I.I.S. L. Luzzatti, via Perlan 17, Mestre (Gazzera) Blog: http://quaderniglev.blogspot.it/ Casella di posta elettronica: [email protected] Comitato di redazione: Barbara Bertin, Chiara de Manzano, Lucia Oldrati, Claudia Rispoli, Nicola Tonelli. Hanno collaborato a questo numero: Marco Gallizioli, Maria Locane. Si ringrazia per i loghi e per la grafica: Federico Fragapane Chi volesse contribuire con articoli originali può inviare il materiale alla casella di posta elettronica [email protected] INDICE n n n n n Presentazione di Barbara Bertin Sezione Job La moda di casa nostra: una meravigliosa forma d’arte dove torna a splendere il sole di Lucia Oldrati Sezione Didattica Viaggiare col portfolio sempre in tasca di Maria Locane Sezione Letteratura Multietnica L’altro Mediterraneo: viaggio tra culture e mondi letterari di Marco Gallizioli Libriamoci di Claudia Rispoli Curiose disquisizioni sul numero zero di Nicola Tonelli Sezione Rapporti con il territorio Un viaggio della città nella città di Chiara de Manzano pag. 5 pag. 9 pag. 15 pag. 22 pag. 28 pag. 34 pag. 41 Presentazione QuaderniGLEV: un viaggio a tappe nel mondo dell’Istituto Luzzatti di Barbara Bertin Quaderni GLEV è una rivista semestrale nata dall’iniziativa di un gruppo di docenti dell’Istituto che hanno dato vita a un vero e proprio comitato di redazione. Sfogliando le sue pagine il lettore viene accompagnato in un viaggio all’interno della nostra scuola, attraverso una finestra diversa di comunicazione con l’esterno. L’obiettivo, ambizioso, è di far emergere, da uno sfondo valoriale condivi so, le identità multiple che animano l’Istituto. La rivista offre un’inedita opportunità di un dialogo con il territorio, con la quale la scuola può affermare in modo deciso il proprio ruolo di agenzia culturale ed educativa, che del territorio è parte integrante. Interazione e integrazione costituiscono i due poli attrattori di un processo virtuoso bi direzionale. E’ curioso che la differenza tra i due termini stia in una ‘g’in più o in meno. Interagendo si produce integrazione; l’integrazione è la base di un’interazione positiva. E’ sicuramente un bene che la scuola si faccia conoscere utilizzando una modalità non consueta, un progetto editoriale che segue e accompagna la vita quotidiana dell’Istituto per rendere noti i pensieri, le idee, le attività. Il proiettarsi verso l’esterno (e il termine “progetto” ha in sé l’idea di gettare qualcosa in avanti) è utile per chi nella scuola opera: ampliare la visione oltre i muri dell’edificio scolastico, stabilendo un contatto con ciò che accade sul territorio, favorisce il superamento dell’autoreferenzialità e la riflessione sull’idea che ogni cultura è permeabile, porosa, dinamica, in quanto si modifica in un processo di ibridazione continua attraverso il con tatto con esperienze, materiali e immateriali, e culture altre. 5 Il titolo Il quaderno, da sempre, è associato con l’idea di scuola. Tuttavia, ha anche in sé le caratteristiche del taccuino di viaggio e del diario. Infatti, il taccuino è lo strumento sul quale il viaggiatore annota impressioni, riflessioni, idee estem poranee per fissarle nel momento stesso in cui gli appaiono nella mente. Il diario, invece, è un racconto, “fedelmente soggettivo”, scandito ad intervalli di tempo regolari. Ed ecco, quindi, che il quaderno lega la scuola al viaggio, in questo caso un viaggio nel mondo dell’apprendimento e dell’insegnamento. GLEV è un acronimo già utilizzato in uno dei tanti progetti di cui l’Istituto è promotore, “Impresa in Azione”. Deriva dai nomi degli Istituti che lo compongono, Gramsci, Luzzatti, EdisonVolta, e sta ad indicare la diversi tà nell’unità, una diversità che si propone come un valore aggiunto all’in terno di una condivisione di valori e di obiettivi. Le sezioni La rivista si articola in quattro sezioni, Job, Didattica, Letteratura Multietnica, Rapporti con il territorio. Nel loro insieme sono state concepite per far emer gere le peculiarità dell’artista e dell’artefice che risiedono in ognuno di noi. Job: abbraccia il mondo del lavoro e delle professioni, con un occhio atten to agli sbocchi che il territorio e la società, in continua evoluzione,offrono agli studenti. Didattica: raccoglie contributi ed esperienze d’aula o maturati in percorsi extracurricolari. Si configura come un cassetto da cui estrarre buone prati che da trasferire nel proprio contesto. Letteratura Multietnica: fa leva sulla componente artistica dei docenti, che si possono misurare con la scrittura creativa, aprendo l’orizzonte verso luoghi multiculturali, in cui l’incontro con l’altro innesca un viaggio inte riore verso la conoscenza di sé. Rapporti con il territorio: un polo tecnicoprofessionale come il Luzzatti deve sempre e comunque mettersi in relazione con il territorio su cui insi 6 ste. La sezione, quindi, è pensata per ospitare contributi tesi all’analisi del l’ambiente circostante, delle opportunità che offre nei diversi ambiti, nel l’ottica di uno scambio dinamico tra il mondo della formazione culturale e quello della formazione in tutti i contesti della vita. Prima tappa: Il Numero Zero – Liberi di viaggiare Ogni numero ha un filo conduttore che attraversa idealmente tutti i con tributi. Il viaggio è un topos letterario, come è noto. Nel corso della nostra vita siamo sempre in viaggio, concretamente e metaforicamente. Viaggiare significa conoscere, conoscere significa confrontarsi, confrontarsi significa ammettere il cambiamento e la crescita. Viaggiare vuol dire mettersi in gioco, quotidianamente. E il viaggio diventa tanto più appagante se non ha vincoli né costrizioni, se consente la navigazione libera, l’approdo su terre inesplorate. Questo Numero Zero, dunque, è l’inizio di un viaggio a tappe, nel quale i docenti sono contemporaneamente instancabili sherpa accom pagnatori e portatori di alta quota – ed esploratori. Gli articoli Sei sono i contributi che animano la prima tappa. La sezione Job è resa viva da un viaggio nel futuro che attraversa il mondo della moda di casa nostra. “Sistema Moda” è il nuovo indirizzo tecnico che il nostro Istituto, unico sul territorio provinciale, ospiterà dal prossimo anno scolastico, con l’occhio rivolto a Marghera dove sorgerà la cittadella della moda, progetto di ampio respiro di un veneto trapiantato in Francia, Pierre Cardin. La sezione Didattica accoglie il viaggio di un cittadino con il suo baga glio di esperienze che devono trovare il giusto riconoscimento nella realtà lavo rativa e sociale. Viene quindi proposta una riflessione sull’apprendimento che dura lungo tutto l’arco della vita e si esplica in tutti i contesti della vita, discu 7 tendo su una questione nodale che coinvolge l’istruzione degli adulti, l’accre ditamento delle competenze acquisite in ambito non formale e informale. La sezione Letteratura Multietnica ospita un viaggio attraverso le acque del Mediterraneo, luogo di incontro / scontro tra culture ed esperienze diverse, diverse prospettive e diverse concezioni del mondo. Il Mediterraneo è un luogo di separazione profonda, assoluta, inciso da “una invisibile, ma potentissima faglia culturale”? Potranno la conoscenza e l’incontro, il viaggio attraverso la diversità culturale, avvicinare i lembi della ferita? Presenta, quindi, tre recensioni di libri, tutti costruiti attorno al tema del viaggio, raggruppate sotto il titolo eloquente “Libriamoci”. Viaggio è anche qui sinonimo di libertà, incontro, tessitura di legami, ma anche fuga, per dita e ritrovamento. Vi è infine un viaggio nel tempo, sulle tracce storiche del numero zero, per correndo un itinerario oltre la matematica, attraverso i secoli e i popoli, per giungere ai nostri giorni, quando lo zero non è “più voto e inconcrudente come recita Trilussa ma rispettato e ricercato come dice Rodari”. L’ultima sezione, Rapporti con il Territorio, ci offre un inedito viaggio che si snoda attraverso il labirinto reale e figurato di una città dentro la città, il car cere di Venezia, che è stato oggetto di un progetto formativo dal titolo “Oltre l’@urora”. Si tratta di un viaggio educativo per ridurre “percorrendole, quelle enormi distanze che si creano tra noi e realtà vicine ma quasi invisibili”, per scoprire l’altro e attraverso questa scoperta conoscere e riconoscere se stessi. E ora, con l’augurio di una buona lettura, non resta che ringraziare Federico Fragapane che con la sua creatività artistica ha realizzato i loghi per la rivista, permettendo di renderla facilmente identificabile, e i docen ti che hanno collaborato a questo numero zero, dedicando tempo e entu siasmo perché il viaggio inizi. 8 Sezione JOB 9 La moda di casa nostra: una meravigliosa forma d’arte dove torna a splendere il sole di Lucia Oldrati Il termine moda deriva dal latino modus, che significa maniera, norma, regola, tempo, melodia, ritmo, tono, moderazione, guisa, discrezione. La moda detta anche storicamente costume nasce solo in parte dalla necessità umana di coprirsi; in realtà l’abito assunse anche preci se funzioni sociali, atte a distinguere le varie classi, le mansioni e i ruoli.Dal XIX secolo iniziano a distinguersi i primi stilisti, che creano nuovi tagli, nuove stoffe e nuovi canoni nel modo di abbigliarsi; anche nella moda il “fattore uomo” è l’elemento fondamentale, imprescindi bile di tutto il sistema e questo si esprime attraverso la creatività. E’ ormai acquisito che ai giorni nostri la moda è qualcosa che agisce tra sversalmente, il gusto per il trasformismo, la metamorfosi e il voler mostrare ad altri, procedono parallelamente come espressione della cul tura dell’individualismo. Gli abiti possono servire a nascondere lati della personalità che non si vogliono far conoscere o, viceversa, a mostrarli. Il presidente di Sistema Moda Italia, Michele Troncon, ha fatto pre sente che nel 2010 i dati Istat sull’ andamento della bilancia commer ciale italiana parlavano di un deficit record di 27,3 miliardi di euro ma, nel calo generale dei diversi settori, spicca il positivo andamen to del Made in Italy (dall’abbigliamento alla pelletteria), con il suo saldo di +11,7 miliardi di euro. Un settore che per la nostra economia resta strategico, con 48,4 miliardi di euro di fatturato. La crisi finanziaria degli ultimi anni ha avuto ripercussioni anche nel settore moda; finalmente dopo un periodo di crisi le sfilate di febbra io 2012 a Milano Unica hanno visto crescere la presenza dei buyer Usa e un boom di cinesi e di brasiliani. Ci auguriamo che il Governo Monti sostenga la crescita del settore intraprendendo un’azione politica forte e senza tentennamenti pres 10 so l’Unione Europea per il varo della legge che tuteli il Made in Italy; questo potrebbe rafforzare e salvaguardare la creatività italiana nota in tutto il mondo. Nel 2010 il fatturato della tessitura ha registrato un incremento dell’11,8% rispetto al 2009; se confrontato con il 2008 siamo a 16%, ma tutto fa pensare ad un rapido recupero. La sfida è tornare ai livel li precrisi. Gli ordinativi del tessile per il primo trimestre di quest’an no già superano il 10% e non sono rari i casi in cui la crescita è addi rittura del 20%. Indicazioni confermate dai dati Istat su fatturato e ordinativi dell’industria italiana, dove il comparto moda fa meglio della media, con un +25,5% degli ordini (quasi il doppio del +13,9% medio dell’industria nazionale) e un +11,9% del fatturato (+10,1% la media). A trainare ordini e fatturato italiani (rispettivamente +21,2% e +16%), è l’export soprattutto del tessile, il settore che anticipa l’an damento di tutta la moda. Milano Unica ha segnato +12% di presen ze straniere, con il dato boom dei visitatori cinesi, quasi 300% più del l’edizione precedente, seguiti da brasiliani (+60%), coreani e russi (+43%) e americani (+23%). Le nostre aziende stanno spingendo sul l’acceleratore dell’internazionalizzazione. Attualmente il settore moda, che si attesta intorno al 60% di esportazioni, dimostra di avere sicuramente margini di crescita importanti sui mercati mondiali e l’attenzione dimostrata dai buyer internazionali lo conferma. Il mer cato interno invece non dà ancora segnali di crescita. Una speranza potrebbe essere rappresentata dal progetto dello stilista Pierre Cardin che, se diventerà realtà, vedrà per la prima volta realizzare un gratta cielo laddove ci sono state solo fabbriche: 245 metri di altezza, 60 piani, 5 mila nuovi posti di lavoro nel mondo della moda, dei servizi, totalmente ecologico. Un aspetto importante è la decisione della giunta regionale del Veneto, che il 20 marzo 2012 ha dichiarato il Palais Lumière un progetto di interesse regionale. La città della moda sorgerà praticamente in riva alla darsena del canale industriale Ovest, nel cuore antico di Porto Marghera, a due passi da via Fratelli 11 Bandiera, da Mestre e, in linea d’aria, dal Vega. Mai come in questo momento è necessaria una strategia di comuni cazione che sappia proporre, oltre alla qualità del prodotto e al valo re aggiunto del brand, dei riferimenti nei quali il consumatore si possa ritrovare, per esempio legati ad uno specifico territorio, nel nostro caso le calzature della Riviera del Brenta. La centralità del consumatore, nelle politiche sia di ricerca del pro dotto come nell’elaborazione delle politiche di comunicazione, rap presenta sicuramente l’evoluzione del mercato. Questo è tanto vero quanto più si va verso un mercato di gamma alta dove il Made in Italy è un invincibile valore aggiunto; nello stesso tempo però anche l’uti lizzatore finale risulta essere decisamente evoluto, quantomeno nelle società occidentali; un esempio è rappresentato dall’alta moda, che altro non è che la capacità di pensare cose uniche. Oggi c’è una nuova generazione di clienti internazionali alla ricerca di qualcosa di segre to, nascosto e unico, quasi irripetibile, il lusso vero.L’alta moda è la colonna vertebrale della moda in generale, è un bellissimo laborato rio di ricerca, di fantasia, di estremi dove si vedono delle tecniche che non si potrebbero mai utilizzare nell’industria, queste sperimentazio ni si possono effettuare soltanto negli atelier.Le aziende a forte appe al, per esempio, con un brand di immagine internazionale stanno investendo nella distribuzione diretta attraverso punti vendita mono marca situati in location a forte valore aggiunto, esempio Moncler a Parigi. Tale scelta è possibile solo per quelle imprese che rappresen tano il vertice del Made in Italy, si pensi a Prada, Versace e buona parte delle griffes italiane o che hanno puntato sulle reti di franchi sing la propria politica commerciale, vedi il Gruppo Benetton.Queste aziende di notevoli dimensioni e diversificazioni di gamma hanno delocalizzato in paesi a basso costo di manodopera senza riversare le economie di costi sui prezzi finali, opportunità colta dal gruppo Zara che ne ha fatto una filosofia vincente allestendo presso i grandi stores internazionali e supermercati degli Shop in Shop che permettono al 12 prodotto, alla collezione ed al brand di acquisire una propria visibili tà rendendolo in questo modo facilmente individuabile e raggiun gibile attraverso un percorso diretto e guidato. Ma veniamo alle opportunità di lavoro che vengono offerte ai giovani in questo settore: dall’indagine Excelsior di Unioncamere del primo trime stre del 2012 possiamo notare che le difficoltà nel reperire i profili deside rati risultano particolarmente rilevanti nel settore moda dove riguardano 8 figure su 10, si auspica quindi un incremento degli iscritti nelle scuole esistenti nel nostro territorio che possano fornire tale preparazione. Ecco che si aprono nuove opportunità per gli studenti che si affac ciano alla scuola secondaria di secondo grado: la possibilità di diven tare tecnici della moda…. Quale meravigliosa opportunità per un futuro in salita, tra modelle e passerelle avranno l’opportunità di conoscere in anteprima le news dei più grandi stilisti, impareranno a creare e promuovere un evento, respireranno la creatività per non parlare anche dell’internazionalità che questo mondo racchiude. La moda da sempre ha creduto nei giovani, incoraggiando chi si è proposto con novità a dir poco strabilianti, a volte anche troppo fan tasiose ma che hanno contribuito a distruggere i vecchi schemi di utilizzare i tessuti e i colori e poter ricostruire una dimensione nuova senza condizioni, libera da catene. La società insegna spesso l’unifor mità, molti si adeguano e vestono in un certo modo perché la socie tà nella quale vivono li apprezza se sono così, solo chi respira moda “vera” è capace di infrangere vecchie abitudini, osare con tessuti e colori. Inventare fantasie ti fa sentire vivo, non ti puoi fermare, devi sempre cambiare, creare, non farai mai la stessa cosa perché potresti essere travolto dagli innovatori. La moda non vuole te, vuole solo la tua capacità di innovazione ed efficienza. Mentre la società cerca di cambiarti standardizzando i tuoi comportamenti, le abitudini di vita, i cibi, la moda si muove esattamente al contrario, innovazione e creatività sono le chiavi per entrare in questo mondo. Detto questo vediamo qual è la tendenza per la prossima primavera? 13 Per capirlo, basta aggirarsi tra gli stand di negozi quali Zara, H&M che rappresentano perfettamente il fast fashion: una sola declinazione di colore, il bianco virginale, immacolato e puro ma dalle seducenti tra sparenze. Non mancheranno però i colori, sgargianti o pastello, gli abbinamenti saranno a contrasto, lo street style sempre più richiesto, vestire informale, per chi deve uscire presto di casa per recarsi al lavo ro ma vuole vestire con stile.Il vero must have tra letendenze moda primavera estate 2012 è il tailhem, una gonna lunga dietro e corta avanti, un modello molto particolare e decisamente sensuale. Sentiamoci liberi di scegliere secondo il nostro stile senza farci condi zionare, forti della nostra personalità, viaggiamo con la fantasia senza costrizioni, dobbiamo essere consapevoli che non sempre quello che fa tendenza è il modello adatto a noi, valorizziamoci anche con ciò che indossiamo, non necessariamente dovrà essere costoso ma adatto al nostro corpo e inserito nel nostro stile per poter dire “mi voglio bene”! Il Palais Lumière Lucia Oldrati ha conseguito la laurea in Economia Aziendale presso l’università Ca’ Foscari di Venezia, insegna dal 1984 all’I.I.S. Luzzatti di Mestre Informatica e Applicazioni gestionali. Dal 2011 ricopre la carica di RegionalTeacher per il Veneto per conto di Junior Achievement di Milano, occupandosi di sviluppare progetti d’impresa all’interno delle scuole. 14 Sezione Didattica 15 Viaggiare col portfolio sempre in tasca di Maria Locane La questione è la predisposizione di un modello/strumento di accre ditamento condiviso e condivisibile a livello nazionale ed europeo; e per fare questo, diventa necessario stabilire e riconoscere livelli di standard riferiti ai settori produttivi e alle figure professionali, con lo scopo di favorire: una riqualificazione mirata, parallelamente al rico noscimento di crediti, per dare un’idea chiara e oggettiva di “ciò che una persona sa già fare” e in “quale direzione bisogna invece muo versi”; la predisposizione di percorsi specifici in base ad esigenze individuali (secondo il concetto di piano personalizzato); l’integra zione con il territorio; la trasferibilità di conoscenze e abilità in campi esperienziali nuovi e diversi; la mobilità e la spendibilità; l’ap prendimento permanente. Se è vero che l’apprendimento è lifelonglearning, allora la certifica zione delle competenze, per essere significativa, deve essere gradua le…continuativa…permanente e deve rilevare gli apprendimenti for mali, non formali, informali (esperienziali). In quest’ottica, e soprattutto riconoscendo l’importanza dell’intera zione e dell’integrazione con il proprio, diventa fondamentale indi viduare, riconoscere, valutare, convalidare gli apprendimenti e le competenze acquisite in contesti diversificati, ricordando anche che l’apprendimento non ha età e il percorso formativo è per sempre. La Commissione Europea e i ministri dell’istruzione dell’UE indica no le linee guida per una ricostruzione del “quadro delle competen ze acquisite” dall’individuo in contesto di apprendimento formale, informale, non formale, ma l’autonomia delle Regioni ha seguito le tracce delle Istituzioni Scolastiche per rilevare le competenze degli studenti: ha cioè occasionalmente creato e sperimentato procedure di convalida diversificate a tal punto da non riuscire a stabilire nem meno dei punti su cui operare un confronto.Infatti, tra i tanti model 16 li, (sistemi e procedure), sperimentati per il riconoscimento, la vali dazione e la certificazione delle competenze a livello nazionale ed europeo, emergono i seguenti punti di criticità: definizione degli standard professionali da certificare; definizione di dispositivi di certi ficazione (commissioni, certificati); attivazionedi procedure condivise per il riconoscimento delle competenze”. (daMetodologie innovative e accreditamento delle competenze).Da qui, la necessità di formalizza re e istituzionalizzare dispositivi e sistemi di certificazione e valida zione degli apprendimenti. In Italia non esiste ancora un metodo di valutazione condiviso oltre al fatto che non esiste un quadro nazionale di riferimento, e il qua dro nazionale delle qualifiche (NQF), che mira ad una formazione maggiormente rispondente alle esigenze di mercato e accreditabile a livello europeo, è ancora in fase di sviluppo. C’è da dire che dopo il Decreto Ministeriale n. 174 del 2001, “Certificazione del Sistema Professionale”, che afferma l’importanza della certificazione delle competenze individuali in termini di titoli e qualifiche, in Italia parte la sperimentazione del “Libretto Formativo del Cittadino”, documento ufficiale approvato nel 2005, atto a registrare le competenze acquisite in situazioni formali, non formali e informali. Tale “Libretto” è conosciuto come Portfolio delle Competenze, una sorta di diario che può raccogliere in modo gra duale e significativo titoli, attività, stili di apprendimento, esperien ze, qualifiche … tutto ciò che merita di essere registrato e, quindi, riconosciuto. Questo strumento nasce nel mondo del lavoro per selezionare personale; viene poi sperimentato nel contesto scolasti co, per il riconoscimento delle competenze individuali. Le prime sperimentazioni nella scuola sono volte a raccogliere tutte le notizie possibili rispetto a percorsi cognitivi / formativi, ma senza riuscire a cogliere le eventuali potenzialità ancora da esplorare e senza mette re in evidenza i punti di forza dell’individuo. C’è poi da dire come, all’interno del sistema scolastico, si colga ancora una certa difficoltà 17 a porre l’attenzione sulle competenze individuali e ancor più a regi strarle in modo significativo, visto che scolasticamente parlando risulta davvero difficile esaminare la competenza e spesso ci si sof ferma sulla valutazione dell’obiettivo formativo, della conoscenza e dell’abilità. Ma dovendo l’azione formativa qualificare e orientare, per migliorare le possibilità occupazionali, diventa necessario esami nare le competenze professionali acquisite e prendere in considera zione eventuali interventi integrativi.Questo significa predisporre piani personalizzati a vantaggio di un’azione formativa specifica, mirata e soprattutto orientativa e riqualificante. Il Portfolio sembra in linea con un sistema di formazione e di riqua lificazione professionale che tiene conto delle specificità dell’indivi duo; appare inoltre uno strumento flessibile, che può essere aggior nato in itinere di elementi e aspetti significativi; infine può esplora re la dimensione della valutazione, dell’autovalutazione e del l’orientamento, permettendo così agli esperti di lavorare sulla pro gettualità, aspetto irrinunciabile per il riorientamento e per la con tinuità formazione/territorio. In tal senso il Portfolio potrebbe arric chirsi della valutazione di tutte le competenze individuali, indivi duate e registrate attraverso prove convalidanti e attestanti i percor si formativi formali/non formali/informali (esperienziali). Dalle sperimentazioni effettuate nel contesto scolastico italiano emergono alcuni punti di forza significativi attribuibili a questa sorta di “Libretto Formativo”: la valorizzazione dell’identità; il riconosci mentodelle esperienze personali; la continuità verticale e orizzonta le; la documentazione regolare, graduale e significativa; l’alleanza formativa con il territorio; il riorientamento formativo e professio nale; la riflessione sui propri stili di apprendimento e sui modi di operare, l’autonomia del soggetto. Il Portfolio risulta uno strumento anche flessibile, perché aggiornabi le in itinere; può, cioè, certificare/convalidare gli apprendimenti indi viduali in qualsiasi momento e accompagnare l’individuo lungo tutto 18 l’arco della vita; nasce col percorso formativo di un individuo che entra nelle istituzioni scolastiche con quello che è già il suo bagaglio esperienziale; assume gradualmente una connotazione valutativa e autovalutativa; diventa strumento di “raccolta permanente” dei pro cessi cognitivi non formali e informali “raccontati dal protagonista”. Attorno a questo strumento di documentazione delle competenze, restano tuttavia degli interrogativi e delle perplessità: tempi e proce dura di compilazione; modalità di aggiornamento in itinere; sogget ti certificatori; redazione di testi e/o tabelle adeguati da inserire nel Portfolio; condivisione degli esiti tra il mondo della scuola e il mondo del lavoro; definizione di standard chiari e puntuali a livello nazionale e/o internazionale. Tra i modelli di accreditamento sperimentati quello francese (model lo VAE: ValidationdesAcquis de l’Expérience), e quello romenohanno attirato particolare interesse, perché entrambi pongono l’accento sull’individuo valorizzandone le competenze. I punti di criticità emersi in fase di sperimentazione (non solo rela tivamente a questi due modelli) sono: la necessità di istituzionaliz zare le procedure di accreditamento; la messa a punto di strumenti che favoriscano la mappatura delle competenze di partenza; la pos sibilità reale di valutare la competenza pratica e non solo teorica.I modelli sperimentati in Italia, in particolare a Macerata, sembrano avvicinarsi al modello francese, soprattutto sotto l’aspetto strumen tale e metodologico. Infatti, nella procedura sperimentata si parla di “Dossier individuale delle competenze e libretto formativo” (portfo lio delle competenze), (“Livret 1”); questionario sulle abilità relazio nali e sullo stile comportamentale; (“saper essere” in termini di com petenze trasversali); piano personale di sviluppo (“Livret 2”). Particolarmente interessante anche la tipologia di riconoscimento spe rimentata in Spagna, dove lo schema di accreditamento si compone di 5 strumenti principali: 1. test di ingresso (per accedere ad un determi nato livello di istruzione); 2. test per il conseguimento di specifiche 19 qualifiche (per ottenere il certificato delle proprie competenze); 3. valu tazione iniziale del candidato (per valutare esperienze e conoscenze); 4. valutazione ed analisi delle competenze occupazionali (che stabilisce procedure e requisiti per la valutazione delle competenze acquisite in modo non formale e informale e porta alla loro validazione, completa o parziale, nonché alla loro certificazione); 5. premi speciali o licenze professionali (per lo svolgimento di determinate attività professionali; vengono garantite dalla verifica del conseguimento delle competenze richieste, anche mediante percorsi formativi non formali e informali).Questi modelli definiscono e seguono con puntualità attivi tà mirate a rilevare competenze, attitudini, stili cognitivi e operativi; colgono con esattezza la personalità di un individuo, che ha bisogno di “ridefinirsi” per collocarsi o ricollocarsi con adeguatezza nel territorio. In tal senso, questi modelli potrebbero essere considerati coma una pagina importante e significativa del portfolio di un individuo, che in un momento della sua vita decide di rivalutarsi e di autovalutarsi, per quella irrinunciabile “alleanza formativa” che dovrebbe finalmente porsi “in continuità” tra il cittadino e il territorio nazionale e europeo. Note Bibl. : Deli Salini, Identificazione e convalida delle competenze acquisite in contesti formali e informali; Piero Cattaneo, Il Portfolio delle Competenze dello stu dente; Metodologie innovative ed accreditamento delle competenze per una forma zione integrata in chiave europea –DGR 4124, Unione europea Fondo sociale euro peo CENTRO PRODUTTIVITÀ VENETO Formazione e Innovazione IRIGEM. Maria Locane si è diplomata all’Istituto Magistrale nel 1990 e abilitata all’insegna mento nella scuola dell’Infanzia; successivamente laureatasi in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università Ca’Foscari nel 1999, ha conseguito l’abili tazione all’insegnamento di Lingua e Civiltà Francese per l’Istruzione Secondaria di 1° e di 2° grado.Fino al 2010 presta servizio nei ruoli della scuola Primaria, par tecipando a diversi corsi di formazione professionale, rivolti alla didattica e alla metodologia per campi di esperienza e per disciplina. Nell’anno scolastico 2010/2011 ottiene il passaggio di ruolo nella scuola secondaria di 2° grado, presso l’ I.P.C. “L. Luzzatti”, partecipando a convegni e a corsi di for mazione rete EDA. L’articolo è tratto dalla relazione presentata e illustrata in occa sione di una convocazione Rete EDA della Provincia di Venezia. 20 Sezione Letteratura Multietnica 21 L’altro Mediterraneo: viaggio tra culture e mondi letterari di Marco Gallizioli Forse nessun luogo come il Mediterraneo è stato interpretato in modi diame tralmente opposti dalle culture che si sono sviluppate lungo le sue sponde. La “grande pianura d’acqua”, come la definì F. Braudel1, è stato il mare nostrum dei Romani, così come il bahralRum2, il “mare dei Bizantini”, per gli Arabi. Più specificatamente, mentre l’espressione latina nasceva dal carat tere inclusivo della cultura romana, dal tentativo di inglobare le differenze, uniformandole all’insegna di un solo centro politico, Roma; l’espressione araba – oggi dimenticata – sottolineava, invece, la pericolosità di un mare in cui era possibile incontrare l’altro, il diverso e, spesso, il nemico. Oggi, inve ce, il Mediterraneo è percepito come un luogo separato da un’invisibile, ma potentissima faglia culturale, che divide il nord dal sud, l’Europa dall’Africa e dall’Asia, l’occidente dall’oriente. Il grande specchio d’acqua allontana irri mediabilmente popoli e culture, creando un “al di qua” e “un al di là”, sepa razioni profonde, percepite, da chi vive da una parte e dall’altra, come asso lute. Ma – si chiede giustamente Valentina Colombo, curatrice di una splen dida raccolta di racconti arabi,3 “l’altro che vive sull’altra sponda di questo bacino è così diverso da noi? E’ davvero così estraneo?”. Se la risposta a que sti interrogativi retorici può sembrare quasi ovvia, ciò non toglie che la loro complessità rappresenti una ferita aperta nelle relazioni tra le culture e le società del Mediterraneo, un vulnus che porta a contrapposizioni spesso aspre e dure. In contesti così vicendevolmente sospettosi, però, vi è anche chi va alla ricerca di varchi che aprano nuovi orizzonti interpretativi, e, non di rado, è la letteratura a costituire l’accesso più diretto e potente alla comples sità culturale “altra”, finendo col rappresentare un metaforico passaggio 1 Cfr. F. BRAUDEL, Mediterraneo, Bompiani, Milano 2002, p. 6. D. M. DUNLOP, Bahr alRum, in Encyclopaedia of Islam, Brill, Boston 2012. 3 V. COLOMBO (a cura di), L’altro Mediterraneo. Antologia di scrittori arabi del Novecento, Mondadori, Milano 2004 2 Cfr. 22 verso la differenza. Con la parola letteraria, infatti, il lettore entra tra le pie ghe di vissuti complessi e insieme universali, sbirciando da dietro la porta le stanze e i luoghi narrati, in cui si muove un’umanità, a tratti dolente e a trat ti vitalissima, fino al punto di trovarsi costretto ad uscire allo scoperto e a riconoscere la consanguineità della propria cultura con quella descritta. Per tali motivi, l’intento di questo breve percorso è quello di proporre una riflessione critica su una manciata di racconti di autori appartenenti alle differenti sponde del Mediterraneo, nel tentativo di cogliere quell’ecceden za di senso, quel pluriverso nascosto, che, spesso, neghiamo con la prassi delle nostre culture autoreferenziali. Alla fine, tuttavia, viaggiare dentro i mille meandri del narrare, non ci spinge tanto a dire che non esistano differenze, quanto piuttosto a ricono scere, oltre le differenze, quei denominatori comuni dell’umanità che trop po spesso vogliamo dimenticare quando ci riferiamo ad altre visioni del mondo e, in particolare alla Weltanschauung arabomusulmana, ossia quell’esperienza dell’essere vivi che appartiene all’uomo tout court, indi pendentemente dalla soluzione culturale nella quale è immerso. 1. Incontrarsi in terra straniera Emblematico, a questo proposito, è il racconto breve della scrittrice egiziana Daisy AlAmir, Storia andalusa4, ambientato in una scuola per stranieri, presu mibilmente inglese, e che ha per protagonisti una ragazza araba e un giovane spagnolo. I due studenti si incontrano davanti ad un distributore automatico di caffè e si riconoscono come estranei in un paese che non è il loro, scambiando si appena poche parole. Per la ragazza, si tratta di superare le barriere culturali di origine che le fanno avvertire come una minaccia il semplice dialogo con un coetaneo dell’altro sesso. La giovane, dunque, deve attraversare un guado invi sibile perché non condiviso dagli altri ragazzi, per i quali non vi è nulla di minac cioso in un colloquio come quello. Per il ragazzo, invece, l’incontro è un modo 4 D. ALAMIR, Storia Andalusa, in V. COLOMBO, op. cit., pp. 267271. La scrittrice è nata ad Alessandria d’Egitto nel 1935 e cresciuta a Bagdad. Si è in seguito trasferita in Inghilterra, dove si è laureata in lingua inglese e araba. 23 attraverso il quale recuperare la propria identità, le proprie radici culturali, fino a riconoscersi spagnolo e insieme arabo. Il viaggio verso la studentessa compor ta una radicale messa in discussione di sé, con l’intento di riuscire a mettere tra parentesi la diversità esteriore per poter recuperare una profonda consanguinei tà, simbolicamente individuata nella propria “arabicità”. Entrambi i protagoni sti, quindi, devono essere disposti ad eccedere i loro significati, a travalicare le proprie categorie: da un lato, la ragazza deve superare se stessa, la sua ritrosia, le sue difficoltà di comunicare con un mondo e con individui che le sembrano lontani, inarrivabili e, in parte, alieni; dall’altro, il ragazzo deve riconoscersi come vicino, al di là dei segni di superficie che marcherebbero una incolmabile distanza. La “terra straniera” nella quale si incontrano, dunque, si connota di significati universali, divenendo l’allegoria di un mondo in cui nessuno può dirsi mai veramente a casa e rassicurato. Rappresenta la complessità nel suo doppio risvolto di impedimento, di barriera, di incomprensibilità e, insieme, di possibi lità, nel senso che, sembra dire AlAmir, solo se si è disposti ad avvertirsi stra nieri vi è una possibilità per incontrarsi davvero. Ma, riconoscersi come estranei in una terra inospitale, conduce a prendere coscienza anche del fatto che l’in contro comporta un viaggio di conoscenza, in cui è possibile perdere tutto, il proprio passato, la propria appartenenza, i propri valori, senza sapere con cer tezza se si acquisterà qualcosa in cambio. “Il passato è prezioso perché deve essere dimenticato5”, afferma la giovane araba, cosciente di quanto sia inelutta bile che qualcosa di sé e del proprio mondo si infranga quando entra in contat to con realtà altre. Viaggiare, quindi, significa anche correre il rischio di dimen ticare, di perdere qualche briciola della propria visione del mondo per far posto ad altri orizzonti. E questo aspetto del viaggio di conoscenza è forse il più tre mendo perché comporta uno sconfinamento in territori foschi e inesplorati, di cui non si conoscono i sentieri o, addirittura, possono essere scambiati per sen tieri anche semplici venature della terra. E così, quando la ragazza crede di rav visare l’arabicità del giovane nei suoi modi decisi, il ragazzo le confessa che sta per partire, per recarsi in un’altra nazione, dalla quale sarebbe presto ripartito 5 D. ALAMIR, op. cit., p. 268 24 per far ritorno alla sua “Andalusia”. Il mondo costruito e rinnovato nel sempli ce dialogo dei due giovani entra in una nuova fase di turbolenza, di instabilità, che diviene il simbolo dell’indecifrabilità del destino umano. Quello spazio inte riore creato per ospitare il confronto con l’altro sembra essere stato un inutile tentativo di fermare il dinamismo degli eventi; quella parte di sé sacrificata per lasciare spazio ai significati sussurrati del giovane pare essere stato un inutile tri buto versato all’insensatezza e alla vacuità del mondo. Ma non è così: la ragaz za araba riscopre nei discorsi del ragazzo che le parla del suo paese e dei suoi problemi, ma anche delle sue personali aspirazioni, dei suoi dolori e delle sue speranze, i problemi, le aspirazioni, i dolori e le speranze universali: “ed era come se si chinasse verso un arabo del suo paese (…)6”. Ciò che si è apparente mente cancellato di sé nel tentativo di lasciare posto alla rivelazione dell’altro ha prodotto nella ragazza la capacità di cogliere, a sua volta, la consanguineità di lui, il suo essere innanzi tutto vicino e universale, al di là delle distanze inscritte nelle culture. Allora gli occhi le si riempiono di lacrime, perché non sa cosa fare né dove andare. “L’unica cosa che sapeva era che avrebbe aggiunto nel cassetto dei ricordi una storia andalusa”. 2. Perdersi per incontrarsi Lo stesso tema, trattato da un’angolazione diversa, meno lirica e più serratame ne filosofica, ritorna anche nel racconto intenso e toccante dello scrittore yeme nita AminBaGiunaid: “Attenzione!”7, nel quale due uomini discutono in modo acceso se il colore bianco sia da preferire al nero o viceversa. Il lettore viene cata pultato in medias res senza conoscere il contesto della conversazione, quasi fosse un passante indiscreto che origlia il dialogo acceso di due amici. Da subi to, però, si comprende che si stanno confrontando due posizioni ideologiche molto ben delineate e contrastanti. La prima coincide con quella dello strenuo difensore del colore bianco, il quale ammette che è lecito per l’altro preferire il nero al bianco, ma lo ritiene comunque sbagliato. Il nero – afferma – è indifen 6 Ib., p. 270 AMIN BA GIUNAID, Attenzione!, in V. COLOMBO, op. cit., pp. 260 264. Lo scrittore è nato a Mukalla, nello Yemen, nel 1947. Dopo essere stato per anni giornalista radiofonico, ora lavora presso l’amministrazione dell’istruzione nella sua città natale.. 7 25 dibile: è il colore della notte, dell’oscurità, del tempo in cui si commettono “delitti e crimini”. E’ quindi un colore da vietare all’uomo di sani principi e occorre fare il possibile per salvare l’ingenuo dalle sue lusinghe. Viceversa – egli afferma – il bianco non ha necessità di essere difeso, perché la sua superiorità è autoevidente: è quindi lecito preferire il nero al bianco, ma non è giusto! La risposta del suo interlocutore, l’unico dei due di cui si conosce il nome, Abd alRahim, è, invece di segno opposto e rappresenta la seconda linea ideologica del dialogo. Per alRahim è indubbio che le diversità tra i due colori siano incol mabili, ma, sostiene, “per non trasformare la differenza alla quale non v’è scam po in una lotta, in un conflitto, oppure in una guerra fredda su tutti i fronti, biso gna ammettere ed essere convinti della libertà di preferire questo a quello”. Occorre, quindi, mettere a tema che ci siano ragioni ignote al sostenitore del bianco che rendono il nero preferibile per il sostenitore di tale colore. E’ neces sario, dice alRahim, essere in grado di pensare che esistano delle motivazioni che eccedono le proprie capacità di comprensione e, perché no, la propria intel ligenza, quasi nel senso etimologico di intuslegere, di leggere dentro le cose. Prima ancora di giudicare e di dividere il mondo secondo traiettorie di valori unilaterali, per alRahim è necessario scoprirsi umili davanti alla complessità di un mondo che va oltre la propria capacità immediata e mediata di comprender lo nella sua interezza. Bisogna affidarsi al “dubbio”, dice l’uomo, ossia alla capa cità di interrogare, che non coincide tanto con un dubitare dell’altro, ma che comporta anche il coraggio di dubitare di sé, fino a poter ravvisare la ragione dell’altro8. Anche in questo frammento narrativo, dunque, emerge il rischio del l’incontro, il pericolo che nasce dal mettersi in discussione bruciando ogni sche ma classificatorio, quando si determinano situazionilimite che non vanno sot tovalutate. L’incontro con l’altro è sempre una minaccia, quindi, perché com porta una contropartita che non è affatto certa e che potrebbe addirittura coin cidere con la nullificazione di sé. Ma è un rischio che occorre affrontare e sfida re se non si vuole restare imprigionati dentro le gabbie di una sorta di imperia lismo conoscitivo che tenta sempre di conciliare l’incomprensibile del mondo con le proprie categorie. Conoscere significa sentirsi minacciati, ma vuol dire 8 Cfr. E. MORIN, Cultura e barbarie europee, Raffaello Cortina, Milano 2006, p. 15 26 anche comprendere che solo quella è la via che ci conduce fuori da una rigida autoreferenzialità; è l’unico modo che ci permette di evitare l’equivoco di sen tirci gli unici “intelligenti”al mondo. AminBaGiunaid, quindi, non vuole rassicu rare circa la difficoltà del dialogo in presenza di differenze marcatissime; non prospetta soluzioni facili e immediate. Indica una strada che comporta il desi derio, la volontà e la pertinacia di mettersi in discussione, mossi dal convinci mento di fondo che – per parafrasare le parole di Clifford Geertz9 – il mondo sia troppo complesso per saltare velocemente alle conclusioni. Nelle parole dello scrittore yemenita, dunque, traspare un invito al relativi smo conoscitivo, inteso – ed è bene ripeterlo – non come una negazione di valori assoluti, abbracciando un nichilismo da quattro soldi; quanto piutto sto nel senso del negare valore assoluto alle proprie capacità di comprende re, di contenere in sé tutti i significati. La via del dialogo sembra per BaGiunaid un sentiero in salita, difficile e per nulla piacevole, ma anche l’uni co percorribile se si vuole evitare che la nettezza delle differenze divenga un moltiplicatore di tensione o, peggio, una causa di conflitto, e finisca col tra sformarsi nell’alibi che ci impedisce di cogliere l’umanità universale della persona. E il Mediterraneo è, in senso figurato, ma anche reale, un luogo in cui si intersecano differenze che da troppo tempo si sono dimenticate di con frontarsi, perseguendo l’idea di fondo che ignorare il valore dell’altro signifi chi gerarchizzarlo e non riconoscerlo come consanguineo. Marco Gallizioli si è laureato in Lettere e in Filosofia, specializzandosi in seguito in “Scienze storicoantropologiche delle religioni” presso l’Università di Urbino. Dal 2000, dopo aver vinto l’ultimo concorso ordinario a cattedre, insegna materie letterarie nelle scuole superiori, unendo a questa attività l’incarico di Professore a contratto, prima, e aggregato, poi, di “Antropologia delle religioni” presso l’Università di Urbino. Numerose sono le sue pubblicazioni di argomento storico e sociologico tra cui si ricordano: id., La religione fai da te, Cittadella, Assisi 2005; id., Un click sui giovani. Autenticità e inquietudine, Cittadella, Assisi 2009. 9 Cfr. C. GEERTZ, Antropologia e filosofia. Frammenti di una biografia intellettuale, Il Mulino, Bologna 2001, p. 61. 27 Libriamoci di Claudia Rispoli IN FUGA di Alice Munro Einaudi, 2006 pp. 316 Una copertina delicatamente evocativa mostra un pontile che si diri ge verso l’acqua, verso il nulla forse, o magari verso una terra scono sciuta, una vita da scoprire, da cambiare, da ridisegnare. Un’aura verdastra ammanta il paesaggio di una luce irreale, eppure attraen te; una barca è lì, appena coperta da un telo, per esortarci alla par tenza, al viaggio, alla fuga. E i racconti di Alice Munro mantengono le promesse dell’immagine di copertina, racconti che non ci lasciano mai con l’insoddisfazione, mai delusi, mai con il senso di incompiu tezza che a volte ci fa rimpiangere che un breve racconto non si sia evoluto in qualcosa di più lungo e complesso. Probabilmente ciò dipende dal particolare modo che la Munro ha di gestire il tempo, l’approccio cronologico alle vicende che desidera narrarci, e che sa gestire in maniera inequivocabilmente artistica e sicura di sé. Spesso i racconti iniziano con un quadro, una breve descrizione del presente, che non ci dà il tempo di capire cosa stia effettivamente succedendo tra i personaggi. Non ne abbiamo il tempo perché l’au trice ci tira per un braccio – proprio così – vigorosamente, con deci sione e fermezza, verso il passato, il momento in cui le vicende si sono originate, nell’occhio del ciclone, come si suol dire. E lenta mente, con i suoi soliti nondetti (o meglio, con i suoi sussurri 28 all’orecchio del lettore attento e ricettivo), ci porta fino alla conclu sione delle vicende, a volte saltando di decennio in decennio, a volte invece racchiudendo tutto il climax in una singola giornata. Donne in fuga, ma da cosa? In fuga da vite senza speranza, da fami glie oppressive, da esistenze opache, piatte, spente, e ancor più spes so in fuga da se stesse. Oppure, in fuga verso cosa? Verso un amore irreale, sognato ancor prima che effettivamente provato, verso un passato che ritorna con le sue ombre per poi scoprire che tutto è stato un inganno, un qui pro quo, un fraintendimento, una coincidenza persa. Donne intelligenti ancor prima che sensibili, piccoli ambienti rurali e soffocanti dove un’intelligenza femminile è vista alla stessa stregua di una zoppia, un difetto fisico, un particolare imbarazzante (Fatalità), lavoratrici instancabili, donne gradevoli, colte, simpatiche, chissà perché prive di un affetto vero, di un rapporto di coppia soddi sfacente o comunque duraturo (Scherzi del destino). Dove sono, allora, gli uomini nei racconti di Alice Munro? Che ruolo hanno, nella vita di queste donne “in fuga”? Spesso sono buoni amici, o mariti stravaganti e non sempre solidali se non addirittura opprimenti, o tormentati esseri in bilico tra la passione e la codardia. Oppure è il caso a distruggere le possibili storie nascenti, gli incon tri mancati, la paura del mostrarsi come realmente si è. Nemmeno stavolta Alice Munro delude, nemmeno in questa raccol ta di racconti (caso unico, tre storie hanno la stessa protagonista, Juliet, ritratta in periodi diversi della sua vita) i lettori che l’hanno già apprezzata si pentiranno di aver comprato questo libro. Un libro che dovrebbero leggere non solo le donne, per riconoscersi nell’interio rità e nelle indecisioni di qualche protagonista, ma soprattutto gli uomini, per non rimanere – come spesso avviene nella vita reale – sullo sfondo delle vicende femminili, spesso causa inespressa e inconsapevole di ciò che accade alle loro figlie, madri, mogli, sorelle, prigionieri del loro mondo iperrazionale, fatto di poche parole e pochissima astrazione. 29 LIBERTA’ di Jonathan Franzen Einaudi, 2011 pp. VI626 Leggendo Forte movimento, è necessario imporsi di non cadere nel l’errore di paragonarlo a Le correzioni. E il raffronto diventa ancor più fuorviante quando si legge Libertà e si cerca di analizzarlo razio nalmente. Quello che è – probabilmente a ragion veduta – conside rato il capolavoro di Franzen fu pubblicato una settimana prima del l’attentato alle Twin Towers e rappresentava la critica aspra e sfer zante agli eccessi degli anni ‘90 e alla loro potenza economica ridon dante e disdicevole. Ma tra quel 2001 e i giorni nostri parecchia acqua è passata sotto i ponti statunitensi; gli anni di Bush hanno stravolto l’immagine e la vita stessa dell’americano medio, i Lambert e i Berglund sono davvero lontani anni luce gli uni dagli altri. Conservatori contro liberali, tuttavia pienamente e decisamente americani nel senso più intrinseco della parola, dai Lambert ai Berglund si è consumata in mezzo la tragedia del crollo del sogno e dell’invincibilità americana, del dollaro che tutto può comprare, della potenza e della forza che tutto possono ridurre alla ragione. Come fantasmi si aggirano tra le vicende dei Berglund Bush e Cheney, la Halliburton e le truffe alle spalle della guerra irachena, i Repubblicani e i movimenti oltranzisti contro la sovrappopolazione del pianeta e lo sfruttamento criminale e indiscriminato delle risor se naturali non rinnovabili. Al di là dei raffronti, delle equivalenze e dei paragoni fattibili tra Lambert e Berglund, la prima e più importante cosa per cui valga 30 assolutamente ed inequivocabilmente la pena di leggere Libertà sta nella fluida, giornalistica e pulita scrittura di Franzen. Uno stile che conquista, che scorre con facilità e carattere pagina dopo pagina, coadiuvato dalla bella traduzione della Pareschi. Patty e Walter Berglund sono certamente una coppia del Midwest in cui pochi italiani possono riconoscersi; troppo lontani dalla nostra cultura mediterranea ed europea; anche se l’arco narrativo parte dagli anni ‘70, la maggior parte degli avvenimenti ha luogo nel 2004, quando la guerra di Bush sembrava ancora non dovesse ripercuoter si tragicamente sulla finanza americana. Nei due uomini di mezza età Walter e nel suo amico/antagonista di sempre, Richard Katz, c’è un po’ di Franzen, in particolare nel secondo, rocker prima ignorato poi osannato dalla critica e dal pubblico e che si dibatte tra disgusto e attrazione per il suo successo. La voce narrante è per buona parte delle seicento pagine del libro affidata a Patty; una donna fortemen te controversa, fragile, indecisa, che guarda indietro la sua vita senza riuscire a trovare un solido punto d’appoggio per le scelte fatte e quelle dribblate o ignorate. Sicuramente Libertà non è quella bieca operazione commerciale che da più parti è stata dipinta; su di essa ha gravato pesantemente e negativamente l’aspettativa di quasi un decennio di lettori mondiali che non aspettavano altro che poter gridare al nuovo grande roman zo americano dopo Roth o Bellow. Molto semplicemente, Libertà è un bel romanzo familiare che ruota attorno ad un fondamentale triangolo (senza scomodare Guerra e Pace come molti hanno fatto, aizzati dalle allusioni dell’autore) e al passare degli anni e al loro sco modo fardello emotivo, che racconta una nazione turbata e in diffi coltà, una società che guarda al futuro e vede solo incertezza e per plessità. 31 TRENO DI NOTTE PER LISBONA di Pascal Mercier Mondadori, 2006 pp. 431 Non solo un romanzo molto ben scritto (l’autore è un professore di filosofia alla FreieUniversitätBerlin), ma un gioco di scatole cinesi che va molto oltre l’apparente piano della trama pura e semplice. Un libro che si apprezza rileggendolo, soffermandosi sugli intarsi narra tivi, riflettendo sulle tante domande esistenziali che sottilmente ci vengono poste dall’autore; un libro prezioso da usare come spunto di meditazione, da sfogliare, aprire a caso e centellinare; un libro che ricama con le parole e con le lingue. Nella quieta e fredda Berna, il professore di lingue antiche RaimundGregorius incontra casualmente una donna portoghese che pare in procinto di gettarsi da un ponte, o forse no. Il loro breve incro cio di tragitti, attraverso una serie di fortuite coincidenze (o di norma li eventi che ognuno di noi vuole leggere come coincidenze?), porterà il serioso e grigio professor Gregorius a stravolgere la propria vita, la carriera, la monotona quotidianità, salendo su un treno notturno per Lisbona, alla ricerca non della donna misteriosa, come si potrebbe pensare, ma di un medico, Amadeu Ignacio Prado, autore di un libri cino di riflessioni travagliate, capitatogli in mano per puro caso. Un libro nel libro, quindi, e la ricostruzione di un personaggio con troverso, tormentato, affascinante come Amadeu. Sullo sfondo la bel lissima Lisbona, il Rossio, l’Alfama, il ponte sul Tago, il Bairro Alto, le stradine in salita, i tram, gli odori e i colori portoghesi. Ma anche Finisterre, Coimbra, Salamanca si insinuano nella vita di Gregorius. 32 Affiorano gli orrori della dittatura di Salazar, le torture perpetrate nel terribile carcere di Tarrafal, la resistência e i movimenti clande stini; come un velo, cade a poco a poco il mistero sul passato di Amadeu, sulla sua famiglia, sul tormentato rapporto con i genitori (il padre innanzitutto), la sorella, le donne e l’amico Jorge. Apparentemente un libro lento, in realtà un libro denso di avvenimen ti, ricco di personaggi affascinanti, pieno di pathos e dei grandi inter rogativi dell’anima umana di ogni tempo ed ogni luogo. Alcuni dei brani del libro di Amadeu sono concentrati di poesia, di filosofia, di etica; luoghi e persone sembrano respirare all’unisono, trascinando il lettore dentro una spirale, un viaggio sentimentale dentro una vita, una storia, una nazione. I legami dello spazio e del tempo si sciolgono, si dilatano fino ad annullarsi. Attraverso gli occhi del professor Gregorius (una specie di Peter Kien, di Jakov Mendel, uno studioso molto più a suo agio con i libri che con le persone) ci lanciamo in un percorso alla ricerca di un’immagine, di una figura sfocata che si fa via via sempre più distinta. Potrebbe essere Amadeu, o forse Gregorius, e in piccoli frammenti c’è forse dentro anche una parte di ognuno di noi. Claudia Rispoli si è laureata nel 1990 in Lingue e letterature straniere moderne (inglese e tedesco) e dal 1993, dopo aver vinto il concorso ordinario a cattedre del 1990, insegna lingua e civiltà inglese nelle scuole superiori. Da più di 10 anni si occupa di Educazione degli Adulti, e attualmente coordina i corsi dell’Istituto Luzzatti. Ha scritto recensioni di libri per varie riviste letterarie e generalistiche e di recen te è stata pubblicata una loro raccolta intitolata Libri sul comodino. Giardinaggio, cucina (perlopiù siciliana) e la manifattura di arazzi patchwork si contendono, assieme alla lettura, il suo (poco) tempo libero. 33 Curiose disquisizioni sul numero zero di Nicola Tonelli Diciamocelo, ogni scoperta o invenzione ha portato con sé effluvi di polemiche. Citiamo alcune dichiarazioni che ora fanno sorridere ma fatte da autorità che all’epoca potevano influenzare l’opinione pub blica: “La famiglia americana media non ha tempo per guardare la televisione” (New York Times 1939); “Questa invenzione dell’energia elettrica è un fallimento totale” (Erasmus Wilson, presidente dello Stevens Institute of Technology, 1879); “La fotografia durerà poco, per l’evidente superiorità della pittura” (Le Journal dessavantes, 1829); “Il Sole non gira attorno alla Terra? Folle, eretico, assurdo e falso” (Tribunale dell’inquisizione sulle teorie di Copernico e Galileo, 1616).Tutto ciò che portava cambiamento era sempre stato visto con avversione e ancora di più se questa novità proveniva da paesi rite nuti arretrati e da popoli considerati senza anima. Noi europei ci siamo da sempre ritenuti al centro del mondo e la nostra cultura, culla della civiltà conosciuta, un esclusivo prodotto da esportare a cui il resto del globo doveva attingere. Per secoli si riteneva che oltre le colonne d’Ercole terminassero le terre conosciu te. In seguito, con la scoperta di popoli e di terre lontane, il compito degli europei conquistatori era catechizzare e civilizzare quelle insulse popolazioni. Ma non fu così, anzi proprio da quelle popolazioni barbare abbiamo attinto alcune delle più importanti scoperte in campo scientifico e tecnico; e meno male che la scienza e il commercio non rispettano i confini nazionali. Prendiamo un nostro matematico, scoperto dal grande pubblico con il libro Il codice Da Vinci; sto parlando di Leonardo Pisano detto Fibonacci (1170 – 1240 ca.) conosciuto per la sequenza di numeri che prende proprio il suo nome (ogni termine, a parte i primi due, è la 34 somma dei due che lo precedono). Figlio di mercante pisano ebbe contatti con il mondo arabo e visse per alcuni anni in Algeria arri vando fino a Costantinopoli. Alternava il commercio agli studi mate matici. A suoi tempi si usavano i numeri romani che erano una nota zione simbolica di tipo additivo (per leggere il numero occorreva sommare i valori dei segni scritti).Tale numerazione poteva andar bene per semplici calcoli. Ai pastori era sufficiente segnare in una corteccia il numero di pecore da scambiare, diventava complicato per i commercianti che avevano contatti con mezzo mondo e dove vano fare rapidi calcoli di addizione e sottrazione con cifre alte.Fibonacci attinse dalle conoscenze arabe per introdurre la numerazione decimale, rendendo ufficiale ciò che già forse i mercan ti facevano di nascosto alle autorità (introducendo pure il primo metodo di conversione: numeri romani/numeri arabi). Il popolo che per primo usò una notazione numerica posizionale, cioè che il significato del numero varia a seconda della posizione che occupa nella cifra, furono gli indiani, che poi gli arabi fecero propria. Ma quello che gli europei fecero fatica ad accettare non fu il sistema decimale a base dieci (basato sul conto delle dita delle mani, in fin dei conti anche i romani usavano già una numerazione mista: base cinque e base dieci) e neppure i numeri relativi o logaritmi, ma lo zero inteso come numero e non solo spazio vuoto.Questa avversio ne aveva radici lontane: i greci, sia in epoca classica che in epoca ellenistica, non danno un valore numerico al nulla. Lo zero era assenza, il vuoto non era rappresentabile. Basti ricordare Ulisse che, per sfuggire dalla grotta di Polifemo, fa intendere di chiamarsi “Nessuno”. Per di più i grandi filosofi, come Platone ed Aristotele, ne teorizzavano la non esistenza. Poiché lo zero era considerato assenza di numero, non doveva neppure esistere come aveva procla mato il filosofo greco Protagora e su questo indirizzo era anche la chiesa cattolica (Dio non ha inizio né fine). Certo, prima di Fibonacci un certo Gerberto d’Aurillac, noto come papa Silvestro II fu tra i 35 primi divulgatori dei numeri arabi già ai primi dell’anno mille. Tutto bello, peccato che papa Silvestro II usò questo sistema di numerazio ne solo all’interno di alcuni monasteri per la catalogazione dei libri tenendola nascosta per altri tre secoli (riconoscere a una popolazio ne non cristiana il merito d’aver inventato qualcosa di utile era imba razzante). Tuttavia anche se la parte di clero più intransigente cercava di osteg giare l’introduzione di un non numero, questi assunse nei secoli un ruolo fondamentale tanto che in un manoscritto del monastero di Salem (chissà perché mi vengono alla mente le streghe) del XII si legge: “Ogni numero nasce dall’Uno e questo deriva dallo Zero. In que sto c’è un grande sacro mistero: Dio è rappresentato da ciò che non ha né inizio né fine; e proprio come lo zero non accresce né diminuisce un altro numero al quale venga sommato o dal quale venga sottratto, così Egli né cresce né diminuisce”. Bisognerà aspettare circa tre secoli (che non sono bruscolini) affin ché Fibonacci nel suo Liber abaci dia allo zero la giusta connotazio ne: “Novem figure indorum he sunt 9 8 7 6 5 4 3 2 1 Cumhisitaquenovemfiguris, et cum hoc signo 0, quodarabicezephiru mappellatur, scribiturquilibetnumerus, ut inferiusdemonstratur.” ( Ci sono nove figure degli indiani: 9 8 7 6 5 4 3 2 1. Con queste nove figure, e con il simbolo “0”, che gli arabi chiamano zephiro, qualsiasi numero può essere scritto, come dimostreremo.) Da zephirus si ebbe zevero e quindi zero. A prima vista sembra una cosa da nulla segnalare il nulla con un segno, invece fu un salto enorme. Lo zero non era più solo un segno di interruzione, un vuoto, ma ottenne la condizione comune di cifra come le altre nove. Fu il matematico e astronomo indiano Brahmaguptail primo a trat tare dello zero come un numero a tutti gli effetti. E questo prima del l’anno mille, quando dalle nostre parti si contava con numeri roma ni o al massimo con le lettere greche e il latino era la lingua più cono 36 sciuta. E non incontrò opposizione religiosa come capitò in Europa poiché il nulla era un concetto ben conosciuto nella religione indui sta e faceva parte della cultura indiana. Nell’induismo infatti il rag giungimento del Nirvana consiste nell’ottenere la salvezza fonden dosi per l’eternità col nulla. L’opera intitolata Brahmagphuta Siddhaˉnta (628) tratta non solo dello zero ma anche delle soluzioni di un’e quazione di secondo grado, enuncia regole aritmetiche a con numeri negativi. Pensate, mentre l’Europa è sconvolta da guerre, invasioni e dalla caduta del l’impero romano dall’altra parte del globo venivano poste le basi della matematica come la conosciamo noi oggi. Lo zero divenne un numero, ossia un’entità suscettibile di rientrare in un’operazione. Oggi lo zero è come la matta nel gioco delle carte: appare quando meno te l’aspetti e non segue le stesse regole degli atri numeri. È del tutto inefficace nell’addizione, onnipotente nelle moltiplica zione, assolutamente proibito nella divisione, particolare nell’eleva zione a potenza. Alcune sue caratteristiche sono intuibili, come il fatto che non è ne positivo ne negativo, è il più piccolo dei numeri naturali, nel piano cartesiano lo zero è l’origine degli assi, è l’ elemento neutro nell’ad dizione/sottrazione. Ma a causa del retaggio della cultura greca/romana lo zero nel linguaggio comune assume ancora il signi ficato di Nulla. Con una differenza: il nulla può avere un significato ambivalente. Sei una nullità, non vali nulla, vali meno di zero, sono tutti modi comuni per indicare l’incapacità di una persona. Tolleranza zero a indicare vigilanza assoluta che rasenta l’ autoritarismo. Fino ad arri vare a crescita zero (economica e demografica) sinonimo di una società malata. Negli ultimi anni tuttavia si tende ad attribuirgli un significato posi tivo. Pubblicità come: zero limiti, a chilometri zero, zero batteri, 37 zero interessi, sono sinonimi di situazioni vantaggiose e benefiche. Quasi a esorcizzare quel nulla che aveva vincolato per molti secoli il libero pensiero lo zero diventa il trampolino per rilanciare un’econo mia stanca e disillusa. Finalmente lo zero, per molto tempo avversato, ha preso il suo legit timo posto accanto al guidatore, non più voto e inconcrudente come recita Trilussa ma rispettato e ricercato come dice Rodari. 38 NUMMERI di Trilussa Conterò poco, è vero: diceva l’Uno ar Zero ma tu che vali? Gnente: proprio gnente. Sia ne l’azzione come ner pensiero rimani un coso voto e inconcrudente. lo, invece, se me metto a capofila de cinque zeri tale e quale a te, lo sai quanto divento? Centomila. È questione de nummeri. A un dipresso è quello che succede ar dittatore che cresce de potenza e de valore più so’ li zeri che je vanno appresso. IL TRIONFO DELLO ZERO di Gianni Rodari C’era una volta un povero Zero tondo come un o, tanto buono ma però contava proprio zero e nessuno lo voleva in compagnia per non buttarsi via. Una volta per caso trovò il numero Uno di cattivo umore perché non riusciva contare fino a tre. Vedendolo così nero il piccolo Zero si fece coraggio, sulla sua macchina gli offerse un passaggio, e schiacciò l’acceleratore, fiero assai dell’onore di avere a bordo un simile personaggio. 39 D’un tratto chi si vede fermo sul marciapiede? Il signor Tre che si leva il cappello e fa un inchino... E poi, per Giove, il Sette, l’Otto, il Nove che fanno lo stesso. Ma cosa era successo? Che l’Uno e lo Zero seduti vicini, uno qua l’altro là formavano un gran Dieci: nientemeno, un’autorità! Da quel giorno lo Zero fu molto rispettato, anzi da tutti i numeri ricercato e corteggiato: gli cedevano la destra con zelo e premura, (di tenerlo a sinistra avevano paura), lo invitavano a cena, gli pagavano il cinemà, per il piccolo Zero fu la felicità. Nicola Tonelli Nato l’anno in cui Hemingway divenne immortale, prende il nome dal più grande tennista italiano dagli occhi azzurri. Docente di matematica presso l’Istituto Luzzatti di Mestre, proviene da una fami glia di insegnanti. Laureato a Ca’Foscari, da qualche anno ha scoperto il piacere della scrittura. Partecipa a corsi di scrittura creativa e suoi racconti sono apparsi in diverse antologie. 40 Sezione Rapporti con il territorio 41 Un viaggio della città nella città di Chiara de Manzano Per parlarti di Pentesilea dovrei cominciare a descriverti l’ingresso nella città. Tu certo immagini di vedere levarsi dalla pianura polverosa una cinta di mura, d’avvi cinarti passo passo alla porta, sorvegliata dai gabellieri che già guatano storto ai tuoi fagotti. Fino a che non l’hai raggiunta ne sei fuori; …La domanda che adesso comincia a rodere nella tua testa è piú angosciosa: fuori da Pentesilea esiste un fuori? O per quanto ti allontani dalla città non fai che passare da un limbo all’altro e non arrivi a uscirne? Da Italo Calvino, “Le città invisibili”, Einaudi, Torino, 1972 L’unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell’avere nuovi occhi. (Proust) Ogni volta che si pensa ad un viaggio, si presuppone un ritorno: una partenza ed un arrivo. La parola viaggio deriva dal latino viaticum, il corredo, l’occorrente da portare accingendosi a partire, il necessario per un lungo cammino. Molto spesso, nell’immaginario collettivo, più la meta è lontana, più si favoleggia attorno al viaggio. In realtà, qualunque viaggio è sino nimo da una parte di curiosità, ricerca, fascino e dall’altra di timori, ansie, paure più o meno inconsce dell’ignoto, una sorta di riscoper ta di sé e dell’altro. Spesso non è necessario andare lontano per scoprire realtà nuove, diverse o sconosciute: proprio una di queste realtà che sta racchiusa nel ventre della nostra città, immersa in quella sorta di zona d’om bra di questa Venezia Metropolitana è diventata la meta del nostro viaggio: il carcere. Ed è così che un giorno, la nostra scuola si è messa in viaggio: un viaggio questo dall’evidente indirizzo educativo e pensato per i 42 nostri alunni coinvolti. Un viaticum, quindi, costruito sui binari della conoscenza, della revisione delle proprie certezze, mirato alla risco perta del nostro territorio. Un viaggio che si è prefisso di ridurre, percorrendole, quelle enormi distanze che si creano tra noi e realtà vicine ma quasi invisibili come il carcere. La speranza era di poter partire verso un luogo di sofferenza e dolore, rifiuto ed emarginazio ne, non dimenticando che esso era un viaggio che ci proponeva un’occasione unica per riflettere e far riflettere in modo significativo sul tema della legalità, sul superamento del pregiudizio e dei luoghi comuni legati al mondo carcerario, su storie di vita e di trasgressio ne, sul senso che oggi riveste l’ assunzione di responsabilità e sulla funzione riabilitativa della pena. La realizzazione di questo percorso ha reso necessario il coinvolgi mento a tutto campo di varie Agenzie preposte sul territorio, primo fra tutti il Comune di Venezia e i suoi vari settori come la Direzione delle Politiche Sociali, Partecipative e dell’Accoglienza, il Servizio Promozione dell’Inclusione Sociale, l’U.O.C. dell’Area Penitenziaria, l’U.O.C. della Protezione Sociale e Umanitaria e l’Università di Padova con la partecipazione di una docente di diritto penale. La motivazione che ha sostenuto la nostra partecipazione al proget to OLTRE L’@URORA nasce dall’osservazione dei fabbisogni sociali e territoriali del nostro Istituto. La scuola è inserita in un’area a forte processo immigratorio (dati a.s. 2009/10), con una percentuale di alunni non italiani del 24.4% ed è un istituto scolastico che detiene un alto tasso di dispersione scolastica. Si sono verificati e si verificano ripetuti episodi riconducibili a proble matiche di tipo socioambientale e a consistenti fenomeni di devian za giovanile (atti di bullismo, violenze, degrado sociale ecc); il terri torio in cui è insediato l’istituto presenta carenza di centri di aggre gazione giovanile e/o il supporto di agenzie preposte sul territorio. Il progetto OLTRE L’@URORA è risultato da subito rispondente alle nostre necessità ed affine alle linee guida progettuali che si sta ten 43 tando di porre in essere da alcuni anni nel nostro Istituto. L’ adesione è nata quindi dalla convinzione che il sostegno e la pro mozione di una seria riflessione sulle tematiche che ruotano attorno al mondo carcerario non fossero aree di approfondimento lontane o non idonee a tutte quelle domande ed esigenze sorte negli ultimi tempi e sollevate da più parti (allievi, genitori, docenti). Aurora, quindi, è stata una sorta di occasione per sviluppare ed approfondire alcune importanti questioni che coinvolgono le dina miche interne ed esterne alla vita scolastica: il tema della giustizia e della legalità, la promozione e tutela dei diritti dei cittadini, l’assun zione di responsabilità rispetto al proprio agire in un’ottica futura di convivenza in una società in veloce evoluzione e cambiamento. La necessità di imparare a comprendere superando i vari pregiudizi al fine di poter approfondire una reale conoscenza dei problemi, è stato il punto di partenza da cui si è cominciato ad affrontare l’impe gnativo percorso di confronto con le tematiche sopra descritte. L’uso consapevole del web 2.0 e la successiva creazione di un nostro sito hanno contribuito notevolmente alla raccolta di ottimi risultati sia in termini di ricaduta positiva sulle classi sia di un notevole incre mento della spinta propulsiva verso un’auspicata e consapevole aggregazione. L’integrazione e il confronto sono stati resi finalmente possibili anche all’interno di un ambito di ricerca e sviluppo delle competen ze reso possibile ed attuabile grazie al sostegno che hanno rappre sentato i sussidi offerti dalle nuove risorse tecnologiche. Il progetto è iniziato nell’anno scolastico 2010/2011 ed è stato ripro posto anche per il corrente anno scolastico con altre tre classi coin volte e si sta concludendo in questi ultimi mesi dell’a.s. 2011/2012. Nella prima edizione, gli incontri sono avvenuti con cadenza setti manale per lo più in orario extra curricolare. Questo ha rappresenta to un notevole sforzo da parte degli allievi nell’assunzione di respon sabilità verso l’impegno preso, ma al tempo stesso esso ha rappresen 44 tato anche un’occasione per vivere la scuola quale centro propositi vo di aggregazione: una sorta di laboratorio virtuoso da contrappor re alla (grigia) quotidianità, spesso rappresentata da mancanza di progetti o impegni di tipo extrascolastico. I risultati e le soddisfazioni hanno ampiamente ripagato l’impegno profuso: gli studenti hanno appreso le nuove tecniche di didattica laboratoriale, si sono confrontati ed hanno imparato a collaborare in un lavoro di gruppo, sono venuti a contatto con la drammatizza zione, il roleplaying, il problemsolving, il brainstorming, ildrama in education. Sono stati questi momenti formativi importanti,esperienzefunzionali alla loro formazione che, attraverso il raggiungimento degli obiettivi prefissati, ha contribuito e sta contribuendo all’arricchimento della loro autonomia e all’accrescimento dell’autostima: sono state attivate strategie fondamentalmente utili quali la discussione, l’approfondi mento dei temi trattati mediante il supporto prezioso di vari esperti. Molto importante si è rivelata la condivisione delle “idee” attraverso la piattaforma informatica web 2.0: è stata un formidabile strumento di supporto valido ad arricchire e definire la capacità di relazionarsi degli allievi; essa ha contribuito ad agevolare un costante e sereno confronto su temi in cui mai prima d’ora si era riusciti a costruire una piattaforma d’interessi comuni all’interno del nostro istituto. La visita alla casa circondariale di Venezia ha costituito un’esperien za decisamente significativa che ha toccato la sensibilità di ognuno dei partecipanti ed altamente formativa nel contempo: ascoltare direttamente le testimonianze di alcuni carcerati, poter interagire con loro, vedere e conoscere gli ambienti entro cui si attua la cosid detta riabilitazione per chi ha commesso reati, hanno contribuito a favorire un percorso preparatorio sostenuto da momenti di profon da riflessione E’ stato un vero e proprio viaggio con una partenza ed un ritorno, un percorso tracciato all’interno del cuore della città che ha avuto per 45 meta un’esperienza importante che li ha sicuramente maturati. Gli studenti hanno percepito e realizzato compiutamente l’impor tanza delle attività sviluppate nel corso dell’anno ed hanno potuto riflettere e rivedere alcune loro posizioni, alcuni pregiudizi nati da “consuetudini” e luoghi comuni spesso sedimentatisi in loro anche inconsapevolmente. I ragazzi, in buona sostanza, hanno permesso che un luogo tanto lontano e sconosciuto diventasse un luogo in grado di far scaturire in loro un momento di riflessione utilissimo nella prospettiva del loro cammino futuro. Vista la complessità e drammaticità delle tematiche affrontate e nonostante vi siano state (in particolare all’inizio)una sorta di natu rali “resistenze” riguardanti le inevitabili difficoltà insite al rapportar si con la questione carceraria, posso concludere che il progetto OLTRE L’@URORA ha risposto in modo efficace alle esigenze degli alunni, ed ha costituito per loro una valida opportunità di crescita che ha contribuito al raggiungimento di alcune preziose competenze ed alla formazione di una sorta di nuova idea di essere cittadini: quella di una cittadinanza che può e deve divenire attiva e consapevole. Tutto ciò è stato reso possibile da una stretta collaborazione con le aree preposte del Comune di Venezia. Un ringraziamento doveroso va dunque rivolto all’impegno profuso dagli operatori coinvolti che hanno voluto e saputo realizzare in modo efficace ed efficiente un progetto che si è sviluppato all’inter no di un percorso difficile, ma dall’alto valore educativo. Chiara de Manzano ha conseguito il titolo di Magistero Accademico in Scienze Religiose presso L’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Portogruaro (VE) nel 1990, si è laureata in Lettere Moderne presso l’Università “Ca’ Foscari” di Venezia nel 1999 e ha frequentato un Master biennale in Bioetica presso l’Università Cattolica “A. Gemelli” di Roma negli anni 20052006. Nel 2000 ha vinto l’ultimo concorso ordinario a cattedre. Dal 2008 insegna mate rie letterarie nelle scuole superiori. 46 Il titolo del prossimo numero di QuaderniGLEV (novembre 2012) sarà: GUARDARE LONTANO Gli articoli dovranno pervenire entro il 30.09.2012 alla casella di posta elettronica [email protected] Stamperia Cetid S.r.l. - Venezia/Mestre Maggio 2012