Anno XXXVIII – n. 252 – Marzo 2015
NOTIZIARIO
Provincia di Lombardia “S. Carlo Borromeo”
dei Frati Minori
La cena in Emmaus
Anonimo veneto - Sec.XIX - Olio su tela
Convento S.Pancrazio, Barbarano Vicentino (Vi)
La Pasqua e il Capitolo delle stuoie che abbiamo appena celebrato ci spingono ad andare oltre, oltre i
confini della nostra attuale Provincia per approdare nel refettorio del Convento di San Pancrazio a
Barbarano Vicentino e lasciare che i nostri occhi si posino sulla tela raffigurante la cena ad Emmaus.
Un pittore locale del XIX secolo raffigura in maniera essenziale questa apparizione post-pasquale di
Gesù. L’attenzione del pittore si sofferma sul gesto di Gesù e sulla reazione dei discepoli, il
riconoscimento allo spezzare del pane, senza concedere molto al contesto scenografico. I tre viandanti si
sono fermati sotto un portico di cui possiamo intuire un’arcata. E’ però la luce radente, corrispondente al
tramonto, che crea la scena. La penombra scura del portico lascia emergere la figura luminosa di Gesù
risorto. Sull’intradosso dell’arcata il sole ormai basso disegna una netta ombra che ci lascia intuire lo
spessore del muro e mette in evidenza i mattoni. Una piccola erba spontanea pende dal profilo dell’arco
stagliandosi su cielo che sfuma verso un blu scuro, preannuncio della notte incipiente. I due discepoli,
Cleopa e il compagno, stanno appoggiati al tavolo, protesi e attenti verso il curioso personaggio che
hanno incontrato lungo la strada. Il più anziano tiene le mani incrociate sulla tavola, mentre l’altro, che
ha l’aspetto più tipico del viandante con mantellina e bastone, tiene in mano una scura brocca.
L’attenzione dei due personaggi, insieme a quella dello spettatore è però catturata dalla figura di Gesù
che indossa gli abiti blu e rossi come nell’iconografia più tradizionale. Le sue mani appoggiate alle
ginocchia stanno spezzando il pane, mentre i suoi occhi sono rivolti verso l’alto in segno di invocazione
di benedizione del Padre. E’ proprio il volto di Gesù , dolce e drammatico allo stesso tempo, coronato
dal bagliore di un’aureola, il fulcro del riconoscimento. E’ questo volto la meta del viaggio, quello degli
occhi, dei piedi, del cuore, della vita stessa in Cristo.
Fr. Carlo Cavallari
Anno XXXVII – n. 252 – Marzo 2015
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Indice
Intervista a Papa Francesco
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Lettera aperta dei Ministri provinciali francescani
ai frati d’Italia
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Verso Expo – Un boccone di mondo
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Consiglio di Cooperazione Provincie Nord Italia
Milano 20-21 marzo
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Testimonianze di Vita Fraterna
Formazione Assistenti OFS e Gifra
Come piedi di cerva
Ritiro di Quaresima giovani
Anniversario e compleanno
17
17
19
22
24
FilmiAmo
Birdman
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Notizie di Casa
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Anno XXXVII – n. 252 – Marzo 2015
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L'intervista con Papa Francesco in un libro sul suo magistero sociale:
«Il Nuovo Testamento non condanna i ricchi, ma l'idolatria della ricchezza.
Il nostro sistema si mantiene con la cultura dello scarto, così crescono disparità e
povertà. Oggi i mercati contano più delle persone: è un'economia malata»
Andrea Tornielli - Giacomo Galeazzi
Città del Vaticano
«Papa Francesco. Questa economia uccide» è il libro sul magistero sociale del Pontefice scritto di
Andrea Tornielli, coordinatore di «Vatican Insider», e Giacomo Galeazzi, vaticanista de «La Stampa». Il
volume, edito da Piemme (pag. 228, 16,90 euro), in libreria da martedì 13 gennaio, raccoglie e analizza i
discorsi, i documenti e gli interventi di Francesco su povertà, immigrazione, giustizia sociale,
salvaguardia del creato. E mette a confronto esperti di economia, finanza e dottrina sociale della Chiesa tra questi il professor Stefano Zamagni e il banchiere Ettore Gotti Tedeschi - raccontando anche le
reazioni che certe prese di posizione del Pontefice hanno suscitato. Il libro si conclude con un'intervista
che Francesco ha rilasciato agli autori all'inizio di ottobre 2014. Ne riproduciamo un ampio stralcio,
pubblicato questa mattina sul quotidiano La Stampa.
«Marxista», «comunista» e «pauperista»: le parole di Francesco sulla povertà e sulla giustizia
sociale, i suoi frequenti richiami all'attenzione verso i bisognosi, gli hanno attirato critiche e
anche accuse talvolta espresse con durezza e sarcasmo. Come vive tutto questo Papa Bergoglio?
Perché il tema della povertà è stato così presente nel suo magistero?
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Santità, il capitalismo come lo stiamo vivendo negli ultimi decenni è, secondo lei, un sistema
in qualche modo irreversibile?
«Non saprei come rispondere a questa domanda. Riconosco che la globalizzazione ha aiutato
molte persone a sollevarsi dalla povertà, ma ne ha condannate tante altre a morire di fame. È
vero che in termini assoluti è cresciuta la ricchezza mondiale, ma sono anche aumentate le
disparità e sono sorte nuove povertà. Quello che noto è che questo sistema si mantiene con
quella cultura dello scarto, della quale ho già parlato varie volte. C'è una politica, una
sociologia, e anche un atteggiamento dello scarto. Quando al centro del sistema non c'è più
l'uomo ma il denaro, quando il denaro diventa un idolo, gli uomini e le donne sono ridotti a
semplici strumenti di un sistema sociale ed economico caratterizzato, anzi dominato da
profondi squilibri. E così si "scarta" quello che non serve a questa logica: è quell'atteggiamento
che scarta i bambini e gli anziani, e che ora colpisce anche i giovani. Mi ha impressionato
apprendere che nei Paesi sviluppati ci sono tanti milioni di giovani al di sotto dei 25 anni che
non hanno lavoro. Li ho chiamati i giovani "né-né", perché non studiano né lavorano: non
studiano perché non hanno possibilità di farlo, non lavorano perché manca il lavoro. Ma vorrei
anche ricordare quella cultura dello scarto che porta a rifiutare i bambini anche con l'aborto. Mi
colpiscono i tassi di natalità così bassi qui in Italia: così si perde il legame con il futuro. Come
pure la cultura dello scarto porta all'eutanasia nascosta degli anziani, che vengono abbandonati.
Invece di essere considerati come la nostra memoria, il legame con il nostro passato e una
risorsa di saggezza per il presente. A volte mi chiedo: quale sarà il prossimo scarto? Dobbiamo
fermarci in tempo. Fermiamoci, per favore! E dunque, per cercare di rispondere alla domanda,
direi: non consideriamo questo stato di cose come irreversibile, non rassegniamoci. Cerchiamo
di costruire una società e un'economia dove l'uomo e il suo bene, e non il denaro, siano al
centro».
Un cambiamento, una maggiore attenzione alla giustizia sociale può avvenire grazie a più
etica nell'economia oppure è giusto ipotizzare anche cambiamenti strutturali al sistema?
«Innanzitutto è bene ricordare che c'è bisogno di etica nell'economia, e c'è bisogno di etica
anche nella politica. Più volte vari capi di Stato e leader politici che ho potuto incontrare dopo la
mia elezione a Vescovo di Roma mi hanno parlato di questo. Hanno detto: voi leader religiosi
dovete aiutarci, darci delle indicazioni etiche. Sì, il pastore può fare i suoi richiami, ma sono
convinto che ci sia bisogno, come ricordava Benedetto XVI nell'enciclica "Caritas in veritate", di
uomini e donne con le braccia alzate verso Dio per pregarlo, consapevoli che l'amore e la
condivisione da cui deriva l'autentico sviluppo, non sono un prodotto delle nostre mani, ma un
dono da chiedere. E al tempo stesso sono convinto che ci sia bisogno che questi uomini e queste
donne si impegnino, ad ogni livello, nella società, nella politica, nelle istituzioni e nell'economia,
mettendo al centro il bene comune. Non possiamo più aspettare a risolvere le cause strutturali
della povertà, per guarire le nostre società da una malattia che può solo portare verso nuove
crisi. I mercati e la speculazione finanziaria non possono godere di un'autonomia assoluta.
Senza una soluzione ai problemi dei poveri non risolveremo i problemi del mondo. Servono
programmi, meccanismi e processi orientati a una migliore distribuzione delle risorse, alla
creazione di lavoro, alla promozione integrale di chi è escluso».
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Perché le parole forti e profetiche di Pio XI nell'enciclica Quadragesimo Anno contro
l'imperialismo internazionale del denaro, oggi suonano per molti - anche cattolici - esagerate
e radicali?
«Pio XI sembra esagerato a coloro che si sentono colpiti dalle sue parole, punti sul vivo dalle sue
profetiche denunce. Ma il Papa non era esagerato, aveva detto la verità dopo la crisi economicofinanziaria del 1929, e da buon alpinista vedeva le cose come stavano, sapeva guardare lontano.
Temo che gli esagerati siano piuttosto coloro che ancora oggi si sentono chiamati in causa dai
richiami di Pio XI...».
Restano ancora valide le pagine della "Populorum progressio" nelle quali si dice che la
proprietà privata non è un diritto assoluta ma è subordinata al bene comune, e quelle del
catechismo di San Pio X che elenca tra i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio
l'opprimere i poveri e il defraudare della giusta mercede gli operai?
«Non solo sono affermazioni ancora valide, ma più il tempo passa e più trovo che comprovate
dall'esperienza».
Hanno colpito molti le sue parole sui poveri «carne di Cristo». La disturba l'accusa di
«pauperismo»?
«Prima che arrivasse Francesco d'Assisi c'erano i "pauperisti", nel Medio Evo ci sono state molte
correnti pauperistiche. Il pauperismo è una caricatura del Vangelo e della stessa povertà. Invece
san Francesco ci ha aiutato a scoprire il legame profondo tra la povertà e il cammino evangelico.
Gesù afferma che non si possono servire due padroni, Dio e la ricchezza. È pauperismo? Gesù ci
dice qual è il "protocollo" sulla base del quale noi saremo giudicati, è quello che leggiamo nel
capitolo 25 del Vangelo di Matteo: ho avuto fame, ho avuto sete, sono stato in carcere, ero
malato, ero nudo e mi avete aiutato, vestito, visitato, vi siete presi cura di me. Ogni volta che
facciamo questo a un nostro fratello, lo facciamo a Gesù. Avere cura del nostro prossimo: di chi
è povero, di chi soffre nel corpo nello spirito, di chi è nel bisogno. Questa è la pietra di
paragone. È pauperismo? No, è Vangelo. La povertà allontana dall'idolatria, dal sentirci
autosufficienti. Zaccheo, dopo aver incrociato lo sguardo misericordioso di Gesù, ha donato la
metà dei suoi averi ai poveri. Quello del Vangelo è un messaggio rivolto a tutti, il Vangelo non
condanna i ricchi ma l'idolatria della ricchezza, quell'idolatria che rende insensibili al grido del
povero. Gesù ha detto che prima di offrire il nostro dono davanti all'altare dobbiamo
riconciliarci con il nostro fratello per essere in pace con lui. Credo che possiamo, per analogia,
estendere questa richiesta anche all'essere in pace con questi fratelli poveri».
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Lei ha sottolineato la continuità con la tradizione della Chiesa in questa attenzione ai poveri.
Può fare qualche esempio in questo senso?
«Un mese prima di aprire il Concilio Ecumenico Vaticano II, Papa Giovanni XXIII disse: "La
Chiesa si presenta quale è e vuole essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei
poveri". Negli anni successivi la scelta preferenziale per i poveri è entrata nei documenti del
magistero. Qualcuno potrebbe pensare a una novità, mentre invece si tratta di un'attenzione che
ha la sua origine nel Vangelo ed è documentata già nei primi secoli di cristianesimo. Se ripetessi
alcuni brani delle omelie dei primi Padri della Chiesa, del II o del III secolo, su come si debbano
trattare i poveri, ci sarebbe qualcuno ad accusarmi che la mia è un'omelia marxista. "Non è del
tuo avere che tu fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò che gli appartiene. Poiché è quel
che è dato in comune per l'uso di tutti, ciò che tu ti annetti. La terra è data a tutti, e non
solamente ai ricchi". Sono parole di sant'Ambrogio, servite a Papa Paolo VI per affermare, nella
"Populorum progressio", che la proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto
incondizionato e assoluto, e che nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che
supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario. San Giovanni Crisostomo
affermava: "Non condividere i propri beni con i poveri significa derubarli e privarli della vita. I
beni che possediamo non sono nostri, ma loro". (...) Come si può vedere, questa attenzione per i
poveri è nel Vangelo, ed è nella tradizione della Chiesa, non è un'invenzione del comunismo e
non bisogna ideologizzarla, come alcune volte è accaduto nel corso della storia. La Chiesa
quando invita a vincere quella che ho chiamato la "globalizzazione dell'indifferenza" è lontana
da qualunque interesse politico e da qualunque ideologia: mossa unicamente dalle parole di
Gesù vuole offrire il suo contributo alla costruzione di un mondo dove ci si custodisca l'un
l'altro e ci si prenda cura l'uno dell'altro».
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LETTERA APERTA
DEI MINISTRI PROVINCIALI FRANCESCANI AI FRATI D'ITALIA
SUI PERCORSI DI COLLABORAZIONE INTERPROVINCIALE
E I CAMMINI DI UNIONE TRA PROVINCE
Cari fratelli,
il Signore vi dia pace!
Come Ministri della Famiglia Francescana
d’Italia, dal 2 al 6 marzo u.s. ci siamo ritrovati a
Camposampiero (PD), nel luogo in cui Antonio
trovò riposo dalle sue fatiche apostoliche e di
servizio ai frati. Questi sono stati per noi giorni
intensi di vita fraterna, di condivisione e di
preghiera che ci hanno ricordato quanto sia
importante “fare memoria grata del nostro passato,
vivere il presente con passione e guardare al futuro con speranza”, così da poter assumere la
chiamata ad essere profeti nell’oggi in cui Dio ci ha posti, portatori della gioia del Vangelo,
capaci di raggiungere le periferie esistenziali del nostro tempo.
Tra i temi affrontati, uno ci ha visti particolarmente coinvolti, per i timori e le speranze che
suscita, per gli slanci e le resistenze che incontra, per il suo toccare direttamente e
inevitabilmente la nostra vita: è il tema della ristrutturazione delle nostre presenze sul
territorio italiano.
In un clima di condivisione e di confronto, con franchezza e libertà, ci siamo raccontati le
nostre esperienze in questo campo. Abbiamo notato che tutte le nostre realtà si sentono
interpellate dalla necessità di trovare vie e forme adatte a riqualificare la nostra presenza e le
nostre presenze sul territorio nazionale, in modo tale da poter esserci in modo significativo,
oggi, nei contesti territoriali in cui ci troviamo a vivere, in obbedienza al Vangelo, fedeli alla
Regola che abbiamo professato, attenti ai segni dei tempi e dei luoghi. Alcune delle nostre
Province hanno intrapreso vie lunghe, complesse e faticose come sono i processi di unione tra
Province. Altre hanno percorso vie diverse, quali la trasformazione di Province in Custodie
dipendenti da Province più floride.
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Altre hanno cercato una via di riqualificazione interna senza avviare processi di questo genere.
Quasi tutte le nostre realtà hanno intrapreso cammini significativi di collaborazione
interprovinciale.
Ci siamo detti che le fatiche non mancano, ma non manca nemmeno la speranza. Anzi,
accogliendo l’invito di papa Francesco non vogliamo certamente lasciarci rubare la speranza,
né la gioia del Vangelo, né la nostra chiamata ad essere una realtà profetica nella Chiesa e per
il mondo attuale.
Abbiamo naturalmente colto luci e ombre e sfide nuove che si presentano a noi nel
momento in cui intraprendiamo questi percorsi. Sono luci e ombre e sfide nelle quali ci
troviamo uniti, come Ministri, a ciascuno di voi e alle fraternità per le quali siamo stati
chiamati a svolgere il nostro servizio di governo e di animazione.
LE LUCI che si intravedono in questi percorsi di riqualificazione che vanno dalla
collaborazione all’unione tra Province sono principalmente le seguenti:
• il dinamismo partecipativo che questi cammini hanno messo in atto nei nostri fratelli e
nelle nostre fraternità;
• il sorgere di molte idee e proposte da parte dei frati che in questi anni si sono
lasciati coinvolgere;
• un senso di speranza e di apertura portato in realtà che si sentivano ormai alla fine;
• l’avvio del ripensamento e della riqualificazione su tutti gli ambiti della vita, della
missione e della
formazione;
• l’apertura di nuove fraternità;
• l‘aver messo in moto un processo di conversione che punta in alto e tocca tutti gli
aspetti della vita
(rapporto con Dio, fraternità, minorità, evangelizzazione, formazione, economia…);
• crescita del senso di appartenenza ad un Ordine e non solo ad una Provincia.
Come in ogni cammino non ci sono solo luci ma anche OMBRE. Tra queste segnaliamo:
• la fatica nel coinvolgere coloro che, all’interno delle nostre Province, hanno
manifestato forti resistenze e un pregiudizio negativo verso qualsiasi forma di
cambiamento;
• il logoramento provocato dal discernimento sulle chiusure da operare e sulla loro
realizzazione, un logoramento che tocca spesso i nostri rapporti interni, con la gente e
con la Chiesa locale;
• la difficoltà a operare un reale e significativo scambio di frati sui nostri territori;
• le «tradizioni» delle varie Province (e la nostra «forma mentis») in ambiti decisivi come
formazione, minorità, evangelizzazione, economia;
• le fatiche date dal trovare soluzioni valide alle questioni con risvolti giuridici sul
piano canonico e civile.
Vediamo infine alcune SFIDE che ci interpellano per gli anni a venire:
• continuare a costruire processi di collaborazione e, dove è necessario, di unione
secondo una mentalità di unità e di comunione, tra Province della stessa obbedienza
certamente, ma con attenzione a tutta la famiglia francescana, in modo tale da
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garantire, nel ridisegno delle nostre presenze, il più possibile, una presenza francescana,
dell’una o dell’altra obbedienza, sul territorio italiano;
• aiutare i frati a vivere positivamente una serie di «scollocamenti» o di «esodi»,
principalmente da un “io” ripiegato su se stesso a un “io” aperto a Dio e ai fratelli, e
poi a un “io” aperto alla missione
evangelizzatrice, che non ha paura di muoversi verso territori diversi da quelli in cui
siamo nati e verso le periferie del nostro tempo;
• aiutare i frati, attraverso la formazione permanente e la formazione iniziale ad
assumere una
«prospettiva qualificante» che riguardi la qualità evangelico francescana di tutta la
nostra vita e il ripensamento di tutta la nostra attività nell’ottica dell’evangelizzazione.
Noi che ci troviamo a governare e animare questi processi, ci rendiamo conto che non
possiamo farlo senza il vostro aiuto, senza la vostra fiducia e senza quella profonda comunione
che nasce dalla condivisione della stessa vocazione. Per questo vi chiediamo di pregare per noi
e di pregare gli uni per gli altri, perché cresca in tutti noi l’apertura e la disponibilità a ciò che
lo Spirito ci suggerisce in quest’ora particolare della storia in cui siamo stati chiamati a vivere
la grazia della vocazione francescana.
Mettiamo questo nostro desiderio sotto lo sguardo della Vergine Immacolata, patrona del
nostro Ordine, sotto lo sguardo di Francesco d’Assisi vero amante e imitatore del Cristo che si
è fatto nostra via, sotto lo sguardo di Antonio capace di coniugare il servizio ai frati e
l’annuncio del Vangelo e l’insegnamento della teologia con la testimonianza della carità, il
tutto a partire da un’esperienza costante di contemplazione del mistero di Cristo.
Fraternamente, i vostri fratelli e Ministri.
Segreteria Generale
00165 Roma •
Lungotevere della Farnesina, 12 • Tel. 06 6875758 int. 41
[email protected]
• Fax 06 68216019 • Cell. 347 7789969
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Un boccone di mondo
di Luciano Manicardi
Comunità di Bose
Per andare alla radice dei rapporti tra cibo, culture e religioni occorre sostare su alcune
dimensioni antropologiche del cibo e riflettere sulla valenza simbolica dell’atto di mangiare.
L'atto di mangiare è un simbolo di potenza straordinaria e come tale sentito in tutte le culture e
radicato nella più antica storia dell'umanità, quando l'uomo doveva trovare cibo raccogliendo o
cacciando e evitando di divenire lui cibo per altri.
Per l’uomo il mangiare è atto primordiale e riconoscimento iniziale del mondo. Il suo legame
con la vita è essenziale da quando il bambino è feto nel ventre materno fino alla morte. L’atto di
mangiare è rinvio all’attività culturale dell’uomo: implica il lavoro, la preparazione del cibo, la
socialità, la convivialità.
Infatti, l’uomo mangia insieme con altri uomini e il mangiare è connesso a una tavola, luogo
primordiale di creazione di amicizia, fraternità, alleanza e società. A tavola non si condivide
solo il cibo, ma si scambiano anche parole e discorsi nutrendo così le relazioni, ovvero ciò che
dà senso alla vita sostentata dal cibo. Il mangiare implica dunque anche la creazione culturale
più straordinaria: il linguaggio. Legato com’è all’oralità e al desiderio, l’atto di mangiare investe
la sfera affettiva ed emozionale dell’uomo. È dunque un simbolo antropologico di pregnanza
unica che coglie l’uomo nelle sue profondità più intime e nascoste e lo situa nel legame con la
terra, con il cosmo, con la polis, con la società, con il mondo. "Non esiste per l’uomo un assenso
più totale a tutto ciò che lo circonda dell’atto di mangiare. È il modo umano di dire il proprio sì,
perché è nello stesso tempo il sì del corpo e dell’anima … Ogni boccone di pane è in qualche
modo un boccone di mondo che accettiamo di mangiare"1. L’atto di mangiare rinvia l’uomo al
suo essere corpo sia come bisogno che come legame con l’universo: mangiando, infatti, noi
assimiliamo il mondo in noi e lo trasformiamo. Il mangiare inoltre ricorda all’uomo la sua
caducità, il suo essere mortale: si mangia per vivere, ma il mangiare non riesce a farci sfuggire
alla morte. In alcune visioni bibliche (cf. Is 25, 6-8)2 la sparizione della morte è connessa a un
sontuoso banchetto imbandito da Dio, autore della vita e vincitore della morte. Il rapporto del
cibo con la vita e con la morte, fornisce il sostrato antropologico più elementare per la sua
elaborazione religiosa e teologica (si pensi al fenomeno del "cibo per i morti" o all'usanza di
mangiare in prossimità del tumulo presenti in diverse tradizioni religiose e popolari). Né si
dimentichi che nel cristianesimo l'eucaristia è stata chiamata farmaco di immortalità. In una
visione religiosa il rapporto antropologico cibo vitale - morte inevitabile, può essere superato.
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Il cibo va anche preparato. Se tante religioni sottolineano la pratica virtuosa del “dare da
mangiare”, questo implica ancor prima il “far da mangiare”, il cucinare. Il fare da mangiare è
arte di passaggio dal crudo al cotto, dalla natura alla cultura; è lavoro, e può divenire
capolavoro. E cucinare per qualcuno equivale a dire: “Io voglio che tu viva”, “Io non voglio che
tu muoia”. Far da mangiare è la più concreta manifestazione di amore.
E di amore divenuto quotidianità. Se tra gli umani esiste un amore incondizionato questo è
quello della madre nei confronti del proprio figlio e la madre non solo dà il cibo, ma è il cibo per
il figlio, perlomeno fino allo svezzamento. Il rapporto con la madre ricorda che chiunque venga
al mondo fa esperienza di altri che gli danno da mangiare e che ogni cucciolo d’uomo deve
imparare gradualmente a nutrirsi da sé, a mangiare da solo. Ma ricorda anche la dimensione
affettiva del mangiare. Léo Moulin ha scritto che noi amiamo mangiare ciò che nostra madre ci
ha insegnato a mangiare, che a noi piace ciò che piace a lei: "Non solo mangiamo ciò che nostra
madre ci ha insegnato a mangiare, ma tale cibo ci piace e continuerà a piacerci per tutta la vita,
proprio perché mangiamo con i nostri ricordi … Anzi, noi mangiamo i nostri ricordi, perché ci
danno sicurezza, così conditi di quell’affetto e di quella ritualità che hanno caratterizzato i
nostri primi anni di vita”3.
Mangiare è un arte: sa mangiare chi è all’altezza della propria umanità. “Gli animali si
pascono, l’uomo mangia; solo l’uomo intelligente sa mangiare”4. Ma mangiare richiede tempo e
capacità di relazione e comunione. La cultura del fast-food esige che si mangi in fretta e da soli,
in anonime mense, in piedi in uno snack bar, o utilizzando pasti preconfezionati e cibi surgelati.
Perché anche il preparare da mangiare richiede tempo. In una cultura della globalizzazione
nemica del tempo e dello spazio, che erode i limiti e abbatte i confini, si tende a velocizzare i
tempi di preparazione dei cibi e a staccarli definitivamente da un territorio, da una dimensione
regionale per omologarli e renderli disponibili a New York come a Hong Kong, a Milano come
a Mosca. Il cibo poi spesso non è ricevuto, ma preso, scisso da una relazione con chi lo prepara e
lo prepara per me. Impersonalità, individualismo, fretta, e anche perdita del gusto, stanno
uccidendo l’arte del mangiare e del fare e dare da mangiare. Sintomi di questa scissione del
mangiare dal suo fondamento umano e relazionale sono le disarmonie e le patologie in rapida
crescita nei paesi occidentali, in cui comunque vi è abbondanza di cibo e di denaro per
acquistarlo: obesità, anoressia, bulimia, disturbi alimentari di vario tipo. Nella carenza come
nella sovrabbondanza di cibo, si gioca l’umanità delle persone e la loro dignità.
1 G. Martelet, Genesi dell’uomo nuovo. Vie teologiche per un rinnovamento cristiano, Queriniana, Brescia 1976, pp. 31.33.
2"Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi
succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti.
Eliminerà la morte per sempre; il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto; la condizione disonorevole del suo popolo farà scomparire da
tutto il paese, poiché il Signore ha parlato".
3 L. Moulin, L’Europa a tavola, Mondadori, Milano 1993, pp. 12-13.
4 A. Brillat-Savarin, Fisiologia del gusto, Biblioteca Ideale Tascabile, Milano 1996, p. 23.
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Consiglio di Cooperazione Province Nord Italia
L’incontro inizia alle 9.30 con la preghiera sul Vangelo liturgico del
giorno.
Bozza Statuti Particolari:
Dopo la preghiera fr. Massimo introduce fr. Cristoforo Paszkiewiz e lo
ringrazia per il lavoro, fatto insieme alla Commissione, per la
preparazione della bozza degli Statuti particolari. Fr. Cristoforo porta
al CdC il saluto da parte della Commissione, ed espone innanzitutto la
metodologia che la Commissione ha scelto di seguire: molto tempo è
stato dedicato per analizzare il significato ed i vari aspetti legati al
passaggio da 6 ad 1 Provincia. Sono state prese in considerazione le
varie realtà presenti, poi le CCGG, gli SSGG e i 6 SSPP, poi si è fatto
riferimento al cammino interprovinciale percorso in questi anni e alle
realtà che nel frattempo sono nate e che stanno funzionando.
Principio di fondo è stato che gli SSPP debbano contenere solo
l’essenziale, sia per non svalutare il peso delle norme (quando sono
troppe, spesso non si osservano), sia perché soprattutto alla nascita di
una realtà nuova non è conveniente normare troppo la vita, che deve
precedere la legge. Fr. Cristoforo precisa che è proprio per questo
motivo che nella bozza molte cose sono affidate al discernimento del
Ministro provinciale e del Definitorio e non sono normate: si pensa in
tal modo di rendere più dinamica e creativa la vita della Provincia,
lasciando alcune cose da sperimentare e da definire. Si rimanda infine
le questioni più tecniche ai Regolamenti e Statuti peculiari dei singoli
Settori, che sono più facilmente modificabili che non gli SSPP. Si fa
spesso riferimento anche alla Ratio Formationis.
Fr. Cristoforo precisa che il lavoro non è finito e che ciò che viene
presentato è semplicemente una bozza: il testo dovrà ancora passare
attraverso una serie di passaggi affidati al CdC, ai singoli Definitòri e
alla Assemblea di agosto, prima di arrivare in Capitolo. Sarà bene
anche tener conto del lavoro degli Economi e degli apporti dei due
Segretariati: F&S e Evangelizzazione-Missione. Il testo avrà infine
bisogno delle necessarie correzioni linguistiche.
Difficoltà incontrate: la distanza logistica tra i frati della
Commissione è stata parzialmente superata ricorrendo ad incontri
online mediante Skype. La difficoltà maggiore risiedeva comunque
nella novità di questi Statuti: si trattava di partire da capo,
confrontandosi su tanti aspetti nuovi, pur senza voler definire tutto.
Milano
20-21 Marzo
2015
Anno XXXVII – n. 252 – Marzo 2015
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Aspetti positivi: la esperienza di vita francescana che ciascuno ha vissuto si è dimostrata
una ricchezza da condividere, trovando anche tra i componenti della Commissione
grande unità di pensiero. Ci si è trovati convinti che questo cammino di unione sia
davvero provvidenziale e necessario, perciò ci si è messi in discussione per esprimere e
gustare già da subito questa novità.
Richiesta al CdC: proporre le modifiche per scritto in modo da non perdere nulla.
Fr. Massimo Fusarelli ringrazia fr. Cristoforo e invita quindi ad un confronto sul testo
proposto, aggiungendo - come membro della Commissione - che si è stati attenti a non
ripetere ciò che è già detto negli SSGG, e di formulare invece ciò che nella legislazione
generale viene rimandato agli Statuti particolari.
Il testo viene analizzato e vengono proposte ed approvate alcune modifiche ed
integrazioni.
(si sospende per il pranzo e si riprende alle 15)
In generale, per il testo degli SSPP si concorda che il testo corretto venga inviato ai
Ministri, i quali invieranno per scritto le loro osservazioni entro il prossimo 15 aprile in
modo che il tutto sia rivisto nel CdC di aprile, prima di inviare la bozza ai Definitòri in
modo che si abbiano le loro risposte entro il mese di giugno. A quel punto il testo tornerà
alla Commissione per la revisione finale prima della Assemblea Definitòri di agosto.
Visita canonica alle Curie provinciali:
Fr. Massimo Fusarelli comunica che la Visita canonica alle Curie provinciali verrà
effettuata nella seconda metà di settembre. Verrà scritta una lettera apposita.
Festival francescano:
Segue un breve confronto sulla iniziativa del festival francescano. Si concorda di offrirne
una veloce presentazione durante il Capitolo delle Stuoie. Durante la Assemblea
Definitori di agosto invece verrà consegnato il libretto completo come lo scorso anno.
Progetto PG-CPV:
Fr. Maggiorino Stoppa relaziona in merito all’incontro di PG-CPV a cui ha partecipato
come Ministro referente, che ha affrontato particolarmente i primi passi del progetto
unitario PG-CPV. Segue uno spazio di confronto.
Restituzione Visita canonica in ciascuna Provincia:
Fr. Massimo propone ai Ministri la idea di concludere la Visita canonica in ciascuna delle
6 Province organizzando nei mesi precedenti al Capitolo una Assemblea provinciale per
ogni Provincia in cui consegnare la Visita canonica fatta alla Provincia e pensandola
anche come una “festa della Provincia” al termine del cammino. La proposta viene
accolta: placet omnibus.
(pausa)
Anno XXXVII – n. 252 – Marzo 2015
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Lettera approvazione Nome Provincia:
Fr. Massimo presenta ai Ministri la lettera di approvazione del Nome della Provincia
giunta dalla Curia generale.
La nuova Provincia pertanto si chiamerà:
PROVINCIA S. ANTONIO DEI FRATI MINORI
Tempi per fusione degli Enti per incorporazione
L’ultimo spazio del pomeriggio prima della celebrazione eucaristica viene occupato dalla
comunicazione relativa all’incontro tenutosi lunedì 16 marzo in Curia provinciale degli
Economi provinciali con alcuni giuristi in merito alle modalità più appropriate per la
fusione degli Enti di ciascuna Provincia.
Sabato 21 marzo
Dopo la Messa celebrata alle ore 7.15 nella cappellina della Curia, l’inizio dei lavori è
fissato per le 8.30.
Questa seconda giornata dell’incontro del CdC viene quasi totalmente occupata
dall’incontro con il Ministro generale, fr. Michael Antony Perry, venuto appositamente
da Roma per un incontro di scambio sul cammino di unione che ci sta portando verso la
nascita della nuova Provincia.
Fr. Massimo dà il benvenuto e ringrazia il Ministro per il tempo che ci concede,
ricordando che questo momento è stato voluto prima del Capitolo generale per
trasmettere il cammino fatto fin ora verso l’unione delle 6 Province del Nord.
Sono tanti i temi con cui fr. Massimo e i Ministri si confrontano con il Ministro: le
modalità giuridiche suggerite per la fusione degli Enti, il lavoro degli Economi, i progetti
in atto, la situazione economica dell’Ordine, e tante altre cose.
Il Ministro conferma i passi ipotizzati e comunica al CdC al tempo stesso la
approvazione delle Norme Transitorie per la composizione del Capitolo di unione e per
la designazione orientativa dei candidati a Ministro provinciale.
Il lavoro viene interrotto alle 12.40 per partecipare al breve momento di preghiera in
preparazione al Capitolo generale con la fraternità di Milano s. Antonio. Segue il
pranzo
Anno XXXVII – n. 252 – Marzo 2015
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Ripresa ore 14.30:
Itinerario di preparazione del Capitolo: fr. Stefano, Segretario del CdC e presidente
della Commissione preparatoria, presenta al Ministro l’itinerario di preparazione nelle
sue tappe.
Viene chiarito al Ministro che l’itinerario, a prima vista complesso, riprende di fatto la
metodologia utilizzata per la preparazione dei Capitoli 2013, che prevedeva il
coinvolgimento di tutti i frati, in modo che le proposte che giungeranno al Capitolo siano
già state elaborate a vari livelli.
Capitolo Stuoie: l’ultima parte dell’incontro viene impiegata per dare indicazioni al
Ministro riguardo al Capitolo delle Stuoie che verrà celebrato a Camposampiero dal 7 al
9 aprile prossimi, e che vedrà la sua presenza nella giornata di mercoledì 8.
Il Ministro generale infine ringrazia il CdC perché è stato messo al corrente di tutto il
cammino e ha potuto seguirlo passo passo: questo processo viene considerato una
ricchezza per l’Ordine. Ringrazia poi pubblicamente fr. Massimo per l’impegno in questo
servizio che gli assorbe tutto il tempo. Invita alla preghiera vicendevole perché possiamo
“vivere il Vangelo della gioia tra noi frati”. I Ministri ringraziano da parte loro il
Ministro generale assicurando a lui la preghiera e il sostegno. Anche fr. Massimo
ringrazia il Ministro per la fiducia concessa nell’affidargli questo servizio, e perché in
questo cammino – in cui riconosce maturità e ricchezza nelle situazioni incontrate - si
sente accompagnato.
L’incontro si conclude alle ore 17.05 con la tradizionale recita dell’Agimus.
Fr. Stefano Dallarda
Segretario
Anno XXXVII – n. 252 – Marzo 2015
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Testimonianze di vita fraterna
Formazione Assistenti OFS e Gifra
«È da ammirare la fecondità della donna sterile. Sterile davvero, perché non miete, non
ammassa nei granai, non porta una bisaccia ricolma. Tutta- via, contro ogni speranza, questo
santo credette nella speranza che sarebbe diventato erede del mondo» (FF 823).
25 marzo
2015
Confratelli tutti, il Signore ci doni sempre la sua pace!
È ancora presente nella mente e nel cuore il corso nazionale di
formazione per Assistenti OFS e GiFra, che, dopo l’approfondimento
della fede e della carità, negli ultimi due anni, con il tema della speranza
ha completato, dal 26 al 29 gennaio scorso, il triplice argomento tratto
dalla Preghiera davanti al Crocifisso: «Alto e glorioso Dio, ... damme fede
dritta, speranza certa, carità perfetta».
La richiesta delle tre virtù teologali richiama la prima lettera di san Paolo
ai Tessalonicesi (1,3) e il breve Trattato di S. Ambrogio su Fil 4,4-6:
«Il Signore è sempre vicino a quelli che lo invocano nella fede retta, nella
speranza ferma, nella carità perfetta». La formula può essere giunta al
giovane Francesco tramite la predicazione medievale, che riprendeva le tre
virtù teologali sotto forma di invocazione.
Gianfranco Grieco ci presentò le icone concrete di Cristo, speranza nostra:
Assisi, san Francesco, papa Francesco. Tenebre e luce nella preghiera di
Francesco davanti al Crocifisso di san Damiano richiamano il profeta Isaia
(9,1-12): «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce».
E la luce nasce a Betlemme, è raccolta dalle mani materne di Maria e
dall’affetto di Giuseppe, dalla prontezza dei pastori, e, nel 1206, da
Francesco d’Assisi con l’invito a restaurare la Chiesa, il bacio al lebbroso, la
spoliazione davanti al Vescovo, con i primi fratelli. Maria, Giuseppe e i
pastori si fanno carico della speranza di tutto il popolo.
Ma, come notava Papa Benedetto, «nella Chiesa si imporrà il modo di
vivere di san Francesco che, in qualità di simplex e di idiota, sapeva di Dio
più cose di tutti i dotti perché egli lo amava di più».
Oggi viene chiesto a noi di farci carico della speranza promessa, che brilla
nella luce di Pasqua.
Anno XXXVII – n. 252 – Marzo 2015
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Anna Pia Viola, francescana secolare, condivise la sua esperienza personale con i possibili
percorsi per la crescita comune: non si nasce Assistenti, ma lo si diventa in una relazione
caratteristica della famiglia francescana. Nell’ascolto e risposta della Chiesa alle sorti di
dolore e di speranza dell’umanità siamo interpellati per dare il nostro contributo «in
comunione vitale reciproca».
Con la citazione del salmo 61 fra Donato Sardella ha introdotto la Tavola Rotonda. Hanno
partecipato fra Sabino Iannuzzi (CoMPI), fra Alessio Maglione (ToR), fra Gianfranco Palmisani
(CIMPCAPP). Il contributo della nostra Famiglia alla nuova evangelizzazione ha ispirato il
confronto, alla ricerca di forme di collaborazione e di comunione. In assemblea è stato
suggerito di inserire nella formazione iniziale dei Frati la conoscenza della realtà OFS e e
GiFra e di promuovere e organizzare iniziative comuni all’intera famiglia francescana.
I gruppi di condivisione e il fraterno intervento di Remo Di Pinto e di Lucia Zicaro, per l’OFS e
GiFra, hanno completato il 16° Corso di formazione, a cui hanno partecipato circa 120 confratelli.
Infine, la foto di gruppo dopo la concelebrazione presieduta da S. E. fra José Rodríguez Carballo.
N.B. - È iniziata la distribuzione degli Atti. Il 17° corso si svolgerà dal 18 al 21 gennaio 2016.
r ena
e santa Pasqua!
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Come piedi di cerva
“Come
piedi
di
cerva
sulle
alte
vette”
non
è
solo
un
titolo
dell'interpretazione magistrale del Cantico dei Cantici di Hurnard ma, per
chi ha avuto la fortuna di viverla, è il ricordo di una esperienza unica di vita
fraterna, paesaggi mozzafiato con montagne innevate e cieli di un azzurro
quasi irreale, scarponi che in fila indiana calpestano le stesse tracce sulla
Bormio
6-8 marzo
2015
neve, lo spettacolo di una pozza di acqua bollente immersa nella natura
dove riposare le gambe ormai stanche e molto, molto altro...in una tre giorni
intensamente abitata dal Signore.
Quella che abbiamo vissuto a Bormio non è stata una semplice passeggiata
sulla neve, la Parola del Signore ci ha guidato per un percorso che portava
ben oltre a quelle alte vette.
Due catechesi ed una testimonianza dei giorni nostri ci hanno aiutato a
vedere la montagna con tre paia di occhi differenti: con gli occhi di Gesù,
con gli occhi di Francesco e con i nostri occhi.
Così abbiamo riflettuto come, nella Bibbia, la montagna è un elemento che
spesso ritorna e assume diversi significati: avvicinarsi a Dio, fatica fisica,
sacrificio e soprattutto cambio di prospettiva.
Solo in cima a una montagna la nostra prospettiva davvero può cambiare e
si possono vedere le cose nell'insieme ed in maniera più nitida, ed è Gesù
colui che ci può aiutare a salire e cambiare la nostra prospettiva, per poi
scendere di nuovo e vivere alla luce di questo cambiamento.
E l'incontro col Signore richiede spesso Silenzio (che in diversi momenti ci è
stato chiesto) perchè è nella solitudine (luogo perfetto per il cristiano perchè
abitato dal Signore) che ci si può distaccare dal tram tram quotidiano, si può
fare silenzio per mettersi in ascolto, si può accogliere, sentire e vedere con
occhi nuovi. Dall'incontro nasce poi il desiderio di amare che implica il
consegnare qualcosa di noi, è una restituzione di uomini liberi, è l'uscire da
noi stessi per testimoniarlo.. questo è quello che scendendo dalla montagna
avremmo dovuto imparare a fare grazie all'insegnamento di Gesù.
Francesco ci ha insegnato, attraverso di Cantico delle creature, a vedere la
montagna, ed in generale il creato, come mezzo per lodare il Signore.
Lucia
Anno XXXVII – n. 252 – Marzo 2015
19
La creazione, a differenza dell'uomo, è rimasta fedele al progetto di Dio, ma noi, come cristiani,
non dobbiamo fare del creato un dio, ma strumento di cui servirci per dare lode al solo ed unico
Dio... e quale cornice migliore di un paesaggio innevato in una fantastica giornata di sole per
meglio riflettere sul cantico?
Infine la riflessione su una esperienza di missione in Africa ci ha portato a vedere come, anche
nelle difficoltà del ritrovarsi dall'altra parte del mondo, a contatto con realtà di povertà estrema
e stili di vita che nulla hanno in comune con il nostro, l'aiuto e il sostegno della fede siano
imprescindibili per vivere una esperienza di servizio assicurandoti una forza incredibile e
permettendoti di sorridere e vedere negli altri quel fratello bisognoso in cui si nasconde Gesù
che ti chiede un aiuto, un pezzo di pane, una medicina per stare meglio, un sorriso per sentirsi
accolto ed amato. La fede ti consente di mettere da parte tanti perchè e ripartire ogni giorno
affrontando la tua montagna, vivendo con entusiasmo, ringraziando ed affidandoti al Signore.
Il punto di forza di questa esperienza è però lo spirito di fraternità che si crea e si vive
sedendosi tutti attorno ad una tavola, cucinando assieme sul fuoco del camino, camminando
sulla neve a braccetto con un fratello o in piccoli gruppi, pregando e condividendo esperienze
personali ed emozioni intime nella calda atmosfera di casa di un salotto rivestito di legno. Ed è
anche il piccolo gruppo, di sole 15 persone, che permette di incontrare ognuno dei compagni di
avventura, di creare relazioni basate sulla certezza che quello che si condivide sarà custodito nel
cuore degli altri, rimarrà al sicuro in quell'aura di unicità e bellezza che caratterizza l'esperienza
dei piedi di cerva sulle alte vette.
Ed è con la gioia nel cuore mista a un po' di malinconia che di domenica, dopo una stupenda
messa celebrata in casa come le prime comunità di cristiani e un delizioso pranzo da giorno di
festa, abbiamo lasciato Bormio, la “nostra montagna”, per “scendere” e tornare nelle nostre
città, nella nostra routine, con la prospettiva davvero cambiata e con la voglia di vivere e
portare anche agli altri la ricchezza e la bellezza scoperta e ritrovata in questi tre giorni
meravigliosi.
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Anno XXXVII – n. 252 – Marzo 2015
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Ritiro di Quaresima giovani
Rezzato
A MEZZOGIORNO L'ORA DELLA SOSTA
E LO STUPORE DELL'INCONTRO
14-15 marzo
2015
"E Lui ti aspetta lì, ai pozzi screpolati, dove invano cerchi l'acqua". Quante
volte ci siamo trovati come la samaritana, costretti dalle nostre paure a
dover
percorrere
strade
in
solitudine,
strade
deserte
perchè
volontariamente le attraversiamo quando il sole è alto, e tuttavia non
importa: per quanto possa essere rovente la pietra sulla quale cammini lo
è meno dello sguardo che giudica. Eppure Lui è lì, al nostro pozzo, che ci
attende, si fa piccolo per incontrarci, e il suo sguardo rovente d'amore ci
rende vulnerabili e raggiungibili.
E' con quest'esperienza quotidiana di sete e di bisogno di ricerca che,
come giovani, ci siamo trovati a condividere l'esperienza del ritiro in
preparazione della Pasqua, per ricordarci che prima di tutto noi siamo
Suoi figli. Dio desidera incontrarci, e per questo ci attende al pozzo, che
siamo soliti intasare sempre più, sfuggendo così all'incontro nel silenzio.
Aiutati dalla Parola e da alcuni laboratori, siamo stati invitati a prenderci
cura di questo luogo ove Gesù ci attende per placare la nostra sete infinita,
e nel quale le necessità del cuore possono essere custodite. Qui, rigenerati,
possiamo convertire il nostro cuore per dissetarci all'acqua viva.
Il tutto vissuto in serena condivisione fraterna, assieme ai frati e
all'incontro con nuovi amici, incontrati per questo breve ma intenso tratto
di cammino. Un tempo necessario, questo, chiesto ad ognuno per far sì
che la Pasqua non sia solo una festa da calendario, ma per viverla appieno
ogni giorno nel nostro cuore.
Dopo lo stupore scegli la Bellezza!
Una felice Pasqua a tutti!
Eleonora
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22
Anno XXXVII – n. 252 – Marzo 2015
23
Anniversario 50° di sacerdozio e compleanno
Sabbioncello
di Merate
50° Anniversario
Ordinazione
Sacerdotale
fr. Francesco
Calvi e
fr. Donato Ginelli
90° Compleanno
fr. Antonino
Morini
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FilmiAmo…
Birdman
La celebrità hollywoodiana Riggan Thomson, dopo gli ormai lontani
successi planetari nel ruolo del supereroe Birdman, vuole dimostrare a
se stesso e alla critica cinematografica e teatrale di essere un bravo
attore. Riadatta un’opera di Raymond Carver - “Di cosa parliamo quando
parliamo d’amore” - da portare in scena in un teatro di Broadway. Ma
non è così facile: tra tensioni e incomprensioni con il cast di attori, i
conti da fare con la propria vita privata e familiare, gli spettri del
passato, la lotta con i propri incubi. In un inestricabile intreccio tra
realtà e immaginazione, tra vita reale e vita recitata, Riggan cerca di
ritrovare se stesso. Di volare ancora.
Film di apertura alla 71° Mostra del Cinema di Venezia, vincitore di
quattro premi Oscar tra cui le statuette più ambite - miglior film e
regia - quest’opera del regista messicano Iñárritu merita il successo di
critica e di pubblico.
In un teatro di Broadway si aggira come uno spettro, come il fantasma
dell’opera di cui si scorge più volte il manifesto, l’attore decadente
Riggan Thomson - Michael Keaton - richiuso nel suo maleodorante
camerino e nei suoi ossessivi sogni di gloria. Sta cercando di portare in
scena una raffinata opera teatrale, intimista, intellettuale, così lontana
dai suoi successi cinematografici che l’hanno reso un supereroe
fumettistico, ma conosciuto in tutto il mondo. Il personaggio di
Birdman non è un lontano ricordo, continua ad essere vivo: è l’alterego
di Riggan, la parte oscura, mascherata, aggressiva e strafottente. E’ la
voce interiore che percuote il nevrotico attore, gli ricorda che si è
ridotto ad essere un patetico artista chiuso in uno squallido teatro, che
si sta illudendo di riscattarsi agli occhi della critica, che ha rinunciato
al suo successo planetario. E il logorato Riggan cerca di scacciare i suoi
deliri e di portare a conclusione questa impresa: non essere una
celebrità ma un attore vero.
I suoi compagni di avventura sono Laura - Andrea Riseborough - la
sua amante che non si sente amata; Lesley – Naomi Watts - che fin da
bambina ha sognato Broadway; un incapace attorucolo che si infortuna
e viene sostituto dall’acclamato, irreverente ed egocentrico attore di
teatro Mike Sniner - Edward Norton - : colui che potrebbe rilanciare lo
spettacolo.
Scheda
a cura di
Fr. Davide
Sironi
Birdman
di Alejandro
González
Iñárritu
Commedia
Durata 119 min.
USA 2014
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Dietro le quinte si aggira anche Sam - Emma Stone - la figlia di Riggan, appena
disintossicata e ancora sfasata; l’amico Jak - Zach Galifianakis – affannato a trovare i soldi
per la produzione e l’ex moglie Sylvia - Amy Ryan – memoria del passato affettivamente
fallimentare di Riggan.
Ma c’è un altro personaggio che percorre i labirintici corridoi del teatro, che osserva il
dietro le quinte, che viene coinvolto nei conflitti professionali e sentimentali, che calca il
palcoscenico, che sente gli umori dei protagonisti, che assiste alle prime tutte diverse l’una
dall’altra e sempre con un colpo di scena fuori copione: lo spettatore. Qui sta la maestria di
Iñárritu: far entrare nella narrazione chi sta guardando il suo film. Lo fa grazie a un piano
sequenza lungo due ore - perché il montaggio è abilmente nascosto da soluzioni tecniche e
geniali -, grazie a una telecamera che segue da vicino i personaggi passando da uno all’altro
e creando la trama, grazie a una continuità tra palcoscenico e dietro le quinte, tra
recitazione e vita vera, tra parole scritte nel copione e parole che dicono il proprio vissuto,
tra realtà e immaginazione. Il tamburo rullante che segna i passi di Riggan conduce la
visione ed entra nell’animo.
Con un cast magistrale, il regista rappresenta attori che recitano la parte di attori – forse di
se stessi -, rappresenta il teatro nel teatro, il cinema oltre il cinema: Michael Keaton è stato il
protagonista di un altro uomo alato, Batman. Addita la Hollywood degli effetti speciali,
delle celebrità senza talento, con una narrazione della parola e degli stati d’animo. Mostra
con stile mirabolante la ricerca di un presente che possa liberare da un passato glorioso
eppure troppo riduttivo. Scandaglia vertiginosamente lo sdoppiamento di personalità del
protagonista, forse di ogni attore, di ogni uomo che senza cadere nella patologia, deve
spesso fare i conti con una voce interiore potente nel mostrare i fallimenti, nel dissacrare gli
sforzi per rinascere. E forse tutti recitano una parte. Perché recitare è vita.
Un film che pone la domanda su ciò che davvero cerca l’essere umano, al di là delle
apparenze, del suo mascherarsi da supereroe, del suo delirio di onnipotenza che nasconde
fragilità, una nudità impotente: un riconoscimento autentico che non può essere confuso
con l’applauso, amore e non ammirazione. Di che cosa parliamo quando parliamo d’amore?
E per ritrovare se stesso l’uomo è disposto a tutto.
Unico appunto, forse troppi finali. Ma è un film da vedere.
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Notizie di Casa
A cura di
fr. Enzo
Pellegatta
Marzo
Ha luogo l’Assemblea dell’Unione dei Ministri Provinciali Italiani.
2-6
Camposampiero
(PD)
Nella chiesa del Sacro Cuore si celebrano nel pomeriggio i funerali della
sig.ra Mirella Ceriotti, insignita del diploma di fraternità per la sua
delicatezza umana, la sua profondità spirituale e la sua concreta generosità
a favore dei poveri, delle missioni e dei frati di Busto Arsizio.
3
Busto Arsizio (VA)
Ritorna alla casa del Padre fra Venanzio Tresoldi, sacerdote, di anni 94.
I funerali sono celebrati venerdì 6 marzo alle ore 14.30 nella Chiesa
parrocchiale di Groppello d’Adda (MI), suo paese natale.
4
Sabbioncello
di Merate (LC)
Si svolgono le Missioni al Popolo.
11-22
Vigonza (PD)
Viene proposto ai giovani un ritiro di Quaresima dal titolo: ”L'essenziale è
invisibile agli occhi”. Ogni giovedì si svolge l’incontro “Pizza e Vangelo”.
14-15
Rezzato (BS)
Con una nutrita partecipazione di frati ha luogo l’Assemblea economica
della Provincia.
17
Sabbioncello
di Merate (LC)
Il Definitorio si raduna per il XXI Congresso.
18
Baccanello di
Calusco d’Adda
Curia provinciale: si riunisce il Consiglio di Cooperazione.
20-21
Milano
Nell’ambito degli incontri interreligiosi citati lo scorso mese ha luogo il
secondo incontro con una lettura comparata dalle sacre scritture buddhiste,
induiste e musulmane dal titolo “l’amore del prossimo, la compassione".
25
Sabbioncello
di Merate (LC)
Anno XXXVII – n. 252 – Marzo 2015
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