrebbe sentito chiaramente il click della chiave inserita nell’accensione. Perciò la ignorò, aggiunse un po’ di legna nella stufa, accese la cucina a gas e mise a scaldare due o tre pentole d’acqua per il bagno. Da un anno viveva in quella capanna senza bagno, doccia o elettricità, ma aveva fatto qualche miglioria: aveva comprato un generatore, ci aveva collegato dei fili per alimentare due lampadine all’interno, e poi, in un mucchio di rottami, aveva trovato una vecchia vasca da bagno con le zampe di leone che aveva rappezzato. Così si poteva lavare in qualcosa di un po’ più grande del lavello di cucina. Non riempiva mai del tutto la vasca. Due pentole d’acqua fredda pompate a mano dalla sorgente accanto alla casa, più due scaldate sulla cucina a gas, non erano un vero e proprio bagno. E specialmente d’inverno, col freddo, si calava nella vasca, si insaponava e risciacquava e usciva in tutta fretta. Non pensava che avrebbe mai avuto altro che quella vasca, perché doveva risparmiare e non poteva permettersi un idraulico, e non era in grado di installarsi da solo un sistema di tubature. Erano anni che non faceva una doccia come si deve, ma era un uomo e non aveva bisogno di tante raffinatezze. Gli bastava essere pulito. Dopo un rapido bagno indossò degli abiti puliti, poi riscaldò un po’ di stufato senza nemmeno toglierlo dal barattolo. Avrebbe voluto sapere dov’era Marcie Sullivan e che cosa stava facendo, ma non si affacciò per scoprirlo. Se l’avesse ignorata e avesse rifiutato di parlarle, lei sarebbe andata via. Molto presto. O così sperava. Dopo tanti anni, Ian era riuscito a dimenticare tutto quello che gli era successo prima di arrivare tra quelle montagne; ma una sola occhiata alla massa di riccioli rossi e agli occhi verde smeraldo di lei aveva riportato ogni cosa in superficie. Aveva visto per la prima volta quel bel faccino in una foto che Bobby gli aveva mostrato. Il ragazzo era davvero speciale: quando si erano conosciuti aveva vent’anni, era nei Marine da due, e si era già guadagnato un paio di gradi. Ian aveva ventotto anni e stava per assumere il comando di un nuovo squadrone. Si era subito affezionato a Bobby, un ragazzone grande e grosso, simpatico, aperto, che non conosceva la paura e non si dava arie. All’inizio Ian lo aveva fatto lavorare senza pietà, ma lui sopportava tutto, non era mai stanco e si impegnava ancora di più; e in breve Ian aveva cominciato a fargli da mentore, facendone uno dei suoi uomini migliori. Di tanto in tanto bevevano insieme una birra e parlavano di argomenti che non riguardavano la vita militare, come sport, musica, macchine, caccia. Poi, erano andati insieme in Iraq. Nel tempo libero si mostravano le foto delle rispettive ragazze e si leggevano le lettere che ricevevano, a volte tralasciando le parti più personali e a volte no. Bobby aveva sposato la sua ragazza, ma Ian era fidanzato da meno di un anno quand’era partito per l’Iraq. Shelly stava organizzando il loro matrimonio, che avrebbe avuto luogo quando Ian fosse tornato a casa; Bobby e Marcie stavano pensando di metter su famiglia. Entrambe le ragazze erano bellissime. Marcie era minuta, quasi fragile, con una massa di riccioli rossi e un sorriso sbarazzino. Shelly era una bionda alta e sofisticata con lunghi capelli lisci. In una lettera, Marcie aveva mandato al marito un paio di mutandine di pizzo che lui mostrava orgogliosamente a tutti, ma che nessuno poteva toccare. Shelly aveva mandato a Ian una ciocca di capelli, e lui non le aveva mai detto che avrebbe preferito di gran lunga un paio di mutandine... Poi, Marcie aveva mandato al marito una foto in bikini, seduta sulla motocicletta di Bobby; e Shelly aveva inviato una sua foto in pantaloni eleganti e maglione di cachemire, accanto all’albero di Natale. Entrambe inviavano anche biscotti, libri, cartoline, calzini pesanti, nastri con le canzoni preferite, tutto quello che poteva confortare e rallegrare i loro uomini. Quando i giubbotti antiproiettile avevano cominciato a scarseggiare e i soldati dovevano comprarli con il loro denaro, Marcie e Shelly avevano inviato anche quelli... Ian non voleva più pensare al passato. Non voleva parlarne, non voleva essere ossessionato dai ricordi. Possibile che Marcie non lo capisse? Seduto al piccolo tavolo della capanna, abbassò la testa tra le mani e chiuse gli occhi. Ma i ricordi non volevano andarsene. A Fallujah non esistevano missioni di routine. Fino a quel momento lo squadrone di Ian non aveva partecipato a molte azioni: ma quel giorno, mentre perlustravano un quartiere casa per casa, a caccia di insorti, gli uomini procedevano con particolare cautela. Le strade erano praticamente deserte. Due donne, ritte sulla soglia di una casa, li guardavano intimorite. D’improvviso si scatenò l’inferno. Un’autobomba esplose, poi scoppiarono alcune granate, e infine cominciò il fuoco dei cecchini. Ian vide uno dei suoi uomini volare in alto, trasportato dallo spostamento d’aria dell’esplosione, e poi ricadere pesantemente a terra. Quando il rumore assordante diminuì un po’, Ian si rese conto che l’uomo a terra era Bobby. Valutò rapidamente la situazione e vide che gli altri uomini si erano messi al riparo e stavano rispondendo al fuoco. Bobby, invece, era in condizioni critiche: era stato gettato in aria dall’esplosione, ma prima di ricadere a terra era stato ferito da due spari, uno alla testa e uno al torace. Quando Ian si precipitò da lui Bobby aprì gli occhi e sussurrò: «Mettiti al riparo, sergente...». «Non dire stupidaggini» replicò lui. «Adesso ti porto via da qui.» Poi lo sollevò tra le braccia – e capì subito che la situazione era gravissima. Bobby era inerte e pesante come un sacco di sabbia di novanta chili. Se lo issò sulle spalle, lo portò fino a un edificio in rovina e lo appoggiò a terra dietro un muro ancora in piedi, poi chiamò via radio un medico perché gli somministrasse le prime cure di emergenza. Infine premette la mano sulla ferita alla testa di Bobby, sperando di arrestare l’emorragia, e aspettò. Finalmente arrivò il paramedico addetto al loro squadrone e aprì la tuta mimetica di Bobby per valutare i danni. Spostò delicatamente il ferito ed esaminò la schiena. «La pallottola è entrata e uscita» disse applicando una compressa di garza per arrestare il sangue. «Non posso dire quant’è grave finché non sarà in ospedale. I segni vitali si percepiscono appena.» «Sono certo che ce la farà» disse Ian, benché Bobby fosse privo di conoscenza. Il paramedico disinfettò la ferita alla testa e ci applicò una garza sterile fermata da alcuni cerotti. «Purtroppo non possiamo far arrivare un elicottero fin qui, in mezzo a questo inferno» disse. «Dovremo portarlo a spalla o trasportarlo con una lettiga.» «Cerca di mantenerlo in vita finché non arrivano i trasporti» disse Ian. Ma poi l’uomo fu chiamato a curare un altro ferito e Ian capì che toccava a lui occuparsi di Bobby e farlo arrivare in ospedale. Ormai Bobby era svenuto da un bel po’ di tempo, e respirava appena. Ian sapeva che non se la sarebbe cavata facilmente, ma rifiutava di pensarci troppo. «Te la caverai, amico» ripeteva. «Vedrai... ti porterò via di qui. Resisti. Ce la farai...» Finalmente via radio arrivò la notizia che un elicottero aspettava pochi isolati più in là, in una zona sicura. Non appena il fuoco dei cecchini parve meno intenso, Ian sollevò Bobby fra le braccia e cominciò a correre lungo le strade polverose di Fallujah, in direzione dell’elicottero e dei medici che avrebbero curato il suo amico. Un cecchino lo colpì alla coscia, ma lui continuò a correre senza nemmeno sentire il dolore della ferita. Qualcos’altro lo colpì in faccia, ma lui non si fermò nemmeno allora. E finalmente vide l’edificio dietro il quale c’era l’elicottero. Trasportò Bobby fino al portellone, lo consegnò all’équipe medica e si voltò per tornare dai suoi uomini, ma uno dei medici lo afferrò per la manica. «Aspetti un minuto, sergente. Diamo un’occhiata alle sue ferite.» Ian abbassò gli occhi e vide che era coperto di sangue – non sapeva se suo o di Bobby. Sentì che la gamba cominciava a pulsare, e capì che un suo occhio era offuscato dal sangue che cadeva copioso da un sopracciglio. «Pensate a lui» replicò tuttavia. «Io sto bene.» «Il suo amico è affidato al mio collega» replicò l’uomo. «Adesso si lasci curare anche lei.» E preso un paio di forbici tagliò la gamba dei pantaloni fino alla coscia, esponendo un foro rossastro e sanguinante. «Diavolo» disse Ian. Barcollò e accettò di sedersi. Dopo la coscia, il paramedico si occupò della faccia di Ian. C’era un taglio sul sopracciglio, e una ferita che correva lungo la guancia. Ian si lasciò disinfettare e bendare, osservando quelli che si affaccendavano attorno a Bobby. Qualcuno disse che aspettavano l’arrivo di altri due Marine feriti, e un altro osservò: «Per fortuna oggi non abbiamo nessun morto». Si sbagliava, ma non poteva saperlo... Finalmente l’elicottero decollò e si diresse verso l’ospedale da campo più vicino. Nelle tende erette in tutta fretta operava un’équipe di chirurghi, e fu lì che Ian e Bobby vennero separati. Bobby venne portato in sala operatoria, Ian in un ambulatorio. Qualcuno gli rasò il sopracciglio e applicò alcuni punti sulla ferita, mentre l’infermiere gli disse che probabilmente il sopracciglio non sarebbe ricresciuto. Le altre ferite vennero ripulite e bendate, poi qualcuno procurò a Ian delle stampelle. Nel frattempo Bobby era stato stabilizzato e messo su un aereo diretto in Germania. Ian rimase in Iraq. Nel giro di due mesi le ferite guarirono, lasciandogli però delle brutte cicatrici. E durante il periodo in cui non era in prima linea scrisse spesso alla moglie di Bobby, cercando di rassicurarla e dicendole che Bobby se la sarebbe sicuramente cavata. Appena saputo quel che era accaduto al marito, Marcie era partita per la Germania. Da lì scrisse a Ian tenendolo aggiornato sulle condizioni di Bobby, poi seguì il marito a Washington, all’ospedale Walter Reed , e continuò a scrivere a Ian – e lui a risponderle. Poi Ian tornò a combattere, e da Washington Bobby fu spostato in un ospedale per veterani in Texas e infine a casa, con sua moglie. Ian continuò a scrivere a Marcie, e lei a rispondergli. Scriveva cose tipo: Reagisce ancora poco, ma continua con la fisioterapia ed è molto seguito, oppure: Non ha respiratore né altro, e anche: Te lo giuro, Ian, oggi mi ha sorriso!. Ma scriveva inoltre che Bobby era paralizzato e che i medici temevano un danno cerebrale, non causato dalla pallottola ma dal fatto che il cervello si era gonfiato. Paralisi. Danno cerebrale. Pochi mesi dopo Marcie aveva scritto: Ormai è chiaro. Bobby non migliorerà mai. È paralizzato dal collo in giù, e se anche è cosciente non reagisce. La notizia colpì Ian come un mazzata. Rilesse tutte le lettere precedenti, ma non vi trovò alcun accenno che facesse presagire il disastro. Eppure i fatti erano lì, incontrovertibili: solo che per mesi Ian aveva negato l’evidenza, e Marcie aveva continuato a sperare. Dopo qualche tempo Marcie s c r i s s e : Sono molto felice e sollevata, Bobby è a casa. Ian ricevette delle medaglie per il suo gesto eroico; ma ogni giorno si domandava che senso aveva essere premiato per aver salvato la vita di qualcuno che viveva in un guscio inerte. Poiché aveva le informazioni basilari sulla salute dell’amico, credeva di essere preparato a vederlo di persona quando fosse tornato a casa in licenza. Marcie era elettrizzata dalla prospettiva, e non vedeva l’ora di abbracciarlo e ringraziarlo. Quanto a lui, non si aspettava certo di trovarli ridotti in quello stato. Paragonando Marcie alle foto che Bobby gli aveva mostrato, la vedeva smagrita, pallida, terribilmente fragile. E Bobby non era più lui, ma la spaventosa ombra di se stesso. Muscoli spariti, faccia emaciata e grigiastra, occhi fissi nel vuoto: veniva nutrito attraverso un tubo e non reagiva alle carezze della giovane moglie o alla voce del suo migliore amico. Era peggio che morto: eppure il suo cuore batteva e i suoi polmoni pompavano aria. Una caricatura, un inganno vivente. E gli avevano dato delle medaglie per questo? Ian riaprì gli occhi e scoprì che bruciavano, come se ci fosse entrata della sabbia. Era stato letteralmente trasportato nel passato – cosa da cui rifuggiva da anni. Non sapeva nemmeno se le sue difficoltà erano state causate dall’Iraq in generale, o dal singolo evento che aveva cambiato in modo irrevocabile la vita di Bobby. Quali che fossero le cause, quando lui era tornato a casa in licenza era un uomo finito. La sua visita a Bobby era durata un quarto d’ora, non di più, e vedere quel che aveva fatto – salvare Bobby per farlo vivere così – lo aveva distrutto definitivamente. Aveva mandato a monte il matrimonio spezzando il cuore di Shelly, poi era tornato in servizio; ma non era più lo stesso uomo forte e serio, era un relitto collerico e irresponsabile. Si metteva continuamente nei guai. Non era più un esempio per gli altri, ma un problema da evitare. Finì col passare due notti in prigione per via di una stupida rissa, e suo padre gli disse che non si era mai vergognato tanto in vita sua. In tutta risposta, Ian si comportò talmente male che il Corpo dei Marine gli suggerì di congedarsi e di tornare alla vita civile. Nel frattempo aveva anche ricevuto una telefonata da Erin, che lo pregava di mettersi in contatto con Marcie, ogni tanto, visto che badare a Bobby era un compito così gravoso: e questo aveva aggiunto il senso di colpa a tutti gli altri demoni che lo ossessionavano. Ian non riusciva più ad adattarsi. Aveva deluso Bobby, si era allontanato dal padre, aveva abbandonato la sua donna. E non era stato di aiuto a Marcie, che meritava un minimo di comprensione. Si era isolato dal mondo cercando di capire e risolvere i suoi problemi, ma quel compito si era rivelato impossibile. Perciò adesso non voleva rivedere Marcie. Non voleva rivivere quella parte della sua vita. Non avrebbe mai potuto ottenere il suo perdono, né annullare tutti gli errori che aveva commesso. Marcie doveva andarsene, doveva lasciarlo in pace a convivere con i suoi demoni in quel posto isolato, dove almeno non avrebbe fatto del male a nessuno. In quella capanna nel bosco aveva trovato una sorta di pace: non aveva alcun senso ricordare con Marcie tutti i dettagli del passato. Lo aveva già fatto lui decine di volte, santo Dio, spesso senza volerlo! Non avrebbe mai smesso di sentirsi colpevole, questo era sicuro. Se Bobby era condannato a una vita che non era vita, perché lui avrebbe dovuto riprendere un’esistenza normale, come se niente fosse? Non poteva... proprio non poteva. Ma almeno poteva evitare che qualcuno gli raccontasse gli orribili dettagli degli ultimi anni di Bobby! Diede un’occhiata all’orologio. Erano le dieci: il suo viaggio nel passato era durato quasi due ore. Adesso doveva andare in bagno, ma non aveva alcuna voglia di uscire. Pensò per un attimo di usare il vaso che gli serviva in caso di emergenza, ma poi decise di controllare se Marcie se n’era andata mentre lui era perso nei ricordi. Infilò il giubbotto per uscire, sperando malgrado tutto che la Volkswagen verde fosse scomparsa: e invece era ancora là, coperta da uno strato di neve. Ian era così furioso che emise un ruggito selvaggio, ma dalla macchina non venne alcuna risposta. Allora si avvicinò e batté il pugno sul finestrino. «Ehi, tu!» gridò. «Vattene, torna a casa tua!» Ma nessuno gli rispose. Ian mise entrambe le mani sul tettuccio e cominciò a scuotere la macchina, sempre più incollerito. Poi si fermò, ma dall’interno non ci fu nessuna reazione. Diavolo, pensò, qua fuori si gela. Non poteva essersi addormentata in una macchina coperta di neve, no? Nessuno poteva essere tanto stupido. Aprì la portiera e vide che la macchina era vuota. Se n’era andata. «Accidenti a te!» gridò. «Marcie, maledizione, dove diavolo sei?» Nel silenzio della notte, la neve cadeva leggera. Poi Ian sentì un cigolio, si voltò e notò che la porta della latrina era aperta e dondolava appena, spinta da una lieve brezza. Si sentì afferrare da un timore gelido e si precipitò a vedere. Marcie giaceva a faccia in giù, la metà superiore del corpo all’interno della latrina e le gambe fuori, coperte di neve. Dio santo, pensò lui. Chissà da quanto tempo era sdraiata là fuori! Senza fermarsi a riflettere la sollevò tra le braccia e accostò le labbra alla sua fronte per sentirne la temperatura. Era fredda come il ghiaccio. Corse verso la capanna, sempre tenendola fra le braccia, conscio del fatto che non era ancora rigida. E pregò – cosa che non faceva da anni. Dio, ti prego... non volevo spaventarla con i miei ruggiti, pensavo solo che sarebbe stato meglio per entrambi se fosse andata via! Fa’ che stia bene, che non le succeda nulla... farò qualsiasi cosa! La depose sul divano, aggiunse due grossi ciocchi di legna nella stufa, poi tornò accanto al divano e le controllò il polso. Era abbastanza regolare, ma l’ipotermia avanzata le aveva fatto perdere i sensi. Ian sapeva che cosa fare, e cominciò a spogliare Marcie eliminando gli abiti bagnati. Prima il giubbotto imbottito, poi gli stivali e i jeans. Per fortuna erano piuttosto spessi, e gli stivali erano solidi, con una suola robusta. Probabilmente l’avevano protetta dal congelamento. La sollevò per sfilarle il pullover dalla testa, e lei ricadde pesantemente sul divano. Poi Ian si liberò in fretta della giacca e della camicia, sfilò gli stivali e i jeans e coprì il corpo fragile di lei con il proprio, riscaldandola con il suo calore. Badando bene a non schiacciarla con il proprio peso, girò la faccia di lei e se l’appoggiò alla spalla; e dopo una decina di minuti sentì che il gelo diminuiva e la temperatura di Marcie stava tornando normale. Gli tremavano le braccia per lo sforzo di tenersi appena sollevato in modo da non soffocarla, pur restando a contatto di pelle. E quello sforzo richiamò alla memoria una scena del passato. Fammi venti piegamenti, soldato... adesso altri venti! E altri venti! Dio, quanti piegamenti aveva fatto... e quanti ne aveva poi ordinati a sua volta! Rimase sdraiato su di lei per quasi un’ora, mentre la stufa riscaldava l’intera capanna. Il respiro di Marcie era regolare, il corpo tiepido. Infine, con una certa riluttanza, Ian si staccò da lei e l’avvolse in un plaid che stava ripiegato ai piedi del divano. Si rivestì, aggiunse altra legna nella stufa e mise a scaldare una pentola d’acqua. Nell’unica stanza c’erano il divano, un tavolo con due sedie, la vasca da bagno, la stufa e un fornello a gas appoggiato su una rustica credenza accanto al lavandino, che funzionava con una pompa. Oltre alla credenza c’erano alcuni mobiletti, due grossi bauli e una scatola di metallo in cui Ian teneva i pochi oggetti di valore. Accanto alla stufa c’era una catasta di legna da ardere; negli angoli erano appoggiati una canna da pesca e due fucili che Ian usava per cacciare sulla terra che era diventata sua. Dormiva su una branda di listelli di legno, che di giorno veniva arrotolata, e durante le ore libere leggeva i libri che prendeva in biblioteca ogni due settimane usando la tessera appartenuta al vecchio Raleigh. In una lettera scritta poco prima di morire, Raleigh gli aveva lasciato la proprietà e la casa. Ian controllò Marcie, vide che dormiva profondamente e uscì in fretta per andare alla latrina. Di solito a quell’ora anche lui dormiva già, visto che c’era ben poco altro da fare. Invece si sedette accanto al tavolo e aprì il libro che stava leggendo. Quando il bollitore fischiò spense la fiamma e si alzò per controllare di nuovo Marcie, che sembrava tranquilla e continuava a dormire. Ian bevve una tazza di tè, aggiunse un po’ d’acqua nel bollitore e riprese a leggere. Ricontrollò Marcie dopo un po’ e vide che era sempre uguale. I suoi capelli rossi erano sparsi sul cuscino, ricci e ribelli. Si domandò come fossero al tatto. Prima non aveva avuto occasione di scoprirlo perché il suo volto era coperto di barba, così ne prese una ciocca e la fece scorrere tra le dita. Erano morbidi e folti. Povera ragazza, pensò. Ventitré anni, sposata da quattro, aveva curato amorosamente un uomo che era ossa e carne ma nient’altro. Che vita era stata la sua? Per alcune ore Ian continuò a leggere, a bere tè e a controllarla di tanto in tanto. Poi sentì che si muoveva, e poco dopo udì un colpo di tosse. Controllando l’ora, vide che erano quasi le quattro e andò ad accucciarsi accanto al divano. «Sei sveglia?» domandò. Marcie aprì gli occhi e si raddrizzò puntellandosi su un gomito. «Che c’è?» esclamò allarmata. «Stai tranquilla, va tutto bene... o quasi.» Lei batté le palpebre un paio di volte, poi spalancò gli occhi. «Dove sono?» «A casa mia» spiegò Ian. «Ho dovuto portarti dentro perché stavi per morire congelata. Mi sa che sei proprio senza cervello.» Lei lo guardò stringendo le labbra. «Grazie tante! È che non sono abituata alla montagna.» Lo guardò attentamente e aggiunse: «Diavolo, se avessi saputo che ti era ricresciuto il sopracciglio e avevi una lunga barba rossiccia, ti avrei trovato molto prima... Me ne vado subito, non strapparti i capelli» disse ironicamente. «Anche se ne hai parecchi.» «Tu non vai da nessuna parte» ribatté lui appoggiandole una mano sullo stomaco per tenerla ferma. «Non hai scelta... e nemmeno io.» «Ma figuriamoci. Dormo sempre in macchina, ho un bel sacco a pelo pesante e...» «Allora non mi hai sentito! Ti ho trovata a terra davanti alla latrina, priva di sensi, coperta di neve e semicongelata. Volevi vedermi, no? Be’, il tuo desiderio è stato esaudito.» Marcie spalancò gli occhi ancora di più. «Sono... ehm, nuda sotto questa coperta?» «No, hai indosso la biancheria. O ti toglievo gli abiti bagnati o ti lasciavo morire di freddo. Non è stata una decisione facile» mentì. «Sicché mi hai spogliata e avvolta in questa coperta?» «Più o meno» disse lui. E per circa un’ora ho stretto il tuo corpicino morbido contro il mio, il primo corpo femminile che sentivo da cinque anni a questa parte. Finora non aveva capito quanto gli mancasse quella sensazione. «Che è successo là fuori?» continuò. «Com’è che sei svenuta sulla porta della latrina?» «Non ne ho la minima idea. Ero così contenta che ci fosse un bagno, così non dovevo accucciarmi dietro un cespuglio... Volevo fare in fretta, ma ero talmente stanca che non riuscivo quasi a muovermi, e questa è l’ultima cosa che ricordo. Poi mi sono svegliata qui.» Tossì di nuovo. «Non credevo di essere tanto stanca da addormentarmi a metà strada...» «Non ti sei addormentata, hai perso conoscenza per l’ipotermia» rettificò Ian. «Te l’ho detto, eri semiassiderata.» «Mmh. Be’, adesso ho perfino troppo caldo, con questa coperta addosso. E devo andare in bagno.» Ian guardò attentamente le sue guance arrossate. Probabilmente era già semiassiderata prima di uscire dalla macchina, pensò. Si avvicinò alla stufa e tastò gli abiti di lei, che aveva disteso su una delle sedie per farli asciugare, ma notò che erano ancora umidi. Aprì un baule, prese una delle sue camicie di flanella a quadri e gliela porse. «Tieni, mettiti questa.» Poi si chinò dietro la stufa, dove c’era un vaso da notte di smalto blu a pois bianchi che doveva avere come minimo cinquant’anni. Quando si voltò di nuovo verso di lei, Marcie si stava abbottonando la camicia. «Usa questo» disse mostrandole il vaso. «Per farci che?» «La pipì.» «Ma nemmeno per sogno! Se mi dai i jeans e gli stivali esco un attimo e...» Poi si interruppe e tossì parecchie volte. «Non puoi uscire. E ti avverto, cerca di non ammalarti perché io non ho tempo di curare un malato.» «Non sono malata, ho solo la gola secca. Berrei volentieri un po’ d’acqua, ma non prima di essere andata in...» «Parliamoci chiaro» fece Ian seccamente. «Non ti lascio uscire là fuori al freddo, almeno per un po’.» Accese di nuovo il fuoco sotto il bollitore, poi infilò il giubbotto. «Esco io. Tu fai quello che devi fare, poi bevi una tazza di tè e torni a dormire.» Lei lo fissò per un attimo con gli enormi occhi verdi. «Hai per caso... ehm... della carta?» domandò. Ian sospirò alzando gli occhi al cielo, le porse il vaso e andò ad aprire uno degli armadietti da cui prese un rotolo di carta igienica. Poi uscì, augurandosi che Marcie non ci mettesse tanto a fare quello che doveva. Rimase fuori cinque minuti, tremando di freddo, poi bussò alla porta e come tutta risposta la sentì tossire a lungo. Si precipitò dentro e la vide appoggiata alla spalliera del divano, rossa in faccia, con il vaso da notte in grembo e le gambe sottili che sbucavano dall’orlo della camicia troppo grande. «Che cosa faccio con... con questo?» domandò levando gli occhi su di lui. «Ci penso io» disse lui. «Dallo a me.» Marcie glielo cedette riluttante, e lui uscì di nuovo per versare il contenuto del vaso nel buco della latrina. E mentre tornava in casa pensò: È malata, non ci sono dubbi. Ha dormito in quella maledetta macchina chissà per quante notti, ed era così debole che si è beccata qualche virus. Poi il gelo ha fatto il resto. Rientrando non disse nulla. Rimise il vaso al suo posto dietro la stufa, si lavò le mani, preparò una tazza di tè, e le portò un bicchiere d’acqua con tre aspirine. «E queste perché?» domandò lei. «Credo che tu abbia la febbre. Forse perché hai rischiato di congelarti là fuori, o forse perché stavi già male prima... comunque proviamo con le aspirine.» «Va bene» disse lei accettando le pillole. «Grazie.» Le inghiottì con l’acqua, poi gli restituì il bicchiere e prese la tazza fumante. Mentre lei beveva il tè, Ian rimase seduto al tavolo, e dopo un po’ disse: «Adesso ti dico quel che facciamo. Stamattina devo lavorare, non so esattamente quanto ci metterò ma dovrei tornare verso mezzogiorno – e quando tornerò voglio trovarti qui. Se saremo sicuri che non stai male, potrai andartene, ma non finché non ti dirò che puoi farlo. Voglio che tu dorma e ti rimetta in forze. Usa il vaso, non uscire per nessuna ragione. Non farmelo ripetere. Non voglio essere costretto a cercarti chissà dove, chiaro?». Lei sorrise debolmente. «Ma allora ti importa di me!» Ian ringhiò, mostrandole i denti come un animale. Lei scoppiò a ridere, e la risata si trasformò in un accesso di tosse. «Funziona, questo tuo trucchetto? Ruggire e ringhiare, come se stessi per fare a brandelli chi ti sta di fronte?» Lui distolse lo sguardo e non rispose. «Però immagino che tenga a bada la gente, no?» continuò lei. «Infatti il tuo vicino mi ha detto che sei pazzo. Cosa fai, ululi alla luna e tutto quanto?» «Se fossi in te cercherei di non provocarmi» ribatté lui malignamente. «Ti serve dell’altro tè?» «Se per te fa lo stesso farò un sonnellino. Non voglio darti fastidio, ma sono terribilmente stanca...» Ian le tolse di mano la tazza vuota. «Se non volevi darmi fastidio perché diavolo non mi hai lasciato in pace?» «Perché volevo rivedere un vecchio amico, pensa che stupida...» Marcie si distese sul divano, tirandosi la coperta sulle spalle. «Che lavoro fai?» «Vendo legna da ardere» disse lui. Andò ad aprire la scatola di metallo, che era inchiodata al pavimento per evitare che qualcuno capitasse nella capanna e cercasse di rubarla – il che era piuttosto improbabile. Prese un rotolo di banconote, poi richiuse la scatola con il lucchetto. «Questa è la prima nevicata della stagione» spiegò, «perciò dovrebbe essere una giornata buona per vendere legna. Ma a qualsiasi ora torno, voglio che tu resti qui finché non ti dico che puoi andartene. Capito bene?» «Senti, Ian, se sono qui è perché ci sono voluta venire, e sarà meglio c h e tu lo capisca bene. Sono io quella che ti è venuta a cercare, perciò non illuderti di darmi degli ordini o di spaventarmi. Se non fossi così stanca me ne andrei subito, giusto per farti arrabbiare. Ma mi sa che a te piace essere arrabbiato!» Lui si infilò la giacca, prese un paio di guanti dalla tasca e disse a bassa voce: «Be’, d’accordo, cercheremo di intenderci in qualche modo». «Aspetta... non è nemmeno l’alba!» «Comincio sempre prima dell’alba. Devo caricare la legna sul pick-up.» E se ne andò. Marcie sistemò il cuscino sotto la testa e chiuse gli occhi. Dapprima sentì il tonfo dei ciocchi di legna che venivano caricati sul retro del pickup, poi qualcuno che fischiava. E fischiava molto bene, seguendo una melodia precisa. Lei si assopì per qualche minuto, poi si svegliò di nuovo perché la capanna era illuminata dai primi raggi del sole. E sentì cantare una bella voce baritonale. Non capiva le parole ma sapeva che era Ian, e la sua voce magnifica la lasciò senza fiato. Se si è arrabbiati o tristi, pensò, non si può cantare. Proprio non si può... 4 Nelle cittadine lungo la costa, come Eureka e Arcata, la neve non era caduta, ma su per le colline il clima era umido e freddo, e si prevedeva altra neve. Ian arrivò a un incrocio piuttosto trafficato verso le sette del mattino, e parcheggiò in un punto strategico, da cui poteva intercettare la gente che andava al lavoro. Vendeva legna agli stessi clienti ormai da quattro anni, ma poiché non aveva telefono e nessuno sapeva dove abitasse era sempre lui a farsi vivo. In breve tempo cinque macchine si fermarono una dopo l’altra e lui vendette circa mezzo quintale di legna. Si segnò gli indirizzi in un suo taccuino e promise di consegnare la legna a domicilio nel giro di un paio di giorni. Due di loro erano clienti conosciuti, e Ian accettò i loro assegni; con gli altri invece si accordò perché le loro mogli lo pagassero in contanti alla consegna del legname. Il sesto cliente fu il capo della polizia. Ogni inverno comprava da Ian un quintale di legna, e ormai era chiaro che si fidava di lui perché lo pagava in contanti prima della consegna. Altri clienti volevano vedere la legna prima di pagare. «Hai una buona scorta per quest’inverno?» gli domandò il capo estraendo dalla tasca un fascio di banconote. «Oh sì, signore, non le mancherà nulla. Le consegnerò il carico a casa in giornata.» «Me lo sistemi nella legnaia, per favore, e ne lasci un po’ accanto alla porta sul retro?» «Sicuro, signore. Come sempre.» «Bene, allora buona giornata» disse il capo. «Ah, dimenticavo... giorni fa da queste parti c’era una donna che cercava un tale più o meno della tua corporatura e della tua età... No, lascia perdere. Non potevi essere tu.» Ian sorrise tra sé. No, non potevo essere io, pensò. «Le porto la legna stamattina» concluse. «Grazie, amico.» Venti minuti dopo, un pick-up si fermò accanto al suo e Ian prese l’ultimo ordine della giornata, poi partì per consegnare la legna al capo della polizia. Si fermò poco dopo per far benzina e un po’ di spesa. Arrivò alla capanna prima di mezzogiorno. All’interno faceva freddo perché nessuno aveva aggiunto legna nella stufa, ma nonostante questo Marcie aveva scalciato via le coperte e giaceva a faccia in giù, con il sederino coperto di pizzo color lavanda in piena vista. Era rossa in faccia per la febbre. Ian depose sul tavolo le borse della spesa, versò del succo d’arancia in un bicchiere e prese il flacone dell’aspirina. Svegliò Marcie, la coprì con il plaid e la fece sedere. «Quando vai via?» domandò lei con voce impastata di sonno. «Sono già tornato. Hai la febbre, devi prendere l’aspirina. Dove ti fa male? La testa, lo stomaco, la gola, il petto?» «Mmh... non lo so» fece lei lottando per svegliarsi. «Dappertutto... ma forse sono solo stanca. Tra un po’ mi passa.» «Devi bere molto e prendere l’aspirina» ripeté lui sollevandola. «Coraggio. Hai l’influenza.» «Mmh» disse lei di nuovo cercando di mettersi a sedere. «Mi dispiace... è solo un raffreddore, tra un po’ starò meglio.» Prese le aspirine e bevve un po’ di succo d’arancia. «Devo uscire di nuovo» disse lui. «Sul tavolo c’è dell’altro succo d’arancia, se vuoi. Ti serve il vaso vicino al divano?» «No» disse lei appoggiandosi al cuscino. «Usarlo non mi piace.» «Vado a vedere se riesco a trovare delle medicine adatte» riprese lui. «A Virgin River c’è un vecchio dottore, può darsi che abbia delle pillole per l’influenza. Ci metterò circa mezz’ora ad arrivare e altrettanto per tornare qui.» «Virgin River...» disse lei chiudendo gli occhi. «È il posto dove hanno fatto un bellissimo albero di Natale, enorme. Dovresti vederlo...» «Sì, certo. Tornerò tra un’ora o poco più. Il fuoco dovrebbe durare, ma tu cerca di tenere la coperta addosso, d’accordo? Finché non torno.» «È che ho tanto caldo...» «Non avrai più caldo tra mezz’ora, quando l’aspirina avrà fatto effetto e ti avrà abbassato la temperatura. Tieni la coperta, va bene? Fallo per me.» Marcie riaprì gli occhi. «Scommetto che adesso sei davvero arrabbiato con me, eh? Ma io volevo solo trovarti, non darti tutto questo fastidio...» Lui le ravviò una ciocca di riccioli rossi, umidi di sudore. «Non sono più arrabbiato, Marcie» disse a bassa voce. «Quando ti sarà passata l’influenza ti tratterò di nuovo male. Che ne dici?» «D’accordo. E se ti va potrai anche ringhiarmi contro o ruggire come un animale selvaggio. Ho la sensazione che ti piaccia molto.» Ian sorrise suo malgrado. «Infatti, lo trovo molto divertente.» Si alzò dal divano. «Adesso resta sotto le coperte. Torno il più presto possibile.» La prima cosa che Ian vide entrando in paese fu l’albero di Natale. Quando Marcie gliene aveva parlato, aveva pensato che avesse le allucinazioni per via della febbre, e si era preoccupato: ma invece eccolo lì, l’albero più enorme che lui avesse mai visto. La parte più bassa, circa un terzo, era decorata con palle bianche, rosse e blu, stelle dorate e qualcos’altro che non si riusciva a vedere chiaramente; il resto era ancora spoglio. Ian rallentò un momento per vedere meglio l’albero. Chissà perché era decorato con quei colori patriottici, pensò. Lo facevano ogni inverno, o era la prima volta – forse perché un ragazzo del paese era in guerra? Poi si riscosse e ricordò a se stesso che doveva cercare le medicine per Marcie. Anni prima, quando il vecchio Raleigh era ormai alla fine, Doc era venuto spesso a visitarlo. Ian lo andava a prendere con il pick-up e lo riaccompagnava, perché Raleigh si era sempre rifiutato di installare un telefono. Quando entrò in ambulatorio, Ian vide una giovane donna bionda seduta alla scrivania. «Salve» lo salutò. Lei si alzò in piedi e lui notò il ventre arrotondato dalla gravidanza. «Doc c’è?» domandò Ian. «Certo, adesso glielo chiamo. Lei è un paziente di Doc? Sa, io sono qui solo da due anni...» «Sì, diciamo che mi conosce.» La donna gli sorrise e andò nell’ufficio di Doc, e poco dopo il vecchio dottore arrivò zoppicando, con gli occhiali bassi sul naso e le sopracciglia aggrottate. «Buongiorno» disse. «Salve, Doc» rispose Ian tendendogli la mano. «Per caso ha sottomano qualcosa per l’influenza?» «Spiacente, figliolo, non ricordo il tuo nome. La faccia sì, ma il nome... chi sei?» «Ian Buchanan. Sto nella vecchia casa di Raleigh, a Clint Mountain. Sono quello che lo ha curato, alla fine.» «Ah, sì, certo. Certo. Allora, che ti senti?» «Non è per me, Doc. Ho un’ospite che è arrivata ieri, e durante la notte si è ammalata. Febbre, brividi, gola infiammata. Le ho dato dell’aspirina e dei succhi di frutta, ma non volevo portarla fuori con questo freddo perché il riscaldamento del pick-up non funziona. Se ha una medicina da darmi...» «Sono pieno di medicine, ragazzo, ma di solito preferisco farmi le diagnosi da solo.» «Be’, il posto è lontano... se lo ricorda, no?» «Certo, come si fa a dimenticare quella capanna a casa del diavolo? Fammi solo preparare la valigetta e poi ti seguo con la mia macchina. Meglio che tu mi faccia da guida, perché le strade lassù sono tutte uguali.» Ian pensò che di questo passo la sua scorta di denaro per l’inverno si sarebbe presto assottigliata. Per ora era a posto, ma se avesse dovuto usare più benzina del previsto, e più gas per scaldare la capanna, avrebbe avuto dei problemi. E in primavera avrebbe dovuto pagare le tasse sulla proprietà... L’estate era tutto più facile. Non che facesse molto caldo, ma lui non era costretto a scaldare il cibo o l’acqua per lavarsi, la luce del giorno durava fino a tardi e perciò risparmiava anche sull’elettricità. Ogni centesimo in più veniva accantonato per le eventuali riparazioni del pick-up e per altre emergenze. Durante l’estate lavorava saltuariamente per una ditta di traslochi, e veniva pagato in contanti e in nero. Però aveva tempo per coltivare l’orto, andare a pesca e abbattere gli alberi la cui legna avrebbe venduto e usato d’inverno. Finora se l’era cavata bene, e l’avrebbe fatto anche quell’anno se non fosse intervenuto un imprevisto serio, come una malattia. Tuttavia, nel caso di Marcie le spese non avevano importanza. Lui avrebbe trovato il modo di curarla, anche se fosse stato necessario ricoverarla in ospedale. Ormai, tutto quello che voleva era riportare sulla sua faccia il bel sorriso della foto che Bobby gli aveva mostrato. Immerso nei suoi pensieri, Ian quasi non si accorse che la giovane donna bionda aveva fatto una telefonata e si stava infilando un giaccone. Quando Doc ritornò con la sua valigetta, diede un’occhiataccia alla donna. «E tu dove credi di andare?» «Con te» rispose lei imperterrita. «Jack si prende cura di David, e la malata è una donna. Vedrai che la mia presenza ti sarà utile.» «Sei incinta, e non è il caso che ti esponga al contagio dell’influenza.» La donna rise e il suo viso si illuminò diventando ancora più grazioso. «Ma fammi il piacere... come se non mi fossi esposta al contagio da quando ha cominciato a piovere e far freddo. Su, andiamo!» E imboccò la porta. «Testarda di una donna» brontolò il dottore. «Non mi sognerei mai di darle ordini, ma un consiglio amichevole dovrebbe essere accolto meglio...» Ian gli tenne aperta la porta. «Le donne sono solo una rottura di... ecco perché non mi sono mai sposato. Be’, diciamo la verità, anche perché nessuna mi ha voluto.» Doc scese con cautela gli scalini della veranda appoggiandosi al bastone. «Ehm... non chiude la porta?» domandò Ian. «Nooo. Le droghe pericolose sono sotto chiave, e Jack e Preacher sono dall’altro lato della strada. Annusano i guai a un miglio di distanza, e sono armati fino ai denti. Solo a un idiota verrebbe in mente di provarci.» «Già» fece Ian. In questa piccola comunità era tutto sotto controllo, pensò. Chissà che cosa si provava... era da un pezzo che a lui non succedeva. Fuori, vicino al suo vecchio pickup c’era un Hummer nuovo e lucido, e la bionda sedeva al volante. L’ambulatorio doveva rendere parecchio perché si permettessero un veicolo come quello. A Ian parve che il rotolo di banconote nella sua tasca si assottigliasse ancora di più. Mezz’ora dopo, Ian aprì la porta della capanna per far passare Doc e Mel, e trovò Marcie profondamente addormentata. «Aggiungo un po’ di legna nella stufa e poi aspetto fuori» disse. Mel accostò una sedia al letto e diede un lieve colpetto alla schiena di Doc, invitandolo a sedersi. Poi scrollò gentilmente la spalla di Marcie. «Marcie, svegliati... coraggio, apri gli occhi.» Lei li aprì a fatica e Mel le sorrise. «Ehi, ciao. Non ti senti troppo bene, pare. Ti ricordi di me? Sono Mel Sheridan di Virgin River – quella che è stata trascinata di peso giù dalla scala da un bruto, davanti a tutto il paese.» «Sì, certo» fece Marcie, «mi ricordo.» E poi ebbe un accesso di tosse. «Questo è Doc Mullins» proseguì Mel, «il medico con cui lavoro. Io sono un’infermiera specializzata e un’ostetrica. Ian è venuto a cercarci, e ci ha detto che hai l’influenza. Tu che diagnosi faresti?» «Secondo me è solo un raffreddore.» «Già, ma non le cola il naso» fece Doc. «Si metta a sedere, ragazza mia. Devo auscultarle il torace.» Mentre Doc infilava lo stetoscopio sotto la camicia di flanella, Marcie ebbe un altro violento accesso di tosse. Quando fu passato lui le disse di prendere tre o quattro respiri profondi, poi le esaminò le orecchie e la gola, le palpò le ghiandole e le misurò la temperatura. «Così hai trovato l’uomo che cercavi» disse Mel. «Infatti. Te ne ha parlato tuo marito?» «Già. Io di solito non discuto dei miei pazienti con lui, ma Jack è un libro aperto – a meno che non abbia istruzioni precise di non aprir bocca. Ian come ha reagito?» «Oh, era scocciatissimo. Dovresti sentirlo, ruggisce come una tigre... stupefacente. La prima volta mi ha proprio spaventata.» «E adesso?» «Be’, non più. Mi ha salvato la vita, capisci. Ha detto che ero quasi assiderata, mi ha portata in casa e mi ha riscaldata. E poi è venuto a cercarvi...» «Ci ha spiegato che non voleva portarti in paese perché il riscaldamento del suo pick-up non funziona, ma il mio funziona benissimo e in ambulatorio abbiamo anche due letti...» «Non posso restare qui?» «Sei sicura che sia quello che vuoi?» «Be’, ho fatto tutta questa strada per trovarlo...» «Puoi venire in paese e stare con noi finché non ti senti meglio, e poi deciderai che cosa fare. Puoi sempre tornare qui, se hai delle questioni in sospeso. E se ti serve un appoggio ci siamo mio marito e io.» «No, grazie. Preferisco risolvere subito la faccenda, così poi me ne torno a casa.» Non aggiunse che temeva di vederlo sparire di nuovo. «Ma ti senti al sicuro con lui? Qui è piuttosto spartano... la tua tigre non ha molte comodità.» «Sì, Ian non ha granché, così sperduto nei boschi. Ma è abbastanza, non trovi? Fa caldo, c’è cibo a sufficienza, e lui mi ha preparato del tè, mi ha comprato delle arance e mi ha dato l’aspirina...» «Io non lo conosco, Marcie» obiettò Mel, «e mi par di capire che non lo conosci neanche tu. È una specie di recluso... ha degli amici?» «Non lo so» ammise lei scrollando le spalle. «Per ora ha me.» «Ne deduco che non ti ringhia più contro.» «Direi di no. Credo che si sia calmato.» «È che non voglio lasciarti in un posto poco sicuro. Sarebbe irresponsabile da parte mia.» Marcie fece un piccolo sorriso. «Stamattina, mentre caricava la legna da ardere sul pick-up, cantava. Avresti dovuto sentirlo... ha una voce magnifica. E quando ho sentito quella voce ho capito: all’esterno sembra feroce, ma in realtà ha un cuore d’oro. E credo che lo stia dimostrando, suo malgrado.» «La decisione spetta a te, naturalmente» disse Mel. «Ma se hai bisogno di aiuto, puoi contare su di me.» «Influenza» decretò Doc. «Il ragazzo è bravo, dovrebbe fare il medico. Si sentirà di schifo per un altro paio di giorni, ragazza mia, ma poi si rimetterà. Adesso le faccio un’iniezione di antibiotico, che però servirà soltanto se c’è in corso un’infezione batterica dovuta all’influenza. Dovrà restare a riposo un altro po’ di giorni, ma è giovane e forte e ha un ottimo infermiere. Buchanan si è preso cura del vecchio che viveva qui prima di lui, perciò se ne intende.» «Può darsi» obiettò Mel, «ma prima di andarmene voglio assicurarmi che sia disposto a farlo. Dobbiamo chiederglielo, Marcie. Se non se la sente di curarti è meglio non obbligarlo, tanto più che c’è un’alternativa. Credo che le sue finanze siano limitate, e se non è d’accordo...» «Va bene» assentì Marcie. «Ma quando glielo chiedi puoi dirgli per favore che ho ottanta dollari, e che posso darglieli per ripagare il mio vitto e le medicine?» «Certo, glielo dirò» sorrise Mel. «E posso chiederti un altro favore? Per caso hai una sorella maggiore?» «Ce l’ho eccome.» «Ce l’ho anch’io. Si chiama Erin Elizabeth, ha sette anni più di me, e mi ha praticamente cresciuta perché nostra madre è morta quando io avevo solo quattro anni. Dieci anni dopo se n’è andato anche nostro padre, e lei si è presa cura di me e di mio fratello minore. È una bravissima ragazza, anche se è un tantino autoritaria... ed era assolutamente contraria all’idea che io mi mettessi a cercare Ian da sola. Alla fine però non ha potuto impedirmelo, perché in fondo sono un’adulta anch’io. Abbiamo concordato che mi sarei messa in contatto con lei ogni due o tre giorni, e ogni volta che le parlo lei insiste perché lasci perdere la mia ricerca. Non lo fa apposta, ma è un po’ ossessiva... e a volte è difficile da sopportare.» «Be’, anche mia sorella è fatta così» ammise Mel. «E poi, hai visto anche tu com’è Jack!» «Sì, ho visto» sorrise Marcie. «Perciò credo che tu mi capisca. Avrei bisogno che telefonassi ad Erin per dirle che ho trovato Ian, che sto bene e che resterò con lui qualche giorno. Spiegale che Ian non ha il telefono, e che la chiamerò personalmente la prossima volta che vengo in paese. Così magari si tranquillizzerà un po’.» «È tutta la famiglia che hai?» domandò Mel. «Sì, lei e mio fratello Drew – ma ci sono anche i parenti del mio defunto marito, e sono tanti. Anche se lui non c’è più, loro mi sono sempre vicini. Non sono sola, credimi. Allora, se ti scrivo il numero di Erin, la puoi chiamare per conto mio?» «Purché Ian accetti di tenerti qui, lo farò volentieri» disse Mel. «E non c’è bisogno di dirle che sono malata, vero?» «Marcie... non mi piace alterare la verità.» «Be’, di solito con gli altri non parli dei tuoi pazienti, no? E il dottore ha detto che mi rimetterò presto.» Mel fece una piccola smorfia. «È così che sei riuscita a convincere tua sorella?» domandò scrollando la testa. «Con Erin bisogna far così. È maledettamente in gamba, lei.» «Fuori il didietro» disse Doc picchiettando una siringa per eliminare le bolle d’aria. «Le darò anche un decongestionante e uno sciroppo per la tosse, ma a parte questo le serviranno solo riposo, succhi di frutta e acqua e dei pasti leggeri – magari del brodo di pollo. Non si sforzi e dorma quando si sente stanca, non spacchi legna e non faccia il bucato nel ruscello. Di solito riposo e molti liquidi eliminano qualsiasi influenza. Vedrà che tra poco sarà come nuova.» «Ma potrò usare la latrina invece del vaso da notte, anche se fuori fa freddo?» domandò lei. «Certo. Il freddo non fa ammalare, fa solo gelare. In ogni caso si copra bene e faccia in fretta.» «Ah, questo non c’è bisogno di dirlo... ha mai sentito quant’è gelido l’asse di una latrina esterna, d’inverno?» «Ragazza mia, io ho imparato a usare un bagno con lo sciacquone solo a vent’anni» replicò Doc con una risatina chioccia. «È un fatto che in quell’altro modo ci si sbriga parecchio, eh?» Mel richiuse la valigetta. «Se hai bisogno di qualcosa mandaci Ian» disse. «Io verrò a prenderti – e stai tranquilla, non farò domande.» «Grazie» disse lei. «Sei molto gentile.» Quando Doc e Mel uscirono dalla capanna, Ian camminava avanti e indietro davanti all’Hummer. Mel si fermò a parlargli, come aveva promesso a Marcie, e intanto notò che appariva abbastanza male in arnese. Gli abiti erano vecchi e lisi, la barba incolta; ma d’altra parte chi lavorava in una fattoria o faceva il taglialegna non indossava gli abiti migliori durante la settimana. Nella zona, quel tipo di indumenti rappezzati e laceri non indicava necessariamente povertà. Ian odorava di pulito, pensò ancora. Aveva visto la vecchia vasca da bagno all’interno della capanna, il che significava che lui teneva alla pulizia, e non appariva magro o malnutrito. Doc si avvicinò rapidamente all’Hummer e si mise al volante, e Mel fece una comica smorfia. «Quando vuol guidare si muove rapidissimo nonostante l’artrite» osservò. «Signor Buchanan, lei aveva ragione: Marcie ha l’influenza. Avrà bisogno di riposo, dovrà bere molti liquidi e probabilmente starà male per altri due o tre giorni. Tutto dipende dalla rapidità con cui il suo fisico reagisce. Io le ho proposto di riportarla in paese e ricoverarla in ambulatorio, ma lei preferirebbe restare qui. Il punto è, lei è disposto a prendersi cura di una malata? Non che debba far molto, Doc le ha dato il permesso di usare la latrina esterna purché si copra bene e perciò non avrà bisogno di molte cure... ma si tratta pur sempre di casa sua.» «Vuole restare qui?» domandò lui con la fronte aggrottata. «Così mi ha detto. Mi ha anche pregata di dirle che ha ottanta dollari per ripagare il cibo che consumerà.» «Dio santo» fece lui scuotendo la testa. «Be’, se vuole restare qui faccia pure. Ma non capisco perché... non è che io sia di gran buona compagnia.» «Immagino che le sia grata per come l’ha curata finora. Forse ci sono altre ragioni, che però non mi ha detto... ma tanto per essere chiari, sappia che posso venire a prendere Marcie in qualsiasi momento. In ambulatorio ci sono due letti e possiamo ospitarla senza problemi. La decisione spetta a lei. Se la malata dovesse diventare un peso, me lo faccia sapere.» «Farò del mio meglio» disse Ian. «Ho comprato dei dadi da brodo, dei succhi di frutta, mezzo pollo da bollire che dovrebbe bastare per almeno due pasti.» «Ottima idea, il brodo di pollo è uno dei rimedi che consiglio più spesso. Direi che ha tutto sotto controllo... c’è altro che posso fare?» «Le avete dato delle medicine?» «Doc le ha fatto un’iniezione di antibiotico che non farà miracoli, dato che pare un’influenza virale. Le ha anche lasciato delle pillole decongestionanti e dello sciroppo per la tosse. In realtà è solo una questione di tempo, l’influenza deve seguire il suo corso... a volte si risolve in fretta, a volte dura di più. Per fortuna Marcie è giovane e forte. Lei cerchi di non ammalarsi, capito?» Ian annuì ed estrasse dalla tasca un rotolo di banconote. Mel, che ormai lavorava con Doc da un po’ di tempo, immaginò che rappresentassero tutti i suoi averi. La gente delle campagne non usava carte di credito o assegni e preferiva trattare con i contanti: molto probabilmente quel rotolo di banconote avrebbe dovuto coprire tutte le spese invernali di Buchanan, dal cibo alla benzina al gas per cucinare. «Che cosa le devo?» domandò lui. «Vediamo... Direi dieci dollari per l’iniezione e altri dieci per le pillole e lo sciroppo.» «E per la visita a domicilio?» «Facciamo cinque per ripagarci la benzina?» propose lei. «Tutto qui? Cos’è, mi sta facendo lo sconto perché Marcie le ha dato del denaro?» «No, la paziente non mi ha dato niente» sorrise Mel. «Non chiediamo molto perché si tratta di medicina generica, pura e semplice. Cerchiamo di non essere troppo esigenti, perché un favore alla fine viene sempre ricambiato.» «Che cosa mi chiedereste se vivessi in una casa di lusso e guidassi una macchina potente?» «Manderemmo il conto all’assicurazione, ovviamente esagerando» rispose lei ammiccando. Lui rise suo malgrado. Doc Mullins non aveva un’infermiera così carina, né un Hummer, quando veniva a visitare il vecchio Raleigh in punto di morte; ma diceva sempre: «Hai ottantasei anni e sei malato come un cane – non posso prenderti tutto il denaro senza lasciarti niente per il funerale». Ian prese tre biglietti da dieci e li porse a Mel. «Mangia abbastanza?» domandò. «Non è che le faccio fare dei sacrifici pagando così poco?» «Oh, non si preoccupi. Molto astutamente ho sposato il proprietario dell’unico bar e ristorante in paese, perciò mangio molto più di quel che dovrei. E anche Doc se la cava egregiamente, a giudicare dalla pancetta che lei avrà notato. Ma grazie, davvero. Userò il denaro extra per qualcuno che ne ha bisogno.» «Bene. Anch’io ho parecchi favori da ricambiare.» Lei gli porse la mano. «Scommetto che non sono tanti come crede» disse. Lui strinse quella piccola mano forte, Mel salì in macchina e i due se ne andarono. Rientrando, Ian non fece commenti. Aggiunse della legna nella stufa, si sfilò il giubbotto e si avvicinò all’acquaio della cosiddetta cucina. Dopo essersi rimboccato le maniche, si lavò per bene le mani con sapone e acqua fredda, poi accese il fornello a gas, aprì il pacco che conteneva il pollo e lo mise a bollire in una pentola d’acqua con una mezza cipolla e un po’ di sedano. Rimessosi il giubbotto, uscì di nuovo, e poco dopo Marcie udì i tonfi della legna che veniva caricata sul pick-up. Passarono solo alcuni minuti prima che Ian cominciasse a fischiettare. Senza cantare, però. Peccato, pensò Marcie. Sperava di non averlo scoraggiato per sempre... Sentirlo cantare era stata una totale sorpresa. Bobby non gliene aveva mai parlato, e ovviamente l’argomento non era mai stato affrontato nelle poche lettere che lei e Ian si erano scambiati. D’altra parte, un Marine grande e grosso non cantava certo la serenata alle sue truppe... e che motivo aveva di raccontare alla moglie di un suo soldato che amava cantare e aveva una voce d’angelo? Marcie aveva male alle giunture e si sentiva di nuovo accaldata, perciò decise di dormire un altro po’. Avvertì vagamente che Ian entrava e usciva dalla capanna, sentì il rumore dell’ascia che spaccava la legna, poi una serie di tonfi mentre Ian li caricava sul pick-up. Dormì a lungo, non sapeva quanto, e si svegliò con un delizioso aroma nelle narici. La stanza era immersa nella penombra del crepuscolo, ed era rischiarata solo dal bagliore delle braci nella stufa e da una lampadina nuda che pendeva dal soffitto. Sul fornello borbottava pian piano la pentola che Ian aveva messo al fuoco ore prima, e lui era seduto al tavolo della cucina con la testa abbassata. Gli oggetti che prima erano nella Volkswagen – il sacco a pelo, la sacca di tela, lo zaino e la borsa di Marcie – erano stati deposti in fondo al divano. Ian si era cambiato e indossava un paio di pantaloni di felpa grigia, una maglietta blu e dei calzettoni spessi. Gli abiti da lavoro erano distesi sul baule e a terra c’era una pila di libri. Marcie si puntellò sul gomito. «Che fai?» chiese. Lui chiuse il libro che era appoggiato sul tavolo e alzò lo sguardo. «Stavo leggendo. Per caso vuoi fare una spedizione alla... ehm, alla toilette?» Marcie si rizzò a sedere e mise le gambe sul pavimento. «In effetti stavo proprio per chiedertelo» disse mettendosi in piedi e abbassando l’orlo della camicia di flanella che le arrivava oltre le ginocchia. Barcollò un po’ e lui balzò subito in piedi per sorreggerla, ma lei si rimise a sedere. «Ti dispiace passarmi i jeans e gli stivali?» «Certo» disse Ian prendendoli dalla spalliera della sedia. Non appena glieli ebbe dati le voltò la schiena e infilò a sua volta gli stivali e il giubbotto. «Hai bisogno di aiuto?» domandò senza voltarsi. «No, ce la faccio» rispose Marcie. Infilò i jeans con una certa fatica, poi si sedette di nuovo e mise gli stivali senza le calze. «C’è anche il mio giaccone da qualche parte?» Lui prese il giaccone e lo tenne disteso per aiutarla ad indossarlo. «Grazie» disse lei. «Ci metto solo un minuto...» Ma lui non ne volle sapere, la sollevò tra le braccia e la portò fino all’uscita. «Non mi pare che tu sia tanto in forma. Magari sarà soltanto perché hai dormito così a lungo, ma non ho intenzione di raccoglierti di nuovo da terra. Meglio non correre rischi.» Erano a metà strada quando lei disse: «E così mi hai permesso di restare». «È quello che volevi, a quanto mi ha detto l’infermiera. Anche se non capisco perché.» «Allora ti piaccio» insistette lei accarezzandogli brevemente la barba rossiccia. «Negalo, se puoi...» Gli mise le braccia attorno al collo e appoggiò la testa sulla sua spalla, poi rovinò tutto con un brutto accesso di tosse. Ian voltò la testa per non essere contagiato dai suoi germi ed emise un grugnito. Poco dopo si fermò di fronte alla latrina e la depose a terra. Lei entrò, uscì quasi subito e disse: «Preferirei camminare, se non ti dispiace». «Però cerca di non cadere, perché è molto più faticoso sollevarti da terra che sostenerti se sei in piedi. Aggrappati al mio braccio, semmai.» La neve gelata scricchiolava sotto i loro piedi mentre tornavano lentamente indietro. «Mi dispiace di non avere una toilette interna, specialmente adesso che sei ammalata» disse Ian. «Anzi, è un vero lusso. Di solito mi fermavo ad una stazione di servizio per un’ultima visita alla toilette prima di accamparmi in macchina per la notte. Spesso ce la facevo fino alla mattina dopo, ma altrimenti dovevo arrangiarmi. Il che significava accovacciarmi rapidamente dietro un cespuglio – ma ultimamente faceva un freddo terribile.» Lui la guardò con un misto di curiosità e simpatia. «Non mi sembri tanto una dura.» «Non so se sono una dura – tanto più adesso, così malconcia. Ma scommetto che sono testarda quanto e più di te.» Ian emise un suono strozzato. «Dio santo, Ian... quella era una risata?» «Un colpo di tosse» mentì lui. «Probabilmente mi hai attaccato l’influenza.» 5 Una volta rientrata, Marcie si sedette di nuovo sul divano mentre Ian si avvicinava al fornello a gas e dava una rimescolata al contenuto della pentola. «Te la senti di mangiare qualcosa?» domandò. «Credo di sì. Ha un profumo delizioso.» «Non è niente di speciale, solo un po’ di pollo che ho messo a bollire con delle verdure» spiegò lui. Mise un po’ di brodo in una ciotola, ci aggiunse un cucchiaio e mise su un piatto una fetta di pane imburrato. Poi sistemò il tutto su un’asse piatta a mo’ di vassoio e glielo portò. «Non ho una gran varietà di piatti» disse, «solo quel che mi occorre. Fai attenzione, è molto caldo.» Marcie si sistemò sulle ginocchia il vassoio improvvisato. «Certo che sai fare miracoli con il poco che hai» osservò. Lui emise una specie di grugnito affermativo, poi tornò accanto al fornello e riempì di brodo un’altra scodella per sé. Infine si sedette al tavolo. Marcie mangiò due cucchiaiate di brodo. O era davvero delizioso, pensò, o lei era morta di fame... Poi prese il vassoio e lo portò al tavolo, lo depose di fronte a lui e avvicinò l’altra sedia per sedersi. Ian la guardò inarcando le sopracciglia ma non fece commenti. «È buonissimo, sai» disse lei. «Ti dispiace se mangiamo insieme?» «Se ti va» fece lui con una scrollata di spalle. «Potremmo anche parlare» suggerì lei. Ian depose il cucchiaio nella scodella e si appoggiò allo schienale della sedia. «Senti, fammi essere molto chiaro. Ho passato gli ultimi anni a cercare di dimenticare tutto quello che riguarda l’Iraq. A volte il ricordo si riaffacciava senza che io volessi, mi faceva venire il mal di testa e mi causava degli incubi molto sgradevoli. Perciò non voglio parlarne. Non voglio ripensarci e non voglio rispondere a nessuna domanda sull’argomento.» Marcie deglutì. «È perfettamente comprensibile» disse sottovoce, dopo una pausa di qualche minuto. «Se è per questo che sei venuta fin qui, hai sprecato il tuo tempo» la informò lui. Ad occhi bassi, Marcie prese un cucchiaio di brodo. «Non credo affatto di aver sprecato il mio tempo.» «Che ha detto della faccenda la tua famiglia? Di te che ti sei messa a cercarmi in questo modo?» «A mia sorella l’idea non piaceva troppo» ammise lei scrollando le spalle. «Non troppo?» ripeté lui ironicamente. «Ecco, ha detto che era un’idea stupida e imprudente. Che non sapevo a che cosa andavo incontro. E che non ti conoscevo per niente...» «Be’, aveva ragione.» «Tecnicamente sì» concesse lei. «Non potevo sapere come saresti stato adesso, dopo tanti anni, ma non credevo che tu fossi cambiato molto. E avevo ragione, no? Si è scoperto che sei una brava persona.» Lui grugnì. «Potremmo parlare di altri argomenti» insistette Marcie. Prese il libro che stava sul tavolo e diede un’occhiata alla copertina. «Come per esempio quello che stai leggendo. Frequenti la biblioteca?» «È gratis» fece lui. «Uso la vecchia tessera che apparteneva all’uomo che abitava qui prima di me. Nessuno mi ha mai fatto domande, anche se sanno sicuramente che non mi chiamo Raleigh. Ma ci vado regolarmente e restituisco sempre i libri in tempo, perciò credo che non abbia importanza.» «Ecco di che cosa potresti parlarmi, dell’uomo che viveva qui. Il dottor Mullins ha detto che ti sei preso cura di lui.» Ian si portò alla bocca altri due cucchiai di minestra prima di rispondere. «Sì, dopo un po’ di tempo... Prima fu lui a prendersi cura di me, in un certo senso.» Marcie aspettò che continuasse, ma visto che taceva domandò: «E cioè?». Lui sollevò la scodella, sorbì il resto del brodo e la depose sul tavolo. «Mi ero accampato sulla sua terra e lui mi sorprese. Era più vecchio di Noè, non aveva nemmeno un dente, ed era magro come un chiodo. Era rimasto qui da solo per oltre cinquant’anni, senza moglie né famiglia. Una sera mi trovò addormentato nel sacco a pelo, sotto dieci centimetri di neve. E mi prese a calci.» «A calci?» ripeté lei sconcertata. «Sì, e io mi svegliai di soprassalto. Raleigh disse: “Allora non sei ancora morto... meno male, perché altrimenti ti avrebbero mangiato gli animali. Io non potevo seppellirti di sicuro, il terreno è troppo duro e io sono troppo vecchio”. Così ci conoscemmo. Ci guardammo in cagnesco per un po’, e alla fine lui disse che mi avrebbe dato da mangiare se gli avessi tagliato la legna per la stufa e gli avessi dato una mano in altre incombenze. All’epoca non avevo le idee chiare, e non avevo nemmeno pensato a come sarebbe stato l’inverno quassù sulle montagne. Dormii all’aperto per altre due o tre notti, gelandomi fino alle ossa, poi cedetti e bussai alla sua porta. E tutto quello che disse lui fu: “Era ora. Ti credevo già morto stecchito”. Fu un accordo molto semplice, e non ci fu bisogno di parole.» «Ma non parlavate mai?» domandò lei stupita. «Dopo un paio di mesi cominciammo a scambiarci qualche frase, ma di rado. Lui era stato da solo così a lungo che non gli andava molto di parlare... un po’ come me.» Ian la guardò con intenzione ma lei fece finta di niente e lui continuò: «Così cominciai a tagliare la legna per la stufa, ogni tanto pescavo qualche pesce o sparavo a un coniglio. Spazzavo la neve dal tetto della capanna e della latrina, e guidavo il suo pick-up quando lui doveva scendere in paese a fare qualche commissione, ad esempio riscuotere l’assegno della pensione sociale o comprare delle provviste. Finimmo la legna molto in fretta e dovetti abbattere altri alberi. Non sapevo nemmeno quanto di questo terreno gli appartenesse, ma hai visto anche tu che è coperto di alberi e non c’è nessuno intorno per miglia e miglia. Il primo albero che abbattei rischiò di cadere sulla capanna. In quell’occasione Raleigh parlò eccome... credevo che non la smettesse più. Qualche mese dopo, mentre eravamo in paese a far compere, mi portò in biblioteca e mi disse di scegliere il libro che volevo. Lui di solito prendeva dei libri con illustrazioni o quelli per bambini, poche parole scritte in grande. Non glielo chiesi mai, ma non credo che avesse molta istruzione. Quando il tempo si fece più caldo mi spiegò dove voleva sistemare l’orto, mi fece scavare un nuovo buco per la latrina e mi mostrò gli attrezzi che teneva nel deposito. Se tagliavo abbastanza legna in primavera e in estate, disse, e se la lasciavo stagionare, avrei potuto venderla in inverno. E così ho fatto in questi anni, dato che non avevo altro modo di guadagnare qualcosa. Questa è la fine della storia». «Non dev’essere stato facile vivere con un uomo così» osservò lei. «Avevo già avuto esperienza con i vecchi malmostosi» replicò Ian senza particolare emozione. Marcie finì la minestra e lui si alzò subito in piedi per riempire di nuovo le ciotole. «A me danne solo mezza» disse lei mordicchiando la sua fetta di pane. «Dovresti mangiare il più possibile. Mi sa che hai perso parecchio peso.» «Può darsi, ma mi succede facilmente» replicò Marcie. «Se non ci sto attenta, mi riduco subito pelle e ossa e sembro malnutrita.» «E ultimamente non ci sei stata molto attenta...» «Be’, risparmiavo i soldi per la benzina» disse lei sottovoce. «Per la benzina, hai detto? Tutto questo perché mi stavi cercando?» Marcie alzò lo sguardo. «Non so se hai notato quant’è diventata cara ultimamente.» «Cristo santo» fece lui scuotendo la testa. «Allora, mentre sei qui devi mangiare. C’è del pane, del burro di noccioline, della frutta, dei succhi, della marmellata...» «Poi il vecchio si ammalò, vero?» lo interruppe lei. «E allora, il fatto che tu vivessi qui e lo aiutassi nelle faccende fu solo l’inizio della storia.» «Sai com’è, accadde e basta» disse lui scrollando di nuovo le spalle. «Non posso dire che fossimo diventati amici per la pelle, ma io ero in debito con lui per il tetto che mi aveva dato, e mi sdebitavo guadagnandomi il pane – più che abbastanza, in effetti. Quando si ammalò andai a cercare il dottore. Fu una lezione... la gente di qui, se si ammala non va certo a fare analisi e visite, meno ancora se ha più di ottant’anni. Il dottore disse a Raleigh – te l’ho detto, no? che si chiamava Raleigh – gli disse che poteva trasportarlo all’ospedale di Grace Valley e che i servizi sociali avrebbero pensato alle cure. Ma lui rispose che piuttosto si sarebbe sparato un colpo in testa, e la questione fu risolta. Doc Mullins gli lasciò qualche medicina e tornò a visitarlo di tanto in tanto. Dopo circa sei mesi Raleigh morì nel sonno, e io andai un’ultima volta a cercare il dottore. Fu Mullins a mostrarmi un foglio che Raleigh gli aveva dettato quando si era ammalato, che diceva: L’uomo chiamato Ian Buchanan può prendersi la casa, il pickup, il terreno e quel che resta dei miei soldi dopo le spese per il funerale. Non voglio lapidi. Lo aveva firmato a modo suo, e Mullins l’aveva controfirmato come testimone. Io non credevo che fosse valido, e nella scatola di latta c’era solo il denaro sufficiente per un funerale molto semplice. Quando domandai al vecchio dottore che cosa dovevo fare per la capanna e il terreno, lui disse: “Lascia perdere e non andare a cercarti guai”.» Marcie scoppiò a ridere. «Che cosa voleva dire con questo?» «Pensai volesse dire che dovevo far finta di niente e non fare domande, ma poi scoprii che Doc Mullins aveva un amico avvocato o giudice, non sono sicuro, e che quest’uomo aveva trasferito tutte le proprietà a mio nome. Così risultava che Raleigh era morto senza un centesimo, affidato alle mie cure, e non c’era bisogno di autenticare il testamento. Liscio come l’olio.» Ian si schiarì la gola. «Guardai il libretto del pick-up e quando vidi che Raleigh aveva trasferito la proprietà a me – o forse l’aveva fatto Doc – cambiai le targhe a mio nome in modo da non avere guai. Rinnovo sempre la patente, e in pratica questa è l’unica incombenza che ho in fatto di documenti. Quando arrivano le tasse su questa proprietà, le pago in banca e basta.» «Insomma, possiedi una montagna?» domandò lei stupita. «Già, una montagna piena di niente. Tagliar legna è proibito quassù. Possiedo quel che ho sempre posseduto, una capanna e un po’ di alberi intorno. E le tasse da pagare. Me la cavo, ma di solito il terreno mi costa più di quanto rende – e mi sembra ancora che sia una sistemazione temporanea.» «E che faresti se non potessi più restare qui, appunto perché è una sistemazione temporanea?» Lui scrollò le spalle come sempre. «La prima volta che non riesco a pagare le tasse mi sa che me ne vado. Qualcos’altro troverò.» Marcie finì la seconda scodella di minestra in silenzio. «Quando Raleigh era malato, era molto grave?» domandò dopo un poco. «Come dovevi curarlo?» «Sì, bisogna dire che era piuttosto grave, e alla fine non si alzava più dal letto. Qui c’era un letto, solo la base di legno con un materasso così sottile che era come se non ci fosse. Raleigh aveva i problemi di tutti gli anziani: non riusciva più a mangiare da solo, si sporcava, eccetera. Quando morì, bruciai tutto quanto.» «E hai sempre dormito sul divano, prima che arrivassi io?» «No, non ci ho mai dormito perché è troppo corto e cede sotto il mio peso. Per dormire srotolo quella brandina di listelli di legno e la metto accanto alla stufa. Se ne avessi bisogno mi comprerei un letto usato, ma mi va bene così.» «Però dev’essere stata dura, no? Curare qualcuno che conoscevi appena. E probabilmente lui è stato riconoscente, visto che ti ha lasciato tutto questo.» Ian scoppiò in una gran risata, poi si pulì la bocca sulla manica. «Tutto questo? Madre di Dio, non ho nemmeno una toilette con lo sciacquone!» «Perché non puoi procurartela o non vuoi?» insistette lei. «Quando arrivai qui, Raleigh non aveva nemmeno un fornello da campeggio. Si faceva luce con delle lanterne a petrolio, e si lavava con un secchio – quando si lavava. Io ho aggiunto il generatore, ho messo delle luci, ho comprato la vasca da bagno e la stufa. Certi mobili erano più vecchi di lui, perciò ho comprato un divano e delle sedie. Sono usati, ma meglio di quello che c’era prima. L’unica cosa di cui sento davvero la mancanza è una doccia, ma proprio non saprei come installare un impianto idraulico.» Lei rimase in silenzio un altro po’. «Sai quella prima sera? Quando mi hai ringhiato contro cercando di spaventarmi a morte? Be’, mi hai proprio terrorizzata.» «Non abbastanza da farti rinsavire, però» osservò lui. «Questo è un problema mio più che tuo. Una volta che mi sono messa in testa un’idea è difficile farmela cambiare... ma quando sono tornata in macchina per mangiare quello che mi restava, mentre il sole tramontava e stava cominciando a nevicare, ho pensato che non avevo mai visto un posto più bello in vita mia. C’era un arcobaleno in mezzo alla neve, pensa! E non avevo nessuna paura, perché intorno era così silenzioso, ma puro e incontaminato e magnifico. Se vivi in città puoi avere tutte le comodità, ma questo è uno spettacolo che non si può comprare.» Dopo un attimo di silenzio Ian osservò: «Sai che diceva Bobby di te? Che eri una vera bomba». Lei lo guardò negli occhi. «Questo è quasi come parlare di tutto quanto, no?» «Allora fingi che non abbia detto niente. Dovresti già essere a letto.» «E tu, quand’è l’ultima volta che hai dormito?» domandò Marcie. «Appunto, dovrei già aver sistemato la mia branda, e tu dovresti essere addormentata da un pezzo. Inoltre ho parlato molto più di quanto sia abituato a fare, e sono esausto.» «Hai ragione» assentì lei alzandosi. Poi guardò di nuovo il libro sul tavolo. «Thomas Jefferson, eh? Hai mai letto la biografia di John Adams?» Ian annuì. «Anch’io, e mi è piaciuta molto. Ma quello che ho adorato è il personaggio della moglie, Abigail. Lui l’aveva lasciata in una fattoria solitaria, aveva pochissimo denaro, doveva badare ai figli e il paese era in guerra, eppure lei riusciva a cavarsela benissimo. È il mio idolo. Se mai potessi essere un’altra persona, vorrei essere Abigail Adams.» «Perché riusciva a cavarsela benissimo?» commentò lui. «Perché era felice di farlo e non si lamentava mai, tanto era devota al marito e alla sua causa. Lo so, come donna e come femminista non dovrei ammirare una donna che si sacrificava per un uomo, ma in realtà lei lo faceva per se stessa – come un suo contributo personale alla fondazione dell’America. E le lettere che si scrivevano! Non solo romantiche lettere d’amore, ma un dialogo in cui si chiedevano a vicenda consigli e opinioni. Prima di tutto erano buoni amici, rispettavano ognuno l’intelligenza dell’altro, e poi ovviamente erano anche amanti dal momento che avevano un bel po’ di figli... Erano una vera coppia, molto prima che le coppie alla pari fossero di moda. Poi lei...» «Anche a me piacciono le biografie» la interruppe lui come se ne avesse abbastanza di sentir parlare di Abigail. «Non mi domandare perché, non saprei dirtelo.» Marcie andò a sedersi sul divano e si tolse gli stivali. «Forse perché ti piace capire il motivo per cui la vita della gente prende un certo percorso e non un altro» osservò. «È sempre un mistero, non trovi?» Lui non rispose. Riempì l’acquaio con la pompa e lavò le scodelle e i cucchiai, poi mise un coperchio sul tegame del brodo. «Come lo conserverai? Non hai un frigorifero» gli fece notare lei. «Però c’è il ripostiglio. Il cibo si conserva bene per un giorno o due. Non ci posso mettere il latte o le uova perché gelano, ma se il brodo gela possiamo scaldarlo di nuovo.» «Un ripostiglio invece del frigorifero» sorrise lei. «Mi piace. Il pick-up è già carico di legna?» Ian annuì. «Se sono già andato via quando ti svegli, credi che ce la farai ad andare alla latrina e tornare per conto tuo? Perché se no c’è sempre il vaso blu...» «Se vedo che non sto in piedi lo userò, ma mi sento già molto meglio. Sono solo un po’ stanca, niente di più.» «Domani probabilmente farò avanti e indietro per caricare la legna e consegnarla» continuò lui. «Se hai fame, oltre al pane, al burro di arachidi e al miele, c’è anche del cibo in scatola che puoi aprire. Fagioli, verdura e minestrone.» Poi si diresse verso la porta con il tegame di brodo. «Grazie, Ian, per esserti preso cura di me così bene. So che sono un terribile fastidio.» Lui non rispose, ma prima di uscire si fermò un momento sulla soglia e fece un cenno con la testa. Marcie si appoggiò allo schienale del divano. La piccola capanna non era un granché – anzi non aveva quasi niente, spartana com’era e munita soltanto delle cose assolutamente essenziali. Ma considerando che finalmente aveva trovato Ian, lei era più che contenta di restarci. Se quella fosse stata casa sua avrebbe comprato dei piatti e delle ciotole, avrebbe cercato dei mobili più confortevoli e avrebbe installato una toilette interna. Ricordò le parole di Mel: Dobbiamo chiederglielo, Marcie. Credo che le sue finanze siano limitate... In effetti non si capiva se lo fossero davvero. Pareva che Ian non avesse molto denaro, ma chissà quanta parte della montagna aveva ereditato, e chissà se aveva qualche valore? Poteva trattarsi di un piccolo appezzamento di terreno senza importanza, ma forse invece era molto vasto e lui non aveva idea di quanto valesse. Non sembrava che ci badasse più di tanto. Ad ogni modo, Marcie apprezzava il modo in cui lui sapeva cavarsela con poco, e gli era molto grata per averle permesso di restare, benché la sua presenza comportasse un notevole impegno. Senza considerare che lei rappresentava proprio il passato che Ian cercava di dimenticare, e da cui era fuggito per anni. Quando rientrò, Ian aggiunse legna alla stufa, poi srotolò la sua branda di legno, spense la luce e si sdraiò per dormire. Dopo qualche minuto Marcie udì la sua voce sommessa. «Scusa se ti ho spaventata. Non è che io ringhi così spesso, sai.» Marcie sorrise tra sé e si rannicchiò sotto il plaid, contenta e in pace come non si sentiva da tempo. La mattina, quando si svegliò, Ian era già uscito. Lei si infilò i jeans e uscì per andare alla latrina. E mentre camminava lentamente udì un grido e alzò la testa. Sopra di lei, magnifica, volteggiava un’aquila. Nei giorni seguenti Marcie dormì parecchio, non solo per sconfiggere l’influenza ma perché non c’era altro da fare. Ian tornava a casa nel pomeriggio e aveva mille faccende da sbrigare: spaccava la legna, la caricava sul pianale del pick-up per il giorno dopo, poi rientrava e si lavava. A quel punto lei si svegliava dall’ennesimo sonnellino e scopriva che Ian si era già cambiato e invece degli abiti da lavoro indossava i pantaloni di una tuta, una maglietta e dei calzettoni spessi. Di solito, rientrando lui portava qualcosa da mangiare e preparava la cena, a volte pancetta e fagioli, a volte spaghetti in scatola conditi con una spessa salsa di pomodoro. Un pomeriggio Marcie aprì gli occhi e scoprì che lui era in piedi davanti all’acquaio, nudo. Gli osservò rapidamente la schiena muscolosa, con la coda di cavallo che pendeva in mezzo alle scapole, le cosce snelle e le lunghe gambe, poi capì che si stava lavando: passava una spugna insaponata sotto le braccia, attorno al collo, e stava per voltarsi. Con un gridolino di imbarazzo lei si girò di scatto dall’altro lato, contro la parete, e chiuse gli occhi. Lui non disse niente, ma ridacchiò: e quel suono profondo echeggiò nella mente di lei per ore. Quando si sedettero a tavola per cenare, le guance di Marcie erano ancora rosse come la salsa di pomodoro che stavano mangiando. In fondo non era strano che lo avesse sorpreso a lavarsi: Ian odorava sempre di pulito, era chiaro che doveva farlo da qualche parte. E non poteva certo chiederle scusa e appartarsi in bagno! Marcie riusciva a lavarsi mentre lui era fuori, ma lui non aveva scelta: lei era sempre lì, accampata sul suo divano... Sarebbe stato perfetto se lui l’avesse svegliata per dirle: «Mi sto spogliando per lavarmi, perciò se non vuoi provare imbarazzo chiudi gli occhi». Ma Ian non era proprio il tipo, e quella era la sua capanna – e poi, era un uomo. Marcie aveva sempre trovato curioso che gli uomini potessero andare in giro nudi come se niente fosse, senza preoccuparsi di essere visti o giudicati. Quella sera mangiarono insieme come sempre, parlando un po’ meno del solito, e poi lui andò subito a dormire. Gliel’aveva detto qualche sera prima: «Di solito mi addormento subito dopo cena, perché la mattina mi alzo molto presto». E benché avesse dormito la maggior parte del giorno, stando sdraiata sul divano nella stanza ben riscaldata dalla stufa, Marcie si addormentava di nuovo senza difficoltà, e non si svegliava che la mattina dopo, quando Ian era già uscito. Le loro conversazioni durante la cena erano un diversivo molto piacevole. A volte Marcie riusciva a farlo parlare di argomenti su cui lei aveva riflettuto a lungo, ma c’era un limite che non osava oltrepassare. Una sera cominciò a raccontargli della numerosa famiglia di Bobby, e lui chiuse strettamente gli occhi per un momento. Il messaggio era chiaro, non voleva sentirne parlare. Tutto quello che riguardava Bobby, compreso l’attentato di Fallujah che l’aveva lasciato disabile e aveva segnato Ian per sempre, era argomento vietato. «Ho fatto visita a tuo padre prima di mettermi in viaggio» gli disse lei coraggiosamente una sera. Ian alzò lo sguardo in silenzio, e le pagliuzze color ambra nei suoi occhi scintillarono. «È molto malato» continuò lei. Lui riabbassò la testa e continuò a mangiare hamburger e purè di patate. «Non è stato molto amichevole» sottolineò lei. Ian ridacchiò con evidente ironia. «Non mi dire.» «Ho immaginato che fosse per via dell’età e della malattia...» «Non c’è niente da immaginare. È sempre stato un uomo sgradevole.» «Pensavo che forse, dato che non sta bene...» Lui la guardò di nuovo, con rabbia. «Mio padre ed io non ci siamo mai piaciuti. Essenzialmente perché lui è un uomo freddo e sgradevole.» Marcie mandò giù un paio di bocconi con una certa difficoltà. «Pensavo che volessi saperlo.» Ian trasse un gran respiro, e lei capì che lottava per trattenere la collera. «Senti, è chiaro che lui non si preoccupa per me. Non sta sveglio la notte a domandarsi dove sono e come sto, mi pare.» «Ma visto che non sta bene...» «Marcie, mia madre morì quando io avevo vent’anni. Io gli ho sempre fatto visita regolarmente per controllare che stesse bene, ma lui non mi scrive né mi telefona da sette anni. Sette, capisci?» Lei deglutì. «Però tu hai continuato a telefonargli?» «Sì» disse lui abbassando la testa e raccogliendo un po’ di cibo con la forchetta. «Io sì.» «Dev’essere stato doloroso.» Ci fu una lunga pausa di silenzio. «Quand’ero più giovane, a volte» disse lui infine. «Che vecchio imbecille» borbottò lei furibonda, inforcando un pezzo di carne. «Che idiota.» Masticò il suo boccone a lungo. «Scusa se te ne ho parlato.» Dopo un momento lui rispose sottovoce: «Non potevi saperlo». «Be’, non sa quel che si perde. Ecco tutto.» Ci fu un altro lungo silenzio. Entrambi finirono di mangiare, poi Ian si alzò e portò i loro piatti nell’acquaio per lavarli. E infine vennero le parole che mettevano fine alla serata: «È ora di andare a dormire». Marcie era nella capanna da quattro giorni. La tosse persisteva, ma lei stava molto meglio, tanto che ormai si sentiva sopraffare dalla noia. Quella mattina si alzò dopo che Ian era uscito, mangiò una fetta di pane spalmata di miele, uscì per andare alla latrina, poi rientrò e bevve il caffè ormai tiepido che lui aveva lasciato sulla stufa e cercò di leggere qualche pagina di uno dei suoi libri. Non sapeva che ora fosse quando ebbe di nuovo bisogno di uscire. L’aria era fredda e limpida, il cielo era azzurro, sul terreno c’era qualche centimetro di neve gelata. Marcie non si era nemmeno data la pena di infilarsi i jeans, aveva messo il giaccone e basta, e tra l’orlo della lunga camicia di flanella e gli stivali le sue gambe erano nude. Ma non aveva freddo, ed era tentata di esplorare un po’ i dintorni: solo che i boschi erano molto fitti, e lei temeva di perdersi. In quelle circostanze, una spedizione alla latrina era tutto quello che osava fare. Era ormai vicina alla porta quando sentì un rumore, e le si rizzarono i capelli sulla nuca. Si voltò lentamente e vide un animale ritto tra due alberi, sul limitare del bosco. E mentre lo guardava quello si accucciò e ruggì, mostrando i denti. Era una specie di grosso gatto giallo, qualcosa di simile ad un leopardo ma senza macchie. Marcie non aveva mai visto niente del genere, nemmeno in uno zoo. Diede una rapida occhiata alla capanna, poi alla latrina, valutando le distanze. E in quel momento l’animale spiccò un balzo verso di lei. Con due lunghi passi Marcie corse dentro la latrina e sbatté la porta. Si sedette sull’asse perché le gambe le tremavano, poi sentì un tonfo contro la porta, il raschiare degli artigli, e un altro ruggito. Oh, merda, pensò lei. Ce l’ha proprio con me... è là fuori che mi aspetta! Faceva freddo, ma lei preferiva morire assiderata piuttosto che massacrata da un misterioso animale selvaggio. Si alzò in piedi e abbassò il sedile, poi si sedette di nuovo cercando di mettersi comoda. Ma il freddo penetrava attraverso la camicia di flanella, troppo sottile, e lei si stava congelando. Era stata una stupida a non infilarsi i jeans, ma il fatto era che non si aspettava di avere compagnia... Guardò il polso, poi si rese conto che non aveva messo nemmeno l’orologio. In effetti viveva da giorni in una delle camicie di flanella di Ian, ci aveva dormito, l’aveva tenuta addosso per mangiare e per andare alla latrina, mettendoci sopra soltanto il giubbotto e gli stivali. Era riuscita a lavarsi i denti e cambiarsi la biancheria, ma a parte questo non si era preoccupata molto della pulizia personale. Si passò una mano tra i capelli, che di solito erano naturalmente ricci e morbidi. Adesso sembravano annodati, stopposi e stavano ritti in tutte le direzioni. Probabilmente sembrava una barbona, una senzatetto che si nascondeva in una latrina... Si guardò di nuovo il polso privo di orologio, rabbrividì e cominciò a contare mentalmente i secondi per avere un’idea del tempo che passava. Per quanto tempo un leone aspetta la sua preda?, pensò. Oltretutto lei era in posizione di svantaggio, perché l’animale aveva la pelliccia e non sentiva il freddo. Se lei avesse aperto la porta e avesse constatato che non era in vista, avrebbe fatto in tempo a rifugiarsi di corsa nella capanna? Be’, forse prima era meglio che facesse quello per cui era venuta, così non avrebbe dovuto usare il vaso blu... Dopo aver finito rimase seduta un altro po’, immobile. Poi aprì cautamente uno spiraglio nella porta, maledicendo le cerniere che cigolavano, e mise fuori la testa. Non vide nulla, e arrischiò un altro passo. Poi sentì un ruggito roco e vide che l’animale girava attorno al deposito, a pochi metri da lei. Fece marcia indietro e sbatté di nuovo la porta, chiudendola. «Merda!» esclamò ad alta voce. «Merda, merda, merda!» Sollevò i piedi appoggiandoli sull’asse, in modo da potersi coprire le ginocchia con l’orlo della camicia, e se le cinse con le braccia. Là dentro non c’era niente con cui difendersi – e niente da leggere, nemmeno una rivista sportiva. Tipico di Ian, solo l’essenziale. Niente fronzoli. Anche in casa, non aveva libri che non fossero quelli presi in biblioteca. Dopo un po’ Marcie cominciò a tremare di freddo, e a tossire. Cercò di trattenere i colpi di tosse, di soffocarli, perché il gattone là fuori poteva sentirla e capire che la sua preda era ancora viva e in trappola. E va bene, pensò rassegnata. Sarebbe morta lì dentro, di freddo. Non ricordava niente di quando era quasi morta assiderata, qualche giorno prima: il che significava che non doveva essere doloroso. Poi sentì il pick-up di Ian che si avvicinava. Non c’erano dubbi che fosse lui, il motore ansimava e tossiva. E allora balzò in piedi, perché il suo solo timore era che Ian potesse essere attaccato dall’animale che stava là fuori in attesa. Incollò l’orecchio alla parete di tronchi e per un po’ non sentì nulla; poi venne il cigolio della portiera che si apriva. Marcie spalancò la porta della latrina e gridò: «Ian, attento! C’è un...». L’animale si gettò contro la porta con un ruggito, e lei la richiuse in fretta con un grido – felice che avesse aggredito lei e non Ian, che non se l’aspettava. Ecco, pensò. Io sono intrappolata nella latrina e lui è nella cabina del pick-up. E fa un freddo del diavolo. Grandioso. E solo poco fa pensavo a come sarebbe stato bello avere un forno a microonde... Passarono pochi secondi, poi si sentì uno sparo che le tolse il fiato. E infine la porta della latrina si spalancò e lei vide Ian con in mano un fucile e l’espressione stupefatta. «Da quanto tempo sei qui?» le domandò. «Non ne ho idea. C-credo da ggiorni.» Lui fece una faccia buffa. «E adesso hai finito?» A quel punto lei scoppiò a ridere, provocandosi un altro violento accesso di tosse. «Sì, ho finito. Posso andare a casa?» «A casa? Ma la tua macchina non...» «Intendevo casa tua, Ian» rise lei. «Santo cielo, dov’è il tuo senso dell’umorismo?» «Non l’ho trovato affatto divertente. Non capisco che ci facesse qui quella belva, non ho cibo né animali domestici...» «Si aggirava attorno al deposito degli attrezzi. Credi che volesse il brodo di pollo?» «Non è mai successo prima» continuò lui. «Una bella sfacciataggine, farsi vedere così all’aperto e in pieno giorno!» «Che cosa diavolo era?» «Un puma» spiegò lui. «Un leone di montagna.» «Ah, ecco... mi sembrava un leone!» Marcie si fermò di botto. «Non lo hai ucciso, vero?» «Diavolo, quello voleva mangiarti! Cos’è, ti preoccupi della sua anima?» «Volevo solo che se ne andasse, non che morisse.» «E infatti l’ho solo spaventato» disse lui incamminandosi velocemente verso la capanna. «Ma se si fosse trattato di scegliere tra la tua vita e la sua, non gli avresti sparato?» «No.» «No?!» «Be’, non ho mai preso in mano un’arma, e non so che cos’avrei combinato. Probabilmente avrei sparato a te, o alla capanna, o avrei fatto saltare in aria la latrina con tutto il suo contenuto...» Ridacchiò. «E lui era un bersaglio molto più piccolo. Ma tu hai una padella, no? Una grossa, di ferro.» «Sì, ma che vuoi farci?» «Be’, in futuro andrò in bagno con un’arma. Da ragazza giocavo a softball ed ero un’ottima battitrice.» Lui si fermò a guardarla scuotendo la testa. «Ma Dio santo, puoi sempre usare il vaso!» «Lo so, ma ci sono cose che una signora preferisce tenere per sé anche a rischio della vita.» Ian sorrise, un autentico sorriso. «Ah, davvero?» fu la risposta. 6 Il giorno dopo, tornando a casa, Ian sorprese Marcie in piedi davanti all’acquaio in camicia di flanella e stivali – e niente jeans. Forse indossava un paio di mutandine, ma lui cercò di non pensarci. Marcie si stava strofinando la faccia con un panno insaponato, e i suoi capelli erano così scarmigliati che sembravano la parrucca di un clown. Ian depose il sacchetto di provviste sul tavolo e domandò: «Stai meglio?». «Direi di sì, visto che muoio dalla voglia di respirare un po’ d’aria fresca.» «E vuoi lavarti i capelli?» «Ero tentata di farlo, ma non so se la testa bagnata sia una buona idea. E poi l’acqua della pompa è gelata.» Lui ridacchiò. «Sei qui da giorni e non hai ancora capito come funziona? Strano, non è da te non badare ai dettagli... E va bene, diciamo che oggi è il giorno del bagno.» «Tu hai fatto il bagno da quando sono qui?» «Lo ammetto, ho rimandato e mi sono arrangiato con una pentola d’acqua calda nell’acquaio, ma non solo perché ci sei tu. Immagino avrai notato che fa abbastanza freddo.» «Ho anche notato la vasca da bagno, ma non ho capito come la usi...» «Già, non sei abituata alla vita spartana. Ti spiego come facciamo: metto un bel po’ di legna nella stufa, in modo da riscaldare la stanza, e ci faccio bollire una grossa pentola d’acqua. Ne faccio bollire anche un’altra sul fornello a gas, che è molto più veloce, e con quella riempiamo l’acquaio per i tuoi capelli. Intanto facciamo bollire altra acqua sul fornello, e quando ti sarai lavata i capelli ci saranno due pentole d’acqua bollente per il bagno. Ci aggiungiamo un po’ d’acqua fredda della pompa, e tu ti immergi. Non posso riempire del tutto la vasca, perché se aspetto di riscaldare acqua sufficiente, quella che ci avrò versato prima sarà già fredda. Perciò non sarà un vero bagno, ma sarà caldo e servirà allo scopo.» «È molto generoso da parte tua fare tutto questo per me» disse lei. «Per noi, Marcie. Io farò il bagno dopo di te, e domani mi fermerò nella lavanderia a gettoni per fare il bucato. Posso portare anche la tua roba, se vuoi. Ma solo perché non sei stata troppo bene...» Poi la guardò e vide che spostava il peso da un piede all’altro e si mordeva le labbra. «Che c’è? Non vuoi fare un bagno?» «Muoio dalla voglia di un bagno» sospirò lei. «Ma non ho potuto fare a meno di notare che non c’è una stanza separata con una porta che si chiuda... e mi è parso anche di capire che questo non ti imbarazza affatto.» Lui fece un sorrisetto a labbra chiuse. «Mentre tu fai il bagno io posso caricare la legna sul pick-up» disse. Lei ci pensò su. «E mentre lo fai tu io potrei andare a sedermi in machina.» «Direi proprio di no. Ormai la tua macchina è una montagnola di neve, somiglia ad un igloo... Per non parlare dei leoni di montagna.» «E allora come si fa?» «Be’, puoi fare un sonnellino, leggere uno dei miei libri, chiudere gli occhi. Oppure puoi guardarmi e provare la più grande emozione della tua vita.» «Non te ne importerebbe se guardassi, eh?» domando lei mettendo le mani sui fianchi con aria di sfida. «Francamente no. Un bagno è una faccenda seria, visto che ci vuole così tanto per prepararlo. E d’inverno si fa anche molto alla svelta.» Poi ridacchiò divertito. «Che cosa c’è da ridere?» domandò lei un tantino seccata. «Niente, stavo pensando... visto che fa così freddo potresti non vedere un granché.» Lei si fece di fiamma ma finse di non aver capito. «In estate però puoi stare sdraiato nella vasca tutto il pomeriggio» osservò. «D’estate mi lavo nel ruscello. Intanto, perché non ti togli i nodi dai capelli? Sembri una Furia.» Marcie lo fissò per un attimo. «Non flirtare con me, non ti servirà a niente» disse. E poi ebbe un accesso di tosse, che ricordò a entrambi che era appena convalescente – e che servì a mascherare la risata di lui. Pompando acqua in una grossa pentola Ian disse: «Prendi il tuo sciroppo. Hai una tosse spaventosa, e non voglio che me l’attacchi». Ci volle una buona mezz’ora perché l’acqua per i capelli fosse pronta. Marcie prese il flacone di shampoo dalla sacca di tela, ripiegò il colletto della camicia per non bagnarlo, e si stava rimboccando le maniche quando Ian si avvicinò e allungò la mano. «Che c’è?» domandò lei. «Dammi lo shampoo e china la testa nell’acquaio. Te li lavo io.» «Perché?» «Perché tu non puoi vedere se sono ben risciacquati. È più facile e veloce se ci penso io.» Così, Marcie prese l’asciugamano che stava sulla credenza, se lo premette sulla faccia e si chinò in avanti, immergendo la testa nell’acqua calda. Sentì che Ian usava una tazza per bagnarle tutti i capelli, e poi cominciava a massaggiare il cuoio capelluto per far penetrare lo shampoo. Le sue mani callose erano incredibilmente delicate, e la punta delle dita lavorava la schiuma in un massaggio piacevolissimo. Lei tenne gli occhi chiusi e si trattenne a stento dall’emettere mugolii di piacere. Dopo un po’ disse: «Non è che ti offri volontario anche per radermi le gambe, eh?». Le dita si fermarono di botto, e il silenzio durò così a lungo che lei si domandò se lo aveva offeso in qualche modo. «Marcie... perché diavolo vuoi raderti le gambe?» domandò finalmente lui. «Perché sono pelosissime!» «E allora? A chi vuoi che importi?» Lei ci pensò su per un poco. Si trovava in cima alla montagna, in mezzo al nulla, con un uomo che sembrava un orso e in una casa in cui non c’era nemmeno il bagno. Perché diavolo doveva radersi le gambe – e le ascelle? Infine, sottovoce, disse: «Importa a me». Lui sospirò teatralmente, poi cominciò a risciacquarle i capelli. Poi, mentre Marcie si frizionava la testa con l’asciugamano, lui prese una camicia pulita dal baule e gliela porse. Questa volta era una vecchia camicia di denim, con il collo e i polsi sfilacciati e i bottoni spaiati. «Mettiti questa» disse lui. «Tra un po’ quella a scacchi che indossi andrà da sola in lavanderia e si butterà nella lavatrice.» Si voltò, e lei si sfilò la camicia sporca e le diede un’annusatina. «Spiritosone» borbottò. Quando la vasca fu piena d’acqua, Ian mise a scaldare altra acqua per il suo bagno, e poi uscì. Mentre si depilava gambe e ascelle, Marcie sentì il tonfo dei ciocchi di legna che venivano caricati sul pick-up, e poi Ian che fischiava. Non era solo un fischiettare senza ritmo, era una vera e propria melodia. Ian era davvero dotato. Marcie avrebbe voluto sentirlo cantare, ma quel giorno lui evidentemente non era in vena. Quando rientrò, lei si era asciugata e indossava la camicia di jeans. Si era domandata come mai i bottoni fossero scompagnati, poi aveva capito che lui li sostituiva man mano che ne perdeva uno per mantenere una certa funzionalità agli indumenti, anche se erano vecchi e logori. Strano uomo. Viveva in modo essenziale, spartano, con capelli e barba allo stato brado, eppure aveva cura dei vecchi indumenti. Lui la stupì ancora una volta facendo esattamente come lei, cioè piegandosi nell’acquaio per lavarsi capelli e barba con l’aiuto di un pentolino che riempiva man mano di acqua calda – solo che lo fece a torso nudo. Marcie cercò di leggere mentre lui si lavava, ma non poté fare a meno di sbirciare al di sopra della copertina per osservare quella schiena ampia e possente, la vita stretta, le natiche sode. Di solito il suo corpo era ben nascosto dagli indumenti, ma non c’era da stupirsi che fosse così ben fatto dato tutto l’esercizio fisico che faceva. Abbatteva gli alberi, li tagliava, caricava la legna sul camion e poi la scaricava quando la consegnava a domicilio. Tutto questo gli aveva dato un corpo perfetto. La prima volta che lo aveva visto nudo, Marcie aveva distolto lo sguardo in tutta fretta e non aveva avuto il tempo di apprezzarlo a dovere. Adesso, invece, lo vedeva bene. Dato che aveva capelli e barba così folti, si era aspettata una specie di gorilla con peli dovunque: invece no, Ian aveva solo una leggera peluria sul petto, ma l’ampia schiena e le braccia muscolose erano glabre. Su ogni avambraccio aveva dei tatuaggi, un’aquila sul destro e sull’altro uno stendardo con la scritta USMC, Corpo dei Marine. Finito di lavarsi i capelli Ian li ravviò all’indietro e li riannodò in una coda, poi si pettinò la barba con una vecchia spazzola malconcia. Intanto l’acqua continuava a riscaldarsi. Finalmente Marcie capiva perché c’erano tanti tegami ammucchiati accanto all’acquaio: non per cucinare pasti abbondanti, visto che era solo, ma per scaldarsi l’acqua. Probabilmente si tagliava barba e capelli di tanto in tanto, pensò ancora Marcie. Chissà se li tagliava molto corti, in modo da cambiare radicalmente il proprio aspetto, o se li spuntava solo un po’? Aveva capelli folti e mossi, castano chiaro, mentre la barba era rossiccia. Irsuto com’era, con quegli occhi penetranti che a volte scintillavano di collera, sembrava un selvaggio e metteva davvero paura... Ma forse tutto questo faceva parte della maschera che Ian aveva deciso di indossare per nascondersi. Isolato tra le montagne, in incognito dietro la barba e i lunghi capelli incolti... chi poteva riconoscerlo? Marcie si lasciò cadere sul divano e appoggiò il libro sulle ginocchia sollevate. Quando Ian riempì la vasca e cominciò a slacciarsi la cintura, lei affondò ancora di più sul sedile sfondato e sollevò il libro davanti alla faccia, per non vedere anche solo uno scorcio accidentale di nudità. Lo sentì ridacchiare, poi venne la sua voce divertita. «Ti avverto quando ho finito.» Marcie cercò di leggere, sentendo tuttavia lo sciacquio dell’acqua, e neanche dieci minuti dopo lui disse: «Finito!». Ma lei gli diede altri due o tre minuti, perché sospettava che potesse giocarle un tiro malizioso. Quando Ian riempì una borsa con la biancheria da lavare lei vi aggiunse due paia di jeans, quattro paia di calzettoni, due magliette e due paia di pantaloni di felpa. Tenne la biancheria per sé. La mattina dopo, appena lui se ne fu andato, Marcie mise sulla stufa una pentola d’acqua e aspettò che si riscaldasse almeno un po’. Poi lavò mutandine e reggiseni e li distese sul bordo della vasca, in modo che asciugassero al calore della stufa. Quando dovette uscire per andare alla latrina, si portò dietro la grande padella di ferro. Se il puma si fosse fatto vivo, con i suoi ruggiti e i denti in vista, lei gli avrebbe dato una lezione da non dimenticare. Non era certo una cacciatrice, ma ai suoi tempi era stata un’eccellente giocatrice di softball. Quando rientrò, stanca e un po’ sudata, cominciò a tossire; allora prese lo sciroppo e fece un lungo sonnellino. Nel pomeriggio Ian tornò con una scatola rettangolare di cartone, in cui c’erano i vestiti lavati, asciugati e ben ripiegati. Appoggiò la scatola sul baule e con due dita sollevò un paio di mutandine dal bordo della vasca. «Spero che tu cominci davvero a stare meglio» disse, «perché non so se sono tagliato per questo tipo di vita. Mi sa che il vecchio Raleigh si sta rivoltando nella tomba...» Marcie balzò su dal divano, afferrò la biancheria e la cacciò nella sua sacca anche se non era ancora completamente asciutta. Quella sera a cena mangiarono patate lesse, due uova alla coque e alcune spesse fette di prosciutto. E mangiando parlarono un po’ della giornata di lavoro di Ian, dei suoi clienti, del modo un cui tagliava e preparava la legna; ma prima che Marcie potesse passare ad argomenti più delicati, come la ragione per cui era arrivata fin lì, lui disse che era ora di stare tranquilli, perché voleva leggere un po’, prima di dormire. E lei acconsentì senza discutere, perché in fondo lo capiva. Aveva vissuto da solo per tanto tempo, e la sua richiesta non significava che fosse sgarbato. Ormai lei cominciava ad apprezzare le piccole cose, come l’occasionale risata sommessa che ogni tanto Ian si lasciava sfuggire. Non si poteva nemmeno definire una vera risata, ma esprimeva il suo genuino divertimento – di solito quando lei diceva una battuta sarcastica. E di tanto in tanto le sorrideva, con i bellissimi denti che stavano dietro quel cespuglio rossiccio di barba. Ma nonostante ciò, lei cominciava a sentire la solitudine: e si domandava come strapparlo dal suo silenzio. Poi, un pomeriggio, fu testimone di una scena incredibile. Ian era fuori e caricava la legna sul pickup, fischiettando. Dopo qualche tempo aveva cominciato a cantare, dapprima sottovoce e poi a gola spiegata, con quella bellissima voce profonda che a Marcie faceva venire i brividi. D’improvviso cadde il silenzio. Niente tonfi dei ciocchi di legna, niente canto, nessun suono. Ma la porta non si aprì. Marcie pensò che lui fosse andato in bagno, ma passavano i minuti e non succedeva niente. Finalmente lei si arrischiò a uscire: aprì la porta e guardò fuori, con cautela. Ian era accanto al deposito degli attrezzi, in piedi davanti a un magnifico cervo con un enorme palco di corna che misurava almeno un metro. Aveva un braccio teso davanti a sé, e l’animale mangiava qualcosa dalla sua mano. Ian gli parlava sottovoce, accarezzandolo sul collo con l’altra mano. Marcie si immobilizzò e contemplò quella scena colma di bellezza e di pace: uomo e animale, uno di fronte all’altro come i migliori amici del mondo. C’era in quell’uomo una gentilezza d’animo che calmava l’essere più pauroso. Sarebbe mai riuscita, lei, a toccare quel lato della sua natura? Era possibile che Ian ruggisse solo con chi lo spaventava? Lei, per esempio, lo aveva spaventato con la sua pretesa di parlare del passato, ma adesso faceva molta attenzione a non ripetere l’errore. Un po’ più di tempo, un po’ più di fiducia, e forse sarebbe riuscita a liberarlo da quei fantasmi. L’ultima cosa che voleva era farlo soffrire, perché adesso era certa che fosse una brava persona. Come aveva potuto suo padre voltare le spalle a un uomo come lui?, pensò. Com’era possibile? Poi il cervo si voltò e con un paio di balzi scomparve nel folto degli alberi. Ian tornò accanto al pick-up, ma la vide in piedi sulla soglia e le si avvicinò. «Quello era il mio amico Buck» spiegò. «Quando lavoro all’aperto tengo sempre una mela in tasca, e a volte lui viene a trovarmi. Se la mela comincia a marcire prima che lui si faccia vivo, la mangio io e ne prendo un’altra per lui.» «Ma come hai fatto?» domandò lei incantata. «Oh, non c’è nessun trucco. L’ho trovato quand’era cucciolo, ferito dal fucile di un cacciatore, separato dalla madre, terrorizzato e sanguinante. Il vecchio Raleigh mi disse che i suoi occhi non funzionavano più, ma i miei sì... e mi spiegò che cosa fare. Disse che dovevo curargli la ferita, dargli da mangiare per qualche giorno e poi lasciarlo andare. Ed è quello che feci. Lo tenni chiuso nel deposito, lo nutrii con delle mele e dell’acqua pulita, e quando si fu rimesso lo liberai. Tutto qui.» «E lui ritorna?» «Non regolarmente, ma ogni tanto sì. Sono solo contento che non ne abbia parlato con i suoi amici – mi toccherebbe nutrirli tutti.» Commossa, Marcie posò la mano sul petto di lui. «Quello che hai fatto è incredibile...» «Non fare la sentimentale, Marcie. Se avessi un freezer probabilmente gli sparerei.» «Non oseresti!» Lui le sorrise. «A me la cacciagione piace, a te no?» Lei pensò allo stufato di Preacher e a come si scioglieva in bocca, ma replicò: «Non fino a quel punto!». Poi girò sui tacchi e rientrò, mentre lui rideva divertito. Un paio di giorni dopo, a metà mattina, Marcie sentì una macchina in arrivo e capì che non poteva essere Ian, perché quel motore era in condizioni di gran lunga migliori. Aprì la porta e vide Mel che scendeva dall’Hummer con la valigetta in mano. «Ehi, salve» disse Mel. «Si vede che stai molto meglio!» «Oh, sì, grazie. Sei da sola questa volta?» L’altra si avvicinò alla porta. «Sì. Ero in giro, e ho pensato di fare un salto a vedere come stavi.» Marcie ridacchiò. «Nessuno passa di qui per caso... mi ricordo bene com’è stato difficile trovare questo posto. Vieni dentro. Purtroppo non ti posso offrire tè e biscotti, ma...» «Ho parlato con tua sorella» spiegò Mel. «E ho pensato di venire a raccontarti com’è andata.» «Oh, Dio... è stata molto sgradevole? Ha perso la testa, si è messa a strillare?» Mel ridacchiò a sua volta. «No, non ha perso del tutto la testa, ma mi ha detto molto chiaramente che cosa pensa della tua impresa... adesso ti racconto.» Marcie accennò alla tavola con le due sedie, Mel ne prese una e appena seduta venne subito al dunque. «Ho fatto quello che mi avevi chiesto: le ho detto che avevi trovato Ian Buchanan, che stavi da lui e avevi intenzione di fermarti per un po’, e che le avresti telefonato quando fossi scesa in paese la prossima volta. Non mi pare proprio di averle detto altro, ma lei mi ha subito domandato perché, visto che l’avevi trovato e gli avevi parlato, non eri ancora tornata a casa.» «Oh, santa Maria... no, santa sorella.» Marcie si mise la testa fra le mani. «Perché mi sono ammalata, ma naturalmente non volevo che lo sapesse! Altrimenti sarebbe arrivata fin quassù con un’ambulanza. Riesce a smuovere le montagne, se vuole. Mobilitare la Guardia Nazionale sarebbe niente per lei.» «Sì. Ho avuto quest’impressione.» «Ma in realtà l’influenza si è rivelata una benedizione, perché Ian è un tipo piuttosto chiuso e diffidente ed è abituato a non avere nessuno intorno. Il fatto che io mi sia dovuta fermare da lui qualche giorno ha fatto sì che si abituasse poco per volta a me. Abbiamo parlato molto vagamente delle nostre vite, senza mai arrivare a sfiorare argomenti come la guerra, mio marito Bobby, il motivo per cui lui ha lasciato i Marine e la sua città natale, e così via. Ma mi sto avvicinando alla meta. Siccome deve sopportarmi per forza stiamo arrivando a conoscerci – in realtà a conoscerci di nuovo, perché dopo l’incidente di Bobby ci eravamo visti brevemente, e anche scritti per un po’. Così sto cercando di guadagnarmi la sua fiducia, e sono certa che uno di questi giorni riusciremo a parlare davvero.» «E poi?» Marcie si strinse nelle spalle. «Mel, io stessa non so perché sono dovuta venire a cercarlo... ma era qualcosa che non potevo evitare. Quando capirò perché l’uomo che ha salvato la vita di mio marito poi ha...» «Aspetta un momento» interruppe Mel. «Ha salvato la vita a tuo marito?» «Sì, l’ho raccontato a Jack... lui non te l’ha detto?» «No, non me ne ha fatto parola.» «Be’, è quello che Ian ha fatto. Ha rischiato la vita per salvare Bobby, ed è stato anche ferito. Non è colpa di Ian se Bobby è rimasto disabile, e io gli sarò sempre grata per aver tentato il tutto per tutto. Non so se puoi capirlo, ma anche se Bobby ha vissuto altri tre anni prigioniero in un corpo immobile, senza sapere quello che accadeva attorno a lui, almeno io...» Marcie si interruppe, inghiottì le lacrime e riprese: «Io ho potuto restare accanto a lui un po’ di più. Sono molto grata per il tempo che mi è stato concesso – anche se questo può sembrare egoistico nei confronti di Bobby». Mel trasse un gran respiro. Anche lei era vedova, e Jack era il suo secondo marito. Il suo primo marito era morto per caso, ferito nel corso di una rapina nel supermercato in cui era entrato. Ma adesso non voleva raccontare i dettagli della sua storia; mise invece una mano sul braccio di Marcie e disse: «Capisco benissimo». «E ci sono anche altre cose... quello che Bobby pensava di Ian, l’ammirazione che aveva per lui. Bobby lo riteneva l’uomo migliore della terra, e voleva diventare come lui. E quest’uomo così speciale è fuggito via da tutto e da tutti? Non ha senso. Poi c’è anche un’altra cosa, ma è molto sciocca. Si tratta delle figurine del baseball. Bobby e Ian collezionavano figurine del baseball fin da quando erano bambini, e mentre erano in trincea nel deserto, sotto le bombe o il tiro dei cecchini, parlavano di quelle stupide figurine. Sono queste le cose di cui voglio parlare, capisci? Per conoscere meglio mio marito, che adesso non c’è più...» Mel sorrise. «Capisco» disse sottovoce. «Ho cercato di spiegare tutto questo a Erin, ma lei non riesce a capirlo. Forse perché si preoccupa soprattutto per me... tutto quello che le interessa è proteggermi, ed evitare che io soffra di nuovo com’è accaduto negli ultimi anni. Può darsi che Ian non arrivi mai ad aprirsi con me, lo so bene, devo prepararmi a quest’eventualità. È stato molto chiaro, non vuole parlare dell’argomento. Quello che è successo deve aver lasciato un grande vuoto nel suo cuore.» «Senti» disse Mel appoggiando i gomiti sul tavolo, «io non ho una grande esperienza in questo campo, ma un po’ sì. Mi sono presa un Marine che è stato in guerra anche troppo, e che a volte crolla. Non so quali possano essere le cause scatenanti, ma non vorrei che tu rischiassi la tua incolumità quando finalmente riuscirai a parlare di questi argomenti delicati...» «Non succederà niente» disse Marcie. «In effetti credo che nemmeno lui se ne renda conto, ma non è un uomo torturato dai ricordi. Forse lo era qualche anno fa, e forse i ricordi ogni tanto lo turbano ancora, ma adesso è solo un tipo solitario che vive tra le montagne, che fa una vita semplice e tranquilla. È meno complicato di quanto sembri – almeno io la vedo così.» «Lo so... canta» sorrise Mel. «Non è solo questo. Mi ha parlato di tante altre cose, del vecchio che viveva qui e gli ha lasciato la capanna, del cervo che ogni tanto viene a trovarlo. Mi ha scaldato l’acqua perché potessi fare un bagno, mi ha lavato i capelli! Va regolarmente in biblioteca e legge ogni giorno, e non manuali su come fabbricare una bomba o distillare veleni, ma biografie di uomini famosi. È intelligente, ha un senso dell’umorismo che cerca di nascondere – probabilmente perché teme che mi convincerei di essergli simpatica.» «Sì, ma...» «No, non è a un passo dalla follia» insistette Marcie. «Per qualche ragione pensa che vivere da solo sia meglio... alla fine credo che capirò perché.» «Però, Marcie, credo che tua sorella abbia perso definitivamente la pazienza. Mi ha detto che sta pensando di venire qui a portarti via.» Marcie si irrigidì. «Le hai detto di non farlo?» «Le ho detto che ti avevo vista con i miei occhi, e che stavi bene. Ma le ho mentito, perché non stavi affatto bene, avevi la febbre, la tosse e...» «E qualcuno mi stava curando! Vedi che adesso sto bene? Mi sono addirittura depilata le gambe!» Mel la guardò stupita. «Era uno scherzo... volevo radermi le gambe e Ian si è domandato perché diavolo ci badavo, quassù nei boschi. Ma le ho depilate, accidenti!» Mel sorrise. «Almeno qui stai comoda?» «Be’, non c’è né frigorifero né bagno. Ian se ne va alle sei del mattino, torna nel primo pomeriggio a caricare altra legna sul pick-up e poi se ne va di nuovo, perciò non lo vedo fino all’ora di cena. Cucina qualcosa di caldo e durante la cena parliamo, ma poi lui vuole un po’ di pace per leggere qualche pagina e andare a dormire presto, come ha sempre fatto. Io mi sento molto sola e mi mancano le mie serie TV. Vorrei avere i miei CD preferiti e i miei film. Pensa che guardavo Love, Actually circa una volta al mese... Comoda, dici? Mi adatto. Certo è meglio di quando giravo i paesini per cercarlo e dormivo in macchina, ma...» «Dormivi in macchina?» domandò Mel inorridita. «Be’, ero quasi senza denaro e non l’avevo ancora trovato... Ma questo a Erin non vorrei dirlo.» «Be’, non è esattamente una questione medica, perciò non rientra nel mio segreto professionale...» ammonì Mel. «Io scommetto di sì. Scommetto che è per questo che mi sono ammalata!» Mel sorrise, poi prese la valigetta e domandò: «Posso misurarti la temperatura, controllarti la gola e auscultarti il petto?». «Sì, certo. Non riesco a liberarmi dalla tosse, ma per il resto mi sento bene.» Mel si diede da fare, e mentre visitava Marcie con cura disse: «Penso che dovresti dire a Ian che devi fare una telefonata a tua sorella, per parlarle di persona e rassicurarla». «Posso usare la mia macchina» replicò lei. «Hai le gomme da neve, o le catene?» «Be’, no, ma...» «Marcie, giù per queste montagne la tua Volkswagen uscirebbe di strada alla prima curva. Nevica da quando sei arrivata, e la tua macchina non ha peso o trazione sufficiente. Finché il tempo non cambia è meglio che tu ti faccia dare un passaggio su qualcosa di pesante – come il vecchio pick-up di Ian. Oppure puoi dirmi in che giorno vuoi scendere in paese e io verrò a prenderti. Ma credi, l’idea di andarci con la tua macchina è pura follia. E poi sembra che sia completamente sepolta dalla neve...» «Va bene, d’accordo. Magari gliene parlo tra un giorno o due.» «Sei definitivamente in via di guarigione, ragazza mia. Non credo che tu sia più contagiosa. Terremo d’occhio la tosse, ma intanto tu continua a prendere lo sciroppo che ti ha dato Doc. I polmoni sembrano liberi, va tutto bene, ma non è insolito che la tosse persista per qualche giorno. E la tua gola è ancora un po’ irritata.» «Senti, non c’era qualcosa da pagare per la visita a domicilio e per le medicine?» «Il conto è già stato regolato» disse Mel richiudendo la valigetta. «Da Ian?» «In effetti sì, credo fosse una questione di orgoglio. Senti, quando vieni in paese perché non ti fermi qualche ora? Ti impedirà di diventare pazza... Il bar è aperto dalla mattina presto fino alle nove o dieci di sera, e c’è gente che va e viene tutto il giorno. Puoi usare il telefono del bar o quello della clinica.» «Be’, non è una cattiva idea. Ah, Mel, dimmi dell’albero di Natale... È finito?» «Quasi finito, restano poche cose. È enorme, l’hai visto. Ed è bellissimo» disse raggiante. «Ah, non dirlo a Jack, ma mentre lui era via a fare commissioni ho fatto un giro sul cestello della gru... è stato fantastico.» Marcie aspettò l’ora di cena per affrontare l’argomento della sua visita in città, e badò bene a scegliere il momento giusto. Non troppo presto, ma nemmeno all’ultimo boccone, quando lui avrebbe potuto alzarsi e voltarle la schiena con la scusa di lavarle il piatto. «Quando scendi a vendere legna, Virgin River è molto fuori dal tuo percorso?» Lui alzò gli occhi e la guardò con fare interrogativo. «Perché?» «Se non è troppo disturbo, vorrei che mi dessi un passaggio fin là, perché dovrei chiamare mia sorella. Ho pregato Mel, l’infermiera che lavora con Doc Mullins, di telefonarle per dirle che ero qui a casa tua per un po’, e che l’avrei chiamata quando fossi andata in paese. E adesso vorrei farlo, in modo che non si preoccupi.» «Sarebbe la sorella che pensa tu sia irresponsabile e pazza?» Lei sorrise. «Proprio quella.» Ian depose il cucchiaio nel piatto di stufato con riso in bianco, e si appoggiò allo schienale della sedia. «Se stai meglio, dovresti pensare a far ritorno a casa. Ormai mi hai trovato e mi hai detto quello che volevi dirmi.» Lei si morse le labbra, poi levò su di lui i grandi occhi verdi. «Ian, io sono qui perché ho bisogno del tuo aiuto. Non lo dico perché tu mi compatisca, non è necessario. Ma ho perso Bobby giorno per giorno, per tre lunghi anni, e pensavo che quando lui se ne fosse andato io sarei stata pronta per la fase successiva della mia vita. Per tre anni mi sono domandata che avrei fatto. Pensavo a diverse possibilità: tornare a scuola, viaggiare, forse frequentare qualcuno. Avere le mattine e le sere libere per... per qualsiasi cosa mi andasse di fare. Ma non è stato così. Bobby se n’è andato da un anno, e io sono ancora allo stesso punto. Non mi va di fare nessuna delle cose a cui avevo pensato. Sembra che non riesca a riprendere la mia vita, e non è solo per il dolore di averlo perduto. È che ci sono delle questioni non concluse. Per questo essere qui con te è la cosa più giusta da fare...» «Tu sei rimasta qui perché eri malata!» rispose lui irritato. «Be’, non tanto malata da non apprezzare il fatto che stiamo cominciando a conoscerci. Anzi, è come rinnovare una conoscenza, e per me è davvero un grande aiuto.» «Che conoscenza stiamo rinnovando? Di che diavolo parli?» Lei abbassò lo sguardo. «Vedi, io ti conoscevo. Non personalmente, come Bobby, ma nelle sue lettere lui parlava sempre di te... e poi anche noi due ci siamo scambiati qualche lettera. E allora mi è parso che ci conoscessimo bene, che fossimo amici. Tu eri il legame tra me e...» Ian picchiò le mani sul tavolo con tanta forza da farla sobbalzare. «Ma io non voglio rivangare tutto questo!» «Lo so!» gridò lei di rimando. «Dio santo, ti ho forse chiesto di farlo? Sei così dannatamente ostinato... mi domando come accidenti hai fatto a sopravvivere tanto tempo senza nessuno con cui litigare! So bene che hai dei problemi, ma credi che potresti pensare a qualcun altro oltre che a te stesso, per cinque secondi? Se parlassimo, questo mi aiuterebbe a mettere alcune cose sotto la giusta prospettiva, tutto qui. Se vuoi che me ne vada, me ne vado. Ma se mi lascerai restare per un altro po’, fino a quando io non mi senta... Diavolo» esclamò ravviandosi i capelli rossi, «non so fino a quando! Fino a quando capirò che le mie questioni non concluse invece lo sono. Sarò ben felice di pagarti per il cibo che mangio, o di aiutare nelle faccende o che so io – il fatto è che non posso andare in città con la mia macchina perché non ho le gomme da neve né le catene!» Si fermò per riprendere fiato, poi deglutì. «Ecco, è tutto quello che volevo dirti.» Lui sollevò un angolo della bocca. «Sei sicura che sia tutto?» Marcie si appoggiò all’indietro e lo guardò cauta. «Be’, almeno per ora.» L’altro angolo della bocca di lui si sollevò. «Sei una stronzetta testarda, eh?» «Ti avevo avvertito» ribatté lei. E pensò: Probabilmente è quello che mi ha permesso di sopravvivere. «Non c’è bisogno che tu mi paghi per il tuo cibo, o che sbrighi le faccende. Solo, non riesco a capire come un vecchio brontolone come me possa aiutarti in qualche cosa.» «Be’» disse lei rabbonita e un po’ confusa, «è per via del modo in cui...» «Domani devo consegnare della legna» la interruppe lui. «Vado via presto con un carico, torno con il pick-up vuoto e lo ricarico. A quel punto ti posso portare con me. Per consegnare il carico ci metto un paio d’ore, poi ti passo a riprendere a Virgin River. Sai cosa fare per tutto quel tempo?» «Starò nel bar di Jack a bere caffè.» «Ma prima prendi lo sciroppo. Quella tua tosse fa paura.» Lei sorrise beata. «Grazie, Ian.» E fu allora che capì: lui poteva negarlo quanto voleva, ma aveva bisogno di ritornare al passato quanto lei. Più si rifiutava, più diventava evidente che anche lui aveva un sacco di fantasmi da cui liberarsi. Col tempo ci sarebbero arrivati. Poi lei gli avrebbe mostrato le lettere di Bobby, gli avrebbe dato quelle stupide figurine, e sarebbe tornata a casa. Più leggera, finalmente. 7 Ian entrò a Virgin River e si fermò di fronte all’albero. Mio Dio, che meraviglia, pensò. Decorato pensando ai Marine, ovviamente. E sembrava finito, ma la gru era ancora lì vicino. «Fatti trovare tra due ore e mezza» disse a Marcie. «Non voglio essere costretto a cercarti.» Lei guardò l’orologio. «Sarò pronta. E grazie.» Lui si limitò a un cenno, ma la seguì con gli occhi mentre saliva i gradini della veranda ed entrava nel bar. Poi si avviò, uscendo lentamente dal paese. Non voleva ammetterlo nemmeno con se stesso, ma avere Marcie attorno gli dava una strana sensazione di conforto – e non capiva perché. Forse perché badare a lei lo faceva sentire utile: assicurarsi che mangiasse a sufficienza, che stesse bene, che fosse protetta dai pericoli sembrava che facesse bene anche a lui. In effetti occuparsi di una convalescente era un impegno piuttosto gravoso. Se non ci fosse stata lei, per esempio, non si sarebbe dato tanta pena per cucinare e avrebbe semplicemente aperto una lattina di minestra pronta o di stufato. Ma poiché Marcie era stata malata e aveva bisogno di pasti caldi, Ian aveva fatto del proprio meglio. Marcie aveva anche bisogno di metter su qualche chilo, e lui sospettava che proprio il fatto di cercarlo tanto a lungo, dormendo in macchina e saltando i pasti, l’avesse indebolita e resa più fragile. Sapere che al suo ritorno l’avrebbe trovata a casa, pronta a tormentarlo con le sue richieste di conversazione, faceva sì che si affrettasse un po’ di più nel lavoro – per rientrare prima. Anche questo era incomprensibile: perché certo non aveva alcuna intenzione di parlare con lei della guerra, o di Bobby. Il solo pensare a quell’argomento gli pesava nello stomaco come un macigno e gli faceva venire l’emicrania. Eppure aveva la ridicola paura che come risultato della telefonata alla sorella, Marcie gli avrebbe detto: Devo tornare a casa. D’altra parte era inutile preoccuparsi: lei sarebbe partita presto, qualsiasi cosa le dicesse la sorella. Non poteva accamparsi nella sua capanna per tutte le feste natalizie, a casa c’era qualcuno che la aspettava. Anche se Marcie brontolava parlando della sorella, però ce l’aveva: una sorella che le voleva bene e si preoccupava per lei. E che aveva detto quando gli aveva chiesto un passaggio in paese? Se mi lascerai restare per un altro po’... Solo un altro po’. Quello con Marcie era il primo contatto umano in quattro anni. Il vecchio Raleigh non contava – con lui si era trattato di pura servitù. Se Raleigh non gli avesse lasciato un pezzo di montagna lui non avrebbe mai sospettato che potesse essergli grato per l’assistenza che gli aveva dato negli ultimi mesi. Ian vedeva regolarmente molte persone: lavorava per la ditta di trasporti durante la bella stagione, aveva i suoi clienti per la legna, andava in biblioteca, di tanto in tanto mangiava fuori. La gente lo trattava con gentilezza e lui era cordiale con loro. Ma non si apriva mai, non aveva amicizie. E nessuno lo stuzzicava come lei, costringendolo a sorridere suo malgrado. E la faccenda del puma – quando Marcie aveva spalancato la porta della latrina per urlare in quel modo – be’, temeva che l’animale lo aggredisse e aveva rischiato la pelle per metterlo in guardia! Era da un bel po’ che a nessuno importava realmente di lui... Forse è questa la risposta, pensò. A Marcie importa di me, o così lei crede, perché io ero importante per Bobby. Se ci fossimo conosciuti in un altro modo non sarebbe affatto così. Ma comunque, per ora lui apprezzava quella sensazione, anche se gli era sconosciuta. Sarebbe tornato a prenderla tra due ore e mezzo, e mentre consegnava l’ultimo carico di legna a un dentista di Fortuna avrebbe tenuto d’occhio l’orologio in modo da non essere in ritardo. E a ogni ciocco che caricava, si sarebbe augurato che la famiglia di lei non trovasse il modo di farla tornare subito a casa. Erano solo le nove e mezzo quando Marcie entrò nel bar, e in sala non c’era nessuno. Ma dalla cucina provenivano delle voci, e poiché lei doveva usare il telefono nel retro si diresse da quella parte, bussando due colpetti sulla porta basculante prima di entrare. «Avanti, avanti» disse qualcuno. Seguì una risata femminile. Attorno all’isola di lavoro c’erano quattro persone, cioè due coppie. Il cuoco, Preacher, e Paige – la giovane donna che Marcie aveva visto decorare l’albero di Natale il primo giorno. Poi c’era il poliziotto locale, Mike, accanto a una bellissima donna di circa trent’anni con lunghi capelli castani che le arrivavano fino alla vita. Mike indossava un grembiule ricoperto di macchie di glassa rossa e verde. «Ehi, Marcie» sorrise. «Allora, hai trovato il tuo Marine?» «Diavolo. Mel non vi ha detto niente, eh? L’ho trovato da circa una settimana!» Gli altri si scambiarono occhiate e risatine significative. Era chiaro che conoscevano Mel e la sua riservatezza. «Conosci tutti?» continuò Mike. Lei rispose al tu con altrettanta naturalezza. «Be’, conosco Preacher, Paige, e te...» Lui cinse con un braccio la donna dai lunghi capelli, e lei si appoggiò alla sua spalla. «E lei è Brie, la sorella di Jack.» Le diede un bacio sul collo e aggiunse: «La mia ragazza». «Come va?» sorrise Marcie, improvvisamente invidiosa dell’amore che aleggiava nella stanza. «Bene» rispose Brie. «È un piacere conoscerti.» «Allora, come sta il tuo eremita?» si informò Mike. «Oh, benissimo. Vive sulle montagne da circa quattro anni. Il posto è parecchio rustico, ma non ho mai visto niente di più bello.» «Ed è stato felice di vederti?» continuò il poliziotto. «Oh, sì» mentì lei, «eccome. Se non si parla delle sue esperienze in Iraq, ci teniamo un’ottima compagnia.» Scrollò le spalle e aggiunse: «Mi ha permesso di restare a casa sua per un po’... in effetti mi sono beccata una brutta... be’, un raffreddore, e lui mi ha dovuta sopportare. Così cerco di trarre vantaggio dalla situazione». Sorrise e aggiunse: «Ma è stato molto paziente, davvero. Sentite, devo fare una telefonata a carico del destinatario. Ho promesso a mia sorella di farmi viva ogni due o tre giorni, ma da Ian non c’è il telefono». «Fai pure» disse Preacher. «E telefona senza problemi, abbiamo un contratto che ci concede un numero illimitato di telefonate per una piccola somma mensile.» «Davvero?» «Sai, Jack ha quattro sorelle, Paige ha le sue amiche, perciò facciamo parecchie chiamate. La tua è gratis, purché non sia al di fuori degli Stati Uniti.» Paige girò attorno al tavolo di lavoro. «Se ti occorre un po’ di privacy puoi telefonare dal nostro appartamento» disse. «Davvero non ti dispiace?» «Niente affatto. Vieni con me, ti faccio strada.» Marcie fece per seguire Paige, poi si voltò verso gli altri. «State facendo dei biscotti natalizi?» domandò. «Paige e Brie hanno organizzato una specie di laboratorio per sole donne» rise Mike. «Io mi sono unito a loro solo perché possano avere qualcuno da prendere in giro, ma sono molto più bravo a fare i tacos. E la mia carne asada è magnifica.» «Per fortuna avevamo già finito di preparare i nostri biscotti» rise Brie. «Mike è un disastro... non ho mai visto qualcuno che non sappia nemmeno spalmare la glassa sui biscotti!» «Vedi, gli uomini non ci si provano nemmeno perché sanno che io sono il miglior pasticcere della terra» disse Preacher. «Vieni, Marcie» la invitò Paige con una risata. «Ti mostro dov’è il telefono.» Marcie la seguì in un piccolo appartamento dietro la cucina, composto di una camera da letto e un soggiorno. Paige indicò un cordless sul tavolino accanto a un divano di pelle. «Accomodati.» «Grazie. Tu vivi qui?» «Sì. Ci abitava Jack prima di sposare Mel e di trasferirsi nel suo chalet. Poi io ho sposato John e...» «John?» «Sì, tutti lo chiamano Preacher ma il suo vero nome è John, John Middleton. E io sono Paige Middleton» aggiunse orgogliosamente. «Fai la tua telefonata, poi ci prendiamo un caffè con i biscotti. E te ne daremo un po’ da portare a casa.» Chiuse la porta e la lasciò da sola. Era straordinario, pensò Marcie. Non aveva mai conosciuto gente come questa, così generosa e disponibile. Paige non si preoccupava che lei frugasse nei suoi cassetti? Non la conoscevano, non sapevano niente di lei, eppure si facevano in quattro per aiutarla... Sospirò profondamente. Ian dovrebbe frequentare più spesso gente come loro, pensò. Si sta trasformando in un vecchio brontolone molto prima del tempo... Poi prese il telefono e chiamò l’ufficio di Erin. Rispose la segretaria di Erin e le spiegò che sua sorella era in tribunale – e Marcie emise un sospiro di autentico sollievo. «Non importa, Barb. Puoi dirle soltanto che ho chiamato, che sto bene, che le cose vanno benissimo e che cercherò di chiamarla di nuovo tra un paio di giorni? Ti ringrazio.» «Davvero le cose vanno benissimo?» «Oh, sì, perfettamente. Sto da un amico sulla montagna, e non c’è il telefono. Posso telefonare solo quando scendo in paese, perciò passeranno un paio di giorni prima che possa provare di nuovo. Ma dille che quassù è bellissimo e che mi piace molto.» Dopo di che riattaccò, e profittando della facilitazione chiamò Drew sul cellulare. «Drew» esclamò lei quando il fratello rispose, «l’ho trovato!» «Già, così si dice» ridacchiò lui. «Ma tu stai bene, sorellina?» «Benissimo.» E poi, inaspettato, venne un accesso di tosse. «Scusa» disse lei. «Ho un po’ di tosse, ma ho visto il dottore qui in paese e lui mi ha dato uno sciroppo. È una cosa da niente, non c’è motivo di preoccuparsi.» «Non sembra che sia una cosa da niente» protestò lui. «Dormi in una casa abbastanza riscaldata?» «Ma certo» rise lei. «E Ian mi ha anche preparato del brodo di pollo. Sei a lezione? Posso raccontarti di lui senza che tu ti agiti?» «Sono uscito dall’aula, tanto il professore sta solo leggendo un elenco noiosissimo. Perché ti preoccupi che io mi agiti? Che cos’ha questo tizio che non va?» «Niente. È una brava persona, è gentile e premuroso, ma diventa un po’ irritabile se la conversazione verte sulla guerra. Perciò, per adesso non ne parliamo. Ma è davvero un personaggio! Non fa meraviglia che non riuscissi a trovarlo, ha i capelli lunghi raccolti in una coda e si è lasciato crescere una barba cespugliosa che tende al rosso. Non proprio rossa come i miei capelli, ma è strana perché i suoi capelli invece sono castani... Vive quassù tra le montagne da parecchi anni, da quando ha lasciato i Marine. Fa due lavori, va a caccia e a pesca, spacca la legna. Sto imparando a conoscerlo, e mi piace molto.» E mentre lo diceva pensò: È vero, mi piace proprio!. «Quindi» riassunse Drew, «stai fuori del paese, completamente isolata, con questo tizio che non ha telefono e che diventa irritabile se...» «Ci teniamo buona compagnia» lo interruppe lei, «e lui non ha niente di strano a eccezione di capelli e barba un po’ incolti. Ma da queste parti non è insolito. E in paese ci sono parecchi ex Marine che vegliano su di me, per assicurarsi che vada tutto bene.» Quella era una piccola bugia, perché in realtà era stata Mel a vegliare su di lei, ma era chiaro che anche tutti gli altri si preoccupavano del suo benessere. «Ti assicuro, va tutto benissimo.» Drew sospirò. «E allora quando torni a casa?» «Presto» rispose lei. «Non ho ancora avuto la possibilità di dirgli certe cose che voglio dirgli – sai, a proposito delle lettere e delle figurine del baseball. E poi vorrei sapere...» Voleva sapere perché Ian era fuggito in quel modo, abbandonando tutti quelli che amava. «Vorrei sapere alcune altre cose...» La voce di Drew assunse un tono paterno. «E se lui non volesse dirti quello che vuoi sapere? Che fai, lo ringrazi gentilmente e vieni via?» «Be’, sì» rispose lei dopo una pausa un po’ troppo lunga. «È una brava persona, non voglio farlo soffrire. Vorrei solo che mi parlasse di mio marito, ma se non vuole lo lascerò in pace.» «Erin sta diventando pazza» riprese lui. «È sull’orlo di una crisi. Se non fosse un tipo così controllato si sarebbe mangiata le unghie a sangue e si sarebbe strappata tutti i capelli.» «Ho cercato di parlarle, ma lei non c’era. Diglielo. Era in tribunale, e così ho chiamato te.» Poi Marcie sorrise tra sé. Bella storiella, pensò. Non aveva chiamato Drew perché Erin non c’era, ma perché parlare con lui la metteva di buonumore. «Dille tutto quanto, e ricordale che la chiamerò di nuovo tra un paio di giorni. D’accordo?» «C’è qualcosa in questa storia che non mi suona gius...» tentò lui. Ma lei lo interruppe in fretta. «È tutto molto meglio di come immaginavo» disse. «Mi farò viva molto presto, ma nel frattempo cerca di convincere Erin a prendere un calmante. Non posso portarmi sempre sulle spalle il peso delle sue ansie. Voglio concludere quello che ho cominciato... è il motivo per cui sono venuta quassù.» «Lo so» disse Drew con un altro sospiro. «E lo capisco, anche se non mi piace.» Marcie rise dolcemente. «Torna in aula, adesso. Ci parliamo presto.» «Ti voglio bene, piccola» disse lui. «Anch’io, fratellino.» E riappese. Poi rimase seduta per un momento nell’abbraccio accogliente del morbido divano. I suoi non capivano quello che stava facendo, ma l’amavano abbastanza da essere in ansia per lei, e da temere che stesse commettendo un errore nell’affidarsi a questo sconosciuto. L’amore di Erin poteva essere eccessivo, ma se lo bilanciava con il buonumore di Drew capiva di essere fortunata ad avere i due fratelli. Senza il loro amore la sua vita sarebbe stata del tutto vuota. Nessuno dei due aveva idea di quanto Marcie sentisse la loro mancanza, di quanto desiderasse essere a casa con loro per passare le festività nel modo più leggero e rapido possibile. Ma quest’anno non mancava solo Bobby – e d’altronde Marcie aveva già passato un Natale senza di lui. Mancava anche Ian, in un certo senso. Perché lei non aveva ancora messo insieme le loro storie – ed era quello che voleva fare. Quando tornò nella sala principale Marcie la trovò piena di donne, almeno una ventina. Sui tavoli coperti di tovagliette cerate c’erano cesti, vassoi, scatole di latta e piatti coperti di pellicola. Le donne reggevano in mano tazze di caffè o di tè e chiacchieravano allegramente. Marcie si fermò sulla soglia. Ecco che cos’era il laboratorio per sole donne, pensò. Ma questo le avrebbe impedito di starsene seduta al bar fino all’ora dell’appuntamento con Ian... Doveva trovarsi qualcos’altro da fare! «Eccoti» disse Paige. «Hai fatto una bella chiacchierata con tua sorella?» «Be’, no... non l’ho trovata, e così ho chiamato mio fratello.» «Hai anche un fratello? Sei fortunata! Siete molto vicini?» Marcie trattenne alcune lacrime di commozione. «Oh, sì» disse con un cenno della testa. «Che bello.» Paige la prese per mano. «Vieni a conoscere le nostre amiche» disse attirandola nella sala. «Oggi c’è lo scambio dei biscotti natalizi. Alcune di loro sono delle pasticcere di prima classe, ma non dirlo a John. Lui è convinto di essere insuperabile, ma credimi, questi biscotti sono eccezionali.» «Non vorrei fare la parte dell’intrusa...» «Non dire sciocchezze, sei la benvenuta. A meno che tu abbia qualcos’altro da fare, naturalmente.» Lei fece segno di no con la testa. «È soltanto che... be’, non ho dei biscotti da scambiare.» Paige scoppiò a ridere. «Non li ha neanche Mel, che è a malapena in grado di far bollire l’acqua. Brie e io li abbiamo preparati in cucina, ma Mel ha detto: “Oh, al diavolo... inutile che faccia finta!”.» In quel momento, dall’altro lato della stanza, Mel vide Marcie e si avvicinò. «Oh, bene, sei venuta in paese! Molto meglio che starsene seduta nella capanna da sola, no? E che magnifica occasione, così puoi conoscere qualcuna delle nostre vicine. Non esitare con gli assaggi. E che ne dici di un caffè?» «Oh, sarebbe magnifico. Solo che mi sento un’imbucata.» «Non qui da noi» rise Mel. «La gente è felice di fare nuove conoscenze, altrimenti vedrebbe sempre le stesse facce.» Paige le mise in mano una tazza di caffè fumante, e Mel la presentò ad alcune delle donne presenti. Connie, proprietaria dell’emporio, Joy che dirigeva la biblioteca, Hope McCrea, che Marcie ricordava di aver visto accanto all’albero il primo giorno. Poi Marcie conobbe molte altre donne, mogli di proprietari di ranch, una che possedeva un vigneto, un paio di donne venute dai paesi vicini. E naturalmente tutte le chiesero che cosa l’aveva portata a Virgin River. Lei rispose molto semplicemente: «Be’, quattro anni fa mio marito fu ferito molto gravemente in Iraq – era nei Marine – ed è morto l’anno scorso. Ho saputo che il suo migliore amico viveva da queste parti e sono venuta a cercarlo per dargli la notizia e stare un po’ con lui». «E l’ha trovato?» «Sì» sorrise lei. «Vive in una capanna sulle montagne, e oggi mi ha portata in paese mentre lui consegnava legna da ardere ai suoi clienti. Mi verrà a prendere tra un paio d’ore. È stato molto gentile... Adoro questo posto» disse poi per cambiare discorso. «E il vostro albero di Natale!» «Sono state Mel, Paige e Brie ad avere l’idea» disse Connie. «Anche se i nostri Marine locali sono in pensione, si sentono ancora molto vicini agli uomini e alle donne che sono ancora in servizio.» «Facciamo un piatto con tanti tipi di biscotti da portare al tuo Marine» propose un’altra. «Oh, non disturbatevi...» «Ma a lui farebbe piacere, no?» disse Mel. «E farebbe piacere anche alle nostre amiche. Tu resta qui con loro, io vado a sorvegliare la confezione del piatto.» E ciò detto, Mel la lasciò sola. Marcie si riprese subito dal disagio, perché chi stava attorno a lei riprese subito a chiacchierare. Le chiesero della sua città natale, di suo marito, del suo lavoro e della sua famiglia. Marcie aveva in animo di porre lei alcune domande per riavviare la conversazione, ma capì che non era necessario. Lei era la novità, e le altre erano curiose. Poi qualcuno le mise in mano un grande vassoio di plastica coperto di pellicola, che conteneva un assaggio di tutti i biscotti: Babbi Natale, alberi, ornamenti, tondi di pasta frolla al limone, quadrotti con gocce di cioccolato, fette di torta, dolcetti assortiti. Poco dopo una giovane donna entrò nel bar, e la sala si fece silenziosa. La donna era alta, aveva lunghi capelli biondo rossi, una scatola di biscotti in mano – e una gravidanza avanzata. Aveva in faccia un sorriso esitante, e teneva gli occhi un po’ abbassati. Dietro di lei veniva un uomo molto alto, anche lui piuttosto a disagio. Dopo un momento però il silenzio cessò e tutte le donne presenti circondarono la nuova arrivata, abbracciandola e baciandola sulle guance. Mel la cinse con un braccio e la condusse al centro della sala. E la giovane donna cominciò a offrire in giro i suoi biscotti e a raccogliere assaggi degli altri da portarsi poi a casa. «Quella è Vanessa» disse Brie sottovoce. Marcie si voltò a guardare la sorella di Jack. «Suo marito è stato ucciso in Iraq due settimane fa, e il bambino dovrebbe nascere tra un mese o poco più. Lei abita con il padre e il fratello, in un ranch appena fuori città.» Marcie inghiottì le lacrime che le erano salite agli occhi. «E l’uomo che è con lei?» «È Paul Haggerty, il migliore amico di suo marito. È rimasto qui dopo il funerale perché Vanessa gliel’ha chiesto. Dovunque vada lei, vedi Paul a pochi passi. Le è stato molto vicino in questi momenti difficili.» «È generoso da parte sua» osservò Marcie con una fitta di invidia. «Paul è uno dei più vecchi amici di Jack, Mike e Preacher» continuò Brie. «Questi ragazzi sono molto legati, e sono sempre disponibili per aiutarsi l’un l’altro.» «Paul sembra triste» osservò lei. «Ah, non c’è dubbio... lui e Matt erano amici fin dalle scuole elementari.» Sospirò e aggiunse: «Meno male che c’è il bambino in arrivo, per Vanessa sarà una benedizione. Vuoi che te la presenti?». «No, lasciala stare con le sue amiche» si affrettò a dire Marcie. «Non dev’essere facile per lei, mostrarsi in pubblico così presto dopo quello che è successo...» «D’accordo» disse Brie. «Allora scusami, ma voglio andare ad abbracciarla. Torno tra poco.» «Ma certo.» Le amiche rimasero attorno a Vanessa, cercando di tenerle compagnia nel miglior modo possibile, mentre Paul aspettava con pazienza accanto alla porta. Dopo una ventina di minuti Vanessa gli si avvicinò con la sua raccolta di biscotti, lui la cinse alla vita ed entrambi uscirono. Marcie lasciò sul bar il suo vassoio di biscotti e li seguì. Erano arrivati all’ultimo gradino della veranda quando lei si schiarì la voce. «Mi scusi... Vanessa, vero?» Vanessa e Paul si voltarono e Marcie fece un passo avanti. «Sono... sono addolorata per il tuo lutto» disse con familiarità. «Grazie» rispose lei con un sorriso gentile e un po’ triste. «Non ci conosciamo, mi pare.» «No, sono qui di passaggio. Sono anch’io vedova di un Marine» sussurrò Marcie. «È morto un anno fa.» «Oh» disse Vanessa, subito commossa. «Mi dispiace tanto!» «Grazie. Mio marito era stato ferito gravemente in Iraq quattro anni fa, e l’anno scorso alla fine è morto. E quando ho saputo... Be’ ecco, mi ricordo bene quando il dolore era così recente e intenso, e vorrei poterti dire qualcosa che ti sia d’aiuto.» L’altra le sorrise di nuovo, con dolcezza, poi alzò la mano e le carezzò brevemente i riccioli rossi. «Lo hai appena fatto. È stato gentile da parte tua venire a parlarmi... non eri obbligata.» «Oh, ma io sentivo di doverlo fare» rispose Marcie sentendo che le lacrime le bruciavano gli occhi. «Ricordo molto bene com’è stato difficile all’inizio... e sono felice per te, che almeno hai degli amici affezionati e un bimbo in arrivo.» «Tu non hai figli?» Marcie scrollò la testa in silenzio. E poi sentì il motore del pick-up di Ian che entrava in paese, e si trattenne a stento dal guardare l’orologio. Vanessa aprì le braccia e Marcie accolse l’abbraccio, sentendo le lacrime scorrere liberamente. C’erano così tanti motivi per piangere: la giovane donna aveva appena perso il marito, era incinta, ma il migliore amico di suo marito le stava accanto... Poi Marcie si scostò con un sorriso, malgrado il pianto. «Ho sentito il bambino che scalciava!» disse. «Sì, è un maschietto» spiegò Vanessa con orgoglio. «E per fortuna è molto vivace.» Marcie si asciugò le lacrime. «Ecco il mio autista» disse. «Buona fortuna.» «Grazie. Qual è il tuo nome?» «Marcie Sullivan. Sono qui solo per poco, presto tornerò a Chico, casa mia, per passare il Natale con mio fratello, mia sorella e la famiglia di mio marito.» «Bene, goditi il tuo soggiorno qui. Buon Natale, e grazie per la tua gentilezza.» Dopo di che salì su un grande SUV, mentre Paul l’aiutava premuroso prima di mettersi al volante. Marcie fece segno a Ian di aspettare un minuto, corse nel bar a prendere il vassoio di biscotti e a salutare rapidamente le nuove amiche. Poi salì sul pick-up, e quando furono fuori del paese lui domandò: «Allora, missione compiuta?». «Mia sorella non era in ufficio, così ho parlato con mio fratello. Le dirà lui che qui va tutto bene. E ho scelto bene la giornata, perché nel bar di Jack oggi c’era una festa con scambio di biscotti natalizi. Hanno insistito perché ne accettassi un vassoio da portare a casa.» «Mmh» fece lui. «Scommetto che hai fatto nuove amicizie.» «Qualcuna. La gente di questo paese è molto amichevole, forse dovresti frequentarli anche tu.» «E quella donna è una delle tue nuove amiche?» «Quella che stavo abbracciando?» «È l’unica che c’era a parte te...» «Si chiama Vanessa, non ho capito il cognome. Suo marito è morto in Iraq due settimane fa. Non la conoscevo, ma le ho fatto le mie condoglianze.» «Quindi l’uomo con lei non era il marito?» «No, era...» Avrebbe voluto dire: Il migliore amico del marito, ma ci ripensò. «Un amico di famiglia, a quel che ho capito.» 8 Visto che Marcie non doveva alzarsi presto per andare a lavorare e non aveva una TV per guardare le notizie, i giorni tendevano a confondersi uno con l’altro e lei non sapeva mai se era martedì o sabato. A quanto pareva, inoltre, Ian lavorava sette giorni su sette e questo aumentava la confusione. L’influenza era completamente passata, a parte la tosse che invece persisteva, ma la mattina lei dormiva ancora fino a tardi. Le giornate si stavano accorciando, la capanna restava buia più a lungo, e Ian usciva silenziosamente. A volte Marcie sentiva il motore del pick-up – rugginoso e brontolone come lui – ma poi si girava dall’altra parte e riprendeva a dormire. Quando finalmente si svegliava ed era sola, mangiava qualcosa, metteva un paio di ciocchi nella stufa, leggeva qualche pagina dei suoi libri – che spesso l’annoiavano a morte. Le biografie non le dispiacevano, ma avrebbe preferito leggere la vita di qualche donna interessante... La mattina dopo la gita a Virgin River, invece, si svegliò e scoprì che Ian era ancora a casa. E aveva un aspetto molto diverso dal solito. Indossava una giacca di denim imbottito, pulita e in buono stato, un paio di pantaloni kaki e stivali che non erano screpolati e scalcagnati come quelli da lavoro. La camicia sotto il giaccone era bianca. «Mi assento per un po’» le disse. «Non ti dispiace? Stai bene?» «Sto bene, mi sento come nuova. Ma vai a vendere legna? Non è tardi?» «No, stamattina faccio qualcosa di diverso. Ma tornerò presto.» Lei si rizzò a sedere sul divano, incuriosita. «Ian, dove vai?» domandò. Lui distolse lo sguardo come se fosse imbarazzato. «In chiesa» rispose finalmente. «Ogni tanto lo faccio. Ma non starò via molto.» «Appartieni a una congregazione?» domandò lei sempre più stupita. «No. No, a volte ne frequento una, a volte un’altra. In realtà non importa in quale chiesa vado.» Adesso Marcie era completamente sveglia. «A che religione appartieni?» «A nessuna. Davvero. La mia non era una famiglia religiosa, non siamo mai andati in chiesa. È qualcosa che faccio adesso, ma non regolarmente.» «Per favore, posso venire con te?» pregò lei. «Marcie» esclamò lui strascicando la voce, «non cominciare!» Ma lei era già saltata giù dal divano e aveva afferrato un paio di jeans puliti dalla sua sacca. «Non ho dei vestiti eleganti, solo jeans e stivali, ma l’ultima volta che sono stata in chiesa erano tutti vestiti sportivi. Nessuno si mette più in ghingheri, ormai.» «Preferirei che restassi a casa...» «Non ti darò alcun fastidio.» «Senti, posso parlar chiaro?» Lei si infilò rapidissima i jeans, senza pensare che Ian potesse vedere un lampo della sua biancheria, finché lui non le voltò le spalle. «Sarebbe bello che tu parlassi chiaro» ribatté. Poi sfilò la camicia e cercò nella sacca il maglione più bello che aveva. Senza guardarla Ian spiegò: «Entro in chiesa tardi, in silenzio, e mi siedo sul fondo. Non che sia scortese, dico buongiorno e Dio vi benedica, e poi me ne vado. La gente non si ricorda di me, perché non vado quasi mai nella stessa chiesa. Non voglio appartenere a nessuna confessione, voglio solo ascoltare la musica. Non sono il tipo che si aggrega a un gruppo...». «Sì, lo so, sei un lupo solitario.» «Mi piace la solitudine, infatti, ma vedo gente di continuo. Però amo vivere da solo, e non voglio appartenere a nessuna chiesa o associazione, ecco tutto. Ci vado per ascoltare la musica, e forse in questo c’è qualcosa che mi ispira, chi lo sa.» «Va benissimo. Dirò anch’io buongiorno e Dio vi benedica» replicò lei infilando il pullover dalla testa. Poi si guardò e scoprì che era tutto spiegazzato, ma decise che non importava e che non voleva perder tempo. Ian si voltò e scoprì che era già vestita, e che si stava infilando gli stivali su un paio di calzettoni. Dall’espressione della sua faccia era chiaro che stava perdendo la pazienza. «Senti, no, non va bene. Tu sei il genere di persona con cui la gente parla volentieri. A te piace fare nuove amicizie, scambiare opinioni, a me non va. Me ne resto a casa e...» Marcie corse all’acquaio, si bagnò le mani e le passò sui capelli cercando di domarli un po’. «Portami con te, Ian. Mi siederò lontano da te, farò finta di non conoscerti. Potrai comportarti come se io fossi una qualunque senzatetto mal vestita che è capitata in chiesa per caso nello stesso momento in cui c’eri tu.» «Oh, diavolo, Marcie... Non dovevo proprio dirti niente! E se ti portassi un libro dalla biblioteca? Dimmi che genere ti piace.» «Vai anche in biblioteca? Oh, ti prego ti prego ti prego, portami con te! Non sono più stata da nessuna parte dopo aver trovato la tua capanna! Non parlerò con nessuno, lo prometto, ma per l’amor del cielo non farmi più leggere un’altra biografia! Non mi siederò accanto a te e in chiesa, e in biblioteca me ne starò zitta, ma ho bisogno di uscire e di vedere gente... Non dico parlare, quando ti cercavo ho parlato con decine di persone per un mese, finché non ne potevo più e quasi mi si era seccata la gola. Ma adesso, se potessi vedere un po’ di mondo per qualche ora... Ti prometto che non ti metterò a disagio. Se faccio qualcosa di sbagliato, anche una cosa sola, puoi ruggire e ringhiare finché vuoi...» E poi ebbe un accesso di tosse. «Vedi? Sei ancora ammalata!» Marcie trattenne il respiro e la tosse si calmò. «È perché mi sono agitata, ma sto benissimo. Mel ha detto che ero guarita, mi ha visitata per bene, ha detto che non ero più contagiosa e che non è insolito che la tosse rimanga per un altro po’. Ti prego. Ti prego!» «Oh, dannazione...» borbottò lui. Marcie gli sorrise. «Bel modo di parlare, per uno che sta andando in chiesa!» Per l’intero tragitto fino a Fortuna, Ian non aprì bocca. Guidò guardando fisso davanti a sé, e Marcie pensò che dopo averlo tanto pregato di portare anche lei avrebbe fatto meglio a star zitta e quieta, facendo esattamente quello che gli aveva promesso. Quando si fermarono davanti a una chiesa presbiteriana lei entrò per prima, prese un programma e si sedette verso il fondo. E non si stupì quando Ian, entrato poco dopo, scelse un posto dall’altro lato della navata e si comportò come se non la conoscesse. Bene, voleva proprio starsene da solo. Che facesse pure, pensò Marcie: non si sarebbe lasciata turbare da questo. Ascoltò la lettura dei brani, il coro, il sermone. Si era a metà dicembre, il tempo in cui nelle chiese si cominciava a raccontare la nascita di Cristo. Di solito lei non andava in chiesa fino a qualche giorno prima di Natale, ma ascoltava sempre con gioia la storia: la stalla, i pastori, i Re Magi. «Una delle cose che mi interessano sempre, tutto l’anno» disse il ministro, «in qualità di cristiano, di teologo ma anche di essere umano, è la stella cometa. Si fanno molte congetture sul fatto che si trattasse di un autentico evento astronomico, o invece di un segno divino per annunciare la nascita del Cristo. Voi forse vi aspettate che io dica, secondo le scritture, che si trattava di un segno divino. Ma quel che è importante secondo me, non è se la cometa fosse un evento naturale o un miracolo divino: è ciò che significa per noi oggi. È un simbolo della cristianità, secondo per importanza soltanto alla croce. È un dono di luce, una guida superiore; è un modo di trasmettere comprensione e illuminazione. Siete mai stati attratti da qualcosa, senza avere una direzione da seguire per raggiungerla? Siete mai stati come coloro che non pregano spesso, ma d’improvviso hanno un disperato bisogno di aiuto e cadono in ginocchio? La cometa è fede. È credere che un potere più grande di noi, se gliene diamo la possibilità, ci porterà alla nostra destinazione. La cometa è significato, scopo, promessa che ci verrà data l’illuminazione divina, che sul nostro cammino brillerà la luce della comprensione, e che questo ci impedirà di cadere. Questo è il miracolo della stella cometa. Stiamo entrando in una stagione colma di amore, di comprensione e perdono... una stagione di promesse. So che molti di noi guarderanno verso il cielo alla ricerca di quella stella. Bene, a volte penso che la stella sia nei nostri cuori.» Poi il ministro parlò dei Re Magi, e dei pastori che avevano abbandonato le loro greggi. Erano attirati dalla luce. Avevano un incarico, una meta. Erano uomini molto diversi tra loro – gli uni semplici pastori, gli altri re – ma non sono solo i ricchi o i poveri a seguire un richiamo... Tutti loro avevano reagito d’istinto, avevano una missione da compiere per il loro stesso bene, per il salvatore che erano destinati ad accogliere nel mondo, per il benessere di tutti. Doveva essere stato un richiamo potentissimo, impossibile da ignorare, anche se a molti di quelli che li circondavano l’impresa doveva essere apparsa come una sciocchezza, una follia. «Immaginate questi re che si mettono in viaggio attraverso tutto il paese, semplicemente perché hanno la folle certezza che un bambino speciale, venuto a salvare il mondo e a guarire l’umanità intera, è nato in una stalla a miglia e miglia di distanza» disse. «I loro servi e i loro soldati avranno sicuramente pensato che avevano perso la testa! Ma poi apparve la stella, a dir loro la via, a guidarli. C’è qualcosa che ci sentiamo chiamati a fare in questa stagione di generosità e di rinascita?» domandò ancora. «E la gente attorno a noi ci suggerisce invece di badare ai fatti nostri, di lasciare che le cose vadano come devono andare?» Le sue parole cominciarono a fondersi insieme... Marcie non sapeva più se stava ascoltando il sermone, o invece il proprio cuore. «C’è qualcosa che siete inspiegabilmente costretti a fare, e non potete evitarlo, come non potete fermare il tempo? Si tratta di una missione di pace, destinata a portare bontà e sollievo? A trasmettere amore e gentilezza? Questo, dovete domandarvi. Questa non è la stagione per guarire le vostre ferite a spese di qualcun altro, è il tempo di riaccendere in voi l’amore per poi riprendere il cammino verso un mondo migliore. Non è forse questo che la nascita di Cristo ci ha promesso? Un mondo migliore? E allora dobbiamo domandare a noi stessi, vedo la via? Vedo la stella a oriente? Mi conduce sulla strada giusta?» Marcie avvertì il calore delle lacrime sulle guance, e sentì chiaramente la voce del pastore che diceva: «Diciamo tutti una preghiera per permettere a Dio di guidarci nella direzione giusta, affinché possiamo agire nel modo migliore: medicando le ferite che abbiamo inferto, guarendo la sofferenza dei nostri cuori e chiedendo perdono. E poi canteremo insieme». Ma lei pregava già, anche se non Dio come avrebbe dovuto. Oh, Bobby, aiutami! È giusto che io sia qui? Che abbia fatto quello che ho fatto? Ian è come avevi detto, forte, invincibile, ma allo stesso tempo tenero e dolce. È complicato e semplice. A volte mi vengono in mente paragoni irrazionali, Gesù che caccia ferocemente i mercanti dal tempio ma poi nutre una moltitudine affamata con cinque pani e cinque pesci... Se l’avessi visto ruggire contro di me, come se fossi chissà quale pericolo, e poi nutrire quel cervo che gli mangiava in mano! Il giorno che il puma è entrato nella sua proprietà sono certa che abbia sparato in aria per spaventarlo senza fargli male, anche se avrebbe potuto ucciderlo – e forse avrebbe dovuto. È un uomo buono, Bobby, e non può fare un’azione cattiva senza volerlo... ma se è sbagliato che io invada il suo mondo, sconvolga la sua vita e lo renda infelice, dammi un segno! È vero, vorrei portarlo a casa, ma ho bisogno che invece sia lui a portare a casa me... Giuro su Dio, voglio solo fare quello che è giusto, voglio che le cose siano risolte in modo che tutti possiamo riprendere la vita che tu avresti voluto per noi. Ma ti prego, Bobby, dimmi che cosa devo fare! Starò attenta a capire il tuo segnale, ma tu dammelo... E mentre stava a capo chino e pregava il marito defunto invece di Dio com’era previsto, la congregazione si alzò in piedi e attaccò un inno. Le ci volle un momento per asciugarsi gli occhi e p e ns a r e : Sono matta come un cavallo. Prego un uomo che è morto da un anno, che ho perduto molto prima di quel giorno. Credo davvero che Bobby mi darà una risposta più rapidamente di Dio? Poi gettò un’occhiata dall’altro lato della navata. Ian stava in piedi, eretto e composto. Ma non stava cantando! Questa sì che era una follia. Quello era l’unico luogo in cui la sua voce sarebbe stata davvero apprezzata, eppure lui non cantava. Che spreco! La sua splendida voce avrebbe stupito e conquistato la congregazione. E lui taceva! Marcie inghiottì le ultime lacrime. Forse non era così magnifico, pensò. Forse era solo un egoista. Non capiva perché questo episodio, così spiritualmente commovente per lei, dovesse poi farla arrabbiare. Ma decise di non soffermarcisi troppo: era meglio lasciar perdere e restare tranquilla, come gli aveva promesso. Almeno finché non capiva meglio quello che era successo. Quando l’inno finì e il pastore ebbe letto la benedizione, Marcie fu tra i primi a uscire dalla chiesa. Prese la mano del pastore e lo ringraziò per il sermone commovente, e lui replicò con un sorriso: «Forse l’ha commossa un po’ troppo, sorella...». «Sì, mi ha toccata nel profondo» ammise lei cercando di non piangere di nuovo. «Venga qui» disse il pastore. Aprì le braccia e la strinse a sé. Se non si fosse controllata, pensò lei, sarebbe scoppiata in singhiozzi. Quell’abbraccio toccava una corda troppo delicata. Aveva ricevuto mille abbracci confortanti dopo la morte di Bobby, ma ultimamente sentiva la mancanza di un contatto rassicurante... e per quanto si sentisse ridicola per la preghiera rivolta a Bobby, sarebbe stato magnifico sentire la sua mano sulla spalla, a dirle che doveva continuare la sua vita, guardare avanti e seguire il suo cuore. «Grazie, pastore» disse scostandosi. «Davvero un bellissimo sermone.» «Allora sono io a doverla ringraziare. È sempre difficile per me prepararli, non mi sento mai sicuro. Torni a trovarci.» «Sì, certo.» Marcie si avvicinò al pick-up per aspettare Ian, e lo vide uscire a sua volta dalla chiesa, avvicinarsi al pastore per stringergli la mano, parlargli, addirittura ridere con lui. Dunque ci sono due Ian, pensò. Quello che sembra solitario e un po’ cupo, e quello che si è fatto il suo posto nel mondo senza difficoltà. Solo che il suo mondo è di tipo diverso: non è quello ansioso, sovrappopolato, pieno di esigenze e obblighi, in cui vivono molti di noi. Il suo è un mondo quieto, e anche i suoi rapporti con la gente lo sono. Proprio come piace a lui. Mentre lo cercava, aveva domandato ad almeno un centinaio di persone se conoscevano un certo Ian Buchanan, e la risposta era sempre la stessa. «No, il nome non mi dice niente.» Era probabile che Ian si facesse strada nella vita, sia pure amichevolmente, senza che nessuno gli domandasse mai il suo nome. Quando lui tornò al pick-up e mise in moto, Marcie si informò: «Il pastore ti ha per caso domandato come ti chiamavi?». «No, perché?» «Così, una curiosità.» «Adesso credo che dovremmo fare una bella colazione. Ti va di mangiare prima di andare in biblioteca?» «Sì, certo» rispose lei sottovoce. «Ehi... tutto bene?» Marcie scrollò le spalle. «Credo di essermi commossa, in chiesa. Una bella tazza di caffè forte dovrebbe rimettermi in sesto.» «Be’, sei fortunata, perché conosco il posto giusto.» Era un ritrovo da camionisti, ovviamente, e Ian ne era piuttosto fiero. Nel parcheggio c’erano almeno una dozzina di TIR, e quando entrarono una cameriera di mezz’età, robusta, con i capelli ossigenati, lo salutò familiarmente. «Ehi, Bub, tutto bene? È da un po’ che non ci vediamo.» «Tutto benissimo, Patti» rispose lui. La bionda portava una targhetta con il nome appuntata sul bavero, perciò Marcie immaginava che non fossero grandi amici. Ma Ian frequentava ovviamente parecchi posti – guarda caso nessuno di quelli in cui lei lo aveva cercato. Patti riempì le loro tazze di caffè e domandò: «Ordinate adesso o vi serve un po’ di tempo?». «Sì, diamo alla signora il tempo di decidere» assentì lui. «Immagino che tu prenda sempre le stesse cose, eh?» commentò Marcie quando la cameriera si fu allontanata. «Sì, più o meno.» Lei studiò brevemente il menu. «Prenderò un’omelette al formaggio.» «Bene.» Ian alzò una mano per chiamare Patti, e quando la donna arrivò disse: «Un’omelette al formaggio per la signora, con contorno, e per me...». «Quattro uova con pancetta e salsicce, patate fritte, biscotti salati, salsa, toast integrali, succo d’arancia e caffè a litri» terminò la donna. Ian le sorrise, un autentico sorriso. Se fossi in lei, rifletté Ma r c i e , penserei che mi vuol chiedere un appuntamento. Ma Patti disse soltanto: «D’accordo, Bub». Dopo la seconda tazza di caffè Marcie cominciò a fare pace con il mondo. Niente le dava la carica come una dose di caffeina. Un bel caffè caldo – non la sciacquatura di piatti che Ian lasciava sulla stufa quando andava via all’alba. Caffè caldo e forte, come questo. «Allora, tu e Patti siete amici?» domandò. «Vengo qui ogni due mesi circa» fu la risposta. «E Patti è un buona cameriera che fa bene il suo lavoro.» «Perché in chiesa non hai cantato?» domandò ancora lei. Ian depose la tazza. «Non mi andava.» «E perché?» «Senti, non voglio darmi arie. Al liceo cantavo nel coro, e ho anche recitato nel musical di fine anno. Abbiamo messo in scena Grease. Ho una voce discreta, soltanto che non voglio unirmi al coro in chiesa.» «Che parte avevi in Grease?» «Oh, non ha importanza...» «Chi eri?» Lui si portò la mano alla bocca e borbottò qualcosa. «Come?» «Danny.» «Diavolo, eri la star! Eri John Travolta – solo che tu canti molto meglio!» Lui si guardò intorno nervosamente. «Ehi, abbassa la voce!» «Scusa, scusa. Ma davvero non hai mai studiato musica?» «Ho studiato strategia militare. Pensavo lo sapessi.» «D’accordo, scusa se ho sfiorato l’argomento proibito. Ma santo cielo, tu canti da dio! Non sarebbe bello se lo facessi sul serio?» Ian tacque per un momento. «Io canto per me. Mi piace, mi fa passare il tempo. Non ti permetterò di salvarmi, Marcie. Non ti permetterò di trascinarmi giù dalle montagne per trasformarmi in una rockstar!» Lei lo guardò ammutolita, perché per un attimo prima aveva pensato proprio a quello. Non a farlo diventare una rockstar, ma un cantante famoso sì. «Be’, è un peccato che tu non abbia nemmeno una radio» ribatté sgarbatamente. «Anche se vivi sulle montagne, dovresti poter ascoltare della musica.» Lui rise, e in quel momento arrivarono le loro colazioni. Ian prese subito il conto, mentre lei fissava l’enorme piatto di lui con occhi sbarrati. «E adesso che c’è?» le domandò. «Dio santo, accendono la griglia appena ti vedono entrare nel parcheggio? Ci hanno messo sì e no cinque minuti!» Ian sorrise di nuovo, questa volta solo per lei. «Mi piacciono per questo, perché sono rapidi ed efficienti. Sanno lavorare come si deve.» «Già, lo vedo. Ehm... lascia che dividiamo il conto. I soldi li ho.» «Lo so. Ottanta dollari.» E attaccò le sue uova con appetito. «No, davvero, vorrei pagare la mia parte» insistette Marcie. Lui prese una frittella di salsiccia dal suo piatto e lo mise in quello di lei. «Lascia perdere, ormai l’ho preso io. E assaggia questa, è la miglior frittella che tu abbia mai mangiato.» «È evidente che hai bisogno di un bel po’ di carburante, con il lavoro che fai» osservò lei. Poi assaggiò la frittella. «Mmh... hai ragione, è deliziosa.» Ian tagliò un pezzo di biscotto salato intinto nella salsa e glielo porse con la sua forchetta. «E vedrai, questo è ancora meglio.» Per un attimo lei si immobilizzò. La stava letteralmente imboccando con la propria forchetta? Poi, prima che il momento magico passasse, si chinò verso di lui e prese il boccone che le porgeva. Fece segno di sì, chiuse gli occhi deliziata, e quando li riaprì Ian sorrideva beato. C’era qualcosa di così intimo e generoso in quel semplice gesto che lei si sentì profondamente commossa. «Sapevo che ti sarebbe piaciuto. Io faccio fatica a finire tutto, perciò serviti pure.» «Grazie, Ian» disse lei. E ricambiò il sorriso. Quando Ian si fermò davanti alla biblioteca di Eureka, Marcie domandò: «Posso curiosare un po’ tra i libri, o abbiamo fretta di tornare a casa?». «Dipende da come stai... oggi hai tossito due o tre volte.» «Mi sento molto meglio se posso fare qualcosa di divertente. Vorrei scegliermi dei libri da leggere mentre tu sei in giro a vendere legna, e non so di preciso che cosa cercare.» «Allora fai pure con comodo. Io intanto leggerò i giornali.» In effetti Marcie se la prese comoda, e fu un lusso. Si aggirò fra gli scaffali, prendendo romanzi qua e là, leggendo la quarta di copertina e la prima pagina, sempre più incerta sulla scelta, poi si sedette per terra a sfogliare due o tre romanzi che parevano interessanti, felice di essere attorniata dalla carta stampata. Negli ultimi anni aveva letto i classici a Bobby – in realtà più a se stessa che a lui – ma preferiva gli scrittori contemporanei, e i romanzi sentimentali con un lieto fine, quelli in cui tutti i problemi si risolvevano. Perse la nozione del tempo, fino a quando sentì la voce di Ian che domandava: «Adesso possiamo andar via?». «Oh... sì, certo. Posso prendere questi tre?» «Credi che farai in tempo a leggerli prima di tornare a casa tua?» Marcie gli sorrise. «Sì» rispose senza ulteriori commenti. Mentre Ian registrava i libri da portar via, Marcie si fermò a parlare con l’impiegata che li aveva accolti al loro ingresso. Dapprima cominciarono sottovoce, ma ben presto si sorpresero a ridacchiare e sussurrarsi battute all’orecchio. Ian si schiarì la voce rumorosamente, loro si voltarono e lui le fulminò con un’occhiataccia, ma poi le due ripresero la loro conversazione. Erano diventate amiche in brevissimo tempo. Infine Marcie salutò con calore la ragazza e uscì, seguendo Ian fino al pick-up. «Avevi promesso che non ti saresti fatta coinvolgere» brontolò lui dopo un po’. «Che non avresti parlato con nessuno, che saresti stata zitta e buona!» «Non mi sono fatta coinvolgere così tanto» protestò lei. «Ma se sembravate amiche d’infanzia! Te l’ho detto, tu sei il tipo di persona con cui la gente chiacchiera, e...» «Non preoccupati» lo interruppe lei. «Ho protetto il tuo anonimato, le ho detto che eri mio fratello.» «Ah, grandioso» fece lui ancora più imbronciato. «Adesso mi chiederà di te ogni volta. E te l’ho detto, io sono gentile ed educato ma voglio farmi i fatti miei!» «Puoi farli benissimo, lei lo troverà assolutamente normale.» «Ah, sì? E come mai?» «Be’, mi ha detto che la incuriosisci, che a volte prendi dei libri piuttosto ponderosi, ma che non sembri portato per la conversazione.» «Ma davvero?» fece lui ironico. «Sì. E allora le ho detto che sei molto intelligente, ma che non sei un animale sociale. Che quindi non deve aspettarsi delle chiacchiere da te, ma che sei una bravissima persona e che non c’è da aver paura, perché nonostante il tuo aspetto sei innocuo.» «E come l’hai convinta di questo?» «Oh, le ho detto che sei un idiot savant – in gambissima per quanto riguarda la letteratura e le scienze, ma assolutamente inadatto a stare in società.» «Oh, Cristo santo!» Continuarono in silenzio per un po’. Il sole cominciava a calare, il cielo stava diventando violetto, e dopo un po’ lei disse: «Quand’è stata l’ultima volta che sei andato fuori a bere una birra?». «Non capita da un bel po’» grugnì lui. «Mi piacerebbe vedere l’albero di Natale che c’è a Virgin River, di notte. Non ti andrebbe di passare di là per una birra? Quando avremo finito probabilmente sarà già buio – e poi dovrei chiamare di nuovo mia sorella prima che venga quassù a cercarmi. Là c’è un bar molto accogliente, con un telefono che posso usare.» «Marcieee...» «E dai, è stata una giornata così piacevole, finiamola su una nota positiva! Lascia che ti offra una birra e magari la cena. Preacher cucina da dio.» «Preacher?» «Il cuoco di quel locale.» «È che la folla non mi piace...» Lei scoppiò a ridere. «Ian, se anche tutto il paese si riversasse nel bar ci sarebbero meno persone che nel posto dove abbiamo fatto colazione, o in chiesa. E poi mi hai detto tu stesso che vedi una quantità di gente, no? Non fare l’orso. Ti piacerà, vedrai.» Erano passate da poco le cinque quando Marcie e Ian entrarono nel locale, e ci trovarono una ventina di persone. Ian si fermò sulla soglia e si guardò intorno con cautela. Notò i trofei di caccia e pesca alle pareti, le luci morbide, il caminetto acceso, e pensò che non sembrava male. Ad alcuni tavoli sedevano gruppi di persone che chiacchieravano e ridevano, ma c’erano anche due o tre clienti che cenavano o bevevano qualcosa lontano dalla folla, per conto loro. Uno di questi era il vecchio dottore, che stava seduto al bancone del bar e beveva un whisky senza che nessuno lo disturbasse. Marcie andò subito a parlare con il barista; intanto Ian aveva visto uno sgabello all’estremità del banco, abbastanza isolato da farlo sentire a proprio agio. Si stava avvicinando a Marcie per dirottarla verso quel punto quando lei si voltò. «Ian, ti presento Jack Sheridan. Jack, lui è Ian.» «Molto lieto» disse l’uomo. «Che cosa ti do?» «Una birra.» «In bottiglia o alla spina?» «Alla spina, grazie.» Jack riempì un boccale dicendo a Marcie: «Vai pure a telefonare, Preacher è nel retro». Poi depose il boccale davanti a Ian, e lui lo prese e lo portò nel punto che si era scelto. E per un po’ osservò Jack che serviva alcuni clienti, lustrava i bicchieri, scambiava battute scherzose con altri clienti, sistemava le bottiglie, portava un cestello di bicchieri sporchi in cucina, ignorando completamente Ian, il dottore e un altro che beveva una birra all’altra estremità del banco. Erano già dieci minuti che Marcie era scomparsa – quella con la sorella doveva essere una conversazione molto interessante. Che ha detto di me a questa gente?, si domandò. Jack accennò al suo boccale quasi vuoto. «Un’altra?» domandò. «No, va bene così.» «In caso, fammi sapere» fece Jack allontanandosi. «Ehi...» lo richiamò Ian. Jack si voltò a guardarlo con aria interrogativa. «Ti ha detto lei di lasciarmi in pace?» Jack ridacchiò. «Amico, la prima cosa che impari quando apri un bar è: parla se i clienti parlano, taci se loro stanno zitti.» Ian inclinò la testa. Forse poteva frequentare un posto così, di tanto in tanto. «Già. Alla bibliotecaria di Eureka Marcie mi ha descritto come un idiot savant.» Jack ridacchiò di nuovo e lui capì che quella era una storia buffa. Gli piaceva raccontare storielle divertenti; un tempo faceva ridere i suoi uomini, quando non li faceva lavorare duramente. «E ti ha detto che mi stava cercando?» continuò. «Sì, me l’ha detto.» Allora, per chissà quale ragione, Ian fece qualcosa che non faceva da quando si era isolato tra quelle montagne, e cioè abbassò un poco la guardia. «Ti ha detto qualcosa di me?» «Due o tre cosette.» «Tipo?» «Tipo che tu e io eravamo a Fallujah nello stesso periodo.» «Avrei dovuto capirlo... hai proprio l’aria da Marine. Tanto per essere chiari, io di quel periodo non voglio parlare.» Un sorrisetto. «Tanto per essere chiari, neanch’io.» «Ciao, Erin» disse Marcie al telefono. «Volevo sapere come va.» «Marcie, Dio santo, dove diavolo sei stata?» esclamò Erin. A Marcie pareva di vederla camminare avanti e indietro con il telefono in mano, cosa che faceva sempre quand’era agitata. «Sai benissimo dove sono, a Virgin River» rispose. «Non hai avuto i messaggi? Ieri ho parlato con Drew, e Mel Sheridan ti ha telefonato qualche giorno fa...» «Sì, una tizia che non conosco e di cui non avevo mai sentito parlare» confermò Erin seccamente. «E dice che stai da lui... cioè, stai con lui a casa sua? In un posto senza nemmeno il telefono?» Marcie sospirò. «Calmati. Non ha bisogno del telefono. Vive in uno chalet sulle montagne da cui si gode una vista incredibile, e mi ha per così dire invitata a restare, se mi andava.» «Per così dire? Se ti andava? Marcie, che accidenti sta succedendo?» «Erin, adesso stammi bene a sentire e smettila di darmi ordini. L’ho finalmente trovato, e voglio conoscerlo e capirlo meglio. Voglio capire tante cose, e questo richiede tempo. Perciò resterò qui ancora un po’.» «Ma è pazzesco, inaccettabile... La mia sorellina, isolata in mezzo alle montagne con uno sconosciuto fuori di testa!» «Non è fuori di testa, è una bravissima persona ed è stato molto generoso con me! Sono al sicuro, non c’è ragione che tu ti preoccupi. Ian va al lavoro ogni giorno, e la sera quando torna ci mettiamo a parlare. Stiamo imparando a conoscerci. Oggi siamo andati in chiesa e poi in biblioteca... insomma, smettila di ossessionarmi. Sapevi che volevo farlo, no?» «Fammi parlare con lui» disse Erin. «Passamelo al telefono, voglio fargli qualche domanda.» «Nemmeno per sogno» ribatté lei in preda al panico. «E poi in questo momento non può venire al telefono, è di là nel ristorante. Sono un’adulta, e Ian non ha bisogno del tuo permesso per invitarmi a stare con lui nel suo chalet. Devi fidarti di me!» «Non si tratta di te, lo sai benissimo. Si tratta di lui! Non lo conosco, ma so che quando tu ti ammazzavi di fatica per curare Bobby e questo Buchanan aveva già lasciato i Marine, non ha telefonato nemmeno una volta per...» «Ma ha salvato la vita a Bobby!» esclamò lei. «Ha rischiato la sua vita per lui. Che altro c’è bisogno di sapere? Voglio ringraziarlo per questo, non capisci?» «Per dirgli grazie non occorrono più di cinque minuti» ribatté Erin. «Non voglio più discuterne. Ti chiamo fra qualche giorno – e tu nel frattempo vedi di calmarti. E non rovinarmi tutto!» Marcie interruppe la comunicazione e sbatté il ricevitore sulla forcella. Alzando gli occhi si trovò a fissare quelli scuri di Preacher. Sotto la fronte aggrottata, però, c’era l’accenno di un sorriso. «Bene, questa è una svolta nella storia. Sicché ha salvato la vita di tuo marito? Urrà.» «Credevo che lo sapessi.» «Sapevo soltanto che sei vedova. Allora, questo tizio? È uno a posto?» «Gli animali della foresta gli mangiano in mano.» «Ma davvero? Be’, mi fido degli animali molto più che di certi esseri umani. Perché non restate a cena?» «Infatti ci stavo pensando, ma perché me lo dici?» domandò lei, ripensando intanto al suo commento di prima. «Stasera c’è il polpettone. Ed è il migliore che tu abbia mai assaggiato.» «Ah.» «Ed è una serata speciale. Mel, la moglie di Jack, ha trovato il puntale perfetto per l’albero di Natale, così possiamo finalmente restituire la gru. Speravamo di farlo da un po’, ma quella donna ha guardato tutti gli angeli e le palle colorate e le stelle luminose di tutta la contea, e non le andavano mai bene... Adesso finalmente ha trovato quel che voleva, così stasera il paese si raduna per l’accensione delle luci. L’anno prossimo cominceremo prima.» «Che bello» sorrise Marcie. «A che ora?» Preacher guardò l’orologio. «Tra circa un’ora. Ti consiglio di non mancare.» 9 Tornata in sala, Marcie andò a sedersi accanto a Ian e Jack fu subito da lei. «Che cosa ti servo?» domandò passando lo straccio sul bancone già pulitissimo. «Vorrei un bicchiere di vino, magari un buon merlot» disse lei. «E poi ordiniamo due polpettoni. Ricorda, qualsiasi cosa dica questo signore non permettergli di pagare il conto... l’ho invitato io, perciò tocca a me. Lui mi nutre da quando sono arrivata qui!» «Affare fatto» replicò Jack. Ian si voltò verso di lei. «Non so se mi va di fermarmi a lungo...» «Se ti viene un attacco di panico possiamo andarcene, ma se hai ancora un po’ di pazienza vedrai che la cena ti conquisterà. Questo Preacher è incredibile. La prima volta che sono arrivata in paese ho mangiato il suo spezzatino di cervo e a momenti perdevo i sensi, tanto era buono.» Ian sorrise ironico. «Allora mangi la cacciagione?» «Non avevo nessuna relazione di amicizia con quel cervo» spiegò lei. «Non ce l’hai nemmeno col mio.» «Sì, ma ce l’ho con te – anche perché mi hai vista con la sola biancheria indosso. E tu hai una relazione con il cervo. Se me lo servissi a tavola mi sentirei una cannibale. Insomma, una cosa del genere.» Ian finì la birra e accennò un sorriso. «Non ucciderei mai quel cervo in particolare» ammise. «Ma se avessi un freezer sparerei senza problemi a suo fratello.» «C’è qualcosa che non va in tutta la faccenda» rispose lei mentre Jack le metteva davanti un calice di vino. «Sarebbe più logico se i cacciatori non conoscessero affatto le loro prede – o le loro famiglie, no? Oh, lasciamo perdere... non posso pensarci adesso, prima di mangiare il polpettone. Chi sa chi c’è dentro?» Ian ridacchiò. «Su una cosa avevi ragione, questo è un locale piacevole. Non c’ero mai venuto.» «Te l’avevo detto» replicò lei sorseggiando il vino. «Di che cosa vuoi che parliamo?» «Ma abbiamo parlato tutto il giorno! Non ho mai parlato così tanto in quattro anni, mi sa che sto per perdere la voce!» «Io non ho mai parlato così poco.» «Lo immaginavo...» In quel momento, Jack arrivò dalla cucina reggendo due piatti fumanti. Li depose sul banco, prese da un cassetto due set di posate avvolte nei tovaglioli e domandò: «Un’altra birra?». «Perché no» disse Ian in tono amichevole. «Visto che offre la signora!» Poi prese il tovagliolo e se lo posò sulle ginocchia. Marcie fissò quelle ginocchia per un po’. Ecco un’altra delle cose che la confondevano, pensò. Ian sembrava un po’ pazzo, finché non ci si abituava a lui. Si comportava come se non avesse esigenze al di sopra di quelle puramente basilari, quasi animali. Dava un nuovo significato alla parola spartano. Quando indossava gli abiti da lavoro sembrava che avesse appena di che vivere, e oltretutto ringhiava e ruggiva come un selvaggio. Ma sapeva parlare con un’ottima dizione, sapeva stare a tavola, e anche se era riservato e non troppo socievole sapeva trattare con le persone ed essere addirittura cordiale... Quando lo stava cercando, lei si aspettava un uomo totalmente sconvolto dal passato e dalle esperienze vissute in guerra, un uomo chiuso, impossibile da capire e da cambiare. Insomma, credeva di dover affrontare una situazione difficile, anche se comprensibile. Invece aveva trovato una persona quasi normale – il che le poneva altre domande anziché darle le risposte che cercava. «Avevi ragione anche riguardo al cibo» continuò Ian portando il tovagliolo alle labbra. «Magnifico.» «Mmh» confermò lei, assaporando un purè di patate così cremoso e vellutato che sembrava un nettare degli dei. Ian ripulì rapidamente il suo piatto, poi si appoggiò all’indietro con un sospiro soddisfatto. Poco dopo Marcie rinunciò e spinse il piatto verso di lui. «Io non ce la faccio più» disse. «Serviti pure.» «Sicura?» domandò lui inarcando un sopracciglio. «Sì... ma aspetta.» Prese una forchettata di purè e gliela porse. «Prova questo» disse. Lui esitò per un momento, ma poi si lasciò imboccare e assaporò la deliziosa pietanza. «Mi sa che il tuo era più buono» disse con un sorriso. «Finiscilo tu, Ian. Se mangio ancora una sola briciola esplodo» rise lei. «Forse un boccone o due.» Ma dopo un po’ dovette arrendersi anche lui. Rimasero seduti, soddisfatti, a bere in un amichevole silenzio. Felici, pensò lei. Erano felici. Il momento magico passò quando Mel entrò nel bar con un bambino appoggiato al fianco. Marcie sapeva che era incinta, ma non immaginava che avesse già un bambino di nemmeno un anno. Il piccolo era avvolto dalla testa ai piedi in una tutina imbottita blu. Mel sorrise raggiante. «Jack! Ehi, tutti quanti, è ora! Dite a Preacher di spegnere i fornelli, di prendere Christopher e di uscire fuori... su, non fateci aspettare!» Ian guardò Marcie con espressione interrogativa. «Stanno per accendere le luci dell’albero» spiegò lei. «Andiamo a vederlo!» «Se ti fa piacere vai pure.» «Tu non vieni?» «No, sto benissimo qui.» Marcie lo guardò fisso, poi disse: «Come vuoi» e scese dallo sgabello per seguire la gente che stava uscendo dal locale. Fuori c’era già una folla: macchine e pick-up parcheggiati lungo la strada, gente che chiacchierava e rideva e si salutava a gran voce, bambini che correvano qua e là eccitatissimi. Marcie si tenne indietro, non per timidezza ma perché voleva vedere l’albero per intero e godersi l’effetto. Avrebbe voluto avere Ian al fianco, ma capiva la sua riluttanza: niente come le feste natalizie può risvegliare i ricordi spiacevoli dei propri cari scomparsi, delle famiglie disastrate, della solitudine. Poi accanto a lei comparve invece Mel, con il piccolo in braccio. «Pensavo che aspettassi il tuo primo figlio» disse Marcie con un po’ di malinconia. C’era stato un periodo in cui aveva sperato di metter su famiglia, ma dopo l’incidente di Bobby ogni speranza si era spenta, ogni sogno e ogni fantasia era stata accantonata. «Lui è David, mio figlio» sorrise Mel. «Non credevo di rimanere incinta così presto dopo la sua nascita, ma è andata così. Ci sono cascata di nuovo.» Rise e aggiunse: «E pensare che un’ostetrica dovrebbe sapere come funzionano le cose, no?». «Ma sei contenta di questo secondo bambino?» domandò Marcie con franchezza. «Be’, ci ho messo un po’ ad accettarlo, ma adesso ha cominciato a muoversi... cosa che fa cambiare idea alla più riluttante delle madri. Allora, come va? Vedo che sei riuscita a trascinare Ian in paese... E hai parlato con tua sorella?» «Va benissimo, grazie, e ho parlato con Erin. È iperprotettiva, ma non può proprio farne a meno... ha sette anni più di me e nove più di mio fratello, e quando abbiamo perso i genitori lei ci ha fatto da madre. Mi ha guidata, protetta, mi è stata accanto nei momenti peggiori della mia vita. Adesso che Bobby non c’è più vorrebbe che mi risollevassi, che mi godessi la libertà, che facessi tutto quello che la vita mi ha negato finora: tornare a studiare, costruirmi una carriera, sposare uno dei suoi amici ricchi o che so io. È di idee così antiquate, certe volte! Sfidarla in questo modo mi fa star male – ma non mi dispiace di averlo fatto. Anche se lei crede che io sia completamente pazza.» « M a tu ti consideri pazza?» chiese Mel. «A volte sì» ammise lei, «ma ogni giorno che passa scopro qualcosa di più su me stessa. Non voglio essere melensa, ma il mio sta diventando un viaggio spirituale. Sono partita per ritrovare Ian, in un certo senso per salvarlo... ma forse invece lui è dov’è giusto che sia, e sono io che devo rivedere alcuni aspetti della mia vita.» «Oh, tesoro, non sei affatto melensa» sorrise Mel. «Se avessimo tempo ti racconterei alcune delle cose assurde che ho fatto nel tentativo di dare un senso alla mia vita!» «Mi piacerebbe» rispose Marcie. Poi sfiorò con le nocche la guancia rosea di David. «Guarda... ci siamo» sussurrò Mel. Volse la faccina di suo figlio in quella direzione e disse: «David, guarda... guarda l’albero!». Marcie notò che Jack era accucciato dietro l’abete e teneva in mano due prolunghe elettriche. Le collegò e l’albero prese vita. Era stupefacente: nastri luccicanti, bianchi, rossi e blu, pendevano dalla cima fino alla base. Sfere di cristallo bianche, rosse e blu scintillavano in mezzo ad un milione di luci bianche. Disseminate fra loro c’erano le mostrine dorate di centinaia di battaglioni e unità militari. Ma la cosa che ipnotizzò Marcie fu la stella sulla cima. Non era la solita stella che si vede su molti alberi di Natale. Era come un faro, bianca e luminosa. E gettava un fascio di luce tutt’intorno, come ad illuminare il cammino di chi arrivava da lontano. Marcie si portò la mano alla gola, soffocata dall’emozione. «Quella stella...» sussurrò incantata. «Lo so... è bella, vero? Ho costretto tutti a cercare esattamente quella. Spero che illumini il cammino del ritorno a casa.» «A tutti loro» sussurrò Marcie. «Tutti.» E pensò a Bobby, che era finalmente arrivato alla meta dopo tante sofferenze. Avrebbe potuto la stella guidare anche Ian fino a casa? «Come avete fatto a raccogliere tutte quelle mostrine?» domandò. «Jack e i ragazzi si sono messi in contatto con tutti i vecchi amici. Abbiamo fatto telefonate e scritto lettere, mandato e-mail e fax. L’idea ci è venuta un giorno per caso, perché molti ragazzi del posto si erano arruolati – non molto tempo fa anche uno a cui Jack e io siamo particolarmente affezionati. E poi c’era il marito di Vanni che è caduto in Iraq, e che era nello squadrone di Jack anni fa. L’albero è anche per lui e per Vanessa. Abbiamo dovuto affrettarci per finirlo in tempo, e tutto il paese si è dato da fare. L’ambulatorio di Doc è stato scelto come quartier generale, ed era un disastro.» Rise. «Lui non smetteva di brontolare, ovviamente, ma io credo che in realtà fosse felicissimo.» «È stupendo» disse Marcie fissando l’albero. Poi le esclamazioni di meraviglia si spensero, e la gente cominciò a cantare. La prima carola fu Silent Night, poi venne Away in a Manger. Marcie guardò verso il bar, perché sentiva la mancanza di Ian e sperava che lui uscisse a vedere la stella in cima all’albero... e lo vide in piedi sulla veranda, con le mani in tasca e gli occhi alzati verso la stella. Sorrise tra sé e pensò: Sarà quel che sarà. Non cercherò più di forzare il destino. Circa mezz’ora più tardi, dopo aver cantato una decina dei canti più conosciuti, la gente cominciò ad allontanarsi. Mel tornò nel bar con il suo bambino, e Marcie si ritrovò con le ultime persone rimaste ad ammirare l’albero, mentre Ian continuava a rimanere sulla veranda. Infine scese i pochi gradini e si avvicinò anche lui, per esaminare da vicino le decorazioni e le mostrine. Marcie sapeva quel che avrebbe visto: un ricordo per quelli che non c’erano più, e un tributo a tutti gli eroi dimenticati. Ian non si fermò a lungo, ma poté vedere che le mostrine venivano da tutte le unità militari d’America, e che decoravano l’enorme albero fino in cima, a centinaia e centinaia. E per la prima volta provò una sensazione che non si concedeva da anni. Un grande, quieto orgoglio. Le sue riflessioni furono interrotte dal violento accesso di tosse che aveva colto Marcie. Ian le si avvicinò, la prese per mano e la condusse verso il pickup. «Ti sei portata lo sciroppo?» domandò. «No» ammise lei tossendo di nuovo. «Sono stata una sciocca... ma avevo fretta, non volevo ti rendessi conto che ti avevo quasi costretto a portarmi con te...» Salì rapidamente sul veicolo, e quando Ian si sedette dietro il volante lei fu scossa da un altro accesso. «Scusa» disse quando fu finito. «Per che cosa? Perché pensi di tossire fino a casa, o perché mi hai imposto la tua presenza tutto il giorno?» Lei gli gettò un’occhiata. Nella cabina era buio, non vedeva la sua espressione e non capiva se fosse arrabbiato o divertito. «Per tutt’e due le cose.» «Be’, non credo che tu tossisca di proposito. E non sono arrabbiato, è stata una bella giornata.» «Davvero?» esclamò lei. «Ma allora ti sei divertito?» «Quasi» replicò lui. «Il momento migliore è stato quando hai detto alla bibliotecaria che sono un idiot savant. Certo che ne hai di immaginazione.» Marcie sorrise tra sé. «Ma credo che la giornata sia stata troppo intensa per te» continuò lui. «Visto che sei migliorata così in fretta, abbiamo dimenticato entrambi che sei stata seriamente ammalata per qualche giorno. E che avresti dovuto evitare di stancarti.» «Mel non mi ha ordinato riposo assoluto o altro, ma ha detto che devo prendere lo sciroppo due o tre volte al giorno, e oggi me ne sono dimenticata. Ma passerà...» Tossì di nuovo e poi disse: «Prenderò lo sciroppo appena arriviamo a casa. Ian... ti senti mai solo, lassù sulla montagna?». Il primo pensiero di lui fu: Finora non mi era mai accaduto. Ma invece disse: «Sai, è incredibile come ci si abitui in fretta al silenzio o alla solitudine. Solo, non pensavo che sarebbe durato così a lungo». «Vuoi dire che avevi in mente di tornare a Chico? O almeno di uscire dal tuo nascondiglio?» Ian si voltò a guardarla, stupito. «Non mi stavo nascondendo!» replicò. Poi spostò nuovamente lo sguardo sulla strada. «Arrivai fin quassù la prima volta senza dire a nessuno dove andavo, perché non lo sapevo. E non dissi a nessuno dov’ero finito. Ma non mi sono mai nascosto. Ho la patente, ho un veicolo registrato, pago le tasse sulla proprietà, ho un lavoro – anche se non è proprio ufficiale. E non è difficile trovarmi. Forse devi abituarti all’idea che nessuno voleva trovarmi, nessuno mi aveva mai cercato – tranne te.» «Ma io ho cercato dappertutto! Sono andata alla polizia e in altri uffici, e qualcuno ha controllato se possedevi un veicolo. Vero è che mi hanno detto di non potermi dare altre informazioni su di te, ma...» «Hai controllato nella contea di Humboldt? Perché la capanna si trova al di là del confine di contea. Non è in quella di Trinity.» «Ah» disse lei. Tossì di nuovo, pensando che non c’era da stupirsi visto che aveva ancora qualche strascico di influenza e che quel giorno si era stancata. «Posso domandarti come mai sei venuto fin quassù?» domandò dopo una pausa. «Ricordavo il posto, perché ci ero venuto a pesca con mio padre quand’ero un ragazzino. Questo accadeva prima che mia madre morisse e che lui perdesse ogni interesse nei miei confronti. Eravamo venuti due o tre volte, prima quand’ero bambino e poi qualche anno dopo, e ricordavo che era un luogo in cui c’era un gran silenzio, in cui si potevano quasi sentire i propri pensieri. Mi occorreva un posto così. E lo hai detto tu stessa, è bellissimo.» «E hai finito per restare quattro anni?» «Già. È successo così. Nei Marine ho imparato che lo sforzo fisico mi dà un’identità, uno scopo. Amo la sfida con me stesso, amo spingermi al limite, e nei primi mesi vissi nel modo più spartano possibile. Dopo qualche settimana cominciai ad avere le idee più chiare. Ero partito verso la fine dell’estate, con un sacco a pelo e uno zaino, e cercavo di star lontano dalla gente il più possibile. E riflettevo sul modo in cui la mia vita era cambiata, su quello che avrei fatto dopo aver lasciato il Corpo dei Marine. Poi all’improvviso arrivò l’inverno, cominciò a nevicare e a fare freddo, ma io non ero ancora pronto a fare i passi successivi. Le possibilità erano molte: potevo tornare a studiare, potevo cercarmi un lavoro, chissà. Ma non ero pronto. E il vecchio Raleigh, con i suoi calci, mi riportò in vita. Quasi senza rendermene conto mi ritrovai a vivere con lui, come due vecchi scapoli che non si davano fastidio l’un l’altro, ognuno per i fatti suoi. Poi dovetti curarlo, e poi lui morì. Ma a quel tempo avevo già una routine, una vita organizzata... e mi piaceva.» «Ma non avevi amici...» «Già, però non ne avevo bisogno. Avevo giurato a me stesso che non sarei mai diventato un eremita, ma immagino che certi atteggiamenti siano ereditari...» «Che vuoi dire?» Ian tacque a lungo. «Parlo di mio padre» disse finalmente. «Quando mia madre morì avevo vent’anni, ed ero nei Marine da due. Lei aveva solo cinquantacinque anni, ma aveva lottato contro il cancro per tre ed era pronta ad andarsene... Lui no. La morte di mia madre lo invecchiò di anni, e lo rese irascibile e meschino molto più di quanto non fosse già. Non era mai stato quello che si definisce un tipo allegro. Si isolò, perse interesse per tutto quel che prima gli piaceva, lasciò i pochi amici che aveva. Ogni volta che tornavo a casa in licenza lo trovavo peggiorato. Continuavo a pensare che si sarebbe ripreso, ma non accadde mai. E io giurai che questo a me non sarebbe mai accaduto, quali che fossero le circostanze.» «E invece...?» «No, non è successo – almeno non come credi tu. Non sono arrabbiato, non ce l’ho con il mondo. Mi sono trasformato in un uomo solitario perché avevo passato gran parte della mia vita da solo.» «Ma non ti capita mai di volere di più? Non so, degli amici, una doccia, un gabinetto in casa, un servizio completo di piatti?» Lui si voltò a sorriderle. «Ho pensato a una doccia, in effetti. Riempire la vasca a secchiate è una bella seccatura. Ma noi montanari non abbiamo bisogno di lavarci molto.» «E non vuoi una televisione, un lettore di CD, un computer?» «Vediamo se riesco a spiegarmi. Voglio gli alberi alti dieci metri, gli orsi che vengono ad annusare attorno alla capanna, i cervi che mi mangiano in mano, e una vista che ogni mattino mi toglie il respiro. E voglio lavorare quanto basta per vivere. Mi dispiace di non avere un gabinetto in casa, specialmente per te che sei stata male, ma in realtà non mi serve.» Marcie gli mise un mano sul braccio. «Ma non temi di finire come il vecchio di cui ti sei preso cura? Tutto solo quassù, per cinquant’anni?» «Ci ho pensato» ammise lui. «Ho intenzione di andare regolarmente dal dentista una volta l’anno, perché mi piacerebbe morire con tutti i miei denti. Raleigh non poteva mangiare le cose solide. Ma a parte questo non ha avuto una brutta vita.» «D’accordo, ma per guadagnarti da vivere non preferiresti un modo diverso che non vendere legname?» Lui le gettò un’occhiata stupita. «Non vendo legname perché sono povero e ignorante, lo faccio perché si guadagna bene. Gli alberi sono lì, e a me piace abbatterli e tagliarli in ciocchi. Ci lavoro tutto l’anno e quando vendo la legna stagionata guadagno un bel po’ di denaro. Lavoro per la ditta di traslochi in primavera e in estate, quando loro ne hanno più bisogno. Questo mi lascia il tempo di accudire l’orto e di andare a pesca, e anche di portarmi avanti con la cura della legna, perché dev’essere stagionata almeno per sei mesi. Il fiume è limpido e profondo, i pesci sono deliziosi. A me va bene così. Se avessi bisogno di altro lavorerei di più.» «Quindi non hai rimpianti?» «Marcie, ho un mucchio di rimpianti. Ma non per il modo in cui vivo o per quello che faccio.» Lei si morse le labbra, riflettendo. Poi un altro accesso di tosse la piegò quasi in due. «Qui dentro fa troppo freddo per te» disse Ian. «Non avremmo dovuto fermarci a Virgin River, saremmo dovuti tornare subito a casa. Appena arriviamo vai subito a letto. Sciroppo per la tosse e a letto.» Marcie trasse un gran respiro. «Non rimpiangi di aver lasciato Shelly?» domandò. Di nuovo, lui si voltò a fissarla, come per ricordarle che si stava avvicinando al territorio proibito. Ma con sorpresa di lei, alla fine rispose. «Non andò esattamente così... non so dire chi dei due lasciò l’altro.» Poi tornò a fissare la strada mentre il pick-up si arrampicava su per la montagna. «Ma lei ha detto che...» Lui si voltò di nuovo a fissarla. «Le hai parlato?» «Be’, stavo cercando di scoprire dov’eri...» sussurrò lei, sentendosi un vero verme. «Basta» dichiarò lui secco. «Questa conversazione dovrà aspettare.» E il silenzio regnò tra loro per il resto del tragitto. Marcie temeva di averlo fatto infuriare, e pensò che probabilmente la mattina dopo l’avrebbe caricata sul pick-up, bagagli e tutto, e l’avrebbe portata a Virgin River scaricandola in ambulatorio da Mel. Probabilmente ne aveva più che abbastanza di lei e di tutte le sue domande su quello che era avvenuto quattro anni prima. Quando arrivarono, occuparono a turno la latrina prima di entrare in casa. Marcie prese lo sciroppo, continuando però a tossire, e lui le voltò la schiena mentre lei si spogliava per andare a letto. Mise la legna nella stufa, preparò la caffettiera per l’indomani, poi srotolò la sua branda e vi depose sopra la coperta pesante con cui si copriva per dormire. Poi si avvicinò al divano, la fece spostare con un tocco della mano e si sedette sul bordo. «Mentre ero in Iraq, Shelly preparava il nostro matrimonio. La data era già fissata, poche settimane dopo il mio ritorno a casa, e la cerimonia si stava trasformando in una maledetta incoronazione. Colpa mia, probabilmente... le avevo detto Fai pure tutto quello che ti rende felice. Ma quando tornai le dissi che avevo bisogno di tempo per riflettere, che non me la sentivo ancora di fare il marito – diavolo, non me la sentivo nemmeno di fare il Marine, eppure doveva essere il lavoro della mia vita! Le chiesi di rimandare le nozze, ma lei era immersa nell’atmosfera matrimoniale e non mi ascoltava. Ricordo a malapena alcune delle cose che mi disse, che il vestito era già pronto, gli inviti già spediti, l’anticipo per il ricevimento già pagato. Io cercai di convincermi che potevo chiudere gli occhi, annullare i pensieri per qualche settimana e togliermi il dente. Ma sapevo che avrei deluso lei e tante altre persone, e capivo di dovermi riprendere perché ero sull’orlo di una crisi. Lei non aveva idea di quello che mi stava succedendo, e come avrebbe potuto? Non lo sapevo nemmeno io... Mi disse parecchie frasi, alcune terribili. Ma ne ricordo una in particolare: se volevo rovinarle questo matrimonio per cui si era data tanto da fare, potevo andare al diavolo.» Marcie lo guardò con gli occhi spalancati, verdissimi. «Ian, io... ecco, io...» «Non voglio conoscere la sua versione dei fatti» disse lui alzando una mano per zittirla. «Spero che adesso sia felice. Spero di non averle rovinato del tutto la vita. Ma credimi, se allora l’avessi sposata sarebbe stata una tragedia – per lei. Adesso cerca di dormire. Domani rientrerò presto, ma tu non stancarti. Leggi uno dei tuoi libri, e prendi lo sciroppo.» «È sposata» disse lei sottovoce. «E aspetta un bambino.» «Sono felice per lei» replicò Ian tranquillamente, «Dunque è andata a finire bene. Mi raccomando, domani cerca di curarti quella brutta tosse.» «Sì» rispose Marcie. «Sì, lo farò.» 10 Nonostante la conversazione con Ian, Marcie dormì incredibilmente bene. Ma lo immaginava ancora, un Marine di trent’anni appena tornato a casa dopo la traumatizzante esperienza della guerra, ferito nel fisico e nell’animo da tutto quello che aveva passato... E all’amore della sua vita non importava un fico secco di tutto questo, pensava solo a indossare il suo abito bianco nel suo giorno speciale! Questo le riportò alla memoria alcuni fatti che non aveva tenuto in considerazione quand’era andata a trovare Shelly, per sapere se avesse notizie di Ian. Shelly era ancora furiosa con lui, e non le interessava minimamente sapere se stava bene o no. Ma adesso, dopo aver sentito da Ian la sua versione dei fatti, Marcie ricordava una conversazione telefonica avuta con Shelly anni prima, quando i loro uomini erano insieme in Iraq. Le aveva telefonato per proporle di incontrarsi visto che Bobby e Ian erano così amici, ma Shelly era occupatissima. «Organizzare un matrimonio importante è un vero lavoro» aveva detto a mo’ di scusa. «Sarei felice di darti un mano» si era offerta lei. «Grazie, ma tra mia madre, le mie zie e le damigelle d’onore, di aiuto ne ho fin troppo. E nonostante tutto non ho un minuto libero...» «Se riesci a ritagliarti una pausa, potremmo prendere un caffè insieme» aveva detto Marcie. «Viviamo a dieci minuti di strada una dall’altra... che ne dici?» «Dammi il tuo numero» aveva risposto Shelly. «Se trovo il tempo ti chiamo.» Ma non lo aveva mai fatto – chiaramente non ne aveva mai avuto l’intenzione. Per la prima volta Marcie si domandò: Ci avrebbe invitati al matrimonio?. Ian aveva lasciato il bricco di caffè sulla stufa, ma mentre Marcie dormiva il fuoco si era spento e il caffè era freddo. Lei ripensò al magnifico, aromatico caffè bevuto da Jack, e le venne l’acquolina in bocca. Il caffè di Ian non era così male, ma se per giunta era freddo... Marcie si alzò e mise della legna nella stufa, ma non aveva la pazienza di aspettare che il fuoco attecchisse quanto bastava per scaldare il caffè. Poi guardò il fornello a gas e si di s s e: Così farei più in fretta!. Prese il bricco, lo posò sul bruciatore più vicino e studiò le chiavette. Quella principale era su Accensione: sembrava abbastanza semplice. Girò la chiavetta, ma non accadde nulla. Marcie ci soffiò su, come faceva un tempo sul vecchio fornello del padre. Niente, nessuna scintilla. Eppure si sentiva odore di gas. Aspettò un minuto e recitò una specie di incantesimo: Accenditi! Scaldami il caffè! Poi girò di nuovo la chiavetta, ma ancora una volta la scintilla non comparve e l’odore di gas si fece più evidente. Poi notò i fiammiferi sulla credenza e pensò: Ah, ecco il trucco. Si accende il fiammifero, si gira la chiavetta ed ecco fatto. Girò di nuovo la chiavetta, accostò il fiammifero acceso, e dal fornello si levò una fiammata altissima che la colpì in piena faccia. Marcie cacciò un grido e balzò all’indietro, picchiettandosi la faccia e i capelli per spegnere le eventuali fiamme. La faccia le bruciava come se si fosse scottata al sole. Quando guardò di nuovo il fornello, la fiamma era normale e bruciava tranquilla sotto il bricco di metallo. Lei cominciò a singhiozzare per lo shock, pensando a quello che aveva rischiato. In tutta la casa non c’era uno specchio, perciò non aveva modo di controllare i danni... Corse a infilarsi gli stivali, e tralasciando il giubbotto uscì fuori e andò verso la macchina – senza pensare ai possibili animali selvaggi in agguato nei dintorni. Poi ripulì con la manica lo specchietto laterale della Volkswagen e si guardò in faccia. E cacciò un altro grido. La sua faccia era paonazza, e l’attaccatura dei capelli era tutta bruciacchiata. Dalla fronte spuntavano dei vermiciattoli nerastri. Le sopracciglia, che già non erano molto visibili perché erano quasi bionde, sembravano ancora più rade. E le ciglia erano più corte. Ghiaccio, pensò. Qualcosa di freddo per calmare il bruciore ed evitare bolle e gonfiore. Corse di nuovo in casa, spense il fornello maledicendolo tra sé, poi cominciò a cercare un asciugamano. Quando preparava il bagno, Ian glieli faceva trovare sul bordo della vasca, ma in quel momento in giro non ce n’era nemmeno uno e lei fu costretta a frugare nei bauli. Il primo conteneva solo vestiti, ma nel secondo c’erano asciugamani e panni di spugna. Ne prese uno, lo bagnò sotto l’acqua gelida che veniva dalla pompa e se lo premette sulla faccia. «Dio» sospirò. «Che sollievo.» Nel pomeriggio, quando Ian entrò in casa, la trovò sdraiata sul divano in camicia e stivali, a gambe nude, con il panno premuto sulla faccia. Allarmatissimo, si inginocchiò accanto a lei e scostò il panno. «Marcie?» domandò. E quando lei abbassò le mani, Ian emise un’esclamazione. «Hai una ricaduta? Hai la febbre? Adesso ti porto da...» «Non ho la febbre!» gridò lei. «Ma la tua faccia...» «È paonazza, lo so. E i capelli sono tutti strinati, e se guardi bene non ho quasi più le sopracciglia – non che ne avessi molte nemmeno prima!» «Gesù» alitò lui sedendosi a terra. «Stavo cercando di scaldarmi il caffè sul fornello a gas – ma a quanto pare non so usarlo.» «E che è successo? Ti sei fatta male?» «Male no. Sono un disastro, ma spero che non sia permanente.» Marcie raccontò com’era andata, spiegando che aveva avvicinato il fiammifero troppo tardi – o aveva girato la chiavetta troppo presto – e che la fiammata le era esplosa in faccia scottandola. Ian le passò le dita callose lungo l’attaccatura dei capelli, poi disse: «Ho del linimento. E i capelli ti ricresceranno presto...». Marcie lo guardò e notò che tra i peli incolti della barba le labbra di lui tremavano di ilarità. «Stai ridendo» lo accusò. «Tu stai ridendo!» Ian scosse la testa con forza, cercando di trattenersi. «No... no, è che...» «È che... cosa?» «Scusa, Marcie. Probabilmente è colpa mia. Avrei dovuto mostrarti come funziona...» «Poco ma sicuro che è colpa tua! Prima mi ruggisci contro come un maledetto leone, mi spaventi e mi costringi a essere ancora più testarda, e poi non mi fai vedere come funziona il tuo schifoso fornello, e adesso...» Lui non resse più e scoppiò a ridere. «Ti ho costretta a essere ancora più testarda?» esclamò. «Be’, sono molto più malleabile se la gente fa quello che dico. E si può sapere cos’hai da ridere?» Per tutta risposta Ian si lasciò cadere a terra, letteralmente rotolandosi dalle risate e tenendosi i fianchi con le braccia. Tra una risata e l’altra esclamò: «Rido perché sei rossa come un peperone... e perché dici che è colpa mia se sei... se sei testarda! Dio, sei impagabile!». Mentre lui rideva come un pazzo, Marcie rimase seduta sul divano, con i piedi a terra, e lo fissò truce finché non smise. Dopo gli ultimi sussulti di risa, Ian riprese il controllo, si asciugò gli occhi e finalmente la guardò. «Mi sorprende che tu non sia esploso per le risate» sibilò lei senza l’ombra di un sorriso. Lui sbuffò ancora un paio di volte. «Sì, ho dovuto mettercela tutta.» Poi si alzò da terra, si sedette e domandò serio: «Ti fa male?». «Un po’» fece lei sollevando il mento. «Fammi cercare il linimento» disse Ian balzando in piedi. Aprì uno degli armadietti e prese un barattolo di pomata che poi spalmò delicatamente sulla faccia di lei – trattenendo le risate a labbra strette. «È proprio tanto buffo?» domandò lei dopo un po’. «Eh, sì. Il fornello aveva un’accensione automatica, ma qualche mese fa si è rotta e per me è stato più facile accenderlo con i fiammiferi che portarlo a riparare. Vedi, è questo che succede quando si vive da soli. Non badi ai dettagli della casa, ti arrangi e basta. Lo so, è indice di pigrizia, ma...» «Tu non sei pigro. Lavori come un mulo!» «Bene, allora vuol dire che non dovrò preoccuparmi di ripararlo. La tua faccia non è ridotta tanto male, davvero» osservò poi con una risatina. «Ma sulla fronte ho degli scarabocchi neri al posto del ciuffo!» «Lo so, tesoro, ma ti ricresceranno.» Tesoro? Mi ha chiamata tesoro? Mi compatisce, fa tutto il gentile perché mi sono bruciata? «Il linimento funziona, il bruciore è passato» disse. «Che cos’è?» «Una pomata che i veterinari usano per curare i cavalli.» «Ah, magnifico!» fece lei disgustata. «Ma no, è ottima, meglio delle pomate che compri al supermercato o ti fai prescrivere da un medico. Giuro.» E poi gli sfuggì una risatina. «Continui a ridere perché sono ridicola» sbottò lei, «o perché mi hai appena fatto il tiro di darmi un linimento da cavalli?» «No, rido perché... lascia perdere. Che ne dici se ti spalmo ancora un po’ di pomata e poi preparo qualcosa da mangiare? E poi, mentre aspetti che la pomata faccia effetto, se ti va potrei leggerti uno dei tuoi romanzetti sentimentali.» «Vuoi dire, leggermelo ad alta voce?» «Be’, a volte lo facevo per Raleigh quando stava molto male.» «No, non è necessario. Voglio dire, sarebbe carino, ma se cantassi sarebbe meglio. Voglio che mi canti qualcosa.» «Oh, Marcie...» «Sono vittima di ustioni. Dovresti accontentarmi!» Con un gran sospiro, Ian si avvicinò a un pensile e lo aprì. Sul ripiano c’erano una ventina di barattoli di stufato di manzo, e quando Marcie li vide esclamò: «Buon Dio, ti prepari per una guerra nucleare?». «No» rise lui, «mi preparo per la neve. Può capitare di rimanere bloccati senza possibilità di arrivare in città, e se non ti sei premunito fai la fame.» «E in questi casi vai avanti a stufato in lattina?» «È buono, sai» replicò lui svuotando un paio di lattine in una pentola. «Se trovassi qualcosa di meglio lo comprerei, ma questo va benissimo.» Marcie lo osservò attentamente mentre metteva il tegame sul fuoco: prima il fiammifero, poi la chiavetta del gas. Certo. Così si faceva. Quando lo stufato fu pronto, Ian lo mise in due ciotole, e dopo che ebbero mangiato la mise a letto, le rimboccò le coperte, le diede lo sciroppo e le disse di chiudere gli occhi. E poi cominciò a cantare. New York New York , When I fall in love, You don’t know me – e in questa lei cercò di non leggere un messaggio nascosto. Seguirono una serie di vecchi brani di Sinatra e Presley, abbelliti dalla splendida voce profonda di lui. Marcie aveva paura di aprire gli occhi, paura che lui smettesse di cantare. E si sorprese a pensare ad Abigail Adams, che allevava cinque figli e mandava avanti una fattoria da sola, mentre il marito era impegnato a fondare l’America. Marcie aveva sempre ammirato Abigail, e adesso pensava: era tanto terribile traversare il cortile per andare alla latrina? Anche se bisognava portarsi dietro una padella per difendersi da eventuali attacchi degli animali? O scaldarsi l’acqua per il bagno? Di che cosa aveva davvero bisogno, in fondo? Una cosa era certa. Per un po’ non avrebbe avuto bisogno di depilarsi le sopracciglia. Infine scivolò nel sonno, cullata dalla voce di Ian. Quando si svegliò la mattina dopo, il bricco del caffè era sulla stufa, che però si era spenta come al solito. Sul tavolo c’era un biglietto: Non accendere il fornello a gas se non sei più che sicura di saperlo fare! Marcie scoppiò a ridere. Era quasi arrivata a metà di un romanzo, alla scena in cui l’eroe stava per afferrare l’eroina per la vita, attirarla a sé e baciarla fino a farle uscire gli occhi dalle orbite, quando le vennero in mente le lettere. Oltre a quelle che aveva scritto a Ian subito dopo l’incidente, parlandogli di Bobby e delle sue condizioni, quando Ian era ancora in Iraq, c’erano le lettere che gli aveva scritto per almeno due anni, indirizzandole al fermo posta. A quelle Ian non aveva risposto, ma non erano nemmeno state respinte. Chissà se erano nella capanna? Marcie si alzò in fretta dal divano e andò per prima cosa a guardare nella scatola di metallo in cui Ian riponeva ogni sera il denaro guadagnato. Notò che lui aveva smesso di chiuderla con il lucchetto, e notò inoltre che non conteneva molto: i documenti della proprietà, che lei mise da parte, e alcune foto. Ce n’era una della sua famiglia, scattata quando Ian aveva quattordici o quindici anni. Una bella foto di Shelly con una cappa nera, forse scattata al college o il giorno del diploma. Ian e Bobby in divisa da fatica, sorridenti. Ian con suo padre, a vent’anni circa. Il padre non sorrideva. Le foto la distrassero momentaneamente dalla ricerca delle lettere. Erano poche, e ritraevano le poche persone che erano state importanti nella vita di Ian. E segnavano il percorso della sua vita, dal ragazzino appartenente a una famiglia media al giovanotto con un padre scontento e cupo, al Marine. Poi la sua donna, il suo amico. E poi, più nulla. Sotto le foto c’erano le medaglie. Quelle che Marcie aveva ricevuto per Bobby erano confezionate in begli astucci di velluto: queste erano sciolte. Ma se non altro Ian non le aveva gettate via in un accesso di collera o di depressione. Marcie rimise tutto a posto con cura, poi richiuse il coperchio della scatola. Era orribile frugare così tra le sue cose, ognuno aveva diritto alla privacy e lei si sentiva in colpa: ma c’erano troppe cose che non sapeva e che voleva capire. Così andò ad aprire il baule in cui lui teneva i suoi vestiti, e insinuò la mano lungo i quattro lati, tastando alla cieca. Dopo un po’ toccò qualcosa di solido, scostò le camice e i pantaloni accuratamente ripiegati, e trovò quel che cercava. Un fascio di lettere, circa una ventina, tenute insieme da un elastico. Tutte indirizzate a Ian, tutte scritte da lei. E tutte chiuse. Non le aveva aperte, ma le aveva conservate. Marcie le fissò, perplessa. Che significava? E in quel momento sentì il rombo di un motore. Ian era tornato presto, pensò. Rimise a posto le lettere, richiuse in fretta il baule e si alzò in piedi. Ma poi capì che non era il pick-up di Ian, era qualcun altro. Incuriosita, andò ad aprire. E vide quello che non avrebbe mai voluto vedere. Al volante di un SUV nuovo fiammante c’era sua sorella, Erin Elizabeth Foley. Erin! Marcie incrociò le braccia sul petto e la guardò truce mentre l’altra scendeva dalla macchina. Erin fece due passi verso di lei, le diede un’occhiata e si immobilizzò, con la bocca semiaperta. «Dio santo! Che fai conciata così?» Dimentica della faccia scottata e dei capelli strinati, Marcie si guardò. Indossava una delle camice di Ian, e nient’altro a parte gli stivali. Le sue gambe nude sbucavano dall’orlo della camicia di flanella. «Il pavimento è freddo» spiegò laconica. «Che ci fai qui?» «Sono venuta a vedere questo posto e quest’uomo. Non avrai creduto che ti lasciassi andare avanti con questa follia senza sapere con chi abbiamo a che fare? E meno male che sono venuta a vedere con i miei occhi... buon Dio, ti picchia anche?» «Picchiarmi? Certo che no!» esclamò lei indignata. «E non abbiamo a che fare con niente e con nessuno, perché questa faccenda non riguarda te. Vattene, prima di rovinare tutto!» Erin si avvicinò ancora, in una nuvola di Allure di Chanel. Indossava una pesante giacca di pelle color tabacco, uguale agli stivali con il tacco, probabilmente marca Cole Haan, e un paio di costosi pantaloni marrone con la piega perfettamente stirata. Aveva guanti da guida di cuoio, i gioielli d’oro che portava sempre, i capelli biondi accuratamente pettinati e naturalmente un foulard di Hermès annodato al collo, nei toni del rosso, arancione e marrone. La guardò più attentamente e domandò: «Allora, che cos’hai fatto alla faccia?». Marcie si portò una mano alla guancia. Non le faceva più male, perciò se n’era dimenticata. «Ho avuto un piccolo incidente con il fornello a gas, ma è stata solo colpa mia. Comunque sto bene.» «Sei stata al pronto soccorso?» «Dove?» Marcie scoppiò a ridere. «Il primo ospedale è a un paio d’ore da qui. Ma non preoccuparti, ci ho messo sopra dell’ottimo linimento che si usa per i cavalli.» «Ma per l’amor del cielo, hai perso completamente il senno?» «Non mi fa neanche più male» disse Marcie sentendosi come una bambina di dieci anni. «Ma i tuoi bei capelli... e... e le sopracciglia!» «L’ho notato anch’io» ribatté lei. «Ma Erin, dico sul serio, perché non puoi lasciarmi in pace? Ho fatto quello che mi hai chiesto, ti ho chiamata ogni due o tre giorni oppure ho pregato qualcuno di farlo, sono stata prudente, ho...» Erin strinse le labbra nella sua tipica espressione da madre in collera. «Certo. Ma trovarlo è una cosa, stare con lui in un posto isolato senza telefono e...» Si interruppe e indicò la latrina. «Buon Dio, quella roba è quello che credo?» «La toilette» confermò Marcie divertita. «Purtroppo niente bidet.» «Mi sa che sto per svenire.» «Abbiamo un grazioso vaso di porcellana, se il tempo è brutto e non te la senti di uscire» aggiunse Marcie. E non precisò che era meglio portarsi un’arma quando ci si avventurava fuori. In effetti Erin barcollò lievemente e chiuse gli occhi per un momento, mentre Marcie la sosteneva cercando di non ridere. Sua sorella pensava che la capanna tra i boschi fosse una cosa terribile? Be’, se Marcie la immaginava al mattino, mentre si infilava i suoi stivali di marca e marciava nella neve per andare alla latrina, la voglia di ridere diventava incontenibile... «Dovresti vedere come ci organizziamo quando viene il giorno del bagno» disse, non resistendo al desiderio di stuzzicarla. Erin aprì gli occhi di colpo. «Il giorno del bagno... detto così mi fa pensare che non succeda tutti i giorni, e che sia una faccenda complicata.» «Questo sì che è un eufemismo.» «E magari scomoda...» continuò Erin. «Be’, dal momento che l’unico calore viene da una stufa a legna, è sicuramente una faccenda molto rapida.» «Dio santo. Prendi la tua roba e andiamocene.» «No. No! Se vuoi puoi entrare, guardarti intorno e arricciare il tuo naso aristocratico – e magari conoscere Ian, se proprio insisti, anche se sono sicura che non ti piacerà. Ma poi te ne vai, prima di essere costretta a usare la toilette. È tutto quello che ti concedo. D’accordo?» «Almeno lascia che ti veda un dottore» protestò Erin. «Mi ha già vista» si lasciò sfuggire Marcie. «E che cos’ha detto di te che ti metti in faccia una medicina da cavalli?» «È un linimento per cavalli – che peraltro funziona molto bene. Ma in effetti non ho visto il dottore per questo» confessò lei a malincuore. «Appena arrivata qui mi sono ammalata. Un’influenza. Ian è andato a cercare il dottore, e Doc Mullins con la sua assistente sono venuti quassù, mi hanno fatto un’iniezione di antibiotici e mi hanno lasciato delle medicine. Ian mi ha curata molto bene, ha perfino fatto il brodo di pollo.» Erin si portò le mani alle tempie e le massaggiò per un momento, poi scrollò la testa e guardò perplessa l’igloo di neve accanto al suo SUV. «Il mio maggiolino» spiegò Marcie. «Temo che non andrà da nessuna parte per un po’, perché non potrebbe affrontare queste strade ripide e coperte di neve ghiacciata. Bisognerà aspettare che la stagione migliori.» Poi si girò per entrare, e sulla soglia disse: «Erin, visto che non te ne vai, vieni dentro». Com’era prevedibile, Erin non fu benevolmente impressionata dalla capanna. Per qualche minuto si guardò intorno senza parlare, con un piccolo brivido ogni tanto, e infine domandò: «E dove sono i letti?». «A dire il vero non ce ne sono. Io dormo sul divano e Ian dorme su una branda di listelli di legno accanto alla stufa. Non gli ho preso il letto, lui dice che ha sempre usato l’altro sistema perché sta più comodo. Il divano è troppo corto.» «Ma pare che ci sia un’unica stanza...» osservò Erin. «È una capanna, ed è stata concepita per una sola persona. Non è così diversa dalle capanne che papà e Drew affittavano per andare a caccia.» «Invece è molto diversa, e lo sai anche tu» ribatté Erin. Poi il suo tono si fece quasi supplichevole. «Marcie, cerca di capire, non posso lasciarti qui. Proprio non posso!» In quel momento si sentì un altro veicolo che si arrampicava a fatica su per la strada, e Marcie si avvicinò alla sorella con espressione quasi disperata. «Ascoltami, ma questa volta con attenzione» disse. «Con Ian non abbiamo parlato di quello che è successo a Bobby, né di altro che riguardi quel periodo. Stavamo giusto avvicinandoci all’argomento, perciò tu non devi dire niente, capito?» Si sedette sul divano, sfilò gli stivali e indossò rapidamente i jeans. «Niente» ripeté. «Comportati bene, non insultarlo, e usa la tua mente legale per essere gentile e diplomatica. Dico sul serio.» «Ah, sì?» ribatté Erin irrigidendosi. «Sì, proprio così» sibilò lei. Si sedette di nuovo, infilò gli stivali, e proprio allora Ian varcò la soglia della capanna. La sua figura robusta riempì il vano della porta, poi i suoi occhi si restrinsero. Nel silenzio si sentì chiaramente il respiro trattenuto di Erin. Marcie lo capiva bene, la sola presenza di Erin faceva apparire più lacera la giacca di lui e più incolta e selvaggia la barba. Gli occhi di Ian lampeggiarono. Non era per niente contento della visita. «La sorella di Marcie, immagino» disse. Erin raddrizzò orgogliosamente le spalle e gli tese la mano. «Sono Erin Foley. Come sta?» «Benissimo, grazie, e lei?» rispose Ian ignorando la mano tesa. «Bene, grazie. Lieta di conoscerla. Sono venuta a prendere Marcie...» «Capisco» fece lui. «Ma io non sono affatto pronta ad andarmene» intervenne Marcie. «Erin voleva solo conoscerti prima di tornare a casa. E... non le ho detto io di venire.» «Non vedo come avresti potuto» replicò Ian deponendo sul tavolo il sacchetto con la spesa. «Magari con dei segnali di fumo?» «Va bene, statemi a sentire tutti e due» disse Erin. «Non mi è piaciuta fin dall’inizio l’idea che Marcie venisse fin quassù da sola a cercarla. Specialmente adesso, in questa stagione, con le vacanze natalizie alle porte e a quasi un anno da quando Bobby...» «Erin!» esclamò Marcie seccamente. Lei si schiarì la gola. «Ma come indubbiamente avrà scoperto, mia sorella è molto ostinata e fa sempre quello che vuole.» «Difficile non rendersene conto» osservò Ian. «Trovarla e parlarle era una cosa, ma questo sta andando oltre ogni limite» riprese Erin. «Marcie non può stare qui, signor Buchanan. C’è un’unica stanza, non un letto decente, niente gabinetto, e mi pare che mia sorella non stia troppo bene. È malata, scottata e... Insomma, è stato molto gentile da parte sua ospitarla, curarla eccetera, ma quello che è troppo è troppo. Marcie deve tornare a casa, Natale si avvicina, e tutti noi abbiamo sopportato abbastanza.» Erin guardò la sorella con intenzione. «Non sono solo io che voglio riaverti a casa, anche i Sullivan sono in pensiero per te. Forse tu e il signor Buchanan potete mantenervi in contatto, e incontrarvi di nuovo dopo Natale. Ma in un posto dove ci sia un telefono e che non manchi delle comodità più elem...» «Erin!» interruppe Marcie con la faccia ancora più paonazza. «Tua sorella ha ragione, dovresti tornare dalla tua famiglia» disse Ian. «Ci possiamo sentire più in là.» «Se avessi voluto andarmene lo avrei fatto!» esclamò lei. «Avrei trovato un modo, avrei fatto l’autostop o che so io. E invece avevo intenzione di restare... stiamo appena cominciando a conoscerci!» «Sei già restata abbastanza a lungo» rispose lui, «e io non sono abituato ad avere gente attorno. Menomale che tua sorella è qui, visto che non potresti andar via con la tua macchina.» «Ma, Ian...» «Ha ragione, quello che è troppo è troppo. Fai i bagagli.» Marcie fece un passo verso di lui e lo guardò supplichevole. «Ma io credevo che...» «Direi che ce la siamo cavata bene, intrappolati qui con la tua influenza e tutto quanto» continuò Ian. «Ma adesso tua sorella è venuta a prenderti per portarti a casa, e io sono contento di riavere la mia casa solo per me. Non sono abituato alla compagnia, lo sai.» Trasse un respiro e continuò: «Sei in buone mani, con lei. Sembra molto...» guardò Erin da capo a piedi, «competente». «Bene» fece Erin strofinandosi le mani, «allora vogliamo andare?» Marcie guardò Ian negli occhi. Nei suoi c’era ancora una preghiera, ma lo sguardo di lui era freddo e deciso. «Non dici sul serio» tentò ancora. «Vuoi davvero che me ne vada?» «Vai con tua sorella, Marcie. Ha ragione, non è giusto che tu tenga in ansia tutti quanti. Un po’ più in là ci possiamo incontrare di nuovo, se vuoi. Ma io sono un eremita, e mi va bene così.» «Non sei un eremita. Vendi la legna ai tuoi clienti, vai in chiesa, in biblioteca... Non posso credere che tu voglia mandarmi via» concluse in un sussurro. «Già... però sono contento che tu mi abbia trovato.» Abbassò la testa. «E mi dispiace tanto per Bobby. Non saprai mai quanto...» Poi la guardò negli occhi. «Ma adesso vai, torna a casa. Il tuo posto è là.» «Stavo cominciando a pensare che il mio posto fosse qui» rispose lei a bassa voce. Si fissarono per un po’, in silenzio; poi lei si arrese, si voltò e cominciò a raccogliere la sua roba. Non ci mise molto, perché aveva tenuto tutto nella sacca, compresi i pochi articoli di toeletta come shampoo e rossetto. Nello zaino c’erano le cartine stradali e le figurine del baseball che non era riuscita a dargli, e poi c’era il sacco a pelo ancora arrotolato. Marcie mise insieme tutti i bagagli e poi cominciò a ripiegare il plaid che aveva usato per dormire sul divano. «A quello penso io» disse Ian. Ma lei continuò a piegarlo con cura, e quand’ebbe finito lo appoggiò sul bracciolo e poi mise sul tavolo i libri della biblioteca. «Non ho finito nemmeno il primo» disse, «ed ero anche arrivata alla parte interessante... Ci ho lasciato il segnalibro. Grazie di tutto. Hai fatto così tanto per me.» «Non ho fatto quasi niente» replicò lui. «Non ho cambiato le mie abitudini né altro.» «Invece sì. Hai cucinato per me, mi hai curata, mi hai dato le medicine... e io so di essere stata un bel fastidio.» «Oh, non è stato questo grande sforzo.» «Per me lo è stato.» Lui non rispose. Marcie mise a tracolla la sacca e lo zaino, e andò verso la porta lasciando che Erin prendesse il sacco a pelo. Gettò i bagagli sul sedile posteriore del SUV, poi salì al suo posto e incrociò le braccia sul petto. Perché Ian non aveva ruggito contro Erin spaventandola a morte?, pensò furibonda. Ma Erin sarebbe tornata con tutti i poliziotti della zona, al contrario di lei che si era ritirata in buon ordine ed era quasi morta assiderata! «Vai in paese» disse seccamente. «Voglio salutare i miei amici.» «Vuoi dire Virgin River?» «Sì.» «Marcie, ascolta...» «Non rivolgermi la parola» ringhiò lei. «Anzi, non guardarmi nemmeno!» 11 Erin parcheggiò di fronte al bar di Jack e disse: «Non metterci troppo. Già così, dovremo viaggiare di notte». Marcie non rispose ed entrò a passo di marcia. E poiché non si fidava di lei, Erin la seguì. Vedendo Marcie, Jack accennò un sorriso, ma si gelò vedendo la faccia scottata di lei. «Diavolo» disse. Lei saltò su uno sgabello. «Un incidente con il fornello a gas. Non fare domande.» «Non me lo sogno neanche.» «Una birra.» «Arriva subito.» Jack riempì un boccale e fece un cenno di saluto a Erin. «Ci rivediamo. Vedo che ha trovato il posto senza difficoltà.» «Grazie a Dio» rispose lei. «Ha idea delle condizioni di vita lassù?» Lui ridacchiò. «Non è così insolito, tra le montagne. Anch’io ho vissuto accampato per un po’, mentre costruivo il locale.» «Ma non c’è nemmeno un gabinetto interno!» «Anche questo non è insolito. Immagino che lei lo sappia, la linea di fognature non arriva fin lassù, e bisognerebbe installare una fossa settica. Ma se uno vive solo preferisce sfidare il freddo, è più semplice. E comunque la latrina va scavata a nuovo ogni due o tre anni. Lo stesso accade con l’elettricità: non ci sono linee elettriche e quindi bisogna ricorrere a un generatore. Ma ci sono decine di capanne come quella, sulle nostre montagne.» «Io mi domando, perché vivere così?» «Se si fosse guardata intorno avrebbe la risposta» sorrise lui. Due secondi dopo la porta si aprì ed entrò Mel con David in braccio. Si sedette accanto a Marcie e passò il piccolo a suo padre al di là del banco, poi baciò Jack e si voltò per salutare Marcie con un sorriso. Ed emise un’esclamazione. «Mi sono leggermente scottata» disse Marcie. «Ragazzi... e che cosa ci hai messo?» «Una specie di linimento per i cavalli che aveva Ian. Il dolore è passato subito.» «Ah, il metilsulfonimetano» disse Mel con un cenno del capo. «La gente di qui lo usa per curare quasi tutto, e in effetti è ottimo per ricostruire le cellule. Doc aveva ragione, sei in buone mani.» «Be’, adesso non più. Ti presento mia sorella Erin. Erin, lei è Mel Sheridan. Vi siete parlate al telefono.» «Sì, certo» disse Erin. «Come sta? È stato gentile da parte sua darmi notizie di Marcie.» «L’ho fatto con piacere. È stato bello conoscere sua sorella.» «E l’ha curata mentre aveva l’influenza, vero?» «Sì, con l’aiuto di Doc. Ma non deve preoccuparsi, direi che è perfettamente guarita.» Jack aveva sistemato il figlio nel marsupio in modo da avere le mani libere per servire i clienti. Preacher portò un cestello di bicchieri puliti, fece un cenno di saluto a tutti, guardò Marcie con le sopracciglia inarcate, ma poi tornò in cucina. Poi dal retro entrò Mike Valenzuela, si servì una birra e fu presentato a Erin. Quando guardò Marcie rimase a bocca aperta. «Il fornello a gas» spiegò lei. «Colpa mia. Ho girato la chiavetta prima di accendere il fiammifero.» «Scommetto che la volta successiva hai fatto molta più attenzione» ridacchiò lui. Bevve un sorso di birra e tornò in cucina. Mel abbassò gli occhi per caso e notò gli stivali Cole Haan di Erin. «Santo cielo, ne avevo un paio uguale... e mi piacevano anche molto. Li ho distrutti nei primi mesi in cui ero qui, trascinandomi da un ranch a un vigneto.» «Ma davvero?» fece Erin. «Questo è un paese duro, un paese da uomini – anche se mi disturba molto usare questa espressione. Non ero del tutto preparata.» «Be’, in effetti gli uomini di qui sono molto...» «Lo so» rise Mel, «molto. Sono attraenti ma pericolosi. Stia attenta.» «Pericolosi?» ripeté Erin con le sopracciglia aggrottate. Mel si chinò verso di lei con fare confidenziale. «Vanno a caccia, giocano a poker, fumano grossi sigari puzzolenti. E hanno una conta di spermatozoi molto alta. So quel che dico, sono l’ostetrica del paese.» Jack ridacchiò ed Erin gli gettò un’occhiataccia. «Di dov’è?» domandò Erin. «Di Los Angeles. E sono finita quassù perché cercavo un cambiamento.» « U n cambiamento?» esclamò l’altra. «Già... E sono stata conquistata» sorrise Mel. «Dalla bellezza delle montagne, dal paesaggio incontaminato. Da quello che ho visto la prima mattina, alberi che toccavano il cielo, aquile che volavano sopra di me, cervi davanti a casa. E poi c’è la gente di qui, brava gente aperta e disponibile. Mi sono innamorata.» Si massaggiò il ventre rotondo e riprese: «E poi mi sono innamorata anche di Jack – che è decisamente troppo fertile per i miei gusti, ma ha i suoi pregi». «Mel» intervenne Marcie, «mi serve un passaggio fino a casa di Ian.» Le due donne si volsero a guardarla. «Non ti permetterò di fare una sciocchezza del genere» esclamò Erin. «Quello è un essere primitivo, selvaggio... un pazzo furioso!» «È molto docile, invece. Mite, gentile.» «Ma in quella capanna non ci sono neanche i letti!» «Ci ho messo quasi due anni a ristrutturare il bar» disse Jack, «e nel frattempo ho dormito sul pavimento. Non mi radevo nemmeno, e usavo la doccia a casa di Doc ogni due o tre giorni. Da queste parti siamo piuttosto alla buona.» «Ma noi no!» «Jack, chiama lo sceriffo» disse Marcie. «Stanno cercando di rapirmi.» «Sa, quell’aspetto selvaggio è piuttosto comune da queste parti» riprese Jack. «Molti boscaioli d’inverno non si radono. E di solito non indossano i loro abiti migliori per spaccare la legna o dare il foraggio alle pecore. Ian Buchanan è uno di loro, e sembra una persona per bene. Al suo posto non mi preoccuperei.» Marcie appoggiò la mano sul braccio di Erin. «Io torno lassù, e voglio che tu torni a casa. Ti chiamerò spesso, lo prometto. Ma stavamo appena cominciando a parlarci davvero... Non ho finito, con lui.» «Marcie, tesoro, non voglio essere crudele... ma Bobby non lo hai perso solo tu. C’è la sua famiglia, ci siamo Drew e io. Anche noi abbiamo sofferto per la sua morte.» «Lo so, non me lo sono dimenticata. Saremo di nuovo insieme per Natale, te lo prometto. Ma per favore non contrastarmi, lasciami finire quello che ho cominciato. Solo allora potrò riprendere la mia vita.» I suoi occhi si colmarono di lacrime che lei cercò di trattenere. «Ho solo bisogno di sentire che ho portato a termine la mia missione, capisci?» «Ma come?» sussurrò Erin. «Come la porterai a temine?» Marcie gettò a Mel un’occhiata supplichevole. Le due donne si fissarono negli occhi per un momento, poi Mel spostò lo sguardo sul marito. «Jack, per favore, riporta Marcie da Ian. Porta anche David con te. Io baderò al bar, e se necessario chiederò aiuto a Preacher o Mike. Credo che Erin ed io dobbiamo parlare un po’.» Jack inarcò un sopracciglio. «Ne sei sicura?» Lei annuì con un sorriso. Allora Jack si chinò a baciarla e disse: «Tornerò prima dell’ora di cena». Quando Jack e Marcie se ne furono andati, Mel passò dietro il banco e riempì di caffè due tazze. «Latte o zucchero?» domandò a Erin. «Tutt’e due, grazie. Senta, non credo che lei si renda conto di quanto...» «Circa tre anni fa il mio primo marito è stato assassinato» disse Mel. Erin tacque di botto. «Ero caposala e ostetrica in un grande ospedale di Los Angeles, e Mark lavorava al Pronto Soccorso. Una mattina, dopo trentasei ore di turno, è entrato in un supermercato a comprare il latte per la colazione. Era in corso una rapina, e lui è stato ferito per sbaglio. Ed è morto sul colpo.» «Oh, mi dispiace tanto...» mormorò Erin. «Grazie. All’epoca avrei voluto morire anch’io. Passarono alcuni mesi, ma non riuscivo a riprendere la mia vita. E così feci alcune pazzie, tra cui accettare un lavoro in questo paese dimenticato da Dio, per uno stipendio da fame, solo perché speravo che fosse talmente diverso dalla vita di prima da darmi uno scossone. Ho anch’io una sorella maggiore» disse con un sorriso. «Joey pensava che fossi completamente pazza, ed era pronta a rapirmi e trascinarmi di nuovo a casa per farmi guarire. A modo suo, naturalmente.» Si chinò verso Erin e continuò: «Sono una specie di esperta in questo campo. Riprendere a vivere non è mai facile, e il cammino da percorrere non è mai chiarissimo. Ma una cosa le posso dire, credo sia necessario trovarselo da soli. E credo che Marcie sia perfettamente al sicuro. Non so se riuscirà a risolvere i suoi problemi, ma al posto suo, Erin, non interferirei con qualcuno che cerca di ridare un minimo di ordine alla propria vita. Ci sono cose che sua sorella sta cercando di capire, ed è meglio che lo faccia a modo suo. Dal canto nostro, la terremo d’occhio anche noi». Erin sorseggiò il caffè. «So che nelle sue parole c’è un messaggio e apprezzo la sua franchezza, ma con Marcie non...» «Sì, Erin, il messaggio c’è ed è questo: forse quello che Marcie pensa di fare per fugare i suoi dubbi non ha senso, non è pratico né saggio, e forse non funzionerà: ma è convinta della bontà delle sue azioni. So che anche lei e suo fratello siete addolorati dalla perdita di Bobby e dalla lontananza di Marcie in questo momento, e mi dispiace molto. Ricordo il dolore di mia sorella quando mio marito è morto, perché lei lo amava come un fratello. Ma alla fin fine Marcie deve sentire che ha fatto quello che voleva. Per qualche ragione, sembra che il suo desiderio sia soprattutto sistemare una faccenda con Ian. E a giudicare dalla sua determinazione, penso che farlo per lei sia essenziale.» «Sì, questo è vero... è un tipo molto determinato.» «Non starei a dirle tutto questo, se pensassi anche solo per un momento che Marcie corre qualche pericolo. Ma mi creda, io mi preoccupo per le donne del paese, cerco di proteggerle, e so che Marcie è al sicuro. Non è entrata nei dettagli, ma lei e io sappiamo che cosa sta cercando. Vuole capire perché l’uomo che ha salvato la vita di suo marito poi è fuggito via. Abbandonandolo – e abbandonando lei.» «Ma... se poi lui la abbandonerà di nuovo?» domandò Erin con espressione rattristata. «Be’, è quello che è venuta a scoprire» disse Mel. Strinse la mano di Erin al di là del banco. «Lasciamo che arrivi all’ultima pagina di questa storia, mia cara. È quello che vuole davvero, altrimenti non avrebbe affrontato tanti disagi.» «Sì, ma...» «Non è necessario che noi capiamo o approviamo» disse Mel gentilmente. «Dobbiamo solo rispettare le sue scelte. Meglio che lei torni a casa, Erin. La lasci terminare quello che è venuta a fare. Le assicuro che non la perderà per questo.» Sulla guancia di Erin rotolò una grossa lacrima. «Crede che sappia quanto mi preoccupo per lei... e quanto le voglio bene?» «Oh, lo sa di sicuro» disse Mel con forza. «Ma sa una cosa? La prossima volta che la vedo – e sarà molto presto – glielo ripeterò.» Ian camminò avanti e indietro per circa un’ora. Non era stato gentile con la sorella di Marcie, e adesso gli dispiaceva. Avrebbe dovuto rassicurarla, tranquillizzarla, in modo che non si preoccupasse per il fatto che Marcie stava da lui. Invece le aveva mandate via tutt’e due. Ma forse non avrebbe dovuto accettare che Marcie restasse lì, fin dall’inizio; avrebbe dovuto dire a Mel di portarla in paese, da Doc. Maledetto piccolo elfo con le lentiggini! C’erano tante cose che non amava gli venissero ricordate. Per esempio, lui non era un eremita, era un tipo solitario. Ma poiché nella maggior parte dei casi non si sentiva a proprio agio con gli altri, se ne stava per conto suo. Eppure gli dispiaceva da morire non cantare in chiesa, perché cantare lo rendeva felice. E non gli piaceva per niente starsene seduto da solo in un bar, nell’angolo più lontano, muto e scostante, per non essere avvicinato da nessuno. E amava ridere di cuore – ma non gli era più successo da anni, fino all’arrivo di Marcie. Per la prima volta da quand’era arrivato su queste montagne, desiderava qualcosa di più. Come per esempio dei piatti fondi in cui mangiare la zuppa, invece di usare i tazzoni del caffè o mangiare direttamente dalla lattina. O cose di cui non aveva mai sentito il bisogno, come una radio. Marcie aveva ragione: un persona che ama la musica dovrebbe poterla ascoltare quando vuole. E poi... poi voleva qualcuno che tenesse abbastanza a lui da cercarlo per mare e per terra. Qualcuno che lo amasse! Era da così tanto tempo che nessuno lo amava... Tuttavia, la cosa peggiore che aveva capito per colpa di quel folletto ossuto dai capelli rossi era che il folletto aveva sopportato la malattia devastante e la morte di Bobby molto meglio di lui. Eppure aveva passato tre anni accanto al marito, un terribile giorno dopo l’altro, mentre lui era semplicemente fuggi to. Sono io quello debole, p e ns ò . Lei ha la forza di un battaglione intero. Andò ad aprire il baule, ci affondò la mano ed estrasse il fascio di lettere. Le mise sul tavolo, poi andò ad aprire uno degli armadietti e sul fondo prese una bottiglia di Canadian Mist che stava lì da tempo. Trovò un bicchiere, se ne versò due dita e le buttò giù d’un fiato. E fu allora che la porta si aprì e lei entrò, come se fosse a casa sua. Aveva con sé tutti i suoi averi: sacco a pelo, borsone di tela, zaini e borsa, che mise dov’erano sempre stati e cioè ai piedi del divano. E Ian si augurò che la barba nascondesse a dovere la felicità che provava in quel momento. «Avrei potuto essere nudo» disse. Lei sorrise, si avvicinò al tavolo e si sedette di fronte a lui. «Già. Sarebbe stato l’avvenimento più eccitante della mia vita, eh?» Poi occhieggiò il bicchiere. «Allora stasera si beve?» «Ho deciso che faceva abbastanza freddo da giustificare un goccetto.» «Posso unirmi a te?» «E tua sorella aspetta fuori?» ribatté lui alzandosi a cercarle un bicchiere. Marcie si versò un po’ di whisky. «Nooo... l’ho rimandata a casa. Ho dovuto promettere che le avrei telefonato ogni due giorni, ma che sarei tornata a casa per Natale, perciò temo che dovrai sopportare il fastidio della mia presenza... voglio dire, per un altro po’. Ti chiedo scusa.» «Qual è esattamente la tua missione qui? Credi che riuscirai a raddrizzarmi, a ripulirmi per rendermi presentabile? Cos’è, vuoi compiere una buona azione?» «Ragazzi, certo che sei proprio un genio dell’autocompatimento. Non dovresti bere se sei così sbroccato. L’alcool è un depressivo, sai.» Lui si raddrizzò di botto. «La mia missione, come la chiami tu, è molto semplice. Ho queste stupide figurine del baseball. Nelle sue lettere Bobby mi diceva che anche tu le collezionavi, così te le ho portate.» Andò a frugare nella sua sacca, prese un album in cui Bobby aveva sistemato con ordine le figurine, e lo depose sul tavolo. «Non è facile da spiegare. Per chissà quale ragione, l’idea di voi due che parlavate delle figurine nel bel mezzo di una guerra, nel deserto, sotto le bombe e il tiro dei cecchini, mi ha sempre fatto venire un nodo alla gola...» Trasse un respiro profondo e continuò: «Voglio che sia chiaro, mi è difficile separarmene perché erano sue. Lui ci teneva molto. Ma avrebbe voluto che le avessi tu». Ian guardò l’album ma non lo toccò. «Perché non me le hai date subito?» «Perché ero malata» sospirò lei. «E perché tu non volevi parlare dell’argomento.» «Mi dispiace» disse lui. «Non credevo di poterlo fare.» Fissò il tavolo per un momento, poi domandò: «Tutto qui, dunque? Le figurine del baseball?». «Non proprio. Qualche anno fa c’è stato un periodo, quando ci scrivevamo, in cui ci siamo appoggiati l’uno all’altro perché Bobby stava male... Poi tu sei sparito. Svanito nel nulla. Così sono venuta a conoscerti – o meglio, a rinnovare la conoscenza, a ringraziarti, ad assicurarmi che stessi bene e a dirti come stava tuo padre. E si è scoperto che stai benissimo – in un certo senso meglio di me. Vivi esattamente come ti piace, parli con la gente quando ti va e te ne stai da solo quando preferisci, sei in contatto con la natura e non sei appesantito da troppi fardelli perché possiedi solo il necessario. E non credo affatto che tu debba essere ripulito e reso presentabile. Stai benissimo così.» «Ma hai detto che sembravo un selvaggio!» «Infatti» sorrise lei, «ma ormai mi ci sono abituata.» «E per che cosa volevi ringraziarmi?» domandò Ian riempiendosi di nuovo il bicchiere. «Stai scherzando? Ma andiamo... per aver salvato la vita di Bobby!» «Non devi ringraziarmi... non devi nemmeno pensarlo. Ho un sacco di rimpianti, ragazza mia, ma quello è il primo della lista.» «Vuoi dire che rimpiangi di averlo salvato? Senti, a tutti noi dispiaceva che fosse stato ferito così gravemente, che fosse un invalido irrecuperabile. Ma nessuno avrebbe potuto farci niente...» «Tu credi?» replicò Ian. «Perché io invece lo capii subito. Lo sollevai e lo sentii inerte, pesantissimo. Il suo corpo non aveva alcun tono muscolare, era un peso morto. E mi trovai di fronte a una scelta. Potevo deporlo a terra, coprirlo con il mio corpo per evitare che lo ferissero di nuovo, e aspettare con lui la fine. Così tu non avresti sopportato il fardello che ti è toccato per tre anni, e lui sarebbe stato libero. Buon Dio, eri solo una ragazzina! E sapevo che Bobby non avrebbe mai voluto quella vita – gli uomini in guerra parlano spesso di queste cose. Ma fui egoista, pensai solo a me stesso e a quello che ero stato addestrato a fare. Non sopportavo l’idea di lasciarlo morire così, e agii come un maledetto eroe.» Marcie lo fissò a lungo. «Gesù santo» disse infine. «È questo che pensi? Che la scelta toccasse a te? E che le tue azioni abbiano fatto della mia vita un incubo? Ma non è andata affatto così. Avresti dovuto leggere quelle dannate lettere!» Ian fissò il mucchietto sul tavolo, poi alzò gli occhi a guardarla. Così Marcie aveva frugato nella sua roba, aveva trovato le lettere e sapeva che lui non le aveva mai aperte! «Ti racconto com’è andata, invece» esordì lei. «Marcie» la fermò lui. «Non voglio parlarne, chiaro?» «Dio santo, e io che pensavo di essere quella che doveva ancora capire tante cose...» ribatté lei bevendo un sorso di whisky. Fece una smorfia, strinse le labbra, poi continuò: «Adesso invece mi starai a sentire. Abbiamo perso nostra madre quando Drew aveva solo due anni, io quattro e mia sorella undici. Crescemmo con nostro padre, ma quando avevo quindici anni anche lui morì, all’improvviso. Un embolo, durante una banalissima operazione al ginocchio. Un caso molto raro. Erin aveva appena finito il college e si era iscritta alla facoltà di legge. Prese il posto di entrambi i genitori, e tutti e tre restammo nella casa in cui eravamo cresciuti. Naturalmente, quando Bobby partì per l’Iraq tornai a vivere con Erin e Drew. E quando lo portammo indietro, fu in quella casa che lo portammo. Ed è lì che tu ci facesti visita. All’epoca non eravamo molto ben organizzati. Assistere un malato era una cosa nuova per tutti, e probabilmente tu avrai pensato che non ce l’avremmo fatta. Chissà come ti parve terribile tutto quanto...» Ian lo ricordava perfettamente: anzi c’erano giorni in cui non riusciva a togliersi la scena dalla mente. La casa era un disastro, sporca e in disordine, Marcie era pallida e magrissima e non dimostrava più di tredici anni. Il letto da ospedale era la prima cosa che si vedeva entrando in casa, perché dominava la sala da pranzo e non lasciava alla famiglia alcuno spazio in cui mangiare. Tutt’intorno c’erano altre attrezzature mediche: una grande poltrona a rotelle munita di un sostegno per la testa, di un sistema di abbassamento idraulico e di contrappesi per spostare meglio il peso morto di Bobby; e poi una pompa aspirante, delle bombole di ossigeno, dei catini, degli asciugamani. «Si trattava di scegliere tra portarlo a casa o lasciarlo in un istituto per lungodegenti in un altro stato» continuò Marcie. «Ma dopo due o tre mesi riuscimmo a sistemarlo in una casa di cura a Chico, un posto eccellente che veniva pagato da CHAMPUS. Devo ringraziare Erin per questo, si è battuta finché non ha ottenuto quello che ci occorreva. Bobby aveva una famiglia numerosa – era il più giovane di sette fratelli – e tutti ci diedero una mano, Dio li benedica. Sono stati un aiuto formidabile. Una vera famiglia.» «CHAMPUS finanziava la casa di cura?» domandò Ian. «Sì... ma non tutti sono così fortunati. Molti soldati che necessitano di lunghe cure vengono mandati negli ospedali militari, dovunque ci sia posto, e quasi mai vicino alla città in cui vive la loro famiglia. Io temevo di dover lasciare Bobby a Washington, o sulla Costa Orientale, o in Texas. Invece abbiamo avuto fortuna, perché lui è stato sempre vicino a noi e ha ricevuto le cure migliori. Lo so che a vederlo non sembrava stesse bene, ma non ha mai mostrato sintomi di sofferenza o di stress. Lo abbiamo curato con amore, abbiamo sempre fatto in modo che fosse comodo e in ordine, ed eravamo in tanti a darci il turno. Tutta la famiglia di Bobby, i suoi genitori e i sei fratelli e sorelle con i mariti e le mogli, i nipoti, e poi io e Drew e sì, anche Erin. Lo massaggiavamo, gli leggevamo dei libri o il giornale, lo abbracciavamo e lo baciavamo per dimostrargli il nostro amore. Non era mai solo. Avevamo stabilito dei turni di visite, in modo che non fosse mai solo per più di cinque minuti. E ti assicuro, non è stata una tortura per me. Perderlo è stato un dolore grande, ma in effetti lo avevo già perso tanto tempo prima, e quando se n’è andato io...» «Hai provato sollievo» disse Ian. «Per lui» rispose Marcie. «Per me, è stata la fine di un lungo viaggio. Davvero, avresti dovuto leggere le mie lettere.» Lui scrollò la testa. «Non volevo sapere. Né se era morto né se era ancora vivo.» «Era vivo, curato e amato» disse lei. Accennò al mucchietto di lettere. «Ti ho scritto per parlarti di lui, ma anche di me. All’inizio è stata molto dura, lo piangevo come se fosse già morto... ma poi la mia vita è diventata quasi normale. Uscivo con le amiche, mi sono anche concessa due brevi vacanze – su questo i genitori di Bobby hanno insistito molto. Ti ho scritto anche questo, non domandarmi perché. Ti ho scritto tutto quello che mi succedeva, anche le stupidaggini, come se tu fossi stato il miglior amico mio e non di Bobby...» «Però eri sempre legata a un invalido che...» «Non è vero» protestò lei scuotendo il capo. «Io lo amavo. Sapevamo tutti che non sarebbe mai guarito, e i familiari di Bobby cercavano di farmi uscire, di presentarmi gente nuova, a volte anche uomini. Se avessi voluto la libertà da lui e dai miei obblighi, nessuno della mia famiglia o della sua avrebbe detto una parola. Anzi, discutemmo a lungo di argomenti del genere, come divorziare da lui in modo che fossi libera di frequentare qualcun altro, o staccare i tubi di alimentazione in modo che lui morisse in pace. Ma...» «E perché non l’hai fatto? Perché?» «Perché no. Nutrirlo era uno dei tanti modi per accudirlo.» «E se, chiuso in quel guscio, lui era in grado di pensare?» domandò Ian con la pena nella voce. «Se per lui era una tortura non essere in grado di muoversi o di comunicare, se odiava vivere in quel modo?» Lei sorrise dolcemente. «Se era in grado di pensare questo, allora pensava anche alle legioni di persone che si dedicavano a lui, che lo facevano sentire amato e protetto e al sicuro fino a quando non avesse intrapreso l’ultima parte del suo viaggio.» Dopo un lungo silenzio Ian sussurrò: «E nessuna di quelle persone ero io». «Avevi i tuoi problemi» disse lei sorseggiando tranquillamente il whisky. «Bobby era ferito nel fisico, ma tu lo eri nell’animo. Ognuno ha diritto ai sui spazi e ai suoi tempi per riprendersi. E poi mi avevi dato quello a cui tenevo di più, e di questo ti sarò grata per sempre. Grazie a te ho avuto la possibilità di dirgli addio, e per me è stato molto importante. Anche se non era più lui, avevo davvero bisogno di tenerlo fra le braccia, di dirgli che lo amavo, e che era giusto che se ne andasse se era giunta la sua ora. Che io sarei stata bene. Hai idea di quello che ha significato per me? » «Anche se hai dovuto sopportare tanto?» «Te l’ho detto, non è stato difficile. Assisterlo era un impegno per tutti, questo è vero. Ma ognuno provava quello che provavo io – anche se a livelli diversi. Bobby era il più piccolo dei figli, e sua madre aveva bisogno di passare quel tempo con lui. Era l’orgoglio di suo padre – e anche lui aveva bisogno di stargli accanto. Era stato una persona speciale, e i suoi fratelli avevano bisogno di tempo per dirgli addio.» Ian tacque di nuovo, a lungo. «Se avessi letto le tue lettere, avrei potuto essere uno di quelli che si davano i turni per assisterlo... nel caso che il suo cervello funzionasse e lui contasse le facce.» Marcie riempì di nuovo i loro bicchieri. «Vuoi davvero trovare altre ragioni per sentirti in colpa, visto che i tuoi motivi di prima non coprono tutte le possibilità? Per come la vedo io, tu eri appena tornato da un guerra orribile, avevi rotto con la tua fidanzata, avevi litigato con tuo padre, avevi lasciato i Marine che avrebbero dovuto essere la tua famiglia per almeno vent’anni. Quel che era accaduto a Bobby era un dolore aggiunto agli altri. Ma tutta la famiglia ti è e ti sarà sempre grata, perché tu hai rischiato la vita per salvare la sua.» Bevve un sorso. «E nessuno ce l’ha con te perché non c’eri.» «Ne sei sicura?» Lei lo guardò con due serissimi occhi verdi, poi afferrò il fascio di lettere e lo spostò verso di sé. «Cominciamo da qui» disse. Tolse l’elastico, vide che le lettere erano in ordine cronologico e allora prese la prima e l’aprì. Caro Ian, Spero che tu stia bene. Non ti vediamo da troppo tempo, e io sento la tua mancanza. Mi piacerebbe avere tue notizie... Voglio farti sapere che Bobby è stato trasferito in una bellissima casa di cura qui a Chico. La sua famiglia e la mia si danno da fare per assicurarsi che con lui ci sia sempre qualcuno dei suoi cari. Diamo una mano anche con le cure vere e proprie, ma il personale è meraviglioso. E lui non soffre, davvero. Naturalmente non possiamo esserne sicuri al cento per cento, ma i dottori hanno fatto tutte le analisi possibili e lo hanno visitato decine di volte, e hanno accertato che non sente niente dal collo in giù. Ma non dà mai alcun segno di tensione o di ansietà. Mi hanno detto che potrebbe piangere se soffrisse, ma io non ho mai visto una lacrima. Anzi, e so che sembra pazzesco, a volte mi sembra di vedergli in faccia l’accenno di un sorriso. La mia vita è praticamente normale. Lavoro sempre nella stessa agenzia di assicurazioni, e non guadagno molto, ma il mio capo è comprensivo e mi concede tutti i permessi necessari. È una bravissima persona, pensa che si porta in ufficio tutti i giorni il suo Labrador. La mamma di Bobby, che è una donna eccezionale, insiste perché ogni tanto esca con le mie amiche, le stesse che frequentavo quando voi due eravate in Iraq. A volte andiamo anche a ballare, ma siccome due di loro sono incinte andiamo più spesso a mangiare una pizza o al cinema, a volte alle feste a casa di altri amici. Sono le stesse persone che conosco da anni – ci sono tre ragazze che erano al liceo con me, e quattro donne che ho conosciuto in ufficio quando ho cominciato a lavorare. Sarebbe logico pensare che lavorando insieme tutti i giorni non abbiamo più molto da dirci, e invece ridiamo e scherziamo tutto il tempo, tanto che a volte il capo si arrabbia... Mi piace andare a trovare Bobby la mattina presto, prima di andare in ufficio, anche se non riesco a farlo tutti i giorni. Ma quando si sveglia mi piace essere la prima persona che vede. Non ridere, ma io credo che mi riconosca dall’odore. Volge la testa verso di me, e io capisco che sa che ci sono. La sera, invece, gli leggo dei libri ad alta voce. In questo periodo gli leggo Ivanohe, ed è incredibile quanto mi prenda questo romanzo per il solo fatto di leggerlo ad alta voce. No so se lui mi ascolta, temo che non capisca quello che dico, ma non vedo l’ora di arrivare nella sua camera per continuare nella lettura. Bobby ha letto più romanzi classici da quando è ricoverato che in tutta la sua vita. Io mi sdraio accanto a lui sul letto, e a volte lui gira la testa verso di me e la appoggia alla mia spalla... Marcie andò avanti a leggere, versando del whisky nei loro bicchieri di tanto in tanto. A un certo punto si alzò e si prese un bicchiere d’acqua fredda dall’acquaio, ma poi continuò. Verso la fine le lettere parlavano sempre più di lei e meno di Bobby, perché le condizioni di lui non erano cambiate. Marcie gli aveva raccontato del suo viaggio nella Columbia Britannica, dei magnifici panorami, della gente amichevole e simpatica; e poi della sua crociera di sole ragazze, durata quattro giorni. Nelle sue lettere gli raccontava due anni della sua vita di moglie, sorella, cognata, amica, dei battesimi, delle feste in famiglia, dei matrimoni. Insomma, una vita normale. Aveva litigato con una cara amica, ed erano rimaste senza vedersi per alcune settimane: ma nella lettera successiva gli spiegava come avevano fatto pace. Gli parlava di un taglio di capelli mal riuscito, di Drew e della sua schiera di fidanzate intercambiabili, perfino di un guasto alla pompa di benzina della Volkswagen. E dalle lettere si capiva che la vita di Marcie non era stata la tortura che Ian immaginava. Ma quello che lo colpiva di più era il fatto che gli scrivesse come a un vecchio amico, un amico fraterno. Aggiungeva sempre il numero di telefono, pregandolo di chiamarla quando voleva, anche a carico del destinatario. E concludeva ogni lettera con le parole Mi manchi. Poi c’era l’ultima, scritta l’anno prima, in cui gli diceva che Bobby se n’era andato, dolcemente e serenamente, e che per un colpo di fortuna lei era presente. Poiché andava da lui solo per poche ore al giorno e a volte si assentava per un giorno intero, lo considerava un piccolo miracolo. Era seduta sul letto accanto a Bobby, con la sua testa sulla spalla, e stava leggendo ad alta voce, quando si era resa conto che lui non muoveva la testa o gli occhi da un po’ di tempo. Gli aveva tastato il polso, aveva avvicinato la faccia alla sua bocca per controllare se respirava. E l’ho capito subito... non dall’assenza di polso o di respiro, no. Ma ho sentito che il suo spirito lo aveva lasciato in quel momento. Non so se riesco a spiegarmi: è stato un gran sollievo capire che per tutti questi anni, mentre lo amavamo tanto, il suo spirito era ancora con lui. Avevo sempre temuto che se ne fosse andato lontano prima del suo corpo terreno, ma ti giuro, in quel momento ho provato una pienezza nel cuore, come se l’anima di Bobby fosse passata attraverso di me mentre lui se ne andava. E gli ho detto: Addio, tesoro mio. Ci mancherai tanto. Ma ero felice per lui. Quando Marcie finì di leggere l’ultima lettera era piuttosto tardi, e il livello di liquore nella bottiglia era notevolmente calato. Lei lasciò cadere la busta sul mucchietto e rimase in silenzio. Ian tirò su col naso un paio di volte, poi si asciugò gli occhi con un gesto impaziente. «Forse mi serve una scorta fino alla toilette» disse lei dopo un po’. «Sono alquanto brilla.» La frase riscosse Ian dalla sua tristezza. «Tu dici?» domandò con un sorrisetto. «Be’, non ho la tua stazza o la tua resistenza, e non sono abituata a bere. Al massimo una birra o un bicchiere di vino. E temo che non mi reggerò in piedi...» Lui rise. «Nessuno ti ha tenuta con la forza per versarti il whisky in gola, mi pare.» «È terribile leggere le lettere che hai scritto. Tutte le frasi costruite male, gli errori di ortografia, le stupidaggini. Scommetto che all’inferno ti leggono tutto quello che hai scritto in vita tua, ad alta voce.» Lui ridacchiò ancora, poi si alzò. «Vieni, peso piuma, ti accompagno fuori.» Ma intanto pensava che le sue lettere erano bellissime. E che se lui le avesse lette, lo avrebbero aiutato a schiarirsi le idee molto prima. Quello che gli era più mancato nella vita, qualcuno che tenesse a lui – Marcie gliel’aveva offerto da tempo. L’accompagnò fino alla latrina, l’aspettò fuori, poi la riaccompagnò alla capanna prima di tornare fuori a sua volta. Lei si gettò sul divano senza nemmeno togliersi gli stivali né coprirsi con il plaid. «Dormirai come un sasso, poco ma sicuro» disse Ian. Poi le sfilò gli stivali e le mise la coperta addosso. «È l’ultima volta che mi fai ubriacare, Buchanan» borbottò lei. «Come ho già detto, nessuno ti ha trattenuta con la forza.» «Mi sa che c’è un problema. Il sapore mi è piaciuto troppo.» Poi, Marcie emise un singhiozzo. «Domani, quando finalmente riaprirai gli occhi, io me ne sarò andato da un pezzo» le ricordò lui. «Devo consegnare della legna.» «Già. Lo so. Ci sono ancora i libri che ho preso in biblioteca?» «Come credi che avrei fatto a riportarli indietro, nell’ora che sei stata via?» «Oh, lascia perdere. Buonanotte, mio dolce orso.» Quelle parole gli gonfiarono il cuore. Incapace di trattenersi, Ian si chinò a deporle un bacio leggero sulla tempia, e lei sollevò una mano e gli carezzò la faccia irsuta. «L’unico problema con tutta questa barba è che non capisco quando sorridi. E mi piace tanto il tuo sorriso...» «Buonanotte, peso piuma.» Mentre Marcie crollava in un profondo sonno alcolico, Ian sfogliò l’album di figurine immaginando le dita di Bobby che le sistemavano con tanta cura. Marcie non sapeva quanto quel semplice regalo significasse per lui, pensò. E lasciò che le lacrime scorressero liberamente, purificando la sua anima dal dolore e dal rimorso. 12 Quando Marcie riaprì finalmente gli occhi, una banda marciava nella sua testa accompagnata dai tamburi. Diavolo, pensò. Aveva continuato a bere mentre leggeva una dozzina di lettere – ed era stata una pessima idea. Per fortuna sapeva dove Ian teneva l’aspirina. Si rizzò a sedere con cautela. La stanza era in ordine come Ian la lasciava ogni mattina. Le lettere erano state riposte, solo l’album con le figurine era ancora sul tavolo dove lei lo aveva lasciato la sera prima. Il bricco di caffè era sulla stufa, che però aveva bisogno di essere rifornita di legna. Marcie ci mise un paio di ciocchi, poi infilò gli stivali e fece una spedizione fuori. Quando rientrò il caffè era tiepido, ma lei lo buttò giù d’un fiato perché ne aveva davvero bisogno. Poi diede un’occhiata all’orologio e capì che Ian non sarebbe rientrato ancora per un bel po’; e poiché ormai aveva capito come funzionava il fornello pensò di approfittare della sua assenza per lavarsi. Mise a scaldare per prima cosa l’acqua per i capelli, e nel frattempo svuotò e ripulì la vasca dagli ultimi residui del bagno precedente – un compito assai più gravoso che non riempirla. Quand’ebbe finito era piuttosto stanca, ma si disse che la stanchezza era dovuta al whisky e all’ora tarda della sera prima, più che agli strascichi dell’influenza. Dopo aver lavato i capelli e aver fatto il bagno, prese le forbicine da unghie e riuscì a tagliar via le punte bruciacchiate del ciuffo. Nello specchietto da borsa vide che la sua faccia era rosea, ma non più scottata. Stava guarendo. Applicò un leggero trucco – cosa che non si era più data la pena di fare da quand’era arrivata. Visto che aveva imposto la sua presenza a Ian, per la seconda volta, perché non essere presentabile? Truccò un po’ gli occhi, mise un filo di rossetto, poi aprì una lattina di stufato e ne mangiò la metà. E infine si accomodò sul divano con il suo libro, sentendosi una donna nuova. Anche il mal di testa era quasi passato. E poi, senza preavviso, la donna nuova scomparve e Marcie si ritrovò proiettata indietro nel tempo. Quel giorno era l’anniversario della morte di Bobby – e stranamente la sera prima non ci aveva pensato nemmeno una volta mentre leggeva le lettere. Neanche quella che recava la data del decesso di Bobby: 17 dicembre, una settimana prima di Natale. Era stata un’esperienza molto particolare. Quando aveva capito che Bobby non c’era più Marcie era rimasta dov’era, seduta sul letto con lui fra le braccia. Non aveva pianto; non aveva chiamato un’infermiera. E mentre lo teneva stretto gli aveva parlato, augurandogli di essere felice e in pace là dov’era andato. Era passata quasi un’ora prima che qualcuno entrasse in camera – una aiuto-infermiera di mezz’età che portava le lenzuola pulite da mettere nel letto l’indomani. «Si è fermata fino a tardi, stasera» osservò la donna. Marcie stava accarezzando la guancia di Bobby, gli riavviava i capelli, lo abbracciava. Non rispose, perché sapeva che quando lo avesse lasciato non avrebbe mai più potuto tenerlo fra le braccia. Ma forse il modo in cui lo teneva stretto a sé fece capire all’infermiera che c’era qualcosa di strano. Si avvicinò al letto e appoggiò due dita al collo di Bobby. «Signora Sullivan» disse gentilmente, «suo marito...» «Lo so» rispose lei in un sussurro. «Ma ho difficoltà a lasciarlo andare.» «La capisco. Adesso chiamo qualcuno, così non sarà sola e... Insomma, qualcuno che stia con lei.» «Non potrebbe aspettare? Non potrebbe darmi un altro po’ di tempo con lui?» «Senta, finisco il mio giro con la biancheria e poi faccio quella telefonata. Preferisce che avvisi prima i genitori? O sua sorella?» «Chiami i suoi genitori. Devono essere loro i primi a sapere. E poi mia sorella, per favore.» «Certo.» La donna accarezzò teneramente la fronte di Marcie. Doveva essere abituata a vedere ogni tipo di reazione alla morte. «Faccia con comodo. Si prenda tutto il tempo che vuole.» Così, quando l’infermiera ebbe lasciato la stanza, Marcie riprese il libro che stava leggendo a Bobby e continuò a leggere per quasi un’ora. Intanto il corpo di lui era diventato freddo, ed era così immobile, così privo di vita che non sembrava più lui. Era immobile e silenzioso anche quand’era ancora in vita: ma il cambiamento era evidentissimo. Bobby non aveva mai mostrato alcun sintomo di tensione, ma adesso i suoi tratti erano composti, sereni, e lui era bellissimo. Immateriale, ma in pace. E tranquillo, silenzioso, freddo. Andato via, per sempre. Poi i signori Sullivan entrarono in camera e la trovarono con Bobby fra le braccia e il libro aperto in grembo. «Marcie... che cosa fai?» «Non ero pronta a lasciarlo andare» rispose lei. La voce era limpida, gli occhi asciutti. «È sotto shock» disse la madre di Bobby al marito. «Dovremmo chiamare il dottore e...» «No, non sono sotto shock» replicò lei con una risatina. «Buon Dio, mi sono preparata a questo per tre anni... ma adesso che è successo e so che non potrò mai più toccarlo, ho un po’ di difficoltà a lasciarlo andare.» La signora Sullivan le tolse gentilmente il libro di mano e l’aiutò ad alzarsi in piedi, poi lei e il marito baciarono Bobby e gli coprirono la faccia con il lenzuolo. Marcie si avvicinò al letto e lo tirò di nuovo giù. Non c’era motivo di nasconderlo: sembrava addormentato ed era così sereno. Gli accarezzò ancora una volta i capelli castani, lisci e morbidi. «Abbiamo chiamato l’agenzia di pompe funebri» disse il padre di Bobby. «Saranno qui a momenti.» «Non ho fretta» rispose lei. Non c’erano decisioni da prendere, perché tutti gli accordi erano già stati presi due anni prima. Il corpo di Bobby sarebbe stato cremato, e ci sarebbe stato un servizio funebre. Ma fino a quando non lo avessero portato via, era ancora suo... «Adesso appartiene a un’autorità superiore» disse la voce di Erin. «Puoi lasciarlo andare senza paura... è in buone mani.» «L’ho detto ad alta voce?» domandò Marcie. «Che cosa?» «Che fino a quando gli incaricati dei funerali non vengono a prenderlo, lui è ancora mio?» «No, tesoro. Non hai detto niente, ma io l’ho capito.» «Voglio solo stare ancora un po’ con lui, finché non arrivano...» «Puoi stare qui tutto il tempo che vuoi. Al diavolo quelli delle pompe funebri, aspetteranno.» «Grazie» sussurrò lei. Si sedette di nuovo sul letto, baciò Bobby sulla fronte, gli sussurrò qualcosa all’orecchio. I suoceri pensavano che avesse perso il senno, ma Erin li portò in corridoio e Marcie la sentì dir loro: «Datele tregua. Rinunciare a lui non è facile. Ha bisogno di farlo a modo suo». Quando gli incaricati vennero a prendere Bobby, Marcie gli diede un ultimo bacio e si allontanò da lui. Poi abbracciò i suoceri e se ne andò a casa. Adesso le lacrime scorrevano sulle sue guance, ma lei non era triste. Sentiva solo quella terribile solitudine che a volte l’afferrava senza preavviso. Quella sensazione di non aver più nessun legame. Di non avere uno scopo. Passò un’altra ora prima che Ian ritornasse, e quando entrò in casa, Marcie capì perché ci aveva messo tanto. Si era tagliato capelli e barba, che adesso erano corti e ordinati. Portava in braccio due sacchetti della spesa, e benché cercasse ovviamente di nasconderlo sorrideva compiaciuto. «Ian!» «Aspettavi forse qualcun altro?» Lei lo guardò e dimenticò tutto il resto. «Che hai fatto?» domandò. Ian si avvicinò al tavolo e ci depose i sacchetti. «Ho altra roba da prendere, non ti muovere» disse. Uscì di nuovo e tornò con due scatoloni colmi di roba, che posò anche quelli sul tavolo. E infine si voltò verso di lei e si lasciò esaminare. Marcie si alzò dal divano e gli appoggiò una mano sulla guancia. Al posto dei dieci centimetri abbondanti di barba incolta adesso ce n’erano solo due, ben tagliati, morbidi come piume. Anche il collo era rasato a dovere, e anche i capelli erano corti e ben pettinati. «Dov’è finito il mio pazzo selvaggio?» sorrise Marcie. Lui la guardò corrugando la fronte. «Ma tu hai pianto!» «Scusa» fece lei distogliendo lo sguardo. «È una di quelle giornate un po’ storte.» Delicatamente, lui la fece voltare verso di sé. «Che succede?» domandò. «Vuoi parlarne?» «No» disse Marcie scuotendo la testa. «È un argomento che non ti va...» «Coraggio, dimmelo. Perché hai pianto? Hai nostalgia di casa? Ti senti sola?» Lei sospirò. «Bobby è morto un anno fa oggi. Mi ha colta un po’ alla sprovvista.» «Ah.» Ian cinse le sue spalle con un braccio. «Le lacrime sono comprensibili. Mi dispiace, Marcie. Immagino che a volte faccia ancora male...» «Non esattamente. Ma mi sento inutile, capisci?» Marcie si appoggiò a lui. «Sola. Ci sono tante persone che mi vogliono bene, ma a volte senza Bobby mi sento terribilmente sola.» Rise piano. «E sa il cielo che lui non era una gran compagnia.» «Credo di capire» osservò Ian stringendola un po’ più forte. E Marcie pensò che probabilmente la capiva davvero. Vedeva sempre gente, ma non aveva un vero contatto con nessuno. Si scostò da lui e domandò: «Perché ti sei tagliato i capelli?». «Ho pensato di sistemarmi un po’, e magari di portarti fuori.» «No, aspetta un momento. Non avrai creduto che fosse necessario, vero? Per via di quello che ha detto mia sorella?» Ian rise, e sulla sua faccia priva di barba l’emozione divenne chiaramente visibile. «Guarda, se me lo avessi chiesto probabilmente non lo avrei fatto. Non credere di essere più testarda di me... Ho sempre tenuto la barba lunga per via della cicatrice...» Le mostrò la guancia sinistra. «E anche per una posa di menefreghismo.» Marcie scostò delicatamente i corti peli della barba e trovò una cicatrice appena visibile. «Non si nota quasi, Ian. È una riga sottile, non c’è alcun bisogno di nasconderla. Non sei sfigurato, anzi, sei piuttosto attraente» sorrise. «Forse me la ricordavo diversa» osservò lui. «Comunque, stasera c’è la parata di Natale dei camionisti. I conduttori di TIR dell’area decorano i loro veicoli e sfilano lungo un tratto della superstrada. Io la vedo ogni anno, è fantastica. Te la senti... visto che è un giorno particolare?» «Sì, forse è una buona idea» annuì lei. «Uscire, cambiare umore. Perché no.» «Possiamo anche mangiare fuori.» «Ma... tutto questo cos’è?» domandò lei accennando ai sacchetti e alle scatole sul tavolo. «Sono previste pesanti nevicate, e da queste parti ci si premunisce. Ma questa volta ho comprato qualcosa di diverso, nel caso ti fossi stancata delle scatolette. Di solito non mi interessa, ma tu sei una ragazza... perciò ti ho comprato delle verdure fresche e delle uova, che durino un paio di giorni. Non di più, perché se li mettiamo fuori nel deposito gelano.» «Ma... per la toilette? Come facciamo per uscire, se c’è la neve?» «Oh, non è un problema» rise lui. «Libererò un sentiero con la pala. E spalerò anche un accesso alla strada, ma sarà un lavoro lento... e se nevica per un po’, sarà ancora più lento.» «Accidenti. Ma se usciamo stasera, riusciremo a rientrare?» «Qui non ci sono bufere di neve, Marcie. La neve cade, tanta, ma lentamente. Pensavo a un bagno... che ne dici?» Lei si mise le mani sui fianchi e lo guardò torva. «Bada a come parli... Ho fatto il bagno, mi sono lavata i capelli e mi sono anche truccata. Cos’è, vuoi ripulirmi ancora di più?» Ian aggrottò la fronte. «Dicevo, bagno per me, naturalmente. Tu non ne hai bisogno... stai benissimo.» Le passò il pollice sotto un occhio. «A parte il segno di qualche lacrima... ma a questo saprai rimediare. Bene, fammi mettere via questa roba e poi mi scaldo l’acqua per il bagno. Hai qualcosa da leggere – o aspetti l’esperienza più elettrizzante della tua vita?» «Ho qualcosa da leggere, grazie» rise lei. E pensò: alla fin fine gli uomini sono tutti uguali. Ian conosceva un ristorante italiano ad Arcata. C’era stato un paio di volte, e aveva mangiato al banco del bar da solo. Ma questa volta scelse un tavolo per due, ordinò del vino rosso, e lui e Marcie chiacchierarono. Era impossibile riconoscere in lui l’uomo che si limitava a grugnire e non voleva gente intorno. Marcie non fece commenti sul cambiamento. Ormai era lì da dieci giorni, e mancava una settimana esatta a Natale. «Che tipo eri da bambina?» domandò Ian a un certo punto. «Un disastro. Un autentico monellaccio. Non avevo amichette, solo maschi, e riuscivo a batterli tutti anche se combattevo con armi da ragazza – li prendevo a morsi, tiravo i capelli e cose così. Usavo anche la fionda con palline di carta masticata, e mio padre veniva convocato a scuola di continuo. Ero un diavolo dalla testa rossa, la peggiore della classe.» Lui le scoccò un bellissimo sorriso. «Chissà perché non mi stupisce affatto. Adesso ti sai comportare un po’ meglio, ma neanche tanto.» «Poi, in terza media il ragazzo più carino della scuola si prese una cotta per me. Il mio primo pensiero fu: scommetto che posso batterlo. Poi invece pensai: scommetto che posso costringerlo a baciarmi... E mi trasformai in una ragazza nel giro di una notte. Una metamorfosi. Il ragazzo era Bobby... Mia sorella Erin era leziosa e a modo fin dalla nascita, e non immagini quanto mi desse fastidio chiederle aiuto per sembrare carina. Ovviamente questo la faceva gongolare.» «Bobby? Dall’epoca delle medie?» «Già. Stemmo insieme per tutto il liceo e ci sposammo che non avevano ancora diciannove anni.» «Così giovani» osservò Ian. «Eh, sì. Le nostre famiglie volevano che aspettassimo, ma poi si convinsero... noi non riuscivamo a toglierci le mani di dosso, e io credo che i nostri parenti cedettero sperando che ci dessimo una calmata. Il giorno del matrimonio gli amici inventarono una serie di battutacce, per esempio che io portavo i pantaloni della tuta sotto il vestito bianco in modo da poter cominciare subito con la ginnastica... cose così.» «E funzionò? Voglio dire, vi deste una calmata?» «Se non altro non ci tastavamo in pubblico» rise lei. «Adesso però tocca a te, Buchanan. Raccontami. Tu eri la star musicale del liceo, chissà quante ragazze ai tuoi piedi... no?» Ian fece un sorrisetto. «Ero una specie di puttana, lo ammetto...» E lei rise così forte che nel ristorante molte teste si girarono. «Insomma, niente senso morale» disse poi. «Poco» ammise lui. «Rischiai anche di mettere nei guai un ragazza che quasi non amavo.» «Quasi? Vuoi dire che dicevi loro di amarle solo per fartele?» «Cerca di capire, ero un ragazzo!» «Allora lo facevi davvero... ma che cane!» «Ero un cucciolo, piuttosto. I Marine erano stati un’idea di mio padre, ma l’idea gli si ritorse contro. Non solo il Corpo cominciò a piacermi, ma un Marine con la sua bella divisa non fa fatica a rimorchiare le ragazze.» «Mio fratello Drew è un po’ come te. È un bel ragazzo, intelligente e divertente, e ogni mese ha una ragazza diversa. È un tale farfallone che sembra impossibile possa diventare un dottore.» «Un dottore?» domandò Ian con la bocca piena. «Eh già. Frequenta la facoltà di Medicina. Mia sorella è avvocato, mio fratello sarà un dottore, e io ho finito a stento il liceo.» «Oh, andiamo... sono sicuro che eri una studentessa eccellente.» «No. Mi mantenevo nella media del sei quando andava bene. Ma avevo altre cose per la mente, come il divertimento e Bobby. Adesso sono molto più seria.» «Mi sarebbe piaciuto conoscerti allora... dovevi essere un’autentica mina vagante. Che genere di dottore pensi diventerà tuo fratello?» «Di questo passo, sicuramente un ginecologo.» Lo scambio di battute andò avanti per tutta la cena. Per Marcie era tutto molto piacevole e divertente, ma non così diverso da altre occasioni in cui era stata in compagnia a ridere e scherzare. Immaginava che per Ian, dopo la solitudine degli ultimi anni, fosse un evento eccezionale: ma dal modo in cui gli scintillavano gli occhi, pareva che si sentisse bene anche lui. La parata cominciò dopo cena, quando era ormai buio. Ian parcheggiò il pick-up su una strada che sovrastava la statale e per un po’ guardarono lo spettacolo da lì, ma poi decisero che avrebbero visto meglio fuori del veicolo e si sedettero sul cofano. I camion, come aveva detto lui, erano magnifici: decorati con luci intermittenti, con Babbi Natale montati sulla cabina, con scene della natività o paesaggi innevati sul pianale di carico. Erano dipinti di ogni colore dell’arcobaleno, e i guidatori suonavano il clacson a distesa in risposta agli applausi del pubblico schierato ai due lati della strada. Dopo essere rimasta in piedi all’aperto per un’ora, il viaggio di ritorno nel pick-up privo di riscaldamento faceva letteralmente tremare di freddo Marcie. Così Ian suggerì di passare da Virgin River prima di salire su per la montagna. Se non era troppo tardi, disse, potevano bere qualcosa di forte per riscaldarsi. L’albero illuminato, con la magnifica stella ardente come un faro, li guidò fino alla meta. Quando entrarono nel locale di Jack, trovarono alcuni clienti, le luci soffuse e un bel fuoco scoppiettante nel caminetto, e andarono a sedersi al banco di fronte a lui. «Ehi, bene arrivati» sorrise Jack. «Posso fare una telefonata mentre sono qui?» domandò Marcie. «Vorrei assicurarmi che Erin sia tornata a casa sana e salva.» «Ma certo. Intanto ti preparo qualcosa?» «Un brandy, per favore» disse lei scendendo dallo sgabello. «Morbido, e non troppo forte.» «Arriva subito. E per te?» domandò a Ian mentre lei andava in cucina. «Una schnapps.» Jack mise i due bicchieri sul bancone. «Hai approfittato degli sconti natalizi dal barbiere?» domandò. «Molto divertente. Ma il tuo motto non era parla se i clienti parlano, taci se loro stanno zitti?» «Sì, però sappiamo anche leggere le facce. E la tua non ha traccia di infelicità... un look del tutto nuovo.» «Ho portato Marcie a vedere la parata dei camionisti» disse lui. «Tu l’hai mai vista?» «Sì, un paio di volte. Stasera Mel e mia sorella ci hanno portato David, ma io avevo troppi clienti. La gente viene da tutta la contea a vedere quel maledetto albero. Mi aspetto di veder entrare i Re Magi da un momento all’altro.» «È un albero niente male» osservò Ian. «Grazie, ma l’anno prossimo ne faremo uno molto più piccolo. Mel si era fissata con questo albero enorme, ma non hai idea di quant’è stato complicato. A un certo punto abbiamo addirittura pensato di affittare un camion dei traslochi per portarlo in paese.» Ian ridacchiò e bevve un sorso dal suo bicchiere. «Che cosa ti ha portato qui, Jack? A Virgin River?» «Dopo vent’anni nei Marine, vuoi dire? Cercavo un po’ di pace e di tranquillità. Volevo riprendere fiato, e pensare.» «Ma guarda. E io che pensavo di aver avuto un’idea originale.» Jack rise. «Poi è arrivata Melinda, e adesso pace e tranquillità appartengono al passato.» «Certo ti sei messo in una situazione terribile» fece Ian. «Già. Una bella bionda nel mio letto ogni mattina al risveglio» sogghignò Jack. «Ti assicuro, una sofferenza senza fine.» Poi, prima che Ian rispondesse, Marcie tornò e si sedette accanto a lui. «Tutto bene» disse. Bevve un sorso di brandy e sospirò contenta. «È buonissimo, Jack.» «Non so quando hai intenzione di tornare a casa, Marcie» proseguì lui, «ma la vigilia di Natale qui organizziamo una riunione. Dal momento che non abbiamo una chiesa, e il giorno di Natale Preacher chiuderà il locale per passare la festa con la sua famiglia, il ventiquattro la gente del paese si radunerà attorno all’albero con le candele accese, per cantare tutti insieme le carole natalizie.» «Davvero? A che ora?» «Non sarà una messa di mezzanotte, poco ma sicuro» rise lui. «Qui sono quasi tutti rancher o proprietari di fattorie, e cominciano a lavorare all’alba anche il giorno di Natale. So che si pensa di cominciare verso le otto, e che la cerimonia durerà circa un’ora. Noi andiamo a Sacramento per le vacanze, perciò non ci saremo. Ma se sei ancora qui, vieni.» «Oh, lo farò» promise lei. Nonostante il liquore arrivarono a casa morti di freddo, e Ian rifornì di legna la stufa prima di accompagnare Marcie alla latrina. Entrambi tennero addosso giubbotti e stivali fino a quando la capanna non si fu riscaldata. Poi Marcie distese il sacco a pelo sul divano e vi si infilò vestita, togliendo solo gli stivali. Ian stava srotolando il suo giaciglio davanti al fuoco quando la sentì dire sottovoce: «Grazie per la bellissima serata, Ian. È stata la migliore che io abbia trascorso da... da anni». E poi sbadigliò. Lui non si mosse. Una strana sensazione gli bloccava il respiro, gli gonfiava il petto e gli inumidiva gli occhi. No, grazie a te!, avrebbe voluto dire. Ma temeva di non riuscire a tirar fuori la voce. Lei non aveva idea di come lo avesse cambiato, nella mente e nel cuore, il solo fatto di aver qualcuno vicino, con cui parlare e ridere. Quella monellaccia dalla testa rossa era arrivata da lui come un angelo, lo aveva tirato fuori dal suo isolamento e per la prima volta dopo anni gli aveva fatto sentire che viveva, anziché solo esistere. Non era sicuro di meritare quel dono, dopo aver chiuso fuori il mondo come aveva fatto... e dopo aver cercato di spaventarla per rimandarla da dov’era venuta. Il problema era che non credeva di poter tornare alla vita silenziosa e anonima di prima. Eppure non aveva alternative... e non aveva nient’altro, a parte la capanna e due o tremila dollari che gli dovevano durare tutto l’inverno. Non aveva conti in banca, lui, non aveva assegno della sicurezza sociale, non aveva pensione. Poteva mettere in vendita la proprietà, ma probabilmente non avrebbe trovato un compratore per anni. E non aveva nient’altro da vendere o barattare. Avrebbe potuto pregarla di rimanere, ma temeva che non sarebbe mai stato capace di costruirle un bagno interno. Si era lasciato andare poco per volta fino a non avere praticamente nulla, e aveva addirittura assaporato le sue privazioni come se le meritasse. Poi era comparsa Marcie: e d’improvviso lui si era sentito ricco. Si stava preparando a dirle qualcosa come: No, Marcie, sei stata tu a rendere perfetta questa serata, quando la sentì russare sonoramente. Scrollò la testa e ridacchiò tra sé. Dormiva bene su quel divano pieno di bozzi. Segno che era in pace, anziché provare irritazione per tante scomodità. In questo si somigliavano, loro due. Lei sapeva adattarsi al poco, come lui, eppure nella sua vita aveva tanto di più: la famiglia, il lavoro, gli amici. Una vita piena. Ian sfilò i jeans e indossò una tuta, poi si sdraiò davanti alla stufa. Ma il sonno tardava a venire. Pensava a come la sua vita fosse cambiata di botto, come adesso sembrasse piena di possibilità, mentre solo due settimane prima lo aspettava un’infinita serie di giorni tutti uguali, per sempre. Da tempo non pensava a che cosa sarebbe stato di lui in futuro; e anzi, sembrava che un futuro non ci fosse per niente. Le vecchie abitudini sono dure a morire. Per un attimo pensò che era il momento di ignorarla, di respingerla, e che le strane emozioni di quella sera sarebbero svanite molto presto. Ma sapeva di non volerlo fare. No, avrebbe permesso che gli accadesse questo miracolo per un altro po’. Lei avrebbe riempito la sua vita di gioia, poi sarebbe partita; e lui avrebbe esaminato i suoi sentimenti in un secondo tempo. Poteva pensare a lei come a un regalo di Natale. Un meraviglioso assaggio di quello che avrebbe potuto essere la sua vita in altre circostanze. Gli ci volle parecchio per addormentarsi. E si era appena assopito che sentì un rumore e riaprì gli occhi. Marcie era vicino a lui, avvolta nel sacco a pelo e con i capelli ritti in testa per averci dormito su. «Ho freddo, anche con il sacco a pelo» disse. «Metto un altro po’ di legna» rispose lui. Si alzò e aggiunse due ciocchi nella stufa. Poi si sdraiò di nuovo lasciandole un po’ di spazio e l’attirò a sé. «Vieni qui, ragazzina. Fatti scaldare.» «Mmh... proprio quello che mi ci voleva.» «Anche a me» sussurrò lui dandole un leggero bacio sulla tempia. «Posso dirti una cosa?» Ian rise. «Non sei ancora stanca di parlare?» Lei lo ignorò. «È quella faccenda del matrimonio... sai, con Shelly.» «In questo momento non ci pensavo proprio» replicò lui attirandola più vicino. «Sì, ma vedi, volevo solo dirti... ho preso parte a quattro matrimoni, compreso il mio. E tutte le spose, a un certo momento, arrivano alla fase in cui contano solo loro e la loro cerimonia. È facile dimenticare che l’aspetto importante è il matrimonio, non la cerimonia. Poi la realtà riprende il sopravvento. Certe spose sono peggiori di altre... ma probabilmente Shelly non intendeva dire quello che disse.» Ian tacque per un attimo, incapace di richiamare alla memoria il viso di Shelly. Poi domandò: «Quattro?». «Mmh?» «Quattro matrimoni?» «Già. E sono stata due volte madrina. Anzi a marzo lo sarò di nuovo, perché la mia amica Mable aspetta il suo primo figlio.» Ian ridacchiò. «Hai davvero un’amica che si chiama Mable?» «Sì... lei sostiene che è la vendetta di sua madre per tutte le nausee che le ha provocato durante la gravidanza. Ma noi la chiamiamo Maybe. Suo marito si chiama William detto Will, e tutti gli amici li chiamano Maybe Will.» «Hai un sacco di amici. Sono contento per te» osservò lui. Lei si accoccolò contro la sua spalla. «E adesso ho anche te, e ne sono molto contenta.» Sbadigliò di nuovo. «Ma questo ti volevo dire a proposito del matrimonio con Shelly... credo che ti sia andata molto meglio così.» Lui rise. Oh, eccome, pensò. Non ero destinato a finire con Shelly. «Adesso basta parlare» mormorò lei. «Bene.» Ian chiuse gli occhi, ma un ultimo pensiero si affacciò alla sua mente. Le rare volte che si era concesso di pensare a Marcie, l’aveva sempre immaginata sola e disperata. Ma non aveva capito invece che era una moderna Abigail Adams, instancabile, positiva, ottimista. Non aveva mai pensato che potesse essere così. Benché stesse sulla cima della montagna, non vedeva così lontano come amava credere. 13 Marcie si svegliò sentendo che qualcosa le toccava i capelli. Aprì gli occhi e si trovò a fissare quelli castani di Ian. Era appena l’alba, e lui le stava accarezzando i riccioli rossi. «Buongiorno» disse lei ancora assonnata. Ian non disse nulla, si chinò e appoggiò le labbra su quelle di lei, dolcemente. Marcie avvertì il tocco della sua barba, la morbidezza di quelle labbra sulle sue, e chiuse gli occhi. Dopo un momento gli cinse il collo con un braccio e sospirò contenta. Ian si staccò da lei. «Tesoro... siamo sepolti dalla neve.» «Bene.» Lui le ravviò i capelli dietro l’orecchio «Ero geloso di Bobby, sai» disse dopo un po’. «Attento... stai parlando dell’argomento proibito.» «Sono disposto a dirti tutto quello che vuoi. Eravamo tutti un po’ gelosi di Bobby, perché lui aveva te. Ed eri speciale... gli avevi mandato un paio di mutandine.» Lei arrossì e lo guardò con gli occhi sgranati. «Te le fece vedere?» esclamò. «Le fece vedere a tutti» ridacchiò Ian. «Erano molto succinte... verde mela, mi pare, con dei bordi di pizzo nero.» «Non posso credere che le mostrasse a tutti!» «Oh, ne era molto fiero. Le teneva nella tasca interna, come un amuleto. E poi gli mandasti quella tua foto sulla motocicletta...» Lei si coprì la faccia con le mani. «Sono mortificata» disse con la voce soffocata. Ian le scostò le mani e la baciò di nuovo. «Sicché la notte in cui sono quasi morta assiderata era la seconda volta che mi vedevi con indosso la sola biancheria» osservò lei. «Tecnicamente ho visto la tua biancheria parecchie altre volte. In un paio di occasioni, tornando a casa ti ho trovata addormentata con il sederino che spuntava dalle coperte... senza contare tutte le tue cose che asciugavano sul bordo della vasca da bagno.» Sospirò lievemente. «E darei la vita per vederti di nuovo così.» Marcie sgranò di nuovo gli occhi, poi si lasciò sfuggire una risatina. «Nella mia limitata esperienza ho sentito diverse avance... ma questa è proprio nuova. Dovrò spararti dopo che ti ho lasciato guardare?» «Se ti dicessi che dovrai spararmi per impedirmelo, ti spaventerebbe?» «Non mi spaventi affatto, Ian. So che mi proteggerai sempre – anche contro di te.» Lui coprì di piccoli baci la sua faccia. Il suo respiro si stava facendo più affannoso, la sua voce più sommessa. «Voglio dirti una cosa. L’idea che qualcosa del genere potesse accadere tra noi non mi aveva mai nemmeno sfiorato la mente, finché...» «Finché?» lo incitò lei in una pausa. «Finché non sei tornata. Ma non è necessario che accada, sai. Dimmelo, se non vuoi.» «Oh, Ian» rise lei, «quanto parli!» Le pagliuzze dorate negli occhi di lui si accesero, e la sua bocca coprì quella di lei con forza e passione. Un braccio passò sotto di lei per stringerla meglio; il braccio di lei ricambiò, attirando Ian contro di sé. Il corpo di Marcie si inarcò, incollandosi a lui, avido, esigente. Doveva averlo, ma non per puro desiderio fisico. Era proprio lui che voleva, Ian, a cui ormai era legata in modo indissolubile. Senza interrompere il bacio Ian cominciò ad accarezzarla, poi insinuò la mano sotto la maglia di lei per sfiorarle i seni, sospirando di piacere. E poi l’aiutò a sfilarsi la maglia e i jeans, facendoli scivolare lungo i fianchi e le gambe. Infine si tolse la T-shirt e rimase lì, a contemplarla. «Dio mio» disse in un sussurro colmo di reverenza. «È così che mi guardavi la sera che mi hai salvato la vita?» domandò Marcie. «Quando mi hai spogliata e mi hai tenuta stretta per riscaldarmi?» Lui crollò la testa, con un sorrisetto malizioso sulle labbra. «Allora non avevo in mente niente di divertente. Ma questa volta sì...» «Bene» disse lei chiudendo gli occhi. «Molto bene.» Allora Ian ricominciò a baciarla, sul collo, le spalle, il petto, il ventre. Insinuò un dito sotto l’elastico delle mutandine – molto succinte, come sempre – e disse: «Avrei voglia si strappartele a morsi...». Lei ebbe un piccolo brivido. «Posso sempre comprarne delle altre.» Ian rise, una profonda risata di gola. Questo era uno dei tratti che amava in lei, la sua voglia di scherzare. Ma amava anche il suo corpo minuto, solo in apparenza fragile... e i suoi capelli di fiamma, i suoi occhi verdi come smeraldi. Forse sarebbe stato più facile elencare quello che non gli piaceva – ma non riusciva a trovare proprio niente. Per prima cosa fece sparire il reggiseno, e accarezzò i piccoli seni con la lingua strappandole dei gemiti di piacere. Poi abbassò la testa, prese tra i denti l’elastico delle mutandine e le tirò giù facendole scivolare lungo le gambe. Finì di sfilarle con la mano e poi tornò a baciarla sulla bocca, a lungo. «Una rossa naturale» osservò carezzandole i fianchi e le natiche sode. «Come potevi dubitarne?» ribatté lei. «Specialmente dopo due settimane fra i boschi...» «Marcie, tesoro» sussurrò lui. «Voglio sentire che sapore hai. Devo, capisci?» «Dio mio» sussurrò lei. «Se devi...» E dischiuse le gambe. Ian si abbassò e seppellì il volto tra i riccioli rossi, finché sentì le dita di lei che gli afferravano i capelli e udì le sue piccole grida di estasi. Si rialzò e raggiunse la sua bocca. «Amore, sei pronta» sussurrò. «Per te. Sono pronta per te.» Allora, con un calcio, lui si liberò dei pantaloni della tuta e si abbassò tra le gambe di lei. La trovò, la penetrò lentamente, ma lei aveva fretta e si inarcò contro di lui, attirandolo più a fondo dentro di sé. Fissandosi negli occhi, le labbra che si toccavano appena, rimasero immobili per un momento assaporando la gioia di essere uniti. Poi Marcie chiuse gli occhi con un sospiro e lui cominciò a muoversi, dapprima trattenendosi, poi aumentando il ritmo, spingendosi più a fondo dentro di lei, finché non accadde tutto insieme: le dita di lei che gli artigliavano le spalle, le anche spinte in alto verso di lui, e una serie di fremiti pulsanti che lo avvolsero in un fuoco liquido. Solo allora cedette e si abbandonò, seguendola nell’estasi. Poi la tenne stretta a lungo, con le labbra sul suo collo, mentre il loro respiro si faceva più calmo e i corpi madidi di sudore si rilassavano. «A che hai pensato mentre accadeva?» domandò lei dopo un po’. Ian rispose la semplice verità. «Pensavo: grazie a Dio non ho dimenticato come si fa.» Marcie rise di gusto e gli carezzò la schiena. «E tu?» «Oh, io ho pensato: Grazie a Dio non ha dimenticato come si fa.» Ma lui non rise. Le accarezzò i capelli e sussurrò: «Sei davvero speciale, tu. Non pensavo che accadesse, ma...». E non terminò la frase. Marcie gli appoggiò una mano sulla guancia. «È bello quello che mi dici, Ian. Sei speciale anche tu. Infatti ti ho permesso di spogliarmi dopo neanche dieci giorni che ti conosco.» «Be’, mi hai permesso ben di più.» «Perché volevo che tu facessi l’amore con me. Penserai che sono una cattiva ragazza.» «Infatti sei una cattiva ragazza, la migliore che ci sia al mondo – come a scuola eri la peggiore monellaccia di tutti. Ma sei anche la cosa migliore che mi sia mai capitata. Stavo morendo, lo sai... e tu hai cambiato la mia vita. È quello che hai sempre voluto, no? Cambiare le cose... essere diversa da tutti. Come la tua diletta Abigail.» «È la frase più carina che mi abbiano mai detto» sorrise lei. Ian sfiorò le sue labbra con un bacio. «Non ti sto schiacciando?» domandò. «No. E non muoverti, per favore. Voglio godermi la sensazione di essere parte di te.» Lui avrebbe voluto dirle che sarebbe stata parte di lui per sempre – ma non voleva spaventarla. «Va bene. E allora, se sei d’accordo, ti vizierò un po’.» «Sembra interessante... come hai intenzione di viziarmi, sentiamo?» «Per cominciare eviterò di spalare la neve per liberare la strada» rispose lui. «Che ne dici?» «Mi sembra un paradiso» sorrise Marcie. «Un vero paradiso.» Finalmente Ian e Marcie si vestirono con una certa riluttanza e uscirono per controllare a che punto era la neve. La neve continuava a cadere, lentamente, dolcemente, e si accumulava sul terreno. Marcie uscì per usare la latrina per prima, poi toccò a Ian. E quando uscì, si ritrovò da solo. Probabilmente lei era tornata in casa, al caldo, pensò preparandosi a seguirla. Fece qualche passo, e venne colpito in piena faccia da una palla di neve. Si ripulì e vide Marcie che faceva capolino da dietro un albero, ridendo. «Te l’avevo detto, no, che ero brava a softball? Infatti ho fatto centro!» Ian si mise all’inseguimento con un ruggito che venne accolto con una gran risata. Era più forte di lei e più abituato a camminare nella neve, ma lei era agile e veloce e riuscì a colpirlo con due o tre palle di neve mentre gli sfuggiva. Corse tra gli alberi, girò attorno al deposito degli attrezzi, si beccò un paio di proiettili nella schiena ma li ricambiò. La caccia finì quando inciampò in una radice nascosta dalla neve e atterrò a faccia in giù. Ian corse al suo fianco e la girò, preoccupatissimo, ma vide che rideva e sputacchiava la neve che aveva ingoiato. Non c’era niente che la disturbasse?, pensò lui. Che la spaventasse, o la facesse entrare nel panico? Si chinò a baciarla con passione, e quando fu in grado di parlare, lei disse: «Aspetta... prima di rientrare facciamo gli angeli di neve!». «Non me lo sogno nemmeno» replicò lui. «Se Buck mi vedesse, mi sarei rovinato la reputazione per sempre.» «Uno solo, dai... Il tuo sarà bello grande, come l’arcangelo Gabriele.» «Poi però rientriamo? Basta con le stupidaggini qui fuori?» «Ma io pensavo che fare stupidaggini fosse la tua attività preferita!» replicò lei raccogliendo una manciata di neve e strofinandogliela in faccia. Con un ruggito lui balzò in piedi, se la caricò su una spalla come un sacco di patate e la riportò nella capanna. Prima di entrare la rimise in piedi e le spazzò via la neve dagli abiti, poi fece altrettanto con i propri. «Hai dimenticato come si gioca» lo accusò lei. «Tu giochi abbastanza per tutti e due.» Entrò, e senza togliersi il giaccone mise a scaldare dell’acqua. «Ti do un po’ di privacy mentre spalo il sentiero fino alla latrina e aggancio lo spazzaneve al pick-up. Ce la fai a sollevare le pentole da sola?» «Ma come, liberi la strada così presto?» domandò lei delusa. «Non proprio. Faccio un paio di passaggi fino alla strada, ma non c’è bisogno che gli altri lo sappiano. Voglio solo evitare di restare bloccato per davvero. Mi fai un favore? Quando hai finito con il tuo bagno, scaldi dell’acqua anche per me?» «Ma certo» sorrise lei. «E se sarai molto gentile con me può darsi che ti lavi la schiena.» L’inverno era sempre stato un peso per Ian, e spalare la neve per avere accesso alla latrina e alla strada era una gran fatica. Ma la pesante nevicata di quella notte era stata una benedizione. Sarebbe stato bello tenere Marcie prigioniera nella capanna per due settimane... ma in realtà non poteva permettersi che un giorno e una notte. Dopo aver spalato un sentiero fino alla latrina, Ian agganciò la lama spazzaneve al pick-up e lo caricò con della legna per renderlo più stabile. Coprì la legna con un telo cerato e scese lentamente lungo la strada d’accesso alla capanna. C’erano circa cinquanta centimetri di neve, ma se avesse liberato la strada quel giorno l’indomani non sarebbe stato così difficile rifare il percorso. Un paio di miglia più a valle abitava un vecchio che non possedeva una lama spazzaneve, e il cui trattore era abbandonato e fuori uso fin da quando Ian era arrivato fra quelle montagne. La strada d’accesso dalla casa del vicino fino alla statale non era molto lunga; Ian decise che l’indomani sarebbe andato da lui per assicurarsi che avesse cibo a sufficienza, e gli avrebbe liberato la strada. Non erano amici, e in quegli anni si erano scambiati sì e no qualche parola. Ma Ian non sopportava l’idea che l’uomo potesse morire di fame o di freddo, abbandonato a se stesso. Fargli visita non gli sarebbe costato niente. Quando finalmente ritornò alla capanna, Marcie esclamò: «Alla buon’ora! Credevo di dover uscire per venire a darti una mano!». Lui si tolse i guanti. «La strada è libera, se per caso dovessimo andarcene da qui. Ma non vedo perché dovremmo... È pronta la mia acqua calda?» «Sissignore. E se ti comporti bene ti cucino due uova, prima che vadano a male.» Lui si tolse il giubbotto e lo appoggiò sulla spalliera di una sedia. «E adesso, mentre mi tolgo i vestiti e mi lavo, tu leggerai il tuo libro?» domandò. La risposta fu un sorrisetto malizioso. «Nemmeno per sogno!» Furono solo due notti e un giorno, ma per Ian furono un ritorno alla vita – e per Marcie, pura magia. Mangiarono molto, fecero l’amore, sonnecchiarono di fronte alla stufa, parlarono. La fine del secondo giorno li trovò sdraiati insieme sul divano, Ian appoggiato al bracciolo e Marcie accoccolata contro di lui, con la testa sul suo petto. La grossa mano di lui le accarezzava i capelli di fuoco, facendoli scorrere tra le dita. «Dimmi qualcosa di più di tua sorella» disse. «Non vi somigliate per niente...» «Per niente» confermò lei. «Ma ci sono tre Erin diverse. Se vuoi i dettagli mettiti comodo.» «Sono comodissimo» sorrise lui. «Ecco, mentre crescevamo e lei era tanto più grande di noi, era solo una sorella maggiore molto autoritaria. Credo sia nell’ordine naturale delle cose, ma ancora di più quando manca la madre. La figlia maggiore ne assume il ruolo, e spesso è una gran seccatrice. Ma quando perdemmo anche nostro padre e lei si ritrovò da sola a badare a noi, le cose cambiarono. Eravamo troppo grandi per essere accuditi come prima: avevamo tredici e quindici anni, ci adattavamo a modo nostro, avevamo le nostre vite. Io avevo Bobby, Drew aveva lo sport e gli amici. A pensarci bene fummo davvero ingrati, perché non offrimmo alcun sostegno morale a Erin. Lei stava cominciando la facoltà di legge, che era davvero impegnativa, e noi non le dicevamo nemmeno un parola di incoraggiamento... ma eravamo degli stupidi ragazzini egoisti, che non capivano niente.» «Glielo dicesti, naturalmente» osservò lui. «Quando te ne rendesti conto.» «Naturalmente. Stavo per mettere di nuovo a soqquadro la sua vita, ma se non altro all’epoca lei era già un avvocato e lavorava in un buono studio legale. Fu allora che gettai la bomba del matrimonio. Lei cercò di farmi ragionare, ma io avevo una sola cosa in mente. Ci furono feroci litigi e pianti disperati, ma alla fine Erin fece quello che avrebbe fatto nostro padre, e mi regalò una magnifica cerimonia.» «Te la regalò lei?» «Lei o mio padre, dipende da come vedi la cosa. Dopo la morte di papà, Erin aveva tenuto da parte il denaro della sua assicurazione per pagare gli studi a me e Drew. Ma io non volevo studiare, non mi interessava, volevo solo sposare Bobby. E dal momento che non riusciva a convincermi, Erin fece l’unica cosa che mi avrebbe resa felice. Io sapevo che disapprovava ferocemente la mia decisione, ma durante la cerimonia fu magnifica e sorrise tutto il tempo. Non era dispiaciuta perché si trattava di Bobby, anzi lo adorava. Era solo perché eravamo tanto giovani. Poi Bobby tornò a casa, invalido. E mia sorella, che avevo contrastato e contraddetto per anni, si trasformò nel mio sostenitore più tenace. Mise a frutto il suo cervello acutissimo e la sua preparazione legale per ottenere tutti le agevolazioni disponibili dal Corpo dei Marine. Sai com’è, vero, cercare di ottenere qualcosa dai militari... bisogna essere ostinati, non mollare mai la presa. Dei veri bulldog. Certi hanno dei colpi di fortuna e ottengono case più grandi o l’assistenza di CHAMPUS, ma altri devono aspettare e aspettare finché non si smuove qualcosa. E questo richiede energia, e tempo. Erin fece migliaia di telefonate, scrisse centinaia di lettere, si rivolse addirittura al senatore del nostro stato. E infine trovò quella meravigliosa casa di cura. Tu l’hai vista, no? Bella, elegante, perfetta. Be’, si sporcava le mani anche lei, aiutava a lavare Bobby, a cambiare le lenzuola, a lavargli i denti, a mettergli le gocce negli occhi. Lo teneva fra le braccia e gli parlava, come tutti noi. Dava una mano in tutti i modi. Fu davvero magnifica.» Ian sentiva un nodo in gola. Cercò di vedere nel ruolo di infermiera la donna piena di arie che era venuta a portar via Marcie. Non riusciva nemmeno a immaginarla mentre usciva nella neve per una spedizione a l l a toilette, come amavano chiamarla scherzosamente. «E sono queste le tre Erin?» «No, sono le prime due. La sorella maggiore autoritaria e maligna e la figura materna dominante. Poi c’è quella che hai conosciuto, l’avvocato di successo. Guadagna bene, i clienti sono soddisfatti di lei e i soci dello studio la portano in palmo di mano. La sua principale preoccupazione siamo ancora Drew e io, e lei si adopera perché possiamo avere tutto quello che ci occorre. Ma ha trentaquattro anni, ed è sola. Ha avuto qualche fidanzato – che è durato molto poco – ma viviamo tutti e tre nella stessa casa, a parte il breve periodo in cui io ho vissuto con Bobby. Erin non ha altro nella vita, a parte noi. Ci ha dato tutto. Appare fredda, autoritaria e forse calcolatrice, ma in realtà ha sacrificato tutto a noi, anche la sua vita privata. Alla sua età dovrebbe essere sposata, o almeno innamorata di qualcuno. Invece ha passato ogni minuto libero ad assicurarsi che noi non mancassimo di niente – io con Bobby, Drew al college e poi all’università. Non hai idea dell’impegno e del denaro che ci vogliono per studiare medicina. Drew non ce l’avrebbe mai fatta senza Erin, così come io non avrei saputo che fare con Bobby senza il suo aiuto. Le devo moltissimo. Ci litigo quando cerca di farmi fare quello che vuole, ma le devo tutto.» Ian la baciò sulla tempia. «Già, pare anche a me.» «Ecco perché le ho promesso di essere a casa per Natale» disse Marcie. Si voltò a guardarlo. «Vorrei stare qui per sempre, ma gliel’ho promesso. E non è solo per Erin, c’è anche la famiglia di Bobby. Mi considerano un figlia e una sorella, tutto quello che abbiamo passato insieme ci ha legati per sempre.» «Lo capisco. Te la sei cavata molto bene quassù. La vita qui è dura.» «Non è poi così dura. Certo, ti si gela il didietro quando la natura chiama, e adesso mi porto sempre la padella pesante... Ma uscirei a gelarmi quando vuoi, pur di vedere quel cervo che ti mangia in mano.» «Be’, il trucco del cervo addomesticato dopo un po’ ti verrebbe a noia» sorrise lui avvolgendosi un ricciolo rosso attorno al dito. «Quando hai deciso di venire quassù, che cosa credevi che sarebbe successo?» «Questo certo no» rise lei. «Anzi, lo ritenevo proprio impossibile.» «Ma che cosa volevi?» «La pace» rispose Marcie. «Per entrambi. Volevo dirti quello che era successo nel mondo, e volevo assicurarmi che stessi bene in modo che tutti e due potessimo riprendere a vivere con l’animo in pace.» Si raddrizzò e si inginocchiò tra le lunghe gambe di lui, guardandolo in faccia. «Ian, perché l’hai fatto? Perché sei rimasto qui così a lungo, senza farti vivo con nessuno?» «Te l’ho detto, ero accampato qui e...» Marcie scrollò il capo. «No, c’erano altri motivi. Capisco che tu ti sia imbattuto in questo posto e abbia finito col fermarti, ma non ci fu un evento traumatico che ti spinse a lasciare il mondo?» Ian aggrottò la fronte. «Credi che debba essere per forza così? Jack mi ha detto che è venuto quassù per stare solo e riflettere...» «Sì, ma poi si è messo a lavorare. E nella sua vita ci sono parecchie persone che dipendono da lui. Il tuo mi sembra un caso diverso. Fu per colpa di Shelly? Per la faccenda del matrimonio?» «Fu tutto quanto» disse lui accarezzandole una guancia. «Troppo, e tutto insieme. Fallujah e Bobby. Shelly e mio padre...» «Ma non ti è pesato lasciare Shelly?» insistette lei. Ian distolse lo sguardo per un momento. «Ti faccio una domanda. Shelly ti ha mai telefonato? Ha mai fatto visita a te e Bobby? O sei stata tu a metterti in contatto con lei?» «Stavo cercando te...» La risposta fu sufficiente. «Nelle mie lettere, prima dell’incidente a Fallujah, avevo suggerito a Shelly di telefonarti. Vivevate nella stessa città. Bobby era un mio amico.» «Sì, ma vedi...» «Lo so, lo so. Quello che accadde a me e Bobby fu una delle ragioni principali per cui dovetti prendermi un po’ di tempo. Shelly sapeva quello che era accaduto, sapeva che Bobby era invalido e che tu lo curavi. Sapeva che eri stata in Germania, poi a Washington e infine a casa, eppure non ti scrisse nemmeno un biglietto, né ti chiamò. Viveva nella tua stessa città, il migliore amico del suo fidanzato era in quelle condizioni, e io avevo rischiato la vita per portarlo in salvo...» Ian fece una smorfia amara. «Non credevo che fosse quel tipo di persona. Credevo che fosse generosa, che avrebbe...» «Ian» lo interruppe lei, «quando tornammo a Chico nemmeno io la cercai di nuovo. L’ho fatto solo quando ho deciso di ritrovare te.» «Di nuovo?» domandò lui scrutandola. Colta in fallo, Marcie abbassò gli occhi. «Prima di Fallujah le avevo telefonato» confessò. «Dato che tu e Bobby eravate buoni amici, pensavo che avremmo potuto vederci... ma lei era molto occupata. Si fece dare il mio numero e disse che se avesse avuto un po’ di tempo libero mi avrebbe telefonato.» «E non trovò mai il tempo, vero? Non me lo disse mai, ma io lo sospettavo.» Ian inspirò a fondo. «Tu eri presa giorno e notte dalle cure a Bobby, lei organizzava un matrimonio. La differenza è spaventosa. Scopro che Shelly aveva un visione limitata, vedeva solo quello che le interessava. E non sono sicuro che io facessi parte di quella visione.» Le sfiorò di nuovo una guancia. «Avevi ragione, mi è andata proprio bene. Non ne ero sicuro, ma sapevo che c’era qualcosa di storto in tutta la faccenda.» «Già... oltre a tutto il resto» disse Marcie. «E tuo padre? Che cosa fece, lui?» Ian distolse di nuovo lo sguardo. «Niente che non avesse fatto tutta la vita» ammise poi. E poiché voleva essere sincero con lei, continuò: «Era sempre stato molto difficile da accontentare, pensava che facendomi costantemente pressione sarei diventato un uomo, ma non lo ero mai abbastanza. Io avrei voluto un parola di elogio, un sorriso di incoraggiamento, ma non li ebbi mai». «E tua madre?» Lui sorrise teneramente. «Oh, mia madre era incredibile. Lo amava, qualunque cosa facesse lui. E con lei io non dovevo fare niente di speciale per farmi considerare un eroe. Se cadevo a faccia in giù lei sorrideva orgogliosa e diceva: Hai visto come sa cadere bene? Che bravo!. Quando ebbi la parte in quel musical lei pensò che fossi l’attore più bravo che la città avesse mai visto, ma mio padre mi domandò se ero gay.» Fece una risatina amara. «Mia madre era la persona più generosa, gentile e dolce della terra. Sempre positiva, sempre paziente. Mio padre poteva avere uno dei suoi attacchi di umor nero e trovava che tutto andava storto: la cena non sapeva di niente, la partita in TV non si vedeva bene, la batteria della macchina si stava esaurendo, il suo lavoro era uno schifo, i vicini erano troppo rumorosi... E mia madre, invece di dirgli: Ma perché non ti decidi a crescere, vecchio stronzo brontolone, sorrideva. “John” diceva, “scommetto che ho qualcosa che ti farà tornare il buonumore... oggi ho fatto la torta al cioccolato.”» Marcie sorrise. «Era meravigliosa.» «Oh, sì. Anche quando lottava contro il cancro era così forte, così serena che io ero convinto che ce l’avrebbe fatta. Mio padre, invece, era sempre più cupo e irascibile. E sì che l’avevo capito abbastanza presto, lui era fatto così e basta. Non mi aveva mai picchiato, non alzava nemmeno la voce. Non si ubriacava, non spaccava i mobili, non si dimenticava di andare al lavoro, ma...» «Ma che faceva?» domandò lei. Ian batté le palpebre due o tre volte. «Sapevi che mi avevano dato delle medaglie per aver salvato Bobby a Fallujah?» Marcie annuì. «Anche Bobby ne ricevette.» «Bene, mio padre era presente quando fui decorato. Se ne stava lì, ritto come un fuso, e ringraziava tutti quelli che si congratulavano con lui. Ma a me non disse una parola. Qualche tempo dopo, quando gli comunicai che lasciavo i Marine, mi disse che ero un fallito, che non sapevo apprezzare i privilegi che avevo. E poi disse...» Ian si interruppe per un momento e deglutì. «Disse che non si era mai vergognato tanto di me in tutta la vita, e che se me ne fossi andato non sarei più stato suo figlio.» Invece di scoppiare in lacrime per simpatia, Marcie gli carezzò la guancia e sorrise. «Insomma, è stato lo stesso per tutta la vita.» Ian fece un sorrisetto malinconico. «Lo stesso. Un maledetto figlio di puttana.» «Non ci sono scuse per uno così» disse lei. «La gentilezza non costa nulla!» Ian inarcò un sopracciglio. «Davvero?» «Davvero. Dovrebbe vergognarsi. Tutti possono essere almeno civili, e invece quando l’ho visto ho capito subito che era un uomo sgradevole e meschino.» «Tra un po’ mi dirai che non sarò mai veramente libero finché non l’avrò perdonato» commentò lui. «Sai come si dice, non per la persona che è stata orribile, ma per te stesso.» «Da me non lo sentirai dire di sicuro» disse lei. «Certo, se fosse lui a chiedere perdono...» «Nooo... non succederà mai.» «Già, non me lo aspetterei neanch’io. L’ho conosciuto, ricorda. E niente di quello che mi hai detto mi stupisce.» «Io non lo odio, giuro, ma non vedo perché dovrei prendermi il disturbo di dirgli: Per me va benissimo se sei il più gelido figlio di puttana di questo mondo. A che scopo?» Marcie gli appoggiò la testa sulla spalla. «Già, perché dovresti? È molto improbabile che cambi, Ian, e tu certo non puoi far niente per cambiarlo. Adesso capisco. Adesso andrà tutto bene.» «Che cos’è che capisci?» «Eri ferito nell’anima. Avevi perso il tuo migliore amico anche se se tecnicamente era ancora vivo – una complicazione che probabilmente rendeva tutto ancora peggiore. La tua storia d’amore vacillava. Questo succede molto spesso, quando un soldato torna a casa da una zona di guerra... scommetto che succedeva già all’epoca della prima guerra mondiale se non prima. Peccato che sia andata così, ma non credo che tu avresti potuto rimediare. Naturale che ti servisse un po’ di tempo...» «Adesso capisco che avrei avuto bisogno di aiuto. Ma se qualcuno me lo avesse offerto allora, gli avrei spaccato la faccia.» «Ne sono sicura. Probabilmente avevi una quantità di rabbia repressa – e avevi tutto il diritto di averla. Il minimo che una persona possa fare in questi casi è cercare di capire ed essere paziente. Chi ti voleva bene avrebbe dovuto...» «Be’, si è scoperto che non avevo nessuno che mi volesse bene» disse lui sottovoce. Marcie alzò la testa e lo fissò negli occhi. «Adesso ce l’hai. E voglio ringraziarti, perché dovevo capire che ti era successo. Non volevo altro, e tu non eri obbligato a dirmelo ma lo hai fatto.» Ian le ravviò una ciocca di capelli. «Però avevi una tua idea su quello che sarebbe successo quando mi avessi trovato. Ammettilo.» «Be’, sì» ridacchiò lei. «Ma non comprendeva del sesso favoloso. Pensavo che ti avrei trovato, ti avrei detto alcune cose che ti avrebbero messo l’animo in pace, e poi ti avrei riportato a casa.» «A casa?» «A Chico, o in qualsiasi posto ti sentissi a casa. Molti del tuo squadrone venivano a visitare Bobby e mi domandavano se sapevo dov’eri. Non eri solo come pensavi – ma adesso credo che avresti qualche difficoltà a rintracciarli. Sei stato lontano troppo a lungo. Quando la gente pensa che non la vuoi vedere, alla fine ti lascia in pace.» «Non tutti» rise lui. «Te l’ho detto, posso essere più testarda di te.» «Allora, dimmi di questa faccenda del perdono che non accetti» riprese lui. «Oh, Ian, sono nella tua stessa situazione. Se qualcuno mi facesse qualcosa di orribile e non si scusasse mai, né mi chiedesse perdono, io certo non mi darei la pena di perdonarlo.» «E che mi dici di Dio?» «Dio capisce tutto, ma perfino lui fa degli errori ogni tanto. Guarda la dimensione dei semi di avocado, per esempio. Troppo grossi. E i melograni, con tutti quei semi? Che spreco!» Lui rise forte. «E allora come si fa per non avercela con chi si comporta male con noi?» Marcie lo guardò di nuovo negli occhi, e il suo sguardo color smeraldo era pieno di dolcezza. «Li accettiamo per quello che sono, e se non possiamo amarli come fratelli cerchiamo di capirli e lasciamo che se la vedano da soli con i loro problemi. Buon Dio, questa non è già un’impresa? Accetta tuo padre com’è, Ian, un povero stronzo che non è mai stato felice un solo giorno in vita sua. E a cui tu non somigli affatto.» Lui cercò inutilmente di trattenere le lacrime. Passarono alcuni minuti durante i quali Marcie guardò quegli occhi umidi senza paura. Ormai non temeva più nulla, né la sua collera né i suoi ruggiti, e nemmeno le lacrime. «Come fa una ragazza così giovane e così testarda ad acquisire tanta saggezza?» domandò Ian dopo un po’. «Saggezza? Non credo di averla, ho solo imparato a resistere. Non ho sofferto quello che hai sofferto tu, ma ho fatto del mio meglio... tutto qui. E voglio dirti un’altra cosa, Ian. Non ti ho amato solo con il mio corpo. Ci ho messo anche il cuore, spero che tu lo sappia.» «Oh, lo so.» La baciò dolcemente, poi domandò: «E che cos’ha che non va? Mio padre, intendo. Mi hai detto che era malato». «Ha avuto il cancro alla prostata ed è ancora sotto chemioterapia, ha il morbo di Parkinson, è reduce da un leggero attacco cardiaco e temo che soffra anche di demenza senile. Ma potrebbe durare anni.» Sorrise e aggiunse: «Potresti tornare a casa con me, per Natale». Ian tacque per un momento. «No. Non credo.» «Perché no? Temi che la gente della contea rimanga senza legna da ardere? O che la capanna venga sepolta dalla neve?» Lui le sorrise. «Piccola, non posso negarlo: tu hai cambiato la mia vita in soli dieci giorni, ma non abbastanza da ripulirmi e riportarmi in città. Tu e io... be’, è molto bello, ma credo che non sia destinato a durare. Non doveva nemmeno accadere.» «Ma non ti dispiace che sia accaduto» disse lei. «Sai bene che non mi dispiace. Ne sono felice.» «Forse, se mi fermassi un po’ di più...» «Credi che mi convinceresti? Che potresti trasformarmi in un uomo diverso, che potresti strapparmi dalla mia capanna cadente e fare di me un uomo civilizzato?» Marcie scrollò il capo. «Non mi è mai venuto in mente niente del genere – e sei più civilizzato di tanti uomini che conosco. Ma sto pensando che se mi fermassi qui un po’ più a lungo tu rideresti di più, canteresti per la gente anziché per gli animali della foresta, e forse inviteresti la bibliotecaria a bere qualcosa.» «Già» rise lui. «Ma prima dovrei trovare il modo di convincerla che non sono un idiot savant.» «Se io tornassi a trovarti mi chiuderesti fuori?» domandò lei. «Mi faresti dormire in macchina?» Ian rise scrollando la testa. «No.» Ma pensò fuggevolmente: Potrebbe tornare una volta, forse due. E poi non sarebbe più tornata, perché lui e la sua capanna non sarebbero cambiati. E Marcie meritava molto di più di un Marine malconcio che si era nascosto nei boschi. «Visto che non vuoi venire con me, mi fermo fino alla vigilia di Natale. Partirò la mattina seguente, magari non all’alba, ma arriverò in tempo per cena. Sono solamente poche ore di viaggio.» «Erin non sarà contenta» osservò lui. «Ti vuole a casa subito.» «Be’, dovrà aspettare. Faccio quello che posso... e non voglio lasciarti. Vorrei non lasciarti mai.» Ian preferì cambiare argomento. «Pensi che sia troppo presto per fare di nuovo l’amore?» «No» sorrise lei. Lui l’attirò a sé. Era meglio non aggiungere le parole Ti amo a tutti i problemi che c’erano, pensò. La situazione era già abbastanza difficile per lei. Invece la baciò con tutta la passione di cui era capace, e la accarezzò con dolcezza promettendo altra passione. La mattina dopo, quando Marcie si svegliò, lui se n’era andato. E aveva lasciato un biglietto: Amore, sono in giro a vendere legna e a liberare un po’ di strade qui intorno. Torno presto. Ian. «Amore» sussurrò lei. Piegò il biglietto in quattro, poi lo mise al sicuro nel portafoglio. Per sempre. 14 Ian consegnò l’intero carico di legna in poco tempo, e ricevette ordini per tre altri carichi, ognuno da mezzo quintale. Tra caricare e consegnare ci avrebbe messo un’altra giornata intera, e così per Natale i suoi clienti avrebbero avuto il loro bel caminetto acceso. La sua scorta di legna si stava esaurendo, il che rientrava nei suoi piani. Aveva spaccato legna per tutta la primavera, l’estate e l’autunno, mettendola a seccare in cataste ordinate, proprio con la speranza di vendere tutto quanto in poche settimane. Arrivò a Virgin River poco prima di mezzogiorno e parcheggiò davanti al bar, ma non entrò. Si avvicinò all’albero, esaminò da vicino le diverse mostrine, poi si guardò intorno e constatò che era solo. Allora estrasse dalla tasca alcuni oggetti a cui aveva assicurato dei fili metallici, in modo da poterli appendere ai rami dell’albero. La mostrina della sua divisione – la stessa di Bobby. Il Purple Heart. E la Stella di Bronzo. Medaglie che venivano conferite per atti di grande coraggio e valore. Le fissò ai rami, in pochi minuti. «Farò in modo che ti siano restituite» disse una voce alle sue spalle. Ian si voltò e vide Mel Sheridan. Era avvolta strettamente nel giaccone e aveva le mani in tasca per difendersi dal freddo e dagli occasionali fiocchi di neve. «Non sarò qui per Natale» continuò, «perché andiamo a trovare la famiglia di Jack. Ma dirò a Paige, la moglie di Preacher, di tenerti da parte le medaglie quando recupera le mostrine. Non bisogna perderle, sono importanti.» «Non mi preoccupo di quello che può succedere alle medaglie» replicò lui. «Non mi servono a molto, adesso.» Mel ridacchiò. «Questa l’ho già sentita.» «Ah, sì?» «Da mio marito, per esempio. Siete proprio strani, voi Marine. Vi addestrate a compiere gli atti che meritano le medaglie, ma poi non volete metterle in mostra. Jack voleva addirittura disfarsene, ma per fortuna suo padre gliele ha confiscate per metterle al sicuro. Jack diceva che non sono le medaglie ad essere importanti, sono gli uomini. Perciò, se riesci a ricordare gli uomini insieme alle medaglie, direi che va bene... Farò in modo che tu le riabbia.» «Grazie» disse Ian sottovoce. «Ma secondo me stanno meglio qui.» «Per adesso» precisò Mel. «Immagino che Marcie debba tornare a casa tra poco, ma se tu sei qui la vigilia di Natale...» «Sì, l’ho saputo» disse Ian. «Una cerimonia qui in paese. Non so se...» «Be’, qui non siamo formali e non chiediamo prenotazioni. Se ti va...» E gli sorrise. «Gentile da parte tua. Adesso devo andare. C’è un tale piuttosto vecchio, che vive vicino a me e non ha lo spazzaneve...» «È generoso da parte tua badare a lui, Ian.» «Non è che faccia niente, solo...» Poi Ian si interruppe alla vista di Jack, Preacher e Mike che uscivano di corsa dal bar, infilandosi i giacconi e reggendo i loro fucili. «Jack, che succede?» domandò Mel. Lui era diretto al suo camion e non si fermò. «Travis Goesel si è perso. Manca da ieri sera. La sua famiglia lo ha cercato dappertutto intorno alla fattoria e nei campi, inutilmente.» Gettò una sacca di tela sul camion e aggiunse: «David è con Brie». «Si è perso?» domandò ancora Mel. «Ma come avrà fatto?» «Stava seguendo un leone di montagna. Quello ha ammazzato il suo cane, e allora lui ha preso il fucile e gli è andato dietro. È un buon cacciatore e un ottimo tiratore. Ma dovrebbe sapere che non è il caso di rimanere fuori la notte, con questa neve.» «Dov’è la fattoria dei Goesel?» domandò Ian. «Conosci la zona di Pauper’s Pond?» rispose Jack. «Sì, più o meno. Il fiume che scorre vicino a casa mia alimenta un paio di ruscelli e uno stagno... se è quello, la fattoria è a ovest rispetto a me. Quel puma è stato anche sul mio terreno.» «Come fai a sapere che è lo stesso?» «Era aggressivo, e non è scappato come fanno di solito.» «Ah, davvero? Visto che conosci la zona non potresti darci una mano?» Ian non vedeva l’ora di tornare dalla sua ragazza, e tanto più adesso che quel puma era in giro e aveva sete di sangue. «Il ragazzo ha sedici anni» continuò Jack, «ed è forte e robusto. Ma sono d’accordo con suo padre, il fatto che non sia tornato è preoccupante. Non so cos’è peggio, che lo uccida il puma o il freddo.» «Bene» disse Ian. «Se il ragazzo sa il fatto suo non sarà salito verso casa mia. Io posso cominciare dalla base della montagna andando verso ovest, e tu puoi fare altrettanto verso est. Che ne dici? D’altra parte teniamo presente che un ragazzo di quell’età può camminare per miglia e miglia.» «Suo padre, con i fratelli e qualche vicino, stanno passando al setaccio i boschi attorno alla fattoria. Noi cercheremo nell’area più esterna.» Jack riprese la sacca dal suo camion e disse: «Preacher e Mike possono andare a ovest, io verrò con te e procederemo verso est». «Il mio pick-up non ha riscaldamento» disse Ian. «Sì, ma hai lo spazzaneve e questo potrebbe tornarci utile. Bisognerà che me ne procuri uno anch’io, da agganciare al mio camion. Anch’io ho una strada piuttosto ripida per andare alla nuova casa.» Ian guardò Mel. «Ho lasciato Marcie molto presto stamattina per consegnare la legna. Lei non capirà perché non sono rientrato, e se cerca di scendere in paese con la sua macchina...» «Facciamo così, appena avrò messo David a letto per il suo sonnellino farò una corsa fin da lei per dirle che sta succedendo. Va bene?» «Dille che dovrà restare in casa. Protesterà, perché non le va di arrangiarsi in casa senza andare alla toilette fuori. Ma dille che il puma è di nuovo in giro e che è sempre più feroce.» «Glielo dirò. Tu fai attenzione, per favore. E, Jack» aggiunse a voce più alta, «fai attenzione anche tu!» Jack sorrise alla moglie. «Tornerò presto, Melinda. Travis ha dei regali che lo aspettano sotto l’albero, perciò dobbiamo riportarlo a casa. Tu intanto bada ai miei due figli. Coraggio, Buchanan, mettiamoci in cammino.» I quattro uomini lasciarono la città nei due veicoli, Ian con Jack e Preacher con Mike. Presero la stessa strada statale, e giunti al bivio che portava alla fattoria dei Goesel si divisero. Mike e Preacher svoltarono a sinistra, Ian e Jack proseguirono per aggirare la fattoria dall’altro lato. «Quanta terra hai lassù, attorno alla capanna?» domandò Jack. «Seicentosessanta acri» ripose Ian. Jack fischiò. «Ma è tutto rocce e boschi, in una zona dove ci sono limitazioni al taglio degli alberi. Perciò è una gran distesa di niente.» «Niente, a parte la bellezza e la quiete.» «C’è un fiume dove la pesca è abbondante. Anche la caccia frutta bene. E poi taglio gli alberi per farne legna da ardere, un po’ qua e un po’ là. Credo che il vecchio Raleigh ci si fosse installato abusivamente.» «Come l’hai conosciuto?» domandò ancora Jack. Ian rise. «Stavo vagando per la montagna senza una meta, mi accampavo qua e là, cacciavo i conigli. Poi, di botto, arrivò l’inverno. Raleigh era già più vecchio di Noè, e non riusciva più a spaccarsi la legna per la stufa. Così mi diede un tetto in cambio di un aiuto nei lavori pesanti.» «Un colpo di fortuna, per te.» «Sì, ma anche un’arma a doppio taglio. Raleigh si ammalò e a quel punto gli occorreva un infermiere, oltre a tutto il resto.» Jack ridacchiò. «Devi aver tenuto duro, visto che sei ancora là.» «Non ne avevo idea» disse Ian scrollando le spalle. «Ma lui scrisse una specie di testamento che Doc controfirmò. Se non mi avesse lasciato la proprietà, a quest’ora forse avrei già capito che cosa fare della mia vita...» «Amico, non c’è niente di male nell’avere più di una scelta. Adesso dovremmo parcheggiare lungo la strada e proseguire a piedi.» «Conosco una strada che ci porterà intorno alla collina. Solo altre due miglia, e arriveremo più in fretta al punto che vogliamo. Dimmi di questo ragazzo. Perché ha fatto una sciocchezza del genere?» «Hai mai avuto un cane?» «Sì... Velvet, un Labrador nero.» Velvet era cresciuta con lui, ed era arrivata fino all’età di quattordici anni: finché la sua schiena era così incurvata e le sue zampe così storte che faceva male solo a guardarla. Bisognava intervenire perché non soffrisse più, ma lui non riusciva a decidersi. Aveva diciassette anni, e lei era la sua migliore amica da una vita. Una mattina, mentre si preparava per la scuola, sentì suo padre maledire il cane e capì che la povera Velvet aveva fatto un disastro durante la notte. Ormai era vecchia e malata, e non sempre riusciva a trattenersi fino all’ora della passeggiata. «Questa bestia dev’essere abbattuta» dichiarò suo padre. Temendo di tornare a casa da scuola e non trovarla più, Ian non ci andò e portò Velvet dal veterinario. E la tenne fra le braccia mentre lei si addormentava, senza più soffrire. Non poteva sopportare l’idea che morisse da sola, e suo padre era capacissimo di portarla dal veterinario, mollarla lì e lasciare che se ne andasse per conto suo. Nella morte, la sua espressione era tranquilla e in pace, molto più che negli ultimi mesi. Vedendola così, Ian avrebbe dovuto essere felice e sollevato. Non sarebbe vissuta ancora a lungo in ogni caso. Per questo l’aveva tenuta fra le braccia fino all’ultimo. Non voleva arrivare a casa e scoprire che non c’era più, voleva restare con lei e accompagnarla, come Marcie aveva voluto fare con Bobby. Deglutì. La perdita di Velvet lo aveva distrutto. Si era nascosto in un posto isolato, per piangere disperato senza che i suoi genitori o gli amici lo vedessero in quello stato. «Era da un po’ che quel puma si aggirava nella fattoria» continuò Jack. «E i cani erano sempre riusciti a cacciarlo, proteggendo le capre e le galline.» «Quanti anni aveva il cane del ragazzo?» domandò Ian. «Non so, sei o sette. Era un cane da pastore, una Border Collie chiamata Whip. I Goesel hanno una mezza dozzina di cani da pastore, bestie che vivono all’aperto, ma Travis aveva scelto quella da una cucciolata e l’aveva allevata sé. Per un po’ l’avevano seguita anche gli scout del suo gruppo, e ancora adesso pare che la cagna dormisse nel letto di Travis. Goesel ovviamente disapprovava. Sai come sono gli agricoltori con i loro cani, non si lasciano prendere dal sentimentalismo. Non so come il puma sia riuscito ad arrivare fino al cane – di solito non si cimentano con loro perché quelli sanno difendersi.» «Credo che anch’io avrei dato la caccia al quel figlio di puttana» disse Ian a denti stretti. «Già» replicò Jack annuendo. «Avevo anch’io un cane, un grosso cane chiamato Spike. Non molto fantasioso come nome. Era un animale quasi perfetto, ma permetteva alle mie sorelle di vestirlo... e ti assicuro che questo mi dava la nausea. Non capisco come potesse lasciarsi umiliare in quel modo.» Ian gli diede un’occhiata. Immaginava un grosso pastore tedesco in tutù e un ragazzo con l’aria disgustata, e scoppiò a ridere. «Guarda che non era per niente divertente» protestò Jack. «Oh, scommetto che lo era.» Ian fermò di botto il pick-up all’imbocco di una stretta curva sulla sinistra e disse: «Dammi un minuto». Scese dal posto di guida, prese alcuni attrezzi dalla cassetta che stava sul pianale e allentò le viti che tenevano la lama spazzaneve agganciata al parafango anteriore. Afferrò la lama e la tirò con forza per cambiare angolazione, riassicurò le viti e tornò al volante. «Il mio spazzaneve non ha i comandi idraulici che si azionano dalla cabina» spiegò. «È piuttosto vecchio e bisogna regolarlo a mano, ma funziona benissimo.» «Però non vedo strade» osservò Jack. «Tu sì?» Ian rise. «So dov’è la strada.» «E come fai?» «La sento sotto le ruote. Rilassati.» Jack appoggiò saldamente i piedi sul pavimento e si sostenne al bordo del cruscotto. «Mi rilasserò quando sarò sicuro che non finiamo in una scarpata. Vai piano.» Ian ridacchiò. «Allora» riprese, «se il ragazzo è passato di qui dobbiamo cercare delle tracce, un rifugio oppure...» «Oppure un corpo» disse Jack. «Se si è perso, magari, ha seguito il fiume o la strada» continuò Ian. «Prima che cadesse la notte può aver trovato uno dei vecchi sentieri usati dai boscaioli. Quando sono coperti di neve non si vedono, ma si capisce dove sono seguendo la linea degli alberi. Come sto facendo io adesso.» «Io non sono ancora sicuro che davanti a noi non ci sia una grossa buca nascosta dalla neve» replicò Jack. «Dovresti andare un po’ più piano.» «E tu dovresti rilassarti. Conosco molto bene questa zona.» Dopo dieci minuti fermò il pick-up e disse: «Adesso continuiamo a piedi, va bene?». «D’accordo.» Ian prese la torcia che teneva nel cruscotto e staccò un fucile dalla rastrelliera del pick-up, e Jack aprì la sacca di tela. «Ho un solo razzo di segnalazione» disse, «ma ho portato un passamontagna e una sciarpa in più. Meglio che tu li metta. Cominciamo a cercare lungo questa strada, ma poi ci separiamo. E se trovi qualcosa spara due volte. D’accordo?» «D’accordo» Ian si abbottonò il giaccone, rimpiangendo di non aver indossato i mutandoni di lana quella mattina. Poi passò due volte la sciarpa attorno al collo e si coprì parzialmente la faccia. In quel momento la sua folta barba gli avrebbe fatto comodo, pensò. «Forse il cane non era magro e sparuto come gli altri perché Travis lo viziava un po’ di più» rifletté come se conoscesse il ragazzo e il cane. «E questo può essere stato uno svantaggio.» «Già, è probabile» concordò Jack. «Come va la tua torcia? Ti servono delle batterie?» «A dire la verità non lo so.» Jack prese dalla sacca una pistola che infilò nella cintura, alcune batterie e due bottiglie d’acqua che diede a Ian. Ian mise tutto in tasca e i due si incamminarono, guardando attentamente a destra e a sinistra del sentiero. «Io vado da quella parte, in quel folto d’alberi» disse Jack dopo un po’. «Bene, io vado di là» disse Ian. E si separarono. Ian si diresse verso il fiume con gli occhi fissi sul terreno, ma senza dimenticare di alzare lo sguardo verso gli alberi di tanto in tanto, nel caso il puma stesse giocando a nascondino. E intanto pensava al ragazzo, ricordando com’era stato lui a diciassette anni. Una testa calda, affezionato a poche cose importanti – tra cui il suo cane. E anche molto arrabbiato con suo padre, in generale. Suo padre era una persona crudele in un suo modo aggressivo-passivo. Non lasciava mai una mancia, guidava lentissimo nella corsia del sorpasso, non aveva mai la minima dimostrazione di affetto per nessuno. Ogni biglietto d’auguri era firmato Papà e Mamma, ma da sua madre. Ogni parola che usciva dalla bocca del padre era aspra o critica. Dopo la morte di Velvet, Ian aveva smesso di fingere che non gli importasse. Era più alto e più forte di suo padre e gli teneva testa, rispondendogli per le rime – ma aveva capito ben presto che sua madre ne soffriva moltissimo. Lo pregava di lasciar perdere, di ignorare le critiche continue del padre. «Come fai a sopportarlo?» gridava lui. «Dovrebbe baciarti i piedi, e invece ti tratta come un schiava!» E sua madre, la sua dolcissima madre, diceva: «Ian, mi è fedele e lavora duramente per mantenerci. Non sarà romantico né affettuoso, ma mi ha dato te. E se anche da lui non avrò mai nient’altro, tu sei il regalo più prezioso del mondo». Non è abbastanza, aveva pensato lui. Arruolarsi nei Marine gli era sembrato il modo più rapido per andarsene lontano, in un posto da cui poteva mantenere i contatti con la madre senza dover sopportare anche il padre. Poi sua madre era morta, ed erano venuti gli incarichi in Iraq. Suo padre era tutta la famiglia che gli era rimasta, ed era terribilmente inadeguato. Dopo l’Iraq, dopo alcuni problemi che erano dovuti alla sindrome da disturbo posttraumatico – questo lo sapeva pure lui – Ian aveva cominciato a temere che sarebbe diventato come suo padre. Attaccava briga con gente che nemmeno conosceva: qualcosa gli dava fastidio e lui perdeva il controllo e menava pugni. E anche se il Corpo dei Marines aveva finto di non vedere per un certo periodo, Ian si rendeva conto che non poteva andare avanti così. Era stato un leader forte e rispettato, e adesso stava diventando uno stronzo che non si adattava più a niente e a nessuno. A quel punto se n’era andato, sperando di poter tornare ad essere un uomo che gli altri ammiravano e seguivano. Suo padre gli aveva detto: «Questa è una fuga da vigliacco. Se te ne vai, non sei più mio figlio». «Per te non lo sono mai stato» aveva risposto lui, altrettanto gelido. Continuò ad esaminare il terreno, cercando le eventuali tracce lasciate dal ragazzo: cespugli o rami spezzati, gocce di sangue, impronte sulla neve. Poi i suoi pensieri andarono a Marcie. Quand’era entrata a forza nella sua vita, non l’aveva trovata bella o sexy. In effetti, non l’aveva nemmeno considerata come donna: era malata, pallida, smunta, vulnerabile. Attraente come un pollo bollito. E quando aveva cominciato a riprendersi, quando le sue guance avevano recuperato un po’ di colore, non era stata la sua bellezza a conquistarlo, al contrario. Era stata la sua grinta, la sua voglia di combattere, la sua ostinazione. Ian aveva sempre apprezzato le persone dotate di fegato. Era lì da nemmeno una settimana, e dalla scintilla che brillava nei suoi occhi già si capiva che avrebbe ottenuto quello che voleva, avrebbe detto quello che pensava, e al diavolo le conseguenze. Non avrebbe potuto somigliargli di più, aveva pensato allora. E l’aveva apprezzata ancora di più, seppure a malincuore. E poi, lentamente, Marcie aveva cominciato a piacergli. Anche se voleva interferire nei suoi affari e scombinargli la vita, lo faceva con una ostinazione che lui non poteva fare a meno di ammirare. E non agiva solo per se stessa, anzi: lo faceva per il marito morto, per la famiglia di lui, per Ian, per quel padre scorbutico e arcigno che Ian era assolutamente deciso a non imitare... ma a cui forse somigliava già. Quando Marcie aveva sfidato la raffinata sorella maggiore per tornare nella sua polverosa capanna, Ian era stato definitivamente conquistato. Tanta determinazione a stare con lui, a risolvere la questione che considerava non conclusa, quale che fosse, lo aveva colpito al cuore. Forse nemmeno lei sapeva bene perché fosse tornata, ma non era disposta a lasciar perdere. E aveva la folle idea che poi sarebbe andato tutto bene... Che lo avrebbe riportato a quello che era prima, l’amico di suo marito, il leader coraggioso, il soldato senza paura. Non un poveraccio che si era isolato dal mondo perché odiava se stesso. No, l’uomo di cui suo padre avrebbe dovuto essere fiero, se non fosse stato troppo amaro e meschino. Dio mio, pensò. Non posso essere diventato come mio padre! Poi si riscosse e si costrinse a pensare a Travis Goesel. Riprese a esaminare con attenzione i rami, il terreno, i cespugli rinsecchiti dal gelo. Guardò il vecchio orologio e scoprì che aveva camminato da solo per più di due ore, e che ormai erano le quattro. Restavano al massimo due ore di luce. «Travis!» chiamò. «Travis, rispondi... fammi sapere che ci sei!» Poi accelerò il passo, con gli occhi puntati sul terreno, e gli venne in mente che era bello far parte di un gruppo. Non poteva vedere Jack e gli altri uomini che erano dall’altro lato della collina, ma si sentiva di nuovo parte di un’unità che aveva uno scopo comune. Non provava quella sensazione da tempo. Era così deciso a isolarsi, a cancellare con la solitudine gli orrori della guerra, che aveva dimenticato com’era confortante quel sentimento di fratellanza. E anche questo, doveva ammetterlo, era successo solo perché quella dannata testa rossa era entrata nella sua vita. Era stata lei a spingerlo. Lei a tirarlo fuori dal suo bozzolo, benché non fosse pronto. Ma se avesse lasciato il marito disabile nelle mani di qualcun altro e fosse venuta a cercarlo tre anni prima, pensò ancora, sarebbe riuscita a farlo uscire dal suo isolamento? Probabilmente no. Si era leccato le ferite per così tanto tempo che era ormai abituato a commiserarsi, e non avrebbe saputo come smettere... Ormai era stanco e gelato, e si aggirava in quei boschi da ore. Aveva sete, ma preferì mangiare manciate di neve e tenere in serbo l’acqua, in caso avesse trovato il ragazzo e ne avesse avuto bisogno per lui. Poi notò una macchia di sangue e alcune tracce fresche, appena coperte da un nuovo strato di neve. Era il puma, ed era ferito. Ian seguì le tracce per un po’ e capì che l’animale si trascinava pesantemente, segno che la ferita era grave. Poi pensò che se il ragazzo sapeva il fatto suo, aveva scelto la direzione opposta a quella presa dal puma, e così fece anche lui. Arrivò fino al fiume e continuò a guardarsi intorno con attenzione, mentre ormai calava la notte. Tra poco sarebbe dovuto tornare al pickup, se non altro per mettersi d’accordo con Jack e stabilire un piano d’azione. Se dovevano continuare le ricerche di notte, bisognava vestirsi adeguatamente. Ma per ora non se la sentiva di abbandonare le ricerche. Poi la notte cadde sul serio. Ian proiettò la luce della torcia sull’orologio, vide che erano le sei e chiamò per la millesima volta: «Travis! Travis!». Il raggio della torcia cadde sulla neve e lui vide una goccia di sangue, poi un’altra e un’altra. Dunque il ragazzo era ferito, e intelligentemente stava seguendo il corso del fiume per tornare a casa. Puntò la torcia sul terreno, e dopo qualche metro vide un mucchio di aghi di pino e rametti, non molto lontano dalla riva del fiume. Qualche tempo prima aveva ripreso a nevicare, e il mucchio era coperto da un leggero strato di neve fresca. Ian diede al mucchietto un leggero colpo con il piede, un paio di rami caddero di lato e lui vide una manica. Si gettò in ginocchio e cominciò a scavare, e poco dopo apparve la sagoma del ragazzo. La faccia era terrea, le labbra livide, gli occhi chiusi. Ian lo scrollò con forza, senza capire se era vivo o morto, e lo chiamò ad alta voce un paio di volte. Finalmente il ragazzo aprì gli occhi e lo guardò con l’espressione incerta di chi non sa dove si trova. Cercò di umettarsi le labbra aride, deglutì e mormorò: «Papà... mi dispiace...». «Gesù, Travis!» esclamò lui, enormemente sollevato. «Va tutto bene, figliolo, adesso va tutto bene...» Lo spostò delicatamente sul fianco e vide che il suo giaccone era lacerato sulla schiena, e macchiato di sangue. Il maledetto puma lo aveva assalito alle spalle, ma grazie all’imbottitura del giaccone non aveva fatto gran danno, e la neve aveva fermato il sangue. «Lo hai preso, figliolo?» domandò. «Non credo. Scusa, papà, mi dispiace...» Travis doveva essere in preda al delirio, forse più per il freddo che per la ferita. Ma grazie al cielo si era coperto con aghi di pino e foglie secche per mantenere un po’ di calore. «Ti porto a casa, ragazzo mio» disse Ian. «Resisti ancora un po’.» Poi, agendo automaticamente come gli era stato insegnato, sparò due colpi nel tronco di un albero. Tre spari erano il segnale standard che ti eri perso, due la risposta di una squadra di soccorso. Uno sparo solo poteva essere scambiato per l’opera di un cacciatore, e non veniva usato quasi mai. E un Marine addestrato non sparava mai in aria, con il rischio che il proiettile tornasse giù e colpisse un essere umano. Ian si mise il fucile a tracolla e sollevò Travis fra le braccia. Come aveva fatto con Bobby, pensò in un lampo... ma adesso la situazione era diversa, il corpo di Travis aveva tono muscolare e il ragazzo reagiva al dolore che si doveva essere ridestato. «Svegliati, Travis» esclamò Ian. «Rimani sveglio! È stato il puma ad assalirti, eh? Raccontami com’è andata...» E si incamminò, procedendo più in fretta che poteva. Il suo torace era ben protetto contro il freddo dalla camicia di flanella e dal giaccone imbottito, ma le gambe e i piedi affondavano nella neve e si stavano congelando. «Sei sveglio, ragazzo?» domandò ancora, ansimando per la fatica. «Chi... chi sei?» Sentendo la voce di Travis, Ian rise sollevato. «Il tuo angelo custode, ragazzo mio. Hai sparato al puma?» «Non lo so... non credo...» «Ha lasciato delle tracce insanguinate. Magari lo hai colpito di striscio?» «Non... non posso averlo colpito» disse Travis parlando a fatica. «Io scommetto di sì. Sei stato bravo, quello sanguina molto più di te...» replicò Ian. «Continua a parlare. Raccontami come ti ha ferito.» La voce del ragazzo era sempre più debole e confusa, ma lui obbedì. «Mi ha assalito dall’albero... l’avevo visto, stavo per prenderlo... quel bastardo aveva ucciso il mio Whip...» «Sì, bravo, continua a parlare» ansimò Ian, sempre più affaticato dal peso di Travis e dalla difficoltà di avanzare nella neve. «Siamo quasi arrivati» disse ancora. Ma in realtà non sapeva quanto distasse il suo pick-up. Continuò ad arrancare, sempre più lentamente. Ma conosceva quei boschi, e conosceva il percorso del fiume che passava nella sua proprietà. «Parlami» disse ancora. «Raccontami della tua ragazza.» Travis ci provò, spiegò che si chiamava Felicity, poi tacque. Felicity, pensò Ian ridendo tra sé. Doveva essere uno di quei nomi di moda... «Vai avanti... sei innamorato di lei, o cosa?» «Lei è... è un brava ragazza...» «Peccato. Sarebbe meglio che fosse una cattiva ragazza. Tu non lo sai ancora, ma le cattive ragazze ti entrano sotto la pelle e non ti mollano più... È carina?» «S-sì... carina...» balbettò il ragazzo. «Bravo, continua a parlare» disse lui deponendolo delicatamente a terra. «Sparo due colpi per avvisare che stiamo arrivando» spiegò. E sparò altri due proiettili in un grosso tronco poco lontano, tanto per assicurarsi che ci fosse qualcuno nei paraggi. Il ragazzo stava perdendo rapidamente le forze, e Ian era pronto a portarlo in paese e poi tornare a cercare Jack, ma sarebbe stato meglio di no... «Ehi» gridò Jack. «Che cos’hai trovato?» «Il ragazzo» rispose lui con voce roca per lo sforzo. Poi vide il pickup, un centinaio di metri più in là. «Aspetta, ti aiuto» gridò ancora Jack. «Lo tengo io. Tu guida.» «Ma non conosco la strada... non la sento!» Ian rise suo malgrado. «Amico, te l’ho ripulita dalla neve due ore fa. Coraggio, andiamo!» Si avvicinarono al veicolo, Ian sostenne il ragazzo e cercò in tasca le chiavi del pick-up, poi le diede a Jack. E infine salì al posto del passeggero, tenendo in grembo un ragazzo grande e robusto come un uomo fatto. La testa di Travis ciondolava, e lui lottava per tenere gli occhi aperti. Mentre Jack inseriva la chiave nell’accensione, Ian aprì il giaccone e la camicia del ragazzo, sollevò la maglietta di cotone, poi fece altrettanto con i propri abiti e premette il torace nudo e gelido di Travis contro il proprio, per trasmettergli il suo calore. Jack girò cautamente il volante per cambiare direzione, poi cominciò a scendere lungo la strada. «La lama del tuo spazzaneve è abbassata» disse. «Devo fermarmi e tirarla su?» «No. Faremo un servizio gratuito alla contea.» «Ma la lama potrebbe danneggiarsi...» «E che importa?» «Dove siamo diretti?» domandò ancora Jack. «Non so, dimmelo tu. Il ragazzo ha bisogno di un medico.» «Andiamo a Virgin River» decise Jack. È meglio portarlo direttamente in paese, dove Mel e Doc possono dargli subito un’occhiata, piuttosto che fermarci alla fattoria e chiamarli perché vengano a vederlo. E poi noi abbiamo l’ambulanza. Come sta?» «Ha cercato di non congelarsi ed è stato bravo, si è coperto con un mucchio di aghi di pino e foglie secche. Ma se avessimo tardato altre due ore sarebbe stato troppo tardi.» Strinse meglio a sé il corpo gelido del ragazzo. «Il puma lo ha aggredito e ferito, ma per fortuna il freddo e la neve hanno fermato il sangue. Però non sono un esperto... vai un po’ più veloce, eh?» «Sissignore» fece Jack. Ian si sistemò sul sedile e si appoggiò la faccia del ragazzo contro la spalla, sentendo che la carotide pulsava regolarmente. Dopo qualche minuto Travis aprì gli occhi e lo guardò stupito. «Chi sei?» domandò con un filo di voce. «La tua fata buona» rispose lui. «Vedrai che andrà tutto bene, ragazzo. Adesso bevi questo.» Prese la bottiglia d’acqua dalla tasca del giaccone e gliel’accostò alle labbra. «Piano, mi raccomando... ecco, bravo.» Poi strinse di nuovo il ragazzo contro di sé. «Farò aggiustare il riscaldamento di questa carretta, fosse l’ultima cosa che faccio» dichiarò. «Credo che tu abbia colpito il puma, sai?» «Gli ho sparato, ma lui mi è balzato addosso e allora l’ho colpito sulla testa con il fucile, più forte che potevo. E lui è scappato...» «Sanguinava parecchio. Devi avergli dato una bella botta.» «Sì, però non l’ho fatto fuori» proseguì Travis debolmente. «L’ho solo fatto scappare il tempo necessario a seppellirmi sotto gli aghi di pino...» «Avevo un cane anch’io, una Labrador» disse Ian. «È stata la mia migliore amica per anni, e dormiva sul mio letto. Era una brava bestia...» «Anche Whip era un bravo cane» mormorò Travis. Ian gli arruffò i capelli. «Amavo il mio cane. E avrei fatto quello che hai fatto tu. Quel puma è pericoloso... l’ho visto in giro.» «Davvero?» «Già, e avrei dovuto ucciderlo. È stato uno sbaglio non farlo. Ha intrappolato la mia ragazza nella latrina per ore, al freddo, ma io ho sparato in aria per spaventarlo. Mi dispiace, ragazzo mio. Avrei dovuto ucciderlo.» «Avrei dovuto ucciderlo io» disse Travis con voce assonnata. Poi appoggiò la testa sulla spalla di Ian e chiuse gli occhi, esausto. «Tieni, bevi un altro po’ d’acqua» disse Ian accostandogli la bottiglia alla bocca. Pochi minuti dopo Jack entrò in paese e suonò il clacson a distesa, facendo uscire dal bar tutti i presenti, compresi Mel e Doc Mullins. Jack parcheggiò accanto all’Hummer, e Ian scese con Travis fra le braccia. Mel e Doc si misero subito in azione: aprirono lo sportello posteriore dell’Hummer, estrassero la lettiga e Ian vi depose piano il ragazzo. Mentre Doc gli controllava la temperatura, il polso e i segni vitali, Ian spiegò che Travis aveva una lacerazione sulla schiena, dove il puma l’aveva aggredito. Mel lo fece girare su un fianco, Doc sollevò il giaccone e diede un’occhiata alla ferita. «Non è così male... adesso pensiamo all’ipotermia. Melinda, tu sali dietro, mettigli una coperta termica e praticagli una flebo mentre io guido. Lo portiamo a Grace Valley, ma non è grave. Se la caverà benissimo.» Poi si rivolse a Jack. «Tu chiama la fattoria e avverti la famiglia.» «Sicuro. Poi sparerò il razzo segnalatore per avvertire Preacher e Mike. Tu dici che non corre pericolo?» «Assolutamente no. Andiamo, Melinda, sbrigati. Cos’è, batti la fiacca?» «Oh, vai al diavolo, vecchio brontolone» ribatté lei issandosi sull’Hummer. «Jack, tu bada a David!» Jack le sorrise. «D’accordo, amore mio.» Intanto Ian pensava: Sono parte di una comunità. Anche lì, in quel paesino in mezzo al nulla, c’erano persone unite, che si interessavano agli altri. In un certo senso lui l’aveva sempre saputo, ma non aveva mai pensato che sarebbe stato bene accetto fra loro. L’Hummer si allontanò e Jack guardò Ian con un sopracciglio aggrottato. «La tua ragazza, eh?» domandò. «Stavo solo parlando con Travis... ma era così, tanto per dire.» «Certo, certo. Be’, adesso sarà meglio che tu torni a casa.» 15 Quando finalmente Ian entrò nella sua capanna, erano le otto passate e lui era talmente stanco e infreddolito che temeva gli ci sarebbe voluta metà della notte per riprendersi. Per non parlare della fatica di caricare sul pick-up la legna per il giorno dopo, che non si sentiva davvero di affrontare. Non aveva ancora richiuso la porta che sentì uno strillo, e poi Marcie gli balzò addosso, gettandogli le braccia al collo e avvolgendo le gambe attorno ai suoi fianchi. «Ehi» rise lui tenendola stretta. «Mi stai appiccicata come una zecca!» Lei si scostò un momento per guardarlo in faccia. «Stai bene?» «Sono congelato e affamato. Ti sei preoccupata?» Lei scrollò la testa. «Hai trovato il ragazzo?» «Sì, l’abbiamo trovato» disse Ian senza precisare il suo ruolo. «Semicongelato e ferito, ma se la caverà. Puoi scaldarmi e darmi da mangiare? Abigail Adams l’avrebbe fatto, no?» «Oh, sì, e nel frattempo avrebbe arato due campi e messo al mondo un bambino» rise lei. Dio, è così piena di vita, pensò lui. Tenerla nascosta sulla cima di una montagna sarebbe farle un torto. Ma per ora, averla con lui sulla cima della montagna era la risposta a tutte le sue preghiere. La mattina dopo Ian si alzò molto presto per caricare la legna sul pickup, sentendosi molto meglio di quanto avrebbe dovuto dal momento che quella notte Marcie non l’aveva lasciato dormire granché. Si mise al volante, ma anziché dirigersi verso il solito incrocio in cui incontrava i suoi clienti prese la direzione opposta. Dopo circa due miglia si fermò, sistemò la lama dello spazzaneve e ripulì il tratto di strada fino alla casa del suo vicino. Quello che vide avvicinandosi non fu rassicurante. Nessun filo di fumo usciva dal camino, e non c’era segno di vita. Dio, pensò, spero di non essere costretto a riscaldare un altro corpo assiderato... Ma poi la porta si aprì con un cigolio e il vecchio comparve sulla soglia, con indosso stivali e giaccone. «Le ho liberato la strada, in caso qualcuno dovesse arrivare fin qui» disse Ian. «Ah» brontolò l’altro. «Senta, come sta a legna da ardere? E ha del cibo in scatola, visto che continua a nevicare?» «Me la caverò» fu la risposta. A quel punto, il vecchio Ian avrebbe fatto un cenno di saluto, avrebbe girato sui tacchi e avrebbe proseguito fino alla statale 36 per sbrigare le sue faccende. Invece, soffocando un’esclamazione, andò a sollevare il telo che copriva la legna e prese una bracciata di ciocchi. Tornò fino alla porta con il suo carico, e l’uomo rimase dov’era sbarrandogli l’ingresso. Ian lo squadrò. «Andiamo, si sposti. Questa legna le servirà per la stufa.» Dopo una breve esitazione il vecchio lo lasciò entrare di malagrazia. Mentre si avvicinava alla stufa per deporre la legna, Ian sentì una zaffata di un odore disgustoso, ma tenne la bocca chiusa perché sapeva di che cosa si trattava. Chinandosi per deporre la legna a terra toccò la stufa con la mano inguantata e sentì che era fredda come il ghiaccio. Allora si alzò, tornò al pick-up e prese un’altra bracciata di legna. E tornando verso la capanna si diede un’occhiata intorno e vide quello che si aspettava. La latrina era sepolta da mezzo metro di neve, e non c’era alcun sentiero per arrivarci. Il vecchio non era in grado di spaccarsi la legna – sempre che avesse della legna da spaccare – e non poteva andare alla latrina o temeva di cadere strada facendo e di non riuscire più a rialzarsi. Quanto a liberare il sentiero, probabilmente non ne aveva più la forza. Così aveva fatto ricorso ad una specie di grande vaso da notte, che avrebbe svuotato quando avesse potuto raggiungere di nuovo la latrina. Era una cosa orribile. Ian gli portò un terzo carico di legna e disse: «Accenda la stufa, e intanto io le sgombro il sentiero. Dov’è la pala?». «Non ce n’è bisogno, lo farò io quando...» «Non discuta. Dov’è questa pala?» Il vecchio accennò con la testa verso l’esterno, Ian uscì e trovò la pala appoggiata al muro, quasi sepolta dalla neve. I clienti lo aspettavano e lui aveva fretta, perciò avrebbe potuto scavare solo un sentiero molto stretto. Ma era una cosa che andava fatta. Solo un’idiota poteva lasciarsi morire congelato in mezzo ai propri escrementi per una questione di orgoglio. E questo a me non succederà, pensò, perché non lo permetterò. Già, proprio come aveva sempre pensato che non sarebbe mai diventato come suo padre... Quand’ebbe finito bussò alla porta del vecchio e domandò: «Le piace lo stufato Dinty Moore?». «Perché?» fu la risposta. «Ne ho una bella scorta. Pensavo di portargliene un po’, oggi pomeriggio.» «Non si scomodi.» «Suvvia, è un gesto da buon vicino... la donna che sta da me non lo può soffrire e non lo mangia. Gliene porto un po’ di barattoli – sempre che per lei non sia troppa fatica prendermeli di mano.» Il vecchio fece spallucce. «Coltiva l’erba, lassù dov’è?» domandò dopo una pausa. «Diavolo, no. Come le viene in mente?» «Allora che ci fa lassù?» «Taglio alberi e vendo la legna. D’estate vado a pesca... ultimamente spalo una quantità di neve. Non conosco il suo nome» aggiunse poi. «Siamo pari, nemmeno io il suo.» «Ian Buchanan» disse lui senza tendergli la mano. «Michael Jackson» fece il vecchio. Ian si lasciò sfuggire una risatina e il vecchio lo guardò truce. Solo allora lui si rese conto che l’altro non vedeva la televisione da decenni – se mai l’aveva vista. «Lieto di fare la sua conoscenza, signor Jackson» disse educatamente. «Sicuro che non coltiva l’erba? Perché io non mi mescolo con quella gente per nessuno stufato.» «Sicurissimo. Più tardi glielo porto, ma intanto può scaldare la casa e andare alla latrina.» Ian tornò al suo pick-up, sollevò la lama spazzaneve perché non si rovinasse sull’asfalto e se ne andò. Il vecchio non gli aveva detto né grazie né lieto di conoscerla. D’altra parte, Ian gli liberava la strada di casa da due o tre anni senza che l’altro gli avesse mai detto una parola. Però non c’erano dubbi, la situazione stava peggiorando. Finora Jackson era riuscito a liberarsi la strada fino a casa, ma adesso non era più nemmeno in grado di liberarsi un sentiero per usare la latrina e probabilmente in casa non aveva cibo. Ricordando che Doc era venuto regolarmente a controllare Raleigh, Ian decise di parlargliene alla prima occasione. Non voleva avere il vecchio Jackson sulla coscienza: al momento la sua coscienza era già carica. Ci mise più del solito per consegnare la legna. Dovette aspettare che due nuovi clienti andassero a ritirare dei contanti da un Bancomat perché non accettava assegni da chi non conosceva, e quando tornò a casa era ormai pomeriggio. Marcie aveva messo a scaldare i pentoloni d’acqua per il bagno. «Bene, Abigail» sorrise lui, «vedo che aspettavi il mio ritorno. Hai arato i campi?» «Sì, e ho anche ricostruito il granaio» disse Marcie ricambiando il sorriso. «Ci hai messo parecchio, oggi.» «Certi giorni le cose vanno più per le lunghe» disse lui. «Devo fare un rapida commissione, non più di dieci minuti.» Si avvicinò alla dispensa, l’aprì e domandò: «A quanti barattoli di stufato sei disposta a rinunciare?». «Perché?» «Credo che il mio vicino non si sia fatto una scorta di cibo» spiegò lui. Prese otto grossi barattoli, li posò sul tavolo e ne riempì una sacca di tela che aveva preso dal camion. «È molto generoso da parte tua dividere il cibo con lui» disse Marcie. «Nooo... voglio solo evitare che il cattivo odore arrivi fin quassù. Tienimi l’acqua in caldo, torno subito.» Michael Jackson non fu più amichevole o gentile di quella mattina: ma non fece storie, accettò lo stufato con un cenno e richiuse la porta. Quel momento per Ian fu una rivelazione. Ci si poteva comportare in due modi, pensò. Far parte di una comunità, conoscere bene i vicini, fidarsi e aiutarsi reciprocamente a superare i tempi difficili. Oppure comportarsi come il vecchio Jackson, che non permetteva a nessuno di avvicinarsi – tanto che dopo un po’ la gente aveva capito che voleva essere lasciato in pace. Lassù, dove i vicini erano separati da grandi distanze, da boschi e colline e molto spesso dalla povertà, nessuno lottava per ottenere l’amicizia o la compagnia di qualcuno. Bisognava venirsi incontro a metà strada. E lui stesso non aveva dato molto di sé alla gente di Virgin River. Proprio come suo padre. Ma grazie a Dio Marcie aveva insistito e non si era lasciata scoraggiare... Adesso lui doveva cambiare stile di vita, o sarebbe finito come il suo vicino, o come il vecchio Raleigh. Ian tornò a casa, dove Marcie continuò ad impersonare Abigail, e fu molto divertente. Rimanevano loro pochi giorni e lui intendeva assaporarli al meglio. E poiché sapeva che per lei sarebbe stato difficile andar via e porre fine alla missione che si era proposta, si ripromise di facilitarle il distacco in tutti modi possibili. Fece un bagno, mangiò con Marcie, poi la tenne stretta per un poco mentre leggeva ad alta voce la parte più piccante del libro che lei stava finendo – il che non era niente a paragone di quello che accadde dopo... Poi si rivestirono e scesero insieme a Fortuna per fare il bucato in una lavanderia a gettone. E Ian le comunicò il suo piano. «Domani, quando torno dopo aver venduto la legna, ho intenzione di liberare la tua macchina dalla neve e di trainarla giù in paese. La parcheggiamo davanti al bar di Jack, mettiamo le catene nel baule e io ti insegno come si montano, in modo che tu sia pronta quando deciderai di partire. Per favore non fare colpi di testa mentre io non ci sono, e non andartene senza dirmi addio. Percorrere queste strade senza catene è un’imprudenza. Prometti che non lo farai?» «Prometto.» «Voglio essere sicuro che non corri rischi» insistette lui. «Chiaro?» Marcie abbassò la testa senza rispondere, come lui prevedeva. Era tranquilla, silenziosa, un po’ triste. Lei, che non era mai silenziosa. Mentre il loro bucato girava nell’asciugatrice e le altre macchine ronzavano in sottofondo, Ian prese Marcie per le spalle e la fece voltare verso di sé. «Abbiamo ancora tempo, Marcie» disse sollevandole il mento con due dita. «Hai tempo di pormi tutte le domande che hai in mente, così potrai tornare a casa tranquilla. In pace con te stessa.» «E tu, lo sei?» domandò lei. Ian le carezzò una guancia con il dorso della mano. «Non sono così in pace da anni. Sfrutteremo al meglio il tempo che ci rimane.» Sfiorò le sue labbra con un bacio e continuò: «Ero così in collera con te, quando ti ho vista la prima volta sulla mia porta... ma adesso non lo sono più. Tu hai reso tutto più facile e più bello». «Tra noi è successo molto più di quanto avrei potuto immaginare» sussurrò lei. «Ma ne sono felice.» «Allora pieghiamo la biancheria e torniamo a Virgin River. Forse possiamo bere qualcosa con Jack e Preacher prima che chiudano. Poi ce ne torniamo a casa, mettiamo un po’ di legna nella stufa, e se vuoi ti rileggo la parte porno di quel libro.» Marcie gli diede un colpetto scherzoso sul braccio. «Non è porno, è romantica!» «Sì, certo» rise lui. «Molto romantica.» E le diede un lieve bacio in fronte. Quando arrivarono da Jack scoprirono che era la sua ultima sera in paese, prima che partisse per Sacramento con la famiglia. C’erano anche Mel, Brie con il suo compagno Mike, e il piccolo David dormiva nell’appartamento di Preacher dietro il bar. Tutti erano elettrizzati all’idea del viaggio. Ian e Marcie ordinarono due birre e furono contagiati dall’umore allegro degli altri. Doc non c’era. Perciò, mentre Marcie telefonava a sua sorella, Ian prese Mel da parte e le parlò del suo vicino, suggerendo che forse non stava bene e poteva aver bisogno di aiuto. «Grazie, Ian» sorrise lei. «Prima di partire domattina ne parlerò a Doc e lui andrà a controllare. Se il tuo vicino ha bisogno di assistenza medica, Doc farà quel che può. Ma ti avverto, certi vecchi solitari come lui sono molto testardi quando si tratta di aiuto, o di cure mediche.» «Non dirlo a me» rispose Ian. «Ero con Raleigh quando se n’è andato.» «Allora lo sai» sorrise di nuovo lei. «Passa un buon Natale.» «Anche tu.» Non festeggiava il Natale da anni, pensò Ian. L’ultima volta era stato con Shelly, prima di partire per l’Iraq. Le aveva regalato un anello, e di botto la vacanza si era trasformata in un fidanzamento formale. Suo padre non era mai stato il tipo da festeggiare alcunché. Era sua madre che faceva del Natale una festa, decorando la casa, facendo torte e biscotti, componendo cesti da regalare ai conoscenti, comprando i regali dopo lunghe riflessioni. Suo padre finiva sempre col dare alla moglie regali anonimi e banali: l’abbonamento a una rivista, un pullover orrendo su cui lei si sdilinquiva come fosse una meraviglia, due libri di ricette. Oppure sostituiva qualche oggetto per la casa, come lavatrice o aspirapolvere, e lo faceva passare per un regalo. Dopo la morte di sua madre il Natale era stato cancellato del tutto. Niente albero, niente luci esterne, niente pranzo speciale. Ian era ben contento di non essere più a casa. Ma il Natale in cui aveva dato l’anello a Shelly, le aveva anche regalato una collana e una bellissima vestaglia di seta. Adesso ricordava: era stata l’occasione in cui aveva deciso che non sarebbe mai diventato come suo padre. Invece, sarebbe stato premuroso e gentile. Per Ian nemmeno quest’anno il Natale sarebbe stato una vera festa, ma il suo spirito era più sereno di quanto non lo fosse stato da secoli. Ovviamente non possedeva decorazioni di alcun genere, ed era probabile che il suo pranzo sarebbe stato un barattolo di stufato. Gli dispiaceva di non avere un regalo per Marcie, ed era contento che lei non avesse modo di comprarne uno per lui. Tuttavia gli piaceva l’atmosfera che c’era in paese, con gli abitanti pronti a radunarsi attorno all’albero per onorare gli uomini e le donne che servivano la patria. Questo già bastava a fare di quei giorni un periodo colmo di gioia. Con stupore, Ian capì che stava cominciando a pensare a possibili cambiamenti nella sua vita. Perché ho passato queste settimane con Marcie, così inattese e istruttive,pensò. Lei gli aveva aperto gli occhi in tanti modi... Poi rise tra sé, perché i suoi pensieri si erano rivolti alle fosse settiche. Che ci sarebbe voluto ad installare una fossa settica, a costruire un bagno interno, a montare uno scaldabagno? Del denaro, per cominciare, del denaro vero e non i guadagni precari ottenuti dalla vendita di legname o dal facchinaggio estivo. L’uomo che possedeva la ditta di traslochi gli aveva offerto già un paio di volte un impiego fisso, perché Ian era forte e svelto. Lui aveva rifiutato, ma adesso pensava che avrebbe potuto chiamare quel tale e accettare l’offerta. Forse si sarebbe anche guardato intorno e avrebbe cercato altri datori di lavoro, dato che era in buona forma fisica e non aveva paura di lavorare sodo. Poi una vocina interna gli ricordò che da quattro anni non compilava una denuncia dei redditi, semplicemente perché non voleva rogne. Si era isolato dal mondo reale. Poteva davvero sperare di inserirsi di nuovo? Eppure desiderava provarci, pensò ancora, e per un’ottima ragione. Marcie gli aveva insegnato di nuovo a ridere. Solo questo meritava un lavoro a tempo pieno e una fossa settica – non perché importava a lei, ma perché sarebbe stato bello vivere in condizioni migliori, anziché limitarsi a esistere. E perché erano passati secoli dall’ultima volta che aveva fatto una doccia come Dio comanda. Marcie uscì dalla cucina e saltò sullo sgabello vicino a quello di Ian. La sua faccia era piuttosto incupita. «Erin si sta veramente arrabbiando» annunciò. «Vuole che torni a casa subito. E intende subito.» «Non dovrebbe sorprenderti. In fondo gliel’hai promesso.» «Già. E ho omesso di dirle che resto qui fino alla vigilia di Natale. Tanto sono solo quattro ore di macchina, più o meno.» Lui le cinse le spalle e la baciò sulla tempia. «Lo devi fare, Marcie, è giusto così. La tua famiglia ti ama e ha bisogno che tu stia con loro. Non dare il loro affetto per scontato.» «Lo so. Ma il fatto è che adesso ho troppe cose giuste da fare qui. Scaldarti l’acqua del bagno, arare i tuoi campi...» «Farmi ridere...» «Farti ruggire...» rise lei. «Qualsiasi cosa tu pensi adesso, sarò felice quando sarai a casa tua» disse Ian. «Al sicuro, comoda, con i tuoi. Senti, quando hai detto a mio padre che venivi a cercarmi, lui che cos’ha risposto?» «Te l’ho detto» borbottò lei fissando il suo bicchiere. «Che probabilmente perdevo il mio tempo.» «Lo conosco troppo bene. Che altro ha detto?» «Ma è solo un vecchio stizzoso che...» «Andiamo, non tirarti indietro. Dimmi la verità.» Marcie si voltò a fissarlo con due enormi occhi verdi. «Be’, ha detto... che se ti avessi trovato dovevo comunicarti che ha lasciato la casa e la macchina al ragazzo dei giornali.» Ian gettò la testa all’indietro e scoppiò in una grossa, rumorosa risata. Marcie lo fissò, mentre lui rideva fino ad avere le lacrime agli occhi. Quando infine si calmò lei disse: «Non è affatto divertente. Anzi, credo che sia orribile». «Ma è così degno di lui... Mi domando se ha bruciato tutte le mie figurine e le divise da baseball, o se le ha semplicemente date via.» «Be’, non ti merita» commentò lei facendo il broncio e bevendo un sorso di birra. «Allora non insisti perché io torni a Chico per vederlo un’ultima volta prima che muoia?» la provocò Ian. Marcie lo guardò stupita. «Non ho mai voluto niente di simile. E sono certa che non vedresti niente che tu non abbia già visto quattro o cinque anni fa.» «Allora non hai mai voluto che lo vedessi un’ultima volta?» «No, Ian, questo no... volevo che lui vedesse te! Volevo che sapesse che stai bene, che anche se lui era stato meschino, se ti aveva trattato crudelmente, tu stavi bene ed eri forte. Anzi, più precisamente, volevo che tu gli facessi sapere tutto questo. Giuro.» «Ma perché?» domandò lui confuso. Marcie mise la mano sulla sua. «Perché in te c’è gentilezza e bontà. Lui non la merita, non ha mai fatto niente per meritarla e non ti ringrazierebbe di sicuro – ma sta male e sarebbe una cosa giusta da fare. Fargli sapere che nonostante tutto sei un uomo buono e forte, con un gran cuore, che non sei come lui e non lo sarai mai. Tutto qui.» Tacque per un poco e aggiunse: «Immaginavo che un giorno o l’altro ci avresti pensato comunque, e non volevo che ci pensassi quand’era ormai troppo tardi. Non per lui, ma per te» concluse con un sorriso. «Credi di conoscermi così bene?» «Credo di sì. Ti ho osservato, sai, con gi animali, con i vicini. Ti riesce naturale agire con buon cuore e generosità – e scommetto che per te questo è stato il tratto più difficile a cui rinunciare.» La mattina del 24 dicembre, Ian non si alzò presto per consegnare la legna. Avrebbe potuto vendere un ultimo carico, probabilmente a un prezzo maggiorato, ma invece preparò il caffè e ne portò un tazza bollente a Marcie. «È mattina, tesoro. E oggi è il grande giorno.» Lei si alzò a sedere. «Non vendi legna?» domandò assonnata. «Oggi no. Tieni, il caffè è caldo ma non troppo.» «Mmh» sospirò Marcie dopo aver bevuto il primo sorso. «Sei bravissimo nel ruolo di Abigail...» «Dimmi che posso fare per semplificarti la partenza» disse ancora lui. Marcie bevve un altro sorso di caffè, riflettendo. «Due cose.» «Sentiamo.» «Portami in paese, dimmi addio e vattene, non fermarti, non stare a guardare mentre vado via.» Lui fece un cenno di assenso. «Va bene. Come vuoi.» «E dimmi... provi qualcosa per me?» Ian posò la mano sui riccioli rossi di lei. «Provo tutto quello che è possibile provare per te – ma questo non cambia nulla. Siamo due estranei, apparteniamo a due mondi diversi che non si incontreranno mai, e io ho ancora quelli che tu chiami problemi, una montagna di problemi. Non sono pronto a operare dei cambiamenti rapidi, benché ne abbia già fatto qualcuno mio malgrado. Tanto per dirne uno, sono molto meno peloso.» «E stai benissimo» sorrise lei dandogli un leggero bacio. «Se avessi più tempo...» Lui prese il viso di lei fra le mani. «Stammi bene a sentire. Non posso negarlo, tu hai cambiato la mia vita. Torna, se te la senti... ma se non verrai non te ne farò una colpa. Ricorda quello che mi hai detto. Dopo aver compiuto questa missione, dopo avermi trovato e ringraziato, dopo avermi fatto tutte le domande che avevi in mente e detto tutto quello che dovevo sapere, saresti stata libera di riprendere la tua vita... Ecco, va bene così, Marcie. Anche dopo quello che c’è stato fra noi, anzi, specialmente dopo quello che c’è stato fra noi. Puoi continuare con la tua vita, se vuoi. È ciò che mi aspetto, e andrà bene così. Sarebbe giusto.» «E se invece quello che voglio fossi tu?» domandò lei sottovoce. «L’unica cosa al mondo che temo sarebbe di non renderti felice. Questa è la possibilità che mi spaventa di più: che tu mi voglia e che io invece finisca col deluderti.» «Perché mai pensi una cosa simile?» «Una vecchia, brutta abitudine» fece lui con un sorrisetto amaro. «Scommetto che potresti perderla, se solo ti ci mettessi...» Ian sorrise. «Questa è una delle caratteristiche migliori che hai, il tuo eterno ottimismo.» «Oh, Ian, non è ottimismo. È fede. Dovresti provare, una volta o l’altra.» 16 All’una Ian accompagnò Marcie in paese, dov’era parcheggiato il Maggiolino verde. Le mostrò come installare le catene, se avesse trovato la neve lungo il percorso; ma per ora le strade erano sgombre e il cielo era limpido, perciò poteva mettersi in marcia tranquillamente. Infine l’abbracciò e le diede un lungo bacio appassionato, senza curarsi che qualcuno li vedesse. «Grazie per essere stata più testarda di me» disse. «Non so se me la sento di partire» sospirò lei. «Lasciarti è molto difficile.» «Quando sarai più vicino a casa, comincerai a sentirti meglio, e sarai felice di essere con loro. Ti sono sempre stati vicini. Non dimenticarlo.» «Allora add...» «Ssh» la zittì lui appoggiandole un dito sulle labbra. «Non dirlo. E guida con prudenza.» «Se ti scriverò, mi risponderai?» «Sicuramente.» «Bene, questo è un passo avanti» disse Marcie debolmente. «Ho... ti ho lasciato qualcosa. L’ho infilato nel baule dove tieni gli indumenti, in un momento in cui tu non guardavi.» «Marcie, non avresti dovuto...» «Non è un regalo di Natale. È qualcosa che volevo darti da tempo, ma non ho mai trovato il momento giusto. E poi ho deciso che dovevi vederlo in privato. Ci vediamo presto, Ian.» Gli rivolse un sorriso tremulo, e una lacrima rotolò lungo la sua guancia. «Sii prudente quando spacchi la legna, mi raccomando. E abbi cura di Buck.» «Lo farò.» Ian sfiorò le sue labbra con un dito. «Arrivederci.» «Va bene. Arrivederci.» Marcie salì i gradini della veranda ed entrò nel bar, mentre Ian saliva sul suo pick-up. Lei sentì il rombo del vecchio motore che si allontanava e solo allora pensò che Ian non le aveva chiesto un numero di telefono, in caso avesse deciso di chiamarla. Nelle lettere che gli aveva scritto c’era il suo numero di casa, ma lei pensò che lo avrebbe lasciato anche a Preacher. Temeva però che Ian non sarebbe sceso in paese tanto spesso: anzi, forse si sarebbe isolato ancora di più. A quell’ora nel bar c’erano solo due uomini che finivano di pranzare. Preacher uscì dalla cucina e domandò: «Come vanno le cose, Marcie?». «Bene. Sono in partenza, torno a Chico... ma prima vorrei un caffè.» «Sicuro. Ehi, stai bene?» «Credo di sì. Ho detto addio a Ian, e non sopporto l’idea di andarmene. Chi poteva immaginare che l’avrei trovato e che saremmo diventati così amici...» Preacher le riempì di caffè una tazza. «Invece l’hai trovato, e penso che tu abbia risolto tutte le faccende insolute.» «Sì. Abbiamo parlato molto, e adesso va tutto bene» disse lei sollevando coraggiosamente la testa. «Mi fa piacere saperlo. Ian mi sembra un tipo a posto. Ha trovato il ragazzo, sai. Travis Goesel. Gli ha salvato la vita.» Marcie spalancò gli occhi. «L’ha trovato lui?» «Già. Lo ha tirato fuori da un mucchio di foglie secche e aghi di pino dove si era nascosto per non congelare, e lo ha portato in braccio per oltre un miglio. E il ragazzo è più di un metro e ottanta e bello robusto, perciò pesante. Ian si è anche tolto la camicia per scaldarlo. Un’altra ora e avrebbero trovato solo un cadavere... Invece il ragazzo sta bene, e domani mattina aprirà i suoi regali con la famiglia.» «Ma lui mi aveva detto... mi aveva detto che il ragazzo era stato trovato, non si è preso il merito né niente! Senti, Preacher... Gesù, non so come dirlo, ma potresti cercare di tirarlo fuori dal suo guscio, ogni tanto? Non dev’essere per forza un’occasione speciale, ma mentre c’ero io siamo scesi in paese un paio di volte e mi sembrava che...» «Ma certo, ragazza mia. Ci piace averlo intorno, come ti ho detto è uno a posto.» «E ti lascio anche il mio numero a Chico, in caso servisse.» Marcie attirò a sé un tovagliolo di carta e ci scrisse il numero di telefono. «Questo è il mio numero di casa, se mai dovessi metterti in contatto con me. C’è la segreteria, puoi lasciare un messaggio.» Poi aggiunse un altro numero. «E questo è il cellulare. Così puoi trovarmi se... be’, insomma, hai capito.» «Sì, certo. Stai tranquilla.» Preacher prese il tovagliolo, lo ripiegò e se lo mise in tasca, poi appoggiò il bricco del caffè vicino a lei. «Senti, visto che stasera c’è la riunione attorno all’albero, prevediamo di avere molta gente, perciò stiamo lavorando in cucina e io devo tornare ad aiutare Paige. Se ti serve qualcosa affacciati e dacci una voce.» «Vai pure, io sono a posto» lo rassicurò Marcie. «Vado via dopo questo caffè.» Così era stato Ian a trovare il ragazzo e a salvarlo, pensò. E poi aveva portato tutti quei barattoli di stufato al vicino. O era cambiato drasticamente in quei pochi giorni, o era sempre stato il tipo di persona che deve aiutare gli altri appena ne ha l’occasione. Lei stessa aveva notato alcuni cambiamenti, ma adesso sospettava che quella sua vita da eremita non fosse esattamente una scelta. Ian non era fuggito, era stato abbandonato. Dal Corpo dei Marine, dalla fidanzata, da suo padre, dai commilitoni. Per questo si era isolato per un po’, per rimettersi in sesto, decidere che cosa volesse fare della sua vita e dove l’avrebbe vissuta. E forse, le notizie che lei gli aveva portato riguardo a Bobby e alla sua morte lo avevano aiutato a concludere quel periodo tormentato. In fondo era venuta proprio per questo, e se ci era riuscita non poteva chiedere di più. Quanto a lei, anziché concludere una parte della sua vita, le era accaduto il contrario: e adesso non voleva rinunciare a lui. Ma doveva tornare a casa, dalla sua famiglia, alle sue radici. Non poteva rinunciare nemmeno a loro. La porta si aprì alle sue spalle, ma lei era assorta nei suoi pensieri e non si voltò. «Ehi!» disse una voce. «Ragazza!» Marcie si volse e vide Doc in piedi sulla soglia. «Sai guidare un Hummer?» domandò il vecchio dottore. «Be’, no» disse lei, «Ho una Volkswagen...» «Allora imparerai. Melinda non c’è e io ho un ferito alla testa che devo portare a Grace Valley. Non posso guidare e curarlo allo stesso tempo, mi servi tu.» «Ma io sto partendo...» «Coraggio, andiamo» ordinò lui uscendo. Marcie rimase seduta per un attimo, a riflettere. La porta si riaprì e Doc abbaiò: «Ho detto andiamo!». «Oh, Dio santo» borbottò lei. Poi afferrò la borsa e lo seguì. Ian tornò a casa, mise la legna nella stufa, pensò che avrebbe potuto spaccare qualche ciocco o spalare la neve o andare a controllare il vecchio Jackson. E invece si sedette al tavolo e non fece niente. Niente, a parte ricordare ogni espressione sul viso di Marcie e ogni frase che gli aveva detto. Poi prese il libro della biblioteca e rilesse il passaggio romantico che le piaceva tanto, quello che scatenava i loro amplessi. Non ricordava che l’amore fosse mai stato così dolce, in tutta la sua vita. Forse perché non lo faceva da tanto tempo... o forse perché era bello che due persone senza molta esperienza imparassero insieme come darsi piacere reciproco? Era un bene che lei fosse tornata a casa. Era quello il suo posto, era giusto così. Quanto a lui, Chico non era più casa sua, non lo era più da quando suo padre aveva affondato l’ultimo chiodo nella bara del loro rapporto. Doveva affrontare la realtà: non aveva più nessuno, là. Nessuno. Eccetto Marcie, la ragazza che gli aveva insegnato a ridere e ad amare di nuovo. Ma questo era avvenuto qui, dove le circostanze li avevano costretti a stare insieme. Una volta che le cose fossero tornate al loro posto, quello che c’era tra loro non sarebbe stato più lo stesso. Eppure non poteva evitare di domandarsi come sarebbe stato rivedere il padre ancora una volta prima che se ne andasse. Prima che fosse troppo tardi. Non si faceva illusioni: suo padre non era certo diventato un vecchietto tenero e affettuoso. Anzi, probabilmente era ancora peggio di prima, con l’età e le malattie. Era sempre stato freddo, rigido, irremovibile, e non poteva essere cambiato. Se era stato impossibile ottenere la sua approvazione o suscitare il suo orgoglio allora, quand’era nei Marine, sarebbe stato impossibile adesso, dopo quattro anni. Ma forse, rivedere il vecchio poteva essere l’antidoto necessario, quello che gli avrebbe impedito di diventare come lui. Forse Marcie aveva ragione: non doveva perdonare suo padre, doveva perdonare se stesso per averlo odiato, per aver permesso che la disapprovazione del vecchio lo trasformasse in un uomo amaro e in collera con il mondo. Forse, rivedere il padre era la sua via d’uscita. Come poteva una piccola, ostinata testa rossa essere tanto perspicace? Lui non riusciva a capirlo... Poi ricordò il qualcosa che Marcie aveva lasciato per lui. Non era sicuro di farcela a guardare che cos’era... ma una voce dentro di lui gli diceva che qualcosa di concreto, che lo aiutasse a ricordarla, poteva portare un po’ di gioia nei suoi giorni solitari. Infine si alzò, andò ad aprire il baule e lì, sopra a tutti i vestiti, vide una lettera indirizzata a Marcie. Sul retro della busta lei aveva scritto qualcosa. Ian caro, volevo mostrarti questa lettera perché non pensavo di potermene separare – ma invece adesso voglio che la tenga tu. Quando la leggerai capirai perché. Dicevo sul serio, sai. Sono innamorata di te. Marcie Ian rimase in piedi accanto alla stufa, aprì la lettera e cominciò a leggerla, ma poi dovette sedersi per finirla. Era stata scritta da Bobby a Marcie, su quella carta fornita ai militari che si ripiega e diventa una busta, con il logo dell’Aquila Americana in cima alla pagina. A giudicare dalla data era molto probabile che Bobby l’avesse scritta mentre stava seduto vicino a lui, in uno dei rari momenti di pausa. Marcie, piccola, mi manchi da morire. Penso a te ogni singolo giorno, e conto i minuti che mi separano dal momento in cui ti terrò di nuovo tra le braccia. Grazie, amore, perché affronti con tanto coraggio questo periodo così orribile. Non credo che potrei stare accanto a una donna diversa. Ci sono certi ragazzi qui, le loro fidanzate gli scrivono di quant’è difficile vivere lontani e tutto quanto, ma io non potrei sopportare che tu facessi così. E mi domando come facevo già a sapere che saresti stata la donna per me quando avevamo solo quattordici anni... sarà perché sono un fottuto genio! Devo dirti una cosa. Non è che te la dico per lettera perché ho paura, invece di aspettare quando tornerò a casa. È che non posso aspettare. Vedi, voglio che questa diventi la mia vita. Magari penserai che sono fuori di testa a dire una cosa del genere, specialmente adesso. Voglio dire, qui è orribile. Finora noi non abbiamo avuto molti problemi, ma altri squadroni sono caduti in imboscate, sono stati presi di mira dai cecchini, sono stati attaccati da autobombe e via di seguito, e sappiamo bene che un giorno di questi potrebbe toccare a noi. Una delle ragioni per cui a noi non è ancora successo è Ian. Quell’uomo è incredibile. Non ho mai conosciuto uno come lui, e sì che di gente straordinaria ne ho conosciuta, specialmente tra i Marine. Ma lui è un soldato dell’altro mondo, piccola. Sa sempre quello che fa. Ti può condurre in territorio ostile facendoti credere che è proprio quello che volevi. È lui che impedisce a tutti di aver paura o di crollare, e l’ho visto mettersi tra un giovane Marine e il fuoco dei cecchini. Una volta abbiamo avuto un incidente durante la strada, un ragazzo ha messo il piede su una grossa buca e si è rotto la caviglia, e lui l’ha portato a spalle fino al campo, che dovevano essere circa cinque miglia. Non ha voluto darlo a nessun altro, e nemmeno dividere il peso. Io mi sono offerto di portarlo per un po’, ma lui ha detto: Tu guarda bene dove vai, Marine, se no sarò costretto a portarne due. Una volta, mentre perlustravamo casa per casa, abbiamo trovato due insorti armati e Ian ne ha atterrato uno a pugni. Un’ora dopo l’ho visto con in braccio un neonato iracheno, e intanto parlava alla madre e le sorrideva cercando di rassicurarla. Non so come faccia, può essere l’uomo più forte e crudele del mondo e due minuti dopo è dolce e gentile. E alla fine della giornata, quando siamo tutti stufi e infangati e distrutti dalla stanchezza, parla a ognuno di noi e si assicura che siamo tranquilli e abbiamo la testa ben piantata sulle spalle. Vuole che nessuno sia troppo scosso o spaventato o solo, così da non sapersela cavare se si trova nei guai. Uno dei ragazzi ha ricevuto una lettera d’addio dalla sua fidanzata, ed era in uno stato pietoso. Ian avrebbe potuto ordinargli di darsi un tono e di essere forte, e invece ha parlato con lui per un po’ e quando il tizio si è messo a piangere non lo ha preso in giro né niente, gli ha tenuto una mano sulla spalla e gli ha parlato sottovoce, dicendo che nella vita non c’era niente di garantito e che per guarire da certe cose ci voleva un po’ di tempo, ma che se gli serviva di consolazione poteva essere sicuro che i suoi commilitoni non lo avrebbero mai abbandonato. Se la ragazza non aveva la forza di restare con lui, gli ha detto, era molto meglio averlo scoperto in tempo. Perché per stare con un Marine ci vuole una donna molto speciale. Su questo ha ragione, sai, perché tu sei speciale. Non so se te la senti di sopportare che io faccia carriera nei Marine, ma spero proprio di sì... e ti dirò, se potessi diventare anche solo la metà di quello che è Ian Buchanan, sarei già una leggenda. Non vedo l’ora che tu lo conosca. Sono sicuro che lo ammirerai quanto me – ma invece magari lo tratterai malissimo perché è colpa sua se il Corpo dei Marine mi sembra una tale meraviglia... ma lui non si stupirà, gli ho parlato moltissimo di te, e gli ho detto che puoi sembrare uno scampolo di donna ma che non hai paura di guardare in faccia la gente e dire quello che pensi. Mi manchi da morire, Marcie, ma tornerò prima di quello che ti aspetti. Ti amo tanto. Ian trasse alcuni respiri profondi, poi rilesse la lettera daccapo. Che cos’era quella storia? Pensò. Come poteva Bobby avere un’opinione così alta di lui? Non meritava certo questa venerazione quasi infantile: aveva solo fatto il lavoro per cui era stato addestrato, e in questo non c’era niente di straordinario... Bobby però aveva ragione riguardo a Marcie. Lei era davvero una bomba, una piccola bomba dagli occhi verdi che portava luce e allegria dovunque andasse. Una ragazza decisa, che non si arrendeva facilmente: sarebbe stata un ottimo Marine. Bobby aveva avuto fortuna a catturarla fin dai tempi della scuola. Non era facile trovare una donna così forte, così in gamba, così sicura di sé e di quel che voleva. E dopo tutto quel che lei aveva sofferto, dopo tutto quel che avevano vissuto insieme, che uomo era lui per non dirle come minimo: Ti amo anch’io?. Doc portò Marcie fino a una fattoria ai piedi della montagna, e le ordinò in malo modo di aiutarlo a estrarre la lettiga. Poi salì nel retro per assistere il ferito, un allevatore che era stato colpito alla testa dal calcio di un mulo. La ferita era aperta e l’uomo vedeva doppio, ma era cosciente. Doc lo stabilizzò, e poi ebbe agio di sgridare Marcie per il modo in cui guidava – mentre a lei sembrava di cavarsela benissimo considerando che non aveva mai guidato un veicolo così grande. Quando arrivarono in ospedale dovettero aspettare che il paziente fosse sottoposto a una radiografia, perché Doc non voleva andarsene senza conoscere i risultati. Poi lo lasciarono in corsia e Doc costrinse Marcie a guidare di nuovo fino Virgin River in modo da far pratica – e senza che lui dovesse gridarle le istruzioni dal retro. Quando arrivarono in paese lei era uno straccio. «Vieni» disse Doc, «ti offro da bere. Te lo sei meritato, sei andata benissimo.» «Non si sarebbe detto, visto che mi urlava contro come un ossesso» brontolò lei. «No, sei stata brava quasi come Melinda, il che è notevole perché lei è abituata. Ormai gira su quell’affare come se fosse uno skateboard. Su, andiamo a farci un bicchierino.» «Dovevo partire di qui cinque ore fa!» protestò Marcie. «Be’, e non sei contenta di avermi potuto aiutare? Di avermi dato una mano? Se non ti avessi trovata avrei dovuto chiederlo a Paige, o magari alla moglie del ferito che non sarebbe stata in grado di tenere gli occhi sulla strada. È stata una fortuna per tutti, credimi. Adesso bevi qualcosa e mangia un boccone, poi parti. Sai guidare al buio, no? Prima ti riempiremo di caffè, così non ti addormenti per strada.» «Sì» cedette lei stancamente. «Perché no. Tanto sono già in ritardo, non arriverei in tempo per la cena della vigilia.» «Ecco, vedi. Un’altra buona ragione.» «Mia sorella non la vedrà in questo modo...» «Sarebbe ancora meglio se ti facessi un paio di bicchierini invece di uno solo» continuò Doc, «e se passassi la notte nel letto degli ospiti da me. Decisamente meglio.» «No» disse Marcie, «devo proprio andare. Non posso restare qui, mi rattrista troppo.» «Fai quel che devi fare» disse il vecchio dottore. «L’offerta resta valida.» Il bar era affollato di gente che si preparava alla piccola cerimonia attorno all’albero. Sui tavoli c’erano vassoi di antipasti caldi, tartine e dolcetti natalizi. Persone che Marcie non aveva mai visto si presentarono, le domandarono da dove veniva e se si sarebbe fermata per le carole natalizie. Marcie chiacchierò con loro, accettò un bicchiere di brandy da Preacher, mangiò due o tre antipasti e poi andò in cucina per telefonare alla sorella. «Mi dispiace, ma volevo dirti che sono in ritardo...» «Cosa?!» strillò Erin. «Ma stai scherzando? Hai promesso di tornare a casa!» «E infatti lo farò. Ma c’è stata un’emergenza, un allevatore qui in paese è stato ferito alla testa da un calcio del suo mulo e Doc aveva bisogno che qualcuno guidasse l’ambulanza mentre lui curava il ferito... Be’, è andata a finire che ci abbiamo messo cinque ore, mi dispiace. Ma sto arrivando, anche se probabilmente sorprenderò Babbo Natale mentre scende dal camino.» «Ma ormai è buio! Così mi fai stare in ansia!» Marcie sospirò. «Sono abituata a guidare di notte, l’ho sempre fatto, ma se proprio vuoi preoccuparti accomodati. Adesso mangio qualcosa e bevo un bel caffè, e poi mi metto in viaggio.» Quando tornò in sala, era moralmente esausta. Sentiva di aver deluso tutti, compresa se stessa. Era stanca anche fisicamente, senza dubbio per la lunga giornata, l’emozione di lasciare Ian e la folle corsa in ambulanza con Doc. Ma il dolore più acuto era un altro: sapere che il rapporto stabilito con Ian non era destinato a durare. D’altronde, che si aspettava? Che parlassero, ridessero insieme, si amassero per circa una settimana e lui cambiasse tutta la sua vita? E lei, che aveva tanto detto di voler restare in quella capanna per sempre, era certa che poi, nel giro di un anno, non sarebbe impazzita? Gli aveva dato un certo sollievo, pensò ancora, ma non lo aveva guarito del tutto: Ian aveva ancora tante ferite da curare. E probabilmente sapeva meglio di tutti quel che gli occorreva: spaccar legna, nutrire il suo amico cervo, cantare per se stesso la mattina. E poi, forse, lentamente, tornare nel mondo. Marcie era in lutto e il cuore le doleva. Ma quello che le premeva di più era che Ian trovasse la sua strada, e con quella la pace interiore e la felicità – con lei o senza di lei. Sapeva di avere molti difetti, ma l’egoismo non era tra questi. La gente stava uscendo dal bar per radunarsi attorno al grande albero. Sulla veranda qualcuno le disse. «Tieni, Marcie» e le porse una candela. In fondo non avrebbe fatto questa gran differenza se fosse rimasta a cantare una carola o due, pensò lei. L’albero era splendido, e la stella brillava nella notte come un faro. Radunata attorno alla base dell’albero c’era molta più gente che nel bar, e l’aria risuonava di richiami, saluti e risate. Non sembrava ci fosse un piano preciso, poi qualcuno disse: «Cominciamo c o n Away in a Manger» e il coro iniziò. Dapprima esitante, un po’ stonato e goffo, ma a metà le voci si erano fatte più sicure e squillanti. Poi qualcun altro disse: «Silent Night» e le voci si levarono di nuovo nell’aria. Seguirono We Three Kings e Silver Bells, che non tutti conoscevano e che finì in grandi risate. I suggerimenti si sovrapposero uno all’altro per un poco, senza che si arrivasse ad una decisione. Poi una splendida voce baritonale si levò dai margini del gruppo. Dolce, profonda e limpida. «O notte santa /in ciel le stelle brillano /è nato il Salvatore...» Con il cuore in gola e gli occhi colmi di lacrime Marcie si voltò, ma tutta la folla alle sue spalle si era girata verso la voce e lei non vedeva nulla. Porse la sua candela al vicino, si fece strada tra la gente e infine lo vide, in piedi dall’altro lato della strada. La luce della stella lo illuminava, e Marcie lo riconobbe a stento. Le sue guance erano prive di barba, gli abiti puliti e stirati. E accanto a lui, sul marciapiede, c’era una sacca di tela. Un bagaglio, pronto. Marcie si portò la mano alla gola, che le si era chiusa d’improvviso, e lasciò che le lacrime scorressero libere sulle sue guance. Ian le sorrise brevemente e continuò a cantare con gli occhi fissi alla cima dell’albero. «Cadete in ginocchio /sentite il coro d’angeli /notte divina /in cui nasce il Signore/ notte, o notte divina...» La sua era davvero una voce d’angelo, pensò Marcie. Cantava Cadete in ginocchio e aveva ragione, lei si reggeva in piedi a stento. Ma Ian non smise di cantare: terminò l’inno, poi ne attaccò un altro altrettanto profondo e commovente. Dalla folla non veniva un fiato e nessuno si unì a lui. La sua voce appassionata era troppo bella per non ascoltarla in reverente silenzio. Quando il secondo inno finì, Ian chinò il capo e tacque, semplicemente. Si levarono esclamazioni di approvazione, qualche ringraziamento, e infine un lungo applauso. Marcie si avvicinò a lui a passo malfermo. I suoi occhi scintillavano di lacrime di gioia. Mise una mano sulla sua guancia segnata dalla sottile cicatrice, e Ian le accarezzò i morbidi capelli. «Che cosa ci fai qui?» domandò Marcie. «Mi alleno a cantare per la gente e non solo per gli animali della foresta» spiegò lui. «Sei tu che non dovresti più essere qui. Non mi aspettavo di trovarti. Pensavo di fermarmi a cantare per un poco, e poi di mettermi in viaggio.» «Sono stata trattenuta... è una lunga storia. Ma tu dove vai?» «A Chico» sorrise Ian. «Ci abita una ragazza che conosco.» «Allora starai da me?» «Forse per una notte, visto che si sta facendo tardi. Poi andrò dal ragazzo dei giornali e vedrò se mi affitta una stanza.» «Oh, Ian...» sospirò lei gettandogli le braccia al coll. Lui la strinse forte sollevandola da terra e la baciò con passione, tra gli applausi dei presenti. Poi la depose a terra e la scostò da sé per guardarla negli occhi. «Stammi a sentire, Abigail, perché ci sono alcune cose che devi sapere. Possiedo quattrocentoundici dollari in contanti, e non ho altri risparmi. Non compilo una denuncia dei redditi da quattro anni. Ma se in primavera non pago le tasse sulla proprietà la perderò, e non potrò pagarle se non mi trovo un lavoro. Un lavoro vero, regolare, che non ho da lungo tempo. Quanto a mio padre, non mi illudo che il nostro incontro possa essere commovente e risolutivo – probabilmente mi caccerà via a calci e tanti saluti. Perciò devi sapere che ho ancora una quantità di problemi. Il fatto che abbia cantato per gli altri non significa che...» «Credi che io sia una pappamolle?» interruppe lei incredula. «Dopo tutto quel che hai visto, mi ritieni una donnina debole? E allora perché vieni, proprio tu che odi la debolezza?» «Per vedere se per noi c’è un futuro, Marcie. Non ti farei soffrire per niente al mondo, perciò devi dirmi se te la senti di rischiare – anche che le cose non funzionino. Perché credere in noi comporta dei rischi, e il primo fra tutti sono io. Potrei rivelarmi una terribile delusione.» Dopo una pausa lei domandò: «Hai riportato i miei libri in biblioteca?». Ian scrollò il capo. «No. Non potevo fare più di tanto, se volevo raggiungerti prima di Natale.» Lei gli sorrise e guardò brevemente in alto, verso la stella. «Vedi, nemmeno io sapevo esattamente dove stavo andando. Ma poi ho visto questa luce, e l’ho seguita. Te l’ho detto, Ian... ti amo. Ti amo da morire. Posso cominciare da lì, e prendere le cose come verranno.» «Io invece non te l’ho detto, perché non volevo complicarti la vita né deluderti... ma non ricordo di aver mai provato niente del genere in tutta la mia vita. Ti amo, Marcie. E accetterò tutto quel che viene.» «Va bene. Cominciamo da questo, dalla fiducia reciproca. E poi vedremo.» «Erin non sarà tanto contenta di vedermi» fece lui con una risatina. Marcie gli carezzò la guancia. «Per un paio di giorni non ti riconoscerà nemmeno. Sei magnifico. Chi darà da mangiare a Buck?» «Per ora Buck se la caverà da solo, e lo rivedremo quando la neve si scioglie. Che te ne pare?» «Un piano perfetto» disse lei. E pensò: Se queste montagne sono così belle d’inverno saranno stupende in primavera, con la promessa di una nuova vita. Una vita nuova, come la sua. Come la loro.