Sommario
Copertina
Frontespizio
Copyright
Dedica
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Capitolo 54
Capitolo 55
Capitolo 56
Capitolo 57
Capitolo 58
Capitolo 59
Capitolo 60
Capitolo 61
Capitolo 62
Capitolo 63
Capitolo 64
Capitolo 65
Capitolo 66
Capitolo 67
Capitolo 68
Capitolo 69
Capitolo 70
Capitolo 71
Capitolo 72
Capitolo 73
Epilogo
Ringraziamenti
ISBN: 978-88-347-2559-7
Edizione ebook: agosto 2014
Titolo originale: The Death Cure
© 2011 by James Dashner
© 2014 by Fanucci Editore
via delle Fornaci, 66 – 00165 Roma
tel. 06.39366384 – email: [email protected]
Indirizzo internet: www.fanucci.it
Italian language rights handled by
Agenzia Letteraria Internazionale, Milano, Italy
in cooperation with Dystel & Goderich Literary Management
Proprietà letteraria e artistica riservata
Progetto grafico: Grafica Effe
Questo libro è dedicato a mia madre.
La persona migliore che sia mai esistita.
1
Fu la puzza che cominciò a far impazzire Thomas.
Non il fatto di essere da solo da più di tre settimane. Non i muri, il soffitto e il
pavimento bianchi. Né la mancanza di finestre o il fatto che non spegnessero mai le luci.
Niente di tutto ciò. Gli avevano portato via l’orologio, gli davano da mangiare
esattamente le stesse cose tre volte al giorno − prosciutto arrosto, purè, carote crude,
una fetta di pane, acqua –, non gli rivolgevano mai la parola, non lasciavano entrare
nessuno nella stanza. Niente libri, film o videogame.
Isolamento completo. Da più di tre settimane ormai, anche se iniziava a dubitare di
aver tenuto bene il conto dei giorni, visto che si basava esclusivamente sull’istinto.
Cercava di intuire quando calava la sera, si assicurava di non dormire più del normale. I
pasti aiutavano, anche se gli sembrava che non arrivassero con regolarità. Come se
volessero farlo sentire disorientato.
Da solo. In una stanza con le pareti imbottite priva di colore, ad eccezione di un piccolo
water in acciaio quasi nascosto in un angolo, e di una vecchia scrivania di legno di cui
Thomas non sapeva che farsene. Da solo, in un silenzio insopportabile, con una quantità
infinita di tempo per pensare alla malattia radicata dentro di lui: l’Eruzione, quel virus
sordo, inquietante, che lentamente privava di tutto ciò che rendeva umana una persona.
Niente di questo lo faceva impazzire.
Ma puzzava, e per qualche ragione era una cosa che lo innervosiva al punto da
intaccare il suo equilibrio mentale. Non gli permettevano di farsi una doccia o un bagno;
da quando era arrivato non gli avevano dato un cambio di vestiti né qualcosa per pulirsi.
Un semplice straccio sarebbe stato d’aiuto, avrebbe potuto immergerlo nell’acqua che gli
davano da bere e lavarsi almeno il viso. Ma non aveva niente, solo i vestiti sporchi che
indossava il giorno in cui lo avevano imprigionato. Nemmeno delle lenzuola; dormiva
tutto raggomitolato, con il sedere contro l’angolo della stanza, le braccia incrociate, nel
tentativo di avvolgersi in un abbraccio per scaldarsi, spesso tremando.
Non sapeva perché la puzza del suo corpo fosse la cosa che lo spaventava di più. Forse
proprio quello era un segnale del fatto che era impazzito. Ma per qualche ragione la
mancanza d’igiene lo tormentava, portandolo a fare pensieri orrendi. Come se stesse
marcendo, si stesse decomponendo, stesse diventando rancido dentro quanto si sentiva
di esserlo fuori.
Per quanto sembrasse irrazionale, era quella la sua preoccupazione. Aveva cibo in
abbondanza e sufficiente acqua per dissetarsi; si riposava molto, e si allenava meglio che
poteva nello spazio ristretto, spesso correndo sul posto per delle ore. La logica gli diceva
che essere sporco non aveva niente a che fare con lo stato del cuore o il funzionamento
dei polmoni. Eppure, la sua mente stava iniziando a credere che la puzza incessante
rappresentasse la morte che avanzava galoppando, pronta a inghiottirlo in un solo
boccone.
Il risultato di quei pensieri bui era che aveva cominciato a chiedersi se dopotutto Teresa
non avesse detto la verità l’ultima volta che si erano parlati, quando aveva affermato che
per lui era troppo tardi, quando gli aveva ripetuto con insistenza che si era piegato in
fretta all’Eruzione, che era diventato violento e pazzo. Che aveva già perso il lume della
ragione prima di arrivare in quel luogo orribile. Persino Brenda lo aveva avvisato che le
cose stavano per peggiorare. Forse avevano ragione entrambe.
E in più c’era la preoccupazione per i suoi amici. Cosa gli era successo? Dov’erano? Cosa
stava facendo l’Eruzione alle loro menti? Dopo tutto quello a cui erano stati sottoposti,
sarebbe finita così?
Si insinuò in lui la rabbia. Come un topo tremante, in cerca di un riparo, di una briciola
di cibo. E col passare dei giorni si fece così intensa che a volte si ritrovava a tremare
senza controllo, finché non riusciva a frenarla e accantonarla. Non voleva che se ne
andasse per sempre, ma metterla da parte e lasciarla crescere. Voleva aspettare il
momento giusto, il posto giusto, per liberarla. Era stata la C.A.T.T.I.V.O. a fargli tutto
questo. La C.A.T.T.I.V.O. aveva preso la sua vita e quella dei suoi amici e la stava usando
per qualunque scopo ritenesse necessario. Infischiandosene dalle conseguenze.
E per questo avrebbe pagato. Thomas lo giurava a sé stesso mille volte al giorno.
Erano quelle le cose che gli passavano per la testa mentre era seduto, con la schiena
contro il muro, rivolto verso la porta − e la brutta scrivania di legno che c’era davanti − in
quella che credeva fosse la tarda mattinata del suo ventiduesimo giorno da prigioniero
nella stanza bianca. Lo faceva sempre, dopo aver fatto colazione, dopo essersi allenato.
Senza perdere la speranza che la porta si aprisse, che si aprisse davvero, completamente,
tutta la porta, non solo la piccola fessura in basso attraverso la quale gli passavano i
pasti.
Aveva già provato infinite volte ad aprirla lui stesso. E i cassetti vuoti della scrivania,
dove non c’era nulla se non l’odore di muffa e di legno di cedro. Ci guardava ogni mattina,
nel caso in cui qualcosa fosse magicamente comparso mentre dormiva. Erano cose che
potevano capitare quando si aveva a che fare con la C.A.T.T.I.V.O.
E così se ne stava seduto, a fissare la porta. Ad aspettare. Muri bianchi e silenzio.
L’odore del suo corpo. Lasciato lì a pensare ai suoi amici: Minho, Newt, Frypan, e agli altri
pochi Radurai ancora vivi. A Brenda e Jorge, che erano scomparsi dopo il salvataggio a
bordo dell’enorme Berga. A Harriet e Sonya, alle altre ragazze del Gruppo B, ad Aris. A
Brenda e al suo avvertimento dopo che si era svegliato nella stanza bianca la prima volta.
Come aveva fatto a usare la telepatia? Era dalla sua parte oppure no?
Ma più di tutto, pensava a Teresa. Non riusciva a togliersela dalla testa, anche se più il
tempo passava, più la odiava. Le sue ultime parole erano state ‘La C.A.T.T.I.V.O. è
buona’, e a torto o ragione, per Thomas lei era diventata il simbolo di tutte le cose orribili
che erano successe. Ogni volta che pensava a lei gli ribolliva il sangue nelle vene.
Forse tutta quella rabbia era l’ultimo filo a tenerlo legato alla realtà.
Mangiare. Dormire. Allenarsi. Assaporare la vendetta. Furono queste le cose che fece
per altri tre giorni. Da solo.
Il ventiseiesimo giorno, la porta si aprì.
2
Thomas aveva immaginato quel momento, infinite volte. Cosa avrebbe fatto, cosa
avrebbe detto. Come si sarebbe spinto in avanti e avrebbe aggredito chiunque fosse
entrato, come sarebbe scappato, fuggito, evaso. Ma quei pensieri erano quasi più un
passatempo che altro. Sapeva che la C.A.T.T.I.V.O. non avrebbe permesso che accadesse
una cosa del genere. No, doveva studiare ogni minimo dettaglio prima di fare la sua
mossa.
Quando accadde sul serio − quando la porta si schiuse con un rumore leggero e
cominciò ad aprirsi − la sua reazione lo stupì: non fece nulla. Qualcosa gli diceva che una
barriera invisibile era comparsa tra lui e la scrivania, come quando era nel dormitorio
dopo il Labirinto. Il momento di agire non era arrivato. Non ancora.
Provò solo un pizzico di sorpresa quando l’Uomo Ratto entrò; il tizio che aveva detto ai
Radurai dell’ultima Prova a cui sarebbero stati sottoposti, attraverso la Zona Bruciata. Lo
stesso naso lungo, gli stessi occhi da roditore; quei capelli unti, sistemati in modo da
coprire con poco successo una parte calva che occupava metà della testa. Lo stesso
ridicolo abito bianco. Però sembrava più pallido dell’ultima volta che lo aveva visto, e nel
braccio piegato aveva un fascicolo pieno zeppo di fogli spiegazzati infilati alla rinfusa, e
trascinava una sedia.
«Buongiorno, Thomas» disse con un leggero cenno della testa. Senza aspettare una
risposta, chiuse la porta, sistemò la sedia dietro la scrivania e si accomodò. Mise davanti
a sé il fascicolo, lo aprì e cominciò a sfogliare le pagine. Una volta trovato quello che
stava cercando, si fermò e appoggiò le mani sul foglio. Poi sfoderò un sorriso patetico,
posando lo sguardo su Thomas.
Quando alla fine Thomas parlò, si rese conto di non averlo fatto per settimane, e la sua
voce gracchiò. «Sarà un buongiorno solo se mi lascerete andare.»
L’uomo non si scompose minimamente. «Sì, sì, lo so. Non ti devi preoccupare, oggi
riceverai molte notizie positive. Fidati.»
Thomas ci pensò su, poi si vergognò di aver permesso che si riaccendesse in lui una
speranza, anche se per un momento. Avrebbe dovuto essere meno ingenuo arrivato a
quel punto. «Notizie positive? Non ci avete scelto perché pensavate che fossimo
intelligenti?»
L’Uomo Ratto rimase in silenzio diversi secondi prima di rispondere. «Intelligenti, sì. E
per altre ragioni più importanti.» Si fermò a studiare Thomas, poi proseguì. «Pensi che
tutto questo ci diverta? Pensi che ci divertiamo a guardarvi soffrire? C’è una ragione
dietro a tutto ciò, e molto presto lo capirai.» La sua voce era cresciuta d’intensità fin
quasi a urlare l’ultima parola, il viso adesso era paonazzo.
«Wow» disse Thomas, sentendosi più coraggioso ogni minuto che passava. «Datti una
calmata e rilassati, vecchio mio. Sembra che ti stia per venire un infarto.» Lasciarsi
andare a quello sfogo lo fece sentire meglio.
L’uomo si alzò dalla sedia e si allungò sulla scrivania. Le vene del collo, come corde
tese, pulsavano. Si rimise lentamente a sedere e fece dei respiri profondi. «Mi sarei
aspettato che dopo quasi quattro settimane in questa scatola bianca fossi più remissivo.
Ma sembri più arrogante che mai.»
«Dunque vuoi dirmi che non sono pazzo? Che non ho l’Eruzione, non ce l’ho mai avuta?»
Thomas non riusciva a trattenersi. La rabbia dentro di lui stava aumentando e si sentiva
sul punto di esplodere. Ma si sforzò di mantenere un tono di voce calmo. «È stato questo
a impedirmi di andare fuori di testa durante tutto questo periodo. Nel profondo del mio
cuore so che avete mentito a Teresa, che questo è solo un altro dei vostri test. Allora
dove caspio andrò adesso? Mi manderete sulla luna? Mi farete attraversare l’oceano a
nuoto in mutande?» Fece un sorriso forzato.
Durante tutto il suo sfogo, l’Uomo Ratto lo aveva fissato con occhi inespressivi. «Hai
finito?»
«No che non ho finito.» Erano giorni che aspettava l’opportunità di parlare, ma adesso
che finalmente era arrivata, la sua mente era vuota. Aveva dimenticato ogni scenario in
cui aveva ipotizzato di trovarsi. «Io... voglio che mi diciate tutto. Subito.»
«Oh, Thomas.» L’Uomo Ratto parlò con calma, come se stesse per dare una brutta
notizia a un bambino piccolo. «Noi non ti abbiamo mentito. Tu hai l’Eruzione.»
Thomas rimase spiazzato; sentì un brivido freddo attraversare la rabbia che gli ribolliva
dentro. Si chiese se l’Uomo Ratto stesse mentendo ancora una volta. Ma scrollò le spalle,
come se quella notizia fosse qualcosa che sospettava dall’inizio. «Be’, non ho ancora
iniziato a dare segni di follia.» C’era stato un momento − dopo tutto quel tempo passato
nella Zona Bruciata, insieme a Brenda, circondato dagli Spaccati − in cui aveva accettato
il fatto che prima o poi avrebbe contratto il virus. Ma si disse che stava ancora bene. Che
era ancora lucido. Ed era l’unica cosa che importava in quel momento.
L’Uomo Ratto sospirò. «Tu non capisci. Non capisci quello che sono venuto qui a dirti.»
«Perché dovrei credere a una sola parola che ti esce dalla bocca? Cosa ti aspettavi?»
Thomas si accorse di essersi alzato in piedi, anche se non ricordava di averlo fatto.
Aveva il respiro affannato. Doveva riprendere il controllo di sé. L’Uomo Ratto lo fissava
con sguardo freddo, gli occhi come due buchi neri. Che quell’uomo gli stesse mentendo o
meno, sapeva che se voleva uscire dalla stanza bianca avrebbe dovuto ascoltarlo. Fece
uno sforzo per rallentare il respiro. Aspettò.
Dopo diversi secondi di silenzio, il suo visitatore proseguì. «So che ti abbiamo mentito.
Spesso. Abbiamo fatto delle cose orribili a te e ai tuoi amici. Ma faceva tutto parte di un
piano, che tu non solo hai accettato, ma anche aiutato a realizzare. Abbiamo dovuto
spingerci un po’ oltre rispetto a quanto avessimo sperato all’inizio, questo è fuori di
dubbio. Tuttavia, ogni cosa è rimasta fedele allo spirito voluto dai Creatori... da te al
posto loro, dopo che sono stati... eliminati.»
Thomas scosse lentamente la testa; sapeva che un tempo aveva in qualche modo
collaborato con quelle persone, ma l’idea di far passare a qualcuno quello che aveva
passato lui gli era incomprensibile. «Non mi hai risposto. Come puoi aspettarti che io
creda a una sola parola di quello che dici?» Certamente ricordava più di quanto non
volesse ammettere. Anche se la finestra sul suo passato era coperta da uno strato di
sporco, che lasciava intravedere poco più che macchie confuse, sapeva di aver lavorato
con la C.A.T.T.I.V.O. Sapeva che anche Teresa l’aveva fatto, e che entrambi avevano
contribuito a creare il Labirinto. Altri sprazzi di ricordi.
«Perché, Thomas, non è vantaggioso tenerti all’oscuro» disse l’Uomo Ratto. «Non più.»
Thomas si sentì improvvisamente stanco, come se tutta la forza lo avesse abbandonato,
lasciandolo senza niente. Si accasciò sul pavimento facendo un sospiro profondo. Scosse
la testa. «Non so neanche cosa voglia dire.» Che senso aveva discutere con qualcuno
quando non ci si poteva fidare delle sue parole?
L’Uomo Ratto continuò a parlare, ma con un tono diverso; diventò meno distaccato e
freddo e più accademico. «Ovviamente sei ben conscio del fatto che esiste una terribile
malattia che divora la mente degli uomini di ogni angolo del pianeta. Tutto ciò che
abbiamo fatto finora aveva uno scopo e uno soltanto: analizzare i vostri schemi mentali e
da essi realizzare una cianografia. L’obiettivo è usare questa cianografia per creare una
cura contro l’Eruzione. Le vite perse, il dolore e la sofferenza; tu conoscevi la posta in
gioco quando tutto è cominciato. Tutti la conoscevamo. Ogni cosa è stata fatta per
garantire la sopravvivenza della razza umana. E siamo molto vicini. Molto, molto vicini.»
In diverse occasioni Thomas aveva recuperato dei ricordi. Durante la Mutazione, nei
sogni che aveva fatto da allora, scorci fugaci, come lampi che si accendevano nella sua
mente. E in quel momento, ascoltando l’uomo con l’abito bianco, gli sembrava di trovarsi
su un precipizio e che tutte le risposte stessero per sollevarsi dalle profondità della terra
perché lui potesse vederle nella loro interezza. Il bisogno di afferrare quelle risposte era
quasi irrefrenabile.
Ma continuava a essere diffidente. Sapeva di aver fatto parte di tutto quello, di aver
aiutato a progettare il Labirinto, di aver preso il posto dei primi Creatori dopo che erano
morti, e di aver tenuto in vita il programma reclutando nuove persone. «Mi ricordo quanto
basta per vergognarmi di me stesso» ammise. «Ma sopravvivere a questo genere di abusi
è molto diverso dal concepirli. Non è giusto, punto.»
L’Uomo Ratto si grattò il naso e cambiò posizione sulla sedia. Qualcosa che Thomas
aveva detto lo aveva colpito. «Vedremo come la penserai alla fine della giornata,
Thomas. Vedremo. Ma lascia che ti chieda una cosa: mi stai dicendo che non vale la pena
perdere poche vite per salvarne una quantità infinita?» L’uomo riprese a parlare con
passione, allungandosi in avanti. «È un assioma molto antico, ma non credi che il fine
giustifichi i mezzi quando non c’è altra scelta?»
Thomas lo fissò e basta. Era una domanda a cui non c’era una risposta giusta.
Cercando forse di sorridere, l’Uomo Ratto fece un ghigno. «Ricordati solo che c’è stato
un momento in cui la tua risposta era sì, Thomas.» Cominciò a raccogliere i fogli come se
stesse andando via, ma non si mosse. «Io sono qui per dirti che è tutto pronto e che i dati
di cui disponiamo sono quasi al completo. Siamo sul punto di raggiungere un risultato
grandioso. Una volta che avremo la cianografia, potrai andare a piagnucolare dai tuoi
amici quanto vorrai e lamentarti di come siamo stati ingiusti.»
Thomas voleva ferire quell’uomo con parole dure. Ma si trattenne. «In che modo
torturarci può portare a questa cianografia di cui parli? Com’è possibile che mandare in
posti terribili un mucchio di adolescenti contro la loro volontà, osservare alcuni di loro
morire... Cosa può avere a che fare tutto questo con il fatto di trovare una cura per una
malattia?»
« H a moltissimo a che fare con questo.» L’Uomo Ratto fece un respiro profondo.
«Ragazzo, presto ricorderai tutto, e ho la sensazione che ti pentirai di molte cose. Nel
frattempo c’è qualcosa che devi sapere, e potrebbe addirittura farti rinsavire.»
«E cosa sarebbe?» Thomas non aveva la minima idea di ciò che quell’uomo stava per
dirgli.
Il suo visitatore si alzò in piedi, diede una lisciata alle pieghe dei pantaloni e si sistemò
la giacca. Poi incrociò le mani dietro la schiena. «L’Eruzione vive in ogni parte del tuo
corpo, eppure su di te non ha alcun effetto, né lo avrà mai. Tu fai parte di un gruppo di
persone estremamente raro. Tu sei immune all’Eruzione.»
Thomas deglutì, ammutolito.
«Là fuori, per strada, chiamano le persone come voi Muni» proseguì l’Uomo Ratto. «E vi
odiano davvero, davvero tanto.»
3
Thomas era senza parole. Nonostante tutte le bugie che gli avevano raccontato, sapeva
che quello che aveva appena sentito era la verità. Considerando le sue recenti
esperienze, aveva fin troppo senso. Lui e probabilmente gli altri Radurai, e tutti nel
Gruppo B, erano immuni all’Eruzione. Ed era il motivo per cui erano stati scelti per le
Prove. Tutto ciò a cui li avevano sottoposti − ogni gioco crudele, ogni inganno, ogni
mostro piazzato sul loro cammino − faceva parte di un complicato esperimento. Che in
qualche modo stava portando la C.A.T.T.I.V.O. verso una cura.
Non faceva una piega. E non solo: gli sembrava di esserselo già sentito dire. C’era un
che di familiare in quella rivelazione.
«A quanto vedo mi credi» disse alla fine l’Uomo Ratto, rompendo il lungo silenzio.
«Dopo aver scoperto che esistevano persone come te − con il virus radicato dentro di
loro, ma che tuttavia non mostravano i sintomi − abbiamo cercato i migliori e i più
intelligenti di voi. È così che è nata la C.A.T.T.I.V.O. Ovviamente alcuni del tuo gruppo di
Prove non sono immuni, e sono stati scelti come soggetti di controllo. Quando si fa un
esperimento ce n’è bisogno, Thomas. Servono per determinare il contesto in cui si
raccolgono i dati e tenere insieme questi ultimi.»
Quell’ultima parte fece sobbalzare il cuore di Thomas. «Chi è che non è...» Non riusciva
a fare quella domanda. La risposta gli faceva troppa paura.
«Che non è immune?» chiese l’Uomo Ratto, inarcando le sopracciglia. «Oh, penso che
dovrebbero essere loro a scoprirlo prima di te, non credi? Ma una cosa per volta. Puzzi
come un cadavere di due settimane. Intanto pensiamo a farti fare una doccia e a trovarti
dei vestiti puliti.» A quel punto prese il fascicolo e si voltò verso la porta. Stava per uscire
quando la mente di Thomas si riaccese.
«Aspetta!» gridò.
Il suo visitatore si girò. «Sì?»
«Quando eravamo nella Zona Bruciata, perché ci hai mentito dicendo che ci sarebbe
stata una cura al porto sicuro?»
L’Uomo Ratto scrollò le spalle. «Non credo affatto che fosse una bugia. Portando a
termine le Prove, arrivando al porto sicuro, ci avete aiutato a raccogliere più dati. E grazie
a questo ci sarà una cura. Un giorno. Per tutti.»
«E perché mi stai raccontando tutto questo? Perché adesso? Perché mi avete infilato qui
dentro per quattro settimane?» Thomas indicò la stanza intorno a lui, il soffitto e le pareti
imbottiti, e l’imbarazzante gabinetto nell’angolo. I pochi ricordi non erano abbastanza
consistenti per dare un senso alle cose assurde che gli avevano fatto. «Perché avete
mentito a Teresa dicendole che ero pazzo e violento e mi avete tenuto qui tutto questo
tempo? Quale motivo può esserci?»
«Le Variabili» rispose l’Uomo Ratto. «Tutto ciò che ti abbiamo fatto è stato
accuratamente calcolato dai nostri psicologi e dottori. Allo scopo di stimolare reazioni
nella zona della violenza, dove l’Eruzione provoca i danni. Per studiare gli schemi di
emozioni, reazioni e pensieri diversi. Per vedere come funzionano all’interno dei confini
del virus che è dentro di te. Stiamo cercando di capire perché, su di te, non ha un effetto
debilitante. Gira tutto intorno agli schemi della zona della violenza, Thomas. Analizzare le
tue reazioni cognitive e fisiologiche per costruire una cianografia per una potenziale cura.
Tutto per la cura.»
«Cos’è la zona della violenza?» chiese Thomas, tentando inutilmente di ricordarselo.
«Dimmelo e verrò con te.»
«Sul serio, Thomas» replicò l’uomo. «Sono sorpreso che essere stato punto dal Dolente
non ti abbia fatto ricordare nemmeno questo. La zona della violenza è il tuo cervello. Il
luogo in cui il virus si annida e prende il controllo. Più la zona è infettata, più il
comportamento dell’individuo infetto è paranoico e violento. La C.A.T.T.I.V.O. sta usando
il tuo cervello e quello di pochi altri per aiutarci a risolvere il problema. Se ti ricordi, la
nostra organizzazione dichiara il suo obiettivo attraverso il suo stesso nome: Catastrofe
Attiva Totalmente: Test Indicizzati Violenza Ospiti.» L’Uomo Ratto sembrava soddisfatto
di sé. Quasi felice. «Adesso andiamo, devi darti una pulita. E giusto perché tu lo sappia,
siamo osservati. Fai una mossa azzardata e ci saranno conseguenze.»
Thomas rimase seduto, cercando di elaborare tutto quello che aveva appena ascoltato.
E ancora, gli sembrò tutto vero, plausibile. Collimava con i ricordi che aveva recuperato
nelle ultime settimane. Eppure la mancanza di fiducia nei confronti dell’Uomo Ratto e
della C.A.T.T.I.V.O. continuava a gettare un alone di dubbio su tutto.
Alla fine si alzò, incaricando la sua mente di processare le nuove rivelazioni, nella
speranza che si sistemassero da sole in piccoli scomparti da analizzare più tardi.
Attraversò la stanza e seguì l’Uomo Ratto oltre la porta senza aggiungere nulla,
lasciandosi alle spalle la cella dalle pareti bianche.
Non c’era niente di particolare nell’edificio in cui si trovava. Un lungo corridoio, un
pavimento piastrellato, pareti beige con quadri di paesaggi: onde che si infrangevano su
una spiaggia, un colibrì che volteggiava accanto a un fiore rosso, una foresta avvolta
dalla pioggia e dalla foschia. Luci al neon che ronzavano sul soffitto. L’Uomo Ratto fece
strada svoltando diverse volte e alla fine si fermò davanti a una porta. La aprì e indicò a
Thomas di entrare. Era un grande bagno con file di armadietti e docce. E dentro a uno
degli armadietti aperti c’erano vestiti puliti e un paio di scarpe. Persino un orologio.
«Hai circa mezz’ora» gli disse. «Quando avrai finito, aspetta qui. Verrò a riprenderti. Poi
ti riunirai ai tuoi amici.»
Per qualche ragione, sentendo la parola amici, a Thomas venne in mente Teresa. Cercò
di chiamarla di nuovo con il pensiero, ma anche quella volta non funzionò. Nonostante
provasse sempre più disprezzo per lei, il vuoto lasciato dalla sua assenza continuava a
galleggiare dentro di lui come una bolla indistruttibile. Lei rappresentava un anello con il
suo passato, e su questo Thomas non aveva dubbi: un tempo era stata la sua migliore
amica. Era una delle poche cose nella sua vita di cui era certo, ed era difficile lasciarla
andare completamente.
L’Uomo Ratto fece un cenno con la testa. «Ci vediamo tra mezz’ora» disse. Poi aprì la
porta e la richiuse dietro di sé, lasciandolo di nuovo solo.
A parte ritrovare i suoi amici, Thomas non aveva ancora un piano, ma se non altro
sembrava che quello stesse per succedere. Anche se non aveva idea di cosa aspettarsi,
almeno era uscito da quella stanza. Finalmente. Per adesso, una doccia calda.
L’opportunità di darsi una pulita. Niente gli era mai sembrato più allettante. Mettendo da
parte le preoccupazioni, si tolse i vestiti sporchi e si dedicò a recuperare un aspetto
umano.
4
Una maglietta e dei jeans. Scarpe da ginnastica, proprio come quelle che portava nel
Labirinto. Calzini puliti, morbidi. Dopo essersi lavato dalla testa ai piedi almeno cinque
volte, si sentì rinato. Non riusciva a non pensare che da quel momento in avanti le cose
sarebbero migliorate. Che adesso avrebbe preso in mano le redini della sua vita. Se solo
lo specchio non gli avesse ricordato il suo tatuaggio – quello che gli avevano fatto prima
della Zona Bruciata. Era un simbolo indelebile di ciò che aveva passato, e lui desiderava
dimenticare tutto.
Rimase fuori dalla porta del bagno, appoggiato alla parete, con le braccia incrociate, ad
aspettare. Si chiese se l’Uomo Ratto sarebbe tornato; o lo aveva lasciato a gironzolare in
quel luogo per dare inizio a un’altra Prova? Aveva appena cominciato a riflettere su
quell’ipotesi quando sentì dei passi, poi vide la sagoma bianca da roditore svoltare
l’angolo.
«Be’, così è tutta un’altra cosa» commentò l’Uomo Ratto, incurvando gli angoli della
bocca in un sorriso che sembrava impacciato.
La mente di Thomas elaborò in un baleno un centinaio di risposte sarcastiche, ma
sapeva di dover essere diretto. Tutto ciò che contava in quel momento era raccogliere più
informazioni possibili e poi trovare i suoi amici. «In realtà, mi sento bene. Perciò...
grazie.» Sfoderò un sorriso disinvolto. «Quando mi lascerete incontrare gli altri Radurai?»
«Adesso.» L’Uomo Ratto era tornato all’atteggiamento distaccato. Fece un cenno nella
direzione da cui era venuto e gli indicò di seguirlo. «Avete tutti affrontato tipi di test
diversi per lo Stadio 3 delle Prove. Speravamo di avere gli schemi della zona della
violenza pronti già alla fine del secondo stadio, ma abbiamo dovuto improvvisare per
dare una svolta. Come ho detto, però, siamo molto vicini. Adesso verrete tutti coinvolti
nel progetto, ci aiuterete a perfezionarlo e a scavare più a fondo finché non risolveremo
questo rompicapo.»
Thomas strizzò gli occhi. Aveva intuito che il suo Stadio 3 era stata la stanza bianca; ma
cos’era capitato gli altri? Per quanto avesse odiato la sua Prova, poteva solo immaginare
quanto la C.A.T.T.I.V.O. avrebbe potuto renderla peggiore. Sperava quasi di non dover
mai scoprire cosa avevano escogitato per i suoi amici.
Finalmente l’Uomo Ratto arrivò davanti a una porta. La aprì senza esitare e la varcò.
Entrarono in un piccolo auditorium e Thomas provò un enorme senso di sollievo. Seduti
qua e là su una dozzina di file di sedie c’erano i suoi amici, salvi e apparentemente in
salute. I Radurai e le ragazze del Gruppo B. Minho. Frypan. Newt. Aris. Sonya. Harriet.
Sembravano tutti felici − parlavano, sorridevano e ridevano − anche se forse stavano
fingendo, per certi versi. Thomas immaginò che anche a loro fosse stato detto che era
quasi tutto finito, ma dubitava che qualcuno ci avesse creduto. Di certo lui non lo aveva
fatto. Non ancora.
Si guardò in giro per cercare Jorge e Brenda. Aveva molta voglia di vedere Brenda. Era
in ansia per lei da quando era scomparsa dopo che la Berga era andata a prenderli,
preoccupato che la C.A.T.T.I.V.O. l’avesse rimandata con Jorge nella Zona Bruciata come
aveva minacciato di fare; ma non c’era traccia di nessuno dei due. Prima che potesse
chiedere di loro all’Uomo Ratto, una voce si levò su tutta quella confusione, e Thomas
non riuscì a trattenere un sorriso.
«Be’, mi sa che sono rincaspiato e finito in paradiso. È Thomas!» gridò Minho. Il suo
annuncio fu seguito da grida, esultanza e fischi. Il sollievo si mescolò alla preoccupazione
mentre Thomas continuava a cercare tra i visi nella stanza. Troppo emozionato per
parlare, continuò semplicemente a sorridere finché il suo sguardo non si posò su Teresa.
Si era alzata dalla sedia su cui era seduta in fondo alla fila per girarsi verso di lui. I
capelli neri, puliti, spazzolati e lucenti, le cadevano sulle spalle incorniciando il viso
pallido. Le labbra rosse si aprirono in un grosso sorriso che la illuminò, facendole brillare
gli occhi azzurri. Thomas fu sul punto di andare da lei ma si fermò, la sua mente
adombrata dai vividi ricordi di quello che gli aveva fatto, di ciò che gli aveva detto sulla
C.A.T.T.I.V.O., continuando a sostenere che era buona, persino dopo tutto quello che era
successo.
Riesci a sentirmi?, le disse con la mente, solo per capire se avevano recuperato la loro
capacità.
Ma lei non rispose, e Thomas continuava a non sentire la sua presenza dentro di sé.
Rimasero fermi a fissarsi, occhi negli occhi per quello che sembrò un minuto, ma che non
poteva essere più lungo di pochi secondi. E poi Minho e Newt furono al suo fianco, a
tirargli pacche sulle spalle, a dargli la mano, a trascinarlo dentro la stanza.
«Be’, cacchio, Tommy, almeno hai tenuto duro e non ti sei lasciato morire» disse Newt,
stringendogli forte la mano. Il tono della sua voce era più scontroso del solito,
specialmente considerato che non si vedevano da settimane, ma era tutto intero. Il che
era qualcosa per cui essere grati.
Minho aveva un sorrisetto piantato in faccia, ma dal velo di tristezza nei suoi occhi si
capiva che aveva passato momenti orribili. Che non era ancora del tutto sé stesso, ma si
stava solo sforzando di comportarsi come se lo fosse. «I vecchi Radurai, di nuovo insieme.
Felice di rivederti vivo, faccia di caspio. Ti ho immaginato morto in un centinaio di modi
diversi. Scommetto che piangevi ogni sera perché ti mancavo.»
«Eh già» mormorò Thomas, entusiasta di vedere tutti, ma ancora a corto di parole. Si
separò dagli amici ritrovati e si diresse verso Teresa. Non riusciva a resistere al desiderio
di affrontarla e di raggiungere in qualche modo una tregua finché non avesse deciso cosa
fare. «Ehi.»
«Ehi» rispose lei. «Stai bene?»
Thomas annuì. «Penso di sì. Sono state settimane abbastanza dure. Riuscivi a...» si
interruppe. Stava per chiederle se aveva sentito i suoi tentativi di raggiungerla con la
mente, ma non voleva darle la soddisfazione di farglielo sapere.
«Ho cercato, Tom. Ho provato ogni giorno a parlare con te. Ci hanno interrotto, ma
credo che ne sia valsa la pena.» Allungò la mano e gli prese la sua, scatenando una serie
di battute da parte dei Radurai.
Thomas la tirò via subito, e si sentì arrossire. Per qualche ragione, le sue parole lo
avevano fatto infuriare di colpo, ma gli altri presero il suo come un gesto di semplice
imbarazzo.
«Oooh» disse Minho. «Che dolce. Quasi quanto la volta in cui ti ha dato il bastone della
lancia sulla tua faccia di caspio.»
«È vero amore» fu il commento che arrivò da Frypan, seguito dalla sua risata forte e
profonda. «Spero proprio di non dover assistere alla loro prima vera litigata.»
A Thomas non interessava quello che pensavano, ma era deciso a dimostrare a Teresa
che non poteva passarla liscia dopo tutto quello che gli aveva fatto. A prescindere dalla
fiducia che c’era tra loro − da qualunque relazione ci fosse − prima delle Prove, adesso
non significava nulla. Forse avrebbe raggiunto una tregua con lei, ma in quell’istante
decise che si sarebbe fidato solo di Minho e Newt. Di nessun altro.
Stava per risponderle quando l’Uomo Ratto arrivò marciando dal corridoio e battendo le
mani. «Mettetevi tutti seduti. Abbiamo alcune cose da discutere prima di rimuovere il
Filtro.»
Lo disse con una tale nonchalance che Thomas quasi non ci fece caso. Poi si rese conto
delle parole che aveva sentito − rimuovere il Filtro − e gli si gelò il sangue.
Nella stanza non si mosse una foglia mentre l’Uomo Ratto saliva sul palco, raggiungeva
il leggio, e ne stringeva i bordi con le mani. Si stampò sulla faccia lo stesso sorriso forzato
di prima, poi parlò. «Esatto, signore e signori. State per recuperare la memoria. Ogni
singolo ricordo» disse.
5
Thomas era scioccato. In preda a mille pensieri, andò a sedersi accanto a Minho.
Dopo tutta la fatica per ricordare la sua vita, la sua famiglia e la sua infanzia − persino
cosa aveva fatto il giorno prima di svegliarsi nel Labirinto −, l’idea di veder riaffiorare alla
mente ogni cosa era quasi inconcepibile. Ma mentre la metabolizzava, si rese conto che
qualcosa era cambiato. Non era più convinto di voler ricordare tutto. E la sensazione che
provava da quando l’Uomo Ratto aveva detto che era tutto finito fu confermata dal suo
istinto: sembrava fin troppo facile.
L’Uomo Ratto si schiarì la voce. «Come vi è stato comunicato singolarmente, le Prove
del tipo affrontato finora sono finite. Una volta che la vostra memoria verrà ripristinata,
penso che mi crederete e potremo voltare pagina. Ognuno di voi ha ricevuto ragguagli
sull’Eruzione e sul perché delle Prove. Siamo a un passo dal completare la cianografia
della zona della violenza. Sarà più semplice ottenere quello che ci serve − per
perfezionare ulteriormente ciò di cui disponiamo − con la vostra piena collaborazione e la
vostra mente inalterata. Perciò, congratulazioni.»
«Dovrei salire lì sopra a spaccarti quel naso del caspio» disse Minho. La voce era
spaventosamente calma, considerata la minaccia che contenevano le sue parole. «Ti
comporti come se fosse tutto rose e fiori, come se più della metà dei nostri amici non
fosse morta Mi hai stancato.»
«Sarei felice di vedere quel naso da ratto frantumato» sbottò Newt.
La rabbia nel suo tono era sconcertante, e Thomas non poté fare a meno di chiedersi
quali cose orribili avesse passato Newt nello Stadio 3.
L’Uomo Ratto sospirò con aria di sufficienza. «Prima di tutto, ognuno di voi è stato
avvertito delle conseguenze qualora cercaste di aggredirmi. E potete stare tranquilli, non
abbiamo smesso di osservarvi. In secondo luogo, mi dispiace per le persone che avete
perso, ma alla fine ne sarà valsa la pena. Quello che mi preoccupa, però, è che a quanto
pare qualunque cosa io dica non servirà ad aprirvi gli occhi sulla posta in gioco. Stiamo
parlando della sopravvivenza della razza umana.»
Minho inspirò come se fosse sul punto di sbraitare, ma si fermò di colpo e chiuse la
bocca.
Thomas sapeva che a prescindere da quanto l’Uomo Ratto sembrasse sincero, doveva
trattarsi di una messinscena. Era tutto una messinscena. Comunque, in quel momento
era inutile prendersela con lui, sia a parole che con le mani. Per adesso dovevano solo
essere pazienti.
«Diamoci tutti una calmata» disse con tono tranquillo. «Ascoltiamolo.»
Proprio quando l’Uomo Ratto stava per proseguire, Frypan intervenne. «Perché
dovremmo fidarci di voi e lasciarvi... com’è che si chiama? Il Filtro? Dopo tutto quello che
avete fatto a noi, ai nostri amici, volete rimuovere il Filtro? Non credo proprio. Preferisco
continuare a non sapere nulla del mio passato, grazie tante.»
«La C.A.T.T.I.V.O. è buona» disse Teresa di punto in bianco, come se stesse parlando
tra sé e sé.
«Cosa?» chiese Frypan. Si voltarono tutti verso di lei.
«La C.A.T.T.I.V.O. è buona» ripeté, a voce molto più alta, girandosi sulla sedia per
guardare in faccia gli altri. «Tra tutte le cose che avrei potuto scrivermi sul braccio
appena mi sono svegliata dal coma, ho scelto queste quattro parole. Continuo a pensarci,
e dev’esserci una spiegazione. Io dico di chiudere la bocca e fare ciò che dice lui.
Possiamo capire la situazione solo recuperando la memoria.»
«Sono d’accordo!» gridò Aris, a voce molto più alta di quanto sembrasse necessario.
Thomas rimase in silenzio mentre nella stanza scoppiava una discussione. Più che altro
tra i Radurai, che erano dalla parte di Frypan, e i membri del Gruppo B, che sostenevano
Teresa. Non poteva esserci momento peggiore per uno scontro di opinioni.
«Silenzio!» ruggì l’Uomo Ratto, picchiando il pugno sul leggio. Aspettò che tutti si
azzittissero prima di continuare. «Sentite, nessuno vi criticherà per la vostra mancanza di
fiducia. Siete stati spinti al limite della sopportazione fisica, avete visto gente morire,
sperimentato il terrore nel senso più assoluto del termine. Ma vi prometto, quando tutto
sarà finito, nessuno di voi si guarderà indietro...»
«E se noi non vogliamo?» gridò Frypan. «Cosa succede se non vogliamo recuperare la
memoria?»
Thomas si voltò verso il suo amico, sollevato. Era esattamente ciò che stava pensando
lui.
L’Uomo Ratto sospirò. «Perché non vi interessa davvero ricordare o perché non vi fidate
di noi?»
«Oh, non riesco a immaginare un motivo per cui non dovremmo fidarci di voi» rispose
Frypan.
«Ancora non vi è chiaro che se volessimo farvi del male lo faremmo e basta?» L’uomo
abbassò lo sguardo sul leggio, poi lo rialzò. «Se non volete che il Filtro venga rimosso,
non vi obbligheremo. Potete mettervi in un angolo e guardare gli altri.»
Una scelta o un bluff?, si chiese Thomas. Dal tono della voce era difficile capirlo,
tuttavia quella replica lo sorprese.
Nella stanza calò di nuovo il silenzio, e prima che qualcun altro potesse parlare, l’Uomo
Ratto scese dal palco e si diresse verso la porta in fondo. Quando la raggiunse, si voltò
per guardarli ancora una volta. «Volete davvero trascorrere il resto della vostra vita senza
ricordarvi dei vostri genitori? Della vostra famiglia e dei vostri amici? Volete davvero
perdere l’opportunità di aggrapparvi ai pochi bei ricordi che potreste aver avuto prima che
tutto questo cominciasse? A me sta bene. Ma potreste non avere una seconda
occasione.»
Thomas rifletté sulla sua decisione. Era vero che desiderava ricordare la sua famiglia. Ci
aveva pensato talmente tante volte. Ma conosceva la C.A.T.T.I.V.O. E non aveva
intenzione di cadere in un’altra delle loro trappole. Avrebbe combattuto fino alla morte
prima di permettere a quella gente di giocare di nuovo con la sua mente. E poi, come
poteva credere a qualunque ricordo gli restituissero loro?
Ma c’era un’altra cosa che lo turbava: la fitta che aveva avvertito quando l’Uomo Ratto
aveva annunciato per la prima volta che avrebbero rimosso il Filtro. Oltre al fatto di
sapere che non poteva prendere per buono nessuno di quelli che la C.A.T.T.I.V.O.
chiamava i suoi ricordi, aveva paura. Se tutte le cose che avevano sostenuto con tanta
insistenza erano vere, non voleva affrontare il suo passato neanche potendo. Non capiva
la persona che dicevano fosse prima. E soprattutto, non gli piaceva.
Osservò l’Uomo Ratto aprire la porta e lasciare la stanza. Non appena se ne fu andato,
si avvicinò a Minho e Newt per evitare che qualcun altro lo sentisse. «Non se ne parla
neanche di farlo. Nemmeno per sogno.»
Minho gli strinse la spalla. «Parole sante. Anche se mi fidassi di quei pive, perché dovrei
voler ricordare? Guarda che fine hanno fatto Ben e Alby.»
Newt annuì. «Dobbiamo agire in fretta. E quando lo faremo, per sentirmi meglio
spaccherò qualche cacchio di testa.»
Thomas era d’accordo, ma sapeva che dovevano stare attenti. «Non troppo in fretta,
però» disse. «Non possiamo permetterci passi falsi, dobbiamo trovare il momento
migliore.» Era passato così tanto tempo da quando si era sentito così, che rimase
sorpreso nel sentire la forza risvegliarsi dentro di lui. Aveva ritrovato i suoi amici e quella
era la fine delle Prove, per sempre. In un modo o nell’altro, non sarebbero più stati al
gioco della C.A.T.T.I.V.O.
Si alzarono e, come una squadra, si avviarono verso la porta. Ma non appena Thomas
mise la mano sulla maniglia, si bloccò. Non poteva credere alle sue orecchie. Il resto del
gruppo stava ancora parlando, e quasi tutti avevano deciso di recuperare la memoria.
L’Uomo Ratto li aspettava fuori dall’auditorium. Li guidò lungo diversi corridoi senza
finestre finché non raggiunsero una grande porta d’acciaio. Era chiusa con molte serrature
e sembrava sigillata in modo da non far passare l’aria. L’uomo vestito di bianco posizionò
una tessera magnetica accanto a una nicchia quadrata nell’acciaio, e dopo qualche
scatto, la grossa lastra di metallo si aprì con un cigolio che ricordò a Thomas le Porte
della Radura.
Dietro c’era un’altra porta; dopo che, uno per volta, entrarono tutti nel piccolo
disimpegno, l’Uomo Ratto chiuse la prima, e con la stessa scheda aprì la seconda. Si
ritrovarono in una grande stanza che non sembrava niente di particolare: lo stesso
pavimento piastrellato e i muri beige del corridoio. Molti armadietti e banconi. E numerosi
letti allineati sulla parete in fondo, su ognuno dei quali era appeso uno strano aggeggio di
metallo luccicante con dei tubi di plastica a forma di maschera. Thomas non voleva
neanche prendere in considerazione l’ipotesi di farsi mettere quell’affare sul viso.
L’Uomo Ratto indicò i letti. «È così che rimuoveremo il Filtro dal vostro cervello»
annunciò. «Non preoccupatevi, so che questi apparecchi hanno un aspetto inquietante,
ma la procedura sarà meno dolorosa di quanto pensiate.»
«Meno dolorosa?» ripeté Frypan. «Quello che sento non mi piace. Quindi in realtà stai
dicendo che è dolorosa.»
«Ovviamente avvertirete un piccolo fastidio, si tratta pur sempre di un’operazione»
disse l’Uomo Ratto raggiungendo un grosso macchinario posizionato a sinistra dei letti,
con decine di luci intermittenti, pulsanti e schermi. «Rimuoveremo un piccolo dispositivo
situato nell’area del cervello in cui si forma la memoria a lungo termine. Ma è meno
complicato di quanto sembri, ve lo assicuro.» Iniziò a premere dei pulsanti e un forte
ronzio riempì la stanza.
«Un momento» disse Teresa. «In questo modo asporterete anche qualunque cosa ci sia
lì dentro che vi permette di controllarci?»
Nella mente di Thomas comparve l’immagine di Teresa dentro quel capanno nella Zona
Bruciata. E di Alby che si contorceva nel letto nel Casolare. Di Gally che uccideva Chuck.
Erano tutti sotto il controllo della C.A.T.T.I.V.O. Per una frazione di secondo dubitò della
sua decisione: poteva davvero permettersi di rimanere alla loro mercé? Forse avrebbe
dovuto lasciare che eseguissero l’operazione? Ma poi il dubbio svanì. Era una questione di
mancanza di fiducia. Non avrebbe acconsentito.
Teresa continuò. «E riguardo a...» esitò, e rivolse lo sguardo verso Thomas.
Lui sapeva a cosa stava pensando. Alla loro capacità di comunicare attraverso la
telepatia. Per non parlare di ciò che ne derivava: quello strano modo di avvertire la
presenza dell’altro quando riuscivano a farlo, quasi come se in qualche modo
condividessero le menti. Di colpo, perdere per sempre quella capacità gli sembrò una
splendida idea. Forse anche il senso di vuoto che provava quando lei non c’era sarebbe
scomparso.
Teresa si riprese e continuò. «Toglierete tutto? Tutto?»
L’Uomo Ratto annuì. «Tutto tranne il piccolo dispositivo che ci permette di tracciare la
mappa della vostra zona della violenza. E non c’è bisogno che tu dica quello che stai
pensando, perché te lo leggo negli occhi. No, tu, Thomas e Aris non potrete più fare il
vostro giochetto. Lo abbiamo disattivato temporaneamente, ma adesso diventerà una
cosa definitiva. Tuttavia, la vostra memoria a lungo termine verrà ripristinata, e non
saremo più in grado di manipolare la vostra mente. È un pacchetto completo, mi dispiace.
Prendere o lasciare.»
Intanto gli altri si trascinavano da una parte all’altra della stanza, sussurrandosi
domande a vicenda. Dovevano avere milioni di cose per la testa. C’era così tanto da
valutare, così tante implicazioni. Così tante ragioni per essere arrabbiati con la
C.A.T.T.I.V.O. Ma sembrava che la voglia di lottare avesse abbandonato il gruppo,
rimpiazzata dalla foga di fare quello per cui erano lì e non pensarci più.
«C’è poco da scervellarsi» disse Frypan. «Capito? Scervellarsi?» Le uniche risposte che
ottenne furono un paio di mugugni.
«D’accordo, direi che siamo più o meno pronti» annunciò l’Uomo Ratto. «Un’ultima cosa,
però. Una cosa che devo dirvi prima che recuperiate la memoria. È meglio che lo sappiate
da me piuttosto che... ricordarvi del test.»
«Di cosa stai parlando?» chiese Harriet.
L’Uomo Ratto congiunse le mani dietro la schiena, assumendo di colpo un’espressione
seria. «Alcuni di voi sono immuni all’Eruzione. Ma... altri non lo sono. Adesso leggerò la
lista... vi prego di fare il possibile per apprendere la notizia con calma.»
6
Nella stanza calò il silenzio, rotto solo dal ronzio dei macchinari e da un debolissimo
segnale acustico. Thomas sapeva di essere immune − almeno così gli era stato detto −
ma non conosceva la sorte degli altri; in effetti era un pensiero che aveva rimosso. La
paura terrificante che aveva provato quando lo aveva scoperto lo assalì di nuovo.
«Perché un esperimento possa fornire risultati accurati,» spiegò l’Uomo Ratto «è
necessario un gruppo di controllo. Abbiamo fatto del nostro meglio per proteggervi dal
virus il più a lungo possibile. Ma circola nell’aria ed è altamente contagioso.»
Si fermò, osservando lo sguardo di tutti.
«Vai avanti, accidenti» disse Newt. «Tanto pensavamo di avercelo tutti quel cacchio di
virus. Non ci stai spezzando il cuore.»
«Già» aggiunse Sonya. «Risparmiaci la sceneggiata e diccelo una buona volta.»
Thomas notò Teresa accanto a lui che non riusciva a stare ferma. Le avevano già detto
qualcosa? Immaginò che fosse immune come lui, altrimenti la C.A.T.T.I.V.O. non li
avrebbe scelti per assegnargli un ruolo speciale.
L’Uomo Ratto si schiarì la voce. «D’accordo allora. La maggior parte di voi è immune e
ha contribuito a raccogliere dati preziosissimi. Solo due di voi sono considerati Candidati
al momento, ma è un discorso che affronteremo in un secondo tempo. Passiamo alla
lista. Le seguenti persone non sono immuni. Newt...»
Thomas provò un dolore al petto come se lo avessero colpito. Si piegò in avanti e
rimase a fissare il pavimento. L’Uomo Ratto pronunciò pochi altri nomi, ma nessuno che
lui conoscesse; li sentì a malapena, frastornato dal ronzio che gli risuonava nelle orecchie
e gli annebbiava la mente. La sua reazione lo sorprese; non si era reso conto di quanto
Newt significasse per lui finché non aveva sentito quell’annuncio. Si ricordò di una cosa:
prima l’Uomo Ratto aveva detto che i soggetti di controllo erano come il collante che
teneva insieme i dati del progetto, che rendeva tutto coerente e pertinente.
Il Collante. Era quello l’appellativo assegnato a Newt; il tatuaggio che era inciso sulla
sua pelle anche adesso, come una cicatrice nera.
«Tommy, calmati.»
Thomas alzò lo sguardo e vide Newt davanti a sé con le braccia incrociate e un sorriso
forzato. Si tirò su. «Calmarmi? Quel vecchio pive ha appena detto che tu non sei immune
all’Eruzione. Come puoi...»
«Non sono preoccupato per quella maledetta Eruzione, amico. Non pensavo nemmeno
che sarei stato ancora vivo a questo punto, e comunque vivere non è stato poi così
meraviglioso.»
Thomas non riusciva a capire se il suo amico fosse serio o se stesse solo cercando di
sembrare forte. Ma continuava ad avere quel sorriso inquietante stampato sul viso, perciò
anche lui si sforzò di sorridere. «Se a te va bene impazzire a poco a poco e mangiare
bambini, vorrà dire che non mi dispererò per te.» Erano le parole più assurde che avesse
mai pronunciato.
«Bene così» rispose Newt; ma il sorriso era scomparso.
A quel punto Thomas si guardò in giro, ancora frastornato. Uno dei Radurai − un
ragazzino di nome Jackson che non conosceva bene − stava fissando il vuoto con lo
sguardo perso, e un altro stava cercando di nascondere le lacrime. Una delle ragazze del
Gruppo B aveva gli occhi rossi e gonfi, un paio di sue amiche si erano strette intorno a lei
cercando di consolarla.
«Volevo chiudere questo capitolo» disse l’Uomo Ratto. «Più che altro essere io a dirvelo
e ricordarvi che l’unico scopo di questa operazione è mettere a punto una cura. La
maggior parte di voi che non è immune è allo stadio iniziale dell’Eruzione, e sono certo
che la cosa verrà risolta prima che degeneri. Ma le Prove necessitavano della vostra
partecipazione.»
«E cosa succede se non ci riuscite?» chiese Minho.
L’Uomo Ratto lo ignorò. Si avvicinò al letto più vicino, poi si allungò per appoggiare la
mano sullo strano apparecchio metallico che pendeva dal soffitto. «Questo rappresenta
qualcosa di cui siamo molto fieri qui alla C.A.T.T.I.V.O.: un esempio di ingegneria medica.
Si chiama Retrattore, e compirà questa procedura. Vi verrà posizionato sul viso, e vi
garantisco che quando tutto sarà finito il vostro bel faccino sarà immutato. Dall’interno
dell’apparecchio scenderanno dei fili metallici che entreranno nei canali uditivi. Il nostro
staff medico vi darà un sedativo per calmarvi e qualcosa per attenuare il fastidio.»
Si fermò per guardarsi in giro. «Cadrete in una specie di trance mentre i nervi si
ripareranno e vi tornerà la memoria, qualcosa di simile a ciò che alcuni di voi hanno
sperimentato durante quella che nel Labirinto chiamavate la Mutazione. Ma non sarà così
doloroso, ve lo garantisco. Lo scopo in quel caso era perlopiù stimolare gli schemi del
cervello. Abbiamo molte altre stanze come questa, e un intero team di dottori che
aspetta di cominciare. Ora, sono sicuro che avrete un milione di domande da farmi, ma a
quelle sarete in grado di rispondere voi stessi con i vostri ricordi, perciò aspetterò che la
procedura sia conclusa prima di ascoltare ciò che avrete da chiedermi.»
L’Uomo Ratto si interruppe, poi concluse: «Datemi solo qualche minuto per accertarmi
che lo staff medico sia pronto. Potete sfruttare questi momenti per prendere la vostra
decisione.»
Attraversò la stanza, il silenzio rotto solo dal fruscio dei suoi pantaloni bianchi, e
scomparve dietro la prima porta d’acciaio che si richiuse alle sue spalle. Poi si misero a
parlare tutti insieme e nella stanza scoppiò un gran caos.
Teresa raggiunse Thomas, e Minho subito dietro di lei. Il ragazzo si avvicinò per farsi
sentire sopra il brusio di conversazioni agitate. «Voi pive sapete e ricordate più cose di
chiunque altro. Teresa, non ne ho mai fatto mistero: non mi piaci. Ma voglio sapere
comunque ciò che pensi.»
Thomas era altrettanto curioso di ascoltare l’opinione di Teresa. Annuì alla sua ex amica
e aspettò che parlasse. C’era ancora una piccola parte di lui che per qualche folle ragione
si aspettava che finalmente si schierasse contro il volere della C.A.T.T.I.V.O.
«Dovremmo farlo» disse Teresa, e Thomas non ne fu affatto sorpreso. Perse
quell’ultima speranza per sempre. «A me sembra la cosa giusta. Abbiamo bisogno di
recuperare i nostri ricordi per avere le idee più chiare. Per poter decidere cosa fare
dopo.»
Thomas aveva mille pensieri per la testa, e stava cercando di mettere insieme tutti i
pezzi. «Teresa, so che non sei stupida. Ma so anche che tu sei innamorata della
C.A.T.T.I.V.O. Non sono sicuro di quali siano le tue intenzioni, ma io non me la bevo.»
«Nemmeno io» disse Minho. «Possono manipolarci, giocare con la nostra testa,
accidenti! Come facciamo a sapere se ci restituiscono davvero la nostra memoria o ce ne
rifilano una nuova?»
Teresa sospirò. «Ragazzi, state trascurando un dettaglio fondamentale! Se possono
controllarci, se possono fare ciò che vogliono con noi, farci fare qualunque cosa, allora
perché dovrebbero prendersi la briga di inscenare questa farsa di lasciare a noi la scelta?
E poi, lui ha detto che rimuoverebbero anche la parte che gli permette di controllarci. Io
non ci vedo niente di losco.»
«Be’, comunque io non mi sono mai fidato di te» disse Minho, scuotendo lentamente la
testa. «E di sicuro non di loro. Io sto con Thomas.»
«E Aris?» Newt era stato così silenzioso che Thomas non si era nemmeno accorto che
era dietro di lui insieme a Frypan. «Non hai detto che era con voi prima che arrivaste nel
Labirinto? Lui cosa pensa?»
Thomas scrutò la stanza finché non individuò Aris che stava parlando con alcune sue
amiche del Gruppo B.
Da quando Thomas era arrivato, era sempre stato con loro, il che gli sembrava normale.
Aris aveva vissuto la sua esperienza nel Labirinto con quel gruppo. Ma non avrebbe mai
potuto perdonarlo per il ruolo che aveva avuto nell’aiutare Teresa nella Zona Bruciata,
attirandolo nella stanza tra le montagne e obbligandolo a entrare.
«Vado a chiederglielo» disse Teresa.
Thomas e i suoi amici la osservarono mentre andava da lui, poi lei e gli altri
cominciarono a bisbigliare animatamente.
«Odio quella ragazza» disse Minho.
«Ma dài, non è così male» commentò Frypan.
Minho alzò gli occhi al cielo.«Se lo fa lei, io non lo faccio.»
«Nemmeno io» disse Newt. «E in teoria sono io ad avere la maledetta Eruzione, perciò
ho da perdere più di chiunque altro. Ma non starò più ai loro giochetti.»
Thomas aveva già deciso in merito. «Sentiamo cosa ci dice. Sta arrivando.»
La chiacchierata con Aris era stata breve. «Sembrava ancora più sicuro di noi. Loro sono
tutti d’accordo nel farlo.»
«Be’, questo mi basta» rispose Minho. «Se Aris e Teresa sono a favore, io sono
contrario.»
Thomas non avrebbe saputo trovare parole più azzeccate. Il suo istinto gli diceva che
Minho aveva ragione, ma non si espresse. Invece osservò il viso di Teresa. Lei si voltò
verso di lui. Era uno sguardo che Thomas conosceva bene: si aspettava che lui la
spalleggiasse. Ma la differenza era che, adesso, vederla così decisa lo insospettiva.
La fissò, sforzandosi di mantenere un’espressione neutra; e Teresa rimase delusa.
«Affari vostri.» Scosse la testa, poi girò i tacchi e se ne andò.
Nonostante tutto quello che era successo, vederla andare via così gli provocò una morsa
al cuore.
«Ah, amico» intervenne Frypan, scuotendo Thomas dai suoi pensieri. «Non possiamo
lasciare che ci mettano quell’affare in faccia, ti pare? Mi accontenterei di tornare nella mia
cucina nel Casolare, giuro.»
«Ti sei dimenticato dei Dolenti?» chiese Newt.
Frypan rimase in silenzio per un attimo, poi disse: «Non mi hanno mai rotto le scatole in
cucina, sbaglio?»
«Già, be’, dovremo solo trovarti un nuovo posto per cucinare.» Newt afferrò Thomas e
Minho per le braccia e li allontanò dal gruppo. «Ho sentito fin troppe discussioni. Io non
mi ci sdraio su quei letti del cacchio.»
Minho allungò la mano e gli strinse la spalla. «Nemmeno io.»
«Lo stesso vale per me» disse Thomas. Poi diede finalmente sfogo a quello che da
settimane stava progettando. «Rimarremo qui, faremo i bravi e ci comporteremo bene»
sussurrò. «Ma non appena ci sarà l’opportunità, ce ne andremo con le cattive.»
7
L’Uomo Ratto tornò prima che Newt o Minho avessero modo di rispondere. Ma a
giudicare dalla loro espressione, Thomas era certo che fossero con lui. Al cento percento.
Altre persone si stavano ammucchiando nella stanza, e Thomas si concentrò su quello
che stava succedendo. Tutti i nuovi arrivati indossavano una tuta verde un po’ ampia con
la scritta C.A.T.T.I.V.O. sul petto. Thomas rimase colpito da come ogni aspetto di quel
gioco − quell’esperimento − fosse stato accuratamente studiato. Era possibile che il
nome stesso usato per la loro organizzazione fosse una delle Variabili sin dall’inizio? Una
parola contenente una palese minaccia, eppure una natura a loro dire buona?
Probabilmente era solo un altro modo per metterli sotto pressione e vedere come reagiva
la loro mente, cosa provavano.
Era solo un gioco di supposizioni. Lo era stato sin dall’inizio.
Ogni dottore − Thomas suppose che fossero dottori, come aveva detto l’Uomo Ratto −
prese posto accanto a un letto. Armeggiarono con le maschere che pendevano dal
soffitto, aggiustarono i tubi, sistemarono manopole e pulsanti che Thomas non riusciva a
vedere.
«Abbiamo già assegnato a ognuno di voi un letto» disse l’Uomo Ratto, guardando dei
fogli su una cartelletta che aveva portato con sé. «In questa stanza rimangono...»
Bofonchiò alcuni nomi, tra cui Sonya e Aris, ma non quello di Thomas né di nessuno dei
Radurai. «Se non siete stati chiamati, vi prego di seguirmi.»
La situazione aveva preso una piega bizzarra, troppo informale e ordinaria data la
serietà di quello che stava succedendo. Come dei gangster che facevano l’appello prima
di massacrare un gruppo di traditori in lacrime.
A Thomas non restò che prestarsi al gioco finché non si fosse presentato il momento
giusto.
Lui e gli altri seguirono in silenzio l’Uomo Ratto fuori dalla stanza e nell’ennesimo lungo
corridoio senza finestre, prima di fermarsi davanti a un’altra porta. La loro guida lesse di
nuovo la sua lista, e questa volta c’erano i nomi di Frypan e Newt.
«Io non lo faccio» dichiarò Newt. «Hai detto che eravamo liberi di scegliere e questa è
la mia cacchio di decisione.» Si scambiò un’occhiata piena di rabbia con Thomas che
sembrava intendere che avrebbero fatto meglio a inventarsi presto qualcosa o sarebbe
impazzito.
«Va bene» rispose l’Uomo Ratto. «Ma presto cambierai idea. Resta con me finché non
avremo finito con tutti gli altri.»
«E tu, Frypan?» chiese Thomas, cercando di nascondere il suo stupore per la facilità con
cui l’Uomo Ratto aveva accettato il volere di Newt.
Il cuoco di colpo sembrò remissivo. «Io... credo che glielo lascerò fare.»
Thomas era scioccato.
«Sei diventato pazzo?» chiese Minho.
Frypan scosse la testa, un po’ sulla difensiva. «Voglio ricordare. Voi prendete la vostra
decisione e permettetemi di prendere la mia.»
«Andiamo avanti» disse l’Uomo Ratto.
Frypan scomparve nella stanza, in fretta, probabilmente per evitare ulteriori discussioni.
Thomas sapeva di dover lasciar perdere; per il momento poteva solo preoccuparsi di sé
stesso e cercare una via di fuga. Con un po’ di fortuna, una volta trovata, avrebbe potuto
salvare tutti gli altri.
L’Uomo Ratto non chiamò Minho, Teresa o Thomas finché non arrivarono all’ultima
porta, insieme a Harriet e ad altre due ragazze del Gruppo B. Fino a quel momento Newt
era stato l’unico a rifiutare la procedura.
«No, grazie» disse Minho quando l’Uomo Ratto fece segno a tutti di entrare nella stanza.
«Ma apprezzo l’invito. Voi ragazzi divertitevi lì dentro.» Fece un gesto di scherno.
«Nemmeno io lo faccio» dichiarò Thomas. Stava cominciando a sentire la pressione del
momento. Dovevano sbrigarsi a fare la loro mossa, inventarsi qualcosa.
L’Uomo Ratto fissò Thomas a lungo, la sua espressione imperscrutabile.
«Tutto bene, mister Uomo Ratto?» chiese Minho.
«Il mio nome è vicedirettore Janson» rispose, con voce bassa e affannata, come se si
stesse sforzando di rimanere calmo. Non staccò mai gli occhi da Thomas. «Impara a
portare rispetto a chi è più grande di te.»
«Smetti di trattare le persone come se fossero animali e forse ci farò un pensierino»
disse Minho. «E perché fissi Thomas in quel modo?»
Alla fine l’Uomo Ratto − Janson − spostò lo sguardo su Minho. «Perché sono molte le
cose da considerare.» Rimase in silenzio per un attimo, raddrizzando la schiena. «Ma
molto bene. Abbiamo detto che potevate scegliere, e manterremo la nostra parola.
Venite tutti dentro e cominceremo con quelli che vogliono partecipare.»
Thomas sentì di nuovo un brivido lungo la schiena. Il loro momento stava arrivando. Lo
sapeva. E dall’espressione di Minho, lo sapeva anche lui. Si fecero un piccolo cenno con la
testa e seguirono l’Uomo Ratto nella stanza.
Era identica alla prima, con sei letti, le maschere appese, ogni cosa. Il macchinario che
chiaramente faceva funzionare tutto era già in moto. In piedi, accanto a ogni letto, c’era
una persona vestita con la stessa divisa verde da dottore.
Thomas si guardò in giro e rimase a bocca aperta. Di fianco all’ultimo letto della fila,
vestita di verde, c’era Brenda. Sembrava molto più giovane di tutti gli altri, i capelli
castani e il viso più puliti di quanto non li avesse mai visti nella Zona Bruciata. Gli fece un
piccolo cenno con il capo e spostò lo sguardo sull’Uomo Ratto; poi, prima che Thomas
capisse cosa stava succedendo, si mise a correre verso di lui. Quando gli fu davanti lo
strinse in un abbraccio. Thomas ricambiò la stretta; era completamente sotto shock, ma
non voleva separarsi da lei.
«Brenda, che ti prende?» le gridò Janson. «Torna al tuo posto!»
Lei gli premette le labbra contro l’orecchio, e poi, a voce così bassa che quasi non riuscì
a sentirla, sussurrò: «Non fidarti di loro. Non fidarti di loro. Solo di me e della cancelliera
Paige. Mai. Di nessun altro.»
«Brenda!» disse l’Uomo Ratto praticamente urlando.
A quel punto la ragazza si staccò, allontanandosi. «Mi dispiace» mormorò. «Sono solo
contenta di vedere che ha superato lo Stadio 3. Non avrei dovuto.» Tornò alla sua
postazione e si voltò di nuovo verso di loro, lo sguardo assente.
Janson la rimproverò. «Non abbiamo tempo per queste cose.»
Thomas non riusciva a smettere di guardarla, non sapeva cosa pensare o provare. Era
già certo di non doversi fidare della C.A.T.T.I.V.O., perciò a giudicare dalle sue parole
erano dalla stessa parte. Ma allora perché collaborava con loro? Non era malata? E chi
era questa cancelliera Paige? Si trattava solo di un altro test? Di un’altra Variabile?
Quell’abbraccio aveva scatenato in lui una sensazione forte, travolgente. Ripensò a
quando Brenda aveva parlato nella sua testa, dopo che lo avevano messo nella stanza
bianca. Lo aveva avvertito che le cose si sarebbero messe male. Ancora non capiva come
fosse riuscita a farlo; era davvero dalla sua parte?
Teresa, che da quando avevano lasciato la prima stanza era rimasta in silenzio, si
avvicinò a lui, interrompendo i suoi pensieri.
«Cosa ci fa lei qui?» sussurrò, con tono chiaramente contrariato. Ormai qualunque cosa
facesse o dicesse lo infastidiva. «Pensavo che fosse una Spaccata.»
«Non lo so» borbottò Thomas. Gli passarono davanti agli occhi i flash di tutto quel
periodo passato con Brenda nella città devastata. Per qualche assurdo motivo, quel posto
gli mancava. Gli mancava stare da solo con lei. «Forse mi sta solo... sottoponendo a una
Variabile.»
«Credi che facesse parte della messinscena, che sia stata mandata nella Zona Bruciata
per far funzionare le cose?»
«È probabile.» Thomas stava soffrendo. Era plausibile che Brenda facesse parte della
C.A.T.T.I.V.O. sin dall’inizio. Ma questo significava che gli aveva mentito, più e più volte.
Desiderava così tanto che le cose non stessero così.
«Non mi piace» disse Teresa. «Sembra... subdola.»
Thomas dovette fare uno sforzo per non urlarle contro. O riderle in faccia. E si rivolse a
lei con calma. «Vai a farli giocare con la tua testa.» Forse il fatto che Teresa non si
fidasse di Brenda era il miglior segnale che lui doveva farlo.
Lei gli lanciò un’occhiata tagliente. «Giudicami quanto vuoi. Io sto solo facendo quello
che ritengo giusto.» Poi si allontanò, in attesa di ricevere istruzioni dall’Uomo Ratto.
Janson assegnò i letti ai pazienti consenzienti mentre Thomas, Newt e Minho rimasero
in disparte a osservare. Thomas rivolse lo sguardo alla porta, chiedendosi se fosse il
momento giusto per scappare. Era sul punto di fare un cenno a Minho quando l’Uomo
Ratto si rivolse a loro, come se gli avesse letto nel pensiero.
«Voi tre ribelli siete tenuti d’occhio. Non pensate nemmeno di provare a fare qualcosa.
Delle guardie armate stanno arrivando in questo preciso istante.»
L’idea che forse qualcuno gli avesse davvero letto nel pensiero lo inquietò. Era possibile
che, usando gli schemi del cervello che stavano raccogliendo con tanto zelo, riuscissero a
interpretare i suoi pensieri?
«Che mucchio di sploff» sussurrò Minho quando Janson tornò a occuparsi di chi si stava
sistemando sui letti. «Secondo me dovremmo fare un tentativo, vedere cosa succede.»
Thomas non rispose, invece guardò Brenda che stava fissando il pavimento, con aria
assorta. Si rese conto che gli mancava terribilmente, che era legato a lei in un modo che
non capiva fino in fondo. L’unica cosa che desiderava era parlare da solo con lei. E non
solamente per quello che gli aveva detto.
Dal corridoio arrivò un rumore di passi frettolosi. Tre uomini e due donne irruppero nella
stanza, tutti vestiti di nero, con degli attrezzi dietro la schiena: corde, strumenti,
munizioni. In mano avevano tutti una specie di ingombrante fucile. Thomas non riusciva a
staccare gli occhi dalle armi; gli ricordavano qualcosa ma non sapeva esattamente cosa,
e nello stesso tempo era come se le vedesse per la prima volta. Brillavano di una luce
azzurra, al centro c’era un tubo trasparente pieno di granate metalliche scintillanti che
scoppiettavano e producevano un ronzio carico di elettricità. E le guardie le stavano
puntando contro di lui e i suoi amici.
«Abbiamo aspettato anche troppo, maledizione» sussurrò Newt con tono duro.
Thomas sapeva che presto si sarebbe presentata l’occasione giusta. «Ci avrebbero
comunque catturato lì fuori» rispose con calma, muovendo a malapena le labbra.
«Dobbiamo solo avere pazienza.»
Janson raggiunse le guardie. Indicò una delle armi. «Questi sono dei lanciagranate. Le
guardie non esiteranno a usarli se qualcuno di voi causerà dei problemi. Non provocano la
morte, ma credetemi se vi dico che vi faranno passare i peggiori cinque minuti della
vostra vita.»
«Che significa tutto questo?» chiese Thomas, sorpreso di quanto fosse poco spaventato.
«Ci hai appena detto che eravamo liberi di decidere. Perché questo esercito?»
«Perché non mi fido di voi.» Janson rimase in silenzio, come se stesse scegliendo le
parole con cura. «Speravamo che una volta recuperata la memoria avreste fatto le cose
di vostra spontanea volontà. Sarebbe tutto più semplice. Ma non ho mai detto che non
abbiamo più bisogno di voi.»
«Che sorpresa» disse Minho. «Hai mentito un’altra volta.»
«Non ho mentito su niente. Voi avete preso la vostra decisione, adesso ne pagherete le
conseguenze.» Janson indicò la porta. «Guardie, scortate Thomas e gli altri nella loro
stanza, dove potranno riflettere sui loro errori fino ai test di domani. Usate la forza se
necessario.»
8
Le due donne alzarono le armi ancora di più, puntando la grossa bocca rotonda contro i
tre ragazzi.
«Non costringeteci a usarle» disse una di loro. «Non c’è margine di errore. Un passo
falso e premeremo il grilletto.»
I tre uomini fecero oscillare le cinghie dei lanciagranate sulla spalla, poi camminarono
verso i ribelli, uno per Raduraio. Thomas provò una strana calma − in parte dovuta alla
profonda determinazione a combattere fino allo stremo delle forze − e un senso di
soddisfazione per il fatto che la C.A.T.T.I.V.O. avesse bisogno di cinque guardie armate
per tenere d’occhio tre adolescenti.
Il tizio che lo afferrò per il braccio era il doppio di lui, molto muscoloso. Si avviò
velocemente verso la porta e uscì dalla stanza, tirando Thomas con sé. Lui si voltò e vide
una delle guardie che li seguiva portare Minho praticamente di peso, e Newt era subito
dietro di loro, e si ribellava senza successo.
I ragazzi furono trascinati per diversi corridoi. Gli unici suoni provenivano da Minho:
grugniti, grida e insulti. Thomas cercò di dirgli di smetterla, che stava solo peggiorando le
cose, che probabilmente gli avrebbero sparato, ma Minho lo ignorò, lottando con le
unghie e con i denti finché non si fermarono davanti a una porta.
Una delle due donne usò una tessera magnetica per aprirla. La spinse, e si trovarono
davanti una piccola camera con due letti a castello e un cucinino con un tavolo e delle
sedie nell’angolo in fondo. Di certo non era quello che Thomas si aspettava. Si era
immaginato la Gattabuia della Radura, con il pavimento sporco e una sedia mezza rotta.
«Dentro» disse la donna. «Vi faremo portare qualcosa da mangiare. Ringraziate solo
che non vi lasciamo a digiuno per qualche giorno, dopo il modo in cui vi siete comportati.
Domani ci sono i test, perciò stanotte vi conviene dormire.»
I tre uomini spinsero i Radurai nella stanza e richiusero la porta; il suono metallico della
serratura che girava riecheggiò nell’aria.
In un istante la sensazione di prigionia che Thomas aveva patito nella cella dalle pareti
bianche lo travolse di nuovo. Attraversò la stanza per raggiungere la porta e abbassò la
maniglia, la tirò e la spinse usando tutto il suo peso. La colpì con i pugni gridando a pieni
polmoni di farli uscire di lì.
«Calmati, maledizione» disse Newt dietro di lui. «Non verrà nessuno a rimboccarti le
coperte.»
Thomas si voltò di scatto, ma quando vide l’amico davanti a sé, si fermò. Prima che
potesse mettere insieme le parole, intervenne Minho.
«A quanto pare abbiamo sprecato la nostra chance.» Si lasciò cadere su uno dei letti.
«Saremo vecchi o morti prima che si presenti di nuovo la nostra magica occasione,
Thomas. Non faranno un grande annuncio: ‘Adesso sarebbe un ottimo momento per
fuggire, perché saremo occupati per i prossimi dieci minuti.’ Dobbiamo correre dei rischi.»
I suoi amici avevano ragione, odiava doverlo ammettere, ma era così. Avrebbero dovuto
provare a scappare prima dell’arrivo delle guardie. «Mi dispiace. È solo che non mi
sembrava ancora il momento giusto. E dopo che ci hanno puntato tutte quelle armi in
faccia, ho pensato che fosse inutile sprecare le forze.»
«Già, be’» disse semplicemente Minho. «Tu e Brenda eravate proprio teneri quando vi
siete rivisti» aggiunse poi.
Thomas fece un respiro profondo. «Mi ha detto una cosa.»
Minho si mise seduto. «Cosa intendi? Qualcosa cosa?»
«Mi ha detto di non fidarmi di loro. Di fidarmi solo di lei e di una certa cancelliera
Paige.»
«Be’, lei a che cacchio di gioco sta giocando?» chiese Newt. «Lavora per la
C.A.T.T.I.V.O.? Cosa diavolo significa, che nella Zona Bruciata ha recitato tutto il tempo?»
«Già, a quanto pare è come tutti loro» aggiunse Minho.
Thomas non era affatto d’accordo. Non sapeva come spiegarselo, men che meno come
spiegarlo ai suoi amici. «Sentite, anch’io prima lavoravo per loro, ma di me vi fidate,
giusto? Non significa niente. Magari non ha avuto scelta, magari è cambiata. Non lo so.»
Minho strizzò gli occhi, come se stesse riflettendo, ma non rispose. Newt si sedette per
terra e incrociò le braccia, mettendo il broncio.
Thomas scosse la testa. Era stanco di scervellarsi. Andò verso un piccolo frigorifero e lo
aprì; gli brontolava lo stomaco per la fame. Trovò degli snack al formaggio e dell’uva e li
spartì con i suoi amici, poi mandò giù la sua porzione quasi senza masticare, prima di
scolarsi una bottiglietta di succo di frutta. Anche gli altri due divorarono tutto, senza che
nessuno dicesse una parola.
Poco dopo arrivò una donna con delle costolette di maiale e patate, e mangiarono
anche quello. Si era da poco fatta sera, stando all’orologio di Thomas, ma lui non riusciva
a pensare di dormire. Si mise a sedere su una sedia, rivolto verso i suoi amici,
chiedendosi cosa avrebbero dovuto fare. Si sentiva ancora un po’ in imbarazzo, come se
fosse colpa sua se non avevano ancora provato a scappare, ma non aveva niente da
proporre.
Minho fu il primo a parlare da quando era arrivato il cibo. «Forse dovremmo
assecondare quelle facce di caspio e basta. Fare come vogliono loro. Un giorno ce ne
andremo in giro grassi e contenti.»
Thomas sapeva che non lo pensava davvero. «Già, magari potresti trovarti una bella
ragazza che lavora qui, sistemarti, sposarti e fare dei figli. Giusto in tempo per vedere il
mondo popolato da un mare di pazzi.»
Minho stette al gioco. «La C.A.T.T.I.V.O. risolverà questa storia della cianografia e
vivremo tutti felici e contenti.»
«Non fa per niente ridere» disse Newt con tono scorbutico. «Anche se trovassero una
cura, avete visto come cacchio è là fuori nella Zona Bruciata. Ci vorrà un bel po’ di tempo
prima che il mondo possa tornare alla normalità. Anche se fosse possibile... noi non lo
vedremo mai.»
Thomas si rese conto che si era incantato a fissare un punto sul pavimento. «Dopo tutto
quello che ci hanno fatto, io non credo a una sola parola che arrivi da loro.» Non riusciva
a superare la notizia su Newt, il suo amico, che avrebbe fatto qualunque cosa per gli altri.
Lo avevano condannato a morte − a una malattia incurabile − solo per osservare cosa
sarebbe successo.
«Quel tizio, Janson, pensa di avere una soluzione a ogni cosa» continuò Thomas.
«Pensa che tutto giri intorno al bene più grande. Lasciar crepare la razza umana, o fare
cose orribili per salvarla. Probabilmente persino quei pochi che sono immuni non
sopravvivrebbero a lungo in un mondo in cui il 99,9 percento delle persone sono mostri
psicopatici.»
«Dove vuoi arrivare?» mormorò Minho.
«Voglio arrivare al fatto che prima che mi cancellassero la memoria, credo di essermi
bevuto tutte queste cavolate. Ma ora non più.» E la cosa che lo terrorizzava era che
recuperando i suoi ricordi potesse ricambiare idea.
«Non sprechiamo la nostra prossima opportunità, Tommy» disse Newt.
«Domani» aggiunse Minho. «Sia come sia.»
Thomas rivolse una lunga occhiata a entrambi. «Okay, sia come sia.»
Newt sbadigliò, e istintivamente gli altri due fecero lo stesso. «Allora basta con queste
chiacchiere del cavolo, ci conviene dormire un po’.»
9
Thomas trascorse più di un’ora a fissare il buio, ma alla fine si addormentò. E quando lo
fece, in sogno gli apparvero una sfilza di immagini e ricordi frammentati.
Una donna, seduta a un tavolo, lo fissa sorridente dall’altra parte della superficie di
legno. Mentre lui la osserva, lei prende una tazza con del liquido fumante e beve un
piccolo sorso. Sorride di nuovo. Poi dice: «Adesso mangia i tuoi cereali. Bravo bambino.»
È sua madre, con il suo viso gentile, il suo amore per lui evidente in ogni increspatura
della pelle. Non smette di controllarlo finché lui non manda giù l’ultimo boccone, allora
prende la sua scodella e la mette nel lavello dopo avergli scompigliato i capelli.
Poi lui è sul pavimento di una piccola stanza, a giocare con dei blocchi d’argento che
sembrano fondersi insieme mentre costruisce un enorme castello. Sua madre è seduta su
una sedia nell’angolo, sta piangendo. Thomas capisce immediatamente perché. A suo
padre è stata diagnosticata l’Eruzione, sta già mostrando i primi segni. Questo significa
inevitabilmente che anche sua madre è stata contagiata, o lo sarà presto. Il Thomas fuori
dal sogno sa che i dottori non tarderanno molto a capire che la versione più giovane di lui
ha il virus ma è immune ai suoi effetti. A quel punto avevano già ideato il test in grado di
rilevarlo.
Nel sogno successivo sta andando in bicicletta in una giornata afosa. Il calore si solleva
dal manto stradale; su entrambi i lati della strada, dove prima c’era il prato, solo poche
erbacce. Ha il viso sudato e sorridente. Sua madre lo osserva da poco lontano, e lui
capisce che si sta godendo ogni istante di quel momento. Si dirigono verso un laghetto lì
vicino. L’acqua è stagnante e ha un odore disgustoso. Lei raccoglie dei sassi per farglieli
tirare nelle profondità torbide. All’inizio li lancia il più lontano possibile; poi cerca di farli
saltare come gli aveva fatto vedere suo padre l’estate precedente. Non ci riesce ancora.
Stanchi, sfiancati dal caldo opprimente, lui e sua madre si dirigono verso casa.
Poi le cose nei sogni − i ricordi − diventano più cupe.
È di nuovo in casa e un uomo con abiti scuri è seduto su un divano. Ha in mano dei
fogli, un’espressione seria. Thomas è accanto a sua madre, le stringe la mano. È nata la
C.A.T.T.I.V.O., da un accordo di collaborazione tra i governi del mondo, quelli
sopravvissuti alle eruzioni solari, un fatto accaduto molto prima che Thomas nascesse. Lo
scopo della C.A.T.T.I.V.O. è studiare quella che chiamano la zona della violenza, dove
l’Eruzione provoca i danni. Il cervello.
L’uomo sta dicendo che Thomas è immune. Che ci sono altri immuni. Meno dell’un
percento della popolazione, la maggior parte dei quali al di sotto dei vent’anni. E il mondo
per loro è pericoloso. La gente li odia perché sono refrattari a quell’orribile virus, con tono
beffardo li chiama Muni. Fa loro cose orribili. La C.A.T.T.I.V.O. dice che può proteggere
Thomas, e che lui può aiutarli a trovare una cura. Dicono che è intelligente, uno tra i più
intelligenti sottoposti ai test. Sua madre non può fare altro che lasciarlo andare. Di certo
non vuole che suo figlio la veda impazzire a poco a poco.
Poi sua madre gli dice che lo ama e che è felice di sapere che lui non dovrà mai passare
quello che ha passato suo padre sotto i loro occhi. La follia gli aveva portato via tutto ciò
che lo rendeva la persona che era, che lo rendeva umano.
E poi quel sogno svanì, e Thomas si addormentò profondamente.
La mattina seguente fu svegliato da dei forti colpi. Si era appena tirato su sui gomiti
quando la porta si aprì e le stesse cinque guardie del giorno prima entrarono con i
lanciagranate sollevati. Janson era subito dietro di loro.
«Alzatevi, belli addormentati» disse l’Uomo Ratto. «Abbiamo deciso di restituirvi
comunque la memoria. Che vi piaccia o no.»
10
Thomas era ancora insonnolito. I sogni che aveva fatto − i ricordi della sua infanzia −
gli annebbiavano la mente. Aveva afferrato a malapena ciò che aveva detto quell’uomo.
«Te lo puoi scordare» rispose Newt. Il ragazzo era sceso dal letto, con i pugni sui
fianchi, e fissava Janson inferocito.
Thomas non ricordava di aver mai visto un tale fuoco nello sguardo dell’amico. E poi la
forza devastante delle parole dell’Uomo Ratto lo risvegliò dallo stordimento.
Appoggiò i piedi sul pavimento. «Ci hai detto che non eravamo obbligati a farlo.»
«Purtroppo non abbiamo scelta» rispose Janson. «Il tempo delle menzogne è finito. Non
funzionerà niente se voi tre continuerete a brancolare nel buio. Mi dispiace. Dobbiamo
farlo. E poi, Newt, tu più di tutti trarrai beneficio dalla cura.»
«Non mi importa più niente di me» rispose lui a denti stretti.
In quel momento l’istinto di Thomas prese il sopravvento. Sapeva che era questo il
momento che aspettavano. La goccia che faceva traboccare il vaso.
Osservò Janson attentamente. L’uomo fece un respiro profondo, assumendo
un’espressione più calma, come se si fosse accorto del pericolo crescente nella stanza e
volesse neutralizzarlo. «Sentite, Newt, Minho, Thomas. Io capisco come vi sentite. Avete
assistito a cose orribili. Ma il peggio è passato. Non possiamo cambiare ciò che è stato,
non possiamo cancellare quello che è successo ai vostri amici. Ma arrivati a questo punto
non sarebbe uno spreco non completare la cianografia?»
«Non potete cancellarlo?» gridò Newt. «È tutto qui quello che hai da dire?»
«Vedi di calmarti» lo avvertì una delle guardie, puntandogli un lanciagranate al petto.
Nella stanza piombò il silenzio. Thomas non aveva mai visto Newt in quello stato. Così
arrabbiato, addirittura così restio ad assumere un atteggiamento pacato.
Janson riprese a parlare. «Non ci resta più molto tempo. Adesso andiamo oppure si
ripeterà la situazione di ieri. Le mie guardie non aspettano altro, ve lo assicuro.»
Minho saltò giù dal letto sopra quello di Newt. «Ha ragione» disse come se niente fosse.
«Newt, se possiamo salvare te − e chissà quanti altri − saremmo degli idioti del caspio a
rimanere in questa stanza un secondo di più.» Lanciò un’occhiata a Thomas e fece un
cenno verso la porta. «Andiamo, forza.» Passò accanto all’Uomo Ratto e alle guardie e si
incamminò verso il corridoio senza voltarsi.
Janson guardò con aria perplessa Thomas, che si stava sforzando di nascondere lo
stupore. La dichiarazione di Minho era così strana... Doveva avere un piano. Fingere di
stare al gioco era un modo per guadagnare tempo.
Thomas diede le spalle all’Uomo Ratto e alle guardie, e fece velocemente l’occhiolino a
Newt, senza che gli altri lo vedessero. «Sentiamo solo quello che vogliono da noi.» Cercò
di sembrare spontaneo, sincero, ma fu una delle cose più difficili che avesse mai fatto.
«Io ho lavorato per queste persone prima del Labirinto. Non posso essermi
completamente sbagliato, giusto?»
«Oh, per favore» rispose Newt con aria esasperata, ma si avviò verso la porta, e
Thomas rise sotto i baffi pensando alla sua piccola vittoria.
«Quando tutto questo sarà finito, voi sarete degli eroi» disse Janson mentre Thomas
seguiva Newt fuori dalla stanza.
«Sta’ zitto» rispose Thomas.
Thomas e i suoi amici seguirono ancora una volta l’Uomo Ratto nel labirinto di corridoi.
Mentre camminavano, Janson descriveva il percorso come fosse una guida turistica.
Spiegò che quella struttura non aveva molte finestre per via del tempo spesso impetuoso,
e delle gang di persone infette che vagavano all’esterno. Menzionò la violenta tempesta
della notte in cui i Radurai erano stati portati via dal Labirinto, e raccontò come il gruppo
di Spaccati aveva superato il perimetro esterno per osservarli salire sull’autobus.
Thomas si ricordava fin troppo bene quella notte. La sensazione che aveva provato
quando le ruote erano passate sopra la donna che lo aveva avvicinato prima che salisse
sull’autobus, l’autista che non aveva nemmeno rallentato. Stentava a credere che fosse
successo solo poche settimane prima; sembravano anni.
«Come vorrei che chiudessi il becco» disse Newt con disprezzo. E l’Uomo Ratto lo fece,
ma non si tolse mai quel sorrisetto dalla faccia.
Quando arrivarono nell’area in cui erano stati il giorno precedente, l’Uomo Ratto si
fermò e si rivolse loro. «Spero che oggi collaborerete tutti. Sarebbe il minimo da parte
vostra.»
«Dove sono gli altri?» chiese Thomas.
«Gli altri soggetti sono stati ricoverati...»
Prima che potesse finire la frase, Newt era scattato e aveva afferrato l’Uomo Ratto per il
bavero della giacca bianca, sbattendolo contro la porta più vicina. «Chiamali di nuovo
soggetti e ti spezzo l’osso del collo, carogna!»
Due guardie si fiondarono su di lui in un istante, lo allontanarono da Janson e lo
scaraventarono a terra, puntandogli i lanciagranate in faccia.
«Aspettate!» gridò Janson. «Aspettate.» Si ricompose, sistemandosi la camicia e la
giacca stropicciate. «Non mettetelo fuori combattimento. Concludiamo quest’operazione
una volta per tutte.»
Newt si tirò su lentamente, con le braccia alzate. «Non chiamarci soggetti. Non siamo
cavie. E di’ ai tuoi amici del caspio di calmarsi. Non ti avrei fatto del male. Non molto.»
Rivolse lo sguardo verso Thomas, per capire le sue intenzioni.
La C.A.T.T.I.V.O. è buona.
Per qualche inspiegabile ragione, gli vennero in mente quelle parole. Era come se il
Thomas del passato − quello che credeva che lo scopo della C.A.T.T.I.V.O. giustificasse
qualunque azione deplorevole − stesse cercando di convincerlo che era vero. Che a
prescindere da quanto sembrasse orribile, dovevano essere disposti a tutto pur di trovare
una cura per l’Eruzione.
Ma adesso qualcosa era cambiato. Non riusciva a capire quello che era stato; come
avesse potuto considerare accettabile tutto ciò. Era cambiato per sempre... ma doveva
dare alla C.A.T.T.I.V.O. il vecchio Thomas un’ultima volta.
«Newt, Minho» disse con calma, prima che l’Uomo Ratto potesse ricominciare a parlare.
«Credo che abbia ragione. Credo sia giunto il momento di fare quello che ci si aspetta da
noi. Ieri sera eravamo tutti d’accordo.»
Minho sorrise nervoso. Le mani di Newt si strinsero a pugno.
Adesso o mai più.
11
Thomas non esitò. Diede una gomitata in faccia alla guardia dietro di lui e un calcio al
ginocchio a quella davanti. Entrambe caddero a terra, colte alla sprovvista, ma si
ripresero in fretta. Con la coda dell’occhio Thomas vide Newt che scaraventava una
guardia sul pavimento; Minho ne stava prendendo a pugni un’altra. Ma la quinta − una
donna − non era stata toccata, e stava alzando il lanciagranate.
Si gettò su di lei, e prima che potesse premere il grilletto, colpì la canna dell’arma verso
l’alto, ma la guardia riuscì a non mollare la presa e gliela sbatté sulla tempia. Sentì un
dolore lancinante alle guance e alla mandibola. Perse l’equilibrio e si ritrovò in ginocchio,
poi cadde in avanti. Cercò di rialzarsi, ma qualcosa di pesante gli atterrò sulla schiena,
sbattendolo sulle piastrelle dure, lasciandolo senza fiato. Sentì un ginocchio affondargli
nella spina dorsale e un oggetto metallico premuto contro il cranio.
«Mi dia l’ordine!» gridò la donna. «Vicedirettore Janson, mi dia l’ordine! Gli friggo il
cervello.»
Thomas non riusciva a vedere gli altri, ma i rumori della colluttazione erano già cessati.
Questo stava a significare che il loro ammutinamento aveva avuto vita breve; tutti e tre
sottomessi in meno di un minuto. Aveva il cuore colmo di disperazione.
«Cosa vi salta in mente!» ruggì Janson alle sue spalle. Poteva solo immaginare quanta
rabbia ci fosse sul suo viso da roditore. «Pensate davvero che tre... bambini possano
avere la meglio su cinque guardie armate? Voi ragazzi dovreste essere dei geni, non degli
stupidi e illusi... ribelli. Forse allora l’Eruzione vi ha davvero offuscato il cervello!»
«Sta’ zitto!» Thomas sentì Newt gridare. «Chiudi quel...»
Qualcosa soffocò il resto delle sue parole. L’immagine di una delle guardie che stava
facendo del male a Newt lo fece tremare di rabbia. La donna spinse l’arma contro la sua
testa ancora più forte.
«Non... pensarci nemmeno» gli sussurrò all’orecchio.
«Tirateli su!» sbraitò Janson. «Tirateli su!»
La guardia prese Thomas per la maglietta e lo rimise in piedi, senza mai staccare il
lanciagranate dalla sua testa. Newt e Minho erano nella stessa situazione di Thomas, e
poi c’erano le altre due guardie, anche loro con le armi puntate contro i Radurai.
Il viso di Janson era rosso fuoco. «È assolutamente ridicolo! Non permetteremo nella
maniera più assoluta che si ripeta una cosa del genere.» Si voltò verso Thomas.
«Io ero solo un bambino» disse lui, sorpreso dalle sue stesse parole.
«Scusa?» chiese Janson.
Thomas fissò l’Uomo Ratto. «Ero un bambino. Mi hanno fatto il lavaggio del cervello per
convincermi a fare quelle cose... ad aiutarli.» Era questo che lo stava divorando da
quando aveva cominciato a recuperare la memoria. Da quando aveva cominciato a
rimettere insieme i pezzi.
«Io non c’ero all’inizio» disse Janson con voce pacata. «Ma sei stato tu stesso ad
assegnarmi questo incarico dopo che i fondatori sono stati eliminati. E se vuoi saperlo,
non ho mai visto nessuno, bambino o adulto, così determinato.» Sorrise e a Thomas
venne voglia di spaccargli la faccia.
«Non m’importa quello che...»
«Adesso basta!» gridò Janson. «Cominceremo da lui.» Fece un cenno a una delle
guardie. «Portate qui un’infermiera. Dentro c’è Brenda... insiste nel dire che vuole dare
una mano. Forse sarà più semplice gestirlo se sarà lei il tecnico a lavorare con lui. Portate
gli altri nella sala d’attesa. Voglio occuparmi di loro uno alla volta. Devo andare a
controllare una cosa, perciò vi raggiungerò tra poco.»
Thomas era così fuori di sé che non sentì nemmeno il nome di Brenda. Un’altra guardia
si unì a quella dietro di lui, ciascuna tenendolo per un braccio.
«Non ve lo permetterò!» gridò Thomas, in preda a una crisi isterica. Il pensiero di
scoprire chi era lo terrorizzava. «Non lascerò che mi mettiate quell’affare in faccia!»
Janson lo ignorò e si rivolse direttamente alle guardie. «Assicuratevi che Brenda lo
tenga sedato.» Poi si allontanò.
Le due guardie trascinarono Thomas verso la porta, mentre lui strisciava i piedi per
terra. Si oppose, cercando di liberare le braccia, ma le loro mani erano come manette di
ferro, e alla fine si arrese per non sprecare le forze. Si rese conto che forse aveva perso la
battaglia. La sua unica speranza era Brenda.
La ragazza era dentro la stanza accanto a un letto. Aveva un’espressione distaccata.
Thomas cercò il suo sguardo, ma era indecifrabile.
I suoi carcerieri lo spinsero a entrare. Non riusciva a capire perché Brenda fosse lì,
perché stesse aiutando la C.A.T.T.I.V.O. in tutto questo. «Perché lavori con loro?» Sentiva
a malapena le sue parole.
Le guardie lo fecero voltare.
«Ti conviene tenere la bocca chiusa» rispose Brenda. «Devi fidarti di me come hai fatto
nella Zona Bruciata. È per il tuo bene.»
Non riusciva a vederla, ma notò qualcosa nella sua voce. Nonostante quello che gli
aveva detto, gli sembrava affettuosa. Era possibile che fosse dalla sua parte?
Le guardie trascinarono Thomas verso l’ultimo letto della fila. Poi la donna lo lasciò e gli
puntò contro il lanciagranate mentre l’uomo lo teneva fermo accanto al materasso.
«Sdraiati» gli disse.
«No» rispose Thomas a denti stretti.
La guardia si voltò e gli diede uno schiaffo. «Sdraiati! Subito!»
«No.»
L’uomo lo sollevò per le spalle e lo sbatté sul materasso. «Accadrà comunque, perciò
non ti conviene opporre resistenza.» La maschera metallica con i suoi fili e tubi pendeva
sopra di lui come un gigantesco ragno in attesa di soffocarlo.
«Non mi metterete quell’affare in faccia.» Il cuore di Thomas adesso batteva
all’impazzata, la paura che aveva tenuto a bada incalzava, intaccando la lucidità che lo
avrebbe aiutato a trovare un modo per togliersi da quella situazione.
La guardia gli prese i polsi e li spinse sul materasso mentre si piegava in avanti con
tutto il peso per assicurarsi che non andasse da nessuna parte. «Dàgli il sedativo.»
Thomas si sforzò di calmarsi, di risparmiare le energie per un ultimo tentativo di fuga.
La vista di Brenda era quasi dolorosa; si era affezionato a lei più di quanto si fosse reso
conto. Se li avesse aiutati a obbligarlo, significava che anche lei era una nemica. Il solo
pensiero gli spezzava il cuore.
«Ti prego, Brenda» disse. «Non farlo. Non lasciare che mi facciano questo.»
Brenda si avvicinò e gli toccò la spalla dolcemente. «Andrà tutto bene. Non tutti stanno
cercando di rendere la tua vita un inferno. Mi ringrazierai più tardi per quello che sto per
fare. Adesso smettila di piagnucolare e rilassati.»
Non riusciva a capire le sue intenzioni, era inutile. «Non hai altro da dire? Dopo tutto
quello che è successo nella Zona Bruciata? Quante volte abbiamo rischiato di morire in
quella città? Dopo tutto quello che abbiamo passato, mi abbandoni così?»
«Thomas...» Lasciò la frase in sospeso, senza preoccuparsi di nascondere la
frustrazione. «Era il mio lavoro.»
«Ho sentito la tua voce nella mia testa. Mi hai avvisato che le cose stavano per mettersi
male. Ti prego, dimmi che non sei davvero una di loro.»
«Quando siamo tornati al quartier generale dopo la Zona Bruciata, sono entrata nel
sistema di telepatia perché volevo avvertirti. Prepararti. Non ho mai pensato che
saremmo diventati amici in quell’inferno.»
Per un certo verso, il solo fatto di sentire che anche lei provava quelle cose rese tutto
più sopportabile, e a quel punto non riuscì a trattenersi. «Hai davvero l’Eruzione?» chiese.
Brenda rispose in modo telegrafico. «Stavo recitando. Io e Jorge siamo immuni, lo
sappiamo da molto tempo. È per questo che ci hanno usato. Adesso stai zitto.» Lanciò
un’occhiata veloce alla guardia.
«Sbrigati!» gridò di colpo l’uomo.
Brenda lo guardò in cagnesco ma non disse nulla. Poi, senza farsi vedere, fece
l’occhiolino a Thomas, cogliendolo di sorpresa. «Dopo che ti avrò iniettato il sedativo, ti
addormenterai nel giro di pochi secondi. Hai capito?» Pose l’accento sull’ultima parola, e
di nascosto strizzò di nuovo l’occhio. Per fortuna le guardie erano concentrate sul loro
prigioniero e non su di lei.
Thomas era confuso, ma gli si accese dentro la speranza. Brenda stava tramando
qualcosa.
La ragazza si avvicinò al bancone che aveva dietro per preparare quello che le serviva,
mentre la guardia continuava a spingere tutto il suo peso sui polsi di Thomas,
bloccandogli la circolazione. Sulla fronte dell’uomo si erano formate delle gocce di sudore,
ma era chiaro che non lo avrebbe mollato finché non fosse stato privo di sensi. La donna
alle sue spalle teneva il lanciagranate puntato sul viso di Thomas.
Brenda si voltò; aveva una siringa nella mano sinistra, l’ago rivolto verso l’alto, il pollice
pronto a spingere. Una finestrella laterale lasciava intravedere un liquido giallognolo.
«Okay, Thomas. Faremo tutto molto velocemente. Sei pronto?»
Lui annuì, e nonostante non sapesse cosa intendeva, era deciso a essere preparato.
«Bene» rispose lei. «Me lo auguro.»
12
Brenda sorrise e si avvicinò a Thomas, poi inciampò su qualcosa sbilanciandosi in
avanti. Si aggrappò al letto con la mano destra, ma cadendo fece in modo che l’ago della
siringa atterrasse sull’avambraccio della guardia che teneva i polsi di Thomas. In un
secondo spinse con il pollice, producendo un sibilo veloce, acuto, prima che l’uomo
potesse spostarsi.
«Che diavolo!» gridò la guardia, ma i suoi occhi erano già annebbiati.
Thomas agì all’istante. Finalmente libero da quella presa di ferro, appoggiò la schiena
sul letto per darsi una spinta e inarcò le gambe indirizzandole verso la donna, che stava
per riprendersi dopo un breve momento di shock. Un piede colpì il lanciagranate e l’altro
la spalla. Il suo grido fu seguito dal rumore della testa che sbatteva sul pavimento.
Thomas si gettò sul lanciagranate, afferrandolo prima che scivolasse via, e lo rivolse
contro la donna che si teneva la testa tra le mani. Nel frattempo, Brenda era corsa
dall’altro lato del letto e aveva preso l’arma dell’uomo, e la teneva puntata contro il corpo
accasciato.
Thomas ansimava, il petto che si alzava e abbassava carico di adrenalina. Non si
sentiva così bene da settimane. «Lo sapevo che tu...»
Prima che potesse finire la frase, Brenda premette il grilletto.
Un suono acuto perforò l’aria, aumentando di volume per una frazione di secondo prima
che il fucile sparasse e desse il contraccolpo, spingendo Brenda all’indietro. Fuoriuscì una
granata scintillante che colpì la donna al petto ed esplose, avvolgendole il corpo di
piccole scariche di luce. La guardia fu colta dagli spasmi.
Thomas fissava la scena, scioccato dagli effetti del lanciagranate e stupito che Brenda
avesse sparato senza esitare. Se aveva bisogno di un’ulteriore prova che non stesse dalla
parte della C.A.T.T.I.V.O., l’aveva appena avuta. La guardò.
Lei ricambiò lo sguardo, accennando un sorriso. «Era da molto tempo che desideravo
fare una cosa del genere. Per fortuna ho convinto Janson ad assegnarmi a te per questa
procedura.» Si piegò per prendere la tessera magnetica dell’uomo privo di sensi, e se la
infilò in tasca. «Questa ci aprirà tutte le porte.»
Thomas dovette frenare l’impulso di abbracciarla.
«Andiamo» disse. «Dobbiamo trovare Newt e Minho. E poi tutti gli altri.»
Si misero a correre per i corridoi, con Brenda che faceva strada. Thomas ripensò
all’ultima volta che lo aveva guidato nei tunnel sotterranei della Zona Bruciata. La incitò a
fare in fretta: sapeva che sarebbero potute arrivare altre guardie da un momento
all’altro.
Raggiunsero una porta, e Brenda passò la tessera magnetica; si sentì un breve sibilo,
poi la lastra di metallo si aprì. Thomas si fiondò all’interno e Brenda lo seguì.
L’Uomo Ratto era seduto su una poltrona ma saltò subito in piedi, assumendo di colpo
un’espressione terrorizzata. «Cosa diavolo state facendo?»
Brenda aveva già sparato le granate contro due guardie. Un uomo e una donna caddero
a terra, in preda alle convulsioni tra nuvole di fumo e piccole scariche elettriche. Newt e
Minho si fiondarono sulla terza; Minho gli prese l’arma.
Thomas puntò il lanciagranate contro Janson e mise il dito sul grilletto. «Dammi la tua
tessera magnetica, poi sdraiati a terra, con le mani dietro la testa.» La sua voce era
ferma ma il cuore gli batteva all’impazzata.
«È una vera follia» disse Janson. Gli passò la scheda. Parlava con tranquillità, sembrava
sorprendentemente calmo, date le circostanze. «Le possibilità che avete di uscire da
questi edifici sono pari a zero. Stanno già arrivando altre guardie.»
Thomas sapeva di avere poche chance, ma non c’era scelta. «Dopo quello che abbiamo
affrontato, questo è niente.» Sorrise rendendosi conto che era la verità. «Grazie per
l’addestramento. Adesso, di’ un’altra parola e passerai... com’è che avevi detto? ‘I
peggiori cinque minuti della tua vitaʹ?»
«Come puoi...»
Thomas premette il grilletto. Il suono acuto riempì la stanza, seguito dal lancio di una
granata che raggiunse l’uomo al petto ed esplose in uno sfoggio luminoso di elettricità.
L’Uomo Ratto gridò mentre cadeva a terra, in preda alle convulsioni, con il fumo che gli
usciva dai capelli e dai vestiti. Un odore tremendo si diffuse per la stanza, una puzza che
ricordò a Thomas la Zona Bruciata, quando Minho era stato colpito da un fulmine.
«Non dev’essere piacevole» disse Thomas ai suoi amici. Il suo stesso tono di voce gli
sembrò così calmo che ne fu turbato. Mentre osservava il loro nemico contorcersi, quasi si
vergognò di non provare rimorso. Quasi.
«In teoria non lo ucciderà» disse Brenda.
«È un peccato» ribatté Minho. Si tirò su dopo aver legato con la sua cintura l’unica
guardia illesa. «Il mondo sarebbe un posto migliore.»
Thomas rivolse l’attenzione all’uomo che si contorceva ai suoi piedi. «Ce ne andiamo.
Adesso.»
«Ci vorrebbe un cacchio di brindisi» disse Newt.
«Proprio quello che stavo pensando» aggiunse Minho.
Si voltarono tutti verso Brenda. La ragazza sollevò il lanciagranate che aveva tra le
mani e annuì. Sembrava pronta a combattere.
«Odio queste persone quanto voi» disse. «Sto con voi.»
Per la seconda volta negli ultimi giorni, Thomas provò una profonda sensazione di
felicità che gli era del tutto estranea. Brenda era tornata. Guardò Janson. Lo sfarfallio di
elettricità stava per cessare. L’uomo aveva gli occhi chiusi e aveva smesso di muoversi,
ma respirava ancora.
«Non so quanto duri uno di questi colpi,» disse Brenda «e quando si riprenderà di certo
sarà arrabbiato. Ci conviene togliere le tende.»
«Qual è il piano?» chiese Newt.
Thomas non ne aveva idea. «Ne escogiteremo uno mentre andiamo.»
«Jorge è un pilota» propose Brenda. «Se riuscissimo a raggiungere l’hangar, la sua
Berga...»
Prima che qualcuno potesse rispondere, si sentirono delle grida e dei passi nel corridoio.
«Stanno arrivando» disse Thomas. La realtà della situazione in cui si trovavano lo colpì
di nuovo; nessuno gli avrebbe steso un tappeto rosso per uscire da quell’edificio. Chissà
quante guardie avrebbero dovuto affrontare.
Minho corse alla porta e si posizionò a destra. «Dovranno tutti passare da qui.»
I rumori si stavano facendo più forti; le guardie erano vicine.
«Newt» disse Thomas. «Tu mettiti a sinistra. Io e Brenda spareremo ai primi due che
entreranno. Voi occupatevi degli altri, poi uscite nel corridoio. Noi vi verremo dietro.»
Ognuno si mise in posizione.
13
L’espressione di Brenda era uno strano mix di rabbia ed eccitazione. Thomas si preparò
accanto a lei, stringendo il lanciagranate tra le mani. Sapeva che era un rischio fidarsi di
Brenda. Quasi tutti in quell’organizzazione lo avevano ingannato; non poteva
sottovalutare la C.A.T.T.I.V.O. Ma era solo merito di Brenda se erano giunti a quel punto.
E se decideva di farla venire con loro, non poteva più dubitare di lei.
La prima guardia arrivò, un uomo vestito con la stessa divisa nera di tutti gli altri, ma
con un’arma diversa − più piccola e più lucida − e la teneva stretta davanti a sé. Thomas
premette il grilletto, e osservò la granata raggiungere la guardia al petto, spingendolo
all’indietro, in preda agli spasmi e alle convulsioni in una ragnatela di scariche elettriche.
Altre due persone − un uomo e una donna − entrarono subito dopo di lui con i
lanciagranate puntati.
Minho agì prima di Thomas. Afferrò la donna per la camicia e la tirò a sé, poi la
scaraventò contro il muro. Lei sparò un colpo, ma la granata d’argento si infranse a terra
senza ferire nessuno e produsse uno scoppio di energia sulle piastrelle del pavimento.
Brenda fece fuoco contro l’uomo, colpendolo alle gambe; piccole scariche di elettricità
gli attraversarono il corpo facendolo gridare, mentre cadeva all’indietro nel corridoio. Il
suo fucile atterrò sul pavimento.
Minho aveva disarmato la donna e l’aveva costretta a inginocchiarsi. Adesso le stava
puntando il lanciagranate alla testa.
Arrivò un quarto uomo, ma Newt gli fece volare l’arma dalle mani e gli tirò un pugno in
faccia. La guardia si accasciò sulle ginocchia, tenendosi la bocca sanguinante, poi sollevò
lo sguardo come se volesse dire qualcosa, ma Newt fece un passo indietro e gli sparò al
petto. Esplodendo a così poca distanza, la granata produsse un rumore terribile. Mentre
cadeva a terra, dimenandosi in una ragnatela di pura elettricità, dalla gola della guardia
uscì un gemito tremendo.
«Quella cacchio di scacertola osserva ogni nostra mossa» disse Newt. Fece un cenno
verso qualcosa in fondo alla stanza. «Dobbiamo andarcene di qua... continueranno ad
arrivarne.»
Thomas si girò e vide la piccola lucertola-robot appostata, la luce rossa intermittente.
Poi si voltò di nuovo verso l’uscita, dove non c’era nessuno. Si rivolse alla donna. La bocca
dell’arma di Minho era a pochi centimetri dalla sua testa.
«In quanti siete?» le chiese Thomas. «Ne stanno arrivando altri?»
All’inizio lei non rispose, ma Minho si piegò in avanti, finché l’arma non le toccò la
guancia.
«Ce ne sono almeno cinquanta in servizio» disse velocemente.
«Allora dove sono?» chiese Minho.
«Non lo so.»
«Non mentirmi!» gridò Minho.
«Noi... Sta succedendo qualcosa. Non so cosa. Lo giuro.»
Thomas la guardò attentamente e vide che oltre alla paura c’era altro nei suoi occhi.
Era frustrazione? Sembrava che stesse dicendo la verità. «Qualcosa? Di che genere?»
Lei scosse la testa. «So solo che un gruppo di noi è stato chiamato in una sezione
diversa, tutto qui.»
«E tu non hai idea del perché?» Thomas cercò di usare un tono poco convinto. «Faccio
fatica a crederlo.»
«Lo giuro.»
Minho la sollevò da dietro tirandola per la camicia. «Allora porteremo con noi questa
bella signora come ostaggio. Andiamo.»
Thomas si mise davanti a lui. «Ci guiderà Brenda. Lei sa come muoversi in questo
posto. Poi vado io, poi tu e la tua nuova amica, e per ultimo Newt.»
Brenda si posizionò accanto a Thomas. «Non sento nessuno, ma non ci resta molto
tempo. Sbrighiamoci.» Si sporse nel corridoio, poi uscì dalla stanza.
Thomas si prese un momento per asciugarsi le mani sudate sui pantaloni, poi strinse il
lanciagranate e la seguì. La ragazza girò a destra. Thomas sentiva gli altri dietro di sé;
con un’occhiatina veloce vide che anche l’ostaggio di Minho stava correndo, ma non
sembrava affatto felice del bagno di elettricità che la minacciava a pochi centimetri di
distanza.
Raggiunsero la fine del primo corridoio e svoltarono a destra senza fermarsi. Il nuovo
tratto era identico al precedente; le pareti beige proseguivano davanti a loro per almeno
una quindicina di metri e terminavano con una porta a due ante. Per qualche ragione
quella scena gli ricordò l’ultimo tratto del Labirinto subito prima della Scarpata, quando
lui, Teresa e Chuck erano corsi verso l’uscita mentre tutti gli altri combattevano contro i
Dolenti per proteggerli.
Prima di arrivare in fondo al corridoio, Thomas tirò fuori dalla tasca la tessera
magnetica dell’Uomo Ratto.
«Non lo farei se fossi in te» gli gridò l’ostaggio. «Scommetto che dall’altra parte ci sono
venti armi pronte a bruciarvi vivi.» Ma c’era un che di disperato nella sua voce. Era
possibile che la C.A.T.T.I.V.O. avesse sottovalutato la situazione e allentato la
sorveglianza? Con solo venti o trenta adolescenti rimasti, di certo non avevano più di un
agente di sicurezza per ognuno... e forse nemmeno quello.
Thomas e i suoi amici dovevano trovare Jorge e la Berga, ma anche tutti gli altri. Pensò
a Frypan e a Teresa. Non li avrebbe abbandonati soltanto perché avevano deciso di
recuperare la memoria.
Arrivato in fondo si fermò e si girò verso Minho e Newt. «Abbiamo solo quattro
lanciagranate, e di sicuro ci saranno altre guardie ad aspettarci dietro questa porta.
Siamo pronti?»
Minho si avvicinò al pannello di apertura, trascinando con sé la guardia per la camicia.
«Questa ce la apri tu, così noi potremo concentrarci sui tuoi amichetti. Resta qui e non
fare niente finché non te lo diremo noi. Non ti conviene scherzare con me.» Si voltò verso
Thomas. «Comincia a sparare appena la porta inizia a muoversi.»
Thomas annuì. «Io mi abbasso. Minho, tu mettiti dietro di me e appoggiati alla mia
spalla. Brenda a sinistra e Newt a destra.»
Thomas si mise giù infilando la punta dell’arma proprio dove i battenti si incontravano,
al centro. Minho si rannicchiò dietro di lui e fece la stessa cosa. Newt e Brenda presero
posizione.
«Al tre, apri» disse Minho. «E tu, guardia, prova a fare una mossa o a scappare, e ti
garantisco che uno di noi ti prenderà. Thomas, conta tu.»
La donna tirò fuori la tessera magnetica senza dire niente.
«Uno» disse Thomas. «Due...»
Si fermò, concedendosi un momento per inspirare, ma prima che potesse gridare
l’ultimo numero, un allarme cominciò a suonare e le luci si spensero.
14
Thomas sbatté le palpebre, cercando di abituarsi al buio. Il suono dell’allarme era acuto
e assordante.
Sentì Minho alzarsi, poi trascinare i piedi. «La guardia è scomparsa!» gridò il suo amico.
«Non riesco a trovarla!»
Non appena pronunciò l’ultima parola, un fischio potente riempì le pause tra uno squillo
e l’altro dell’allarme, seguito dallo scoppio di una granata che esplodeva sul pavimento.
Le scariche di elettricità illuminarono il corridoio; Thomas vide una sagoma allontanarsi
da loro e scappare nella direzione da cui erano arrivati, scomparendo nel buio.
«Colpa mia» mormorò Minho, ma si sentì a malapena.
«Rimettiti in posizione» disse Thomas, preoccupato per quello che l’allarme poteva
significare. «Cerca con la mano il punto in cui si aprono le porte. Userò la tessera
magnetica dell’Uomo Ratto. State pronti!»
Toccò il muro finché non trovò il punto giusto, poi passò la scheda; si sentì uno scatto, e
una delle porte cominciò a muoversi verso l’interno.
«Adesso!» gridò Minho.
Lui, Newt e Brenda cominciarono a sparare le granate attraverso la fessura nell’oscurità.
Thomas si mise in posizione e fece fuoco anche lui, mirando alla nube di elettricità che
danzava nel buio e scoppiettava oltre le porte in lontananza. Tra una scarica e l’altra
passavano pochi secondi, sufficienti a creare uno sfoggio accecante di luci ed esplosioni.
Non c’era nessuno, nessun contrattacco.
Thomas lasciò cadere l’arma lungo il fianco. «Fermatevi!» gridò. «Non sprecate altre
munizioni!»
Minho fece partire un’ultima granata, ma poi rimasero tutti ad aspettare che parte
dell’energia si spegnesse per poter entrare nella stanza senza correre rischi.
Thomas si voltò verso Brenda parlando a voce alta per farsi sentire sopra il rumore. «La
nostra memoria non ci è di grande aiuto. Tu sai qualcosa che possa aiutarci? Dove sono
tutti? Perché è scattato l’allarme?»
Lei scosse la testa. «Devo essere sincera... di sicuro sta succedendo qualcosa di
strano.»
«Scommetto che è un altro dei loro maledetti test!» gridò Newt. «È tutto studiato a
tavolino e ci stanno analizzando di nuovo.»
Thomas riusciva a malapena a pensare, e Newt non lo stava aiutando.
Sollevò il lanciagranate e attraversò le porte. Voleva raggiungere un posto più sicuro
prima che la luce prodotta dalle esplosioni scomparisse del tutto. Dal pozzo poco
profondo della memoria recuperata, sapeva di essere cresciuto in quel posto; se solo
fosse riuscito a ricordarne la disposizione. Si rese conto ancora una volta di quanto
Brenda fosse importante per il loro viaggio verso la libertà. E anche Jorge, sempre che
fosse disposto a farli volare via da lì.
L’allarme si fermò.
«Cosa...!» Thomas aveva iniziato la frase gridando, e abbassò la voce. «Adesso che
succede?»
«Probabilmente non ne potevano più di quel rumore» rispose Minho. «Il fatto che lo
abbiano spento non significa niente.»
Il luccichio delle scariche elettriche era scomparso, ma la stanza aveva delle luci di
emergenza che proiettavano un alone rosso su tutto. Si trovavano in un salone ampio con
dei divani, delle poltrone e un paio di scrivanie. Non c’era anima viva.
«Non ho mai visto nessuno in queste sale d’attesa» disse Thomas, come se di colpo
quel luogo gli fosse familiare. «Questo posto è deserto e inquietante.»
«Sono sicura che non fanno più entrare dei visitatori da molto tempo» rispose Brenda.
«Adesso che facciamo, Tommy?» chiese Newt. «Non possiamo restare qui tutto il
giorno.»
Thomas rifletté per un attimo. Dovevano trovare i loro amici, ma a quanto pareva la
loro priorità era accertarsi di avere una via d’uscita.
«D’accordo» disse. «Brenda, abbiamo davvero bisogno del tuo aiuto. Dobbiamo
raggiungere l’hangar e trovare Jorge, e assicurarci che abbia una Berga pronta per il
decollo. Newt e Minho, voi ragazzi resterete con lui per coprirgli le spalle, mentre io e
Brenda andremo a cercare gli altri. Brenda, sai dove possiamo fare rifornimento di
munizioni?»
«Passeremo davanti al deposito di armi andando verso l’hangar» disse lei. «Ma
probabilmente è sorvegliato.»
«Abbiamo visto di peggio» commentò Minho. «Cominceremo a sparare finché non ne
rimarrà in piedi nemmeno uno. Di loro o di noi.»
«Li faremo a pezzi» aggiunse Newt, quasi con un grugnito. «Tutti. Fino all’ultima
carogna.»
Brenda indicò uno dei due corridoi in fondo dalla sala. «È di là.»
Brenda guidò Thomas e i suoi amici in un susseguirsi di svolte, con le pallide luci rosse
di emergenza che illuminavano il percorso. Non videro nessuna guardia, solo qualche
scacertola che si muoveva frettolosamente, producendo un rumore metallico sul
pavimento per poi scomparire. Minho provò a colpirne una con il lanciagranate, ma la
mancò di molto rischiando di abbrustolire Newt, che si mise a urlare, e a giudicare dalla
sua espressione, fu tentato di rispondere al fuoco.
Dopo una quindicina di minuti abbondante a passo sostenuto, raggiunsero il deposito
delle armi. Thomas si fermò nel corridoio, sorpreso di trovare la porta spalancata. Da
quello che poteva vedere, gli scaffali all’interno sembravano pieni.
«Questa è la conferma» disse Minho. «Non ci sono più dubbi.»
Thomas sapeva esattamente cosa intendeva. Ne aveva passate troppe per non saperlo.
«Qualcuno ci sta tendendo una trappola» mormorò.
«Per forza» aggiunse Minho. «All’improvviso sono scomparsi tutti, porte aperte, armi in
bellavista pronte per noi. Ed è ovvio che ci stanno osservando con quelle scacertole del
caspio.»
«Decisamente losco» commentò Brenda.
A quell’affermazione, Minho si voltò verso di lei. «Come facciamo a sapere che tu non
c’entri?» le domandò.
La ragazza rispose con voce stanca. «Tutto quello che posso dire è che ti giuro di no.
Non ho idea di cosa stia succedendo.»
Thomas odiava doverlo ammettere, ma quello che Newt aveva suggerito poco prima −
che la loro fuga fino a quel momento forse era solo un test orchestrato dalla
C.A.T.T.I.V.O. − sembrava sempre più plausibile. Erano stati trattati ancora una volta
come cavie, ridotti a correre da una parte all’altra di un tipo diverso di labirinto. Sperava
con tutto il cuore che non fosse vero.
Newt stava già gironzolando nel deposito. «Guardate qui» gridò.
Quando Thomas entrò, Newt stava indicando delle pareti e degli scaffali vuoti.
«Guardate i segni della polvere. È piuttosto ovvio che un mucchio di questa roba è stata
portata via di recente. Forse addirittura nell’ultima ora o due.»
Thomas ispezionò la stanza. Era piuttosto impolverata − quanto bastava per provocare
degli starnuti se ci si muoveva troppo − ma i punti indicati da Newt erano completamente
puliti. Aveva ragione al mille per mille.
«Perché è così importante?» chiese Minho, che era dietro di loro.
Newt si voltò. «Per una volta non ci puoi arrivare da solo, razza di pive?»
Minho si accigliò. Sembrava più sbalordito che arrabbiato.
«Wow, Newt» disse Thomas. «È una situazione da schifo, va bene, ma datti una
calmata. Cosa c’è che non va?»
«Te lo dico io cosa c’è che non va, maledizione. Ti comporti da duro senza avere un
piano, ci fai andare in giro come un mucchio di polli in cerca di mangime. E Minho non
riesce a fare un passo del cacchio senza chiedere quale piede deve usare.»
Minho si era finalmente ripreso dallo shock dell’offesa. «Senti, faccia di caspio. Sei tu
che ti dai delle arie da genio perché hai capito che alcune guardie hanno preso delle armi
dal magazzino delle armi. Pensavo di darti il beneficio del dubbio, comportarmi come se
avessi scoperto qualcosa di più importante di questo. La prossima volta ti darò una bella
pacca sulla spalla per aver affermato una cosa ovvia.»
Thomas guardò Newt giusto in tempo per accorgersi che l’espressione del suo amico era
cambiata. Sembrava affranto, quasi sul punto di piangere.
«Mi dispiace» mormorò, poi si voltò e uscì dal magazzino.
«Cosa gli è preso?» sussurrò Minho.
Thomas non voleva dire quello che stava pensando: l’equilibrio mentale di Newt veniva
divorato lentamente. Per fortuna non dovette farlo, perché Brenda si intromise. «Ragazzi,
voi non avete capito dove voleva arrivare.»
«Cioè?» chiese Minho.
«Qui ci dovevano essere una trentina di pistole e lanciagranate, e qualcuno li ha portati
via. Molto di recente. Nell’ultima ora circa, come ha detto Newt.»
«E...?» la spronò Minho, proprio mentre Thomas intuiva il ragionamento.
Brenda sollevò le mani come se la risposta fosse ovvia. «Le guardie vengono qui dentro
solo se hanno bisogno di sostituire le loro armi o se vogliono usare qualcosa di diverso
dai lanciagranate. Perché dovrebbero aver bisogno di farlo tutte nello stesso momento?
Oggi? E i lanciagranate sono così pesanti che è impossibile usarli se si trasporta anche
un’altra arma. Dove sono quelle che avrebbero dovuto lasciare qui?»
15
Minho fu il primo a suggerire una spiegazione. «Forse sapevano che una cosa del
genere poteva succedere, e non volevano ucciderci. A quanto pare, se non ti beccano
dritto in testa, quei lanciagranate ti stordiscono per un po’ ma niente di più. Perciò sono
venuti tutti qui a prenderne degli altri da usare insieme alle loro normali pistole.»
Brenda stava scuotendo la testa ancor prima che finisse di parlare. «No. È la procedura
standard portare sempre con sé un lanciagranate, quindi non ha senso che siano venuti
tutti insieme a prenderne uno nuovo. Qualunque cosa pensiate della C.A.T.T.I.V.O., il loro
obiettivo non è uccidere più persone possibili. Anche se sono gli Spaccati a introdursi
qui.»
«È già successo che gli Spaccati si siano introdotti qui?» chiese Thomas.
Brenda annuì. «Più avanzato è lo stadio della malattia, più hanno superato l’Andata, più
sono disperati. Dubito fortemente che le guardie...»
Minho la interruppe. «Forse è questo che è successo. Con tutti quegli allarmi che sono
scattati, forse qualche Spaccato si è introdotto negli edifici e ha preso le armi che c’erano
qui, ha stordito un po’ di gente, poi ha cominciato a mangiare i loro corpi del caspio.
Forse abbiamo visto solo poche guardie perché le altre sono morte!»
Thomas aveva visto degli Spaccati oltre l’Andata, e il ricordo lo tormentava. Spaccati
che avevano vissuto con il virus dell’Eruzione così a lungo che il loro cervello era stato
divorato finché non erano impazziti del tutto. Quasi come animali sotto forma di persone.
Brenda sospirò. «Odio doverlo ammettere, ma potresti avere ragione.» Ci pensò per un
momento. «Sul serio. Questo spiegherebbe tutto. Qualcuno è venuto qui e ha preso un
mucchio di armi.»
Thomas si sentì raggelare. «Se le cose stanno così, il nostro problema è peggiore di
quanto pensassimo.»
«Sono contento di vedere che il ragazzo non-immune all’Eruzione non è il solo ad avere
un cervello ancora funzionante.»
Thomas si voltò e vide Newt sulla porta.
«La prossima volta spiegati, e basta invece essere così acido» disse Minho, senza
traccia di compassione. «Non credevo che avresti perso il controllo così in fretta, ma sono
contento che tu sia tornato. Se gli Spaccati hanno davvero fatto irruzione, potremmo
avere bisogno di uno di loro per fiutare gli altri.»
Davanti a quell’osservazione tagliente, Thomas rimase sbigottito, e guardò Newt in
attesa della sua reazione.
Il ragazzo più grande non era contento; la sua espressione non lasciava dubbi. «Tu non
capisci mai quando è il momento di chiudere quella fogna, vero Minho? Devi sempre
avere l’ultima parola, accidenti.»
«Chiudi quella bocca del caspio» replicò Minho. La sua voce era così calma che per un
attimo Thomas avrebbe giurato che anche lui stesse per perdere il controllo. La tensione
nella stanza era quasi palpabile.
Newt camminò lentamente verso Minho e si fermò davanti a lui. Poi, con la velocità di
un serpente, gli diede un cazzotto in faccia. Minho barcollò all’indietro e finì contro uno
scaffale vuoto. Poi con uno scatto si lanciò su Newt e finirono entrambi a terra.
Accadde tutto così in fretta che Thomas stentava a crederci. Li raggiunse di corsa e
cominciò a tirare Minho per la maglietta. «Fermi!» gridò, ma i due Radurai continuavano
a colpirsi, dimenando braccia e gambe.
Brenda andò ad aiutare Thomas, e alla fine insieme riuscirono ad afferrare saldamente
Minho per i piedi, mentre quello continuava ad agitare i pugni come un pazzo. Una
gomitata raggiunse Thomas al mento, facendolo infuriare.
«Ma si può essere così stupidi?» gridò, bloccandogli le braccia dietro la schiena.
«Abbiamo un nemico alle calcagna, se non due, e voi vi azzuffate?»
«Ha cominciato lui!» sbottò Minho, sputacchiando addosso a Brenda.
Lei si pulì il viso. «Quanti anni hai, otto?» gli chiese.
Minho non rispose. Fece qualche altro tentativo per liberarsi poi rinunciò. Thomas era
disgustato da tutta la situazione. Non sapeva cosa fosse peggio: che Newt sembrasse già
mostrare i segni dell’Eruzione o che Minho − quello che avrebbe dovuto essere in grado di
mantenere il controllo − si comportasse come una testapuzzona.
Newt si rialzò, toccandosi la guancia arrossata dove Minho doveva avergli tirato il
pugno. «È colpa mia. Mi infastidisce tutto. Pensate voi a cosa dobbiamo fare, io ho
bisogno di una cacchio di pausa.» Poi si voltò e uscì di nuovo dal deposito.
Thomas sospirò per la frustrazione; lasciò andare Minho e si sistemò la maglietta. Non
avevano tempo da perdere in futili discussioni. Se volevano andarsene da lì, dovevano
restare uniti e lavorare come una squadra. «Minho, trova qualche altro lanciagranate da
portare via, e prendi anche un paio di pistole da quella mensola lì in fondo. Brenda, puoi
riempire una scatola con più munizioni possibili? Io vado a recuperare Newt.»
«Ottima idea» rispose lei, guardandosi intorno senza perdere tempo. Minho non disse
niente e cominciò a cercare tra gli scaffali.
Thomas uscì dal deposito; Newt era seduto per terra cinque o sei metri più in là, con la
schiena contro il muro.
«Non dire una parola» grugnì quando l’amico lo raggiunse.
Bell’inizio, pensò Thomas. «Ascolta, sta succedendo qualcosa di strano. O la
C.A.T.T.I.V.O. ci sta sottoponendo a un test, o ci sono degli Spaccati che se ne vanno in
giro a uccidere gente a destra e a manca. In ogni caso, dobbiamo trovare i nostri amici e
andarcene da qui.»
«Lo so.» Fu l’unica cosa che disse. Nient’altro.
«Allora alzati e torna dentro a darci una mano. Eri tu quello frustrato, che si comportava
come se non avesse tempo da perdere. E adesso vuoi startene qui seduto con il broncio?»
«Lo so.» La stessa risposta.
Thomas non lo aveva mai visto in quello stato. Sembrava aver perso ogni speranza, e la
cosa provocò in lui un senso di disperazione. «Siamo tutti un po’ impaz...» si fermò. Non
avrebbe potuto dire cosa peggiore. «Cioè...»
«Chiudi il becco» disse Newt. «So che nella mia testa sta accadendo qualcosa. Mi sento
strano. Ma non c’è bisogno che ti angosci. Dammi un secondo e mi passa. Troveremo il
modo di farvi andare via da qui e poi mi occuperò del resto.»
«Cosa significa, farvi andare via?»
«Di andare via, tutti noi, quello che è. Dammi solo un cacchio di minuto.»
Il mondo della Radura sembrava lontano millenni. Lì, Newt era sempre stato quello
calmo, controllato. E adesso era lui che stava portando il gruppo a sgretolarsi. Era come
se stesse dicendo che non aveva importanza se lui fosse riuscito a scappare, a patto che
ci riuscissero tutti gli altri.
«Bene» rispose Thomas. Si rese conto che l’unica cosa che poteva fare era trattarlo
come aveva sempre fatto. «Ma sai che non possiamo perdere altro tempo. Brenda sta
raccogliendo le munizioni. Dovrai aiutarla a portarle all’hangar delle Berghe.»
«Lo farò.» Newt si alzò di colpo. «Ma prima devo andare a prendere una cosa. Non ci
metterò molto.» Si incamminò verso la sala d’attesa da cui erano arrivati.
«Newt!» gridò Thomas, chiedendosi cosa diavolo avesse in mente. «Non fare lo stupido,
non c’è tempo. E dobbiamo restare uniti.»
Ma Newt continuò a camminare. Non si voltò nemmeno a guardarlo. «Vai a prendere la
roba! Mi ci vorranno solo un paio di minuti.»
Thomas scosse la testa. Non c’era niente che potesse dire o fare per ritrovare il ragazzo
ragionevole che conosceva. Si voltò e si diresse verso il deposito delle armi.
Thomas, Minho e Brenda presero tutto quello che erano in grado di trasportare in tre.
Thomas aveva un lanciagranate per spalla e un altro in mano. Si era infilato due pistole
cariche nelle tasche anteriori e numerose munizioni in quelle posteriori. Minho aveva fatto
la stessa cosa, e Brenda reggeva una scatola di cartone piena di granate azzurrastre e
altri proiettili, con il suo lanciagranate appoggiato sopra.
«Sembra pesante» disse Thomas, indicando lo scatolone. «Vuoi...»
Brenda lo interruppe. «Ce la faccio, finché non torna Newt.»
«Chissà cosa sta combinando» disse Minho. «Non si è mai comportato così prima.
L’Eruzione gli sta già mangiando il cervello.»
«Ha detto che sarebbe tornato subito.» Thomas era stanco dell’atteggiamento di Minho.
Stava solo peggiorando le cose. «E stai attento a quello che dici con lui. L’ultima cosa di
cui abbiamo bisogno è che tu lo provochi di nuovo.»
«Ti ricordi cosa ti ho detto nel camion, quando eravamo in città?» gli chiese Brenda.
L’improvviso cambio di conversazione lo sorprese, ma ancora di più lo sorprese il fatto
che avesse tirato fuori la Zona Bruciata. L’unica cosa a cui lo fece pensare fu che lei gli
aveva mentito.
«Perché?» chiese. «C’era qualcosa di vero?» Si era sentito così vicino a lei quella notte.
Si rese conto che sperava che dicesse di sì.
«Mi dispiace di averti mentito sul motivo per cui ero lì, Thomas. E di averti detto che
sentivo l’Eruzione manipolare la mia mente. Ma il resto era vero. Te lo giuro.» Si
interruppe, guardandolo con occhi supplichevoli. «Comunque, abbiamo parlato di come
l’aumento dell’attività cerebrale acceleri i tempi di distruzione; si chiama distruzione
cognitiva. È per questo che quella droga − il Nirvana − va così a ruba tra quelli che se la
possono permettere. Perché riduce la funzione cerebrale. Posticipa il momento in cui
impazzisci del tutto. Ma è carissima.»
L’idea che nel mondo ci fossero persone che non facevano parte di un esperimento, o
che non si nascondevano in edifici abbandonati come aveva visto nella Zona Bruciata, gli
sembrava incredibile. «E la gente continua a svolgere i propri compiti − va avanti con la
propria vita, lavora, cose così − quando è sotto l’effetto della droga?»
«Fanno quello che devono fare, ma sono molto più... rilassati. Magari sei un vigile del
fuoco che sta salvando trenta bambini da un incendio, ma non ti stressi se mentre lo fai
per caso te ne cade qualcuno tra le fiamme.»
Il pensiero di un mondo del genere lo terrorizzava. «Ma è... disgustoso.»
«Devo procurarmi un po’ di quella roba» mormorò Minho.
«Il punto è un altro» disse Brenda. «Pensa all’inferno che ha passato Newt. A tutte le
decisioni che ha dovuto prendere. Per forza nel suo caso l’Eruzione sta avanzando così
rapidamente. È stato stimolato troppo, molto più di una persona qualunque che vive la
propria vita giorno per giorno.»
Thomas sospirò, provando la stessa tristezza che gli aveva straziato il cuore poco prima.
«Be’, non potremo farci niente finché non saremo in un posto più sicuro.»
«Fare niente riguardo a cosa?»
Thomas si voltò e vide Newt sulla porta, poi chiuse gli occhi un istante, per riprendersi.
«Niente, non ha importanza... Dove sei stato?»
«Ho bisogno di parlarti, Tommy. Da solo. Ci vorrà un secondo.»
Adesso che succede?, si chiese Thomas.
«Cos’è questa storia?» chiese Minho.
«Dammi un po’ di tregua. Ho bisogno di dare una cosa a Tommy. Soltanto a lui.»
«Fa’ come ti pare.» Minho si aggiustò le cinghie dei lanciagranate sulle spalle. «Ma
dobbiamo sbrigarci.»
Thomas uscì in corridoio con Newt, spaventato a morte per quello che il suo amico
avrebbe potuto dire e di quanto potesse suonare folle. I secondi continuavano a passare.
Si allontanarono dalla porta di qualche metro prima che Newt si fermasse e lo
guardasse, poi gli porse una piccola busta da lettera sigillata. «Mettitela in tasca.»
«Cos’è?» Thomas la prese e la girò, non c’era scritto niente.
«Mettiti questa cacchio di cosa in tasca e basta.»
Thomas fece come gli era stato detto, confuso ma incuriosito.
«Adesso guardami in faccia.» Newt schioccò le dita.
L’angoscia che vide nei suoi occhi gli strinse il cuore. «Che c’è?»
«Non c’è bisogno che tu lo sappia adesso. Non devi saperlo. Ma voglio che tu mi faccia
una promessa; e sto parlando seriamente.»
«Cosa?»
«Giurami che non leggerai il contenuto di questa maledetta lettera finché non sarà il
momento giusto.»
Per Thomas era impensabile aspettare di leggerla, e cominciò a tirarla fuori dalla tasca,
ma Newt gli afferrò il braccio per fermarlo.
«Quando sarà il momento giusto?» chiese Thomas. «Come farò a...»
«Lo saprai, maledizione!» rispose Newt prima che Thomas potesse chiederglielo.
«Adesso giuramelo. Giura!» Sembrava che il suo corpo tremasse a ogni parola.
«Va bene!» Adesso Thomas era preoccupatissimo per il suo amico. «Giuro che non la
leggerò finché non sarà il momento giusto. Ma perché...»
«Bene, allora» lo interruppe Newt. «Se non manterrai la promessa non ti perdonerò
mai.»
Thomas voleva allungare le braccia e scuoterlo, abbattere il muro di frustrazione. Ma
non lo fece. Rimase immobile mentre Newt gli dava le spalle e si incamminava verso il
deposito delle armi.
16
Thomas doveva fidarsi di Newt. Doveva fare questa cosa per il suo amico, anche se la
curiosità lo stava divorando. Ma sapeva che non c’era tempo da perdere. Dovevano
portare tutti fuori dagli edifici della C.A.T.T.I.V.O. Poteva parlare un po’ di più con Newt
sulla Berga; sempre che riuscissero a raggiungere l’hangar e convincere Jorge ad aiutarli.
Newt uscì dal deposito delle armi con una scatola piena di munizioni, seguito da Minho
e poi da Brenda, che aveva preso un altro paio di lanciagranate e si era infilata in tasca
delle pistole.
«Troviamo i nostri amici» disse Thomas. Poi si incamminò nella direzione da cui erano
venuti, e gli altri lo seguirono in fila.
Li cercarono per un’ora, ma i loro amici sembravano svaniti nel nulla. L’Uomo Ratto e le
guardie che si erano lasciati alle spalle erano scomparsi, e la caffetteria, i dormitori, i
bagni e le sale riunioni erano tutti deserti. Non c’era nessuno, neanche degli Spaccati.
Thomas era terrorizzato all’idea che fosse successo qualcosa di orribile, e di scoprirlo
ancora una volta quando ormai era troppo tardi.
Dopo aver cercato apparentemente in ogni angolo dell’edificio, gli venne in mente una
cosa. «A voi era permesso andare in giro mentre mi tenevano segregato nella stanza
bianca?» chiese. «Siete sicuri che abbiamo guardato dappertutto?»
«Per quanto ne so, no» rispose Minho. «Ma sarei molto sorpreso se non ci fossero delle
stanze nascoste.»
Thomas era d’accordo, ma non potevano permettersi di passare altro tempo a cercare.
Dovevano andarsene, non avevano altra scelta.
Annuì. «Va bene. Avviamoci verso l’hangar, e intanto continuiamo a tenere gli occhi
aperti.»
Camminavano già da un po’ quando Minho si bloccò di colpo, indicandosi l’orecchio. Era
difficile vedere, perché il corridoio era illuminato solo dalle luci rosse di emergenza.
Thomas si fermò, così come gli altri, cercando di rallentare il respiro e ascoltare. Lo
sentì immediatamente. Un debole lamento, un suono che gli fece venire la pelle d’oca.
Arrivava da una delle poche vetrate nel corridoio che davano su una grande stanza, a
qualche metro da loro. Dal punto in cui si trovava, la stanza sembrava completamente al
buio. Il vetro era stato rotto dall’interno, sulle mattonelle del pavimento sottostante
c’erano frammenti sparsi.
Il lamento si sentì di nuovo.
Minho si mise un dito sulle labbra, poi, piano e con molta cautela, appoggiò i due
lanciagranate di scorta a terra. Thomas e Brenda fecero la stessa cosa, mentre Newt
posava la scatola con le munizioni. I quattro strinsero le armi tra le mani, e seguirono
Minho verso il rumore camminando lentamente. Sembrava il verso di un uomo che
cercasse di risvegliarsi da un incubo terribile. A ogni passo, in Thomas aumentava
l’apprensione. Era terrorizzato al pensiero di ciò che stava per scoprire.
Minho si fermò, con la schiena contro il muro, subito prima dell’intelaiatura vuota. La
porta della stanza era oltre la vetrata, chiusa.
«Al mio via» sussurrò Minho. «Adesso.»
Si girò su sé stesso e puntò il lanciagranate nella stanza buia, mentre Thomas si
posizionava alla sua sinistra e Brenda alla sua destra, con le armi pronte a sparare. Newt
gli copriva le spalle.
Thomas aveva il dito poggiato sul grilletto per premerlo al minimo segnale di pericolo,
ma non si mosse una foglia. Si concentrò su quello che vedeva dentro la stanza. Il
bagliore rosso delle luci di emergenza non rivelava molto, ma tutto il pavimento
sembrava coperto di mucchietti scuri. Che si muovevano lentamente. A poco a poco i suoi
occhi si abituarono al buio, e cominciò a distinguere delle sagome e dei vestiti neri. E
delle corde.
«Sono guardie!» disse Brenda, squarciando il silenzio.
Ansiti soffocati risuonarono nella stanza, e finalmente Thomas riuscì a vedere i visi,
molti visi. Bocche imbavagliate e occhi spalancati pieni di panico. Le guardie erano legate
dalla testa ai piedi e sdraiate a terra, l’una accanto all’altra, e ricoprivano l’intero
pavimento. Alcune erano immobili, ma la maggior parte si agitava cercando di liberarsi.
Thomas si ritrovò a fissarle, scervellandosi in cerca di una spiegazione.
«Dunque è qui che sono tutte» disse Minho sottovoce.
Newt si sporse per dare un’occhiata. «Almeno non sono appese al soffitto con la lingua
di fuori come quella maledetta volta.»
Thomas non poteva essere più d’accordo. Si ricordava quella scena fin troppo
vividamente, che fosse reale o no.
«Dobbiamo interrogarli e scoprire cos’è successo» disse Brenda, avviandosi verso la
porta.
Thomas la afferrò senza neanche pensarci. «No.»
«Cosa vuol dire no? Perché no? Possono dirci tutto!» Si liberò dalla sua presa ma attese
di scoprire cosa avesse da dire.
«Potrebbe essere una trappola, o chiunque sia stato potrebbe tornare presto. Dobbiamo
andarcene da questo posto e basta.»
«Già» disse Minho. «È fuori discussione. Non mi interessa se ci sono degli Spaccati, dei
ribelli o dei gorilla in giro. Al momento queste guardie del caspio non rappresentano un
problema per noi.»
Brenda scrollò le spalle. «Va bene. Pensavo solo di riuscire a scoprire qualcosa.» Rimase
in silenzio per un attimo, poi indicò una direzione. «L’hangar è da quella parte.»
Dopo aver raccolto le armi e le munizioni, Thomas e gli altri si incamminarono a passo
svelto per i corridoi, tenendo gli occhi ben aperti nel caso si fossero imbattuti in chi aveva
sottomesso tutte quelle guardie. Poi Brenda si fermò davanti a un’altra porta a due
battenti. Era socchiusa, e lasciava passare un venticello che le faceva svolazzare i vestiti.
Senza che nessuno glielo dicesse, Minho e Newt presero posizione ai lati della porta,
con i lanciagranate pronti. Brenda mise la mano sulla maniglia, puntando la pistola nella
fessura. Dall’altra parte non arrivava nessun rumore.
Thomas strinse il lanciagranate, il calcio premuto contro la spalla, pronto a sparare.
«Apri» disse, con il cuore in gola.
Brenda spalancò la porta e Thomas si fiondò dentro. Avanzò muovendosi in piccoli
cerchi, mentre agitava il lanciagranate a destra e a sinistra.
L’immenso hangar doveva essere stato costruito per ospitare tre di quelle enormi
Berghe, ma solo due si trovavano nella loro area di carico. Somigliavano a gigantesche
rane, con il metallo arrugginito e i bordi usurati, come se avessero trasportato soldati
verso centinaia di violente battaglie. Il resto dell’area, a parte delle casse per il trasporto
merci e quelle che sembravano postazioni per riparazioni meccaniche, era un unico spazio
aperto.
Thomas avanzò, perlustrando l’hangar mentre gli altri tre si sparpagliavano intorno a
lui. Non si muoveva una foglia.
«Ehi!» gridò Minho. «Venite qui. C’è qualcuno sul...» Non finì la frase, ma si fermò
accanto a una grossa cassa con l’arma puntata contro qualcosa lì dietro.
Thomas fu il primo a raggiungerlo e rimase sorpreso nel vedere che dall’altra parte della
cassa di legno c’era un uomo sdraiato a terra che si sfregava la testa lamentandosi. Non
c’era sangue tra i capelli scuri, ma a giudicare dalla fatica che faceva per mettersi seduto,
Thomas era certo che avesse ricevuto una grossa botta.
«Piano, amico» lo avvertì Minho. «Lentamente, niente movimenti improvvisi o ancor
prima di accorgertene sentirai odore di pancetta bruciacchiata.»
L’uomo era appoggiato su un gomito, e quando lasciò cadere la mano che gli copriva il
viso, Brenda fece un grido e corse da lui, stringendolo tra le braccia.
Jorge. Thomas si sentì di colpo sollevato. Avevano trovato il loro pilota e stava bene,
anche se era un po’ malconcio.
Brenda non sembrava dello stesso avviso. Controllò se aveva delle ferite mentre lo
riempiva di domande. «Cos’è successo? Chi è stato a farti questo? Chi ha preso la Berga?
Dove sono tutti?»
Jorge si lamentò di nuovo e la allontanò con delicatezza. «Calmati, hermana. Mi sento
come se degli Spaccati mi avessero camminato sulla testa improvvisando un balletto.
Dammi un secondo per rimettermi in sesto.»
Brenda gli lasciò un po’ di spazio e si mise seduta, rossa in viso, l’espressione
preoccupata. Anche Thomas aveva mille domande da fargli, ma sapeva bene cosa
significava ricevere un colpo in testa. Lo osservò riprendersi lentamente, e si ricordò che
un tempo aveva avuto paura di quel tizio, era terrorizzato da lui. L’immagine di Jorge che
lottava con Minho in quell’edificio diroccato nella Zona Bruciata era indelebile nella sua
mente. Ma alla fine Jorge, come Brenda, aveva capito che i Radurai stavano dalla sua
stessa parte.
Jorge strizzò gli occhi un altro paio di volte, poi cominciò a parlare. «Non so come
abbiano fatto, ma hanno preso possesso del complesso, si sono sbarazzati delle guardie,
hanno rubato una Berga, e sono volati via con un altro pilota. Io mi sono comportato
come un idiota e ho cercato di convincerli ad aspettare finché non avessi scoperto cosa
stava succedendo. E la mia testa ci è andata di mezzo.»
«Chi?» chiese Brenda. «Di chi stai parlando? Chi è che se n’è andato?»
Per qualche ragione, Jorge alzò lo sguardo verso Thomas quando rispose. «Quella
ragazza, Teresa. Lei e gli altri soggetti. Be’, tutti tranne voi, muchachos.»
17
Thomas barcollò verso sinistra e si aggrappò alla grossa cassa per non cadere. Aveva
pensato che fossero stati gli Spaccati a sferrare l’attacco, o che magari qualche nuovo
gruppo si fosse infiltrato nella C.A.T.T.I.V.O., portando via Teresa e gli altri. Magari anche
per salvarli.
Ma Teresa aveva capeggiato una fuga? Avevano lottato per scappare, sottomesso le
guardie, e se n’erano andati a bordo di una Berga? Senza di lui e gli altri? C’erano così
tanti elementi in quello scenario, e nessuno aveva senso nella sua testa.
«Chiudete il becco!» gridò Jorge contro Minho e Newt che lo stavano riempiendo di
domande, e Thomas fu riportato al presente. «Mi state facendo scoppiare la testa.
Smettetela... di parlare per un attimo. Qualcuno mi aiuti a tirarmi su.»
Newt gli prese la mano e lo aiutò a mettersi in piedi. «Sarà meglio che cominci a
spiegarci cosa cavolo è successo. Dall’inizio.»
«E fallo in fretta» aggiunse Minho.
Jorge appoggiò la schiena alla cassa di legno e incrociò le braccia, ma a ogni minimo
movimento faceva una smorfia di dolore. «Senti, hermano, ti ho già detto che non so
molto. Quello che ti ho raccontato è quello che è successo. Mi sembra di avere la testa...»
«Sì, abbiamo capito» sbottò Minho. «Hai mal di testa. Dicci solo quello che sai e ti
troverò una caspio di aspirina.»
Jorge fece una risatina. «Che parole coraggiose, ragazzo. Se ricordo bene, sei stato tu a
doverti scusare e a supplicarmi che non ti uccidessi quando eravamo nella Zona
Bruciata.»
Minho aggrottò le sopracciglia e arrossì. «Be’, è facile fare il duro quando ci sono un
mucchio di svitati armati di coltelli a proteggerti. Adesso le cose sono un po’ diverse.»
«Volete smetterla?» disse Brenda a entrambi. «Stiamo tutti dalla stessa parte.»
«Vai avanti» disse Newt. «Parla, così sapremo che cacchio dobbiamo fare.»
Thomas era ancora sotto shock. Rimase lì ad ascoltare Jorge, Newt e Minho, ma era
come se stesse osservando la scena attraverso uno schermo, come se non stesse
accadendo davanti a lui. Aveva pensato di averle viste tutte con Teresa. Adesso questo.
«Sentite» disse Jorge. «Io passo la maggior parte del tempo in questo hangar,
d’accordo? Ho iniziato a sentire grida e avvertimenti di ogni tipo arrivare dagli edifici, poi
le luci dell’allarme hanno iniziato a lampeggiare. Sono andato a indagare e per poco non
mi hanno fatto saltare il cervello.»
«Almeno non avresti avuto più male» mormorò Minho.
Jorge non sentì quel commento, o forse lo ignorò. «Poi è saltata la luce e io sono
tornato qui di corsa a cercare la mia pistola. Un attimo dopo, Teresa e un gruppo dei
vostri amici hooligan sono venuti qui correndo come se stesse arrivando la fine del
mondo, e hanno portato via il vecchio Tony per fargli pilotare una Berga. Quando mi
hanno puntato al petto sette o otto lanciagranate, ho lasciato cadere la mia pistola del
cavolo, poi li ho pregati di aspettare, di spiegarmi cosa stava succedendo. Ma una
biondina mi ha colpito sulla fronte con il calcio della sua pistola. Sono svenuto, e quando
mi sono risvegliato c’erano le vostre brutte facce che mi fissavano e una Berga sparita. È
tutto quello che so.»
Thomas ascoltò tutto ma si rese conto che i dettagli non avevano importanza. C’era solo
una cosa che emergeva da tutta quella storia, e non solo lo lasciava perplesso, ma lo
feriva.
«Ci hanno lasciato qui» disse quasi in un sussurro. «Non posso crederci.»
«Eh?» chiese Minho.
«Alza la voce, Tommy» aggiunse Newt.
Thomas scambiò una lunga occhiata con entrambi. «Ci hanno lasciato qui. Almeno noi
siamo tornati indietro a cercarli. Loro ci hanno lasciato qui infischiandosene di quello che
la C.A.T.T.I.V.O. ci avrebbe fatto.»
Nessuno dei due disse niente, ma dai loro sguardi era chiaro che pensavano la stessa
cosa.
«Forse vi hanno cercato» suggerì Brenda «e non sono riusciti a trovarvi. O magari lo
scambio a fuoco è degenerato e hanno dovuto andarsene.»
Minho fece una risata ironica. «Tutte le guardie sono legate in quella cavolo di stanza!
Avevano tutto il tempo di venire a cercarci. No. Ci hanno lasciato qui.»
«Apposta» disse Newt a bassa voce.
Niente di tutto quello aveva senso per Thomas. «C’è qualcosa di strano. Teresa
ultimamente si comportava come la fan numero uno della C.A.T.T.I.V.O. Perché sarebbe
scappata? Ci dev’essere qualcosa sotto. Forza, Brenda. Tu mi hai detto di non fidarmi di
loro. Devi sapere qualcosa. Parla.»
Brenda stava scuotendo la testa. «Io non ne so niente. Ma perché è così difficile credere
che gli altri soggetti abbiano avuto la nostra stessa idea? Di scappare? Sono stati
semplicemente più bravi di noi.»
Minho emise un suono simile al ringhio di un lupo. «Io eviterei di insultarci in questo
momento. E usa la parola soggetti ancora una volta e ti prendo a schiaffi, anche se sei
una ragazza.»
«Devi solo provarci» lo avvertì Jorge. «Prendila a schiaffi e sarà l’ultima cosa che fai.»
«Possiamo smetterla con questi giochini da macho per un momento?» Brenda alzò gli
occhi al cielo. «Dobbiamo capire cosa fare adesso.»
Thomas non riusciva a smettere di chiedersi come avessero potuto Teresa e gli altri −
persino Frypan! − andarsene senza di loro. Se fossero stati lui e il suo gruppo a legare
tutte le guardie, non avrebbero continuato a cercare i loro amici finché non li avessero
trovati? E perché Teresa se n’era voluta andare? Forse recuperare la memoria le aveva
riportato alla mente qualcosa che non si aspettava?
«Non c’è un cacchio da capire» disse Newt. «Dobbiamo andarcene di qui.» Indicò la
Berga.
Thomas non poteva essere più d’accordo. Si voltò verso Jorge. «Sei davvero un pilota?»
L’uomo sorrise. «Puoi dirlo forte, muchacho. Uno dei migliori.»
«Allora perché ti hanno mandato nella Zona Bruciata? Non sei un elemento prezioso?»
Jorge guardò Brenda. «Dove va lei vado io. E odio ammetterlo, ma andare nella Zona
Bruciata mi sembrava meglio che restare qui. L’ho vista come una vacanza. Si è rivelata
un po’ più dura di quanto...»
Un allarme cominciò a suonare, lo stesso grido lamentoso di prima. Il cuore di Thomas
sussultò. Nell’hangar il rumore sembrava persino più forte che nel corridoio, riecheggiava
tra i muri e gli alti soffitti.
Brenda spalancò gli occhi verso la porta da cui erano arrivati, e Thomas si voltò per
capire cosa avesse attirato la sua attenzione.
Almeno una decina di guardie vestite di nero stavano entrando nell’hangar, con le armi
puntate. Cominciarono a sparare.
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Qualcuno prese Thomas da dietro e lo tirò per la camicia verso sinistra; lui inciampò
cadendo alle spalle della cassa proprio quando il rumore di vetri che si infrangevano e
dell’elettricità che scoppiettava riempì l’hangar. Numerosi archi di luce passarono sopra e
ai lati della cassa, infiammando l’aria. Si erano appena spenti quando una serie di
proiettili rimbombò contro il legno.
«Chi li ha liberati?» gridò Minho.
«Che cavolo di importanza ha adesso?» rispose Newt.
Il gruppo si rannicchiò, i loro corpi stretti l’uno all’altro. Sembrava impossibile che
potessero contrattaccare da una posizione simile.
«Da un momento all’altro ci attaccheranno ai lati» gridò Jorge. «Dobbiamo cominciare a
rispondere al fuoco!»
Nonostante l’inferno che si era scatenato intorno a loro, Thomas fu colpito da
quell’affermazione. «Significa che sei dalla nostra?»
Il pilota guardò Brenda, poi alzò le spalle. «Se lei vi sta aiutando, lo farò anch’io. E in
caso non te ne sia accorto, stanno cercando di uccidere anche me!»
Nonostante Thomas fosse terrorizzato, uno spiraglio di speranza si accese in lui. Adesso
dovevano solo riuscire a raggiungere una delle Berghe.
L’attacco violento si era arrestato per un momento, e Thomas sentì dei passi e qualcuno
che impartiva brevi ordini a gran voce. Se volevano guadagnare un vantaggio, dovevano
agire in fretta.
«Come ci muoviamo?» chiese a Minho. «Sei tu a dare gli ordini stavolta.»
Il suo amico gli lanciò un’occhiataccia ma annuì all’istante. «D’accordo, io sparo a
destra, Newt a sinistra. Thomas e Brenda, voi fate fuoco da sopra la cassa. Jorge, tu
trova un modo per raggiungere la tua Berga del caspio. Colpite qualunque cosa si muova
o sia vestita di nero. Preparatevi.»
Thomas si voltò verso la cassa e si mise in ginocchio, pronto a saltare in piedi al
segnale di Minho. Brenda era accanto a lui, con due pistole al posto del lanciagranate.
Aveva uno sguardo di fuoco.
«Hai intenzione di uccidere qualcuno?» le chiese Thomas.
«No. Mirerò alle gambe. Ma non si può mai sapere, magari per sbaglio colpirò più in
alto.»
Gli sorrise; quella ragazza gli piaceva sempre di più.
«Okay!» gridò Minho. «Ora!»
Si mossero tutti insieme. Thomas si alzò in piedi, sollevando il lanciagranate sopra la
cassa. Sparò senza guardare con attenzione per non correre rischi, e quando sentì la
granata esplodere alzò la testa per cercare un bersaglio specifico. Un uomo stava
strisciando verso di loro; Thomas prese la mira e fece fuoco. La granata scoppiò e quando
lo colpì al petto si trasformò in un fulmine, sbattendolo sul pavimento in preda agli
spasmi.
Spari e grida riempivano l’hangar, insieme al rumore di scariche elettriche. Le guardie
cadevano una dopo l’altra, stringendosi le ferite, specialmente alle gambe, come Brenda
aveva promesso. Altre corsero ai ripari.
«Stanno scappando!» gridò Minho. «Ma non durerà a lungo, probabilmente non
credevano che fossimo armati. Jorge, qual è la tua Berga?»
«Quella.» Jorge indicò l’angolo a sinistra dall’altra parte dell’hangar. «Quella è la mia
piccola. Non ci vorrà molto a prepararla al decollo.»
Thomas si voltò verso il punto indicato da Jorge. Il grosso portellone della Berga, legato
al ricordo di quando erano scappati dalla Zona Bruciata, era aperto, in attesa che dei
passeggeri salissero sulla rampa di metallo appoggiata a terra. Non aveva mai visto
niente di così invitante.
Minho sparò un’altra granata. «Bene. Per prima cosa ricarichiamo tutti le armi. Poi
Thomas, Brenda e Jorge, voi correte verso la Berga, io e Newt vi copriamo. Jorge, tu
mettila in moto mentre Thomas e Brenda coprono noi riparandosi dietro il portellone.
Siamo tutti d’accordo?»
«I lanciagranate possono danneggiare la Berga?» chiese Thomas. Ognuno stava
ricaricando le proprie armi e riempiendosi le tasche di munizioni.
Jorge scosse la testa. «Non molto. Quei bestioni sono più resistenti di un cammello della
Zona Bruciata. Se mancano noi e colpiscono il mio aeromobile, tanto meglio. Coraggio,
muchachos!»
«Allora andate, forza, forza, forza!» gridò Minho senza dare nessun preavviso. Lui e
Newt cominciarono a sparare granate come pazzi, facendole volare su tutta la zona
davanti alla loro Berga.
Thomas sentì una scarica di adrenalina fortissima. Lui e Brenda si posizionarono uno a
sinistra e l’altra a destra di Jorge e si allontanarono di corsa dalla cassa che li riparava.
Una raffica di proiettili volanti riempì l’aria, ma c’era così tanto fumo ed elettricità che era
impossibile mirare a qualcuno. Thomas sparò meglio che poteva mentre correva, e anche
Brenda. Era certo di sentire i proiettili sfiorarlo, mancarlo di un soffio. Ai loro lati le
granate scoppiavano in un’esplosione di vetro e luce.
«Correte!» gridò Jorge.
Con le gambe che gli bruciavano, Thomas accelerò. Lame di luce volavano sul
pavimento da tutte le parti; i proiettili tintinnavano contro le pareti dell’hangar; il fumo
volteggiava come spirali di nebbia nei punti più strani. Si concentrò sulla Berga, ormai a
una decina di metri di distanza, e tutto si fece sfocato.
Ce l’avevano quasi fatta, quando una granata colpì Brenda alla schiena. La ragazza urlò
e cadde a terra, sbattendo il viso sul cemento mentre sul suo corpo si formava una
ragnatela di elettricità.
Thomas si fermò di colpo gridando il suo nome, poi si buttò sul pavimento per non
essere un facile obiettivo. Scariche simili a dei lampi sottili strisciavano sul corpo di
Brenda e finivano a terra riducendosi in fili di fumo. Thomas si sdraiò a pancia ingiù a
qualche metro da lei, schivando i fulmini bianchi e incandescenti mentre cercava un modo
per avvicinarsi.
Newt e Minho avevano ovviamente assistito all’esito disastroso del piano e lo avevano
abbandonato. Stavano correndo verso di lui senza smettere di sparare. Jorge aveva
raggiunto la Berga ed era scomparso in cima alla rampa, ma poi era uscito di nuovo, e
stava sparando con un’arma diversa; nell’urto le granate esplodevano trasformandosi in
getti infuocati. Molte delle guardie urlavano mentre venivano avvolte dalle fiamme, altre
indietreggiarono un po’ davanti alla nuova minaccia.
Thomas attese con ansia accanto a Brenda sul pavimento, inveendo contro sé stesso
per non essere in grado di aiutarla. Si rendeva conto di dover aspettare che l’elettricità si
scaricasse prima di poterla afferrare per trascinarla verso la Berga, ma non sapeva se
c’era tempo. Il suo viso era completamente sbiancato, perdeva sangue dal naso e dalla
bocca, le braccia e le gambe erano in preda agli spasmi, e il busto si sollevava a scatti.
Gli occhi erano spalancati, pieni di angoscia e terrore.
Newt e Minho lo raggiunsero, buttandosi a terra.
«No!» gridò Thomas. «Proseguite verso la Berga. Riparatevi dietro il portellone.
Aspettate che ci muoviamo, poi copriteci. Sparate all’impazzata finché non arriviamo.»
«Andiamocene subito!» rispose Minho. Afferrò Brenda per le spalle, e Thomas sussultò
davanti alla smorfia di dolore sul viso dell’amico: numerose scariche di luce gli percorsero
le braccia. L’energia comunque si era ridotta notevolmente e Minho riuscì a rimanere in
piedi e cominciò a trascinarla.
Thomas mise le braccia sotto le spalle di Brenda, e Newt la prese per le gambe.
Ripartirono verso la Berga. L’hangar era un inferno di rumori, fumo e luci lampeggianti.
Un proiettile passò a bruciapelo sulla gamba di Thomas: un dolore incandescente, poi il
sangue prese a colare. Un centimetro più in là e sarebbe rimasto zoppo a vita o morto
dissanguato. Si sfogò con un grido furioso incolpando mentalmente tutti quelli vestiti di
nero di avergli sparato.
Guardò Minho con la coda dell’occhio; il viso del ragazzo era in tensione per lo sforzo di
trascinare Brenda. Thomas sfruttò l’improvvisa scarica di adrenalina e corse un rischio:
sollevò il lanciagranate e si mise a sparare a caso con una mano, mentre con l’altra
aiutava a tirare Brenda.
Raggiunsero la base del portellone. Jorge si liberò della grossa arma all’istante e scese
velocemente dalla rampa per afferrare un braccio di Brenda. Thomas mollò la presa sulla
maglietta della ragazza e lasciò che Minho e Jorge la trascinassero a bordo, con i talloni
che sbattevano contro le giunture sporgenti della rampa.
Newt ricominciò a sparare le granate, finché non finì le munizioni. Thomas fece fuoco
ancora una volta e anche il suo lanciagranate si scaricò.
Le guardie nell’hangar ovviamente si erano rese conto che gli restava poco tempo, e si
misero a correre in massa verso l’aeromobile, aprendo il fuoco ancora una volta.
«Non perdete tempo a ricaricare!» gridò Thomas. «Andiamocene!»
Newt si voltò e con uno scatto si fiondò sulla rampa. Thomas lo seguì all’istante. Fece
appena in tempo a mettere un piede sulla Berga quando qualcosa lo colpì alla schiena ed
esplose. Nel giro di un secondo sentì la potenza di mille saette scoppiare tutte insieme;
cadde all’indietro e cominciò a rotolare finché non atterrò sul pavimento dell’hangar, il
corpo in preda alle convulsioni. Poi il buio.
19
I suoi occhi erano aperti, ma non vedeva niente. No, non era così. Archi di luce brillante
occupavano il suo campo visivo, accecandolo. Non riusciva a sbattere le palpebre, a
chiuderle per bloccarli. Fu sopraffatto dal dolore; gli sembrava che la pelle si stesse
squagliando staccandosi dai muscoli e dalle ossa. Cercò di gridare, ma era come se
avesse perso il controllo delle sue funzioni. Le braccia, le gambe e il busto si dimenavano
nonostante gli sforzi per fermarli.
Il rumore dell’elettricità che scoppiettava gli riempì le orecchie, ma ben presto fu
oscurato da un altro suono. Un ronzio profondo e martellante che batteva nelle orecchie e
gli percuoteva la testa. Era a malapena cosciente, gli sembrava di scivolare per poi
risalire da un abisso che voleva inghiottirlo. Ma qualcosa dentro di lui riconobbe quel
suono. I motori della Berga si erano messi in moto, le fiamme azzurre dei propulsori
stavano bruciando.
Di getto pensò che lo stessero lasciando lì. Prima Teresa e gli altri, adesso i suoi più cari
amici e Jorge. Non poteva sopportare un altro tradimento. Faceva troppo male. Voleva
gridare e, mentre tutto questo accadeva, un dolore acuto gli tormentava ogni centimetro
del corpo come tanti spilli e la puzza di bruciato lo devastava. No, non lo avrebbero
abbandonato. Lo sapeva.
A poco a poco iniziò a recuperare la vista, e le scariche bianche incandescenti si fecero
meno forti e frequenti. Sbatté le palpebre. Due, poi tre sagome vestite di nero erano in
piedi sopra di lui, le armi puntate sul suo viso. Guardie. Lo avrebbero ucciso? Trascinato
dall’Uomo Ratto per eseguire altri test? Una di loro parlò, ma Thomas non riusciva a
sentire le parole; l’elettricità gli ronzava nelle orecchie.
All’improvviso una delle guardie sparì, atterrata da due sagome che sembravano volare
nell’aria. I suoi amici, dovevano essere i suoi amici. Attraverso il fumo, Thomas intravide
il soffitto dell’hangar molto sopra di lui. Il dolore era quasi sparito, lasciando il posto a un
intorpidimento che lo portò a chiedersi se era in grado di muoversi. Si mise sul fianco
destro, poi rotolò sul sinistro, poi si appoggiò sul gomito, frastornato e debole. Le ultime
scariche di elettricità scivolarono sul suo corpo e scomparvero nel cemento. Il peggio era
passato. Si augurò.
Si mosse di nuovo, guardando dietro la spalla. Minho e Newt erano a cavalcioni ognuno
su una guardia, e la stavano gonfiando di botte. Jorge era in mezzo ai Radurai, e stava
sparando il suo feroce lanciagranate in tutte le direzioni. Evidentemente la maggior parte
delle guardie si era arresa o era stata messa fuori combattimento, altrimenti lui e gli altri
non ce l’avrebbero fatta ad arrivare a quel punto. O forse, pensò Thomas, le guardie
stavano fingendo, recitando, come tutti gli altri nelle Prove.
Non gli importava. Voleva solo andarsene da quel posto. E la via di fuga era proprio
davanti a lui.
Si girò a pancia ingiù, lamentandosi, poi si diede una spinta per mettersi carponi.
Tutt’intorno a lui c’erano vetri che si infrangevano, scariche elettriche che scoppiavano,
armi che facevano fuoco e proiettili che tintinnavano contro il metallo. Se qualcuno gli
avesse sparato adesso, non avrebbe potuto farci niente. L’unica cosa che poteva fare era
trascinarsi verso la Berga. I propulsori dell’aeromobile ronzavano acquistando potenza;
facevano vibrare l’intero affare, compreso il pavimento sottostante. Il portellone era solo
a un paio di metri. Dovevano salire a bordo.
Cercò di gridare qualcosa a Minho e agli altri, ma l’esito fu un grugnito misto a un
gorgoglio. Muovendosi carponi come un cane ferito, cominciò ad avanzare il più
velocemente possibile, facendo ricorso a tutta la forza che aveva. Raggiunse il bordo
della rampa, vi si trascinò sopra. Gli facevano male i muscoli e aveva i conati di vomito. I
rumori della battaglia gli martellavano le orecchie, a fatica mantenne i nervi saldi;
qualcosa poteva colpirlo da un momento all’altro.
Riuscì ad arrivare a metà della rampa. Si voltò per guardare i suoi amici. Stavano
venendo verso di lui, adesso stavano sparando tutti e tre. Minho dovette fermarsi per
ricaricare, e Thomas non poté evitare di pensare che un proiettile o una granata lo
avrebbe colpito. Ma il suo amico ce la fece e ricominciò a fare fuoco. I tre raggiunsero i
piedi della rampa; mancava così poco.
Thomas cercò di parlare di nuovo; adesso guaiva come un cane ferito.
«Basta così!» gridò Jorge. «Prendetelo e trascinatelo dentro!»
Jorge superò Thomas e scomparve nella Berga. Si sentì un forte clic, e poi la rampa
cominciò a sollevarsi, con i cardini che cigolavano. Thomas si rese conto di essersi
accasciato a terra, aveva il viso appoggiato sui cuscinetti metallici sotto di lui, eppure non
riusciva a ricordarsi quando fosse successo. Sentì delle mani tirargli la maglietta,
sollevarlo. Poi ricadde giù appena oltre il portellone che si chiudeva dietro di lui facendo
scattare il dispositivo di bloccaggio.
«Scusa, Tommy» gli sussurrò Newt all’orecchio. «Avrei potuto essere un po’ più delicato,
suppongo.»
Anche se era a malapena cosciente, una gioia indescrivibile gli riempì il cuore: erano
scappati dalla C.A.T.T.I.V.O. Fece un debole grugnito nel tentativo di condividere quel
sentimento con il suo amico. Poi chiuse gli occhi e svenne.
20
Thomas si svegliò e vide Brenda sopra di lui che lo fissava. Sembrava preoccupata. Era
pallida e del sangue secco le rigava il viso, la fronte era sporca di fuliggine e un livido le
stava spuntando sulla guancia. Come se la vista delle ferite di Brenda gli avesse ricordato
le sue, all’improvviso sentì male dappertutto. Non sapeva in che modo agissero quelle
granate, ma era contento di essere stato colpito solo una volta.
«Io mi sono appena alzata» disse Brenda. «Come stai?»
Thomas si spostò per appoggiarsi sul gomito e fece una smorfia avvertendo una forte
fitta alla gamba dove il proiettile l’aveva preso di striscio. «Come un sacco di sploff.»
Era sdraiato su una brandina bassa in una grossa stiva, dove c’era solo un mucchio di
mobili mal assortiti. Minho e Newt si stavano godendo il meritato riposo su un paio di
brutti divani, sotto una coperta tirata su fino al mento. Thomas ebbe il vago sospetto che
Brenda c’entrasse qualcosa; sembravano dei bambini piccoli, tutti raggomitolati e al
caldo.
Brenda, inginocchiata accanto alla sua brandina, si alzò e si mise a sedere su una
poltrona malandata a un paio di metri da lui. «Abbiamo dormito per quasi dieci ore.»
«Sul serio?» Thomas non riusciva a crederci, gli sembrava di aver chiuso gli occhi poco
prima. O forse di aver perso i sensi, era più appropriato.
Brenda annuì.
«Stiamo volando da così tanto? Dove stiamo andando, sulla luna?» Thomas tirò le
gambe giù dalla brandina e si mise seduto.
«No. Ci siamo allontanati di circa centocinquanta chilometri, poi siamo atterrati in una
grande radura. Anche Jorge sta dormendo adesso. Non conviene avere un pilota stanco.»
«Non posso credere che siamo stati entrambi colpiti dai lanciagranate. Mi piaceva molto
di più essere quello che premeva il grilletto.» Thomas si sfregò il viso e fece un grosso
sbadiglio. Poi esaminò alcune delle bruciature sulle braccia. «Credi che mi rimarrà la
cicatrice?»
Brenda rise. «C’è ben altro di cui preoccuparsi.»
Thomas non riuscì a trattenere un sorriso. Aveva ragione. «Allora» cominciò, poi
proseguì lentamente. «Quando eravamo alla C.A.T.T.I.V.O. , scappare da lì sembrava
fantastico ma... non so nemmeno come sia il mondo reale... Non è tutto come la Zona
Bruciata, vero?»
«No» rispose lei. «Solo le zone tra i tropici sono una landa desolata, le altre hanno un
clima con diversi sbalzi di temperatura. Ci sono alcune città sicure in cui potremmo
andare. Specialmente essendo immuni... trovare un lavoro non dovrebbe essere un
problema.»
«Lavoro» ripeté Thomas, come se fosse la parola più strana che avesse mai sentito.
«Stai già pensando di trovare un lavoro?»
«Hai intenzione di mangiare, giusto?»
Thomas non rispose, sentendosi addosso il peso della realtà. Se stavano davvero
scappando nel mondo reale, dovevano iniziare a vivere come persone reali. Ma era
possibile in un mondo in cui esisteva l’Eruzione? Pensò ai suoi amici.
«Teresa» disse.
Brenda indietreggiò, sorpresa. «Teresa cosa?»
«C’è un modo per scoprire dove sono andati lei e gli altri?»
«Jorge l’ha già fatto. Ha controllato il sistema di monitoraggio delle Berghe. Sono andati
in una città che si chiama Denver.»
A Thomas si accese un campanello d’allarme. «Questo significa che la C.A.T.T.I.V.O.
sarà in grado di trovarci?»
«Non conosci Jorge.» Le era spuntato un sorrisetto da furba. «È incredibile come riesca
a manipolare il sistema. Dovremmo riuscire a rimanere un passo avanti almeno per un
po’.»
«Denver» disse Thomas dopo un attimo. Quel nome pronunciato da lui gli sembrava
strano. «Dove si trova?»
«Nelle Rocky Mountains. A un’altitudine elevata. Una scelta ovvia per una zona di
quarantena, perché il tempo lì si è riassestato in fretta dopo le eruzioni solari. Un posto
come un altro.»
A Thomas non importava molto il luogo, sapeva solo che doveva trovare Teresa e gli
altri, riunirsi a loro. Non era ancora del tutto sicuro del perché, e di certo non era pronto
per discuterne con Brenda. Perciò lasciò cadere il discorso.
«Com’è?» chiese dopo un po’.
«Be’, come nella maggior parte delle grandi città, sono piuttosto spietati quando si
tratta di tenere lontani gli Spaccati, e i residenti vengono sottoposti al test dell’Eruzione
in modo frequente e casuale. Hanno creato un’altra città dalla parte opposta della vallata
in cui mandano le persone che hanno contratto il virus da poco. Gli immuni vengono
pagati molto bene per occuparsi di loro, ma è estremamente pericoloso. Entrambi i posti
sono tenuti sotto stretta sorveglianza.»
Anche se aveva recuperato parte della memoria, Thomas non sapeva molto riguardo
alla popolazione immune all’Eruzione. Ma ricordava qualcosa che gli aveva detto l’Uomo
Ratto. «Janson ha detto che la gente prova un odio profondo nei confronti degli immuni.
Che li chiama Muni. Cosa intendeva?»
«Quando hai l’Eruzione, sai che impazzirai e morirai. La questione non è se, ma quando.
E per quanto il mondo ci abbia provato, il virus trova sempre il modo di insidiarsi nelle
zone di quarantena. Immagina cosa può significare sapere questa cosa e sapere anche
che gli immuni se la caveranno. L’Eruzione a loro non fa niente, non trasmettono
nemmeno il virus. Tu non odieresti chi è sano?»
«È probabile» disse Thomas, ben felice di trovarsi dalla parte degli immuni. Meglio
essere odiato che malato. «Ma non dovrebbe essere una cosa positiva il fatto di averli in
giro? Insomma, sapendo che non possono contrarre la malattia.»
Brenda scrollò le spalle. «Di sicuro vengono usati − specialmente per incarichi
governativi e di sorveglianza − ma gli altri li trattano come spazzatura. E la gente che
non è immune è molto più numerosa. È per questo che i Muni vengono pagati così
profumatamente come guardie. Altrimenti non lo farebbero. Molti cercano persino di
nascondere il fatto che sono immuni. O vanno a lavorare per la C.A.T.T.I.V.O., come me e
Jorge.»
«Quindi voi vi siete conosciuti prima?»
«Ci siamo incontrati in Alaska, dopo aver scoperto di essere immuni. C’era un luogo di
raccolta per gente come noi, una specie di campo nascosto. Jorge per me è diventato
come uno zio, e mi ha giurato di proteggermi. Mio padre era già stato ucciso, e mia
madre mi ha mandato via dopo aver saputo di avere l’Eruzione.»
Thomas si piegò in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. «Mi hai detto che la
C.A.T.T.I.V.O. ha ucciso tuo padre. E nonostante questo tu ti sei offerta di lavorare per
loro?»
«Sopravvivenza, Thomas.» Si incupì. «Tu non sai quanto sei stato fortunato a crescere
sotto le ali della C.A.T.T.I.V.O. Nel mondo reale, la maggior parte della gente farebbe
qualunque cosa per sopravvivere un giorno in più. Gli Spaccati e gli immuni hanno
problemi diversi, certo, ma si tratta comunque di riuscire a sopravvivere. Tutti vogliono
vivere.»
Thomas non rispose, non sapeva cosa dire. Tutto quello che conosceva della vita era
legato al Labirinto e alla Zona Bruciata, e ai pochi ricordi della sua infanzia con la
C.A.T.T.I.V.O. Si sentiva vuoto e perso, come se non appartenesse proprio a nessun
luogo.
Provò un’improvvisa stretta al cuore. «Mi chiedo cosa sia successo a mia madre» disse,
stupito dalle sue stesse parole.
«Tua madre?» chiese Brenda. «Te la ricordi?»
«Ho fatto qualche sogno in cui c’era lei. Penso che fossero momenti della mia infanzia.»
«Raccontami. Com’era?»
«Era... una mamma. Sai, mi voleva bene, teneva a me, si preoccupava per me.» Gli si
ruppe la voce. «Non credo che lo abbia fatto nessun altro da quando mi hanno portato via
da lei. È doloroso pensare che sia impazzita, pensare a quello che può esserle successo.
Quello che può averle fatto qualche Spaccato assetato di sangue...»
«Smettila, Thomas. Smettila.» Brenda gli prese la mano e la strinse, e la cosa lo aiutò.
«Pensa a quanto sarebbe felice di sapere che sei ancora vivo, che stai ancora lottando. È
morta sapendo che eri immune, e che avevi una reale possibilità di invecchiare, per
quanto il mondo faccia schifo. E poi, hai torto marcio.»
Thomas stava fissando il pavimento, ma quando sentì quelle parole alzò lo sguardo
verso di lei. «Cosa?»
«Minho. Newt. Frypan. Tutti i tuoi amici tengono a te e si preoccupano per te. Persino
Teresa. Ha davvero fatto tutte quelle cose nella Zona Bruciata perché pensava di non
avere scelta.» Si interruppe, poi, a voce bassa, aggiunse: «Chuck.»
La stretta al cuore aumentò. «Chuck. Lui... lui è...» Dovette fermarsi un secondo per
ricomporsi. Se si trattava di scegliere, Chuck era la ragione più profonda per cui odiava la
C.A.T.T.I.V.O. Com’era possibile che uccidere un ragazzino come Chuck potesse portare a
qualcosa di buono?
Alla fine ricominciò a parlare. «Io l’ho guardato mentre moriva. Negli ultimi secondi di
vita i suoi occhi erano pieni di terrore. Non si può fare una cosa del genere. Non si può
fare una cosa del genere a qualcuno. Non mi importa cosa dicono gli altri, non mi importa
quante persone impazziscono e muoiono, non mi importa se tutta la razza umana del
caspio si estingue. Anche se quella fosse l’unica cosa da fare per trovare una cura, sarei
comunque contrario.»
«Thomas, calmati. Ti spaccherai le dita.»
Non si ricordava di averle lasciato la mano; abbassò lo sguardo e vide le sue mani
strette l’una nell’altra, la pelle completamente bianca. Allentò la presa e sentì il sangue
che ricominciava a fluire.
Brenda annuì con aria seria. «Sono cambiata per sempre nella Zona Bruciata. Mi
dispiace per tutto.»
Thomas scosse la testa. «Non hai più motivi di me per scusarti. È tutto un gran casino e
basta.» Si sdraiò sulla brandina con qualche lamento, e si mise a fissare la griglia
metallica del soffitto.
Dopo una lunga pausa, Brenda ricominciò a parlare. «Sai, forse possiamo trovare
Teresa e gli altri. Unirci a loro. Sono scappati, e questo significa che stiamo dalla stessa
parte. Credo che dovremmo dargli il beneficio del dubbio. Magari se ne sono andati senza
di noi perché non hanno potuto fare diversamente. E non mi stupisce affatto la
destinazione che hanno scelto.»
Thomas si girò per guardarla, augurandosi che avesse ragione. «Quindi pensi che
dovremmo andare a...»
«Denver.»
Thomas annuì. All’improvviso non aveva più dubbi, ed era una sensazione meravigliosa.
«Già, Denver.»
«Ma i tuoi amici non sono l’unica ragione.» Brenda sorrise. «Laggiù c’è qualcosa di
ancora più importante.»
21
Thomas fissò Brenda, ansioso di sentire cosa avesse da dire.
«Sai cosa c’è nel tuo cervello» disse. «Quindi qual è la nostra più grande
preoccupazione?»
Thomas ci pensò. «Che la C.A.T.T.I.V.O. si metta sulle nostre tracce o ci controlli.»
«Esatto» disse Brenda.
«E...?» chiese, sempre più impaziente.
Brenda si mise in ginocchio davanti a lui, sfregandosi le mani per l’eccitazione.
«Conosco un tizio di nome Hans che si è trasferito a Denver; è immune come noi. È un
dottore. Ha lavorato alla C.A.T.T.I.V.O. finché non ha avuto una divergenza di opinioni
con i pezzi grossi sulle procedure relative agli impianti cerebrali. Pensava che quello che
stavano facendo fosse troppo rischioso. Che stessero esagerando, che si stessero
comportando in modo disumano. La C.A.T.T.I.V.O. non gli permetteva di andarsene, ma è
riuscito a fuggire.»
«Quei tizi devono perfezionare la sorveglianza» mormorò Thomas.
«Per nostra fortuna» disse Brenda con un ghigno. «Comunque, Hans è un genio.
Conosce ogni singolo dettaglio dell’impianto che voi ragazzi avete nella testa. So che è
andato a Denver perché mi ha mandato un messaggio in rete subito prima che mi
portassero nella Zona Bruciata. Se riusciamo a trovarlo, lui potrà togliervi quell’affare
dalla testa. O almeno disattivarlo. Non so come avvenga esattamente, ma se c’è
qualcuno in grado di farlo, è lui. E lo farebbe con piacere. Quell’uomo odia la
C.A.T.T.I.V.O. quanto noi.»
Thomas ci pensò su per un secondo. «E se ci controllano, siamo davvero nei guai. L’ho
già visto accadere almeno tre volte.» Alby che cercava di resistere a una forza invisibile
nel Casolare, Gally che veniva comandato con il coltello che colpì Chuck, e Teresa che
non riusciva a parlargli fuori dal capanno nella Zona Bruciata. Erano tre dei ricordi più
sconvolgenti che aveva.
«Esatto. Potrebbero manipolarvi, farvi fare delle cose. Non possono vedere attraverso i
vostri occhi, sentire la vostra voce o roba del genere, ma è una faccenda che va
sistemata. Se si avvicinassero quanto basta per tenervi sotto osservazione e decidessero
che vale la pena rischiare, ci proverebbero. Ed è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno.»
C’era molto da organizzare. «Be’, a quanto pare abbiamo diverse ragioni per andare a
Denver. Sentiremo cosa ne pensano Newt e Minho quando si svegliano.»
Brenda annuì. «Mi sembra una buona idea.» Si alzò in piedi e fece qualche passo verso
di lui, poi si chinò e gli diede un bacio sulla guancia. A Thomas venne la pelle d’oca sulle
braccia e sul petto. «Sai, la maggior parte di quello che è successo in quelle gallerie non
era una messinscena.» Si ritirò su e rimase a fissarlo per un attimo, in silenzio. «Vado a
svegliare Jorge. Sta dormendo nell’alloggio del comandante.»
Poi se ne andò, e Thomas rimase lì seduto, sperando di non essere arrossito quando
aveva ripensato al momento in cui Brenda si era stretta a lui nel Sottofondo. Mise le mani
dietro la testa e si sdraiò sulla brandina, cercando di metabolizzare tutto quello che aveva
appena sentito. Finalmente avevano una destinazione. Sentì un sorriso spuntargli sul
viso, e non solo perché aveva ricevuto un bacio.
Minho chiamò la loro riunione un’Adunanza, in nome dei vecchi tempi.
Quando giunsero al termine, Thomas aveva la testa che gli scoppiava; il dolore era così
martellante che pensò che gli sarebbero saltati gli occhi fuori dalle orbite. Minho fece
l’avvocato del diavolo su ogni singola questione, e per chissà quale motivo lanciò
occhiatacce a Brenda per tutto il tempo. Thomas sapeva che dovevano considerare le
cose sotto ogni punto di vista possibile, ma avrebbe voluto che lasciasse in pace Brenda.
Alla fine, dopo un’ora di discussioni e decine di ripensamenti per poi tornare al punto di
partenza, decisero − all’unanimità − di andare a Denver. Il piano era di atterrare in un
aeroporto privato e di raccontare che erano degli immuni in cerca di un lavoro nel settore
dei trasporti pubblici. Per fortuna la Berga non era contrassegnata. A quanto pareva, la
C.A.T.T.I.V.O. non si faceva pubblicità quando andava nel mondo reale. Sarebbero stati
sottoposti al test dell’Eruzione e schedati come immuni, il che gli avrebbe consentito
l’accesso in città. A tutti eccetto Newt che, essendo infetto, sarebbe dovuto rimanere
sulla Berga finché non si fossero inventati qualcosa.
Fecero un pasto veloce; poi Jorge li lasciò per far partire l’aeromobile. Disse di essersi
riposato a sufficienza e suggerì agli altri di dormire un po’ visto che ci sarebbero volute
alcune ore per raggiungere la città. E poi, chissà quanto tempo sarebbe passato prima di
trovare un posto dove trascorrere la notte.
Thomas voleva restare solo, perciò usò il mal di testa come scusa. Vide una piccola
poltrona reclinabile in un angolo defilato e ci si rannicchiò, dando le spalle al grande
spazio aperto. Prese una coperta e ci si avvolse, sentendosi comodo come non gli
capitava da tempo. E nonostante avesse paura di quello che sarebbe potuto capitare,
provò anche un senso di pace. Forse erano finalmente vicini a tagliare i ponti con la
C.A.T.T.I.V.O. per sempre.
Ripensò alla fuga e a come si erano svolti i fatti. Più ci rifletteva, più dubitava che la
C.A.T.T.I.V.O. avesse orchestrato anche solo in parte l’accaduto. Era successo tutto
troppo in fretta, e quelle guardie avevano lottato ferocemente per trattenerli.
Alla fine il sonno lo rapì da quei pensieri, e sognò.
Ha solo dodici anni, è seduto su una sedia davanti a un uomo che non sembra contento
di essere lì. Si trovano in una stanza con una parete in vetro da dietro la quale vengono
osservati.
«Thomas» esordisce l’uomo triste. «Ultimamente sei un po’... distante. Devi riportare la
tua attenzione su ciò che è importante. Tu e Teresa state dando buoni risultati con la
telepatia, le cose procedono oltre le migliori aspettative. È il momento di ritrovare la
concentrazione.»
Thomas è in imbarazzo, e il fatto di esserlo lo imbarazza ancora di più. Quella
sensazione lo confonde, vorrebbe andarsene, tornare nel suo dormitorio. L’uomo lo
percepisce.
«Non ce ne andremo da questa stanza finché non mi riterrò soddisfatto del tuo
impegno.» Quelle parole sono come una sentenza di morte pronunciate da un giudice
spietato. «Risponderai alle mie domande, e ti conviene sprizzare sincerità da tutti i pori.
Mi sono spiegato?»
Thomas annuisce.
«Perché siamo qui?» chiede l’uomo.
«Per via dell’Eruzione.»
«Non mi basta. Elabora.»
Thomas rimane in silenzio. Ultimamente prova un senso di ribellione, ma sa che svanirà
quando avrà ripetuto tutte le cose che l’uomo vuole sentire. Tornerà a fare ciò che gli
viene richiesto e a imparare a svolgere le mansioni che gli assegnano.
«Vai avanti» incalza l’uomo.
Thomas racconta tutto in fretta, parola per parola, un discorso imparato a memoria
molto tempo prima. «Le eruzioni solari hanno devastato il pianeta. La sicurezza in molti
edifici governativi è stata compromessa. Un virus creato dall’uomo per essere utilizzato
come arma biologica è fuoriuscito accidentalmente da un centro militare per il controllo
delle malattie. È diventato noto col nome di Eruzione. I governi sopravvissuti hanno unito
le risorse per dare vita alla C.A.T.T.I.V.O., che ha scovato i migliori e più intelligenti tra
gli immuni. Hanno avviato il loro progetto, che consiste nello stimolare e tracciare gli
schemi cerebrali di tutte le emozioni umane conosciute, per studiare come noi immuni
funzioniamo nonostante l’Eruzione sia radicata nel nostro cervello. La ricerca porterà a...»
Va avanti senza fermarsi, pronunciando le parole che odia tutto d’un fiato.
Il Thomas fuori dal sogno volta le spalle e corre via, verso l’oscurità.
22
Thomas decise che doveva parlare agli altri dei sogni che stava facendo. Di quelli che
sospettava fossero ricordi che stavano riaffiorando.
Mentre si mettevano seduti per la seconda Adunanza del giorno, fece promettere a tutti
di tenere la bocca chiusa finché non avesse finito. Avevano sistemato le poltrone vicino
alla cabina di pilotaggio della Berga per dare modo anche a Jorge di ascoltare. Poi
Thomas cominciò a raccontare ogni sogno che aveva fatto: momenti della sua infanzia, la
C.A.T.T.I.V.O. che lo portava via dopo aver scoperto che era immune, l’addestramento
con Teresa, tutto. Quando terminò, attese la loro reazione.
«Non vedo cosa c’entri con la nostra situazione» disse Minho. «Mi fa solo odiare la
C.A.T.T.I.V.O. ancora di più. Per fortuna ce ne siamo andati, e spero di non dover mai più
rivedere quella faccia da caspio di Teresa.»
Newt, che era nervoso e distante, parlò per la prima volta da quando si erano messi a
sedere per l’Adunanza. «In confronto a quella saputella, Brenda è una cavolo di
principessa.»
«Ehm... grazie?» rispose Brenda infastidita.
«Quand’è che sei cambiata?» scoppiò Minho.
«Eh?» chiese Brenda.
«Da quand’è che ti è venuta questa rabbia del caspio nei confronti della C.A.T.T.I.V.O.?
Hai lavorato per loro, hai fatto tutto ciò che volevano nella Zona Bruciata. Eri disposta ad
aiutarli a metterci quella maschera in faccia e a trattarci di nuovo come cavie. Quando e
perché hai deciso di stare dalla nostra parte con tanta convinzione?»
Brenda sospirò; aveva l’aria stanca, ma nelle sue parole si percepiva della collera. «Io
non sono mai stata dalla loro parte. Mai. Non ho mai condiviso il loro modo di operare,
ma cosa avrei potuto fare da sola? O anche con Jorge? Ho fatto quello che dovevo per
sopravvivere. Ma poi sono stata con voi nella Zona Bruciata e quell’esperienza mi ha fatto
capire... be’, mi ha fatto capire che abbiamo una chance.»
Thomas voleva cambiare argomento. «Brenda, credi che la C.A.T.T.I.V.O. inizierà a
obbligarci a fare delle cose? A confonderci, a manipolarci, o roba del genere?»
«È per questo che dobbiamo trovare Hans.» Scrollò le spalle. «Posso solo immaginare
quello che farà la C.A.T.T.I.V.O. Ogni volta che li ho visti usare il dispositivo impiantato
nella testa di qualcuno per controllarlo, quella persona si trovava vicino e sotto
osservazione. Ma dato che voi state scappando e non hanno modo di sapere esattamente
quello che state facendo, non correranno il rischio.»
«Perché no?» chiese Newt. «Perché non ci costringono a darci una coltellata in una
gamba o a incatenarci a una sedia finché non ci trovano?»
«Come ho detto, non sono abbastanza vicini» rispose Brenda. «Ovviamente voi gli
servite. Non possono rischiare che vi facciate male o che moriate. Scommetto che hanno
mandato uno stuolo di persone a cercarvi. Quando saranno abbastanza vicini per
osservarvi, allora forse inizieranno a manipolarvi. E ho la netta sensazione che lo faranno;
è per questo che dobbiamo assolutamente andare a Denver.»
Thomas aveva già preso la sua decisione. «Ci andremo e basta. E suggerirei di
aspettare un centinaio d’anni prima di fare un’altra riunione.»
«Bene» disse Minho. «Sono con te.»
Erano due su tre. Tutti guardarono Newt.
«Io sono uno Spaccato» disse il ragazzo più grande. «Quello che penso io non conta un
accidente.»
«Possiamo farvi entrare in città» disse Brenda, ignorandolo. «Almeno abbastanza a
lungo per dare a Hans il tempo di lavorare sulla vostra testa. Dovremo solo stare molto
attenti a tenervi lontani da...»
Newt si alzò in piedi di scatto e colpì il muro dietro la poltrona con un pugno. «Prima di
tutto, non ha nessuna importanza se io ho quel cacchio di affare nel cervello, tra non
molto avrò comunque superato l’Andata. E non voglio morire sapendo di essermene
andato in giro per una città popolata di gente sana e di averla contagiata.»
Thomas si ricordò della busta che aveva in tasca, una cosa di cui si era quasi
dimenticato fino a quel momento. Gli prudevano le mani dalla voglia di tirarla fuori e
leggerla.
Nessuno disse niente.
Newt si fece scuro in volto. «Be’, non svenatevi per cercare di convincermi» disse alla
fine con un grugnito. «Sappiamo tutti che la portentosa cura della C.A.T.T.I.V.O. non
funzionerà mai, e non la vorrei comunque. Non c’è molto per cui vivere su questo pianeta
di sploff. Rimarrò sulla Berga mentre voi andate in città.» Si voltò e se ne andò come una
furia, scomparendo dietro l’angolo che portava all’area comune.
«È andata bene» mormorò Minho. «Mi pare di capire che l’Adunanza è finita.» Si alzò e
seguì il suo amico.
Brenda aggrottò le sopracciglia, poi si rivolse a Thomas. «State − stiamo − facendo la
cosa giusta.»
«Non credo che si possa più parlare di giusto o sbagliato» disse lui, accorgendosi
dell’apatia nella sua voce. Desiderava disperatamente dormire. «Solo di orribile, e di non
così orribile.»
Si alzò per raggiungere gli altri due Radurai, sfiorando la lettera che aveva in tasca.
Cosa ci sarà scritto?, si chiese mentre camminava. E come avrebbe fatto a capire quando
sarebbe stato il momento giusto per aprirla?
23
Thomas non aveva avuto molto tempo per pensare a come sarebbe stato il mondo
lontano dal controllo della C.A.T.T.I.V.O. Ma adesso che stavano per affrontarlo davvero,
fremeva dalla voglia di scoprirlo e aveva le farfalle allo stomaco. Stava per varcare la
soglia di un territorio inesplorato.
«Siete pronti?» chiese Brenda. Erano scesi dalla Berga, ai piedi della rampa, a una
trentina di metri da un muro di cemento con delle grosse porte di ferro.
Jorge fece un sospiro. «Mi ero dimenticato di quanto fosse invitante questo posto.»
«Sicuro di sapere quello che fai?» gli chiese Thomas.
«Tu tieni la bocca chiusa, hermano, e lascia che me ne occupi io. Useremo il nostro vero
nome e un cognome falso. Alla fin fine la sola cosa che conta per loro è che siamo
immuni. Godranno nel metterci sui loro registri. Avremo un giorno, massimo due, prima
che ci trovino per metterci a disposizione del governo. Siamo merce pregiata. E non lo
ripeterò mai abbastanza: Thomas, devi tenere quella boccaccia chiusa.»
«Anche tu, Minho» aggiunse Brenda. «Chiaro? Jorge ha preparato dei documenti falsi
per ognuno di noi, ed è un campione a mentire.»
«Non dirmelo» mormorò Minho.
Jorge e Brenda si diressero verso le porte e Minho li seguì. Thomas ebbe un momento di
esitazione. Alzò lo sguardo verso il muro; gli ricordava il Labirinto, e per un attimo ripensò
ai momenti terribili vissuti in quel posto, in particolare alla notte in cui aveva legato Alby
alle folte piante d’edera e si era nascosto dai Dolenti. Era un sollievo che questi muri
fossero spogli.
La camminata verso l’uscita sembrava non finire mai, il muro e le porte enormi
diventavano sempre più grandi man mano che il gruppo si avvicinava. Quando finalmente
arrivarono ai piedi delle gigantesche porte, si sentì un ronzio elettronico, seguito da una
voce femminile.
«Dichiarate il vostro nome e la professione.»
Jorge rispose a voce molto alta. «Mi chiamo Jorge Gallaraga, e questi sono i miei
collaboratori, Brenda Despain, Thomas Murphy e Minho Park. Siamo qui per raccogliere
delle informazioni e fare dei collaudi. Io ho il brevetto da pilota di Berghe. Ho tutta la
documentazione con me, ma può controllarla lei stessa.» Tirò fuori delle tessere dalla
tasca posteriore e le sollevò verso la telecamera nel muro.
«Attendete, prego» ordinò la voce. Thomas stava sudando, era sicuro che quella donna
avrebbe fatto scattare l’allarme da un momento all’altro. Delle guardie sarebbero corse
fuori, e lo avrebbero rispedito alla C.A.T.T.I.V.O., nella stanza bianca, o peggio.
Aspettò, in preda a mille pensieri, per quelli che gli sembrarono diversi minuti, prima
che una serie di scatti, seguiti da un potente tonfo, scuotessero l’aria. Poi una delle porte
di ferro si aprì verso l’esterno, con i cardini che cigolavano. Thomas sbirciò attraverso la
fessura che si allargava a poco a poco e tirò un sospiro di sollievo: lo stretto corridoio
dall’altra parte era deserto. In fondo c’era un altro muro enorme con un’altra porta a due
battenti, che però sembrava più moderna, e diversi schermi e pannelli incassati nel
cemento alla loro destra.
«Andiamo» disse Jorge. Superò la porta aperta come se lo facesse ogni giorno. Thomas,
Minho e Brenda lo seguirono lungo il corridoio fino al muro successivo, dove si fermò. Da
vicino, gli schermi e i pannelli che Thomas aveva visto da lontano sembravano complessi.
Jorge premette un pulsante su quello più grande e iniziò a inserire i loro nomi e i numeri
identificativi falsi. Digitò altre informazioni, poi inserì le tessere con i loro dati in una
grossa fessura.
Il gruppo attese in silenzio mentre i minuti passavano, e l’ansia di Thomas cresceva
secondo dopo secondo. Cercò di nasconderlo, ma all’improvviso ebbe la sensazione che
stessero commettendo un grosso errore. Sarebbero dovuti andare in un posto con meno
controlli, o avrebbero dovuto provare a entrare in città di nascosto. Queste persone si
sarebbero accorte che stavano mentendo. Forse la C.A.T.T.I.V.O. aveva già avvertito le
autorità di cercare dei fuggitivi.
Calmati Thomas, si disse, e per una frazione di secondo temette che si fosse sentito.
La voce della donna riprese a parlare. «I documenti sono in ordine. Raggiungete la
postazione per il test virale, per favore.»
Jorge si spostò a destra e sul muro si aprì un pannello, da cui Thomas vide uscire un
braccio meccanico. Era uno strano congegno con delle specie di orbite oculari. Jorge si
piegò in avanti e premette il viso contro l’apparecchio. Non appena i suoi occhi si
allinearono alle orbite, spuntò un sottile filo metallico che gli punse il collo. Si sentirono
diversi sibili e qualche clic, poi il filo si ritrasse e Jorge si spostò.
L’intero pannello ruotò rientrando nel muro, e il dispositivo che aveva usato Jorge
scomparve, rimpiazzato da uno nuovo esattamente identico.
«Il prossimo» annunciò la donna.
Brenda si scambiò uno sguardo preoccupato con Thomas, poi si avvicinò all’apparecchio
e ci si appoggiò. Il filo le punse il collo, il dispositivo emise un sibilo, fece un clic, ed era
finita. La ragazza si spostò e fece un sospiro, visibilmente sollevata.
«È passato molto tempo dall’ultima volta che ho usato uno di quegli affari» sussurrò a
Thomas. «Mi rendono nervosa, come se di colpo potessi scoprire di non essere più
immune.»
«Il prossimo» disse di nuovo la donna.
Minho si sottopose alla procedura. Adesso toccava a Thomas.
Si avvicinò al pannello per il test mentre stava ancora ruotando, e non appena il nuovo
apparato comparve e fu pronto, si chinò in avanti e posizionò gli occhi nello spazio
apposito. Si preparò mentalmente al dolore del filo, ma si accorse a malapena della
puntura sul collo. L’unica cosa che vide nel dispositivo furono dei lampi di luce colorata.
Sentì uno sbuffo d’aria che gli fece chiudere gli occhi; quando li riaprì era tutto buio.
Dopo qualche secondo, indietreggiò e attese.
La donna parlò di nuovo. «Siete risultati tutti negativi all’M.C.V. e la vostra immunità è
stata confermata. Siete consci del fatto che le opportunità per persone come voi qui a
Denver sono immense. Ma non fatevi troppa pubblicità per strada. Tutti qui sono sani ed
esenti dal virus, ma sono ancora in molti a non vedere di buon occhio gli immuni.»
«Siamo qui per svolgere delle semplici operazioni e poi ce ne andremo. Probabilmente
nel giro di una settimana o poco più» disse Jorge. «Speriamo di riuscire a mantenere il
nostro piccolo segreto... segreto.»
«Cos’è un M.C.V.?» sussurrò Thomas a Minho.
«E io come faccio a saperlo?»
«Minaccia di Contagio Virale» rispose Brenda prima che Thomas potesse chiederglielo.
«Ma abbassa la voce. Chiunque non lo sa sembrerà sospetto qui.»
Thomas aprì la bocca per dire qualcosa ma fu colto di sorpresa da un forte segnale
acustico che accompagnò l’apertura delle porte. Comparve un altro corridoio, con le pareti
di metallo. In fondo c’era un’altra doppia porta chiusa. Thomas si chiese quanto ci
sarebbe voluto ancora.
«Entrate nel detector uno alla volta, per favore» ordinò la donna. La sua voce sembrava
averli seguiti anche lì. «Prima mister Gallaraga.»
Jorge entrò nel piccolo spazio e le porte si chiusero dietro di lui.
«Cos’è il detector?» chiese Thomas.
«Serve a rivelare delle cose» tagliò corto Brenda.
Thomas la guardò con aria confusa. Più velocemente di quanto si aspettasse, si sentì un
altro segnale acustico e le porte si aprirono. Jorge non c’era più.
«La prossima è miss Despain» annunciò la donna con tono ormai annoiato.
Brenda fece un cenno a Thomas ed entrò nel detector. Circa un minuto dopo fu il turno
di Minho.
Il ragazzo guardò Thomas intensamente. «Se non ci vediamo dall’altra parte,» disse con
tono sdolcinato «ricorda che ti voglio bene.» Thomas gli lanciò un’occhiataccia e Minho
oltrepassò le porte con un sorrisetto stampato in faccia.
Poco dopo, la donna fece il nome di Thomas.
Non appena entrò, le porte gli si chiusero alle spalle. Una folata di vento lo investì
mentre diversi segnali acustici risuonavano a volume basso; poi le porte davanti si
aprirono e vide gente ovunque. Per un attimo si sentì smarrito, ma non appena vide i suoi
amici che lo aspettavano si rilassò. Mentre li raggiungeva rimase colpito dalla confusione
intorno a lui. Una folla di uomini e donne indaffarati – molti dei quali con un fazzoletto
premuto forte sulla bocca − riempiva un enorme atrio con i soffitti alti in vetro, da cui si
riversava abbondante la luce del sole. In un angolo intravide le cime di molti grattacieli,
anche se non somigliavano affatto a quelli della Zona Bruciata. Questi brillavano sotto la
luce del sole. Thomas era così impressionato da tutto quello che c’era da guardare che
quasi si dimenticò di quanto solo un attimo prima fosse nervoso.
«Non è stato poi così tremendo, vero muchacho?» chiese Jorge.
«A me è quasi piaciuto» disse Minho.
Thomas era senza parole; non riusciva a smettere di allungare il collo per osservare il
grande edificio in cui erano entrati. «Cos’è questo posto?» domandò alla fine. «Chi sono
tutte queste persone?» Guardò i suoi tre compagni, in attesa di una risposta. Jorge e
Brenda sembravano imbarazzati di trovarsi con lui. Ma l’espressione di Brenda cambiò di
colpo, lo sguardo le si velò di tristezza.
«Continuo a dimenticarmi che avete perso la memoria» mormorò, poi allargò le braccia
per indicare lo spazio intorno. «Si chiama centro commerciale. In pratica si estende lungo
tutto il muro che circonda la città. Ci sono per la maggior parte negozi e altri esercizi
pubblici.»
«Non ho mai visto così tanti...» Thomas si interruppe. Un tizio con una giacca blu si
stava avvicinando a loro, il suo sguardo fisso su di lui. E non sembrava contento.
«Ehi» sussurrò Thomas, facendo segno con la testa verso lo sconosciuto.
L’uomo li raggiunse prima che qualcuno potesse dire una parola, e li salutò con un
cenno. «Sappiamo che alcune persone sono fuggite dalla C.A.T.T.I.V.O. E a giudicare
dalla Berga con cui siete arrivati, direi che voi fate parte di quel gruppo. Vi suggerisco
vivamente di accettare il consiglio che sto per darvi. Non avete niente da temere, noi
chiediamo solo un aiuto, e al vostro arrivo riceverete protezione» dichiarò.
Diede a Thomas un foglietto di carta, girò i tacchi e se ne andò senza aggiungere altro.
«E questo da dove salta fuori?» chiese Minho. «Cosa dice il biglietto?»
Thomas abbassò lo sguardo e lesse. «C’è scritto: ‘Dobbiamo incontrarci
immediatamente. Faccio parte di un gruppo chiamato il Braccio Destro. All’angolo tra la
Kenwood e la Brookshire, appartamento 2792.ʹ»
A Thomas mancò l’aria quando vide la firma in fondo al foglio. Certo di essere
impallidito, guardò Minho. «È da parte di Gally.»
24
Alla fine non ci fu bisogno che Thomas spiegasse niente. Brenda e Jorge avevano
lavorato alla C.A.T.T.I.V.O. abbastanza a lungo per sapere chi era Gally, come nella
Radura fosse una specie di emarginato, e che lui e Thomas erano diventati acerrimi
avversari per via dei ricordi recuperati da Gally durante la Mutazione. L’unica cosa a cui
Thomas riusciva a pensare era il ragazzo rabbioso che scagliava il pugnale che aveva
ammazzato Chuck, facendolo morire dissanguato sul pavimento mentre lui lo stringeva
tra le braccia.
Poi Thomas aveva perso la testa; si era scagliato su Gally e lo aveva colpito finché non
aveva creduto di averlo ucciso. Si sentì inaspettatamente sollevato quando si rese conto
che forse non era così; sempre che quel biglietto fosse davvero da parte di Gally. Per
quanto lo avesse odiato, Thomas non voleva essere un assassino.
«Non è possibile che sia lui» disse Brenda.
«Perché no?» chiese Thomas; la sensazione di sollievo cominciò a svanire. «Cosa gli è
successo dopo che ci hanno portato via? È...»
«Morto? No. Ha trascorso circa una settimana in infermeria, per rimettersi da uno
zigomo rotto. Ma quello non era niente in confronto ai danni psicologici. Lo hanno usato
per uccidere Chuck perché gli strizzacervelli pensavano che gli schemi potessero essere
preziosi. Era tutto studiato a tavolino. Hanno spinto Chuck a farti da scudo.»
Tutta la rabbia che Thomas aveva provato verso Gally si riversò sulla C.A.T.T.I.V.O.,
alimentando l’odio sempre maggiore che provava per quell’organizzazione. Il ragazzo era
una testa di caspio assoluta, ma se quello che diceva Brenda era vero, lui era solo uno
strumento della C.A.T.T.I.V.O. Apprendere che Chuck non era stato ucciso al posto suo
per errore lo rese ancor più furioso.
Brenda proseguì. «Ho sentito che uno degli strizzacervelli ha progettato l’interazione
come Variabile non solo per te e i Radurai che hanno assistito alla scena, ma... ma anche
per Chuck durante i suoi ultimi momenti.»
Per un istante brevissimo ma spaventoso, Thomas pensò che la rabbia avrebbe preso il
sopravvento, che avrebbe afferrato a caso uno sconosciuto tra la folla e gli avrebbe fatto
sputare sploff come aveva fatto con Gally.
Fece un respiro profondo e si passò la mano tremante fra i capelli. «Non mi sorprendo
più di nulla ormai» disse a denti stretti.
«La mente di Gally non è riuscita a sopportare quello che aveva fatto» disse Brenda. «È
uscito completamente di testa e sono stati costretti ad allontanarlo. Di sicuro avranno
pensato che nessuno avrebbe mai creduto alla sua storia.»
«Allora perché pensi che non possa essere lui?» chiese Thomas. «Magari si è ripreso,
qui ha trovato la sua strada.»
Brenda scosse la testa. «Senti, tutto è possibile. Ma io l’ho visto: era come se avesse
l’Eruzione. Cercava di mangiarsi le sedie, sputava e urlava e si strappava i capelli.»
«L’ho visto anch’io» aggiunse Jorge. «Un giorno ha eluso la sorveglianza. Si è messo a
correre per i corridoi nudo, gridava a squarciagola di avere gli scarafaggi nelle vene.»
Thomas cercò di ritrovare la calma. «Chissà cosa intende per Braccio Destro.»
Fu Jorge a rispondere. «Se ne parla ovunque. Si dice che sia un gruppo clandestino
determinato a smantellare la C.A.T.T.I.V.O.»
«Una ragione in più per fare quello che dice il biglietto» commentò Thomas.
Brenda sembrava dubbiosa. «Penso davvero che prima di ogni altra cosa dovremmo
trovare Hans.»
Thomas sollevò il pezzo di carta scuotendolo. «Andremo a trovare Gally. Ci serve
qualcuno che conosca la città.» Ma, cosa più importante, il suo istinto gli diceva che era
da lì che dovevano partire.
«E se fosse una trappola?»
«Già» disse Minho. «Forse dovremmo pensarci bene.»
«No.» Thomas scosse la testa. «Non possiamo più cercare di prevedere le loro mosse. A
volte fanno delle cose solo per farmi fare l’opposto di quello che pensano che io pensi che
loro pensino che io voglio fare.»
«Eh?» chiesero gli altri tre contemporaneamente, con aria totalmente confusa.
«D’ora in poi farò quello che sento sia giusto» spiegò Thomas. «E qualcosa mi dice che
dobbiamo andare in questo posto e incontrare Gally, almeno per scoprire se è davvero
lui. È un collegamento con la Radura, e ha tutte le ragioni del mondo per essere dalla
nostra parte.»
Gli altri lo fissarono con espressione assorta, come se stessero cercando di trovare altre
argomentazioni.
«Bene così» disse Thomas. «Prenderò quelle vostre facce come un sì. Sono contento di
vedere che siete tutti d’accordo con me. Allora, come facciamo ad andarci?»
Brenda fece un sospiro esagerato. «Hai mai sentito parlare dei taxi?»
Dopo un pasto veloce al centro commerciale, presero un taxi per farsi portare in città.
Quando Jorge diede al conducente una tessera per pagare, Thomas si preoccupò di nuovo
che la C.A.T.T.I.V.O. potesse rintracciarli. Non appena si misero seduti, lo chiese a Jorge
a bassa voce per non farsi sentire dal tassista.
Jorge gli rispose solo con uno sguardo turbato.
«Sei teso perché Gally sapeva che stavamo arrivando, vero?» intuì Thomas.
Jorge annuì. «Un po’. Ma dal modo in cui quell’uomo si è presentato, spero solo che la
notizia della nostra fuga sia trapelata e che da quel momento il Braccio Destro si sia
messo a cercarci. Ho sentito dire che la loro base è qui.»
«O magari c’entra con il fatto che il gruppo di Teresa è arrivato qui per primo» suggerì
Brenda.
Thomas non si sentì molto rassicurato. «Sei sicuro di quello che fai?» chiese a Jorge.
«Andrà bene, muchacho. Adesso che siamo qui, la C.A.T.T.I.V.O. farà una fatica bestiale
a restare sulle nostre tracce. Mischiarsi tra la folla in una città è più facile di quanto pensi.
Rilassati.»
Thomas non sapeva se fosse davvero possibile, ma si appoggiò allo schienale e si mise
a guardare fuori dal finestrino.
Il viaggio attraverso Denver lo lasciò completamente senza fiato. Si ricordava dalla sua
infanzia degli aeroveicoli: veicoli della polizia senza conducente dotati di armi, che
sorvolavano le strade e che tutti chiamavano macchine-sbirro. Ma lo spettacolo davanti ai
suoi occhi era diverso da qualunque cosa avesse mai visto: gli enormi grattacieli, i
cartelloni pubblicitari tridimensionali e luminosi, l’infinità di persone. Faticava a credere
che fosse vero. Una piccola parte di lui si chiese se il suo nervo ottico fosse in qualche
modo manipolato dalla C.A.T.T.I.V.O., se fosse un’ennesima simulazione. Si domandò se
avesse mai vissuto in una città come quella prima, e se era così, come fosse possibile
aver dimenticato tutto quello splendore.
Mentre attraversavano le strade affollate, si disse che forse il mondo non era poi tanto
male. Lì c’era un’intera comunità, migliaia di persone che vivevano la vita di tutti i giorni.
Ma il viaggio continuò, e a poco a poco cominciarono a saltargli all’occhio dettagli che non
aveva notato. E più passava il tempo, più il suo turbamento cresceva. Quasi tutti avevano
un’aria tesa. Sembravano evitarsi l’un l’altro; e non solo per essere educati. Era come se
prendessero ovvi accorgimenti per stare lontani da chiunque. E molti di loro, proprio come
al centro commerciale, camminavano indossando delle maschere o con un fazzoletto sulla
bocca e sul naso.
I muri dei palazzi erano tappezzati di manifesti e cartelloni, perlopiù strappati o coperti
da scritte fatte con bombolette spray. Alcuni mettevano in guardia dall’Eruzione e
illustravano le precauzioni da prendere; altri parlavano dei pericoli di allontanarsi dalle
città o di cosa fare nel caso ci si imbattesse in una persona infetta. Su alcuni c’erano
immagini terrificanti di Spaccati ben oltre l’Andata. Thomas vide un manifesto con il primo
piano di una donna dal viso scarno e i capelli pettinati all’indietro, e sotto uno slogan che
diceva ‘La cancelliera Paige vi vuole beneʹ.
La cancelliera Paige. Thomas riconobbe immediatamente quel nome. Era la persona
della quale Brenda aveva detto potevano fidarsi, l’unica. Si voltò per chiedere spiegazioni
a Brenda, ma ebbe un ripensamento. Qualcosa gli disse di aspettare che fossero soli.
Mentre il viaggio continuava, notò dei cartelloni con la sua immagine, ma la maggior
parte era coperta da graffiti. Era difficile dire come fosse realmente sotto le corna da
diavolo e gli stupidi baffi.
Delle specie di agenti pattugliavano in gran numero le strade; ce n’erano a centinaia,
indossavano camicie rosse e maschere antigas, in una mano stringevano un’arma e
nell’altra una versione più piccola dell’apparecchio per il test virale nel quale Thomas e i
suoi amici avevano guardato prima di entrare in città. Più si allontanavano dal muro di
cinta, più le strade erano sporche. C’era spazzatura ovunque, finestre rotte e graffiti quasi
su ogni muro. E nonostante il sole brillasse sulle finestre più alte, su quei luoghi si era
posata l’oscurità.
Il taxi svoltò in un vicolo, che con sorpresa di Thomas era deserto. Poi accostò e si
fermò davanti a un palazzo di cemento alto almeno venti piani, e il conducente fece
uscire la tessera di Jorge dalla fessura e gliela restituì; Thomas prese quel gesto come un
segnale che la corsa era finita.
Dopo che erano scesi tutti e il taxi si era allontanato, Jorge indicò le scale più vicine. «Il
numero 2792 è proprio lì, al secondo piano.»
Minho fischiettò, poi disse: «Che posticino accogliente.»
Thomas era d’accordo. Quel luogo era decisamente poco invitante, e i mattoni grigiastri
coperti di graffiti lo rendevano nervoso. Non voleva salire quei gradini e scoprire chi li
aspettava lì dentro.
Brenda lo spinse da dietro. «L’idea è stata tua, vai avanti tu.»
Deglutì a fatica ma non disse niente, camminò verso le scale e le salì lentamente, con
gli altri tre che lo seguivano. La porta di legno dell’appartamento 2792 era piena di crepe,
sembrava fosse stata montata secoli prima, e rimaneva solo qualche traccia sbiadita della
vernice verde usata.
«È una follia» sussurrò Jorge. «Una vera follia.»
Minho sorrise con sarcasmo. «Thomas gli ha fatto sputare sploff una volta, può farlo di
nuovo.»
«A meno che non esca come una furia» rispose Jorge.
«Vi dispiace chiudere la bocca?» disse Thomas; aveva i nervi a fior di pelle. Senza
aggiungere altro, allungò la mano e bussò. Dopo qualche attimo di angoscia, la porta si
aprì.
Thomas capì all’istante che il ragazzo con i capelli neri davanti a lui era Gally della
Radura. Non aveva alcun dubbio. Ma il suo viso era pesantemente sfregiato, coperto di
cicatrici in rilievo come sottili lumache bianche. L’occhio destro era gonfio, e non
sembrava una cosa momentanea, e il naso, che era già grosso e un po’ sbilenco prima
dell’incidente di Chuck, adesso era completamente storto.
«Felice che siate venuti» disse Gally con voce roca. «Perché la fine del mondo è vicina.»
25
Gally fece un passo indietro e spalancò la porta. «Entrate.»
Thomas provò un improvviso senso di colpa nel vedere quello che gli aveva fatto. Non
aveva idea di come comportarsi o cosa dire. Annuì e basta, facendosi forza per entrare
nell’appartamento.
Era una stanza buia ma ordinata, senza mobili, e c’era odore di bacon. Una coperta
gialla, appesa davanti a una grande finestra, gettava su quel luogo una luce sinistra.
«Sedetevi» disse Gally.
L’unica cosa che Thomas aveva in testa era scoprire come aveva fatto il Braccio Destro
a sapere che lui si trovava a Denver e cosa voleva, ma l’istinto gli diceva che doveva
giocare secondo le regole prima di poter avere delle risposte. Si misero seduti sul
pavimento spoglio, lui e i suoi amici uno accanto all’altro e Gally davanti a loro come un
giudice. Il viso del ragazzo era terribile nella luce fioca, e l’occhio destro gonfio aveva i
capillari rotti.
«Conosci Minho» disse Thomas con tono imbarazzato. Minho e Gally si fecero un cenno
con la testa. «Loro sono Brenda e Jorge. Lavorano per la C.A.T.T.I.V.O. ma...»
«Lo so chi sono» lo interruppe Gally. Non sembrava pazzo, solo un po’ intontito. «Quelle
teste di caspio alla C.A.T.T.I.V.O. mi hanno restituito il mio passato. Senza chiedere, tra
l’altro.» Il suo sguardo si concentrò su Minho. «Ehi, tu sei stato molto carino con me
durante la nostra ultima Adunanza. Ti ringrazio.» Il tono era decisamente sarcastico.
Thomas rabbrividì a quel ricordo: Minho che sbatteva Gally sul pavimento,
minacciandolo. Se n’era dimenticato.
«Avevo avuto una brutta giornata» replicò Minho, senza che dalla sua espressione si
capisse se era serio o minimamente dispiaciuto.
«Già, be’» disse Gally. «Buttiamoci il passato alle spalle, giusto?» Dal suo sorrisetto era
chiaro che non la pensava affatto così.
Forse Minho non aveva rimorsi, ma Thomas sì. «Mi dispiace per quello che ho fatto,
Gally.» Lo disse guardandolo dritto negli occhi. Voleva che gli credesse, voleva fargli
sapere che capiva che la C.A.T.T.I.V.O. era nemica di entrambi.
«Dispiace a te? Io ho ucciso Chuck. Lui è morto. Per colpa mia.»
Sentirglielo dire non fu di alcun sollievo per Thomas, gli provocò solo tristezza.
«Non è stata colpa tua» disse Brenda, con tono rassicurante.
«Questa è una sploff bella e buona» disse Gally in modo duro. «Se avessi avuto fegato
avrei potuto impedire che mi controllassero. Ma gliel’ho lasciato fare perché pensavo che
avrei ammazzato Thomas, non Chuck. Non avrei mai permesso a me stesso di uccidere
quel povero ragazzino, mai nella vita.»
«È così generoso da parte tua» disse Minho.
«Quindi mi volevi morto?» chiese Thomas, sorpreso dalla sua onestà.
Gally fece un sorrisetto beffardo. «Non metterti a piagnucolare con me. Io ti odiavo più
di quanto abbia mai odiato qualcuno in vita mia. Ma quello che è successo nel passato
non conta più un accidente. Dobbiamo parlare del futuro. Della fine del mondo.»
«Aspetto un momento, muchacho» disse Jorge. «Prima di tutto, ci dirai ogni singola
cosa successa da quando ti hanno allontanato dalla C.A.T.T.I.V.O. fino al momento in cui
sei finito seduto lì dove sei adesso.»
«E come facevi a sapere che stavamo arrivando» aggiunse Minho. «E quando. E chi era
quello strano tizio che ci ha consegnato il messaggio?»
Gally sorrise di nuovo in modo beffardo, il che rese il suo aspetto ancora più
spaventoso. «Immagino che stare alla C.A.T.T.I.V.O. non porti esattamente ad avere
fiducia nel prossimo, giusto?»
«Hanno ragione» disse Thomas. «Devi dirci cosa sta succedendo. Soprattutto se vuoi il
nostro aiuto.»
«Il vostro aiuto?» chiese Gally. «Non so se la metterei così. Ma sono sicuro che abbiamo
gli stessi obiettivi.»
«Senti,» disse Thomas «ci serve un motivo per fidarci di te. Parla e basta.»
Dopo una lunga pausa, Gally iniziò a raccontare. «Il tizio che vi ha dato il messaggio si
chiama Richard. È membro di un gruppo che si chiama il Braccio Destro. Hanno gente in
ogni città e in ogni Paese rimasto su questo schifo di pianeta. La loro missione è
annientare i nostri vecchi amici − usare i soldi e l’influenza della C.A.T.T.I.V.O. per cose
che contano davvero − ma non hanno le risorse per annientare un’organizzazione così
grande e potente. Vogliono agire, ma gli mancano ancora delle informazioni.»
«Abbiamo sentito parlare di loro» disse Brenda. «Ma tu come sei finito a farne parte?»
«Hanno un paio di spie nella sede principale della C.A.T.T.I.V.O., e mi hanno avvicinato,
mi hanno spiegato che se avessi finto di impazzire sarei stato allontanato. Io avrei fatto
qualunque cosa per andarmene da lì. Ad ogni modo, il Braccio Destro voleva qualcuno
che avesse accesso a informazioni riservate, che sapesse come funzionano le cose
all’interno dell’edificio, che conoscesse i sistemi di sicurezza, questo genere di sploff. Così
hanno attaccato l’auto che mi scortava e mi hanno prelevato. Mi hanno portato qui.
Riguardo al fatto che sapessi del vostro arrivo, abbiamo ricevuto un messaggio anonimo
in rete. Ho pensato che lo aveste mandato voi.»
Thomas guardò Brenda in cerca di una spiegazione, ma in cambio ricevette solo
un’alzata di spalle.
«Quindi non siete stati voi» disse Gally. «Allora forse era qualcuno dal quartier generale
che voleva mettere all’erta i cacciatori di taglie o roba simile. Comunque, una volta che
l’abbiamo saputo, si trattava solo di violare il sistema aeroportuale per vedere dove fosse
atterrata una Berga.»
«E tu ci hai fatto venire qui per discutere di come smantellare la C.A.T.T.I.V.O.?» chiese
Thomas. Persino la remota possibilità di una cosa del genere lo riempiva di speranza.
Gally annuì lentamente, prendendosi del tempo prima di rispondere. «Lo fai sembrare
così semplice. Comunque sì, diciamo che in parole povere si tratta di questo. Ma abbiamo
due grossi problemi da risolvere.»
Brenda non stava nella pelle. «Quali? Sputa il rospo.»
«Calma, ragazzina.»
«Che problemi?» insistette Thomas.
Gally lanciò un’occhiataccia a Brenda, poi spostò di nuovo lo sguardo su Thomas. «Prima
di tutto, gira voce che in questa città del caspio l’Eruzione stia dilagando, e che stiano
corrompendo chiunque per tenere segreta la cosa perché a essere malati sono pezzi
grossi del governo. Nascondono gli effetti con il Nirvana, che rallenta il decorso
dell’Eruzione così chi ce l’ha riesce a confondersi tra gli altri, ma intanto il virus continua a
diffondersi. A parer mio, è così in ogni parte del mondo. È semplicemente impossibile
tenere fuori quella bestia.»
Thomas sentì una fitta di paura alla bocca dello stomaco. L’idea di un mondo invaso da
orde di Spaccati era terrificante. Non riusciva nemmeno a immaginare quanto sarebbe
stato orribile; a quel punto, essere immuni non sarebbe servito a niente.
«Qual è l’altro problema?» chiese Minho. «Come se questo non fosse già abbastanza
grave.»
«La gente come noi.»
«La gente come noi?» ripeté Brenda, confusa. «Intendi gli immuni?»
«Già.» Gally si piegò in avanti. «Stanno scomparendo. Vengono rapiti o scappano,
scompaiono nel nulla; non si sa. Un uccellino mi ha detto che li raggruppano e li vendono
alla C.A.T.T.I.V.O., così loro possono continuare le Prove. Ricominciare tutto da capo, se
necessario. Che sia vero o no, la popolazione di immuni di questa e di altre città negli
ultimi sei mesi si è dimezzata, e la maggior parte sta scomparendo senza lasciare traccia.
La cosa sta provocando diversi grattacapi. La città ha bisogno di loro più di quanto la
gente non si renda conto.»
L’ansia di Thomas aumentò ancora di più. «Ma la gente odia i Muni... non è così che ci
chiamano? Forse li stanno ammazzando, o roba del genere.» Detestava l’altra possibilità
che gli era venuta in mente: che la C.A.T.T.I.V.O. li stesse rapendo e stesse facendo
passare anche a loro tutto quello che aveva passato lui.
«Ne dubito» disse Gally. «Il mio uccellino è una fonte attendibile, e questa storia puzza
di C.A.T.T.I.V.O. fino al midollo. Questi problemi creano una brutta combinazione.
L’Eruzione è ad ogni angolo della città, anche se il governo sostiene il contrario. E gli
immuni si stanno volatilizzando. Qualunque cosa stia succedendo, non rimarrà nessuno a
Denver. E nelle altre città chi lo sa.»
«Allora questo cosa c’entra con noi?» chiese Jorge.
Gally sembrò sorpreso. «In che senso? Non ti importa che la civiltà stia per estinguersi?
Le città si stanno sgretolando. Ben presto ci sarà solo un mondo di psicopatici che
vogliono mangiarti per cena.»
«Certo che ci importa» rispose Thomas. «Ma cosa vuoi che facciamo?»
«Ehi, tutto quello che so è che la C.A.T.T.I.V.O. ha un solo motivo di esistere: trovare
una cura. Ed è piuttosto ovvio che non succederà. Se noi avessimo i loro soldi, le loro
risorse, potremmo usarle per dare un aiuto reale. Per proteggere chi è sano. Pensavo che
lo voleste anche voi.»
Thomas lo voleva, era ovvio. Disperatamente.
Vedendo che nessuno rispondeva, Gally scrollò le spalle. «Non abbiamo molto da
perdere. Tanto vale provarci.»
«Gally,» disse Thomas «tu sai qualcosa di Teresa e di un altro gruppo di persone che è
scappato oggi come noi?»
Gally annuì. «Sì, abbiamo trovato anche loro, e gli abbiamo dato lo stesso messaggio
che sto dando a voi. Chi pensavi che fosse il mio uccellino?»
«Teresa» sussurrò Thomas. In lui si accese un barlume di speranza. Doveva essersi
ricordata tutte quelle cose sulla C.A.T.T.I.V.O. quando avevano rimosso il Filtro. Era
possibile che l’operazione le avesse fatto cambiare atteggiamento? Forse si era
finalmente lasciata alle spalle la convinzione che la C.A.T.T.I.V.O. fosse buona?
«Esatto. Ha detto che non poteva essere d’accordo con loro nel riniziare il ciclo da capo.
E anche qualcosa riguardo al fatto che sperava di trovarti. Ma c’è un’altra cosa.»
Thomas sospirò. «Non deve essere niente di buono.»
Gally scrollò le spalle. «Non lo è mai di questi tempi. A uno dei nostri che stava
cercando il vostro gruppo è arrivata una strana voce. Ha detto che riguarda tutte le
persone che stanno scappando dal quartier generale della C.A.T.T.I.V.O. Non so se siano
in grado di rintracciarvi o meno, ma a quanto pare si erano comunque immaginati che
sareste venuti a Denver.»
«Perché?» chiese Thomas. «Qual è questa voce?»
«C’è una grossa taglia su un tizio di nome Hans che lavorava lì, e che vive qui adesso.
La C.A.T.T.I.V.O. pensa che siate venuti qui per lui, e lo vogliono morto.»
26
Brenda si alzò. «Ce ne andiamo. Subito. Forza.»
Jorge e Minho si tirarono su da terra, e mentre si univa a loro, Thomas capì che prima
Brenda aveva ragione. Adesso la loro priorità doveva essere trovare Hans. Doveva
togliergli dalla testa il dispositivo di localizzazione, e se la C.A.T.T.I.V.O. stava dando la
caccia a Hans, loro dovevano batterla sul tempo. «Gally, mi giuri che tutto quello che ci
hai detto è vero?»
«Ogni singola parola.» Il Raduraio non si era mosso dal suo posto sul pavimento. «Il
Braccio Destro vuole agire. Stanno organizzando qualcosa in questo preciso istante. Ma
hanno bisogno di informazioni sulla C.A.T.T.I.V.O., e chi meglio di voi può aiutarci? Se
riuscissimo a convincere anche Teresa e gli altri, sarebbe fantastico. Abbiamo bisogno di
più gente possibile.»
Thomas decise di fidarsi di Gally. Forse non si erano mai piaciuti, ma avevano lo stesso
nemico, e questo significava che erano nella stessa squadra. «Cosa dobbiamo fare se
decidiamo di unirci a voi?» chiese alla fine. «Tornare qui? Andare da un’altra parte?»
Gally sorrise. «Tornate qui. A qualunque ora prima delle nove, nove e un quarto della
mattina, entro una settimana. Dovrei essere nei paraggi. Non credo che faremo nessuna
mossa prima di allora.»
«Mossa?» chiese Thomas. La curiosità lo stava divorando.
«Ti ho già detto abbastanza. Se vuoi sapere di più, devi tornare. Io sarò qui.»
Thomas annuì, poi gli porse la mano. Gally la strinse.
«Non ti porto nessun rancore» disse Thomas. «Durante la Mutazione hai visto quello che
avevo fatto per la C.A.T.T.I.V.O. Nemmeno io mi sarei fidato di me. E so che non volevi
uccidere Chuck. Solo, non aspettarti che ti abbracci ogni volta che ci vediamo.»
«Il sentimento è reciproco.»
Quando si voltò per andarsene, Brenda era già sulla porta ad aspettarlo. Ma prima che
lo facesse, Gally gli prese il gomito. «Ci resta poco tempo. Ma possiamo ancora fare
qualcosa.»
«Torneremo» disse Thomas, poi seguì i suoi amici. La paura dell’ignoto non lo
controllava più. La speranza si era fatta strada dentro di lui e si era messa al posto di
comando.
Non trovarono Hans fino al giorno seguente.
Dopo aver comprato dei vestiti e qualcosa da mangiare, Jorge riuscì a rimediare una
stanza in un alberghetto a buon mercato. Mentre Jorge e Brenda facevano decine di
telefonate a persone di cui Thomas non aveva mai sentito parlare, lui e Minho si misero a
navigare in rete usando il computer della stanza. Finalmente, dopo una ricerca durata
ore, qualcuno che Jorge chiamava ‘l’amico di un amico del nemico di un nemico’ gli diede
un indirizzo. A quel punto era tardi e andarono a dormire; a Thomas e Minho toccò il
pavimento mentre gli altri due si sistemarono sui due letti singoli.
La mattina dopo si fecero una doccia, mangiarono, e indossarono i vestiti nuovi. Poi
presero un taxi e si recarono subito nel posto in cui gli avevano detto che viveva Hans, un
palazzo in condizioni di poco migliori rispetto a quello di Gally. Salirono le scale fino al
quarto piano e bussarono a una porta grigia di metallo. La donna che aprì disse di non
aver mai sentito parlare di Hans, ma Jorge insistette. Poi, dietro di lei, spuntò un uomo
brizzolato con la mascella larga.
«Lasciali entrare» disse con voce roca.
Un minuto più tardi, Thomas e i suoi amici erano seduti intorno al tavolo traballante di
una cucina, e la loro attenzione era tutta rivolta all’uomo burbero e freddo di nome Hans.
«Sono contento di vedere che stai bene, Brenda» disse. «Anche tu, Jorge. Ma non sono
in vena di rimpatriate. Arriviamo al sodo e ditemi quello che volete.»
«Credo che tu conosca il motivo della nostra visita» rispose Brenda, poi fece un cenno
con la testa verso Thomas e Minho. «Ma abbiamo anche sentito dire che la C.A.T.T.I.V.O.
ha messo una taglia sulla tua testa. Dobbiamo fare questa cosa in fretta, e poi dovrai
andartene di qui.»
Hans sembrò ignorare la seconda parte, intento a guardare i suoi due potenziali
pazienti. «Quindi avete ancora l’impianto?»
Thomas annuì, nervoso ma deciso a sistemare la questione. «Voglio solo sbarazzarmi
del dispositivo con cui mi controllano. Non voglio recuperare la memoria. E prima voglio
sapere come si svolge l’operazione.»
Hans fece un’espressione disgustata. «Che razza di idiozia è questa? Brenda, chi è
questo bamboccio codardo che hai portato in casa mia?»
«Non sono un codardo» disse Thomas prima che lei potesse rispondere. «È solo che
hanno armeggiato in troppi nella mia testa.»
Hans lanciò le mani verso l’alto, poi le sbatté sul tavolo. «Chi ti ha detto che avrei fatto
qualcosa alla tua testa? Chi ti ha detto che mi piaci abbastanza da volerlo fare?»
«Esiste qualcuno di gentile a Denver?» mormorò Minho.
«Tempo tre secondi e vi sbatto fuori da casa mia.»
«State tutti zitti un attimo!» gridò Brenda. Poi si chinò verso Hans e parlò con voce più
tranquilla. «Ascolta, questo è importante. Thomas è importante, e la C.A.T.T.I.V.O. è
disposta a fare qualunque cosa per mettere le mani su di lui. Non possiamo correre il
rischio che si avvicinino quanto basta per cominciare a controllare lui, o anche Minho.»
Hans fissò Thomas, scrutandolo come uno scienziato esamina un esemplare raro. «A me
non sembra importante.» Scosse la testa e si alzò. «Datemi cinque minuti per preparare
tutto» disse, poi scomparve dietro una porta laterale senza altre spiegazioni. Thomas si
chiese se l’uomo lo avesse riconosciuto. Se sapesse quello che aveva fatto per la
C.A.T.T.I.V.O. prima del Labirinto.
Brenda si rimise seduta e fece un sospiro. «Non è andata poi tanto male.»
Già, pensò Thomas, la parte peggiore arriva adesso. Era sollevato che Hans li avrebbe
aiutati, ma guardandosi in giro il suo nervosismo non faceva che aumentare. Stava per
lasciare che uno sconosciuto mettesse le mani nel suo cervello in un vecchio
appartamento sporco.
Minho rise sotto i baffi. «Ehi, Tommy, hai l’aria spaventata.»
«Non ti dimenticare, muchacho,» disse Jorge «che lo devi fare anche tu. Quel nonnetto
dai capelli brizzolati ha detto cinque minuti, quindi preparati.»
«Prima è meglio è» rispose Minho.
Thomas sentì che cominciava a pulsargli la testa. Appoggiò i gomiti sul tavolo e se la
tenne con le mani.
«Thomas?» sussurrò Brenda. «Tutto okay?»
Sollevò lo sguardo. «Ho solo bisogno di...»
Le parole gli si bloccarono in gola mentre una fitta acuta gli percorreva la spina dorsale.
Ma passò in fretta, così come era venuta. Raddrizzò la schiena, allarmato; poi uno
spasmo lo spinse a stendere le braccia e a scalciare, facendolo contorcere finché non
scivolò dalla sedia e cadde a terra, tremante. Quando la schiena sbatté sulle piastrelle
dure, lanciò un urlo. Stava cercando in tutti i modi di controllare gli arti che si agitavano
con violenza. Ma era inutile. I piedi sbattevano sul pavimento, gli stinchi contro le gambe
del tavolo.
«Thomas!» gridò Brenda. «Che ti succede?»
Nonostante avesse perso il controllo del corpo, la sua mente era lucida.
Con la coda dell’occhio riusciva a vedere Minho sul pavimento accanto a lui, che tentava
di calmarlo, e Jorge raggelato, con gli occhi spalancati.
Provò a parlare, ma dalla bocca gli usciva solo saliva.
«Riesci a sentirmi?» gridò Brenda, piegandosi su di lui. «Thomas, che ti succede?»
Poi gli arti si bloccarono di colpo, le gambe si distesero e si fermarono, le braccia
caddero sui fianchi a peso morto. Non riusciva a muoverle. Si sforzò, ma non accadde
niente. Provò di nuovo a parlare, ma le parole non uscivano.
L’espressione sul viso di Brenda cambiò, era quasi terrorizzata. «Thomas?»
Non sapeva come, ma il suo corpo aveva cominciato a muoversi anche se lui non glielo
stava ordinando. Le braccia e le gambe si spostarono, si stava rimettendo in piedi.
Era come se fosse diventato una marionetta. Cercò di gridare ma non ci riuscì.
«Stai bene?» chiese Minho.
Fu preso dal panico mentre continuava a fare cose contro il suo volere. La testa si
mosse a scatti, poi si girò verso la porta dietro la quale era scomparso il padrone di casa.
Dalla sua bocca iniziarono a uscire delle parole, ma non sapeva da dove arrivassero.
«Non posso... lasciarvelo... fare.»
27
Thomas lottò disperatamente, sforzandosi di controllare i muscoli. Ma qualcosa di
estraneo aveva preso il comando del suo corpo.
«Thomas, ti stanno manovrando!» gridò Brenda. «Reagisci!»
Osservò impotente la sua mano spingere via il viso della ragazza, che cadde a terra.
Jorge si avvicinò per proteggerla, ma Thomas allungò il braccio e lo colpì con un pugno
dritto sul mento. La testa dell’uomo si piegò all’indietro; un piccolo schizzo di sangue
fuoriuscì dal labbro.
Sentì di nuovo le parole uscirgli a forza dalla bocca. «Non posso... lasciarvelo fare!» A
quel punto stava urlando, tanto che gli faceva male la gola. Era come se la sua mente
fosse stata programmata con quella frase e lui non potesse dire altro.
Brenda si era rimessa in piedi. Minho era inebetito, se ne stava lì in piedi con
un’espressione scioccata. Jorge si stava pulendo il mento dal sangue, lo sguardo pieno di
rabbia.
E all’improvviso un ricordo sbiadito riaffiorò nella mente di Thomas. Qualcosa riguardo a
un dispositivo di sicurezza inserito all’interno dell’impianto che aveva nella testa per
evitarne la rimozione. Voleva gridarlo ai suoi amici, dirgli di sedarlo. Ma non ci riusciva.
Spinse via Minho, mentre si avviava barcollando verso la porta. Quando passò accanto al
bancone della cucina, allungò la mano per prendere un coltello vicino al lavello. Strinse il
manico, e più cercava di lasciarlo cadere, più le sue dita si chiudevano.
«Thomas!» gridò Minho, ripresosi dallo stato confusionale. «Reagisci, accidenti! Sbatti
fuori quella gente del caspio dalla tua testa!»
Thomas si girò per guardarlo, con il coltello sollevato. Si odiava per essere così debole,
per non riuscire a governare i suoi stessi movimenti. Provò ancora una volta a parlare, ma
fu inutile. L’unica cosa che il suo corpo era disposto a fare a quel punto era evitare a
qualunque costo che l’impianto venisse rimosso.
«Mi ucciderai, testapuzzona?» chiese Minho. «Mi lancerai quell’affare proprio come Gally
ha fatto con Chuck? Fallo, allora. Lancialo.»
Per un attimo, l’idea che fosse esattamente quello che stava per fare lo terrorizzò, ma il
suo corpo si voltò dall’altra parte. In quel preciso istante, Hans spuntò dalla porta, e
rimase allibito. Thomas dedusse che doveva essere lui il suo bersaglio, che il dispositivo
di sicurezza avrebbe attaccato chiunque stesse cercando di rimuovere l’impianto.
«Cosa diavolo succede?» chiese Hans.
«Non posso... lasciarvelo... fare» rispose Thomas.
«Temevo una cosa del genere» mormorò Hans. Si voltò verso il gruppo. «Venite qui ad
aiutarmi!»
Thomas immaginò il funzionamento interno del meccanismo nel suo cervello come dei
minuscoli strumenti manovrati da minuscoli ragnetti. Lottò contro di loro, strinse i denti.
Ma il suo braccio cominciò a sollevarsi, il coltello stretto nel pugno.
«Non po...» Prima che potesse finire la frase, qualcuno lo colpì da dietro, facendogli
cadere il coltello dalla mano. Thomas finì a terra e quando si girò vide Minho.
«Non permetterò che tu uccida qualcuno» gli disse l’amico.
«Lasciami!» gridò Thomas, senza sapere se quelle parole fossero sue o della
C.A.T.T.I.V.O.
Minho gli aveva bloccato le braccia contro il pavimento. Era sopra di lui, e ansimava per
riprendere fiato. «Non mi toglierò finché non se ne saranno andati dalla tua testa.»
Thomas voleva sorridere, ma il suo viso non riusciva a obbedire nemmeno a un
semplice comando. Ogni singolo muscolo del suo corpo era in tensione.
«Andrà avanti così finché Hans non interverrà» disse Brenda. «Hans?»
L’uomo si inginocchiò accanto a Thomas e Minho. «Non riesco a credere di aver lavorato
per quelle persone. Per te.» Pronunciò quell’ultima parola quasi sputando, guardandolo
dritto negli occhi.
Thomas osservava tutto, impotente. Gli ribolliva il sangue dal desiderio di calmarsi, di
aiutare Hans a fare ciò che doveva. Poi qualcosa dentro di lui scattò, facendogli inarcare il
busto verso l’alto. Il corpo si impennò nel tentativo di liberare le braccia. Minho lo spinse
giù, cercando di posizionare le gambe in modo da sedersi sulla sua schiena. Ma
qualunque cosa stesse controllando Thomas, sembrava rilasciare dentro di lui adrenalina;
la sua forza superò quella di Minho e scaraventò via l’amico.
Thomas si ritrovò in piedi nel giro di un secondo. Prese il coltello dal pavimento e si
gettò su Hans, puntandogli contro la lama. L’uomo si riparò con l’avambraccio, che
cominciò a sanguinare mentre i due cadevano a terra e rotolavano sul pavimento,
lottando l’uno contro l’altro. Thomas fece tutto il possibile per fermarsi, ma il coltello
continuava a sferrare colpi mentre Hans continuava a schivarli.
«Bloccatelo!» gridò Brenda, che doveva essere vicina.
Thomas vide delle mani, sentì che gli afferravano le braccia. Qualcuno lo prese per i
capelli tirandolo all’indietro. Thomas gridò dalla disperazione, poi si mise ad agitare il
coltello alla cieca. Provò una profonda sensazione di sollievo: Jorge e Minho stavano
avendo la meglio su di lui, erano riusciti a trascinarlo via da Hans. Cadde a terra di
schiena e il coltello gli scivolò dalla mano; sentì che sbatteva sul pavimento mentre
qualcuno lo spingeva in fondo alla cucina.
«Non posso lasciarvelo fare!» gridò. Si odiava anche se sapeva di non avere nessun
potere su sé stesso.
«Sta’ zitto!» gli rispose Minho urlandogli in faccia, mentre lui e Jorge lottavano per
impedirgli di liberarsi. «Sei pazzo, amico! Ti stanno facendo impazzire!»
Thomas desiderava con tutto sé stesso dire a Minho che aveva ragione... Non pensava
realmente quello che diceva.
Minho si voltò verso Hans. «Togliamogli quell’affare dalla testa!» gridò.
«No!» urlò Thomas. «No!» Si girò agitando le braccia, battendosi con una forza bestiale.
Ma quattro contro uno era troppo. In qualche modo riuscirono a prendergli ciascuno un
arto. Lo sollevarono da terra e lo portarono dalla cucina in un piccolo corridoio, mentre lui
scalciava e si contorceva, facendo cadere diverse cornici dalle pareti. Il rumore dei vetri
che si infrangevano li seguì.
Thomas urlò, ancora e ancora. Non aveva più forze per resistere ai comandi interni, il
suo corpo lottava contro Minho e gli altri; disse qualunque cosa voleva la C.A.T.T.I.V.O. Si
era arreso.
«Qui dentro!» gridò Hans sopra di lui.
Entrarono in un laboratorio angusto, con due tavoli pieni di strumenti e un letto. Sul
materasso penzolava una versione rozza della maschera che avevano visto alla
C.A.T.T.I.V.O.
«Mettetelo sul letto!» gridò Hans. Sbatterono Thomas giù di schiena, mentre lui
continuava a dimenarsi. «Tenete questa gamba al posto mio; io devo addormentarlo.»
Minho, che stava reggendo l’altra gamba, le afferrò entrambe e usò il peso del proprio
corpo per bloccarle contro il letto. La mente di Thomas tornò di colpo indietro nel tempo,
alla volta in cui lui e Newt avevano fatto la stessa cosa con Alby, quando si era risvegliato
dalla Mutazione nel Casolare della Radura.
Si sentì un forte rumore di ferri mentre Hans rovistava in un cassetto per cercare
qualcosa; poi tornò.
«Tenetelo il più fermo possibile!»
Thomas fece un ultimo tentativo per divincolarsi, gridando a squarciagola. Un braccio si
liberò dalla presa di Brenda e Jorge ci andò di mezzo, beccandosi un pugno in faccia.
«Smettila!» gridò Brenda allungando una mano.
Thomas inarcò di nuovo il torace. «Non posso... lasciarvelo fare!» Non aveva mai
provato una tale frustrazione in vita sua.
«Tenetelo fermo, accidenti!» gridò Hans.
In qualche modo Brenda riuscì a riafferrare il braccio, e ci si appoggiò sopra con il busto.
Thomas sentì una puntura alla gamba. Era così strano lottare contro qualcosa con tanta
ferocia e allo stesso tempo desiderare con tutto sé stesso che accadesse.
Quando il buio cominciò a circondarlo e il suo corpo si immobilizzò, riprese finalmente il
controllo di sé. «Odio quelle teste di caspio» disse all’ultimo secondo. E perse i sensi.
28
Nell’oscurità nebulosa dell’anestetico, Thomas sognò.
Ha quindici anni, è seduto su un letto. La stanza è al buio tranne che per il bagliore
ambrato di una lampada su una scrivania. C’è anche Teresa; ha preso una sedia e si è
messa vicino a lui. Ha un’espressione molto turbata, una maschera di infelicità.
«Abbiamo dovuto» dice piano.
Thomas è lì ma non lo è. Non ricorda i dettagli di quello che è successo, ma sa che si
sente marcio e sporco. Lui e Teresa hanno fatto qualcosa di orribile, ma il Thomas fuori
dal sogno non riesce a ricordarla esattamente. Una cosa tremenda, che è comunque
ripugnante anche se hanno ricevuto l’ordine di farla dalle persone a cui l’hanno fatto.
«Abbiamo dovuto» ripete Teresa.
«Lo so» replica Thomas, con una voce che sembra senza vita come la polvere.
Una parola gli balza alla mente: Eliminazione. Il muro che lo tiene lontano dai ricordi
per un istante si riduce, e un fatto spaventoso si profila dall’altra parte.
Teresa ricomincia a parlare. «Volevano che finisse così, Tom. Meglio morire che
trascorrere degli anni a impazzire. Adesso non ci sono più. Non avevamo scelta, e non
c’era modo migliore per far sì che accadesse. Quel che è fatto è fatto. Dobbiamo
addestrare nuove persone e andare avanti con le Prove. Arrivati a questo punto non
possiamo permettere che vada tutto a rotoli.»
Per un momento, Thomas la odia, ma passa subito. Sa che lei sta cercando di essere
forte. «Questo non significa che debba piacermi.» E non gli piace. Non ha mai detestato
sé stesso tanto profondamente.
Teresa annuisce ma non dice nulla.
Il Thomas fuori dal sogno cerca di invadere la mente di sé stesso più giovane, di
esplorare i ricordi in quello spazio senza limiti. I primi Creatori, contagiati dall’Eruzione,
eliminati e morti. Un numero infinito di volontari disposti a prendere il loro posto. Le due
Prove del Labirinto in corso, avviate da più di un anno e che vanno a gonfie vele, con
nuovi risultati ogni giorno. Il progetto della cianografia che procede lentamente, ma
senza intoppi. L’addestramento per i sostituti.
È tutto lì a portata di mano. Per essere ricordato. Ma poi Thomas cambia idea, si lascia
ogni cosa alle spalle. Il passato è passato. C’è solo il futuro adesso.
Affonda nel buio dell’oblio.
Si svegliò intontito e con un leggero dolore dietro agli occhi. Il sogno gli martellava
ancora la testa, anche se i dettagli si erano fatti più sfocati. Sapeva quanto bastava
sull’Eliminazione, sul suo ruolo di tramite fra i primi Creatori e i loro sostituti. Lui e Teresa
avevano dovuto sterminare l’intero staff in seguito a un’improvvisa epidemia; non
avevano avuto scelta, era rimasti gli unici a essere immuni. Giurò a sé stesso di non
pensarci mai più.
Minho era seduto su una poltrona lì vicino, con la testa penzoloni mentre russava
agitandosi nel sonno.
«Minho» sussurrò. «Ehi, Minho. Svegliati.»
«Eh?» Minho aprì gli occhi lentamente e tossì. «Che c’è? Che succede?»
«Niente. Volevo solo sapere com’è andata. Hans è riuscito a disattivare quell’affare?
Siamo a posto?»
Minho annuì facendo un grande sbadiglio. «Sì, tutti e due. Almeno così ha detto. Cavolo,
sei andato completamente fuori di testa. Te lo ricordi?»
«Certo che me lo ricordo.» Diventò rosso come un peperone per l’imbarazzo. «Ma era
come se fossi paralizzato o roba del genere. Ho provato e riprovato, ma qualcosa mi
controllava, e non riuscivo a fermarla.»
«Ti rendi conto che hai cercato di tranciarmi i gioielli di famiglia?»
Thomas rise, una cosa che non faceva da tempo. Si lasciò trasportare dal momento di
allegria. «Che occasione sprecata. Avrei potuto salvare il mondo dai futuri piccoli Minho.»
«Ricordati solo che sei in debito con me.»
«Bene così.» Lo era con tutti.
Brenda, Jorge e Hans entrarono nella stanza, tutti e tre con aria seria, e il sorriso sul
viso di Thomas si spense.
«È passato Gally a farvi un altro discorso d’incoraggiamento?» chiese Thomas,
sforzandosi di usare un tono scanzonato. «Sembra che siete stati a un funerale.»
«Da quand’è che sei così di buonumore, muchacho?» rispose Jorge. «Qualche ora fa ci
volevi accoltellare.»
Thomas aprì la bocca per scusarsi − per spiegare − ma Hans gli fece segno di non
parlare. Si chinò sul letto e gli controllò entrambi gli occhi con una piccola torcia. «Sembra
che la tua testa si stia riprendendo bene. Il dolore dovrebbe passare presto, la tua
operazione è stata un po’ più complicata per via di quel dispositivo di sicurezza.»
Thomas si rivolse a Brenda. «È andata bene?»
«Ha funzionato» disse la ragazza. «A giudicare dal fatto che non stai più cercando di
ucciderci, direi che è disattivato. E...»
«E cosa?»
«Be’, non dovresti più essere in grado di parlare con Teresa o Aris, né di sentirli.»
Se se lo fosse sentito dire anche solo il giorno prima, forse avrebbe provato una punta
di tristezza, ma adesso era solamente sollevato. «A me va benissimo. Guai all’orizzonte?»
Brenda scosse la testa. «No, ma Hans e sua moglie non possono correre rischi. Stanno
andando via, ma lui voleva dirti una cosa prima.»
Hans era indietreggiato e si era messo vicino alla parete, probabilmente per lasciare a
loro due un po’ di privacy. Si avvicinò di nuovo, lo sguardo basso. «Vorrei poter venire con
voi e aiutarvi, ma ho una moglie, e lei è la mia famiglia. Devo pensare a lei prima di
tutto. Volevo augurarvi buona fortuna. Spero che riusciate a fare quello che io non ho il
coraggio di provare.»
Thomas annuì. Il suo atteggiamento era cambiato notevolmente. Forse l’incidente di
poco prima gli aveva ricordato ciò di cui la C.A.T.T.I.V.O. era capace.
«Grazie. E se fermeremo la C.A.T.T.I.V.O., torneremo a cercarti.»
«Ci penseremo poi» mormorò Hans. «Sono molte le cose a cui dovremo pensare.»
Poi si voltò e raggiunse di nuovo la sua posizione vicino alla parete. Thomas era certo
che quell’uomo si portasse dietro molti brutti ricordi.
«E adesso che si fa?» chiese Brenda.
Thomas sapeva che non avevano tempo per riposarsi. E aveva le idee ben chiare su ciò
che dovevano fare. «Troviamo i nostri amici e li convinciamo a unirsi a noi. Poi torniamo
da Gally. L’unica cosa che ho concluso nella mia vita è stata aiutare a mettere in piedi un
esperimento che è fallito e ha afflitto un mucchio di ragazzi. È arrivato il momento di
aggiungere qualcos’altro alla lista. Fermeremo l’intera operazione prima che facciano la
stessa cosa a dei nuovi immuni.»
Dopo essere rimasto in silenzio per un po’, Jorge intervenne. «Noi? Cosa vuoi dire,
hermano?»
Thomas rivolse lo sguardo verso di lui, sempre più determinato. «Dobbiamo aiutare il
Braccio Destro.»
Rimasero tutti in silenzio.
«Va bene» disse alla fine Minho. «Ma prima mangiamo qualcosa.»
29
Andarono in un bar lì vicino, consigliato da Hans e sua moglie.
Thomas non era mai stato in un posto simile prima. Almeno che si ricordasse. I clienti si
mettevano in fila al bancone ad aspettare un caffè e un dolcetto, poi si sedevano a un
tavolino oppure se ne andavano. Osservò una donna anziana dall’aria nervosa, che
continuava a sollevare la sua mascherina chirurgica per sorseggiare la bevanda bollente.
Uno di quegli agenti con la camicia rossa era in piedi sulla porta, e ogni paio di minuti
sceglieva qualcuno a caso per sottoporlo al test dell’Eruzione con il suo piccolo
apparecchio portatile. Anche lui aveva uno strano aggeggio di metallo che gli copriva la
bocca e il naso.
Mentre Jorge andava a prendere qualcosa da mangiare e da bere, Thomas si sedette a
un tavolo nell’angolo in fondo al locale con Minho e Brenda. Non riusciva a staccare gli
occhi da un uomo, sui trentacinque-quarant’anni, che era seduto su una panchina non
lontana da loro, davanti alla grande vetrina che si affacciava sulla strada. Da quando
Thomas e i suoi amici erano arrivati, non aveva mai toccato il suo caffè, e dalla tazza non
si sollevava più fumo. Se ne stava lì con le spalle ricurve, i gomiti sulle ginocchia, le mani
leggermente intrecciate, a fissare un punto dalla parte opposta del locale.
C’era qualcosa di inquietante nel suo sguardo. Era vuoto. Gli occhi quasi galleggiavano
nelle orbite, eppure si intravedeva una punta di piacere. Quando Thomas lo fece notare a
Brenda, lei sussurrò che probabilmente l’uomo era sotto l’effetto del Nirvana e che se lo
avessero beccato sarebbe stato arrestato. A Thomas quel tizio dava i brividi. Sperava che
se ne andasse presto.
Jorge tornò con dei panini e delle tazze fumanti di caffè, e i quattro si misero a
mangiare e bere senza dire una parola. Thomas sapeva che erano tutti consci
dell’urgenza della situazione, ma era contento di riposarsi e recuperare un po’ le forze.
Finirono tutto e si prepararono per uscire, ma Brenda rimase seduta. «Vi dispiacerebbe
aspettare fuori per qualche minuto?» chiese. Dal suo sguardo era chiaro che si stava
riferendo a Jorge e Minho.
«Scusa?» rispose Minho con tono esasperato. «Altri segreti?»
«No. Niente del genere, giuro. Mi serve solo un attimo. Voglio dire una cosa a Thomas.»
Thomas era sorpreso ma incuriosito. Si rimise seduto. «Vai» disse, rivolgendosi a Minho.
«Sai che non ti nasconderei mai niente. E lo sa anche lei.»
Il suo amico borbottò, ma alla fine uscì con Jorge, e i due si fermarono sul marciapiede
accanto alla vetrina più vicina. Minho fece a Thomas un sorriso a trentadue denti e lo
salutò con la mano; dal suo sarcasmo era evidente che non fosse esattamente felice.
Thomas ricambiò il saluto, poi rivolse l’attenzione a Brenda.
«Allora? Di cosa si tratta?» le chiese.
«So che dobbiamo sbrigarci, sarò velocissima. Non abbiamo avuto occasione di stare da
soli, e voglio solo essere sicura che tu non abbia alcun dubbio su ciò che è successo nella
Zona Bruciata. Non stavo recitando. Ero lì per svolgere un lavoro, ero lì per fare in modo
che le cose seguissero il loro corso, ma mi sono legata a te, e questo mi ha cambiata. E ci
sono alcune cose che è giusto tu sappia. Su di me, sulla cancelliera Paige, su...»
Thomas sollevò la mano per interromperla. «Fermati, per favore.»
Brenda si ritrasse, sorpresa. «Cosa? Perché?»
«Non voglio sapere niente. Non aggiungere altro. L’unica cosa che mi interessa è quello
che faremo d’ora in avanti, non voglio storie sul mio passato o sul tuo o sulla
C.A.T.T.I.V.O. Niente. E dobbiamo muoverci.»
«Ma...»
«No, Brenda. Dico sul serio. Siamo qui e abbiamo un obiettivo, ed è solo su questo che
dobbiamo concentrarci. Non ne voglio più discutere.»
Lei sostenne il suo sguardo senza dire niente, poi lo abbassò sulle mani che aveva
appoggiato sul tavolo. «Allora ti dirò soltanto che stai facendo la cosa giusta, stai
andando nella direzione giusta. E che io continuerò a fare del mio meglio per aiutarti.»
Thomas sperava di non aver ferito i suoi sentimenti, ma pensava davvero quelle cose.
Era arrivato il momento di voltare pagina, anche se ovviamente c’era qualcosa che lei
moriva dalla voglia di dirgli. Mentre pensava a cosa potesse essere, i suoi occhi si
spostarono di nuovo sullo strano uomo sulla panchina. Aveva tirato fuori dalla tasca
qualcosa che Thomas non riusciva a vedere e lo teneva premuto nella piega del braccio
destro. Chiuse le palpebre a lungo, e quando le riaprì sembrava un po’ stordito. La testa
si piegò all’indietro lentamente finché non si appoggiò alla vetrina.
L’agente con la camicia rossa che esaminava i passanti entrò nel bar e Thomas si
sporse in avanti per vedere meglio. Camminò verso la panchina dove il tizio sotto l’effetto
della droga si stava ancora riposando beatamente. Una donna bassa passò accanto
all’agente e gli sussurrò qualcosa all’orecchio, gesticolando in modo frenetico.
«Thomas?» lo chiamò Brenda.
Lui si mise un dito sulle labbra, poi fece un cenno verso il possibile confronto. Lei girò la
schiena e vide quello che stava succedendo.
L’agente diede un calcio alla punta del piede del tizio sulla panchina, che fece una
smorfia e sollevò lo sguardo. I due cominciarono a parlare, ma Thomas non riusciva a
sentire quello che si dicevano per via della confusione nel bar affollato. L’uomo che prima
si stava rilassando di colpo sembrava spaventato.
Brenda si rigirò verso Thomas. «Dobbiamo andarcene da qui. Subito.»
«Perché?» Le cose sembravano complicarsi, e Thomas era incuriosito.
Brenda era già in piedi. «Andiamo e basta!»
Si incamminò di corsa verso l’uscita, e alla fine Thomas si decise a seguirla. Si era
appena alzato dalla sedia quando l’agente tirò fuori una pistola e la puntò contro l’uomo
sulla panchina, poi si allungò per appoggiargli l’apparecchio per il test sul viso. L’uomo
però con una manata colpì l’apparecchio e scattò in avanti, buttandosi su di lui. Thomas
fissava la scena pietrificato, mentre la pistola scivolava sul pavimento e scompariva sotto
il bancone. I due uomini sbatterono contro un tavolo e caddero a terra.
L’agente con la camicia rossa cominciò a gridare; la sua voce sembrava quasi robotica
per via della maschera metallica che gli copriva la bocca e il naso. «Abbiamo un infetto!
Evacuare l’edificio!»
Scoppiò il pandemonio; le urla riempirono l’aria mentre tutti si riversavano verso l’unica
uscita.
30
Thomas si pentì di aver esitato. Sarebbe dovuto scappare quando ne aveva avuto
l’occasione. Adesso una massa di persone stava spingendo verso l’uscita, bloccando la
porta. Brenda non sarebbe riuscita a tornare indietro nemmeno se ci avesse provato.
Thomas non poteva muoversi dal tavolo, e osservava allibito i due uomini che lottavano
sul pavimento, tra pugni e strattoni, cercando di avere la meglio sull’altro.
Pensò che nonostante potesse essere pericoloso ritrovarsi in mezzo alla folla in fuga, in
realtà non aveva niente di cui preoccuparsi. Lui era immune. Il resto della gente nel bar
era entrata nel panico sapendo che il virus era così vicino. Ed era comprensibile: le
probabilità che almeno uno fosse stato contagiato erano altissime. Ma finché fosse
riuscito a restare fuori da quel trambusto, probabilmente era meglio che rimanesse
dov’era.
Qualcuno bussò sulla vetrina, e quando si voltò vide Brenda accanto a Minho e Jorge sul
marciapiede; era molto agitata e gli stava facendo segno di uscire. Ma Thomas voleva
vedere quello che accadeva.
L’agente era finalmente riuscito a immobilizzare l’uomo sul pavimento. «È finita! Stanno
già arrivando» gridò, di nuovo con quella voce meccanica che dava i brividi.
L’uomo infetto smise di dimenarsi e scoppiò in un pianto a dirotto. Fu in quel momento
che Thomas si rese conto che tutta la folla era uscita e il bar era vuoto, eccetto che per i
due uomini e lui. Calò un silenzio inquietante.
L’agente gli lanciò un’occhiata. «Perché sei ancora qui, ragazzo? Hai voglia di morire?»
Ma non gli lasciò il tempo di rispondere. «Se hai intenzione di restare nei paraggi, renditi
utile. Cerca la mia pistola.» Poi tornò a concentrarsi sull’uomo che stava trattenendo.
A Thomas sembrò di essere in un sogno. Aveva visto molta violenza, ma questo per
qualche ragione era diverso. Andò a prendere la pistola da sotto il bancone dove era
scomparsa. «Io... io sono immune» balbettò. Si mise in ginocchio e allungò il braccio,
sforzandosi finché le dita non trovarono il freddo metallo. Tirò fuori la pistola e andò a
portarla all’agente.
L’uomo non lo ringraziò. La prese e si rimise in piedi con un salto, poi puntò l’arma
contro il viso dell’uomo infetto. «Non va bene, non va per niente bene. Sta succedendo
sempre più spesso. Si vede se qualcuno è sotto l’effetto del Nirvana.»
«Dunque era davvero il Nirvana» mormorò Thomas.
«Lo sapevi?» chiese la guardia.
«Be’, da quando sono arrivato questo tizio mi è sembrato strano.»
«E non hai detto niente?» La pelle intorno alla maschera era rossa quasi quanto la sua
camicia. «Cosa ti dice il cervello?»
Thomas rimase di sasso davanti alla rabbia improvvisa dell’agente. «Mi... mi dispiace.
Non capivo bene cosa stesse accadendo.»
L’uomo infetto si era raggomitolato sul pavimento e stava singhiozzando. Alla fine
l’agente si allontanò da lui di qualche passo e guardò Thomas con aria severa. «Non lo
capivi? Che razza di... Da dove vieni?»
Adesso Thomas si pentì davvero di non essere scappato. «Io... mi chiamo Thomas. Non
sono nessuno. Ho solo...» Pensò a qualcosa da dire, per spiegarsi. «Non sono di queste
parti. Mi scusi.»
L’agente gli puntò contro la pistola. «Mettiti seduto. Proprio lì, seduto.» Agitò l’arma
verso una sedia lì vicino.
«Aspetti! Giuro che sono immune!» Il cuore gli batteva all’impazzata. «È per questo che
ho...»
«Metti giù il sedere! Immediatamente!»
Gli cedettero le ginocchia; si lasciò cadere sulla sedia. Guardò verso la porta con la coda
dell’occhio e si sentì un po’ più tranquillo quando vide che lì in piedi c’era Minho, con
Brenda e Jorge subito dietro. Ma non voleva coinvolgere i suoi amici, non voleva rischiare
che venissero feriti. Scosse in fretta la testa per avvisarli di restarne fuori.
L’agente li ignorò, concentrandosi solo su di lui. «Se sei così sicuro di essere un Mune,
allora non ti dispiacerà fare il test per provarlo, giusto?»
«No.» In realtà si sentì sollevato all’idea; magari quell’uomo lo avrebbe lasciato andare
una volta resosi conto che stava dicendo la verità. «Allora facciamolo.»
L’agente mise la pistola nella fondina e si avvicinò. Tirò fuori l’apparecchio e si piegò in
avanti per appoggiarglielo sul viso.
«Guarda dentro, gli occhi aperti» disse. «Ci vorrà solo qualche secondo.»
Thomas obbedì, desiderando che finisse tutto il prima possibile. Vide lo stesso lampo di
luci colorate che aveva visto ai cancelli della città, sentì lo stesso sbuffo d’aria e la
puntura sul collo.
L’agente riprese l’apparecchio e controllò il risultato su un piccolo schermo. «Be’, chi
l’avrebbe detto. Sei davvero un maledetto Mune. Ti dispiacerebbe spiegarmi come sei
finito a Denver e come fai a non sapere un accidente del Nirvana o come riconoscere un
drogato quando ne vedi uno?»
«Io lavoro per la C.A.T.T.I.V.O.» Lo disse senza riflettere. Voleva solo andarsene di lì.
«Credo a questa cavolata quanto credo che i problemi di quel tizio non abbiano niente a
che fare con l’Eruzione. Tieni il sedere incollato dov’è o comincerò a sparare.»
Thomas deglutì. Non era tanto spaventato quanto arrabbiato con sé stesso per essersi
messo in una situazione così ridicola. «Okay» disse.
L’agente si era già voltato dall’altra parte. Erano arrivati i rinforzi, quattro persone
coperte da una spessa tuta di plastica verde dalla testa ai piedi, tranne il viso.
Indossavano dei grossi occhialini, sotto i quali c’era una maschera come quella che
portava l’agente. Nella mente di Thomas passarono delle immagini sfocate, ma quella
che spiccava era il ricordo più completo: la volta in cui era stato portato via dalla Zona
Bruciata, dopo che gli avevano sparato e la ferita si era infettata. Tutti su quella Berga
indossavano la stessa divisa di quelle quattro persone.
«Cos’è questa storia?» chiese uno di loro, anche lui con voce meccanica. «Ne hai presi
due?»
«Non proprio» rispose l’agente. «Ho trovato un Mune, pensa di voler restare a godersi lo
spettacolo.»
«Un Mune?» L’altro uomo sembrava non credere alle proprie orecchie.
«Un Mune. È rimasto immobile mentre tutti gli altri sono schizzati fuori di qui, sostiene
che voleva vedere cosa succedeva. E come se non bastasse, dice che sospettava che il
nostro futuro Spaccato qui fosse sotto l’effetto del Nirvana, e non l’ha detto a nessuno, ha
continuato a bere il suo caffè come se niente fosse.»
Guardarono tutti Thomas, ma lui era senza parole. Scrollò le spalle e basta.
L’agente fece un passo indietro mentre i quattro operatori sotto il telo di protezione
circondavano l’uomo infetto che stava ancora singhiozzando, rannicchiato su un fianco per
terra. Uno dei nuovi arrivati stringeva tra le mani un oggetto azzurro di plastica spessa
con uno strano ugello, e lo stava puntando verso l’uomo sul pavimento come se fosse
un’arma. Aveva un aspetto minaccioso, e Thomas frugò nella mente svuotata dai ricordi
per intuire cosa potesse essere, ma senza risultato.
«Devo chiederle di stendere le gambe, signore» disse il capo degli operatori. «Tenga il
corpo fermo, non si muova, cerchi di rilassarsi.»
«Non lo sapevo!» piagnucolò l’uomo. «Come facevo a saperlo?»
«Sì che lo sapevi!» gridò l’agente da un lato. «Nessuno prende il Nirvana tanto per
prenderlo.»
«Mi piace la sensazione che mi dà!» Sentendo il tono supplichevole nella sua voce,
Thomas provò una gran pena per lui.
«Ci sono molte droghe più a buon mercato di quella. Smettila di mentire e chiudi il
becco.» L’agente con la camicia rossa agitò la mano come se stesse scacciando una
mosca. «Chi se ne frega. Impacchettate quell’idiota.»
Thomas osservò l’uomo infetto rannicchiarsi ancora di più, stringendosi le gambe al
petto con le braccia. «Non è giusto. Non lo sapevo! Sbattetemi fuori dalla città e basta.
Giuro che non tornerò mai. Lo giuro. Lo giuro!» Scoppiò in un altro straziante pianto a
dirotto.
«Oh, ti manderanno via, tranquillo» disse la guardia, e per qualche motivo si mise a
fissare Thomas. Sembrava che stesse sorridendo dietro la maschera. I suoi occhi
brillavano di una specie di soddisfazione. «Continua a guardare, Mune. Ti piacerà.»
All’improvviso, Thomas sentì un odio per quell’uomo, come mai gli era successo per
nessuno. Distolse lo sguardo da lui e tornò a concentrarsi sulle quattro persone con la
tuta di plastica, che adesso erano accovacciate e si stavano avvicinando al povero tizio
sul pavimento.
«Stenda le gambe» ripeté uno di loro «o le farà un male terribile. Le stenda. Subito!»
«Non ci riesco! Per favore, lasciatemi andare!»
L’agente camminò a passo deciso verso l’uomo, spingendo via uno degli operatori, poi si
chinò in avanti e gli puntò la pistola alla testa. «Stendi le gambe, o ti beccherai una
pallottola nel cervello e farai un favore a tutti. Sbrigati!» Thomas era sbigottito dalla
totale mancanza di compassione di quel tizio.
Piagnucolando, con gli occhi pieni di terrore, l’uomo infetto lasciò andare lentamente le
gambe, le allungò, e si stese a terra mentre tutto il suo corpo tremava. L’agente
indietreggiò, riponendo la pistola nella fondina.
La persona con lo strano oggetto azzurro si spostò immediatamente sistemandosi dietro
la testa dell’uomo, poi gli piazzò l’ugello sopra la nuca, spingendolo tra i capelli.
«Cerchi di non muoversi.» Era una donna, e, se possibile, la sua voce filtrata dalla
maschera a Thomas sembrava ancora più inquietante di quella degli uomini. «O perderà
qualcosa.»
Thomas ebbe a malapena il tempo di chiedersi cosa volesse dire, prima che la donna
premesse un pulsante e una sostanza simile a un gel schizzasse fuori dall’ugello. Era
azzurra e densa ma si espandeva velocemente, sulla testa dell’uomo, poi giù verso le
orecchie e sul viso. Il tizio si mise a gridare, ma l’urlo venne soffocato dal gel che gli coprì
la bocca, per poi scendere verso il collo e le spalle. Mentre colava la sostanza si
solidificava, trasformandosi in una specie di guscio trasparente. Nel giro di pochi secondi,
metà del corpo dell’infetto era rigida, coperta da uno strato avvolgente di quella roba,
che penetrava in ogni cavità della pelle e tra le pieghe dei vestiti.
Thomas notò che l’agente lo stava guardando, e alla fine incrociò il suo sguardo.
«Che c’è?» chiese Thomas.
«Uno spettacolo niente male, eh?» rispose quello. «Goditelo finché dura. Quando sarà
finito, tu vieni con me.»
31
Thomas sentì un tuffo al cuore; c’era qualcosa di sadico negli occhi dell’agente. Distolse
lo sguardo, tornando a concentrarsi sull’uomo infetto proprio mentre il gel azzurro
raggiungeva i piedi e si solidificava. Il tizio adesso era sdraiato, completamente
immobile, avvolto da un rivestimento di plastica dura. La donna con la pistola a gel si
alzò, e Thomas vide che l’aggeggio adesso si era ridotto a un semplice sacchetto vuoto.
La donna lo piegò e lo mise nella tasca della tuta verde.
«Portiamolo fuori di qui» disse.
Mentre i quattro operatori si piegavano e sollevavano l’uomo infetto, gli occhi di Thomas
si posarono per un attimo sull’agente, che stava osservando gli altri portare via il loro
prigioniero. Perché gli aveva detto che sarebbe andato con lui? Dove? Se non avesse
avuto una pistola, sarebbe scappato.
Quando gli altri uscirono dalla porta, Minho ricomparve. Stava per entrare, ma l’agente
tirò fuori la sua arma.
«Fermo dove sei!» gridò. «Esci!»
«Ma noi siamo con lui.» Minho indicò Thomas. «E dobbiamo andare.»
«Questo qui non va da nessuna parte.» Si interruppe, come se gli fosse venuto in mente
qualcosa. Guardò Thomas, poi di nuovo Minho. «Aspetta un attimo. Anche voi siete
Muni?»
Thomas fu assalito dal panico, ma Minho si mosse in fretta. Senza esitare si mise a
correre.
«Fermo!» gridò l’agente, scattando verso la porta.
Thomas raggiunse la vetrina con passo incerto. Vide Minho, Brenda e Jorge che stavano
attraversando la strada e scomparivano dietro un angolo. L’agente si era fermato proprio
fuori dal bar; lasciò perdere gli altri e rientrò. Con la pistola puntata contro Thomas.
«Dovrei spararti al collo e guardarti morire dissanguato per quello che ha appena fatto il
tuo amichetto. Ti conviene ringraziare il cielo che i Muni sono così preziosi, o lo farei solo
per sentirmi meglio. È stata una giornata del cavolo.»
Thomas non riusciva a credere, dopo tutto quello che aveva passato, di trovarsi in una
situazione così stupida e non riuscire a uscirne. Non era paura, solo esasperazione. «Be’,
non è stata una gran giornata nemmeno per me» mormorò.
«Mi farai guadagnare un bel gruzzoletto. Semplice. E perché tu lo sappia, non mi piaci.
Mi basta guardarti per capirlo.»
Thomas sorrise. «Già, be’, la cosa è reciproca.»
«Sei un tipo divertente. Da sbellicarsi dalle risate. Vedremo come ti sentirai stasera.
Andiamo.» Indicò la porta con la sua arma. «E credimi, ho esaurito la pazienza. Fai un
passo falso e ti sparo; alla polizia dirò che ti sei comportato come un infetto e sei
scappato. Politica di tolleranza zero. Non mi interrogheranno nemmeno. Al massimo
alzeranno un sopracciglio.»
Thomas rimase fermo, studiando le varie possibilità. Continuava a pensare a quanto
tutto fosse assurdo. Era sfuggito alla C.A.T.T.I.V.O. solo per finire nelle mani di un
dipendente comunale qualunque che lo minacciava con una pistola.
«Non farmelo ripetere» lo avvertì.
«Dove stiamo andando?»
«Lo scoprirai al momento giusto. E io diventerò un cavolo di riccone. Adesso muoviti.»
Thomas sapeva quanto male facesse beccarsi una pallottola, gli avevano già sparato
due volte. A quanto pareva, se non voleva passarci di nuovo, la sua unica opzione era
andare con quel tizio. Lanciò un’occhiata all’uomo, poi andò verso la porta. Quando la
raggiunse, si fermò.
«Da che parte?» chiese.
«Vai a sinistra. Cammineremo lentamente per circa tre isolati, poi di nuovo a sinistra. Lì
troveremo una macchina ad aspettarci. Devo avvertirti di nuovo di cosa succederà se fai
un passo falso?»
«Sparerai a un ragazzino disarmato. Ho capito, è chiarissimo.»
«Oh, cavolo, odio voi Muni. Adesso vai.» Gli premette la pistola contro la spina dorsale e
Thomas si incamminò.
Arrivarono alla fine del terzo isolato e girarono a sinistra senza scambiare una parola.
L’aria era soffocante, e Thomas era fradicio di sudore. Quando sollevò il braccio per
asciugarsi la fronte, l’agente lo colpì in testa con il calcio della pistola.
«Non farlo» gli disse. «Potrei innervosirmi e farti un buco nel cervello.»
Thomas dovette ricorrere a tutta la sua forza di volontà per restare in silenzio.
Era una strada abbandonata e c’era spazzatura ovunque. I manifesti − alcuni che
mettevano in guardia dall’Eruzione, altri con immagini della cancelliera Paige − coprivano
le parti più basse dei muri degli edifici, e c’erano scritte con bombolette spray ovunque,
una sopra l’altra, da quel che sembrava. Giunti a un incrocio, dovettero fermarsi per
lasciar passare le poche automobili, e Thomas notò un manifesto proprio accanto a lui,
che non era stato scarabocchiato. Immaginò che dovesse essere nuovo, data la
mancanza di graffiti. Lesse le parole di avvertimento.
ANNUNCIO DI PUBBLICO SERVIZIO
FERMATE LA DIFFUSIONE DELL’ERUZIONE!!!
Aiutate a fermare la diffusione dell’Eruzione. Riconoscete i sintomi prima di contagiare i vostri vicini e i vostri cari.
L’Eruzione è il virus Flarevirus (VC321xb47), una malattia infettiva altamente contagiosa creata dall’uomo, che si è
propagata accidentalmente durante il periodo catastrofico delle eruzioni solari. L’Eruzione causa danni al cervello
progressivi e degenerativi, provocando la perdita di controllo dei movimenti, disturbi emotivi e deterioramento mentale.
Questo ha portato alla pandemia dell’Eruzione.
Gli scienziati sono giunti alle fasi finali degli studi clinici, ma al momento non esiste una terapia standard. Il virus di solito
è letale, e può diffondersi per via aerea.
In un momento come questo, i cittadini devono unirsi per impedire l’ulteriore diffusione della pandemia. Imparando a
riconoscere voi stessi e gli altri come Minaccia di Contagio Virale (M.C.V.), compirete il primo passo nella battaglia
contro l’Eruzione*.
*Qualunque individuo sospetto deve essere segnalato alle autorità immediatamente.
Proseguiva parlando del periodo di cinque-sette giorni di incubazione e dei sintomi, che
in uno stadio iniziale si manifestavano sotto forma di irritabilità e problemi di equilibrio,
seguiti da demenza, paranoia e successivamente forte aggressività. Thomas, avendo
incontrato gli Spaccati in più di un’occasione, aveva assistito a tutte quelle manifestazioni
in prima persona.
L’agente gli diede una piccola spinta e continuarono a camminare. Durante il tragitto,
Thomas non riusciva a smettere di pensare al tragico messaggio di quel manifesto. La
parte che raccontava di come l’Eruzione fosse stata creata dall’uomo non solo lo
angosciava, ma gli ricordava qualcosa che tuttavia non riusciva ad afferrare. Anche se
non veniva detto apertamente, sapeva che c’era dell’altro, e per la prima volta dopo
molto tempo desiderò poter avere accesso al suo passato solo per un attimo.
«È lì, più avanti.»
La voce dell’agente lo riportò al presente. Una piccola auto bianca aspettava in fondo
all’isolato, a soli tre-quattro metri di distanza. Thomas cercò disperatamente di pensare a
un modo per uscire da quella situazione: se fosse salito su quell’auto sarebbe stata la
fine. Ma poteva davvero correre il rischio di farsi sparare?
«Adesso muoviti lentamente e siediti sul sedile posteriore» disse l’uomo. «Lì dentro ci
sono delle manette, ti osserverò mettertele da solo. Pensi di poterci riuscire senza fare
stupidaggini?»
Thomas non rispose. Sperava con tutto sé stesso che Minho e gli altri fossero vicini, e
che avessero un piano. Aveva bisogno di qualcuno o qualcosa che distraesse il suo
sequestratore.
Raggiunta l’auto, l’agente tirò fuori una tessera magnetica e la premette sul finestrino
del passeggero. Le sicure dell’auto fecero uno scatto e l’uomo aprì la portiera posteriore,
tenendo Thomas sotto tiro per tutto il tempo.
«Sali. Piano.»
Thomas esitò, guardandosi in giro in cerca di qualcuno, di qualcosa. La zona era
deserta, ma notò un movimento con la coda dell’occhio. Un aeroveicolo grande quasi
quanto un’auto. Si voltò e vide la macchina-sbirro sterzare nella strada in cui si trovavano
loro. Era a due isolati di distanza e si stava avvicinando, accompagnata da un ronzio
crescente.
«Ti ho detto di salire» ripeté l’agente. «Le manette sono nel vano centrale.»
«Sta arrivando una di quelle macchine-sbirro» disse Thomas.
«Sì, e allora? Sta solo facendo un giro di pattuglia, la gente che le controlla vede queste
cose ogni giorno. E poi loro stanno dalla mia parte, non dalla tua. Il che per te è una gran
sfortuna, mio caro.»
Thomas sospirò; era valsa la pena provarci. Dov’erano i suoi amici? Si guardò in giro
un’ultima volta, poi si avvicinò alla portiera aperta e salì sull’auto. Proprio quando alzò lo
sguardo verso l’agente, una raffica di spari riempì l’aria. L’uomo barcollò all’indietro,
agitandosi e contorcendosi. I proiettili gli perforarono il petto e colpirono la maschera di
metallo, facendo volare delle scintille. Mentre andava a sbattere contro il muro
dell’edificio più vicino, la pistola gli scivolò dalle mani e la maschera gli cadde dal viso.
Thomas lo osservò pietrificato accasciarsi su un fianco.
Poi gli spari si fermarono. Thomas era paralizzato, si chiese se avrebbero sparato anche
a lui. Sentì il ronzio continuo della macchina mentre stazionava in aria proprio fuori dalla
portiera aperta, e si rese conto che l’attacco era partito da lì. Quegli affari non avevano
un conducente, ma erano pesantemente armati. Una voce
dall’altoparlante sul tetto.
«Esci dall’auto, Thomas.»
Thomas rabbrividì. Avrebbe riconosciuto quella voce ovunque.
Era Janson. L’Uomo Ratto.
familiare
risuonò
32
Thomas non avrebbe potuto essere più sorpreso. All’inizio ebbe un momento di
esitazione, ma poi saltò di corsa giù dall’auto. La macchina-sbirro era sospesa a un paio
di metri di distanza. Sul fianco si era aperto un pannello, il viso di Janson lo fissava da
uno schermo.
Provò un gran sollievo. Era l’Uomo Ratto, ma non si trovava nella macchina-sbirro; c’era
solo la sua immagine trasmessa in video. Thomas suppose che anche l’uomo potesse
vederlo. «Cos’è successo?» chiese, ancora sconvolto. Cercò di non guardare l’agente
riverso a terra. «Come hai fatto a trovarmi?»
Janson aveva un’espressione più cupa del solito. «Ci sono voluti una considerevole dose
di fortuna e notevoli sforzi, credimi. E prego. Ti ho appena salvato da quel cacciatore di
taglie.»
Thomas fece una risata. «Siete comunque voi a pagarli. Cosa vuoi?»
«Thomas, sarò franco con te. L’unica ragione per cui non siamo venuti a Denver a
riprenderti è perché il tasso di contagio è astronomico. Questo è il modo più sicuro che
abbiamo per contattarti. Ti esorto caldamente a fare ritorno qui per completare i test.»
Thomas avrebbe voluto gridargli contro. Perché sarebbe dovuto tornare alla
C.A.T.T.I.V.O.? Ma l’attacco contro l’agente − il cui corpo era solo a pochi passi da lui −
era troppo impresso nella sua mente. Doveva giocare bene le sue carte. «Perché dovrei
farlo?»
L’espressione di Janson era vuota. «Abbiamo usato le informazioni a nostra disposizione
per selezionare un Candidato Finale, e la scelta è caduta su di te. Abbiamo bisogno di te,
Thomas. È tutto sulle tue spalle.»
Nemmeno fra cent’anni, pensò Thomas. Ma se glielo avesse detto non si sarebbe
sbarazzato dell’Uomo Ratto. Quindi inclinò la testa fingendo di prendere in considerazione
l’idea. «Ci penserò» disse poi.
«Mi auguro che lo farai» rispose quello, poi esitò per un momento. «C’è qualcosa che mi
sento in dovere di dirti. Soprattutto perché credo che influenzerà la tua decisione. Ti
servirà per renderti conto che devi fare ciò che ti stiamo chiedendo.»
Thomas si appoggiò al cofano arrotondato dell’auto. Tutta quella faccenda lo aveva
stremato, emotivamente e fisicamente. «Cosa?»
L’uomo corrugò la fronte – somigliava ancora di più a un ratto – come se provasse
piacere nel comunicare brutte notizie. «Si tratta del tuo amico, Newt. Temo che si trovi in
guai enormi.»
«Che genere di guai?» chiese Thomas, provando una morsa allo stomaco.
«So che sei ben cosciente del fatto che ha l’Eruzione, e che hai già assistito alla
manifestazione di alcuni effetti.»
Thomas annuì, ricordandosi all’improvviso della lettera che aveva in tasca. «Sì.»
«Be’, a quanto pare sta soccombendo in fretta. Se hai già visto in lui sintomi come
rabbia e mancanza di concentrazione prima che te ne andassi, significa che non gli resta
molto tempo prima di impazzire.»
Thomas provò una stretta al cuore. Era riuscito ad accettare che Newt non fosse
immune, ma aveva pensato che ci sarebbero volute settimane, o persino mesi, prima che
la cosa degenerasse. Eppure quello che aveva detto Janson aveva senso; tutto lo stress a
cui Newt era sottoposto sembrava lo stesse facendo peggiorare velocemente. E loro lo
avevano lasciato da solo fuori dalla città.
«Molto probabilmente tu potresti salvarlo» disse piano l’Uomo Ratto.
«Ti stai divertendo?» chiese Thomas. «Perché a volte sembra che tu ti diverta molto.»
Janson scosse la testa. «Sto solo facendo il mio lavoro, Thomas. Voglio questa cura più
di chiunque altro. A parte te, forse, prima che ti rimuovessimo la memoria.»
«Adesso vattene» disse Thomas.
«Spero che tornerai» rispose Janson. «Hai l’opportunità di fare grandi cose. Mi dispiace
per le nostre divergenze. Ma, Thomas, devi fare presto. Il tempo sta per scadere.»
«Ci penserò.» Thomas si sforzò di dirlo di nuovo. Accontentare l’Uomo Ratto gli dava la
nausea, ma era l’unica cosa che gli era venuta in mente per guadagnare tempo. E c’era la
possibilità che se non avesse tranquillizzato Janson, avrebbe fatto la fine dell’agente con
la camicia rossa: trivellato dalla macchina-sbirro che stazionava sospesa nell’aria a pochi
passi da lui.
Janson sorrise. «È tutto quello che posso chiederti. Spero di rivederti qui.»
Lo schermo si oscurò e il pannello si richiuse; poi la macchina-sbirro si sollevò e prese il
volo, e il ronzio si affievolì a poco a poco. Thomas la osservò finché non scomparve dietro
un angolo. Quando se ne fu andata, il suo sguardo cadde sul corpo dell’uomo. Lo distolse
immediatamente; era l’ultima cosa di cui aveva bisogno.
«Eccolo!»
Girò la testa di scatto e vide Minho correre sul marciapiede verso di lui, davanti a
Brenda e Jorge. Non era mai stato così felice di vedere qualcuno in vita sua.
Quando si accorse dell’agente riverso a terra, Minho si fermò di colpo. «Porca... E a
questo cosa gli è successo?» Si voltò verso Thomas. «E tu? Stai bene? Sei stato tu?»
Per assurdo, a Thomas venne da ridere. «Già, ho tirato fuori il mio mitra e l’ho ridotto
un colabrodo.»
Dall’espressione di Minho era chiaro che non apprezzasse il suo sarcasmo, ma Brenda
intervenne prima che avesse il tempo di ribattere.
«Chi è stato a ucciderlo?»
Thomas indicò il cielo. «Una di quelle macchine-sbirro. È volata qui, gli ha sparato, e un
attimo dopo è comparso l’Uomo Ratto su uno schermo. Ha cercato di convincermi a
tornare alla C.A.T.T.I.V.O.»
«Oh, no,» disse Minho «non puoi...»
«Ma per chi mi hai preso?» gridò Thomas. «Non ci penso neanche a tornare lì, ma forse
il fatto che hanno tanto bisogno di me prima o poi potrebbe tornarci utile. Quello di cui
dovremmo preoccuparci è Newt. Janson pensa che stia soccombendo all’Eruzione più
velocemente del normale. Dobbiamo andare a vedere come sta.»
«L’ha detto davvero?»
«Sì.» Thomas si sentì in colpa per aver reagito in quel modo con il suo amico. «E su
questo gli credo. Hai visto come si stava comportando Newt.»
Minho lo fissò; il suo sguardo era pieno di dolore. Thomas si rese conto che Minho
conosceva Newt da due anni più di lui. Avevano avuto molto più tempo per legare.
«È meglio andare a vedere come sta» ripeté. «Fare qualcosa per lui.»
Minho annuì senza dire niente e distolse lo sguardo. Thomas era tentato di tirare fuori
la busta di Newt dalla tasca e mettersi a leggere proprio lì, ma gli aveva promesso che
avrebbe aspettato finché non fosse stato sicuro che era il momento giusto.
«Si sta facendo tardi» disse Brenda. «E non si può entrare o uscire dalla città di notte, è
già abbastanza difficile tenere a bada la situazione di giorno.»
Thomas si accorse in quel momento che stava cominciando a fare buio, il cielo sopra i
palazzi stava assumendo un colore aranciato.
«Questo è il minore dei problemi» disse Jorge, che era rimasto in silenzio per tutto il
tempo. «Sta succedendo qualcosa di strano in questo posto, muchachos.»
«Cosa intendi?» chiese Thomas.
«Sembra che nell’ultima mezz’ora siano svaniti tutti, e i pochi che ho visto non mi
piacevano per niente.»
«Quella scena al bar ha fatto scappare tutti» fece notare Brenda.
Jorge scrollò le spalle. «Non lo so. Questa città mi dà la pelle d’oca, hermana. Come se
fosse in fermento e si stesse per scatenare qualcosa di terribile.»
Thomas provò una strana inquietudine che gli fece venire i brividi lungo la schiena, e
ricominciò a pensare a Newt. «Possiamo andarcene da qui se ci sbrighiamo? O uscire di
nascosto?»
«Possiamo tentare» disse Brenda. «Ma dobbiamo augurarci di trovare un taxi... siamo
all’estremità opposta a quella da cui siamo entrati.»
«Proviamoci» propose Thomas.
Si incamminarono, ma Minho non aveva una bella faccia. Thomas sperò con tutto sé
stesso che non fosse il presagio di qualcosa di brutto.
33
Camminarono per un’ora e non videro una singola automobile, men che meno un taxi.
Incrociarono solo qualche persona qua e là, e macchine-sbirro che volavano senza meta
accompagnate dal loro ronzio sinistro. Si sentivano spesso dei suoni in lontananza che
risvegliarono in Thomas i ricordi della Zona Bruciata: qualcuno che parlava a voce troppo
alta, un grido, una strana risata. Mentre la luce soccombeva al buio, era sempre più
spaventato.
Alla fine Brenda si fermò e si rivolse a tutti loro. «Dovremo aspettare domani» disse.
«Non troveremo nessun mezzo stasera, e siamo troppo lontani per arrivarci a piedi.
Dobbiamo dormire per essere riposati domani mattina.»
Thomas odiava doverlo ammettere, ma aveva ragione.
«Dev’esserci un modo per andarcene da qui» ribatté Minho.
Jorge gli strinse la spalla. «È inutile, hermano. L’aeroporto è a più di quindici chilometri
di distanza. E dall’aria che tira in questa città, ci deruberanno o spareranno o
picchieranno a morte prima di arrivarci. Brenda ha ragione, è meglio riposare e andare ad
aiutarlo domani.»
Thomas sapeva che Minho avrebbe voluto fare il ribelle come sempre, ma il ragazzo
rinunciò senza discutere. Jorge aveva ragione da vendere. Erano in una città enorme, di
sera, in un posto che non conoscevano affatto.
«Siamo vicini all’albergo?» chiese Thomas. Si disse che Newt avrebbe potuto superare
un’altra notte da solo.
Jorge indicò a sinistra. «Solo pochi isolati.»
Si incamminarono in quella direzione.
Mancava un isolato quando Jorge si fermò di colpo, sollevando una mano e facendo
segno agli altri di restare in silenzio. Thomas si immobilizzò, avvertendo un senso di
pericolo.
«Che c’è?» sussurrò Minho.
Jorge fece un giro su sé stesso, lentamente, osservando la zona intorno a loro, e
Thomas fece lo stesso, chiedendosi cosa avesse provocato in lui tanta agitazione tutt’a un
tratto. Si era fatto completamente buio, e i pochi lampioni servivano a ben poco.
Il mondo gli sembrava fatto di ombre, e si immaginò cose orribili nascoste dietro
ognuna di loro.
«Che c’è?» sussurrò Minho di nuovo.
«Continuo a sentire qualcosa proprio alle nostre spalle» rispose Jorge. «Dei sussurri.
Qualcun altro...»
«Lì!» gridò Brenda, e la sua voce bucò il silenzio come un tuono. «L’avete visto?» Stava
indicando alla sua sinistra.
Thomas aguzzò la vista ma non vide nulla. Le strade gli sembravano deserte.
«Qualcuno è spuntato dietro il muro di quel palazzo, poi si è ributtato indietro. L’ho
visto, giuro.»
«Ehi!» gridò Minho. «C’è qualcuno?»
«Sei pazzo?» sussurrò Thomas. «Entriamo in albergo!»
«Tranquillo, Thomas. Se avessero voluto spararci o roba del genere, l’avrebbero già
fatto, non credi?»
Thomas sbuffò, esasperato. Quella situazione non gli piaceva affatto.
«Avrei dovuto dirvelo subito» disse Jorge.
«Magari non è niente» rispose Brenda. «E se invece lo è, restare qui non aiuterà.
Andiamocene.»
«Ehi!» gridò di nuovo Minho, facendo sussultare Thomas. «Ehi! C’è qualcuno?»
Thomas gli diede una manata sulla spalla. «Sul serio, la vuoi smettere?
Il suo amico lo ignorò. «Vieni fuori e fatti vedere!»
Chiunque fosse non rispose. Minho si mosse come se stesse per attraversare la strada e
andare a dare un’occhiata, ma Thomas lo afferrò per un braccio.
«Non pensarci nemmeno. È l’idea peggiore del secolo. È buio, potrebbe essere una
trappola, potrebbe essere un sacco di cose terribili. Andiamo a dormire un po’, domani
terremo gli occhi più aperti.»
Minho non fece tante storie. «Va bene. Fai la femminuccia. Ma stanotte uno dei letti è
mio.»
A quel punto salirono in camera. Thomas ci impiegò un’eternità a prendere sonno;
continuava a spremersi le meningi per capire chi potesse averli seguiti. Ma a prescindere
da dove andassero i suoi pensieri, tornavano sempre a Teresa e gli altri. Dov’erano? Era
possibile che fosse Teresa, lì in strada, a spiarli? O magari erano Gally e il Braccio Destro?
E detestava il fatto di non avere scelta e di dover aspettare tutta la notte prima di poter
andare da Newt. E se gli fosse successo qualcosa?
Alla fine la mente si tranquillizzò, le domande svanirono, e si addormentò.
34
La mattina seguente, Thomas rimase sorpreso nel constatare che si sentiva molto
riposato. Gli era sembrato di essersi girato e rigirato per tutta la notte, ma a un certo
punto doveva essersi addormentato profondamente e aver ricaricato le pile. Dopo una
lunga doccia calda e una colazione rimediata a un distributore automatico, era pronto per
affrontare la giornata.
Lui e gli altri lasciarono l’albergo intorno alle otto, chiedendosi in cosa si sarebbero
imbattuti attraversando la città per raggiungere Newt. Videro delle persone qua e là, ma
molte meno del giorno prima nelle ore di punta. E Thomas non notò nessuno degli strani
rumori che avevano sentito la sera prima durante la lunga camminata.
«Sta succedendo qualcosa, ve lo dico io» disse Jorge, mentre imboccavano la strada in
cerca di un taxi. «Dovrebbe esserci più gente in giro.»
Thomas osservò i pochi pedoni intorno a lui. Nessuno lo guardava negli occhi, tenevano
tutti la testa bassa, spesso tenendosi la mascherina chirurgica sul viso con una mano,
come se avessero paura che un’improvvisa folata di vento potesse farla volare via. E
camminavano di corsa, con passo frenetico, saltando quasi per scansare chiunque si
avvicinasse troppo. Thomas notò una donna che osservava un manifesto sull’Eruzione
proprio come quello che aveva letto lui il giorno prima quando l’agente lo aveva
sequestrato. Gli riportò alla mente quel ricordo che non era riuscito ad afferrare. Quel
pensiero lo avrebbe fatto impazzire.
«Sbrighiamoci, raggiungiamo questo caspio di aeroporto» mormorò Minho. «Questo
posto mi dà i brividi.»
«Credo che dovremmo andare da quella parte» disse Brenda, con un gesto della mano.
«Devono esserci dei taxi vicino a quegli uffici.»
Attraversarono la strada e ne presero una più stretta che passava tra un’area
apparentemente dismessa e un vecchio palazzo fatiscente.
Minho si avvicinò a Thomas e quasi sussurrando gli disse: «Ehi, ho la testa un po’
rincaspiata al momento. Ho paura di quello che ci aspetta con Newt.»
Anche Thomas aveva paura, ma non lo ammise. «Non preoccuparti. Sono sicuro che per
adesso sta bene.»
«Già. E da un momento all’altro vedremo gli asini volare e portarci la cura per
l’Eruzione.»
«Chi può dirlo, magari succederà. Però potrebbero andare a sbattere contro una
macchina-sbirro.» Il suo amico non sembrò apprezzare molto il suo umorismo. «Senti,
non possiamo fare niente finché non arriviamo lì e lo vediamo.» Thomas odiava dover
sembrare così insensibile, ma le cose erano già abbastanza difficili, non potevano pensare
al peggio.
«Grazie per la chiacchierata.»
L’area dismessa alla loro destra conteneva i resti di un vecchio edificio di mattoni, e
ogni centimetro quadrato era ricoperto di erbacce. Un grosso pezzo di muro si ergeva
proprio al centro, e mentre passavano, Thomas notò un movimento in fondo. Si fermò, e
istintivamente allungò il braccio per fermare anche Minho. Gli fece segno di stare zitto
prima che l’amico potesse chiedergli cosa stava succedendo.
Brenda e Jorge se ne accorsero e si bloccarono. Thomas indicò quello che aveva visto,
poi cercò di guardare meglio.
Un uomo a petto nudo, di spalle, era piegato in avanti, e stava scavando con le mani
come se avesse perso qualcosa nel fango e stesse cercando di ritrovarlo. Aveva le spalle
coperte di strani graffi, e una lunga crosta che attraversava la spina dorsale. I suoi
movimenti erano convulsi e... disperati, pensò Thomas. I gomiti continuavano a scattare
all’indietro come se stesse strappando qualcosa dal terreno. Le erbacce alte gli
impedivano di vedere su cosa fosse puntata l’attenzione spasmodica di quell’uomo.
«Non ci fermiamo» sussurrò Brenda da dietro.
«Quel tizio è malato» rispose Minho, anche lui sussurrando. «Com’è possibile che se ne
vada in giro liberamente?»
Thomas non ne aveva idea. «Andiamo.»
Il gruppo ricominciò a camminare, ma Thomas non riusciva a staccare gli occhi da
quella scena inquietante. Cosa stava facendo?
Quando arrivarono alla fine dell’isolato, si fermò, e gli altri fecero lo stesso. Era evidente
che fossero tutti incuriositi, volevano dare un’ultima occhiata.
Senza preavviso, l’uomo si alzò di scatto e si girò verso di loro; aveva il naso e la bocca
coperti di sangue. Thomas trasalì e andò a sbattere contro Minho. L’uomo sfoderò un
sorriso malefico, poi sollevò le mani insanguinate come se volesse farne mostra. Thomas
era sul punto di gridargli qualcosa quando quel tizio si piegò di nuovo e si rimise al
lavoro. Per fortuna non riuscirono a vedere che lavoro fosse esattamente.
«Questo sarebbe un buon momento per andarcene» disse Brenda.
Thomas sentì un brivido gelido percorrergli la schiena e le spalle; non poteva essere più
d’accordo. Si voltarono tutti e si misero a correre, senza rallentare, per due isolati.
Impiegarono un’altra mezz’ora per trovare un taxi, ma alla fine ci riuscirono. Thomas
voleva parlare di quello che avevano visto nell’area dismessa, ma non sapeva come
impostare il discorso. Quella scena gli aveva dato il voltastomaco.
Il primo a parlarne fu Minho. «Quel tizio stava mangiando una persona. Ne sono sicuro.»
«Forse...» cominciò Brenda. «Forse era solo un cane randagio.» Dal tono che aveva, a
Thomas sembrò che non ci credesse neanche un po’. «Non che la cosa vada bene, certo.»
Minho fece una risatina sarcastica. «Sono abbastanza sicuro che non sia qualcosa che si
dovrebbe vedere mentre si passeggia tranquillamente in una città in quarantena in pieno
giorno. Secondo me Gally ha ragione. Questo posto è pieno di Spaccati, e presto
cominceranno ad ammazzarsi tutti a vicenda.»
Nessuno rispose. Rimasero in silenzio per il resto del tragitto fino all’aeroporto.
Non ci volle molto per superare i controlli e uscire dagli enormi muri che circondavano la
città. A dire il vero, il personale con cui ebbero a che fare sembrava contento che se ne
stessero andando.
L a Berga era esattamente lì dove l’avevano lasciata, ad aspettarli sul cemento
arroventato e fumante come il guscio abbandonato di un insetto gigante. Intorno non si
muoveva una foglia.
«Apri, sbrigati» disse Minho.
Jorge non sembrò infastidito dal tono brusco di quel comando; tirò fuori il piccolo
telecomando dalla tasca e premette alcuni pulsanti. La rampa si abbassò lentamente, tra
il cigolio dei cardini, finché non toccò terra grattando contro il cemento. Thomas aveva
sperato di vedere Newt correre giù da loro con un grosso sorriso stampato in faccia, felice
del loro ritorno.
Ma non ci fu nessun movimento, né dentro né fuori, e il ragazzo cominciò a preoccuparsi
sul serio.
Ovviamente Minho aveva fatto il suo stesso pensiero. «C’è qualcosa che non va.» Salì
con uno scatto sulla rampa prima che Thomas avesse modo di reagire.
«Sarà meglio andare con lui» disse Brenda. «Newt potrebbe essere diventato
pericoloso.»
Thomas sapeva che aveva ragione, anche se quell’affermazione non gli piaceva affatto.
Senza risponderle, corse dietro a Minho ed entrò nella Berga buia e soffocante. Tutti i
sistemi erano stati spenti: niente aria condizionata, niente luci, niente di niente.
Jorge seguì subito Thomas. «Aspettate, vado ad accenderla, altrimenti con questo caldo
ci squaglieremo e di noi resterà solo un mucchio di ossa e pelle.» Si diresse verso la
cabina di pilotaggio.
Brenda era accanto a Thomas, e tutti e due scrutavano l’aeromobile al buio; l’unica luce
entrava dai pochi oblò. In lontananza sentivano la voce di Minho che chiamava il nome di
Newt, ma il ragazzo infetto non rispondeva. Thomas ebbe la sensazione che dentro di lui
si fosse aperto un vuoto, e più i secondi passavano, più quel vuoto cresceva, portandogli
via la speranza.
«Io vado a sinistra» le disse, indicando un piccolo corridoio verso l’area comune.
«Perché tu non segui Jorge e controlli da quella parte? Questa storia non mi piace,
sarebbe venuto a salutarci se fosse tutto a posto.»
«E poi le luci e l’aria condizionata sarebbero state accese.» Prima di allontanarsi gli
lanciò un’occhiata colma di preoccupazione.
Thomas percorse il corridoio e raggiunse la stanza principale. Minho era seduto su uno
dei divani e stava guardando un pezzo di carta, il viso pietrificato. Thomas non lo aveva
mai visto così. Il vuoto dentro di lui crebbe ancora di più, e la poca speranza che gli era
rimasta venne spazzata via.
«Ehi» disse. «Cos’è?»
Minho non rispose. Continuò solo a fissare il pezzo di carta.
«Cosa succede?»
Minho alzò lo sguardo verso di lui. «Vieni a vedere tu stesso.» Sollevò il biglietto con
una mano mentre si lasciava cadere contro lo schienale del divano; sembrava fosse sul
punto di piangere. «Se n’è andato.»
Thomas si avvicinò e prese il pezzo di carta, poi lo girò. Il messaggio, scritto di corsa
con un pennarello nero, diceva:
Sono riusciti a entrare. Mi stanno portando a vivere con gli altri Spaccati.
È meglio così. Grazie per la vostra amicizia.
Addio.
«Newt» sussurrò Thomas. Il nome dell’amico rimase sospeso nell’aria come una
dichiarazione di morte.
35
Poco dopo, erano seduti tutti insieme. Lo scopo era discutere cosa avrebbero dovuto
fare a quel punto, ma la verità era che non avevano niente da dire. Fissavano tutti e
quattro il pavimento senza parlare. Per una strana ragione, Thomas non riusciva togliersi
Janson dalla testa. Tornando indietro avrebbe davvero potuto salvare Newt? Ogni parte
del suo corpo si ribellava all’idea di fare ritorno alla C.A.T.T.I.V.O., ma se lo avesse fatto,
e fosse riuscito a completare i test...
Minho interruppe quel cupo silenzio.
«Voglio che voi tre mi ascoltiate.» Si prese un momento per guardare ognuno di loro,
poi proseguì. «Da quando siamo scappati dalla C.A.T.T.I.V.O., ho accettato praticamente
tutto quello che voi testepuzzone avete detto che dovevamo fare. E non mi sono
lamentato. Non molto.» Rivolse a Thomas un sorriso ironico. «Ma proprio qui, in questo
preciso istante, io sto prendendo una decisione e voi farete quello che dico io. E se
qualcuno si rifiuta, per me può andare al diavolo.»
Thomas sapeva cosa voleva il suo amico, e ne era felice.
«So che abbiamo obiettivi più importanti in mente» continuò Minho. «Dobbiamo
metterci in contatto con il Braccio Destro, decidere cosa fare riguardo alla C.A.T.T.I.V.O.
Tutta quella sploff di salvare il mondo. Ma prima troveremo Newt. Non voglio sentire
discussioni. Noi quattro − tutti e quattro − voleremo ovunque sia necessario, e
porteremo Newt fuori da lì.»
«Lo chiamano il Palazzo degli Spaccati» disse Brenda. Thomas si voltò verso di lei:
stava fissando il vuoto. «Dev’essere il posto di cui parlava Newt. È probabile che alcune di
quelle guardie con la camicia rossa siano riuscite a entrare nella Berga, lo abbiano
trovato e abbiano capito che era infetto. Devono avergli permesso di scriverci un
biglietto. Non ho dubbi che le cose siano andate così.»
«Sembra un posticino elegante» disse Minho. «Ci sei stata?»
«No. Ogni grande città ha un Palazzo degli Spaccati, un luogo dove mandano gli infetti
per cercare di rendere sopportabile la situazione prima che raggiungano l’Andata. Non so
cosa gli facciano a quel punto, ma non è un bel posto dove stare, a prescindere da chi
sei, almeno per quello che posso immaginarmi. Sono gli immuni a comandare lì, e
vengono pagati profumatamente perché un non-immune non rischierebbe mai di
prendersi l’Eruzione. Se vuoi andarci, prima dovremmo pensarci a fondo e a lungo. Siamo
totalmente sprovvisti di munizioni, perciò saremo disarmati.»
Nonostante la descrizione disastrosa, si era acceso un barlume di speranza negli occhi di
Minho. «Fatto: ci ho pensato a fondo e a lungo. Sapete dove si trova il più vicino?»
«Sì» rispose Jorge. «Ci siamo passati venendo qui. È dall’altra parte della vallata,
proprio ai piedi delle montagne verso ovest.»
Minho batté le mani una volta. «Allora è lì che andremo. Jorge, fai decollare questo
pezzo di sploff.»
Thomas si aspettava almeno un po’ di resistenza o qualche discussione. Ma non ce ne fu
nessuna.
«Mi fa piacere un po’ di avventura, muchacho» disse Jorge, alzandosi in piedi.
«Arriveremo tra venti minuti.»
Jorge fu fedele alla parola data riguardo alla tempistica. Fece atterrare la Berga in una
radura appena fuori una foresta che si estendeva sul fianco di una montagna
sorprendentemente verde. Circa la metà degli alberi era morta, ma l’altra metà sembrava
aver cominciato a riprendersi da anni di ondate di caldo terrificante. Thomas si intristì al
pensiero che un giorno probabilmente tutto il mondo si sarebbe ripreso dalle eruzioni
solari solo per ritrovarsi disabitato.
Scese dalla rampa e osservò con attenzione la recinzione che circondava quello che
doveva essere il Palazzo degli Spaccati, a un centinaio di metri di distanza. Era fatta di
pesanti assi di legno. Il cancello più vicino stava cominciando ad aprirsi, e comparvero
due persone, entrambe con un enorme lanciagranate. Sembravano esausti, ma si misero
comunque in posizione di difesa e puntarono le loro armi; ovviamente avevano visto o
sentito la Berga avvicinarsi.
«Non cominciamo bene» disse Jorge.
Una delle guardie gridò qualcosa, ma Thomas non era riuscito a sentire cosa avesse
detto. «Andiamo lì a parlare con loro. Devono essere immuni se hanno quei
lanciagranate.»
«A meno che gli Spaccati non abbiano assunto il comando» suggerì Minho, ma poi
guardò Thomas con uno strano sorriso. «In ogni caso, noi entreremo, e non ce ne
andremo senza Newt.»
Il gruppo si incamminò lentamente verso il cancello a testa alta, assicurandosi di non
fare nulla che potesse allarmarli. L’ultima cosa che Thomas voleva era beccarsi un’altra
granata. Mentre si avvicinavano, notò che le due guardie avevano un aspetto peggiore di
quanto non sembrasse da lontano. Erano sporche, sudate e piene di lividi e graffi.
I quattro si fermarono al cancello e uno dei due uomini fece un passo avanti.
«Voi chi diavolo siete?» chiese. Aveva i capelli neri e i baffi, e superava il suo collega di
diversi centimetri. «Non somigliate molto a quegli scienziati cretini che ogni tanto
vengono qui.»
Fu Jorge a parlare, come aveva fatto all’aeroporto quando erano arrivati a Denver. «Non
potevi sapere che saremmo venuti, muchacho. Siamo della C.A.T.T.I.V.O., e uno dei
nostri è stato catturato e portato qui per errore. Siamo venuti a prenderlo.»
Thomas fu sorpreso. A pensarci bene, quello che aveva detto Jorge tecnicamente era
vero.
La guardia non sembrava troppo impressionata. «Pensi che me ne freghi qualcosa di voi
e del vostro bel lavoro alla C.A.T.T.I.V.O.? Non sei il primo spocchioso che si presenta qui
e si comporta come se questo posto fosse suo. Volete venire a passare un po’ di tempo
con gli Spaccati? Siete i benvenuti. Soprattutto dopo quello che sta accadendo
ultimamente.» Si spostò di lato e con un gesto esagerato gli fece segno di entrare. «Vi
auguro un buon soggiorno al Palazzo degli Spaccati. Non è previsto nessun risarcimento o
sostituzione in caso di perdita di un braccio o di un occhio.»
Thomas riusciva quasi a sentire la tensione nell’aria, e temette che Minho aggiungesse
qualche commento pungente facendo perdere le staffe a quei tizi, perciò intervenne
subito.
«Cosa intendi per ‘quello che sta accadendo ultimamente’? Cosa sta succedendo?»
Il tizio scrollò le spalle. «Diciamo solo che non è un posto molto allegro, è tutto quello
che vi serve sapere.» Non diede altre spiegazioni.
A Thomas già non piaceva come si stavano mettendo le cose. «Be’... sapete se sono
stati portati qui dei nuovi...» dire Spaccati non gli sembrava giusto «delle nuove persone
negli ultimi giorni? Avete un registro?»
L’altra guardia − bassa e tarchiata, con i capelli rasati − si schiarì la voce, poi sputò.
«Chi state cercando? Uno o una?»
«Uno» rispose Thomas. «Si chiama Newt. Un po’ più alto di me, capelli biondi,
abbastanza lunghi. Zoppica.»
Il tizio sputò di nuovo. «Forse so qualcosa. Ma sapere e parlare sono due cose diverse.
Voi ragazzi sembrate pieni di soldi. Me ne volete dare un po’?»
Thomas sentì accendersi la speranza, e si voltò verso Jorge, il cui viso era contratto
dalla rabbia.
Minho parlò prima che Jorge avesse il tempo di farlo. «Di soldi ne abbiamo, faccia di
caspio. Adesso dicci dov’è il nostro amico.»
La guardia puntò il lanciagranate verso di loro con un po’ più di ferocia. «Fatemi vedere
le carte di credito o questa conversazione si chiude qui. Voglio almeno mille.»
«Lui ce li ha tutti» disse Minho, indicando Jorge con il pollice mentre il suo sguardo si
fissava sulla guardia. «Avida testapuzzona.»
Jorge tirò fuori la carta e la agitò nell’aria. «Dovrai ammazzarmi per prenderla, e sai che
non ti servirà a niente senza le mie impronte. Avrai i tuoi soldi, hermano. Adesso portaci
da lui.»
«Va bene, allora» disse l’uomo. «Seguitemi. E ricordatevi, se qualche parte del corpo
dovesse staccarsi a causa di uno sfortunato incontro con uno Spaccato, vi consiglio
caldamente di lasciarvi la suddetta parte alle spalle e correre come schegge. A meno che
non si tratti di una gamba, ovviamente.»
Girò i tacchi e varcò il cancello aperto.
36
Il Palazzo degli Spaccati era un posto orribile, sudicio. La guardia più bassa si dimostrò
molto loquace, e mentre attraversavano il caos di quel luogo spaventoso, fornì a Thomas
più informazioni di quante lui avrebbe voluto.
Descrisse il villaggio degli infetti come una serie enorme di anelli concentrici, con tutte
le aree comuni − caffetteria, infermeria, spazi ricreativi − situate al centro, e intorno file
su file di alloggi squallidi. I Palazzi erano stati concepiti come un gesto di umanità, un
rifugio per gli infetti finché non avessero raggiunto il punto in cui la follia avrebbe preso il
sopravvento. In seguito venivano mandati in luoghi remoti che erano stati abbandonati
durante le fasi peggiori delle eruzioni solari. Chi aveva costruito i Palazzi lo aveva fatto
con lo scopo di dare agli infetti un’ultima chance di vita decente prima della fine. Erano
sorti progetti vicino alla maggior parte delle città rimaste del mondo.
Ma l’idea nata con le migliori intenzioni si era rivelata pessima. Riempire un luogo di
persone senza speranza e consapevoli di essere destinate a una spirale di follia terribile,
putrida, aveva portato alla creazione di alcune delle zone anarchiche più abiette mai
esistite. Essendo i residenti ben consci del fatto che non potevano esserci vere punizioni o
conseguenze peggiori di quella che già stavano affrontando, il tasso di criminalità era
cresciuto a livelli astronomici. E così i progetti edilizi erano diventati il paradiso della
depravazione.
Mentre il gruppo superava file di case − baracche ridotte allo sfacelo, niente di più −,
Thomas pensò a quanto dovesse essere orribile vivere in un luogo del genere. Molte delle
finestre delle abitazioni accanto a cui passavano erano rotte, e la guardia spiegò come
permettere la presenza di vetro in quelle città fosse stato un errore enorme. Era
diventata l’arma più usata. La spazzatura inondava le strade, e benché non avesse
ancora visto nessuno, Thomas aveva la sensazione che lui e i suoi amici fossero
osservati. Sentì qualcuno urlare delle oscenità in lontananza; poi, da un’altra direzione,
arrivò un grido che lo inquietò ancora di più.
«Perché non lo chiudono e basta?» chiese, il primo del gruppo a parlare. «Insomma... se
è ridotto così male.»
«Ridotto così male?» chiese la guardia. «Ragazzino, male è un termine relativo. Le cose
stanno così, punto. Cos’altro vorresti fare con queste persone? Non puoi lasciarle
gironzolare in mezzo alla gente sana nelle città fortificate. Non puoi semplicemente
mollarle in un posto pieno di Spaccati ben oltre l’Andata e lasciare che le mangino vive. E
nessun governo è ancora così disperato da cominciare a uccidere la gente appena si è
presa l’Eruzione. Non ci sono alternative. Ed è un modo per noi immuni di fare bei soldi,
visto che nessun altro è disposto a lavorare qui.»
Quelle parole lasciarono Thomas con un senso di tristezza profonda. Il mondo era in uno
stato pietoso. Forse si stava comportando davvero da egoista rifiutandosi di aiutare la
C.A.T.T.I.V.O. a completare i test.
Brenda intervenne, con quell’espressione disgustata che l’accompagnava da quando
avevano messo piede nella città. «Perché non dici le cose come stanno? Lasciate che gli
infetti se ne vadano in giro per questo posto dimenticato da dio finché non sono ridotti
così male da potervi sbarazzare di loro senza che vi rimorda la coscienza.»
«Questo più o meno è il succo della questione» rispose la guardia con distacco.
Thomas faticava a disprezzare quel tizio; più che altro gli faceva pena.
Continuarono a camminare, superando file e file di case, tutte malmesse, fatiscenti e
sporche.
«Dove sono tutti?» chiese Thomas. «Pensavo che questo posto fosse pieno zeppo di
gente. E cosa intendevi prima quando hai detto che sta succedendo qualcosa?»
Questa volta fu il tizio con i baffi a rispondere, e non fu male sentire un’altra voce per
cambiare un po’. «Alcuni − quelli fortunati − se ne stanno in casa a rilassarsi con il
Nirvana. Ma la maggior parte è nella Zona Centrale, a mangiare o giocare, o se ne va in
giro con brutte intenzioni. Ce ne stanno mandando troppi, e più velocemente di quanto
possiamo mandarli via. Aggiungeteci il fatto che stiamo perdendo immuni a destra e a
manca senza sapere che fine facciano, restando sempre più in minoranza, e alla fine era
inevitabile che la situazione si scaldasse. Diciamo solo che stamattina il termometro si è
alzato abbastanza.»
«State perdendo immuni a destra e a manca?» ripeté Thomas. A quanto pareva la
C.A.T.T.I.V.O. stava attingendo a ogni risorsa possibile per proseguire con le Prove.
Anche se questo aveva conseguenze pericolose.
«Già, quasi la metà dei dipendenti sono scomparsi nell’ultimo paio di mesi. Senza
lasciare traccia, in modo inspiegabile. Il che rende il mio lavoro mille volte più duro.»
Thomas sospirò. «Teneteci solo lontani dalla folla e metteteci in un luogo sicuro finché
non trovate Newt.»
«Mi sembra un’ottima idea» aggiunse Minho.
La guardia scrollò le spalle. «Okay. A me basta intascarmi i miei soldi.»
Finalmente, a due anelli di distanza dalla Zona Centrale, le guardie si fermarono e
dissero al gruppo di aspettare lì. Thomas e gli altri si misero all’ombra di una delle
baracche, l’uno vicino all’altro. Il rumore era aumentato di minuto in minuto, e adesso che
erano vicini alla maggior parte della popolazione del Palazzo, era come se fosse
scoppiata un’enorme rissa proprio dietro l’angolo. Thomas odiò ogni secondo che passò
seduto lì, in attesa, a sentire quei suoni orribili, chiedendosi per tutto il tempo se le
guardie sarebbero mai tornate, con o senza Newt al seguito.
Dopo una decina di minuti che se n’erano andate, da una piccola abitazione sul lato
opposto della viuzza rispetto a dove si trovavano loro, uscirono due persone. Thomas
sentì il battito del cuore accelerare, e fu sul punto di alzarsi e scappare prima di rendersi
conto che non avevano per niente un aspetto pericoloso. Era una coppia, si tenevano per
mano, e, a parte il fatto che erano un po’ sporchi e vestiti con abiti spiegazzati e logori,
sembravano abbastanza sani.
I due si avvicinarono al gruppo e si fermarono davanti a loro. «Quando siete arrivati?»
chiese la donna.
Thomas balbettò senza sapere cosa dire, poi Brenda prese la parola.
«Siamo arrivati con l’ultimo gruppo. In realtà stiamo cercando un nostro amico che era
con noi. Si chiama Newt, ha i capelli biondi, zoppica. Lo avete visto?»
L’uomo rispose come se fosse la domanda più stupida che avesse mai sentito. «Ci sono
molte persone con i capelli biondi da queste parti. Come potremmo sapere chi è chi? E
comunque, che razza di nome è Newt?»
Minho aprì la bocca per rispondere, ma il rumore che arrivava dal centro della città
aumentò e si voltarono tutti in quella direzione. La coppia si scambiò uno sguardo
preoccupato. Poi, senza proferire parola, tornarono di corsa in casa. Chiusero la porta e
Thomas sentì il clic di una serratura che scattava. Pochi secondi dopo, una tavola di legno
comparve sulla loro finestra, coprendola; un piccolo frammento di vetro cadde a terra.
«Sembrano felici di essere qui più o meno quanto noi» disse Thomas.
Jorge grugnì. «Molto socievoli. Credo che tornerò a trovarli.»
«È chiaro che non sono qui da molto» disse Brenda. «Non riesco a immaginare come
debba essere. Scoprire che sei infetto, essere spedito a vivere con gli Spaccati, avere
davanti agli occhi quello che stai per diventare.»
Thomas scosse la testa lentamente. Sarebbe stata l’infelicità più totale.
«Dove sono quelle guardie?» chiese Minho, con tono chiaramente impaziente. «Quanto
ci vuole a trovare qualcuno e dirgli che i suoi amici sono qui?»
Dieci minuti più tardi, le due guardie ricomparvero dietro un angolo. Thomas e i suoi
amici saltarono in piedi.
«Cos’avete scoperto?» chiese subito Minho.
Quello basso sembrava agitato, lo sguardo irrequieto, come se avesse perso la
sfrontatezza di prima, e Thomas si chiese se un viaggio nella Zona Centrale, come
l’avevano chiamata loro, avesse sempre quell’effetto.
Fu il suo collega a rispondere. «Abbiamo dovuto chiedere in giro, ma credo che abbiamo
trovato il vostro amico. Era proprio come l’avete descritto, e si è voltato verso di noi
quando l’abbiamo chiamato per nome. Ma...» Le guardie si scambiarono un’occhiata,
come se fossero in difficoltà.
«Ma cosa?» li spronò Minho.
«Ha detto − molto chiaramente, oserei aggiungere − di dirvi di andare al diavolo.»
37
Quelle parole per Thomas furono come una pugnalata, e poteva solo immaginare come
si sentisse Minho.
«Fateci vedere dov’è» ordinò il suo amico senza giri di parole.
La guardia sollevò le mani. «Non hai sentito quello che ho appena detto?»
«Il tuo lavoro non è finito» insistette Thomas. Stava con Minho al cento percento.
Quello che aveva detto Newt non aveva importanza; se erano così vicini, avrebbero
parlato con lui.
La guardia più bassa scosse la testa con ostinazione. «Non esiste. Voi ci avete chiesto di
trovare il vostro amico e noi l’abbiamo fatto. Dateci i nostri soldi.»
«Ti sembra che sia qui con noi?» chiese Jorge. «Nessuno vedrà un centesimo finché non
siamo tutti insieme.»
Brenda non disse nulla, ma era accanto a Jorge e annuiva per mostrare il suo supporto.
Thomas fu sollevato nel constatare che erano tutti disposti ad andare da Newt
nonostante il messaggio che aveva mandato.
Le due guardie non sembravano affatto contente, e si misero a discutere tra loro, a
bassa voce.
«Ehi!» sbraitò Minho. «Se volete quei soldi, andiamo!»
«Va bene» disse alla fine la guardia con i baffi. Il suo collega gli lanciò un’occhiata
esasperata. «Seguiteci.»
Si voltarono e ripresero a camminare nella direzione da cui erano venuti. Minho fu
subito dietro di loro, e poi tutti gli altri.
Mentre si addentravano nel cuore di quel complesso, Thomas continuava a pensare che
le cose non potessero peggiorare, ma si sbagliava. Le abitazioni erano più malandate, le
strade più sporche. Vide diverse persone sdraiate sui marciapiedi, con la testa appoggiata
su borse sudice o vestiti appallottolati. Ognuna di loro fissava il cielo con occhi vitrei,
un’espressione di puro piacere. Nirvana era proprio il nome adatto, pensò.
Le guardie marciavano in testa al gruppo, spostando i loro lanciagranate a destra e
sinistra verso chiunque si avvicinasse a meno di tre metri. A un certo punto videro un
uomo dall’aspetto devastato − i vestiti a brandelli, una sostanza nera e appiccicosa tra i
capelli arruffati, la pelle piena di sfoghi − che inciampò su un ragazzino strafatto e
cominciò a picchiarlo.
Thomas si fermò, chiedendosi se dovessero intervenire.
«Non pensarci nemmeno» disse la guardia più bassa prima che potesse proferire parola.
«Cammina.»
«Ma il vostro compito non è...»
L’altra guardia lo interruppe. «Chiudi il becco e lasciaci fare le cose a modo nostro. Se ci
intromettessimo in ogni bisticcio e litigio che vediamo, non finiremmo mai. Probabilmente
saremmo morti. Quei due possono risolvere da soli i loro problemi.»
«Portateci da Newt e basta» disse Minho con tono distaccato.
Continuarono a camminare, e Thomas cercò di ignorare l’urlo soffocato che si levò
all’improvviso dietro di loro.
Finalmente raggiunsero un muro alto con un passaggio ad arco che portava a un’area
piena di gente. In cima all’arco c’era un cartello che annunciava a chiare lettere che
quella era la Zona Centrale. Thomas non riusciva a capire bene cosa stesse succedendo
all’interno, ma sembravano tutti indaffarati.
Le guardie si fermarono, e quella con i baffi si rivolse al gruppo. «Ve lo chiederò solo
una volta. Siete sicuri di voler entrare?»
«Sì» rispose velocemente Minho.
«D’accordo allora. Il vostro amico è nella sala da bowling. Non appena ve lo indichiamo,
voglio i nostri soldi.»
«Muoviamoci» grugnì Jorge.
Seguirono le guardie attraverso l’arco ed entrarono nella Zona Centrale. Poi si
fermarono per guardarsi in giro.
La prima parola che venne in mente a Thomas fu manicomio, e poi si rese conto che era
quasi la parola corretta.
C’erano Spaccati ovunque.
Vagavano senza meta in un’area circolare di qualche centinaio di metri delimitata da
quelli che un tempo dovevano essere negozi, ristoranti e teatri, quasi tutti chiusi e in uno
stato di abbandono. La maggior parte degli infetti non sembrava proprio andata quanto il
tizio con i capelli arruffati che avevano visto prima, ma quei gruppi di persone avevano
un’aria concitata. A Thomas, le azioni e gli atteggiamenti di tutti sembravano... esagerati.
Alcuni ridevano in modo isterico con una luce folle negli occhi, mentre si davano pesanti
pacche sulle spalle a vicenda. Altri piangevano a dirotto, singhiozzando da soli per terra o
mentre camminavano in cerchio, con il viso tra le mani. Ovunque erano scoppiate piccole
risse, e qua e là c’erano uomini e donne fermi in piedi che gridavano a squarciagola, con
il viso rosso e le vene fuori dal collo.
C’era anche chi si stringeva in gruppo, con le braccia incrociate e la testa che scattava a
destra e sinistra per paura di essere attaccato da un momento all’altro. E proprio come
Thomas aveva visto negli anelli più esterni, alcuni Spaccati erano annebbiati dagli effetti
del Nirvana, seduti o sdraiati per terra, sorridenti e ignari del caos. Qualche guardia
girava con le armi pronte a sparare, ma erano decisamente in minoranza.
«Ricordami di non acquistare nessun immobile da queste parti» disse Minho facendo
una battuta.
Thomas non riuscì a ridere. Era in preda all’ansia, e desiderava solo andarsene di lì il
prima possibile.
«Dov’è la sala da bowling?» chiese.
«Da questa parte» rispose la guardia più bassa.
Si diresse a sinistra, restando vicino al muro mentre Thomas e gli altri lo seguivano.
Brenda camminava accanto a Thomas, le loro braccia si sfioravano a ogni passo. Provò
l’impulso di prenderle la mano, ma preferì evitare qualunque mossa potesse dare
nell’occhio. Tutto in quel luogo era così imprevedibile che non voleva fare niente che non
fosse assolutamente indispensabile.
La maggior parte degli Spaccati, vedendo passare il piccolo gruppo di nuovi arrivati,
interruppe la propria attività frenetica e si mise a fissarli. Thomas tenne gli occhi bassi,
temendo che se avesse incrociato lo sguardo di qualcuno, quello avrebbe potuto
innervosirsi o cercare di parlargli. Mentre continuavano a camminare, si sentivano grida e
fischi, e molte battute e oscenità indirizzate a loro. Superarono un minimarket fatiscente,
e attraverso le finestre aperte − dei vetri non c’era la minima traccia − Thomas riuscì a
vedere che quasi tutti gli scaffali erano vuoti. C’erano anche uno studio medico e una
paninoteca, ma in nessuno dei due era accesa alcuna luce.
Qualcuno afferrò Thomas per la spalla tirandolo per la maglietta. Lui si girò e mentre
spingeva via quella mano si trovò davanti una donna. Aveva i capelli scuri scompigliati e
un graffio sul mento, ma a parte quello sembrava normale. Lo fissò per un attimo con
un’espressione accigliata prima di spalancare la bocca il più possibile, mostrando i denti,
che non venivano lavati da un po’ ma a parte quello erano in buono stato, e la lingua
gonfia e bianca. Poi la richiuse.
«Voglio baciarti» disse la donna. «Cosa ne dici, Mune?» Rise, una risata folle e piena di
grugniti, e gli passò la mano sul petto delicatamente.
Thomas si ritrasse e continuò a camminare, notando che le guardie non si erano
nemmeno fermate per accertarsi che non succedesse nulla.
«Finora questa è forse la cosa più raccapricciante» gli sussurrò Brenda avvicinandosi.
Thomas annuì senza aggiungere altro e proseguì.
38
La sala da bowling era priva di porte, e a giudicare dagli strati di ruggine formatisi sui
cardini esposti, erano state tolte da molto tempo. Sopra l’entrata era appeso un grosso
cartello in legno, ma qualunque cosa ci fosse stata scritta era sparita, lasciando solo
qualche sbiadito graffio colorato.
«È qui dentro» disse la guardia con i baffi. «Adesso pagateci.»
Minho gli passò accanto e si sporse, allungando il collo per guardare all’interno. Poi si
voltò verso Thomas.
«È lì in fondo» disse, con un’espressione tesa. «È buio, ma è lui di sicuro.»
Thomas si rese conto che si era tanto preoccupato di ritrovare il suo vecchio amico che
non aveva la minima idea di cosa gli avrebbero detto. Perché aveva reagito dicendo che
dovevano andare al diavolo?
«Vogliamo i nostri soldi» ripeté la guardia.
Jorge sembrava infischiarsene completamente. «Vi darò il doppio se ci farete tornare
alla Berga tutti interi.»
Le due guardie si consultarono, poi fu quello più basso a rispondere. «Il triplo. E
vogliamo la metà adesso come garanzia che non ci state prendendo per i fondelli.»
«Affare fatto, muchacho.»
Mentre Jorge tirava fuori la sua carta e la appoggiava su quella della guardia per
trasferire il denaro, Thomas provò una cupa soddisfazione al pensiero che stavano
rubando i soldi alla C.A.T.T.I.V.O.
«Vi aspetteremo qui» disse la guardia quando finirono.
«Andiamo» disse Minho. Entrò nell’edificio senza dare a nessuno il tempo di replicare.
Thomas guardò Brenda, che aveva l’aria tesa.
«Cosa c’è?» le chiese. Come se potesse trattarsi di una cosa sola.
«Non lo so» rispose lei. «Ho una brutta sensazione, tutto qui.»
«Già, siamo in due.»
Lei accennò un sorriso e gli prese la mano, un gesto che Thomas accettò con piacere;
poi entrarono nella sala da bowling seguiti da Jorge.
Come gli capitava con molte delle cose appartenenti al passato che gli avevano
cancellato, nella sua mente Thomas sapeva che aspetto dovesse avere una sala da
bowling e in che modo funzionasse, ma non ricordava di aver mai giocato. Il luogo in cui
misero piede era molto diverso da ciò che si era immaginato.
Le piste in cui un tempo le persone avevano provato a fare strike erano completamente
distrutte, la maggior parte dei pannelli in legno strappati o rotti. Adesso quegli spazi
erano occupati da sacchi a pelo e coperte, con gente che schiacciava un pisolino o se ne
stava sdraiata a fissare il soffitto in uno stato di stordimento. Brenda gli aveva detto che
solo i ricchi potevano permettersi il Nirvana, perciò si chiese come una persona potesse
farne uso in un posto del genere senza preoccuparsi che gli altri se ne accorgessero.
Immaginò che non ci sarebbe voluto molto prima che qualcuno decidesse di fare
qualunque cosa per portarle via la droga.
Nelle nicchie in cui si posizionavano i birilli bruciavano molti falò, il che non poteva
essere una cosa molto sicura. Ma c’era almeno una persona seduta vicino a ogni fuoco a
occuparsene. Nell’aria si sentiva l’odore di legna bruciata, e una nebbia di fumo soffocava
il buio.
Minho indicò l’ultima pista a sinistra, a una trentina di metri da loro. Lì non c’era molta
gente − la maggior parte sembrava radunarsi nelle piste centrali −, e nonostante la luce
scarsa, Thomas riconobbe Newt all’istante. Bastarono i lunghi capelli biondi che
splendevano al bagliore del fuoco e la sagoma familiare del suo corpo dalla postura
cadente. Era girato di spalle.
«È una partita persa in partenza» sussurrò a Brenda.
Nessuno li disturbò mentre con cautela si avvicinavano a Newt, destreggiandosi nel
labirinto di persone che sonnecchiavano avvolte nelle coperte, finché non raggiunsero la
pista in fondo. Thomas fece attenzione a dove metteva i piedi; l’ultima cosa che voleva
era calpestare uno Spaccato e beccarsi un morso sulla gamba.
Erano a circa tre metri da lui quando di colpo il loro amico parlò a voce così alta che le
sue parole riecheggiarono tra le pareti buie della sala da bowling. «Razza di pive del
cacchio, vi ho detto di andare al diavolo!»
Minho si fermò e per poco Thomas non gli finì addosso. Brenda gli strinse forte la mano,
poi la lasciò andare, e in quel momento Thomas si rese conto di quanto stesse sudando.
Sentire quelle parole pronunciate da Newt gli fece capire che era tutto inutile. Il loro
amico non sarebbe mai più stato lo stesso; davanti a sé aveva solo giorni bui.
«Dobbiamo parlarti» disse Minho, facendo un paio di passi verso di lui. Dovette passare
sopra una donna magra sdraiata su un fianco.
«Non ti avvicinare» rispose Newt. La sua voce era calma, ma il tono molto minaccioso.
«Quei criminali mi hanno portato qui per un motivo. Hanno pensato che fossi un cavolo di
immune nascosto in quella Berga del caspio. Immaginate la loro sorpresa quando hanno
capito che l’Eruzione mi stava divorando il cervello. Hanno detto che era un loro dovere
civico mollarmi in questa topaia.»
Vedendo che Minho non diceva nulla, Thomas si decise a parlare, cercando di non farsi
abbattere dalle parole di Newt. «Perché pensi che siamo qui, Newt? Mi dispiace che tu
non sia potuto venire con noi e che ti abbiano catturato. Mi dispiace che ti abbiano
portato qui. Ma noi possiamo farti uscire; a quanto pare non importa una sploff a nessuno
di chi va e chi viene.»
Newt si voltò lentamente verso di loro. Thomas provò una morsa allo stomaco quando
vide che aveva un lanciagranate stretto tra le mani. E sembrava a pezzi, come se avesse
corso e lottato e fosse caduto da un dirupo per tre giorni di fila. Ma nonostante la rabbia
che albergava nei suoi occhi, la follia non aveva ancora preso il sopravvento.
«Wow, vacci piano» disse Minho, facendo mezzo passo indietro; mancò di un soffio la
donna ai suoi piedi. «Calmati. Non c’è bisogno di puntarmi in faccia un caspio di
lanciagranate mentre parliamo. E comunque, dove hai preso quell’affare?»
«L’ho rubato» rispose Newt. «L’ho preso a una guardia che mi ha... fatto arrabbiare.»
Le mani di Newt tremavano leggermente, il che rese Thomas nervoso; le dita del
ragazzo erano sopra il grilletto.
«Non sto... bene» disse Newt. «Davvero, apprezzo che voi pive del cavolo siate venuti a
cercarmi. Dico sul serio. Ma questa storia del cacchio finisce qui. Questo è il momento in
cui voi vi voltate e uscite da quella porta per tornare alla vostra Berga e volare via. Mi
avete capito?»
«No che non capisco, Newt» disse Minho sempre più frustrato. «Abbiamo rischiato la
pelle per venire in questo posto e tu sei nostro amico e ti porteremo a casa. Vuoi
piagnucolare e gridare mentre impazzisci, va bene. Ma lo farai con noi, non con questi
Spaccati del caspio.»
Newt saltellò di colpo, in modo così improvviso che Thomas rischiò di cadere all’indietro.
Spostò il lanciagranate puntandolo contro Minho. «Io sono uno Spaccato, Minho! Io sono
uno Spaccato! Perché non riesci a fartelo entrare in quella testa del cavolo? Se tu avessi
l’Eruzione e sapessi cosa sta per succederti, vorresti avere i tuoi amici accanto che ti
guardano? Eh? Lo vorresti?» Pronunciò le ultime parole urlando, e tremava ogni secondo
di più.
Minho non disse nulla, e Thomas sapeva il perché. Lui stesso stava cercando di trovare
qualcosa da dire e non ci riusciva. Lo sguardo di Newt si spostò su di lui.
« E tu, Tommy» disse, abbassando la voce. «Hai un bel coraggio a venire qui per
chiedermi di andarmene con voi. Un bel coraggio. Mi viene il vomito solo a guardarti.»
Thomas rimase sbigottito. Niente lo aveva mai ferito tanto. Niente.
39
Thomas non riusciva a trovare una spiegazione plausibile a quell’affermazione. «Di cosa
stai parlando?» gli chiese.
Newt non rispose, continuò semplicemente a fissarlo con espressione dura, le braccia
tremanti, il lanciagranate puntato contro il suo petto. Ma poi si calmò e il suo viso si
distese. Abbassò l’arma e volse lo sguardo al pavimento.
«Newt, non capisco» insistette Thomas con tono calmo. «Perché stai dicendo queste
cose?»
Newt rialzò gli occhi, e il rancore che c’era pochi secondi prima era sparito. «Mi dispiace,
ragazzi. Mi dispiace. Ma ho bisogno che mi ascoltiate. Sto peggiorando di ora in ora e non
mi restano molti momenti di lucidità. Andatevene, per favore.»
Quando Thomas aprì la bocca per ribattere, Newt sollevò le mani. «No! Non voglio più
ascoltarvi. Basta... per favore... Per favore, andatevene. Vi prego. Vi prego di fare
quest’ultima cosa per me. Ve lo chiedo con il cuore in mano, voglio che facciate questo
per me. Ho incontrato un gruppo di persone molto simili a me e stanno progettando di
scappare e andare a Denver oggi stesso. Io andrò con loro.»
Si interruppe, e Thomas dovette ricorrere a tutta la sua determinazione per restare in
silenzio. Perché volevano scappare e andare a Denver?
«Non mi aspetto che capiate, ma io non posso più stare con voi. Per me sarà già
abbastanza dura d’ora in avanti, e lo sarebbe ancora di più se sapessi che voi siete lì ad
assistere. O peggio ancora, se vi facessi del male. Perciò diciamoci questo cacchio di
addio una volta per tutte e poi promettetemi che vi ricorderete di me com’ero ai bei
vecchi tempi.»
«Non posso farlo» disse Minho.
«Vaffancaspio!» gridò Newt. «Hai la minima idea di quanto sia difficile restare calmo in
questo momento? Ho detto quello che dovevo dirvi e ho finito. Adesso andate via! Avete
capito? Andate via!»
Thomas sentì qualcuno dargli una manata sulla spalla, e quando si girò, vide che dietro
di loro si erano radunati molti Spaccati. La persona che lo aveva spinto era un uomo alto,
con il torace ampio e i capelli lunghi e unti. Allungò il braccio e gli premette la punta del
dito sul petto.
«Credo che il nostro nuovo amico vi abbia chiesto di andarvene» disse, e mentre
parlava tirò fuori la lingua per leccarsi le labbra.
«Non sono affari tuoi» ribatté Thomas. Avvertiva il pericolo, ma per qualche ragione non
gli importava. Dentro di lui c’era spazio solo per il dolore che provava per Newt. «Lui era
nostro amico molto prima di venire qui.»
L’uomo si lisciò i capelli unti. «Quel ragazzo è uno Spaccato adesso, e lo siamo anche
noi. Questo significa che sono affari nostri. Quindi lasciatelo in pace e andatevene.»
Minho intervenne prima che Thomas potesse rispondere. «Ehi, psicopatico, forse
l’Eruzione ti ha otturato le orecchie. È una cosa tra noi e Newt. Vattene tu.»
L’uomo aggrottò le sopracciglia, poi sollevò la mano per mostrare un lungo pezzo di
vetro stretto nel pugno. Dalle dita colava del sangue.
«Speravo che avreste opposto resistenza» disse con un ringhio. «Mi stavo annoiando.»
Di colpo allungò il braccio, indirizzando il vetro verso il viso di Thomas. Lui si abbassò
per schivarlo e sollevò le mani per parare il colpo. Ma non ce ne fu bisogno, perché
Brenda intervenne e gli spinse via il braccio, facendo volare il pezzo di vetro. Poi Minho si
gettò sullo Spaccato, sbattendolo sul pavimento. Atterrarono sulla donna che Minho
aveva scavalcato prima per raggiungere Newt, e lei si mise a sbraitare, dimenandosi e
scalciando. Nel giro di un attimo, i tre avevano dato vita a un incontro di wrestling.
«Smettetela!» gridò Newt. «Smettetela subito!»
Thomas era rimasto immobile, accovacciato in attesa del momento giusto per buttarsi
in mezzo e aiutare Minho. Ma quando si voltò verso Newt, vide che aveva imbracciato il
lanciagranate, con sguardo feroce.
«Smettetela o comincerò a sparare, e non me ne frega una sploff di chi verrà colpito.»
L’uomo con i capelli unti si tolse dalla mischia, e mentre si alzava tirò un calcio sulle
costole alla donna, che cominciò a piagnucolare. Minho si rimise in piedi, con il viso pieno
di graffi.
Il rumore elettrico del lanciagranate che veniva caricato riempì l’aria, e Thomas sentì
una zaffata di ozono bruciato. Poi Newt spinse il grilletto. Una granata colpì al petto lo
Spaccato con i capelli unti che cadde a terra, il corpo avvolto da scariche di corrente
mentre si contorceva, le gambe rigide, la bava alla bocca.
Thomas non riusciva a credere alla piega che avevano preso gli eventi nel giro di un
attimo. Guardò Newt con gli occhi sgranati, contento che avesse fatto quello che aveva
fatto, e felice che non avesse sparato a Minho.
«Lo avevo avvertito di smetterla» disse Newt quasi sussurrando. Poi puntò l’arma contro
Minho, ma non riusciva a tenerla ferma perché gli tremavano le braccia. «Adesso voi
andatevene. Senza discutere. Mi dispiace.»
Minho sollevò le mani. «Vuoi spararmi? Vecchio amico mio?»
«Andatevene» disse Newt. «Ve l’ho chiesto gentilmente. Adesso ve lo sto ordinando. È
già abbastanza difficile. Andatevene.»
«Newt, usciamo...»
«Andatevene!» Newt fece un passo verso Minho e gli puntò il lanciagranate contro con
più ferocia. «Fuori di qui!»
Thomas odiava la scena a cui stava assistendo, la brutalità che aveva preso il
sopravvento su Newt. Tutto il suo corpo tremava e gli occhi avevano perso ogni traccia di
sanità mentale. Stava impazzendo, completamente.
«Andiamo» disse Thomas, e fu una delle cose più tristi che avesse mai sentito uscire
dalla sua bocca. «Forza.»
Minho si voltò di colpo verso Thomas, e sembrava che gli avessero spezzato il cuore.
«Non stai parlando sul serio.»
Thomas non poté far altro che annuire.
Le spalle di Minho si incurvarono, e lo sguardo cadde sul pavimento. «Com’è possibile
che il mondo si sia così rincaspiato?» Le sue parole si udirono a malapena, un sussurro
pieno di dolore.
«Mi dispiace» disse Newt, con il volto rigato dalle lacrime. «Io... io sparerò se non ve ne
andate. Subito.»
Thomas non ne poteva più. Prese Brenda per mano, poi Minho per l’avambraccio, e
cominciò a tirarli via con sé, scavalcando corpi e schivando coperte. Minho non oppose
resistenza, e Thomas non osò guardarlo, si augurava solo che Jorge li stesse seguendo.
Continuò a camminare, attraversò l’ingresso, raggiunse e oltrepassò la porta, e uscì nella
Zona Centrale, tra la folla caotica degli Spaccati.
Via da Newt. Via dal suo amico e dalla sua mente malata.
40
Non c’era traccia delle guardie che li avevano scortati lì, ma c’erano ancora più Spaccati
di quando erano entrati nella sala da bowling. E la maggior parte sembrava stesse
aspettando i nuovi arrivati. Probabilmente avevano sentito il rumore della granata e le
grida del tizio che era stato colpito. O forse qualcuno era uscito a raccontarglielo.
Comunque stessero le cose, Thomas aveva la sensazione che ogni persona che lo
guardava avesse superato l’Andata e volesse pasteggiare a carne umana.
«Guardate che burloni» gridò qualcuno.
«Già, quanto sono carini!» rispose un altro. «Venite a giocare con gli Spaccati. O state
per unirvi a noi?»
Thomas continuò a camminare verso l’entrata ad arco della Zona Centrale. Aveva
lasciato il braccio di Minho ma stringeva ancora la mano di Brenda. Marciarono tra la
folla, e alla fine Thomas dovette smettere di guardare la gente negli occhi. Non vedeva
altro che follia, sete di sangue e invidia scolpite sugli innumerevoli volti sanguinanti e
sfigurati. Avrebbe voluto mettersi a correre, ma aveva la sensazione che se lo avesse
fatto, la folla intera lo avrebbe attaccato come un branco di lupi.
Raggiunsero l’arco e lo attraversarono senza esitare. Thomas guidò gli altri lungo la
strada principale, attraverso gli anelli di case fatiscenti. Sembrava che la confusione nella
Zona Centrale fosse ripresa adesso che se n’erano andati, e i versi inquietanti delle risate
folli e delle grida selvagge li accompagnarono nel cammino. Più si allontanavano dal
rumore, più la tensione in Thomas si allentava. Non osò chiedere a Minho come stava. E
poi, conosceva già la risposta.
Stavano superando un altro agglomerato di case ridotte a pezzi quando sentì un paio di
grida, poi dei passi.
«Correte!» gridò qualcuno. «Correte!»
Thomas si fermò, proprio mentre le due guardie che li avevano abbandonati spuntavano
da un angolo sbandando. Invece di rallentare, proseguirono a tutta velocità verso l’anello
più esterno della città e verso la Berga. Nessuno dei due aveva più il lanciagranate.
«Ehi!» urlò Minho. «Tornate qui!»
La guardia con i baffi si voltò. «Vi ho detto di correre, idioti! Forza!»
Thomas non ci pensò un attimo. Si fiondò dietro di loro, sapendo che era l’unica cosa da
fare. Minho, Jorge e Brenda fecero altrettanto. Quando si guardò alle spalle, vide un
gruppo di Spaccati che li inseguiva; erano almeno una dozzina. Sembravano dei
forsennati, come se fosse scattato un interruttore e avessero superato l’Andata tutti
contemporaneamente.
«Cos’è successo?» chiese Minho ansimando.
«Ci hanno trascinato via dalla Zona Centrale!» gridò quello più basso. «Giuro su dio che
ci avrebbero divorato. Siamo scappati per un pelo.»
«Non smettete di correre!» aggiunse l’altra guardia. Improvvisamente i due presero
un’altra direzione, verso un vicolo nascosto.
Thomas e i suoi amici proseguirono verso l’uscita che portava alla loro Berga. Boati e
fischi si sollevarono dietro di loro, e Thomas si azzardò a dare un’altra occhiata dietro di
sé per guardare meglio i loro inseguitori. Abiti a brandelli, capelli arruffati, facce sporche
di fango. Ma non avevano guadagnato terreno.
«Non possono raggiungerci!» gridò, proprio mentre il cancello esterno spuntava davanti
a loro. «Non vi fermate, ci siamo quasi!»
Ciononostante, Thomas corse ancora più veloce di quanto avesse mai fatto in vita sua,
persino più che nel Labirinto. Il pensiero di essere catturato da quegli Spaccati lo
inorridiva. Il gruppo raggiunse il cancello e lo superò senza rallentare. Senza preoccuparsi
di chiuderlo, si fiondarono verso la Berga, e quando Jorge premette il pulsante sul suo
telecomando, il portellone cominciò ad aprirsi.
Arrivarono alla rampa e Thomas salì a tutta velocità scagliandosi all’interno. Si voltò e
vide i suoi amici scivolare sul pavimento intorno a lui, mentre la rampa cominciava a
risalire tra i cigolii. Il branco di Spaccati che li inseguiva non ce l’avrebbe più fatta, ma
continuava a correre, gridando e pronunciando assurdità. Uno di loro si piegò e raccolse
una roccia, poi la lanciò. Li mancò di cinque o sei metri.
Proprio mentre il portellone si richiudeva, la Berga si sollevò nell’aria.
Jorge mantenne l’aeromobile sospeso a una quindicina di metri da terra mentre
raccoglievano le idee. Gli Spaccati da lì sotto non erano una minaccia, nessuno di loro era
armato. Perlomeno nessuno di quelli che li avevano seguiti fuori dal cancello.
Thomas era vicino a uno degli oblò insieme a Minho e Brenda, e osservava dall’alto la
folla furiosa e delirante. Era difficile credere che quello che vedeva fosse reale.
«Guardateli» disse. «Chissà cosa stavano facendo pochi mesi fa. Magari vivevano in un
bel palazzo, lavoravano in qualche ufficio. Adesso inseguono la gente come bestie feroci.»
«Te lo dico io cosa stavano facendo pochi mesi fa» rispose Brenda. «Erano infelici,
spaventati a morte di prendere l’Eruzione, consapevoli del fatto che fosse inevitabile.»
Minho alzò le mani per aria. «Come fate a preoccuparvi per loro? Non eravate con me
pochi minuti fa? Con il mio amico? Si chiama Newt.»
«Non c’era niente che potessimo fare» gridò Jorge dalla cabina di pilotaggio. Thomas
trasalì per la mancanza di compassione.
Minho si voltò verso di lui. «Chiudi il becco e fai volare quest’affare, faccia di caspio.»
«Farò del mio meglio» disse Jorge con un sospiro. Armeggiò con la strumentazione e la
Berga cominciò a muoversi.
Minho si accasciò a terra, quasi si fosse sciolto. «Cosa succederà quando finirà le
munizioni del lanciagranate?» chiese a nessuno in particolare, guardando un punto fisso
sul muro.
Thomas non aveva idea di cosa rispondere, non c’erano parole per esprimere il dolore
che gli riempiva il petto. Si lasciò cadere sul pavimento accanto a Minho e rimase lì
seduto senza dire niente, mentre la Berga si sollevava più in alto e volava via dal Palazzo
degli Spaccati.
Newt non c’era più.
41
Rimasero così un bel po’, ma alla fine Thomas e Minho si alzarono in piedi e andarono a
sedersi su un divano nell’area comune, mentre Brenda aiutava Jorge nella cabina di
pilotaggio.
Con tutto quel tempo a disposizione per pensare, la realtà di ciò che era successo
piombò addosso a Thomas come un macigno. Da quando era entrato nel Labirinto, Newt
c’era sempre stato per lui. Non si era reso conto di quanto fosse importante la sua
amicizia fino a quel momento. Aveva male al cuore.
Cercò di ricordare a sé stesso che Newt non era morto. Ma per qualche ragione così era
peggio. Per moltissime ragioni. Era caduto nell’abisso della pazzia, ed era circondato da
Spaccati assetati di sangue. E l’idea di non rivederlo mai più era quasi insopportabile.
Alla fine Minho parlò, la sua voce era spenta. «Perché lo ha fatto? Perché non è voluto
venire via con noi? Perché mi ha puntato quell’arma in faccia?»
«Non avrebbe mai premuto il grilletto» disse Thomas per consolarlo, anche se non ci
credeva molto.
Minho scosse la testa. «Tu hai visto quando il suo sguardo è cambiato. Follia totale. Se
avessi continuato a insistere, sarei stato fritto. È pazzo, Thomas. È completamente fuori
di testa.»
«Forse è meglio così.»
«Come scusa?» chiese Minho, voltandosi verso di lui.
«Forse quando il cervello smette di funzionare, non sono più loro stessi. Forse il Newt
che conoscevamo se n’è andato e lui non si rende conto di quello che gli sta succedendo.
Perciò, in realtà, non sta soffrendo.»
Minho sembrava quasi offeso da quella teoria. «Bel tentativo, testapuzzona, ma io non
ci credo. Penso che sarà sempre presente quanto basta per urlare dentro di sé, sconvolto
e sofferente per ogni caspio di secondo. Tormentato come qualcuno che viene bruciato
vivo.»
Quell’immagine fece passare a Thomas la voglia di parlare, e rimasero di nuovo in
silenzio. Fissò un punto fisso sul pavimento, terrorizzato per il destino di Newt, finché la
Berga non atterrò con un tonfo all’aeroporto di Denver.
Thomas si sfregò il viso con le mani. «A quanto pare siamo arrivati.»
«Credo di capire un po’ di più la C.A.T.T.I.V.O. adesso» disse Minho come se niente
fosse. «Dopo aver visto quegli occhi da vicino. Dopo aver visto la follia. Non è la stessa
cosa quando si tratta di qualcuno che conosci da tanto tempo. Ho visto molti amici
morire, ma non riesco a immaginare niente di peggio. L’Eruzione, Thomas. Se potessimo
trovare una cura per...»
Lasciò la frase in sospeso, ma Thomas sapeva a cosa stava pensando. Chiuse gli occhi
per un attimo; niente di tutto quello era bianco o nero. Non lo sarebbe mai stato.
Rimasero seduti in silenzio per un po’, poi Jorge e Brenda si unirono a loro.
«Mi dispiace» mormorò Brenda.
Minho bofonchiò qualcosa. Thomas annuì e le lanciò una lunga occhiata, cercando di
comunicarle con lo sguardo quanto stesse male. Jorge fissò il pavimento senza dire nulla.
Brenda si schiarì la voce. «So che è dura, ma dobbiamo pensare a cosa fare adesso.»
Minho si alzò di scatto e le puntò un dito contro. «Tu puoi pensare quanto ti pare a tutto
quel caspio che vuoi, signorina. Noi abbiamo appena lasciato il nostro amico con un
mucchio di psicopatici.» Se ne andò sbattendo i piedi.
Brenda spostò lo sguardo su Thomas. «Scusa.»
Lui scrollò le spalle. «Non fa niente. Minho è stato con Newt per due anni prima che io
arrivassi nel Labirinto. Gli ci vorrà del tempo.»
«Siamo davvero esausti, muchachos» disse Jorge. «Magari dovremmo prenderci un paio
di giorni per riposare. Riflettere bene su cosa fare.»
«Già» mormorò Thomas.
Brenda si avvicinò e gli strinse la mano. «Ci inventeremo qualcosa.»
«C’è solo un posto da cui iniziare» rispose Thomas. «Da Gally.»
«Forse hai ragione.» Gli strinse la mano ancora una volta, poi la lasciò andare e si alzò.
«Forza, Jorge. Prepariamo qualcosa da mangiare.» I due lasciarono Thomas da solo con il
suo dolore.
Dopo un pasto orribile durante il quale nessuno disse più di due inutili parole di fila, i
quattro si separarono. Thomas si mise a vagare senza meta per la Berga; non riusciva a
togliersi Newt dalla testa. Il pensiero del genere di vita che il loro amico aveva davanti, di
quanto poca gliene restasse, gli spezzava il cuore.
La lettera.
Thomas rimase imbambolato per un attimo, poi corse in bagno e si chiuse dentro a
chiave. La lettera! Con tutta quella storia del Palazzo degli Spaccati, se n’era
completamente dimenticato. Newt aveva detto a Thomas che avrebbe saputo riconoscere
il momento giusto per leggerlo. E lui avrebbe dovuto farlo prima di lasciarlo in quel posto
orrendo. Se non era quello il momento giusto, allora quando?
Prese la busta dalla tasca e la strappò per aprirla, poi tirò fuori il foglio di carta. Le
deboli lampadine che incorniciavano lo specchio illuminarono il messaggio di una luce
calda. Erano due brevi frasi:
Uccidimi. Se sei mai stato mio amico, uccidimi.
Thomas lo lesse e rilesse, sperando che quelle parole cambiassero. Il pensiero che il
suo amico fosse stato così spaventato da avere la lungimiranza di scrivere quelle parole
gli diede il voltastomaco. E si ricordò di quanto fosse arrabbiato specialmente con lui
quando lo avevano trovato nella sala da bowling. Newt non aveva avuto altro desiderio
che evitare l’inevitabile destino di diventare uno Spaccato.
E lui lo aveva deluso.
42
Thomas decise di non dire agli altri del messaggio di Newt. Non ne vedeva l’utilità. Era il
momento di voltare pagina, e lo fece con una freddezza che non sapeva di avere.
Passarono due notti nella Berga, a riposarsi e studiare un piano. Nessuno di loro sapeva
molto della città né aveva dei veri e propri contatti. Le loro conversazioni tornavano
sempre su Gally e il Braccio Destro. Il Braccio Destro voleva fermare la C.A.T.T.I.V.O. E se
era vero che la C.A.T.T.I.V.O. stava per ricominciare da capo le Prove con nuovi immuni,
allora Thomas e i suoi amici avevano gli stessi obiettivi del Braccio Destro.
Gally. Dovevano tornare da Gally.
La mattina del terzo giorno dal loro incontro con Newt, Thomas fece una doccia, poi si
unì agli altri per mangiare in fretta qualcosa. Era ovvio che fossero tutti ansiosi di agire
dopo essere stati con le mani in mano. Il piano era di recarsi nell’appartamento di Gally e
da lì decidere il da farsi. Quello che aveva detto Newt − che alcuni Spaccati stavano
progettando di scappare dal Palazzo e andare a Denver − aveva sollevato qualche
preoccupazione, ma mentre erano in volo non avevano visto nessuno.
Quando furono pronti, Thomas e gli altri si radunarono davanti al portellone.
«Lasciate sempre che sia io a parlare» disse Jorge.
Brenda annuì. «E una volta entrati, prenderemo un taxi.»
«Bene» mormorò Minho. «Adesso basta con tutte queste chiacchiere del caspio.
Andiamo.»
Thomas non avrebbe saputo dirlo meglio. Muoversi era l’unica cosa che avrebbe
attenuato la disperazione che provava per Newt e il suo terribile messaggio.
Jorge premette un pulsante e l’enorme rampa cominciò ad abbassarsi. Il portellone si
era aperto solo a metà quando videro tre persone proprio fuori dalla Berga. Neanche il
tempo che la rampa toccasse terra con un tonfo che Thomas si era già reso conto che
non li stavano aspettando con uno striscione di benvenuto.
Due uomini. Una donna. Indossavano le stesse maschere metalliche di protezione
dell’agente con la camicia rossa del bar. Gli uomini avevano una pistola e la donna un
lanciagranate. I loro visi erano sporchi di terra e sudati, e sui vestiti c’erano degli strappi,
come se avessero dovuto lottare contro un esercito per arrivare lì. L’unica speranza di
Thomas era che si trattasse di agenti di sicurezza molto prudenti.
«Che storia è questa?» chiese Jorge.
«Chiudi il becco, Mune» disse uno dei due tizi, con quella voce meccanica che rese le
sue parole ancora più sinistre. «Adesso scendete lentamente, o le conseguenze non vi
piaceranno. Non ci provate.»
Thomas guardò oltre i loro aggressori e rimase scioccato da quello che vide: entrambi i
cancelli per entrare a Denver erano spalancati, e nel corridoio stretto che portava in città
c’erano due persone riverse a terra senza vita.
Jorge fu il primo a rispondere. «Spara con quell’affare, hermano, e ci scaraventeremo su
di te come delle sanguisughe. Forse riuscirai a colpire uno di noi, ma noi vi colpiremo tutti
e tre, razza di idioti.»
Thomas sapeva che era una minaccia sterile.
«Non abbiamo niente da perdere» rispose l’uomo. «Provaci. Sono abbastanza sicuro di
riuscire a beccare due di voi prima che possiate fare un solo passo.» Sollevò la pistola di
qualche centimetro e la puntò al viso di Jorge.
«E va bene» mormorò Jorge, prima di alzare le mani. «Avete vinto voi, per adesso.»
Minho grugnì. «Sei proprio un duro, testapuzzona.» Ma sollevò anche lui le mani. «Vi
conviene non abbassare la guardia. Lo dico per voi.»
Thomas sapeva di non poter fare altro che obbedire. Alzò le mani e si incamminò per
primo giù dalla rampa. Gli altri lo seguirono a ruota, e furono portati alle spalle della
Berga, dove li aspettava un vecchio furgone malandato con il motore acceso. Al volante
c’era una donna con la maschera di protezione, e due tizi armati di lanciagranate erano
seduti dietro di lei.
Uno degli uomini aprì la porta laterale, poi con un cenno della testa gli fece segno di
salire. «Dentro. Fate un passo falso e cominceranno a volare proiettili. Come ho detto,
non abbiamo niente da perdere. E mi vengono in mente cose molto peggiori di un mondo
con un paio di Muni in meno.»
Thomas salì sul retro del furgone, valutando per tutto il tempo le loro chance. Sei contro
sei, pensò. Ma loro erano armati.
«Chi vi paga per rapire gli immuni?» chiese, mentre i suoi amici si mettevano seduti
accanto a lui. Voleva che qualcuno gli confermasse ciò che Teresa aveva detto a Gally,
che i Muni venivano raggruppati e venduti.
Nessuno rispose.
Le tre persone che li avevano accolti alla Berga entrarono nell’abitacolo e chiusero le
portiere. Poi si girarono e puntarono le armi verso il retro.
«Ci sono dei cappucci neri nell’angolo» disse il capo. «Indossateli. Non sarei contento di
beccarvi a sbirciare durante il viaggio. Ci piace tenere i nostri segreti al sicuro.»
Thomas sbuffò; era inutile discutere. Prese uno dei cappucci e se lo infilò in testa. Non
vedeva altro che il buio mentre il furgone partiva a strattoni con un ruggito del motore.
43
Fu un viaggio senza intoppi, ma sembrò durare all’infinito. E tutto quel tempo per
pensare non era esattamente ciò di cui Thomas aveva bisogno, specialmente senza poter
vedere nulla. Quando finalmente si fermarono, gli era venuta la nausea.
La porta laterale del furgone si aprì, e Thomas alzò istintivamente la mano per togliersi
il cappuccio.
«Non farlo» sbottò il capo. «Non vi azzardate a toglierveli finché non lo diciamo noi.
Adesso uscite, con calma. Fateci un favore e restate vivi.»
«Sei proprio un pive tosto» Thomas sentì dire da Minho. «È facile quando si è in sei con
delle pistole. Perché non...» La sua voce venne interrotta dal tonfo di un cazzotto, seguito
da un forte grugnito.
Delle mani afferrarono Thomas e lo tirarono fuori dal furgone tanto bruscamente che
rischiò di cadere. Quando recuperò l’equilibrio, la persona lo tirò di nuovo e cominciò a
portarlo via. Thomas faticava a restare in piedi.
Rimase in silenzio mentre lo facevano scendere per una rampa di scale e lo guidavano
in un lungo corridoio. Si fermarono, e sentì la strisciata di una tessera magnetica, lo
scatto di una serratura, poi il cigolio di una porta che si apriva. A quel punto, un mormorio
riempì l’aria, come se dall’altra parte ci fossero decine di persone.
La donna gli diede una spinta e Thomas fece qualche passo in avanti barcollando. Alzò
subito la mano per togliersi il cappuccio, proprio mentre la porta alle sue spalle si
richiudeva.
Lui e gli altri si trovavano in una stanza enorme piena di gente, perlopiù seduta per
terra. La luce fioca del soffitto illuminava decine di facce che li fissavano, alcune sporche,
la maggior parte con graffi o lividi.
Una donna avanzò verso di lui, il viso deformato dalla paura e dall’ansia. «Com’è lì
fuori?» chiese. «Siamo qui dentro da qualche ora, e stava andando tutto a scatafascio. La
situazione è peggiorata?»
Altre persone cominciarono ad avvicinarsi al loro gruppo mentre Thomas rispondeva.
«Noi eravamo fuori dalla città, ci hanno catturato ai cancelli. Cosa vuol dire che stava
andando tutto a scatafascio? Cos’è successo?»
La donna abbassò lo sguardo. «Il governo ha dichiarato lo stato di emergenza, senza
nessun genere di preavviso. Poi la polizia, le macchine-sbirro, i controllori dell’Eruzione:
sono scomparsi tutti. Tutti insieme, a quanto pare. Noi siamo stati portati via da queste
persone mentre cercavamo di andare a lavoro negli edifici comunali. Non abbiamo
nemmeno avuto il tempo di capire cosa stesse succedendo o perché.»
«Noi eravamo guardie al Palazzo degli Spaccati» disse un uomo. «Altri come noi erano
scomparsi a destra e a manca, perciò alla fine abbiamo lasciato il lavoro e qualche giorno
fa siamo venuti a Denver. Anche noi siamo stati catturati all’aeroporto.»
«Come mai la situazione è peggiorata così tanto, così all’improvviso?» chiese Brenda.
«Noi eravamo qui tre giorni fa.»
L’uomo scoppiò in una risata brusca, amara. «L’intera città è piena di idioti che pensano
di tenere il virus sotto controllo. È stato come un brontolio lungo e continuo, ma alla fine
ci è esploso in faccia. Il mondo non ha speranze, il virus è troppo forte. Alcuni di noi
l’avevano previsto parecchio tempo fa.»
Lo sguardo di Thomas si posò su un gruppo di persone che si stava avvicinando. Rimase
pietrificato quando riconobbe Aris.
«Minho, guarda» disse, toccandolo con il gomito e facendogli segno.
Il ragazzo del Gruppo B stava già sorridendo e camminava veloce verso di loro. Dietro di
lui, Thomas vide un paio di ragazze che erano nel Labirinto con Aris. Chiunque fossero le
persone che li avevano catturati, sapevano fare bene il loro mestiere.
Aris raggiunse Thomas e si fermò davanti a lui come se stesse per abbracciarlo, poi
invece gli porse la mano. Thomas la strinse.
«Sono contento che stiate bene» disse il ragazzo.
«Lo stesso vale per me.» Vedendo il viso familiare di Aris, Thomas si rese conto che
qualunque rancore avesse provato nei suoi confronti per quello che era successo nella
Zona Bruciata era acqua passata. «Dove sono tutti?»
Aris si rabbuiò. «Molti di loro non sono più con noi. Sono stati catturati da un altro
gruppo.»
Prima che Thomas potesse elaborare quell’informazione, comparve Teresa. Dovette
schiarirsi la voce per liberarsi del nodo che gli si era improvvisamente formato in gola.
«Teresa?» Fu un tale vortice di emozioni contrastanti che riuscì a malapena a pronunciare
quel nome.
«Ehi, Tom.» Si avvicinò a lui, con sguardo triste. «Sono così felice che tu stia bene.»
Aveva le lacrime agli occhi.
«Già, anch’io.» Una parte di lui la odiava, una parte ne aveva sentito la mancanza.
Voleva gridarle contro per essersene andata senza di loro dalla C.A.T.T.I.V.O.
«Dove siete finiti?» chiese lei. «Come avete fatto ad arrivare fino a Denver?»
Thomas era confuso. «Cosa vuol dire, dove siamo finiti?»
La ragazza lo fissò per qualche secondo. «Abbiamo molto di cui parlare.»
Thomas strizzò gli occhi. «A che gioco stai giocando adesso?»
«Non sto...» La sua voce ora aveva un che di insofferente. «È chiaro che c’è stato un
problema di comunicazione. Senti, molti del nostro gruppo sono stati catturati da altri
cacciatori di taglie ieri. Probabilmente sono già stati portati via e venduti alla
C.A.T.T.I.V.O. Compreso Frypan. Mi dispiace.»
Nella mente di Thomas comparve l’immagine del cuoco. Non sapeva se sarebbe riuscito
a sopportare la perdita di un altro amico.
Minho si avvicinò per parlare. «Vedo che sei allegra come sempre. Sono così contento di
poter godere di nuovo della tua solare presenza.»
Teresa lo ignorò. «Tom, ci sposteranno presto. Per favore, vieni a parlare con me. In
privato. Adesso.»
Thomas odiava il fatto di volerlo fare, e cercò di nascondere l’impazienza. «L’Uomo
Ratto mi ha già fatto il suo bel discorsetto. Per favore, dimmi che non sei d’accordo con
lui e che non pensi anche tu che dovrei tornare alla C.A.T.T.I.V.O.»
«Non so nemmeno di cosa tu stia parlando.» Rimase in silenzio per un attimo, come se
volesse tenere a bada il suo orgoglio. «Ti prego.»
Thomas la fissò a lungo, confuso da quello che provava. Brenda era a pochi passi da lui,
ed era chiaro che non fosse contenta di vedere Teresa.
«Allora?» chiese Teresa. Indicò lo spazio intorno a loro. «Non c’è molto da fare qui, a
parte aspettare. Sei troppo impegnato per parlare con me?»
Thomas dovette sforzarsi per non alzare gli occhi al cielo. Indicò un paio di sedie vuote
in un angolo della grande stanza. «Andiamo, ma fai in fretta.»
44
Thomas era seduto con la testa appoggiata al muro, le braccia conserte. Teresa aveva
le gambe piegate sotto di sé, e si era girata in modo da guardarlo in faccia. Mentre si
allontanavano, Minho lo aveva avvertito di non ascoltare una sola parola di ciò che gli
avrebbe detto.
«Allora» disse lei.
«Allora.»
«Da dove cominciamo?»
«È stata una tua idea. Dimmelo tu. Se non hai niente da dire possiamo chiuderla qui.»
Teresa sospirò. «Forse tu potresti cominciare col darmi il beneficio del dubbio e
smetterla di comportarti come un cretino. Sì, so di aver fatto delle cose nella Zona
Bruciata, ma sai perché le ho fatte: perché alla fine tu ti salvassi. Allora non avevo idea
che fosse tutta una questione di Variabili e di schemi. Potresti provare ad avere una
considerazione un po’ più alta di me, no? A parlarmi come a una persona normale.»
Thomas lasciò che calasse il silenzio per qualche secondo prima di rispondere. «Va
bene, d’accordo. Ma tu mi hai lasciato alla C.A.T.T.I.V.O., e questo prova che tu...»
«Tom!» gridò lei, con l’espressione di chi ha ricevuto uno schiaffo. «Noi non ti abbiamo
lasciato lì. Di cosa stai parlando?»
«Di cosa stai parlando tu.» Adesso Thomas era completamente confuso.
«Non ti abbiamo lasciato lì! Siamo venuti a cercarti. Sei stato tu a lasciare lì noi!»
Thomas era allibito. «Pensi davvero che sia così stupido?»
«L’unica cosa di cui tutti parlavano alla C.A.T.T.I.V.O. era che tu, Newt e Minho eravate
scappati e che eravate da qualche parte nella foresta lì intorno. Vi abbiamo cercato ma
non c’era traccia di voi. Da quel momento non ho fatto che sperare che foste riusciti in
qualche modo a tornare alla civiltà. Secondo te perché ero così contenta di vedere che eri
vivo?»
Thomas sentì smuoversi dentro una rabbia familiare. «Come puoi aspettarti che ci
creda? Probabilmente tu sapevi con esattezza quello che l’Uomo Ratto ha cercato di
dirmi: che hanno bisogno di me, che io sono il cosiddetto Candidato Finale.»
Teresa incurvò le spalle. «Tu pensi che io sia la persona più malvagia ad aver mai
messo piede sulla terra, vero?» Ma non aspettò la sua risposta. «Se tu avessi recuperato
la memoria come previsto, vedresti che sono la stessa Teresa di sempre. Ho fatto quello
che ho fatto nella Zona Bruciata per salvarti, e da quel momento ho cercato di
rimediare.»
Thomas faticava a tenere il punto; non sembrava che stesse recitando. «Come faccio a
crederti, Teresa? Come?»
La ragazza alzò lo sguardo su di lui, e i suoi occhi erano lucidi. «Te lo giuro, non so
niente riguardo al Candidato Finale. Quella roba è stata studiata dopo che siamo andati
nel Labirinto, perciò è una cosa di cui non ho nessun ricordo. Quello che ho appreso è che
la C.A.T.T.I.V.O. non intende fermare le Prove finché non otterrà la cianografia. Si sta
preparando per far partire un altro ciclo, Thomas. La C.A.T.T.I.V.O. sta raccogliendo nuovi
immuni che comincerà a sottoporre ai test se le Prove non hanno funzionato. E io non
posso più farlo. Me ne sono andata per cercarti. Questo è tutto.»
Thomas non rispose. Una parte di lui voleva crederle. Disperatamente.
«Mi dispiace» disse Teresa sospirando. Distolse lo sguardo e si passò la mano tra i
capelli. Aspettò diversi secondi prima di guardarlo di nuovo. «L’unica cosa che posso dirti
è che sono devastata. Distrutta. Credevo davvero che si potesse arrivare a una cura, e
sapevo che avevano bisogno di te per trovarla. Adesso è diverso. Anche se ho recuperato
la memoria, non posso più pensarla come prima. Adesso mi rendo conto che tutto questo
non finirà mai.»
Smise di parlare, ma Thomas non aveva niente da dire. Osservò il viso di Teresa e notò
una sofferenza che non aveva mai visto prima. Stava dicendo la verità.
Proseguì senza aspettare una sua replica. «E così ho fatto un patto con me stessa. Avrei
rimediato ai miei errori a qualunque costo. Per prima cosa volevo salvare i miei amici, e
poi altri immuni, se fosse stato possibile. E guarda che bel lavoro che ho fatto.»
Thomas pensò a qualcosa da dire. «Be’, noi non siamo stati molto più bravi, che dici?»
Teresa si mostrò sorpresa. «Speravate di fermarli?»
«Stiamo per essere rivenduti alla C.A.T.T.I.V.O., quindi che differenza fa?»
Lei non gli rispose subito. Thomas avrebbe dato qualunque cosa per essere nella sua
testa, e non come in passato. Per un momento, l’idea che avessero condiviso
innumerevoli ore insieme di cui lui non ricordava nulla gli provocò tristezza. Un tempo
erano stati migliori amici.
«Se in qualche modo riusciremo a fare qualcosa, spero che troverai il modo di fidarti
ancora di me» disse alla fine. «E sono certa che potremmo convincere Aris e gli altri ad
aiutarci. Loro la pensano come me.»
Thomas sapeva che doveva stare attento. Era strano che Teresa fosse d’accordo con lui
sulla C.A.T.T.I.V.O. giusto adesso che aveva recuperato la memoria.
«Staremo a vedere cosa succede» disse poi.
Teresa si corrucciò. «Non ti fidi proprio di me, vero?»
«Staremo a vedere cosa succede» ripeté. Poi si alzò e si allontanò. Detestava quello
sguardo ferito nei suoi occhi. E detestava sé stesso perché dopo tutto quello che gli aveva
fatto gli importava ancora di lei.
45
Al suo ritorno, Thomas trovò Minho seduto con Brenda e Jorge. Il ragazzo non sembrava
felice di vederlo, e gli lanciò un’occhiataccia. «Allora, cos’aveva da dire quella traditrice
del caspio?»
Thomas gli si sedette accanto. Intorno a loro si erano radunati molti sconosciuti, e
sapeva che li stavano ascoltando.
«Be’?» insistette Minho.
«Ha detto che la ragione per cui sono scappati è che hanno scoperto che la
C.A.T.T.I.V.O. sta progettando di ricominciare tutto da capo se lo riterrà necessario. Che
sta radunando gli immuni, proprio come ci ha riferito Gally. Giura che li ha portati a
credere che noi eravamo già scappati, e che ci hanno cercato.» Si interruppe. Sapeva che
a Minho il seguito non sarebbe piaciuto. «E che, se potrà, è disposta ad aiutarci.»
Minho scosse la testa. «Sei una testapuzzona. Non avresti dovuto parlare con lei.»
«Grazie.» Thomas si sfregò il viso. Minho aveva ragione.
«Odio dovervi interrompere, muchachos» disse Jorge. «Potete parlare tutto il giorno di
queste cavolate, ma non serve a un tubo se non riusciamo ad andarcene da questo bel
posticino. A prescindere da chi sta dalla parte di chi.»
Proprio in quel momento la porta della stanza si aprì, e tre dei loro sequestratori
entrarono con dei grossi sacchi pieni di qualcosa. Ne seguì un quarto, armato di un
lanciagranate e di una pistola, che si mise a osservare la stanza per controllare che non si
verificassero problemi, mentre gli altri cominciavano a passare quello che c’era nei sacchi:
pane e bottiglie d’acqua.
«Come facciamo a cacciarci sempre in questi casini?» chiese Minho. «Almeno prima
potevamo incolpare la C.A.T.T.I.V.O. per ogni cosa.»
«Già, be’, possiamo ancora farlo» mormorò Thomas.
Minho sorrise. «Giusto. Quelle facce di caspio.»
Mentre i rapitori giravano per la stanza, calò un silenzio carico di apprensione. La gente
cominciò a mangiare. Thomas si rese conto che se volevano continuare a parlare
dovevano farlo bisbigliando.
Minho gli diede un colpetto con il gomito. «Solo uno è armato» sussurrò. «E non sembra
molto forte. Scommetto che potrei metterlo fuori combattimento.»
«Forse» rispose Thomas sottovoce. «Ma non fare stupidaggini, ha una pistola oltre al
lanciagranate. E fidati, nessuno dei due ti lascia un bel ricordo.»
«Già, be’, fidati tu questa volta.» Gli fece l’occhiolino, e Thomas non poté fare altro che
sospirare. Le probabilità che ciò che stava per succedere non venisse notato erano
scarse.
I rapitori si avvicinarono a Thomas e Minho e si fermarono. Thomas prese un panino e
una bottiglia d’acqua, ma quando uno dei due provò a passare del pane a Minho, lui lo
allontanò con una manata.
«Perché dovrei accettare qualcosa da voi? Probabilmente è avvelenato.»
«Se vuoi restare a digiuno, non ho niente in contrario» rispose il tizio, proseguendo il
giro.
Ma un attimo prima che superasse il loro gruppetto, Minho, con uno scatto, saltò in piedi
e si scagliò sull’uomo con il lanciagranate. Thomas trasalì quando l’arma scivolò dalla
presa del tipo e un colpo partì verso il soffitto, esplodendo in mille scariche di luce. Il
rapitore era ancora a terra e Minho cominciò a prenderlo a pugni, mentre con la mano
libera cercava di portargli via la pistola.
Per un attimo, rimasero tutti impietriti. Ma poi, prima che Thomas potesse reagire, si
mossero contemporaneamente. Gli altri tre rapitori lasciarono i sacchi per fermare Minho,
ma non ebbero il tempo di fare un passo, perché sei persone si buttarono su di loro e li
scaraventarono a terra. Jorge aiutò Minho a tenere fermo il suo uomo, e gli calpestò il
braccio finché quello non mollò la pistola che aveva tirato fuori dalla cintura. Minho la
allontanò con un calcio, e una donna la raccolse. Thomas vide che Brenda aveva preso il
lanciagranate.
«Fermi!» gridò, puntando l’arma contro i rapitori.
Minho si alzò in piedi, e mentre si allontanava, Thomas notò che il viso del tizio a terra
era ricoperto di sangue. La gente stava già trascinando le altre tre guardie per sistemarle
sul pavimento accanto al loro compagno, mettendole tutte e quattro in fila sdraiate di
schiena.
Accadde tutto così in fretta che Thomas non ebbe il tempo di muoversi dal punto in cui
si trovava, ma si mise subito al lavoro.
«Dobbiamo farli parlare» disse. «E in fretta, prima che arrivino i rinforzi.»
«Dovremmo sparargli in testa e basta!» urlò un uomo. «Sparargli e andarcene da qui.»
Altri gridarono la loro approvazione.
Thomas si rese conto che il gruppo si era trasformato in un branco di selvaggi. Se
voleva delle informazioni doveva agire in fretta, prima che la situazione degenerasse. Si
alzò in piedi, raggiunse la donna con la pistola e la convinse a consegnargliela; poi si
avvicinò al tipo che gli aveva dato il panino e si inginocchiò accanto a lui.
Gli appoggiò la pistola alla tempia. «Conterò fino a tre. O mi dici cosa intende fare la
C.A.T.T.I.V.O. con noi e dove dovevate incontrarvi, o premerò il grilletto. Uno.»
L’uomo non esitò. «La C.A.T.T.I.V.O.? Noi non abbiamo niente a che fare con la
C.A.T.T.I.V.O.»
«Stai mentendo. Due.»
«No, lo giuro. Questa cosa non c’entra niente con loro. Almeno a quanto ne so.»
«Oh, davvero? Allora vuoi spiegarmi perché ve ne andate in giro a rapire un mucchio di
gente immune?»
Per un attimo l’uomo spostò lo sguardo sui suoi amici, ma poi rispose, fissando Thomas
dritto negli occhi. «Noi lavoriamo per il Braccio Destro.»
46
«Che intendi per lavoriamo per il Braccio Destro?» chiese Thomas. Non aveva senso.
«Cosa vuol dire che intendi?» disse l’uomo, nonostante l’arma puntata alla testa. «Che
lavoro per il cavolo di Braccio Destro. Perché è così difficile da capire?»
Thomas tirò via la pistola e si mise seduto, confuso. «Allora perché dovreste andare in
giro a catturare immuni?»
«Perché ci va» disse quello, osservando l’arma abbassata. «Il resto non sono affari
tuoi.»
«Sparagli e passa al prossimo!» gridò qualcuno tra la folla.
Thomas si riavvicinò, puntandogli di nuovo la pistola alla tempia. «Sei estremamente
coraggioso, considerato che sono io quello armato. Conterò di nuovo fino a tre. Dimmi
perché il Braccio Destro dovrebbe volere degli immuni o dovrò dedurre che stai
mentendo. Uno.»
«Sai che non sto mentendo, ragazzino.»
«Due.»
«Non mi ucciderai. Te lo leggo negli occhi.»
L’uomo aveva capito che stava bluffando. Thomas non avrebbe mai potuto sparare in
testa a una persona così. Sospirò, e allontanò la pistola. «Se lavori per il Braccio Destro,
allora dovremmo stare dalla stessa parte. Dimmi solo cosa sta succedendo.»
Il tizio si mise seduto, lentamente, e lo stesso fecero i suoi tre amici, tra cui quello con
la faccia insanguinata che si lamentò per lo sforzo.
«Se vuoi delle risposte,» disse uno «allora dovrai parlare con il capo. Noi non sappiamo
niente, davvero.»
«Già» aggiunse l’uomo accanto a Thomas. «Noi non contiamo niente.»
Brenda si avvicinò con il lanciagranate. «E come facciamo a trovare questo vostro
capo?»
L’uomo scrollò le spalle. «Non ne ho idea.»
Minho grugnì e strappò la pistola dalle mani di Thomas. «Ne ho abbastanza di questa
sploff.» Puntò l’arma contro la punta del piede di quel tizio. «D’accordo, non ti
uccideremo, ma se non cominci a parlare entro tre secondi quel dito comincerà a farti un
male bestiale. Uno.»
«Ve l’ho detto, io non so niente.» L’uomo era nero di rabbia.
«Bene» rispose Minho. Fece fuoco.
Thomas osservò sconvolto l’uomo prendersi il piede, strillando per il dolore. Minho gli
aveva sparato proprio al mignolo: una parte della scarpa e il dito erano completamente
andati, al loro posto solo una ferita sanguinante.
«Come hai potuto?» gridò la donna seduta accanto, mentre si spostava per aiutare
l’amico. Tirò fuori un mucchio di fazzoletti dalla tasca e glielo premette sul piede.
Thomas era scioccato dal fatto che Minho lo avesse fatto davvero, ma doveva
riconoscere che aveva fegato. Lui non sarebbe riuscito a premere il grilletto, e se non
avessero ottenuto risposte adesso, non le avrebbero ottenute mai. Guardò Brenda, e
vedendola scrollare le spalle capì che era d’accordo. Teresa stava osservando da lontano,
ma la sua espressione era indecifrabile.
Minho persistette. «Bene, mentre lei si occupa del suo povero piede, qualcuno farà
meglio a cominciare a parlare. Diteci cosa sta succedendo o perderemo un altro dito.»
Agitò la pistola davanti alla donna, poi verso gli altri due uomini. «Perché rapite la gente
per conto del Braccio Destro?»
«Te lo abbiamo detto, non sappiamo niente» rispose la donna. «Ci pagano e noi
facciamo quello che ci chiedono.»
«E tu?» chiese Minho, puntando l’arma verso uno dei due tizi. «Tu vuoi dire qualcosa,
tenerti tutte le dita?»
L’uomo alzò le mani. «Ti giuro sulla vita di mia madre che non so niente. Ma...»
Sembrava essersi subito pentito dell’ultima parola. Il suo sguardo si spostò di colpo sugli
amici e impallidì.
«Ma cosa? Sputa il rospo, lo so che stai nascondendo qualcosa.»
«Niente.»
«Dobbiamo davvero continuare con questo gioco?» Minho gli appoggiò la pistola sul
piede. «Sono stanco di contare.»
«Fermo!» gridò il rapitore. «D’accordo, ascolta. Potremmo accompagnare un paio di voi
da loro, così glielo chiederete voi stessi. Non so se vi lasceranno parlare con chi comanda,
ma potrebbero. Non mi farò sparare al piede senza motivo.»
«Bene allora» disse Minho, indietreggiando e facendo segno all’uomo di alzarsi. «Visto,
non era poi così difficile. Andiamo a trovare questo vostro capo. Io, tu e i miei amici.»
Di colpo nella stanza scoppiò un gran fracasso. Nessuno voleva restare lì e nessuno era
disposto a tenerselo per sé.
La donna che aveva portato l’acqua si alzò e cominciò a gridare. La folla si zittì. «Qui
siete molto più al sicuro! Credetemi gente, è la verità. Se provassimo ad andarci tutti
insieme, posso garantirvi che la metà non arriverebbe a destinazione. Se questi ragazzi
vogliono vedere il capo, lasciate pure che rischino la pelle. Una pistola e un lanciagranate
non serviranno a un bel niente là fuori. Ma qui la porta è chiusa a chiave e non ci sono
finestre.»
Quando concluse il suo discorso, si sollevò un altro coro di lamentele. La donna si
rivolse a Minho e Thomas parlando a voce alta per via del rumore. «Ascoltatemi, lì fuori è
pericoloso. Vi conviene andarci al massimo in due. Più siete, più probabilità ci sono che vi
vedano.» Rimase in silenzio per un attimo e osservò la stanza. «E se fossi in voi mi
muoverei in fretta. A giudicare da come si stanno mettendo le cose, queste persone non
faranno che spazientirsi sempre di più. Presto sarà impossibile trattenerli. E lì fuori...»
Strinse le labbra, poi continuò. «Ci sono Spaccati ovunque. Stanno uccidendo qualunque
cosa si muova.»
47
Minho puntò la pistola verso il soffitto e fece fuoco, facendo saltare Thomas per lo
spavento. Il rumore della folla si trasformò in un silenzio di tomba.
Non ci fu bisogno che Minho dicesse nulla. Fece segno alla donna di parlare.
«Lì fuori è l’inferno. È successo tutto molto in fretta. Come se fossero rimasti nascosti in
attesa di un segnale o roba del genere. Questa mattina la polizia è stata sopraffatta e i
cancelli sono stati aperti. Alcuni Spaccati arrivati dal Palazzo si sono uniti agli altri.
Adesso sono ovunque.»
Fece una pausa e si prese il tempo di incrociare alcuni sguardi. «Vi assicuro che non vi
conviene andare lì fuori. E vi assicuro che noi siamo i buoni. Non so cosa stia progettando
il Braccio Destro, ma quello che so è che parte del piano include portarci fuori da
Denver.»
«Allora perché ci state trattando come prigionieri?» gridò qualcuno.
«Io sto solo facendo quello per cui mi hanno ingaggiato.» Si rivolse di nuovo a Thomas
e proseguì. «Credo che sia un’idea stupida lasciare questo posto, ma come ho detto, se
volete farlo, dovete essere al massimo in due. Se quegli Spaccati notano un bel po’ di
carne fresca in giro per le strade, è tutto finito. Armi o non armi. E il capo potrebbe non
gradire l’arrivo di una folla di persone. Chi dei nostri è di guardia potrebbe cominciare a
sparare vedendo un furgone pieno di sconosciuti.»
«Andremo io e Brenda» disse Thomas. Non si era nemmeno reso conto che lo stava
dicendo finché non gli uscì dalla bocca.
«Non se ne parla» disse Minho scuotendo la testa. «Tu e io.»
Minho era un pericolo. Era troppo impulsivo. Brenda pensava prima di agire, ed era
quello che ci voleva per uscirne vivi. E Thomas non voleva perderla di vista nemmeno per
un momento. Semplicemente. «Io e lei. Ce la siamo cavata piuttosto bene nella Zona
Bruciata. Possiamo farcela.»
«Non se ne parla, Thomas!» Thomas avrebbe giurato che il suo amico sembrasse quasi
ferito dalla sua decisione. «Non dovremmo separarci. Dovremmo andarci tutti e quattro, è
più sicuro.»
«Minho, ci serve qualcuno che resti qui a controllare la situazione» disse Thomas, e lo
pensava davvero. Quella era una stanza piena di gente che poteva aiutarli a sconfiggere
la C.A.T.T.I.V.O. «E poi, detesto doverlo dire, ma se ci succedesse davvero qualcosa?
Resta qui e assicurati che i nostri piani vadano in porto. Hanno preso Frypan, Minho. E
chissà chi altro. Una volta hai detto che avrei dovuto essere io l’Intendente dei Velocisti.
Be’, lasciamelo fare per oggi. Fidati di me. Come ha detto la donna, meno siamo, più
possibilità abbiamo di passare inosservati.»
Thomas guardò l’amico negli occhi in attesa di una risposta. Minho rimase a lungo in
silenzio.
«Va bene» disse alla fine. «Ma se muori io non sarò felice.»
Thomas annuì. «Bene così.» Non si era reso conto di quanto fosse importante che Minho
credesse ancora in lui. Gli infuse una buona dose di coraggio, e ne aveva bisogno per fare
quello che doveva.
Alla fine, fu l’uomo che aveva detto di poterli portare dal capo ad accompagnarli. Si
chiamava Lawrence, e a prescindere da come fosse la situazione all’esterno, sembrava
impaziente di uscire da quella stanza piena di persone arrabbiate. Aprì la grande porta e
fece segno a Thomas e Brenda di seguirlo; Thomas con la pistola e Brenda con il
lanciagranate.
Il gruppetto ripercorse il lungo corridoio da cui erano arrivati e Lawrence si fermò
davanti all’uscita dell’edificio. La luce fioca che arrivava dal soffitto illuminò il viso
dell’uomo, e Thomas capì che era preoccupato.
«D’accordo, dobbiamo prendere una decisione. Se andiamo a piedi, ci metteremo un
paio d’ore, ma avremo molte più probabilità di riuscire ad attraversare la città. A piedi
possiamo nasconderci molto più facilmente che con il furgone. Con il furgone
arriveremmo molto più in fretta, ma verremmo notati di sicuro.»
«Velocità o prudenza» disse Thomas. Guardò Brenda. «Tu che ne pensi?»
«Il furgone» rispose lei.
«Già» concordò Thomas. L’immagine dello Spaccato con il viso insanguinato del giorno
prima lo perseguitava. «Il pensiero di essere lì fuori a piedi mi spaventa da morire. Il
furgone, decisamente.»
Lawrence annuì. «Bene, furgone sia. Adesso tenete la bocca chiusa e le armi pronte. Per
prima cosa dobbiamo salire a bordo e mettere la sicura. È subito fuori da questa porta.
Pronti?»
Thomas guardò Brenda sollevando le sopracciglia ed entrambi annuirono. Pronti, per
quanto possibile.
Lawrence tirò fuori un mazzo di tessere magnetiche dalla tasca e fece scattare tutti i
chiavistelli in fila sul muro. Strinse le tessere nel pugno e si appoggiò con il corpo alla
porta, poi la aprì lentamente di uno spiraglio. Fuori era buio, l’unica luce proveniva da un
solo lampione. Thomas si chiese per quanto tempo ancora l’elettricità avrebbe
funzionato, come qualunque altra cosa. Denver sarebbe potuta morire nel giro di qualche
giorno.
Riusciva a vedere il furgone parcheggiato in un vicolo stretto a circa cinque metri da
loro. Lawrence si sporse, guardò a destra e a sinistra, poi ritirò dentro la testa.
«Sembra che la via sia libera. Andiamo.»
I tre uscirono, e Thomas e Brenda corsero verso il furgone mentre Lawrence richiudeva
le serrature della porta. Thomas era un fascio di nervi. Spostava lo sguardo su e giù per
la strada in preda all’ansia, sicuro che avrebbe visto sbucare uno Spaccato da un
momento all’altro. Ma anche se in lontananza sentiva delle risate isteriche, il posto era
deserto.
Le sicure del furgone scattarono e Brenda aprì la portiera, infilandosi dentro proprio
insieme a Lawrence. Thomas si unì a loro sui sedili anteriori e sbatté lo sportello.
Lawrence mise subito la sicura e accese il motore. Stava per dare gas quando un forte
botto risuonò proprio sopra le loro teste e degli scossoni sballottarono il furgone. Poi il
silenzio. E un colpo di tosse soffocato.
Qualcuno era saltato sul tetto del furgone.
48
Il furgone scattò in avanti, le mani di Lawrence incollate sul volante. Thomas si voltò
per guardare fuori dai finestrini posteriori, ma non vide niente. La persona sul tetto del
furgone era riuscita in qualche modo a rimanere attaccata.
A quel punto si voltò di nuovo, proprio quando un viso cominciò a scivolare sul
parabrezza, fissandoli a testa ingiù. Era una donna, i capelli sbattevano nel vento mentre
Lawrence a tutta velocità spingeva il furgone nel vialetto. I suoi occhi incrociarono quelli
di Thomas, poi gli sorrise, mostrando una dentatura bianca e sorprendentemente
perfetta.
«A cosa è aggrappata?» gridò Thomas.
«Chi lo sa. Ma non può resistere a lungo» rispose Lawrence, con voce affannata.
La donna teneva lo sguardo fisso su Thomas, ma staccando una mano l’aveva stretta a
pugno, e aveva cominciato a picchiare sul parabrezza. Bum, bum, bum. Con quell’ampio
sorriso stampato in faccia, i denti che quasi risplendevano alla luce del lampione.
«Puoi per favore sbarazzarti di lei?» gridò Brenda.
«Va bene.» Lawrence inchiodò.
La donna venne sbalzata via, scaraventata in avanti come per effetto di una granata, le
braccia per aria e le gambe spalancate, finché non si schiantò a terra. Thomas fece una
smorfia e strinse gli occhi, poi con fatica si decise a riaprirli. Per quanto incredibile, si
stava già muovendo, e si era rimessa in piedi barcollando. Recuperò l’equilibrio, poi si
voltò lentamente verso di loro, con le luci del furgone che ne illuminavano ogni
centimetro.
Non sorrideva più, per niente. Le labbra si erano arricciate in un ringhio feroce, metà
viso era tumefatto. I suoi occhi si posarono di nuovo su Thomas, facendolo rabbrividire.
Lawrence fece rombare il motore, e la Spaccata sembrava sul punto di buttarsi davanti
al furgone, come se potesse in qualche modo fermarlo, ma all’ultimo secondo si spostò e
li osservò passare. Thomas non riusciva a distogliere lo sguardo da lei. Un attimo prima di
scomparire, la sua espressione si accigliò e i suoi occhi si illuminarono, come se si fosse
appena resa conto di quello che aveva fatto. Come se dentro di lei ci fosse ancora una
piccola traccia della persona che era.
Vederla in quel modo peggiorò solo le cose per Thomas. «C’era un mix di follia e
normalità in quella donna.»
«Ringrazia solo che non c’era nessuno con lei» mormorò Lawrence.
Brenda strinse il braccio di Thomas. «È difficile da guardare. So com’è stato per te e per
Minho vedere quello che è successo a Newt.»
Thomas non rispose, ma mise la mano sopra quella di lei.
Arrivarono in fondo al vicolo, e Lawrence svoltò a destra su una strada più grande.
Piccoli gruppi di gente erano sparpagliati nella zona davanti a loro. Alcune persone si
dimenavano, come se stessero lottando, ma la maggior parte stava rovistando nella
spazzatura o mangiando qualcosa che Thomas non riusciva a distinguere. Mentre
passavano, molti visi inquietanti, spettrali, restarono a fissarli con occhi spenti.
Nessuno sul furgone disse niente, come se avessero paura che parlando avrebbero in
qualche modo attirato l’attenzione degli Spaccati.
«Non riesco a credere che stia succedendo così in fretta» disse Brenda dopo un po’.
«Pensi che stessero pianificando di assumere il controllo di Denver? Potrebbero davvero
organizzare una cosa del genere?»
«Difficile dirlo» rispose Lawrence. «C’erano dei segnali. Residenti scomparsi, e anche
rappresentanti governativi, e sempre più infetti. Ma sembra che un gran numero di quegli
idioti si fosse nascosto, in attesa del momento giusto per fare la loro mossa.»
«Già» disse Brenda. «Sembra che si trattasse solo di aspettare che il numero di Spaccati
superasse quello delle persone sane. Appena l’ago della bilancia ha cominciato a
spostarsi, si è spostato del tutto.»
«Chi se ne importa di com’è successo» disse Lawrence. «L’unica cosa che importa è la
realtà dei fatti. Guardate intorno a noi. Questo posto si è trasformato in un inferno.»
Rallentò per affrontare una curva a gomito e imboccare un lungo vicolo. «Siamo quasi
arrivati. Adesso dobbiamo fare più attenzione.» Spense le luci, poi accelerò di nuovo.
Man mano che proseguivano si fece sempre più buio, finché Thomas arrivò al punto di
vedere solo grosse ombre senza forma, che continuava a immaginare sarebbero di colpo
saltate davanti a loro. «Forse non dovresti guidare così velocemente.»
«Andrà tutto bene» rispose l’uomo. «Ho fatto questa strada migliaia di volte. La conosco
come le mie...»
Thomas volò in avanti e fu spinto indietro dalla cintura di sicurezza. Erano passati sopra
qualcosa, che era rimasto attaccato sotto il veicolo. Dal rumore sembrava metallo. Il
furgone sobbalzò un paio di volte, poi si fermò.
«Cos’è stato?» sussurrò Brenda.
«Non lo so» rispose Lawrence con voce ancora più bassa. «Probabilmente un bidone
della spazzatura o roba del genere. Me la sono fatta sotto.»
Avanzò di mezzo metro, e un forte rumore stridulo riempì l’aria. Poi un tonfo seguito da
un altro colpo, e poi il silenzio.
«Ce ne siamo liberati» mormorò Lawrence, senza preoccuparsi di nascondere il sollievo.
Ripartì, ma ridusse leggermente la velocità.
«Forse dovremmo riaccendere le luci?» suggerì Thomas, sorpreso da quanto gli battesse
forte il cuore. «Io non vedo niente.»
«Già» aggiunse Brenda. «Tanto, di sicuro, chiunque sia lì fuori avrà sentito quel
baccano.»
«Suppongo di sì.» Lawrence le accese.
I fari colorarono tutto il vicolo di una luce azzurrastra che, paragonata al buio di prima,
sembrava più forte di quella del sole. Thomas strizzò gli occhi per il bagliore, e quando li
riaprì del tutto fu assalito dal terrore. Cinque o sei metri avanti a loro erano spuntate
almeno trenta persone, strette l’una all’altra, a bloccare completamente il passaggio.
Erano pallide, il viso smunto, pieno di graffi e lividi. I vestiti strappati e sporchi
penzolavano dai corpi. Se ne stavano lì, gli occhi fissi sui fari luminosi, e sembrava che la
cosa non le turbasse affatto. Erano come cadaveri ambulanti, ritornati dal regno dei
morti.
Thomas sentì un brivido freddo raggelargli il sangue.
La folla cominciò a spostarsi. E mentre indietreggiava verso il ciglio della strada, al
centro si aprì un grosso varco. Poi uno di loro agitò un braccio, facendo segno al furgone
di tirare dritto e proseguire.
«Questi sono Spaccati estremamente gentili» sussurrò Lawrence.
49
«Forse non hanno ancora superato l’Andata?» suggerì Thomas, anche se
quell’affermazione sembrava stupida persino a lui. «O non erano dell’umore giusto per
farsi investire da un furgone?»
«Be’, dài gas» disse Brenda. «Prima che cambino idea.»
Con sollievo di Thomas, Brenda fu accontentata; il furgone acquistò velocità e Lawrence
non rallentò. Mentre passavano, gli Spaccati allineati lungo i muri li fissavano. Vedendoli
da vicino − i graffi e il sangue, i lividi, quegli occhi folli − a Thomas vennero di nuovo i
brividi.
Erano quasi arrivati alla fine del gruppo quando ci fu una serie di scoppi e il furgone
sobbalzò sbandando verso destra. Il muso andò a sbattere contro il muro del vicolo,
schiacciando due Spaccati che si trovavano lì. Thomas li fissò agghiacciato attraverso il
parabrezza mentre loro urlavano in preda all’agonia e picchiavano i pugni insanguinati sul
cofano.
«Cosa diavolo è stato?» gridò Lawrence mettendo la retromarcia.
Indietreggiarono di qualche metro, ma il furgone cigolava e tremava in modo orribile. I
due Spaccati caddero a terra e furono immediatamente attaccati da quelli più vicini.
Thomas distolse subito lo sguardo, nauseato da quella scena orrenda. Tutt’intorno, gli
Spaccati cominciarono a colpire il furgone con i pugni. Nello stesso momento, le ruote
stridevano girando a vuoto. La combinazione di quei rumori sembrava uscita da un
incubo.
«Che succede?» gridò Brenda.
«Hanno fatto qualcosa alle gomme! O agli assali. Non lo so!»
Lawrence continuava a passare dalla retromarcia alla prima, ma ogni volta si
spostavano solo di un paio di metri. Una donna con i capelli tutti arruffati e irti si avvicinò
al finestrino alla destra di Thomas. Reggeva con entrambe le mani un badile enorme, e
lui la osservò sollevarlo sopra la testa e sbatterlo sul vetro, che per ora resisteva.
«Dobbiamo assolutamente andarcene da qui!» gridò. Inerme, non sapeva cos’altro dire.
Erano stati degli stupidi a cadere in una trappola così ovvia.
Lawrence continuava a cambiare marcia e a dare gas, ma si muovevano a malapena
avanti e indietro. Una sfilza di tonfi familiari risuonò sul tetto. C’era qualcuno lì sopra. Gli
Spaccati adesso stavano attaccando tutti i finestrini, usando qualunque cosa, dai bastoni
alla propria testa. La donna fuori dal furgone dal lato di Thomas non demordeva,
continuava a sbattere il badile sul vetro, che alla fine, dopo cinque o sei tentativi, si
incrinò.
Il panico crescente gli ostruì la gola. «Lo romperà!»
«Portaci fuori di qui!» gridò nello stesso momento Brenda.
Il furgone avanzò di qualche centimetro, abbastanza perché l’attacco successivo della
donna andasse a vuoto. Ma qualcuno da sopra colpì il parabrezza con un martello
provocando un’enorme crepa che si ramificò formando una ragnatela bianca sul vetro.
Il furgone sobbalzò all’indietro. L’uomo con il martello rotolò sul cofano prima di poter
sferrare un altro colpo, e cadde a terra. Uno Spaccato con uno squarcio profondo sulla
testa calva gli tolse l’arnese dalle mani e diede due martellate, poi altre persone si
misero a lottare con lui per portarglielo via. Le crepe oscuravano quasi del tutto la vista
dall’interno dell’abitacolo. Da dietro arrivò il rumore di un finestrino che si rompeva;
Thomas si voltò e vide un braccio infilarsi attraverso quel che restava del vetro, le
schegge affilate che gli strappavano la pelle.
Thomas si slacciò la cintura e contorcendosi raggiunse il retro del furgone. Afferrò la
prima cosa che gli capitò tra le mani, un lungo arnese di plastica con una spazzola a
un’estremità e un manico appuntito dall’altra − una scopa per la neve −, e tornò
strisciando nell’abitacolo. Arrivato alla fila centrale di sedili si girò, e usando quell’affare
colpì il braccio dello Spaccato, una, due, tre volte. Chiunque fosse ritirò il braccio tra le
urla, facendo cadere dei pezzi di vetro sull’asfalto.
«Vuoi il lanciagranate?» gli gridò Brenda.
«No!» rispose Thomas. «Non posso usarlo qui dentro, è troppo grande. Passami la
pistola!»
Il furgone fece uno scatto in avanti, poi si fermò di nuovo; Thomas sbatté la faccia
contro qualcosa di duro sullo schienale, e sentì una fitta dalla guancia alla mandibola. Si
voltò verso il retro e vide un uomo e una donna che strappavano i pezzi di vetro ancora
attaccati. Il sangue gli colava dalle mani scivolando dentro e fuori il buco che si allargava
sempre più.
«Tieni!» gridò Brenda dietro di lui.
Thomas si voltò e prese la pistola, poi la puntò e fece fuoco, una volta, poi una
seconda, e gli Spaccati caddero a terra, le urla di agonia soffocate dal fischio tremendo
delle ruote, del motore sotto sforzo, e dei colpi che rimbombavano dentro il furgone.
«Credo che siamo quasi riusciti a liberarci!» gridò Lawrence. «Non so cosa diavolo
abbiano fatto!»
Thomas si voltò verso di lui; era un bagno di sudore. Un buco era comparso al centro
della ragnatela sul parabrezza. Tutti gli altri finestrini erano ricoperti di crepe; vedere
fuori era diventato praticamente impossibile. Brenda stringeva il lanciagranate, pronta a
usarlo nel caso la situazione si fosse fatta disperata.
Il furgone si spostò indietro, poi in avanti, poi di nuovo indietro. Sembrava rispondere
un po’ di più ai comandi, tremava meno. Quattro braccia si infilarono nel grosso buco sul
retro, e Thomas fece fuoco altre due volte. Sentirono delle grida, e il viso di una donna −
deformato dalla rabbia, con i denti lerci − comparve al finestrino.
«Facci entrare, ragazzo» disse; le sue parole si sentivano a malapena. «Vogliamo solo
del cibo. Dateci del cibo. Fammi entrare!»
Gridò quelle ultime parole e spinse la testa nel buco come se pensasse davvero di
passarci. Thomas non voleva spararle ma tenne la pistola alzata, preparandosi nel caso
fosse riuscita in qualche modo a entrare. Quando il furgone scattò di nuovo in avanti,
cadde fuori, ricoprendo di sangue i bordi del finestrino rotto.
Thomas si tenne forte, convinto che il furgone sarebbe indietreggiato di nuovo. Ma dopo
un brusco arresto, avanzò di un paio di metri, girando nella direzione giusta. Poi ancora di
circa un metro.
«Credo di avercela fatta!» gridò Lawrence.
Ancora avanti, questa volta forse di tre metri. Gli Spaccati fecero il possibile per seguirli;
il silenzio ottenuto allontanandosi da loro non durò. Ben presto le grida e i tonfi e i colpi
ricominciarono da capo. Un uomo infilò un lungo coltello nel buco sul retro, e iniziò ad
agitarlo a destra e a sinistra contro tutto e niente. Thomas sollevò la pistola e fece fuoco.
Quanti ne aveva uccisi? Tre? Quattro? Li aveva davvero uccisi?
Con un ultimo fischio terribile e lunghissimo, il furgone scattò in avanti e non si fermò.
Sobbalzò un paio di volte passando sopra gli Spaccati che si erano messi sulla loro strada;
poi proseguì con un’andatura più fluida e acquistò velocità. Thomas guardò dietro di sé e
vide dei corpi che cadevano dal tetto atterrando sull’asfalto. I restanti Spaccati li
inseguirono, ma ben presto se li lasciarono alle spalle.
Thomas si accasciò sui sedili, sdraiato di schiena, e si mise a fissare il tetto ammaccato.
Fece dei respiri enormi, profondi, cercando di riprendere il controllo delle sue emozioni. Si
rese a malapena conto che Lawrence aveva spento l’unico faro rimasto intatto, aveva
svoltato altre due volte, e si era infilato in un garage che si era richiuso non appena
erano entrati.
50
Quando il furgone si fermò e Lawrence spense il motore, il silenzio avvolse il mondo di
Thomas. L’unica cosa che sentiva era il sangue che gli pompava nella testa. Chiuse gli
occhi e cercò di rallentare il respiro. Nessuno degli altri due disse niente per un paio di
minuti, finché Lawrence non ruppe il silenzio.
«Sono lì fuori, ci hanno circondato, aspettano che usciamo.»
Thomas fece uno sforzo per mettersi seduto e guardare di nuovo davanti a sé. Al di là
dei finestrini rotti, era completamente buio.
«Chi?» chiese Brenda.
«Le guardie del capo. Sanno che questo è uno dei loro furgoni, ma non si avvicineranno
finché non usciremo a farci vedere. Devono confermare chi siamo; probabilmente
abbiamo una ventina di armi puntate addosso in questo momento.»
«Allora cosa facciamo?» chiese Thomas; non era pronto per un altro scontro.
«Usciamo piano e con calma. Mi riconosceranno in tempo.»
Thomas strisciò sui sedili anteriori. «Lo facciamo tutti insieme o è meglio se prima esce
uno solo?»
«Esco prima io, gli dirò che va tutto bene. Aspettate che vi bussi al finestrino» rispose
Lawrence. «Pronti?»
«Suppongo di sì» sospirò Thomas.
«Sarebbe una vera fregatura» disse Brenda «se avessimo passato tutto quello solo per
beccarci una pallottola adesso. Sono sicura che in questo momento sembro una
Spaccata.»
Lawrence aprì la portiera e Thomas aspettò con ansia il segnale. Il colpetto rumoroso lo
fece sussultare, ma era pronto.
Brenda aprì la porta lentamente e scese. Thomas la seguì, sforzandosi di vedere
qualcosa nel buio, ma il garage era nero come la pece.
Si sentì un forte clic, e poi una luce bianca inondò l’ambiente. Thomas alzò le braccia e
chiuse gli occhi, poi, facendosi schermo con le mani, li strizzò per vedere cosa stesse
succedendo. Un riflettore enorme montato su un treppiede era puntato dritto su di loro,
due persone erano posizionate su ciascun lato di esso, ma si riusciva a malapena a
distinguerne i contorni. Osservando il resto della stanza, Thomas vide almeno una
dozzina di altre persone, tutte impugnavano vari tipi di armi, proprio come aveva previsto
Lawrence.
«Lawrence, sei tu?» gridò un uomo; la voce riecheggiò tra i muri di cemento. Era
impossibile capire chi avesse parlato.
«Sì, sono io.»
«Cos’è successo al nostro furgone, e chi sono quelle persone? Dimmi che non hai
portato qui degli infetti.»
«Siamo stati assaliti da un folto gruppo di Spaccati nel vicolo qui vicino. E questi ragazzi
sono Muni, mi hanno obbligato a portarli da voi. Vogliono vedere il capo.»
«Perché?» chiese l’uomo.
«Hanno detto...»
L’uomo lo interruppe. «No, voglio sentirlo da loro. Dite il vostro nome, e perché avete
obbligato un nostro uomo a venire qui facendogli distruggere uno dei pochi veicoli
rimasti. Sarà meglio per voi che sia un buon motivo.»
Thomas e Brenda si scambiarono un’occhiata per decidere chi dovesse parlare e Brenda
gli fece un cenno con la testa.
Thomas spostò di nuovo lo sguardo verso il riflettore, concentrandosi sulla persona a
destra. Non poteva far altro che supporre che fosse stato lui a parlare. «Mi chiamo
Thomas. Lei è Brenda. Noi conosciamo Gally. Eravamo con lui alla C.A.T.T.I.V.O. e
qualche giorno fa ci ha parlato del Braccio Destro e di quello che state facendo. Noi
eravamo disposti ad aiutarvi, ma non così. Vogliamo solo sapere quali sono i vostri piani,
perché rapite gente immune e la tenete rinchiusa. Pensavo che quello fosse lo stile della
C.A.T.T.I.V.O.»
Thomas non sapeva cosa si aspettasse quel tizio, ma l’uomo cominciò a ridacchiare.
«Credo che vi lascerò incontrare il capo solo perché vi togliate dalla testa l’idea assurda
che noi potremmo agire come la C.A.T.T.I.V.O.»
Thomas scrollò le spalle. «Bene.» Il disgusto di quell’uomo per la C.A.T.T.I.V.O.
sembrava sincero, ma il fatto che avessero rapito tutte quelle persone continuava a non
avere senso.
«Ti conviene non raccontare palle, ragazzino» disse il tizio. «Lawrence, portali dentro.
Qualcuno controlli se nel furgone ci sono armi.»
Thomas rimase in silenzio mentre lui e Brenda venivano condotti su per due rampe di
scale di metallo usurate, poi attraverso una porta di legno malconcia, giù per un corridoio
sporco con una sola lampadina e della carta da parati che si staccava dai muri, e
finalmente in un grosso spazio che cinquant’anni prima avrebbe potuto essere una bella
sala conferenze. Adesso le uniche cose rimaste erano un grande tavolo segnato dalle
crepe e delle sedie in plastica disposte a caso nella stanza.
In fondo al tavolo erano sedute due persone. Thomas notò per primo Gally, sulla destra.
Aveva l’aria stanca e trasandata, ma si sforzò comunque di abbozzare un cenno con la
testa e un sorriso, niente più di un’increspatura infelice. Accanto a lui, un uomo enorme,
più grasso che muscoli, il girovita a malapena contenuto dai braccioli della sedia di
plastica bianca su cui era seduto.
«Questo è il quartier generale del Braccio Destro?» chiese Brenda. «Mi sento un po’
scoraggiata.»
«Ci siamo spostati più volte di quante si possano contare. Ma grazie per il complimento»
rispose Gally, non più sorridente.
«Allora chi di voi è il capo?» chiese Thomas.
Gally fece un cenno con la testa verso il suo compagno. «Non fare la testapuzzona. È
Vince che comanda. E mostra un po’ di rispetto. Ha rischiato la vita solo perché crede che
le cose nel mondo andrebbero sistemate.»
Thomas sollevò le mani con un gesto conciliante. «Non volevo insinuare nulla. Dal modo
in cui ti sei comportato in precedenza, pensavo che potessi essere tu a comandare.»
«Be’, invece no. È Vince.»
«Vince non sa parlare?» chiese Brenda.
«Basta!» gridò l’omone con voce profonda, tonante. «L’intera città è invasa dagli
Spaccati, non ho tempo di stare seduto qui ad ascoltare battibecchi infantili. Cosa
volete?»
Thomas cercò di nascondere la rabbia che si era accesa dentro di lui. «Solo una cosa.
Sapere perché ci hai catturato. Perché rapisci gente per la C.A.T.T.I.V.O. Gally ci ha dato
molte speranze, pensavamo che stessimo dalla stessa parte. Immagina la nostra
sorpresa quando abbiamo scoperto che il Braccio Destro è malvagio quanto la gente
contro cui teoricamente sta combattendo. Quanti soldi avresti fatto vendendo esseri
umani?»
«Gally» disse l’uomo, come se non avesse sentito una sola parola detta da Thomas.
«Sì?»
«Tu ti fidi di questi due?»
Gally evitò lo sguardo di Thomas. «Sì.» Annuì. «Sì, possiamo fidarci.»
Vince si piegò in avanti, appoggiando le braccia immense sul tavolo. «Allora non c’è
altro tempo da perdere. Ragazzo, questa è un’operazione sosia e non avevamo in mente
di guadagnare un centesimo con nessuno. Stiamo raccogliendo immuni per copiare la
C.A.T.T.I.V.O.»
La risposta colse Thomas di sorpresa. «E perché mai dovreste fare una cosa del
genere?»
«Li useremo per entrare nel loro quartier generale.»
51
Thomas lo fissò per qualche secondo. Se la C.A.T.T.I.V.O. era davvero responsabile
della scomparsa di altri immuni, era così semplice che gli veniva quasi da ridere.
«Potrebbe anche funzionare.»
«Sono contento che approvi.» Il viso di quell’uomo era indecifrabile, e Thomas non
riusciva a capire se lo avesse detto con tono sarcastico o no. «Abbiamo un contatto, e
l’accordo per la vendita è già siglato. È il nostro biglietto d’entrata. Dobbiamo fermare
quelle persone. Impedire che sprechino ulteriori risorse per un esperimento inutile. Se il
mondo sopravviverà, devono usare quello che hanno per aiutare chi è ancora vivo. Per
fare in modo che la razza umana vada avanti in un modo sensato.»
«Pensi che esista qualche possibilità che trovino mai una cura?» chiese Thomas.
Vince scoppiò in una lunga risatina che gli rimbombò nel petto. «Se tu ci credessi anche
solo lontanamente, non saresti qui davanti a me, sbaglio? Non saresti scappato, non
staresti cercando vendetta. Che è quello che presumo tu stia facendo. So cos’hai passato,
Gally mi ha raccontato tutto.» Fece una pausa. «No, noi abbiamo smesso di credere alla
loro... cura molto tempo fa.»
«Noi non siamo qui per cercare vendetta» disse Thomas. «Qui non si tratta di noi. È per
questo che mi piace sentirti dire che vuoi usare le loro risorse per qualcosa di diverso.
Quanto sai di ciò che la C.A.T.T.I.V.O. sta facendo?»
Vince appoggiò di nuovo la schiena alla sedia, facendola cigolare. «Ti ho appena detto
una cosa, un segreto che abbiamo protetto sacrificando delle vite. Adesso è il tuo turno di
ripagare la mia fiducia. Se Lawrence e la sua gente avessero saputo chi eri, ti avrebbero
portato subito qui. Ti chiedo scusa per il trattamento brusco.»
«Non mi servono le scuse» rispose Thomas. Anche se il fatto che il Braccio Destro lo
avrebbe trattato diversamente da chiunque altro se avesse saputo chi era lo infastidiva.
«Voglio solo conoscere i vostri piani.»
«Non ti diremo altro se non condividerai con noi quello che sai tu. Cos’hai da offrire?»
«Diglielo» sussurrò Brenda, dando a Thomas un colpetto con il gomito. «È per questo
che siamo venuti.»
Aveva ragione. Nell’attimo stesso in cui aveva ricevuto il messaggio di Gally, il suo
istinto gli aveva detto di fidarsi, ed era arrivato il momento di dare un contributo. Senza
aiuto non sarebbero mai riusciti a tornare alla Berga, men che meno a ottenere
qualcos’altro.
«D’accordo» disse. «La C.A.T.T.I.V.O. pensa di poter mettere a punto la cura, di esserci
vicina. L’unico pezzo mancante sono io. Giurano che è la verità, ma hanno manipolato e
mentito così tanto che è diventato impossibile sapere cosa è reale e cosa non lo è. Chissà
quali sono le loro motivazioni adesso. O quanto sono disperati, o cosa sono disposti a
fare.»
«In quanti siete?» chiese Vince.
Thomas ci pensò. «Solo noi più altri quattro; ci aspettano lì dove siamo stati portati da
Lawrence. I numeri non sono dalla nostra, ma abbiamo accesso a molte informazioni
privilegiate. Quanti siete nel vostro gruppo?»
«Be’, Thomas, questa è una domanda difficile. Se mi stai chiedendo quante persone si
sono unite al Braccio Destro da quando abbiamo iniziato a incontrarci e mettere insieme
le forze qualche anno fa, allora direi molti più di mille. Ma se devo considerare quanti
sono ancora vivi, ancora al sicuro, e ancora desiderosi di combattere... be’, allora
parliamo di poche centinaia, sfortunatamente.»
«E qualcuno di voi è immune?» chiese Brenda.
«Quasi nessuno. Io non lo sono, e dopo che è venuto fuori come stavano le cose a
Denver... sono abbastanza sicuro di avere l’Eruzione, a questo punto. Speriamo che per il
momento la maggior parte di noi non abbia ancora contratto il virus, ma in questo mondo
in sfacelo è inevitabile. E noi vogliamo essere sicuri che venga fatto qualcosa per salvare
ciò che rimane di questa bella razza chiamata uomo.»
Thomas indicò un paio di sedie vicine. «Possiamo sederci?»
«Certo.»
Quasi subito dopo aver preso posto, Thomas cominciò a rivolgergli la sfilza di domande
accumulate. «Allora, quali sono i vostri piani esattamente?»
Vince fece di nuovo quella sua risatina. «Con calma, ragazzo. Dimmi cos’hai da offrire, e
io ti dirò i miei piani.»
Thomas si rese conto di essersi quasi alzato dalla sedia, e di essersi allungato sul
tavolo. Si tranquillizzò e si rimise seduto. «Senti, noi sappiamo molte cose sul quartier
generale della C.A.T.T.I.V.O. e su come funzionano le cose lì. E c’è qualcuno nel nostro
gruppo a cui hanno restituito la memoria. Ma la cosa più importante è che la
C.A.T.T.I.V.O. vuole che io ritorni. Secondo me è una cosa che possiamo a usare a nostro
vantaggio.»
«Tutto qui?» chiese Vince. «È tutto quello che avete?»
«Non ho mai detto che potevamo fare molto senza aiuto. O senza armi.»
A quest’ultima affermazione, Vince e Gally si scambiarono un’occhiata d’intesa.
Thomas capì di aver detto qualcosa che aveva attirato la loro attenzione. «Che c’è?»
Vince si voltò prima verso Brenda, poi verso di lui. «Noi abbiamo qualcosa che è
infinitamente meglio delle armi.»
Thomas si piegò di nuovo in avanti. «E cosa potrebbe mai essere?»
«Noi abbiamo un modo per assicurarci che nessuno possa usare le armi.»
52
«Come?» chiese Brenda, prima che Thomas potesse parlare.
«Lascerò che sia Gally a spiegarvelo.» Vince fece un cenno al ragazzo.
«Bene, pensate al Braccio Destro» disse Gally. Si alzò. «Queste persone non sono
soldati. Sono ragionieri, custodi, idraulici, insegnanti. La C.A.T.T.I.V.O. in pratica ha il suo
piccolo esercito. Addestrato con gli armamenti più costosi e sofisticati. Anche se
potessimo trovare la più grande scorta di lanciagranate e di tutto il resto che usano,
saremmo ancora in netto svantaggio.»
Thomas non riusciva a immaginare dove volesse arrivare. «Allora, qual è il piano?»
«L’unico modo per potercela giocare è assicurarci che non abbiano armi. Allora
potremmo avere una chance.»
«Quindi pensate di rubargliele in qualche modo?» chiese Brenda. «Fermare un
rifornimento? O cosa?»
«No, niente del genere» rispose Gally scuotendo la testa. Poi si illuminò come un
bambino emozionato. «Non si tratta di quante persone puoi reclutare per la tua causa,
ma di chi. Tra tutti quelli che il Braccio Destro ha coinvolto, una donna è la chiave.»
«Chi?» chiese Thomas.
«Si chiama Charlotte Chiswell. Era l’ingegnere capo per il più grande produttore di armi
del mondo. Almeno per gli armamenti avanzati che usano tecnologia di seconda
generazione. Ogni pistola, lanciagranate, granata − quello che volete − usato dalla
C.A.T.T.I.V.O. arriva da lì, e per funzionare si avvalgono tutti di sistemi elettronici e
computerizzati avanzati. E Charlotte ha trovato un modo per rendere le loro armi
inutilizzabili.»
«Davvero?» chiese Brenda con tono molto scettico. Anche Thomas faceva fatica a
crederci, ma ascoltò attentamente mentre Gally spiegava la loro idea.
«Tutte le armi che usano hanno un chip in comune, e lei ha passato diversi mesi a
cercare un modo per riprogrammare quegli affari a distanza, per bloccarli. Finalmente c’è
riuscita. Dopo che l’avrà avviato ci vorranno poche ore, e perché possa funzionare un
piccolo dispositivo dovrà essere posizionato all’interno dell’edificio, perciò a fare il lavoro
saranno i nostri che andranno a consegnare gli immuni. Se tutto filerà liscio, nemmeno
noi avremo le armi, ma almeno potremo giocarcela.»
«Se non avremo addirittura un vantaggio» aggiunse Vince. «Le loro guardie e il servizio
di sicurezza vengono talmente addestrati a usare quelle armi che ormai fanno parte di
loro, ne sono certo. Ma scommetto che trascurano il combattimento corpo a corpo. La
lotta vera. L’allenamento con coltelli, mazze e badili, bastoni e sassi, e pugni.» Fece un
sorrisetto malizioso. «Sarà una rissa vecchio stile. E credo che potremmo batterli. Se non
facessimo così, se potessero usare le loro armi, verremmo distrutti prima ancora di
cominciare.»
Thomas ripensò alla battaglia che aveva combattuto contro i Dolenti dentro il Labirinto.
Era stata come quella che aveva appena descritto Vince. A quel ricordo rabbrividì, ma di
sicuro era meglio che scontrarsi con delle armi di ultima generazione.
E se avesse funzionato, allora avrebbero avuto una possibilità. Sentì l’eccitazione
montare dentro di sé. «Allora come farete?»
Vince rimase in silenzio per un attimo. «Abbiamo tre Berghe. Entreremo con
un’ottantina di persone, le più forti che siamo riusciti a trovare nel nostro gruppo.
Consegneremo gli immuni al nostro contatto all’interno della C.A.T.T.I.V.O., piazzeremo il
dispositivo − anche se questa sarà la parte più difficile − e quando il gioco sarà fatto,
creeremo una breccia nel muro con un’esplosione per far entrare tutti gli altri. Dopo aver
preso il comando di tutto il complesso, Charlotte ci aiuterà a far funzionare di nuovo un
numero di armi sufficiente per restare al comando. Questo è ciò che faremo, oppure tutti
noi, dal primo all’ultimo, moriremo provandoci. Faremo saltare in aria quel posto, se
necessario.»
Per Thomas era chiarissimo. Il suo gruppo avrebbe potuto dare un contributo
inestimabile in un attacco come quello. Specialmente chi aveva recuperato la memoria.
Conoscevano la disposizione del complesso della C.A.T.T.I.V.O.
Vince continuò, ed era come se avesse letto nella mente di Thomas. «Se quello che
Gally ha detto è vero, tu e i tuoi amici sarete di grandissimo aiuto alla nostra squadra che
sta progettando l’attacco, visto che alcuni di voi conoscono gli edifici come le proprie
tasche. E più siamo meglio è, non mi importa quanto vecchi o giovani siate.»
«Noi abbiamo anche una Berga» disse Brenda. «A meno che gli Spaccati non l’abbiano
ridotta a pezzi. È poco fuori dai cancelli di Denver, a nordest. Il pilota è rimasto con gli
altri nostri amici.»
«Dove sono le vostre Berghe?» chiese Thomas.
Vince fece un segno con la mano verso il retro della stanza. «Da quella parte. Al sicuro
quanto basta. È tutto chiuso. Ci piacerebbe molto avere un’altra settimana o due per
prepararci, ma non abbiamo molta scelta. Il dispositivo di Charlotte è pronto. Le prime
ottanta persone sono pronte. Possiamo lasciar passare un giorno o due, così voi e gli altri
potrete condividere con noi le informazioni che avete, ci occuperemo degli ultimi
preparativi, e poi ci muoveremo. Non c’è motivo di farlo sembrare più eccitante di quello
che è. Entreremo e lo faremo, punto.»
Sentirglielo dire in quel modo lo rese più reale agli occhi di Thomas. «Quanto sei
ottimista?»
«Ragazzo, stammi a sentire» disse Vince, con espressione seria. «Per anni e anni tutto
quello di cui abbiamo sentito parlare era la missione della C.A.T.T.I.V.O. Del fatto che
ogni centesimo, ogni uomo, ogni donna, ogni risorsa, tutto doveva essere devoluto alla
causa della ricerca di una cura per l’Eruzione. Ci hanno detto che avevano trovato degli
immuni, e che se solo fossimo riusciti a capire perché il loro cervello non soccombeva al
virus, allora tutto il mondo sarebbe stato salvato! Ma, nel frattempo, le città vanno a
rotoli; istruzione, sicurezza, medicine per ogni altra malattia conosciuta all’uomo,
beneficenza, aiuti umanitari, il mondo intero va a farsi benedire così la C.A.T.T.I.V.O. può
fare tutto quello che le pare.»
«Lo so» disse Thomas. «Lo so fin troppo bene.»
Vince non riusciva a smettere di parlare, un fiume in piena di riflessioni che ovviamente
si era tenuto dentro per anni. «Avremmo potuto fermare il contagio della malattia molto
meglio di quanto non siamo riusciti a curare la malattia. Ma la C.A.T.T.I.V.O. si è presa
tutti i soldi e la gente migliore. E non solo, ci ha dato false speranze, e nessuno è stato
attento quanto avrebbe dovuto. Pensavano che alla fine la cura magica li avrebbe salvati.
Ma se aspettiamo ancora un po’ non avremo più gente da salvare.»
Vince adesso sembrava stanco. Nella stanza piombò il silenzio mentre lui si sedeva e
fissava Thomas, in attesa di una risposta. E Thomas non aveva niente da ribattere a
quello che aveva detto.
Alla fine l’uomo riprese a parlare. «La nostra gente potrà di sicuro piazzare il dispositivo
una volta entrata per vendere gli immuni, ma sarebbe molto più facile se quell’aggeggio
fosse già lì quando arriviamo. Il fatto di avere degli immuni ci permetterà di entrare nello
spazio aereo e di atterrare, ma...» Sollevò le sopracciglia verso Thomas, come se volesse
che fosse lui ad affermare ciò che era ovvio.
Thomas annuì. «Qui entro in scena io.»
«Sì» disse Vince sorridendo. «Credo proprio che qui entri in scena tu.»
53
Una calma sorprendente si posò su Thomas. «Potete lasciarmi a qualche chilometro di
distanza e da lì camminerò. Farò finta di essere tornato per finire le Prove. Stando a
quanto ho visto e sentito, mi accoglieranno a braccia aperte. Spiegatemi solo cosa devo
fare per piazzare il dispositivo.»
Un altro sorriso spontaneo si accese sul viso di Vince. «Te lo farò spiegare direttamente
da Charlotte.»
«Potete ottenere informazioni e aiuto dai miei amici: Teresa, Aris e gli altri. Anche
Brenda sa molte cose.» La decisione era stata repentina e assoluta, ma Thomas era
consapevole che si trattava di un incarico pericoloso. Era l’opportunità migliore che
avessero.
«D’accordo, Gally» disse Vince. «Adesso cosa si fa? Come ci muoviamo?»
Il vecchio nemico di Thomas si alzò in piedi e lo guardò. «Chiederò a Charlotte di
insegnarti a usare il dispositivo. Poi ti porteremo al nostro hangar, ti accompagneremo
con una Berga vicino al quartier generale della C.A.T.T.I.V.O. e ti lasceremo lì mentre noi
ci prepareremo con la squadra d’assalto principale. Ti conviene esser pronto a mettere in
scena un bel teatrino, noi dovremo aspettare un paio d’ore prima di entrare con gli
immuni, o desteremo sospetti.»
«Me la caverò.» Thomas si sforzò di fare dei respiri profondi per calmarsi.
«Bene. Quando te ne andrai faremo arrivare qui Teresa e gli altri. Spero non ti
dispiaccia un’altra piccola gita in città.»
Charlotte era una donna minuta, silenziosa, e andava dritta al sodo. Spiegò a Thomas il
funzionamento del dispositivo in modo conciso ed efficiente. Si trattava di un apparecchio
piuttosto piccolo, abbastanza da entrare nello zaino che gli avevano dato insieme a del
cibo e a qualche vestito per coprirsi durante la camminata al freddo che lo aspettava. Una
volta piazzato e attivato, avrebbe cercato il segnale di ogni arma, poi si sarebbe
connesso e ne avrebbe criptato il sistema. Ci sarebbe voluta circa un’ora per disabilitare
tutte le armi della C.A.T.T.I.V.O.
Piuttosto semplice, pensò Thomas. La parte difficile sarebbe stata piazzare quell’affare
dopo essere entrato senza sollevare sospetti.
Gally decise che sarebbe stato Lawrence a portare Thomas e il pilota all’hangar
abbandonato dove tenevano le Berghe. Da lì, una volta decollati, sarebbero andati dritti
al quartier generale della C.A.T.T.I.V.O. Significava affrontare un altro viaggio in furgone
per le strade di Denver infestate di Spaccati, ma avrebbero fatto il percorso più breve,
ovvero una superstrada, e in più era l’alba. Per qualche ragione, la cosa faceva sentire
Thomas un po’ meglio.
Si stava tenendo impegnato aiutando a raccogliere le ultime cose necessarie per il
viaggio quando comparve Brenda. Le fece un cenno con la testa e un piccolo sorriso.
«Ti mancherò?» le chiese. La fece sembrare una battuta, ma voleva davvero che lei
dicesse sì.
Brenda alzò gli occhi al cielo. «Non dire così. Sembra che tu ti stia già arrendendo.
Prima che te ne accorga saremo di nuovo tutti insieme, a ridere dei bei vecchi tempi.»
«Ti conosco solo da poche settimane.» Sorrise di nuovo.
«È uguale.» Gli mise le braccia intorno al collo e gli parlò all’orecchio. «Lo so che mi
hanno mandato nella città della Zona Bruciata per trovarti e far finta di essere tua amica,
ma voglio che tu sappia che sei mio amico. Tu...»
Thomas indietreggiò per guardarla in faccia, ma la sua espressione era indecifrabile.
«Cosa?»
«Non... farti ammazzare, tutto qui.»
Thomas deglutì, non sapendo cosa dire.
«Allora?» disse Brenda.
«Stai attenta anche tu» fu l’unica cosa che gli uscì.
Brenda si allungò verso di lui e gli diede un bacio sulla guancia. «Questa è la cosa più
dolce che ti abbia mai sentito dire.» Alzò di nuovo gli occhi al cielo ma sorrise.
E il suo sorriso fece sembrare a Thomas tutto un po’ più luminoso. «Assicurati che non
mandino all’aria le cose» le disse. «Che tutte le fasi del piano siano sensate.»
«Lo farò. Ci vediamo tra un giorno o due.»
«Okay.»
«E non mi farò ammazzare se non lo farai tu. Lo prometto.»
Thomas la strinse a sé per un ultimo abbraccio. «Affare fatto.»
54
Il Braccio Destro diede a Thomas e agli altri un furgone più nuovo. Lawrence si mise al
volante, e il pilota, una donna, si sistemò al posto del passeggero accanto a lui. Era
taciturna e poco cordiale, piuttosto chiusa. Nemmeno Lawrence era di ottimo umore,
probabilmente perché era passato dal distribuire cibo in un luogo chiuso a chiave a fare
da autista in una città di Spaccati. Due volte.
Il sole era sorto, brillando sugli edifici di una città che sembrava completamente diversa
da quella della sera prima. Per qualche ragione, la luce dava al mondo un aspetto più
sicuro.
A Thomas avevano restituito la pistola, con il caricatore pieno, e ce l’aveva infilata nella
cintura dei jeans. Sapeva che dodici proiettili non avrebbero fatto molto se fossero caduti
di nuovo in un’imboscata, ma lo faceva stare molto più tranquillo.
«D’accordo, ricordati il piano» disse Lawrence, rompendo finalmente il silenzio.
«E qual era il piano?» chiese Thomas.
«Raggiungere l’hangar senza morire.»
Non aveva niente da obiettare.
Ripiombarono nel silenzio; gli unici suoni erano quelli prodotti dal motore e dagli
ammortizzatori sulla strada accidentata. Un momento come quello non lasciò scampo a
Thomas, facendogli venire in mente tutte le cose orribili che sarebbero potute andare
storte nei giorni successivi. Si sforzò di non pensare, di concentrarsi sulla città devastata
che gli passava davanti agli occhi.
Fino a quel momento aveva visto solo qualche persona qua e là, la maggior parte in
lontananza. Si chiese se fossero rimasti quasi tutti svegli fino a tardi per paura che
qualcosa potesse sorprenderli al buio, o se invece fossero stati loro a sorprendere
qualcuno.
Il sole risplendeva sulle finestre alte dei grattacieli; gli edifici altissimi sembravano
allungarsi in ogni direzione per l’eternità. Il furgone attraversò proprio il cuore della città,
percorrendo una strada ampia piena di auto abbandonate. Thomas vide qualche Spaccato
nascosto dentro le macchine, che sbirciava fuori dal finestrino come se stesse aspettando
di tendere una trappola.
Dopo un paio di chilometri, Lawrence svoltò per imboccare una lunga statale dritta che
portava verso uno dei cancelli della città circondata dalle mura. A entrambi i lati della
strada c’erano delle barricate, probabilmente costruite in tempi migliori per impedire che
il rumore del numero infinito di auto disturbasse i residenti, le cui case erano così vicine
alla strada più trafficata. Sembrava impossibile che un mondo del genere fosse mai
esistito. Un mondo in cui non si temeva per la propria vita ogni giorno.
«Questa ci porterà dritti a destinazione» disse Lawrence. «L’hangar probabilmente è
l’edificio più protetto che abbiamo, perciò la sola cosa che dobbiamo fare è arrivarci. Tra
un’ora saremo in cielo, felici e al sicuro.»
«Bene così» disse Thomas, anche se dopo la sera precedente gli sembrava fin troppo
facile. Il pilota rimase in silenzio.
Avevano percorso circa cinque chilometri quando Lawrence cominciò a rallentare. «Cosa
diavolo succede?» mormorò.
Thomas riportò l’attenzione sulla strada davanti a sé per capire di cosa stesse parlando,
e vide diverse automobili girare in cerchio.
«Immagino che dovrò provare a superarle» disse Lawrence, parlando quasi da solo.
Thomas non rispose; era chiaro a tutti tre che, qualunque cosa fosse, non poteva che
essere un problema.
Lawrence accelerò di nuovo. «Se torniamo indietro a cercare un’altra strada ci vorrà una
vita. Proverò a passarci in mezzo e basta.»
«Sì ma non fare stupidaggini» sbottò il pilota. «Se proseguiamo a piedi non ci arriviamo
di sicuro.»
Mentre si avvicinavano, Thomas si allungò in avanti sforzandosi di capire cosa stesse
succedendo. Una ventina di persone stavano litigando per un grosso mucchio di qualcosa
che non si riusciva a distinguere, si lanciavano rottami, si spingevano e strattonavano, si
prendevano a pugni. Più in là, a circa trenta metri da loro, c’erano le auto, che sterzavano
in modo brusco sbandando e urtandosi l’un l’altra. Era un miracolo che nessuno sulla
strada fosse ancora stato investito.
«Cosa pensi di fare?» chiese Thomas. Lawrence non aveva rallentato neanche un po’, e
non mancava molto.
«Devi fermarti!» gridò la donna pilota.
Lawrence ignorò l’ordine. «No. Passerò in mezzo.»
«Ci farai ammazzare!»
«Andrà tutto bene. Taci un secondo!»
Si avvicinarono al gruppo di persone, che continuavano a scagliarsi l’una sull’altra e su
qualunque cosa ci fosse in quel mucchio. Thomas scivolò sul sedile accanto al finestrino
per vedere meglio. Gli Spaccati stavano strappando grossi sacchi dell’immondizia, e
tiravano fuori vecchie confezioni di cibo o carne mezza marcia e altri avanzi, ma nessuno
riusciva a tenere in mano qualcosa senza che qualcun altro cercasse di rubarglielo, a suon
di pugni, graffi e unghiate. Un uomo aveva un taglio profondo sotto un occhio e una
striscia di sangue gli colava sul viso come una lacrima rossa.
Il furgone deviò bruscamente traiettoria stridendo, e Thomas si concentrò sulla scena
davanti a sé. I conducenti delle auto − vecchi modelli con la carrozzeria ammaccata,
ormai quasi senza vernice − si erano fermati, e tre di loro si erano messi in riga, girati
verso il veicolo che si avvicinava. Lawrence non rallentò. Sterzò invece verso un varco più
ampio tra la macchina a destra e quella al centro. Poi, in un attimo, l’auto a sinistra
scattò in avanti, girando di colpo per cercare di colpirli prima che passassero.
«Tenetevi forte!» gridò Lawrence, poi accelerò ancora di più.
Thomas si aggrappò al sedile sotto di lui mentre puntavano il varco a tutta velocità. Le
due auto ai lati non si mossero, ma la terza stava facendo inversione e si dirigeva dritta
verso di loro. Thomas si rese conto che non ce l’avrebbero fatta; ebbe quasi il tempo di
gridarlo, ma era troppo tardi.
Il cofano del furgone era appena entrato nel varco quando la terza auto urtò il fianco
posteriore sinistro. Thomas fu scaraventato a sinistra e picchiò contro la striscia di
metallo fra i due finestrini laterali, che si frantumarono facendo un rumore spaventoso. Il
vetro volava in tutte le direzioni mentre il furgone faceva una serie di testacoda, con la
parte posteriore che sbatteva come una frusta. Thomas cercò di afferrarsi a qualcosa
mentre veniva sbalzato di qua e di là. I fischi delle ruote e lo sfregamento del metallo
contro il metallo riempirono l’aria.
Alla fine il furgone urtò il muro di cemento, e il rumore cessò.
Thomas, pieno di botte e lividi, era in ginocchio. Si tirò su appena in tempo per vedere i
tre veicoli che si allontanavano, il rombo dei motori sempre più lontano mentre le auto
scomparivano giù per il lungo rettilineo, nella direzione da cui erano arrivati loro. Lanciò
un’occhiata a Lawrence e al pilota: stavano entrambi bene.
Poi accadde una cosa stranissima. Thomas guardò fuori dal finestrino e vide uno
Spaccato malridotto che lo fissava a cinque metri di distanza. Gli ci volle un secondo per
rendersi conto che quello Spaccato era suo amico.
Newt.
55
Newt aveva un aspetto orribile. Gli avevano strappato via ciocche di capelli, lasciandolo
pelato in alcuni punti arrossati e tumefatti. Il viso era pieno di graffi e lividi; la camicia
era ridotta a brandelli, appesa a malapena al corpo esile, e i pantaloni erano luridi e
macchiati di sangue. Era come se si fosse piegato al ruolo di Spaccato, come se si fosse
unito completamente alla categoria.
Dal modo in cui fissava Thomas, però, sembrava essersi reso conto di essersi imbattuto
in un amico.
Lawrence stava parlando, ma Thomas recepì le sue parole solo in quel momento.
«È tutto a posto. Il furgone è da buttare, ma con un po’ di fortuna resisterà un altro paio
di chilometri fino all’hangar.»
Mise la retromarcia e il veicolo si staccò dal muro di cemento traballando, mentre la
plastica e il metallo rotti scricchiolavano e le gomme fischiavano, rompendo il silenzio. Poi
ripartì, e per Thomas fu come se un interruttore gli scattasse nella testa.
«Fermati!» gridò. «Ferma il furgone! Subito!»
«Cosa?» rispose Lawrence. «Ma che dici?»
«Ferma questo cavolo di furgone!»
Lawrence inchiodò mentre Thomas raggiungeva la portiera. Stava per aprirla quando
l’uomo lo afferrò per la camicia e lo tirò indietro.
«Cosa diavolo credi di fare?» gli gridò.
Thomas non avrebbe permesso a nessuno di fermarlo. Prese la pistola dai pantaloni e
gliela puntò contro. «Lasciami andare! Lasciami andare!»
Lawrence obbedì, alzando le mani. «Wow, ragazzino. Calmati! Che ti prende?»
Thomas si allontanò da lui. «Ho visto un mio amico lì fuori. Voglio vedere se sta bene.
Se le cose si mettono male, tornerò di corsa al furgone. Tu tieniti pronto a portarci via di
qui.»
«Tu pensi che quell’affare lì fuori sia ancora tuo amico?» chiese il pilota con freddezza.
«Quegli Spaccati sono molto oltre l’Andata. Non lo vedi? Il tuo amico ormai non è altro
che un animale. Peggio di un animale.»
«Allora sarà un saluto veloce, okay?» rispose Thomas. Aprì la portiera e scese.
«Copritemi se ce n’è bisogno. È una cosa che devo fare.»
«Prima che tu salga sulla Berga ti prenderò a calci nel sedere, è una promessa» grugnì
Lawrence. «Sbrigati. Se quegli Spaccati vicino al cumulo d’immondizia si dirigono da
questa parte, noi cominciamo a sparare. Non mi interessa se la tua mammina e il tuo
nonnino sono lì fuori.»
«Bene così.» Thomas gli diede le spalle, rinfilandosi la pistola nei jeans. Camminò
lentamente verso il suo amico, che se ne stava lì da solo, mentre il branco di Spaccati era
ancora indaffarato con il mucchio di rifiuti più distante. Per il momento sembravano
soddisfatti così, non mostravano alcun interesse per lui.
Thomas dimezzò la distanza da Newt, poi si fermò. La cosa peggiore era la follia nel suo
sguardo. La pazzia stava in agguato dietro gli occhi, due pozzi contaminati dalla malattia.
Com’era possibile che fosse successo così in fretta?
«Ehi, Newt, sono io, Thomas. Ti ricordi ancora di me, vero?»
Di colpo i suoi occhi si fecero limpidi, e Thomas, colto di sorpresa, quasi indietreggiò.
«Accidenti se mi ricordo di te, Tommy. Sei appena venuto a trovarmi al Palazzo,
sbattendomi in faccia il fatto di aver ignorato la mia lettera. Non posso impazzire
completamente nel giro di pochi giorni.»
Quelle parole lo ferirono più della vista pietosa del suo amico. «Allora perché sei qui?
Perché sei con... loro?»
Newt guardò gli Spaccati, poi di nuovo Thomas. «Va e viene, amico mio. Non riesco a
spiegarlo. A volte non riesco a controllarmi, so a malapena quello che faccio. Ma di solito
è come un tarlo nel cervello, che scombussola ogni cosa quanto basta per infastidirmi,
per farmi arrabbiare.»
«In questo momento sembri a posto.»
«Già, be’, l’unica ragione per cui sono con quegli svitati del Palazzo è perché non so
cos’altro fare. Tra di loro litigano, ma sono anche un gruppo. Se ti ritrovi da solo, non hai
nessuna cacchio di possibilità.»
«Newt, vieni con me questa volta, adesso. Possiamo portarti in un luogo più sicuro, in
un luogo migliore per...»
Newt rise, e la sua testa fece un paio di scatti strani. «Vattene da qui, Tommy.
Vattene.»
«Vieni con me» lo pregò Thomas. «Se ti fa sentire meglio, posso legarti.»
Il viso di Newt di colpo si irrigidì per la rabbia e pronunciò le parole come proiettili di
collera. «Chiudi il becco, traditore del caspio! Non hai letto il mio biglietto? Non puoi fare
un’ultima schifosa cosa per me? Devi fare l’eroe, come sempre? Ti odio! Ti ho sempre
odiato!»
Non lo pensa, si disse Thomas con fermezza. Ma erano solo parole. «Newt...»
«È stata tutta colpa tua. Avresti potuto fermarli quando i primi Creatori sono morti.
Avresti potuto trovare la maniera. Invece no! Tu hai dovuto portare avanti la tua
missione, cercare di salvare il mondo, fare l’eroe. E sei venuto nel Labirinto e non ti sei
mai fermato. Ti importa solo di te stesso! Ammettilo! Devi essere quello di cui la gente si
ricorda, che la gente venera! Avremmo dovuto ributtarti nel buco della Scatola!»
Il viso di Newt era diventato rosso fuoco, e mentre gridava sputacchiava. Cominciò a
fare dei passi pesanti in avanti, con le mani strette a pugno.
«Gli faccio saltare il cervello!» gridò Lawrence dal furgone. «Spostati.»
Thomas si voltò. «No! Questa cosa rimane tra me e lui! Non fare niente!» Si girò di
nuovo verso Newt. «Newt, fermati. Devi ascoltarmi. Lo so che nel profondo stai bene.
Abbastanza da starmi a sentire.»
«Ti odio, Tommy!» Era a un paio di metri da lui e Thomas fece un passo indietro,
mentre il dolore per l’amico si trasformava in paura. «Ti odio ti odio ti odio! Dopo tutto
quello che ho fatto per te, dopo tutta la cavolo di sploff che ho passato in quel maledetto
Labirinto, non puoi fare l’unica cosa che ti abbia mai chiesto! Non riesco nemmeno a
guardare la tua brutta faccia di caspio!»
Thomas fece altri due passi all’indietro. «Newt, devi fermarti. Ti spareranno. Fermati e
ascoltami! Sali sul furgone, lascia che ti leghi. Dammi una possibilità!» Non poteva
uccidere il suo amico. Non poteva e basta.
Newt gridò e si fiondò in avanti. L’arco della scarica di un lanciagranate partì dal
furgone, scivolando e scoppiettando sul manto stradale, ma lo mancò. Thomas era
rimasto pietrificato, e Newt lo spinse a terra, lasciandolo senza fiato. Si sforzò di riempire
i polmoni mentre il suo vecchio amico si gettava su di lui e lo immobilizzava.
«Dovrei cavarti gli occhi» disse Newt, sputacchiandogli addosso. «Farti imparare la
lezione degli stupidi. Perché sei venuto qui? Ti aspettavi un cacchio di abbraccio? Eh? Che
ci mettessimo a fare due chiacchiere sui bei vecchi tempi nella Radura?»
Thomas scosse la testa, in preda al terrore, allungando molto lentamente la mano
libera verso la pistola.
«Vuoi sapere perché zoppico, Tommy? Non te l’ho mai detto? No, non credo di averlo
fatto.»
«Cosa ti è successo?» chiese Thomas, cercando di prendere tempo. Intanto faceva
scivolare le dita intorno all’arma.
«Ho cercato di ammazzarmi nel Labirinto. Mi sono arrampicato su uno di quei maledetti
muri e arrivato a metà mi sono buttato giù. Alby mi ha trovato e mi ha trascinato dentro
la Radura prima che si chiudessero le Porte. Odiavo quel posto, Tommy. Ho odiato ogni
secondo di ogni giorno. Ed era tutta... colpa... tua!»
Di colpo Newt si spostò e prese la mano di Thomas che stringeva l’arma. La tirò verso di
sé, sollevandola fino ad appoggiarsi la pistola sulla fronte. «Adesso devi rimediare!
Uccidimi prima che diventi uno di quei cannibali mostruosi! Uccidimi! Io mi sono fidato di
te con quel biglietto! Di nessun altro. Adesso fallo!»
Thomas cercò di allontanare la mano, ma Newt era troppo forte. «Non posso, Newt, non
posso.»
«Devi rimediare! Pentiti di quello che hai fatto!» Le parole gli si strapparono dal petto,
ogni parte del suo corpo tremava. Poi la voce si abbassò fino a diventare un sussurro
severo, pressante. «Uccidimi, codardo del caspio. Dimostra di saper fare la cosa giusta.
Metti fine alle mie sofferenze.»
Quelle parole lo sconvolsero. «Newt, forse possiamo...»
«Sta’ zitto! Sta’ zitto e basta! Io mi sono fidato di te! Adesso fallo!»
«Non posso.»
«Fallo!»
«Non posso!» Come poteva chiedergli di fare una cosa del genere? Come avrebbe
potuto uccidere uno dei suoi più cari amici?
«Uccidimi o io ucciderò te. Uccidimi! Fallo!»
«Newt...»
«Fallo prima che diventi uno di loro!»
«Io...»
«Uccidimi!» E poi i suoi occhi si schiarirono, come se avesse raggiunto un ultimo istante
fugace di lucidità, e la sua voce si addolcì. «Per favore, Tommy. Per favore.»
Con il cuore che sprofondava in un abisso senza luce, Thomas premette il grilletto.
56
Thomas aveva chiuso gli occhi quando l’aveva fatto. Sentì l’impatto del proiettile sulla
carne e le ossa, il corpo di Newt sobbalzare, poi cadere sull’asfalto. Thomas si girò a
pancia ingiù, poi si diede una spinta per alzarsi, e non aprì gli occhi finché non cominciò a
correre. Non poteva permettere a sé stesso di guardare quello che aveva fatto al suo
amico. L’atrocità, il dolore, il senso di colpa e il ribrezzo per tutto quello minacciavano di
consumarlo, gli riempirono gli occhi di lacrime mentre raggiungeva il furgone bianco.
«Sali!» gli gridò Lawrence.
La portiera era ancora aperta. Thomas saltò dentro e la richiuse. Poi il furgone cominciò
a muoversi.
Nessuno disse niente. Thomas fissava fuori dal finestrino in uno stato di stordimento.
Aveva sparato in testa al suo migliore amico. E poco importava se era ciò che gli aveva
chiesto, ciò che Newt aveva voluto, ciò per cui aveva supplicato. Lui aveva comunque
premuto il grilletto. Abbassò lo sguardo, vide che gli tremavano le mani e le gambe, e di
colpo sentì un freddo glaciale.
«Cos’ho fatto?» mormorò, ma gli altri non dissero una parola.
Il resto del viaggio per Thomas non fu che una serie di immagini sfocate. Incontrarono
altri Spaccati, in un paio di occasioni dovettero persino sparare con il lanciagranate fuori
dal finestrino. Poi attraversarono il muro esterno della città, la recinzione del piccolo
aeroporto, le enormi porte dell’hangar tenute sotto stretta sorveglianza da altri membri
del Braccio Destro.
Nessuno parlò molto, e Thomas fece solo come gli fu ordinato, andò dove si supponeva
andasse. Salirono sulla Berga, e seguì gli altri che controllavano la strumentazione. Ma
non disse mai una parola. Il pilota andò ad accendere i motori del grande aeromobile,
Lawrence scomparve da qualche parte, e Thomas trovò un divano nello spazio comune. Si
sdraiò e si mise a fissare la griglia metallica del soffitto.
Da quando aveva ucciso Newt, non aveva pensato una sola volta a quello che aveva
deciso di fare. Finalmente libero dalla C.A.T.T.I.V.O., ed eccolo lì a tornare indietro di sua
spontanea volontà.
Non gli importava più. Qualunque cosa dovesse accadere, che accadesse. Sapeva che
sarebbe stato perseguitato da ciò che aveva visto per il resto della sua vita. Chuck che
annaspava mentre moriva dissanguato, e adesso Newt che gli gridava contro, con una
follia selvaggia, spaventosa. E quell’ultimo momento di lucidità, il suo sguardo che
supplicava pietà.
Chiuse gli occhi, e quelle immagini erano ancora lì. Impiegò molto tempo a prendere
sonno.
Lawrence lo svegliò. «Ehi, bell’addormentato. Tra pochi minuti arriviamo. Scaricheremo
il tuo sederino, poi leveremo le tende. Senza offesa.»
«Figurati.» Thomas si stiracchiò e tolse le gambe dal divano. «Quanto dovrò
camminare?»
«Qualche chilometro. Non preoccuparti, non credo che avrai a che fare con molti
Spaccati, nella foresta fa freddo. Potresti incontrare qualche alce arrabbiata, però. Dei
lupi potrebbero cercare di mangiarsi le tue gambe. Niente di che, insomma.»
Thomas lo guardò, aspettandosi un gran sorriso, ma Lawrence era impegnato a mettere
in ordine delle cose in un angolo.
«Vicino al portellone troverai un cappotto e il tuo zaino» disse mentre sistemava un
piccolo strumento su una mensola. «Hai da mangiare e da bere. Vogliamo essere sicuri
che tu faccia una passeggiata piacevole. Che ti goda le gioie della natura.» Ancora
nessun sorriso.
«Grazie» mormorò Thomas. Stava facendo una fatica incredibile per non scivolare
un’altra volta nel pozzo di tristezza senza luce in cui era piombato addormentandosi. Non
riusciva ancora a togliersi Chuck e Newt dalla testa.
Lawrence interruppe quello che stava facendo e si voltò verso di lui. «Te lo chiederò
solo una volta.»
«Cosa?»
«Sei sicuro? Tutto quello che so di queste persone è marcio. Rapiscono, torturano,
uccidono. Fanno qualunque cosa per ottenere ciò che vogliono. Sembra folle lasciarti
andare in giro lì dentro tutto solo.»
Per qualche ragione, Thomas non aveva più paura. «Me la caverò. Voi preoccupatevi
solo di tornare.»
Lawrence scosse la testa. «O sei il ragazzo più coraggioso che abbia incontrato o sei del
tutto fuori di testa. Comunque, vai a farti una doccia e a cambiarti i vestiti... dovresti
trovare qualcosa negli armadietti.»
Thomas non sapeva che aspetto avesse in quel momento, ma immaginò di somigliare a
una specie di zombie pallido e senza vita con lo sguardo spento. «D’accordo» disse, e
andò a cercare di lavare via un po’ di quell’orrore.
L a Berga scese di quota e Thomas si aggrappò a una sbarra sulla parete mentre si
abbassavano. Il portellone cominciò ad aprirsi tra i cardini scricchiolanti quando erano
ancora a una trentina di metri da terra, e un’aria fredda si riversò all’interno. Il rumore dei
propulsori che bruciavano ruggì ancora più forte. Thomas vide che si trovavano sopra una
piccola radura in una grande foresta di pini spruzzati di neve; erano così tanti che la
Berga non sarebbe riuscita ad atterrare. Avrebbe dovuto saltare.
L’aeromobile si abbassò ancora e Thomas si preparò.
«Buona fortuna, ragazzo» disse Lawrence, facendo un cenno verso il suolo quando si
avvicinarono. «Ti direi di stare attento, ma non sei un idiota, perciò non lo farò.»
Thomas gli fece un sorriso, sperando di riceverne uno in cambio. Sentiva di averne
bisogno, ma non ottenne nulla. «Bene, allora. Piazzerò il dispositivo non appena entro.
Sono sicuro che andrà tutto liscio. No?»
«Se andrà tutto liscio mi usciranno delle lucertole dalle narici» rispose Lawrence, ma il
tono era gentile. «Adesso vai. Una volta giù dovrai camminare in quella direzione.» Indicò
a sinistra, verso l’estremità della foresta.
Thomas si mise il cappotto, si infilò lo zaino sulle spalle, poi camminò con cautela verso
il portellone di metallo e si accovacciò sul bordo. C’era solo poco più di un metro tra lui e
il suolo innevato, ma doveva comunque fare attenzione. Saltò e atterrò in un punto
soffice, un cumulo di neve fresca. E per tutto il tempo, dentro di sé non sentì nulla.
Aveva ucciso Newt.
Aveva sparato in testa al suo amico.
57
La radura era disseminata di vecchi tronchi caduti da molto tempo. I pini alti e robusti
della foresta circondavano Thomas, allungandosi fino al cielo come un muro di torri
maestose. Si riparò gli occhi dal vento feroce mentre la Berga si sollevava in aria spinta
dai propulsori, e la osservò scomparire nel cielo a sudovest.
L’aria era frizzante e fredda, e la foresta sapeva di fresco; sembrava di essere in un
mondo nuovo di zecca, un luogo non violato da malattie. Thomas era certo che non
capitasse a molte persone di vedere una cosa del genere di quei tempi, e si sentì
fortunato.
Strinse gli spallacci dello zaino e si incamminò nella direzione indicata da Lawrence,
determinato ad arrivare a destinazione il più in fretta possibile. Meno tempo aveva per
rimuginare su ciò che aveva fatto a Newt, meglio era. E sapeva che stare da solo in
mezzo alla natura gliene avrebbe dato troppo. Fece gli ultimi passi nella radura innevata
ed entrò nell’oscurità dei pini robusti. Si lasciò inondare dal loro profumo piacevole e fece
il possibile per spegnere di nuovo la mente e smettere di pensare del tutto.
Ci riuscì piuttosto bene, concentrandosi sul suo percorso, sugli uccelli, gli scoiattoli e gli
insetti, sui loro versi e sugli odori meravigliosi. I suoi sensi non erano abituati a quelle
cose, visto che, per quanto ricordava, aveva passato la maggior parte della vita al chiuso.
Per non parlare del Labirinto e della Zona Bruciata. Mentre attraversava la foresta, gli
risultò difficile credere che potesse esistere un posto così diverso − la Zona Bruciata −
sullo stesso pianeta. La sua mente cominciò a vagare. Si chiese come sarebbe stata la
vita per tutti quegli animali se l’uomo se ne fosse andato davvero per sempre.
Camminava da più di un’ora quando finalmente uscì dalla foresta e raggiunse un ampio
tratto roccioso, spoglio. Isole di terra marrone scuro, prive di vegetazione, chiazzavano la
distesa senza alberi dove la neve era stata spazzata via dal vento. Massi appuntiti di
varie misure punteggiavano il terreno, che si inclinava interrompendosi bruscamente:
un’enorme scarpata. Oltre si estendeva l’oceano, l’azzurro intenso che terminava
all’orizzonte, dove una linea netta lo distingueva dall’azzurro chiaro del cielo luminoso. E
sul bordo della scarpata, a meno di due chilometri da Thomas, c’era il quartier generale
della C.A.T.T.I.V.O.
Era un complesso enorme, con edifici ampi e austeri collegati tra loro; il cemento bianco
dei muri, inciso da delle fessure strette, concedeva qua e là qualche finestra. Un unico
edificio tondeggiante si ergeva sugli altri come una torre. Il tempo feroce di quella
regione, insieme all’umidità del mare, aveva fatto pagare il dazio alle facciate degli edifici
− una ragnatela di crepe ne segnava l’intonaco −, ma sembravano strutture destinate a
esserci per sempre, pronte a resistere a qualunque cosa l’uomo o il tempo avrebbe
scagliato contro di loro. Il tutto faceva pensare a qualcosa che si trovava nei libri di fiabe,
una sorta di istituto infestato dai fantasmi. Era il posto perfetto per ospitare
l’organizzazione che cercava di impedire che il mondo diventasse proprio un manicomio.
Una strada lunga e stretta si allontanava dal complesso, scomparendo nella foresta.
Thomas si incamminò verso il tratto di terra disseminato di rocce. Una calma quasi
inquietante si posò su quel luogo. L’unica cosa che sentiva oltre al tonfo dei suoi passi e
al suo respiro era il suono di onde distanti che si infrangevano ai piedi della scarpata, e
persino quello era debole. Thomas non aveva dubbi che la gente alla C.A.T.T.I.V.O. a
quel punto lo avesse visto: la sorveglianza era di certo stretta e scrupolosa.
Il rumore di qualcosa che si muoveva in fretta, simile a un oggetto metallico che
picchiettava contro la pietra, lo fece fermare a guardare alla sua destra. Come se fosse
stata richiamata dalla sua riflessione sulla sorveglianza, una scacertola se ne stava
appollaiata su un macigno, con l’occhio rosso che scintillava.
Si ricordò come si era sentito la prima volta che ne aveva vista una all’interno della
Radura, subito prima che schizzasse via verso il piccolo bosco. Sembrava una vita fa.
Agitò la mano verso la scacertola, poi riprese a camminare. Dieci minuti più tardi
avrebbe bussato alla porta della C.A.T.T.I.V.O., a chiedere, per la prima volta, che lo
lasciassero entrare. Non uscire.
Si diresse verso l’ultima sezione della discesa e camminò su un marciapiede ghiacciato
che circondava la struttura. Sembrava che in passato avessero fatto uno sforzo per
abbellire un po’ il giardino rispetto al terreno arido intorno, ma i cespugli e i fiori e gli
alberi si erano arresi da tempo all’inverno, e sulle chiazze di terra grigia che si
intravedevano tra la neve crescevano solo erbacce. Thomas camminò lungo il sentiero
pavimentato, chiedendosi perché non fosse ancora venuto nessuno ad accoglierlo. Forse
l’Uomo Ratto era all’interno, a osservarlo, a dedurre che finalmente era passato dalla loro
parte.
Altre due scacertole catturarono la sua attenzione; entrambe giravano frettolosamente
tra le vecchie aiuole piene di erbacce coperte dalla neve, scrutando a destra e sinistra
con il loro raggio rosso. Thomas alzò lo sguardo verso le finestre più vicine ma vide solo
nero. Il vetro era tinteggiato pesantemente. Un rimbombo alle sue spalle lo fece voltare.
Stava arrivando una tempesta, ma i nuvoloni scuri erano ancora a qualche chilometro di
distanza. Mentre guardava, diversi lampi squarciarono il cielo grigio a zig-zag, e quella
vista lo riportò alla Zona Bruciata, a quella tremenda pioggia di fulmini che li aveva
sorpresi mentre si dirigevano in città. Poteva solo sperare che così a nord il tempo non
fosse tanto terribile.
Riprese a camminare sul vialetto, e avvicinandosi all’entrata rallentò. Un portone in
vetro lo aspettava, e all’improvviso una sfilza di ricordi cominciò a martellargli il cervello
quasi in modo doloroso. La fuga dal Labirinto, la corsa tra i corridoi della C.A.T.T.I.V.O.,
l’uscita da quel portone mentre pioveva a dirotto. Guardò a destra verso un piccolo
parcheggio, dove c’era un vecchio autobus accanto a una fila di auto. Doveva essere lo
stesso che aveva investito quella povera donna con l’Eruzione, poi li aveva trasferiti in
quei dormitori, dove le loro menti erano state ingannate e il Pass Verticale li aveva
portati fino alla Zona Bruciata.
E adesso, dopo tutto quello che aveva passato, si trovava sull’uscio della C.A.T.T.I.V.O.,
per sua scelta. Allungò la mano e bussò sul vetro freddo e scuro davanti a sé. Non
riusciva a vedere niente dall’altra parte.
Quasi immediatamente, una serie di serrature cominciò a scattare, una dopo l’altra; poi
uno dei battenti si aprì. Janson − che per Thomas sarebbe sempre stato l’Uomo Ratto −
gli porse la mano.
«Bentornato, Thomas» disse. «Nessuno mi credeva, ma io non ho mai smesso di dire
che lo avresti fatto. Sono contento che tu abbia preso la decisione giusta.»
«Non perdiamo tempo» disse Thomas. Lo avrebbe fatto − avrebbe recitato la sua parte
− ma non doveva essere gentile.
«Mi sembra un’eccellente idea.» Janson indietreggiò e fece un leggero inchino. «Dopo di
te.»
Percorso da un brivido freddo lungo la spina dorsale, che si abbinava perfettamente alla
gelida temperatura esterna, Thomas superò l’Uomo Ratto ed entrò nel quartier generale
della C.A.T.T.I.V.O.
58
Thomas entrò in un ampio atrio con qualche divano e delle poltrone, davanti alle quali
c’era una grossa scrivania vuota. Era diversa da quelle che aveva visto l’ultima volta che
era stato lì. L’arredamento era colorato e luminoso, ma non aiutava affatto a migliorare
l’aria tetra di quel posto.
«Pensavo di trascorrere qualche minuto nel mio ufficio» disse Janson, e indicò il
corridoio a destra dell’atrio. Cominciarono a camminare in quella direzione. «Siamo
estremamente dispiaciuti per quello che è successo a Denver. È un peccato perdere una
città con quel potenziale. Una ragione in più per fare ciò che dobbiamo, e farlo in fretta.»
«Cos’è che dovete fare?» si sforzò di chiedere Thomas.
«Ne discuteremo nel mio ufficio. Il nostro team a capo delle operazioni si trova lì.»
Il dispositivo nascosto nello zaino appesantiva i pensieri di Thomas. Doveva trovare il
modo di piazzarlo il prima possibile e far partire il conto alla rovescia.
«D’accordo,» disse «ma prima ho davvero bisogno di andare al gabinetto.» Fu l’idea più
semplice che gli venne in mente. E l’unico modo sicuro per restare da solo qualche
minuto.
«Ce n’è uno proprio lì avanti» rispose l’Uomo Ratto.
Svoltarono un angolo e continuarono per un corridoio ancora più cupo che portava al
bagno degli uomini.
«Ti aspetterò qui fuori» disse Janson facendo un cenno con la testa verso la porta.
Thomas entrò senza dire una parola. Tirò fuori il dispositivo dallo zaino e si guardò in
giro. Sopra il lavandino c’era un mobiletto in legno per gli articoli da toeletta, e in cima
era abbastanza profondo perché potesse infilarci l’apparecchio senza che si vedesse. Tirò
lo sciacquone e aprì il rubinetto del lavandino. Accese il dispositivo come gli era stato
insegnato, aggrottando le sopracciglia quando sentì il debole bip che produsse, poi si
allungò e lo appoggiò sopra il mobiletto. Dopo aver chiuso il rubinetto, si tranquillizzò
mentre l’asciugamano automatico terminava di erogare aria calda.
Poi uscì di nuovo nel corridoio.
«Fatto tutto?» chiese Janson, con una cortesia fastidiosa.
«Fatto tutto» rispose Thomas.
Ripresero a camminare, superando alcuni enormi ritratti storti della cancelliera Paige,
proprio come quelli sui cartelloni a Denver.
«Incontrerò mai la cancelliera?» chiese dopo un po’ Thomas, incuriosito da quella
donna.
«La cancelliera Paige è molto occupata» rispose Janson. «Devi tenere a mente,
Thomas: il completamento della cianografia e la messa a punto della cura sono solo
l’inizio. Stiamo ancora organizzando la logistica per la distribuzione alle masse. La
maggior parte del team ci sta lavorando con grande impegno in questo preciso istante.»
«Cosa vi fa essere così sicuri che funzionerà? E perché proprio io?»
Janson lo guardò, sfoderando il suo sorriso da roditore. «Io lo so, Thomas. Ci credo con
tutto me stesso. E ti prometto che riceverai il riconoscimento che ti spetta.»
Per qualche ragione, in quel momento Thomas pensò a Newt. «Non voglio nessun
riconoscimento.»
«Eccoci» rispose l’uomo, ignorandolo.
Avevano raggiunto una porta senza nessuna targa e l’Uomo Ratto lo condusse
all’interno. Due persone − un uomo e una donna − erano sedute davanti una scrivania.
Thomas non le riconobbe.
La donna portava dei pantaloni scuri e aveva lunghi capelli rossi, e degli occhiali con la
montatura sottile appoggiati sul naso. L’uomo era calvo, spigoloso e magro, e indossava
una divisa verde da dottore.
«Questi sono i miei collaboratori» disse Janson, mentre si accomodava dietro la
scrivania. Fece segno a Thomas di sedersi tra i due ospiti, e lui obbedì. «La dottoressa
Wright» indicò la donna «a capo del team di psicologi, e il dottor Christensen a capo dello
staff medico. Abbiamo molto di cui discutere, perciò mi perdonerete la fretta nelle
presentazioni.»
«Perché sono io il Candidato Finale?» chiese Thomas, andando dritto al dunque.
Janson si prese del tempo, spostando inutilmente gli oggetti sulla sua scrivania prima di
appoggiarsi allo schienale e incrociare le mani sull’addome. «Eccellente domanda.
All’inizio avevamo una manciata − perdonami il termine − di soggetti inseriti nella lista
a... contendersi questo onore. Di recente il numero si è ridotto a te e Teresa. Ma lei è
incline a seguire gli ordini mentre tu no. La tua tendenza a ragionare senza
condizionamenti è ciò che alla fine ha determinato che fossi tu il Candidato Finale.»
Manovrato fino all’ultimo, pensò Thomas con amarezza. I suoi tentativi di ribellarsi si
erano rivelati esattamente ciò che volevano. Tutta la sua rabbia era diretta all’uomo
seduto davanti a lui. All’Uomo Ratto. Per Thomas, Janson era diventato il simbolo della
C.A.T.T.I.V.O.
«Non perdiamo altro tempo» disse. Fece del suo meglio per nasconderla, ma sentì lui
stesso la collera nella sua voce.
Janson non sembrò curarsene. «Un po’ di pazienza, per favore. Non ci vorrà molto. Tieni
presente che raccogliere gli schemi della zona della violenza è un’operazione delicata.
Abbiamo a che fare con la tua mente, e la più piccola disattenzione riguardo a ciò che
pensi, interpreti o percepisci può rendere vane le scoperte che ne derivano.»
«Sì» aggiunse la dottoressa Wright, sistemandosi i capelli dietro l’orecchio. «So che il
vicedirettore Janson ti ha comunicato l’importanza del tuo ritorno, e siamo felici che tu
abbia preso questa decisione.» Il suo modo di parlare era dolce e piacevole e rivelava
una certa intelligenza.
Il dottor Christensen si schiarì la voce, che quando intervenne si rivelò essere sottile e
stridula. Thomas provò da subito un’antipatia nei suoi confronti. «Non capisco come
avresti potuto prendere qualunque altra decisione. Il mondo intero sta per precipitare in
un baratro, e tu puoi essere d’aiuto per salvarlo.»
«Questo è ciò che dite voi» rispose Thomas.
«Esattamente» disse Janson. «È ciò che diciamo noi. È tutto pronto. Ma resta ancora
un’altra piccola cosa che dobbiamo dirti affinché tu possa comprendere appieno la
decisione che hai preso.»
«Un’altra piccola cosa?» ripeté Thomas. «Ma la prerogativa delle Variabili non è proprio
che io sia all’oscuro di tutto? Non mi getterete in una gabbia insieme a dei gorilla o roba
del genere! O magari mi farete camminare in un campo minato? Mi butterete nell’oceano,
per vedere se riesco a tornare a riva?»
«Digli il resto e basta» rispose il dottor Christensen.
«Il resto?» chiese Thomas.
«Sì, Thomas» disse Janson sospirando. «Il resto. Dopo tutte le Prove, dopo tutte le
ricerche, dopo tutti gli schemi che sono stati raccolti e analizzati, dopo tutte le Variabili a
cui abbiamo sottoposto te e i tuoi amici, si riduce tutto a questo.»
Thomas non disse nulla. Era a malapena in grado di respirare per via di una strana
suspense, combattuto tra il desiderio di sapere e di non sapere.
Janson si allungò in avanti, con i gomiti sulla scrivania, l’aria seria che gli adombrava il
viso. «Un’ultima cosa.»
«E sarebbe?»
«Thomas, ci serve il tuo cervello.»
59
Il cuore di Thomas cominciò a battere così forte da rimbombargli nel petto. Sapeva che
quell’uomo non lo stava mettendo alla prova. Si erano spinti il più lontano possibile per
analizzare le reazioni e gli schemi del cervello. Adesso avevano scelto la persona più
indicata da... smembrare nel tentativo di mettere a punto una cura.
Di colpo, il Braccio Destro non poteva arrivare abbastanza in fretta.
«Il mio cervello?» si sforzò di ripetere.
«Sì» rispose il dottor Christensen. «Il Candidato Finale detiene il pezzo mancante per
completare le informazioni necessarie per la cianografia. Ma non c’era modo di saperlo
finché non abbiamo monitorato gli schemi confrontandoli con le Variabili. La vivisezione ci
fornirà gli ultimi dati, mantenendo il tuo sistema vitale perfettamente funzionante
durante il processo. Non che tu sentirai alcun dolore, sarai completamente sedato
finché...»
Non c’era bisogno che terminasse la frase. Le parole scivolarono nel silenzio e i tre
scienziati della C.A.T.T.I.V.O. attesero la sua risposta. Ma lui non riusciva a parlare.
Aveva affrontato la morte infinite volte nella vita di cui aveva memoria, eppure lo aveva
sempre fatto sperando disperatamente di sopravvivere, facendo qualunque cosa in suo
potere per durare un altro giorno. Ma ora era diverso. Non doveva semplicemente
resistere a qualche Prova finché fossero arrivati a salvarlo. Questo era qualcosa da cui
non sarebbe tornato. Questa sarebbe stata la fine se non fossero arrivati.
Un dubbio orribile, arrivato da chissà dove, si insinuò nella sua mente: Teresa lo
sapeva?
Rimase sorpreso da quanto l’idea lo ferisse.
«Thomas?» lo chiamò Janson, interrompendo il suo flusso di pensieri. «So che questo
dev’essere un vero shock per te. Ho bisogno che tu capisca che non si tratta di un test.
Questa non è una Variabile e non ti sto mentendo. Noi pensiamo di poter completare la
cianografia per la cura analizzando il tuo tessuto cerebrale e come, in combinazione con
gli schemi che abbiamo raccolto, la sua conformazione gli permetta di resistere alla
potenza del virus dell’Eruzione. Tutte le Prove sono state create per evitare che
dovessimo operarvi tutti. Il nostro scopo principale era quello di salvare vite, non di
sprecarle.»
«Stiamo raccogliendo e analizzando gli schemi da anni, e le tue reazioni alle Variabili
sono state di gran lunga le più forti» proseguì la dottoressa Wright. «Siamo a conoscenza
da molto tempo − ed è stata la nostra priorità assoluta tenerne all’oscuro i soggetti − del
fatto che alla fine avremmo dovuto scegliere il Candidato migliore per quest’ultima
procedura.»
Il dottor Christensen continuò illustrando per sommi capi la procedura mentre Thomas
ascoltava in un silenzio sordo. «Devi essere vivo ma non sveglio. Sarai sedato, e
anestetizzeremo l’area da incidere, ma non ci sono molti nervi nel cervello, perciò sarà
un’operazione relativamente indolore. Sfortunatamente, non ti riprenderai dalle nostre
esplorazioni neurali, la procedura è letale. Ma i risultati saranno inestimabili.»
«E se non funzionasse?» chiese Thomas. L’unica cosa che riusciva a vedere erano gli
ultimi momenti di Newt. E se avesse potuto evitare quella morte orribile per un’infinità di
altre persone?
Lo sguardo della psicologa si incupì. «In quel caso continueremo a... lavorarci. Ma siamo
certi che...»
Thomas la interruppe, incapace di trattenersi. «Ma non lo siete, vero? State pagando
della gente perché rapisca altri soggetti» disse quella parola con profondo disprezzo
«immuni, per poter ricominciare tutto da capo.»
All’inizio nessuno rispose. Poi intervenne Janson. «Faremo qualunque cosa per trovare
una cura. Con la minor perdita di vite possibile. Non c’è nient’altro da aggiungere in
merito.»
«Cosa ne parliamo a fare?» chiese Thomas. «Perché non mi afferrate e mi legate, e mi
strappate il cervello?»
Fu il dottor Christensen a rispondere. «Perché tu sei il nostro Candidato Finale. Tu hai
fatto parte della transizione tra i nostri fondatori e lo staff attuale. Stiamo cercando di
mostrarti il rispetto che meriti. La nostra speranza è che tu prenda la decisione da solo.»
«Thomas, ti serve un minuto?» chiese la dottoressa Wright. «So che è difficile, e ti
assicuro che noi ci rendiamo conto della situazione. Quello che ti stiamo chiedendo è un
sacrificio enorme. Donerai il tuo cervello alla scienza? Ci permetterai di mettere i pezzi
mancanti del puzzle? Di fare un ulteriore passo verso una cura per il bene dell’umanità?»
Thomas non sapeva cosa dire. Non riusciva a credere alla piega che avevano preso gli
eventi. Dopo tutto quanto, poteva essere vero che avessero bisogno di un’unica morte in
più?
Il Braccio Destro stava arrivando. L’immagine di Newt impressa nella mente.
«Ho bisogno di restare solo» riuscì a dire alla fine. «Per favore.» Per la prima volta, una
parte di lui voleva davvero arrendersi, lasciarglielo fare. Anche se c’era solamente una
minuscola possibilità che funzionasse.
«Farai la cosa giusta» disse il dottor Christensen. «E non preoccuparti. Non sentirai il
minimo dolore.»
Thomas non voleva ascoltare una parola di più. «Ho soltanto bisogno di rimanere un po’
da solo prima che tutto questo abbia inizio.»
«Mi sembra giusto» disse Janson, alzandosi. «Ti accompagneremo al reparto di
medicina e ti lasceremo in una stanza privata per un po’. Anche se dobbiamo cominciare
al più presto.»
Thomas si chinò in avanti e si prese la testa tra le mani, fissando il pavimento. Il piano
che aveva ideato con il Braccio Destro di colpo sembrava folle. Anche se fosse riuscito a
scappare da quelle persone, anche se lo avesse voluto a quel punto, come avrebbe fatto
a sopravvivere fino all’arrivo dei suoi amici?»
«Thomas?» lo chiamò la dottoressa Wright, appoggiandogli una mano sulla schiena. «Ti
senti bene? Hai altre domande?»
Thomas si tirò su, togliendole la mano. «Andiamo... andiamo dove avete detto e
basta.»
Di colpo sembrò che l’aria avesse abbandonato l’ufficio di Janson, e Thomas sentì una
morsa al petto. Si alzò e raggiunse la porta, la aprì e si incamminò per il corridoio. Era
troppo da sopportare.
60
Thomas seguì i dottori, ma la sua mente galoppava. Non sapeva cosa fare. Non c’era
modo di mettersi in contatto con il Braccio Destro, e aveva perso la capacità di
comunicare telepaticamente con Teresa, o con Aris.
Svoltarono un paio di volte, e quel procedere a zig-zag lo fece pensare al Labirinto.
Provava quasi il desiderio di essere ancora lì; le cose erano molto più semplici a quei
tempi.
«C’è una stanza qui sulla sinistra» spiegò Janson. «Ho già lasciato un bloc-notes lì
dentro nel caso volessi lasciare un messaggio ai tuoi amici. Troveremo un modo per
farglielo recapitare.»
«Mi assicurerò anche che ti portino qualcosa da mangiare» disse la dottoressa Wright da
dietro alzando la voce per farsi sentire.
La loro gentilezza lo infastidiva. Si ricordò le storie di assassini del passato condannati a
morte. Anche loro facevano sempre un ultimo pasto. Potevano chiedere qualunque cosa.
«Voglio una bistecca» disse, fermandosi a guardarla. «E gamberetti. E un’aragosta. E
dei pancake. E una tavoletta di cioccolato.»
«Mi dispiace... dovrai accontentarti di un paio di panini.»
Thomas sospirò. «Ti pareva.»
Si mise a sedere su una poltrona, a fissare il bloc-notes su un tavolino davanti a lui. Non
aveva nessuna intenzione di scrivere un messaggio a nessuno, ma non sapeva cos’altro
fare. La situazione si era rivelata molto più complicata del previsto. Non sapeva cosa si
fosse aspettato, ma l’idea che lo vivisezionassero non gli era mai passata per la testa.
Aveva immaginato che, in ogni caso, sarebbe semplicemente stato al gioco fino a quando
non fosse arrivato il Braccio Destro.
Ma stare al gioco adesso significava non poter più tornare indietro.
Alla fine scrisse dei messaggi di addio a Minho e Brenda, nel caso fosse morto; poi
appoggiò la testa sulle braccia per riposarsi finché non gli portarono il cibo. Mangiò
lentamente, poi si riposò di nuovo. La sua unica speranza era che i suoi amici arrivassero
in tempo. In ogni caso, di sicuro non avrebbe lasciato quella stanza prima che fosse stato
assolutamente necessario.
Sonnecchiò un po’ nell’attesa. I minuti scorrevano lenti.
Fu svegliato di soprassalto da qualcuno che bussava alla porta.
«Thomas?» Era la voce attutita di Janson. «Dobbiamo proprio cominciare.»
Quelle parole lo gettarono nel panico. «Non... non sono ancora pronto.» Sapeva che
suonava ridicolo.
«Purtroppo non abbiamo altra scelta» disse Janson dopo una lunga pausa.
«Ma...» cominciò, ma prima che potesse pensare a cosa dire, la porta si aprì e Janson
entrò.
«Thomas... aspettare peggiorerà solo le cose. Dobbiamo andare.»
Thomas non sapeva cosa fare. Era sorpreso che si fossero mostrati così calmi con lui
fino a quel momento. Si rese conto di aver spinto le cose al limite, e che il tempo a sua
disposizione era scaduto. Fece un respiro profondo.
«Facciamola finita una volta per tutte.»
L’Uomo Ratto sorrise. «Seguimi.»
Janson lo condusse in una sala preoperatoria dove un lettino con le ruote era circondato
da ogni genere di monitor e diverse infermiere. Il dottor Christensen si trovava lì, con la
casacca e i pantaloni da medico e la mascherina chirurgica già sul viso. Thomas riusciva
solo a vedergli gli occhi, ma gli sembrava ansioso di cominciare.
«Dunque ci siamo?» chiese. Il panico gli attanagliò lo stomaco, ed era come se avesse
qualcosa nel petto che lo stava rosicchiando. «È ora di tagliare?»
«Mi dispiace,» rispose il dottore, «ma dobbiamo cominciare.»
L’Uomo Ratto stava per dire qualcosa quando un allarme squillante cominciò a risuonare
per tutto l’edificio.
Thomas ebbe un tuffo al cuore e si sentì enormemente sollevato. Doveva essere il
Braccio Destro.
La porta si spalancò, e il ragazzo si voltò giusto in tempo per vedere una donna
agitatissima che annunciava: «È arrivata una Berga con una consegna, ma era uno
stratagemma per introdurre delle persone nel complesso; stanno cercando di assumere il
controllo dell’edificio principale in questo preciso istante.»
La reazione di Janson gli fece quasi venire un infarto.
«A quanto pare dobbiamo sbrigarci e dare inizio alla procedura. Christensen, lo
addormenti.»
61
Thomas sentì il petto comprimersi e gli sembrò di soffocare. C’era in gioco tutto, ma lui
era paralizzato.
Janson dava ordini sbraitando. «Dottor Christensen, presto. Chissà che intenzioni hanno
queste persone, non possiamo perdere un altro secondo. Dirò all’équipe operatoria di
restare dov’è, qualunque cosa succeda.»
«Aspettate» disse Thomas con un filo di voce. «Non so se posso farlo.» Le sue parole gli
sembravano prive di significato; sapeva che a quel punto non si sarebbero fermati.
Janson diventò paonazzo. Invece di rispondergli, si voltò verso il dottore. «Faccia
qualunque cosa sia necessaria per aprire questo ragazzino.»
Proprio mentre Thomas era sul punto di parlare, qualcosa gli punse il braccio,
mandandogli scariche calde per tutto il corpo; sentì le forze abbandonarlo e si accasciò
sulla barella. Era addormentato dal collo in giù, e il terrore lo assalì. Il dottor Christensen
si piegò su di lui e passò una siringa vuota a un’infermiera.
«Mi dispiace molto, Thomas. Dobbiamo farlo.»
Il dottore e l’infermiera lo spinsero verso il centro del lettino, sollevandogli le gambe per
farlo sdraiare a pancia insù. Thomas riusciva a muovere leggermente la testa a destra e
sinistra, ma niente di più. Fu sopraffatto dall’improvvisa piega degli eventi mentre si
rendeva conto delle implicazioni. Stava per morire. A meno che il Braccio Destro non lo
avesse raggiunto immediatamente, sarebbe morto.
Janson entrò nel suo campo visivo. Con un cenno di approvazione, l’Uomo Ratto diede
una pacca sulla spalla al dottore. «La porti a termine.» Poi si voltò e scomparve. Prima
che la porta si chiudesse, Thomas sentì qualcuno gridare nel corridoio.
«Devo solo svolgere qualche esame,» spiegò il dottor Christensen «poi ti porteremo in
sala operatoria.» Si voltò per armeggiare con degli strumenti dietro di lui.
Gli sembrava che l’uomo gli parlasse da centinaia di chilometri di distanza. Thomas
giaceva inerme, mille pensieri che gli passavano per la testa mentre il dottore gli
prelevava del sangue, gli controllava il cranio. Lavorava in silenzio, sbatteva a malapena
le palpebre. Ma le gocce di sudore sulla fronte mostravano che stava lottando contro
chissà cosa. Per farlo aveva a disposizione un’ora? Diverse ore?
Thomas chiuse gli occhi. Si chiese se il dispositivo per disabilitare le armi avesse fatto il
suo dovere. Si chiese se qualcuno lo avrebbe trovato. Poi si rese conto di una cosa:
voleva che lo facessero? Era possibile che la C.A.T.T.I.V.O. fosse a un passo dalla cura? Si
sforzò di respirare regolarmente, concentrandosi sulle gambe e le braccia per provare a
muoverle. Ma non succedeva nulla.
Il dottore improvvisamente raddrizzò la schiena e gli sorrise. «Direi che siamo pronti.
Adesso ti porteremo in sala operatoria.»
L’uomo attraversò la porta e la barella di Thomas venne spinta. Incapace di muoversi,
se ne stava sdraiato a fissare le luci del soffitto che passavano mentre le rotelle sotto di
lui scivolavano per il corridoio. Alla fine chiuse gli occhi.
Lo avrebbero addormentato. Il mondo sarebbe scomparso. E lui sarebbe morto.
Spalancò di nuovo gli occhi. Li richiuse. Il cuore gli batteva forte, gli sudavano le mani, e
si rese conto che stava stringendo le coperte della barella tra le dita. Stava lentamente
recuperando i movimenti. Gli occhi si aprirono di nuovo. Vide passare delle luci. Una
curva, poi un’altra. La disperazione minacciava di strappargli la vita prima che potessero
farlo i dottori.
«Io...» disse, ma non gli uscì nient’altro.
«Cosa?» chiese Christensen, abbassando lo sguardo verso di lui.
Thomas si sforzò di parlare, ma non ebbe il tempo di pronunciare un’altra parola perché
un boato fortissimo fece tremare tutto il corridoio e il dottore inciampò, spingendo con il
suo peso la barella in avanti mentre cercava di non cadere. Il lettino venne scagliato
verso destra e urtò il muro, poi rimbalzò cominciando a girare finché non colpì il muro di
sinistra. Thomas cercò di muoversi, ma era ancora paralizzato, non poteva fare niente.
Pensò a Chuck e a Newt, e una tristezza mai provata gli serrò il cuore.
Qualcuno gridò nella direzione dell’esplosione. Seguirono altre grida, poi calò di nuovo il
silenzio, e il dottore era di nuovo in piedi, correva verso la barella, la raddrizzava, la
spingeva, la sbatteva contro due porte basculanti che si aprivano. Una folta schiera di
persone con divise da medici e infermiere li aspettava in una sala operatoria bianca.
Christensen cominciò a dare ordini a gran voce. «Dobbiamo sbrigarci! Ognuno ai propri
posti! Lisa, addormentalo del tutto. Subito!»
«Non abbiamo finito di fare la prep...» rispose una donna bassa.
«Non importa! Per quanto ne sappiamo, l’intero l’edificio crollerà sotto le fiamme.»
L’uomo affiancò la barella a un tavolo operatorio; numerose mani sollevarono Thomas e
lo spostarono ancor prima che la barella fosse del tutto ferma. Lui si adagiò sulla schiena,
sforzandosi di osservare lo sciame di dottori e infermiere, almeno nove o dieci. Sentì una
puntura al braccio: abbassò lo sguardo e vide quella donna che gli infilava una flebo. Per
tutto il tempo l’unica cosa che era riuscito a muovere erano le mani.
Le luci vennero posizionate direttamente sopra di lui. Gli attaccarono altre cose in vari
punti del corpo; dei monitor cominciarono a emettere un segnale acustico, un
apparecchio ronzava, le persone parlavano una sopra l’altra; la stanza era in pieno
movimento, come in una danza coreografata.
E le luci, così forti. Girava tutto, anche se Thomas era completamente immobile. Il
terrore crescente per ciò che gli stavano facendo. La consapevolezza che tutto stava per
finire, proprio lì, proprio in quel momento.
«Spero che funzioni» riuscì a dire alla fine.
Pochi secondi più tardi, l’anestesia fece effetto e tutto scomparve.
62
Per molto tempo, Thomas non vide che il buio. Il vuoto dei suoi pensieri interrotto solo
da una fessura sottilissima, larga quanto bastava per renderlo cosciente del vuoto stesso.
Da qualche parte al margine di tutto, sapeva che doveva essere addormentato, tenuto in
vita solo perché potessero ispezionargli il cervello. Smontarlo, probabilmente pezzo per
pezzo.
Quindi non era ancora morto.
A un certo punto, mentre galleggiava in quella massa confusa senza luce, una voce.
Gridava il suo nome.
Dopo aver sentito Thomas diverse volte, si decise a seguirla, a trovarla. Si spinse verso
quella voce.
Verso il suo nome.
63
«Thomas, io ho fiducia in te» gli disse una donna mentre lui si sforzava di riprendere
conoscenza. Non riconobbe quella voce, ma in qualche modo era dolce e autorevole allo
stesso tempo. Continuò a lottare, sentì sé stesso lamentarsi, muoversi nel letto.
Alla fine, aprì gli occhi. Mentre sbatteva le palpebre per via delle forti luci sopra di lui,
notò una porta che si chiudeva dietro alla persona che lo aveva svegliato.
«Aspetta» disse, ma fu soltanto un sussurro roco.
Ricorrendo a tutta la forza di volontà che aveva, riuscì a puntare i gomiti e a sollevarsi.
Era da solo nella stanza, gli unici suoni erano delle grida lontane e qualche rombo simile
a un tuono. La mente cominciò ad acquistare lucidità, e si rese conto che, a parte un
leggero intontimento, stava bene. E questo significava che, a meno che i miracoli della
scienza non avessero fatto passi da gigante, aveva ancora il suo cervello.
Una cartelletta sul tavolo accanto al letto attirò la sua attenzione. Sopra, a grosse
lettere rosse, c’era scritto THOMAS.Spostò le gambe per mettersi seduto sul bordo del
materasso e l’afferrò.
All’interno c’erano due fogli. Il primo era una mappa del complesso della C.A.T.T.I.V.O.,
su cui un pennarello nero aveva tracciato diversi percorsi attraverso l’edificio. Diede una
rapida occhiata al secondo: era una lettera, indirizza a lui e firmata dalla cancelliera
Paige. Mise giù la mappa e cominciò a leggere la lettera dall’inizio.
Caro Thomas,
è mio convincimento che le Prove siano finite. Abbiamo dati più che sufficienti per creare una cianografia. I miei
collaboratori non sono d’accordo con me a tal proposito, ma sono riuscita a fermare questa procedura e salvarti la vita.
Adesso è nostro compito lavorare con i dati che già abbiamo e mettere a punto una cura per l’Eruzione. Il tuo
contributo, e quello degli altri soggetti, non è più necessario.
Ora hai un grande compito davanti a te. Quando sono diventata cancelliera, ho capito l’importanza di realizzare una
specie di porta secondaria in questo edificio. Ho sistemato questa porta secondaria in uno sgabuzzino inutilizzato. Ti sto
chiedendo di allontanare te stesso, i tuoi amici, e il numero consistente di immuni che abbiamo raccolto. Come di certo
saprai, la tempistica è inderogabile.
Sulla mappa che ho allegato sono segnati tre percorsi. Il primo mostra come lasciare questo edificio attraverso un
tunnel; una volta fuori, sarai in grado di trovare il punto in cui il Braccio Destro ha ricavato un’entrata in un altro edificio.
Lì, potrai unirti a loro. Il secondo percorso mostra come raggiungere gli immuni. Il terzo come trovare la porta
secondaria. È un Pass Verticale che ti trasporterà a quella che mi auguro sarà una nuova vita. Porta via tutti e
andatevene.
Ava Paige, cancelliera
Thomas fissò il foglio, con il cervello che gli frullava. Un altro boato scoppiò in
lontananza e lo riportò alla realtà. Si fidava di Brenda, e lei si fidava della cancelliera. La
sola cosa che poteva fare adesso era muoversi.
Piegò la lettera e la mappa e le infilò nella tasca posteriore, poi lentamente si alzò.
Sorpreso dalla velocità con cui aveva recuperato le forze, corse verso la porta. Con una
sbirciatina controllò che nel corridoio non ci fosse nessuno. Uscì di soppiatto, e proprio
mentre lo faceva, due persone arrivarono correndo dietro di lui. Gli lanciarono solo
un’occhiata, e Thomas si rese conto che forse sarebbe stata proprio la confusione creata
dall’attacco del Braccio Destro a salvargli la vita.
Tirò fuori la mappa e la studiò attentamente, seguendo la riga nera che conduceva al
tunnel. Non avrebbe impiegato molto a raggiungerlo. Memorizzò il tragitto e corse lungo
il corridoio, continuando a tenere d’occhio le altre due strade segnate dalla cancelliera
Paige sul foglio.
Aveva percorso solo pochi metri quando si fermò, sbalordito da ciò che vedeva. Avvicinò
la mappa per essere sicuro, forse l’aveva letta male. Ma non c’erano errori in quello che
mostrava.
La C.A.T.T.I.V.O. aveva nascosto gli immuni nel Labirinto.
64
C’erano due labirinti sulla mappa, ovviamente: uno per il Gruppo A e uno per il Gruppo
B. Entrambi dovevano essere stati costruiti nelle profondità del suolo roccioso sotto gli
edifici principali del quartier generale della C.A.T.T.I.V.O. Thomas non sapeva verso quale
si stesse dirigendo, ma in ogni caso stava tornando nel Labirinto. Spaventato a morte, si
mise a correre verso il tunnel della cancelliera Paige.
Seguì la mappa e percorse un corridoio dopo l’altro più in fretta possibile, finché non
raggiunse una lunga rampa di scale che scendeva verso un seminterrato. Attraversò delle
stanze vuote, poi finalmente arrivò a una porticina che si apriva su un tunnel. Era buio,
ma con suo gran sollievo, non del tutto. Numerose lampadine pendevano dal soffitto
mentre si affrettava lungo il corridoio stretto. Dopo circa una sessantina di metri, vide
una scala a pioli che era stata segnata sulla mappa. Vi salì, e in cima trovò una botola
rotonda di metallo con una maniglia circolare, che gli ricordò l’entrata della Stanza delle
Mappe nella Radura.
La girò e spinse con tutta la forza che aveva. Non appena la botola si mosse, una luce
fioca penetrò nel tunnel, e mentre i cardini giravano, Thomas fu investito da una forte
ventata di aria fredda. Si tirò su e si ritrovò accanto a una grossa roccia nella terra arida
coperta di neve, tra la foresta e il quartier generale della C.A.T.T.I.V.O.
Richiuse con cautela il coperchio del tunnel, poi si accovacciò dietro un macigno. Non
notò nessun movimento, ma era sera ed era molto buio. Alzò lo sguardo al cielo, e
vedendo gli stessi nuvoloni grigi che aveva notato quando era arrivato al complesso della
C.A.T.T.I.V.O., si rese conto di non avere idea di quanto tempo fosse trascorso da allora.
Era stato lì dentro solo per poche ore, o erano passati una notte e un giorno intero?
La lettera della cancelliera Paige diceva che il Braccio Destro si era ricavato un’entrata
negli edifici, probabilmente con le esplosioni che aveva sentito prima, ed era lì che
doveva andare adesso. Si rese conto che la cosa più saggia era ricongiungersi al gruppo
− l’unione fa la forza − e fargli sapere dove avevano nascosto gli immuni. A giudicare
dalla mappa, la cosa migliore da fare era correre verso l’agglomerato di edifici più lontano
dal punto in cui era uscito e cercare in quella zona.
Dopo aver preso la sua decisione, girò intorno al macigno e scattò verso la struttura più
vicina. Corse restando rannicchiato, cercando di non dare troppo nell’occhio. Un lampo
striò il cielo, illuminò il cemento del complesso e si spense sulla neve bianca. Il tuono
seguì a poco distanza, rimbombando sulla terra e facendogli vibrare il petto.
Raggiunse il primo edificio e si infilò tra i cespugli irregolari a ridosso del muro. Si spostò
rimanendo attaccato al fianco della struttura, ma la zona era deserta. Arrivato al primo
angolo si fermò e si sporse; nello spazio tra gli edifici c’era una serie di cortili. Ma non
vide niente nemmeno lì.
Costeggiò i due edifici successivi, ma mentre si avvicinava al quarto, sentì delle voci e si
buttò a terra immediatamente. Cercando di fare meno rumore possibile, strisciò
velocemente sul terreno ghiacciato verso un cespuglio cresciuto più degli altri, poi si
guardò in giro per capire l’origine di quel rumore.
Eccola. Dei grossi cumuli di macerie giacevano sparsi qua e là nel cortile, e alle loro
spalle, un buco enorme nel fianco dell’edificio provocato da un’esplosione. Questo
significava che era stato fatto saltare dall’interno. Una luce fioca brillava dietro l’apertura,
proiettando ombre irregolari sul terreno. Sedute sul bordo di una di quelle ombre c’erano
due persone in abiti civili. Il Braccio Destro.
Thomas aveva appena iniziato a tirarsi su quando una mano gelida gli coprì la bocca e
lo trascinò all’indietro. Un altro braccio gli cinse il petto e lo tirò, facendolo strisciare a
terra; i suoi piedi scavarono dei solchi nella neve. Thomas scalciò, cercando di liberarsi,
ma quella persona era troppo forte.
Girarono l’angolo e raggiunsero un altro piccolo cortile, dove Thomas fu gettato a terra
a pancia ingiù. Chi lo aveva catturato lo girò supino e gli tappò di nuovo la bocca con la
mano. Era un uomo, ma non lo riconobbe. La sagoma di un’altra persona si chinò sopra di
lui.
Janson.
«Sono molto deluso» disse l’Uomo Ratto. «A quanto pare, non tutti nella mia
organizzazione stanno dalla stessa parte.»
Thomas si agitò inutilmente, mentre l’uomo lo teneva bloccato a terra.
Janson sospirò. «Sembra proprio che dovremo farlo usando le maniere forti.»
65
Janson tirò fuori un coltello lungo e sottile e lo sollevò, strizzando gli occhi mentre lo
esaminava. «Lascia che ti dica una cosa, ragazzino. Non mi sono mai considerato un
uomo violento, ma di certo tu e i tuoi amici mi avete fatto raggiungere il limite della
sopportazione. La mia pazienza si è ridotta al minimo, però voglio mostrare autocontrollo.
A differenza tua, io non penso solo a me stesso. Io sto lavorando per salvare la gente, e
porterò a termine questo progetto.»
Thomas si sforzò di rilassarsi, di stare fermo. Dimenandosi non aveva ottenuto nulla, e
doveva risparmiare le energie per quando si fosse presentata l’occasione giusta. Era
chiaro che l’Uomo Ratto non era più in sé, e a giudicare dalla lama, era determinato a
riportarlo nella sala operatoria a ogni costo.
«Bravo bambino. Non è il caso di opporre resistenza. Dovresti essere orgoglioso. Sarete
tu e la tua mente a salvare il mondo, Thomas.»
A quel punto l’uomo che lo teneva fermo − un tizio tarchiato con i capelli neri − parlò.
«Adesso ti toglierò la mano dalla bocca, ragazzo. Prova a dire mezza parola e il
vicedirettore Janson ti farà un bel buchetto con la sua lama. Chiaro? Ti vogliamo vivo, ma
questo non significa che tu non possa riportare qualche ferita di guerra.»
Thomas annuì con tutta la calma di cui disponeva. L’uomo lo lasciò andare, poi si mise
seduto. «Così mi piaci.»
Era il momento che aspettava. Thomas spinse con violenza la gamba verso destra e con
un calcio colpì Janson in faccia. L’uomo piegò la testa all’indietro e cadde a terra. Il tizio
dai capelli scuri si alzò per bloccarlo, ma lui contorcendosi gli passò sotto le gambe e si
fiondò su Janson. Gli diede un altro calcio, questa volta alla mano che impugnava il
coltello, facendolo indietreggiare sul terreno finché non andò a sbattere contro il muro
dell’edificio.
Thomas si concentrò sull’arma, e l’uomo tarchiato ne approfittò. Si buttò su di lui,
sbattendolo di schiena sopra Janson. Mentre lottavano, l’Uomo Ratto si dimenava sotto di
loro, e Thomas sentì la forza della disperazione montare dentro di sé, l’adrenalina
esplodere in tutto il corpo. Gridò e combatté con pugni e calci per divincolarsi da quei
due. Agitando le mani e i piedi in cerca di un appiglio, riuscì a liberarsi e si tuffò verso il
coltello. Atterrò accanto all’arma, la prese e si girò, aspettandosi un attacco immediato.
Janson e il tipo si stavano rimettendo in piedi proprio in quel momento, ovviamente
sorpresi dalla sua improvvisa esplosione di forza.
Anche Thomas si rialzò, tenendo il coltello davanti a sé. «Lasciatemi andare. Lasciatemi
andare e sparite. Giuro che se provate ad attaccarmi non risponderò di me e vi infilzerò
con questo affare finché non sarete morti entrambi. Lo giuro.»
«Siamo due contro uno, ragazzo» disse Janson. «Non m’interessa se hai un coltello.»
«Hai visto di cosa sono capace» rispose Thomas, cercando di sembrare pericoloso
quanto sentiva di essere. «Mi hai osservato nel Labirinto e nella Zona Bruciata.» L’ironia
della sorte gli fece quasi venire voglia di ridere. Lo avevano trasformato in un assassino...
per salvare la gente?
Il tizio più basso lo sbeffeggiò. «Se pensi che noi...»
Thomas incurvò la schiena e lanciò il coltello come aveva visto fare a Gally, con un
movimento rotatorio. La lama girò su sé stessa attraversando lo spazio che li separava e
andò a conficcarsi nel collo dell’uomo. All’inizio non uscì sangue, ma quello allungò la
mano, con espressione sgomenta, e afferrò il coltello. Fu a quel punto che arrivò il
sangue, sgorgando a fiotti al ritmo del battito cardiaco. L’uomo aprì la bocca, ma prima
che potesse parlare si accasciò sulle ginocchia.
«Piccolo...» sussurrò Janson, con gli occhi spalancati e pieni di orrore mentre fissava il
suo collaboratore.
Thomas era scioccato da quello che aveva fatto, e rimase paralizzato, ma si riprese
appena Janson girò la testa per guardarlo. Con uno scatto corse fuori dal cortile e girò
l’angolo dell’edificio. Doveva andare dove avevano fatto esplodere il muro, doveva
tornare dentro.
«Thomas!» gridò Janson; sentì i suo passi che lo seguivano. «Torna qui! Non hai idea di
quello che stai facendo!»
Thomas non ebbe nemmeno un momento di incertezza. Superò il cespuglio dietro il
quale si era nascosto prima e corse come un fulmine verso lo squarcio nell’edificio. Un
uomo e una donna erano seduti lì vicino, accovacciati a terra schiena contro schiena. Alla
vista di Thomas, si alzarono entrambi.
«Sono Thomas!» gridò, mentre quelli aprivano la bocca per fargli delle domande. «Sono
dalla vostra parte!»
I due si scambiarono un’occhiata, poi si voltarono verso di lui proprio mentre si fermava
bruscamente davanti a loro. Cercando di riprendere fiato, si guardò alle spalle e
nell’ombra vide la sagoma di Janson che correva, forse a una quindicina di metri di
distanza.
«Ti stanno cercando ovunque» disse l’uomo di guardia. «Ma tu dovevi essere lì dentro.»
Indicò il buco.
«Dove sono tutti? Dov’è Vince?» chiese ansimando.
E mentre parlava sapeva che Janson gli stava ancora dando la caccia. Si voltò e vide
l’Uomo Ratto, il viso deformato da una rabbia innaturale. Era un’espressione che Thomas
aveva già visto. Era la stessa rabbia folle che aveva visto in Newt. L’Uomo Ratto aveva
l’Eruzione.
«Questo ragazzo... è di proprietà... della C.A.T.T.I.V.O. Consegnatemelo» disse Janson
senza fiato.
La donna non si scompose. «Per me la C.A.T.T.I.V.O. non conta un cavolo di niente,
vecchio mio. Se fossi in te sparirei dalla circolazione, e non ti conviene nemmeno
rientrare. Stanno per succedere brutte cose ai tuoi amici lì dentro.»
L’Uomo Ratto non rispose, continuò semplicemente ad ansimare, guardando ora
Thomas ora gli altri. Alla fine cominciò a indietreggiare, lentamente. «Voi non capite. La
vostra arroganza da falsi moralisti sarà la fine di tutto. Spero che ve ne renderete conto
quando marcirete all’inferno.»
Poi si voltò e corse via, scomparendo nel buio.
«Cosa gli hai fatto per farlo arrabbiare?» chiese la donna.
Thomas cercò di riprendere fiato. «Storia lunga. Devo trovare Vince, o chi comanda.
Devo trovare i miei amici.»
«Calmati, ragazzo» rispose l’uomo. «Le cose sono abbastanza tranquille in questo
momento. La gente sta prendendo posizione, stanno piazzando, quel genere di cose.»
«Piazzando?» chiese Thomas.
«Piazzando.»
«Cosa significa?»
«L’esplosivo, idiota. Stiamo per far saltare in aria l’intero complesso. Dimostreremo alla
C.A.T.T.I.V.O. che non stiamo giocando.»
66
Fu in quel momento che Thomas vide tutto con chiarezza. C’era un che di fanatico in
Vince, ma fino ad allora era stata solo una vaga sensazione. E poi c’era il modo in cui il
Braccio Destro aveva trattato lui e i suoi amici nel furgone dopo averli presi in ostaggio
a l l a Berga. Inoltre, perché avevano tutto quell’esplosivo ma nessuna vera arma
convenzionale? Non aveva senso, a meno che il loro obiettivo fosse distruggere, non
prendere il comando. Il Braccio Destro non era esattamente sulla sua stessa lunghezza
d’onda. Forse pensavano che le loro motivazioni fossero pure, ma Thomas stava
cominciando a rendersi conto che l’organizzazione aveva uno scopo più oscuro.
Doveva muoversi con cautela. L’unica cosa che importava in quel momento era salvare i
suoi amici e trovare gli altri che erano stati catturati per liberarli.
La voce della donna interruppe i suoi pensieri. «Ti stai scervellando per bene con quella
testolina.»
«Sì... scusate. Quando pensate che faranno saltare l’esplosivo?»
«Tra non molto, credo. Lo stanno piazzando da ore. Vogliono farlo detonare tutto nello
stesso momento, ma a mio parere non siamo così esperti.»
«E le persone all’interno? Cosa succederà a quelli che siamo venuti a salvare?»
I due si guardarono, poi scrollarono le spalle. «Vince spera di far uscire tutti.»
«Spera? Cosa significa?»
«Lo spera.»
«Devo parlare con lui.» Quello che Thomas voleva davvero era trovare Minho e Brenda.
Braccio Destro o no, sapeva ciò che dovevano fare: raggiungere il Labirinto e portare tutti
fuori di lì attraverso il Pass Verticale.
La donna indicò il buco sul fianco dell’edificio. «Se passi da lì e prosegui per un po’ c’è
una zona che hanno più o meno sotto controllo. Probabilmente ci troverai Vince. Ma sta’
attento. La C.A.T.T.I.V.O. ha delle guardie nascoste ovunque. E sono dei piccoli bastardi
senza pietà.»
«Grazie per l’avvertimento.» Thomas si voltò, ansioso di entrare. Lo squarcio incombeva
su di lui, e l’oscurità polverosa lo attendeva all’interno. Non c’era più nessun allarme né
luci rosse lampeggianti. Lo attraversò.
All’inizio non vide né sentì niente. Camminò in silenzio, facendo attenzione a ciò che
poteva trovare ogni volta che girava un angolo. Dopo un po’ la luce aumentò, e alla fine
notò una porta in fondo al corridoio che era stata lasciata aperta. La raggiunse in fretta, e
sbirciando all’interno vide una grande stanza con dei tavoli sparpagliati sul pavimento
girati sul fianco per fare da scudo. Dietro c’erano diverse persone rannicchiate.
Stavano sorvegliando una grande porta a due battenti dall’altra parte della stanza, e
nessuno si accorse di lui mentre si sistemava vicino all’entrata restando quasi del tutto
nascosto. Si sporse per vedere meglio. Individuò Vince e Gally dietro uno dei tavoli, ma
non riconobbe nessun altro. Sul lato sinistro in fondo alla stanza c’era un piccolo ufficio, e
contò almeno nove o dieci persone accalcate all’interno. Si sforzò, ma non riusciva a
distinguere i loro visi.
«Ehi!» sussurrò, azzardandosi ad alzare la voce il più possibile. «Ehi! Gally!»
Il ragazzo si voltò immediatamente, ma dovette guardarsi intorno per qualche secondo
prima di notare Thomas. Sbatté le palpebre, come se pensasse che gli occhi gli stessero
giocando un brutto scherzo.
Thomas agitò la mano per assicurarsi che lo avesse visto e lui gli fece segno di
raggiungerlo.
Si guardò in giro di nuovo per essere certo di non correre rischi, poi si accovacciò, corse
verso il tavolo e si sdraiò a terra accanto al suo vecchio nemico. Aveva così tante
domande da fare che non sapeva da dove cominciare.
«Cos’è successo?» gli chiese Gally. «Cosa ti hanno fatto?»
Vince gli lanciò un’occhiata ma non disse nulla.
Thomas non sapeva come rispondere. «Mi... hanno fatto dei test. Senti, ho scoperto
dove tengono gli immuni. Non potete far saltare in aria questo posto finché non li avremo
portati fuori.»
«Allora valli a prendere» disse Vince. «Questa è la nostra unica opportunità, e non ho
intenzione di sprecarla.»
«Sei stato tu a portare qui alcune di quelle persone!» Thomas guardò Gally in cerca di
sostegno, ma ricevette solo una scrollata di spalle in risposta.
Thomas poteva contare solo su sé stesso.
«Dove sono Brenda, Minho e tutti gli altri?» chiese.
Gally fece un cenno con la testa verso lo stanzino accanto. «I ragazzi sono tutti lì
dentro, hanno detto che non si sarebbero mossi finché non fossi tornato tu.»
Di colpo Thomas provò pena per il ragazzo sfregiato accanto a lui. «Vieni con me, Gally.
Lascia che queste persone facciano ciò che vogliono, ma vieni ad aiutarci. Non avresti
voluto che qualcuno facesse lo stesso per noi quando eravamo nel Labirinto?»
Vince si voltò verso di loro. «Non pensarci nemmeno» sbraitò. «Thomas, venendo qui
sapevi quali erano i nostri obiettivi. Se ci abbandoni adesso ti considererò un disertore.
Sarai un bersaglio.»
Thomas mantenne il suo sguardo su Gally. Vide una tristezza negli occhi del ragazzo che
gli spezzò il cuore. E anche qualcos’altro che non aveva mai visto prima: fiducia. Fiducia
pura.
«Vieni con noi» disse Thomas.
Un sorriso spuntò sul viso del suo vecchio nemico, che gli rispose in un modo che
Thomas non avrebbe mai immaginato.
«Okay.»
Thomas non aspettò la reazione di Vince. Prese il braccio di Gally e insieme si
allontanarono velocemente dal tavolo, poi corsero verso l’ufficio e si infilarono dentro.
Minho fu il primo ad andare da lui, tirandolo a sé per stringerlo in un forte abbraccio
mentre Gally osservava imbarazzato da una parte. Poi arrivarono gli altri. Brenda. Jorge.
Teresa. Persino Aris. Thomas era quasi frastornato dal veloce scambio di abbracci e
parole di sollievo, di bentornato. Era particolarmente contento di vedere Brenda, e la
strinse più a lungo degli altri. Ma per quanto fosse bello, sapeva che non c’era tempo per
quello.
Si staccò. «Non posso spiegarvi tutto adesso. Dobbiamo andare a cercare gli immuni
che ha rapito la C.A.T.T.I.V.O., poi trovare il Pass Verticale della porta secondaria di cui
sono venuto a conoscenza. E dobbiamo sbrigarci, il Braccio Destro sta per far saltare in
aria questo posto.»
«Dove sono gli immuni?» chiese Brenda.
«Già, cos’hai scoperto?» aggiunse Minho.
Thomas non avrebbe mai pensato di dire ciò che stava per dire. «Dobbiamo tornare nel
Labirinto.»
67
Thomas mostrò agli altri la lettera che aveva trovato accanto a sé dopo essersi
risvegliato dall’anestesia, e bastarono pochi istanti perché tutti − persino Teresa e Gally
− fossero d’accordo nell’abbandonare il Braccio Destro e proseguire da soli. Proseguire
verso il Labirinto.
Brenda guardò la mappa di Thomas e disse che sapeva esattamente come arrivarci. Gli
diede un coltello e lui lo strinse forte nella mano destra, chiedendosi se la sua
sopravvivenza sarebbe dipesa da una lama sottile. Lasciarono lo stanzino laterale e si
avviarono verso la porta a due battenti mentre Vince e gli altri inveivano contro di loro, li
chiamavano pazzi, e dicevano che sarebbero stati uccisi nel giro di pochi minuti. Thomas
ignorò ogni singola parola.
La porta era socchiusa, e lui fu il primo a uscire. Si accovacciò, pronto allo scontro, ma il
corridoio era deserto. Gli altri si abbassarono di conseguenza, ma poi Thomas decise di
rinunciare a muoversi con cautela per fare in fretta, e con uno scatto si fiondò nel primo
lungo corridoio. La luce cupa dava a quel luogo un’aria spettrale, come se gli spiriti di
tutte le persone che la C.A.T.T.I.V.O. aveva lasciato morire stessero aspettando dietro gli
angoli e nelle nicchie. Ma Thomas aveva la sensazione che fossero dalla sua parte.
Con Brenda che indicava la via, svoltarono e scesero una rampa di scale. Presero una
scorciatoia attraverso un vecchio sgabuzzino che li portò in un altro lungo corridoio. Poi
altre scale. Destra e poi sinistra. Thomas non rallentò, restando sempre all’erta. Non fece
mai una sosta, non si fermò mai per riprendere fiato, non dubitò mai delle indicazioni di
Brenda. Era di nuovo un Velocista, e nonostante tutto, era una bella sensazione.
Arrivarono in fondo a un altro corridoio e girarono a destra. Thomas fece in tempo a
fare solo tre passi quando qualcuno, sbucato dal nulla, gli saltò addosso, afferrandolo per
le spalle e buttandolo a terra.
Cadde e ruzzolò, cercando di togliersi di dosso quella persona. Sentì delle grida e i versi
di altri che lottavano. Era buio e vedeva a malapena la sagoma di chi lo aveva attaccato,
ma si difese con pugni e calci, agitò il coltello, sentì che urtava e strappava qualcosa. Una
donna gridò. Ricevette un cazzotto sulla guancia destra, qualcosa di duro lo colpì alla
coscia.
Si fermò un momento, poi spinse con tutta la forza che aveva. Il suo aggressore andò a
sbattere contro il muro, poi gli saltò di nuovo addosso. Rotolarono, andarono addosso ad
altre due persone che lottavano. Dovette concentrarsi al massimo per non mollare la
presa sul coltello, e continuò ad agitarlo, ma i movimenti erano limitati essendo così vicini
l’uno all’altro. Lo colpì al mento con il pugno sinistro, poi sfruttò quell’attimo di tregua per
pugnalarlo allo stomaco. Un altro grido, di nuovo una donna, e di sicuro la persona che lo
stava attaccando. La spinse via una volta per tutte.
Si alzò e si guardò in giro per capire chi poteva aiutare. Nella luce scarsa, vide Minho
che lottava con un uomo, lo colpiva, e il tizio non reagiva. Brenda e Jorge si erano uniti
contro un’altra guardia, e proprio mentre Thomas guardava, l’uomo si rimise in piedi e
scappò. Teresa, Harriet e Aris erano appoggiati al muro per riprendere fiato. Erano
sopravvissuti tutti. Dovevano muoversi in fretta.
«Forza!» gridò. «Minho, lascialo!»
Il suo amico sferrò un altro paio di pugni per non correre rischi, poi si alzò, dando a quel
tizio un ultimo calcio. «Ho finito. Possiamo andare.»
E il gruppo ricominciò a correre.
Scesero un’altra lunga rampa di scale e si ritrovarono, uno dopo l’altro, nella stanza lì
sotto. Quando Thomas capì dove si trovava, rimase pietrificato. Era la stanza che
ospitava le capsule dei Dolenti, la stanza in cui erano arrivati dopo essere fuggiti dal
Labirinto. Le finestre dell’osservatorio erano ancora rotte, frammenti di vetro erano sparsi
su tutto il pavimento. Le lunghe capsule, circa una quarantina, in cui i Dolenti si
riposavano e si ricaricavano, sembravano essere state sigillate dopo che i Radurai se
n’erano andati settimane prima. La superficie bianca, che brillava l’ultima volta che
Thomas l’aveva vista, adesso era coperta da uno strato di polvere.
Sapeva che da membro della C.A.T.T.I.V.O. aveva passato infinite ore e giorni in quel
luogo mentre lavoravano alla creazione del Labirinto, e provò per l’ennesima volta un
profondo imbarazzo.
Brenda indicò una scala a pioli che portava nella direzione in cui dovevano andare.
Thomas rabbrividì ricordando la discesa nel viscido scivolo dei Dolenti durante la loro
fuga. Sarebbero potuti semplicemente scendere da una scala a pioli.
«Perché non c’è nessuno?» chiese Minho. Fece un giro su sé stesso, osservando quel
posto. «Se tengono delle persone lì dentro, perché non ci sono guardie?»
Thomas ci pensò su. «Perché usare dei soldati per tenerle lì dentro se c’è un Labirinto a
farlo per te? Noi ci abbiamo messo molto tempo per capire come uscire.»
«Non lo so» disse Minho. «C’è qualcosa che mi puzza.»
Thomas scrollò le spalle. «Be’, starcene qui seduti non ci aiuterà. A meno che tu non
abbia qualcosa di utile, andiamo lì sopra e cominciamo a farle uscire.»
«Utile?» ripeté Minho. «Io non ho niente.»
«Allora andiamo.»
Thomas si arrampicò su per la scala e si ritrovò in un’altra stanza familiare, quella del
computer in cui aveva inserito le parole del codice per spegnere i Dolenti. C’era anche
Chuck in quell’occasione, ed era stato coraggioso anche se era terrorizzato. Nemmeno
un’ora più tardi era morto. Il dolore per l’amico perso gli provocò ancora una volta una
fitta al petto.
«Casa, dolce casa» mormorò Minho. Stava indicando un buco rotondo sopra di loro. Era
il buco sotto la Scarpata. Quando il Labirinto era in completa attività, avevano usato
l’olotecnologia per nasconderlo, per farlo apparire come una parte del cielo finto e infinito
oltre la parete rocciosa del dirupo. Adesso era tutto spento, ovviamente, e attraverso
l’apertura Thomas riusciva a vedere i muri del Labirinto. Una scala a libretto era stata
piazzata direttamente lì sotto.
«Non riesco a credere che siamo di nuovo qui» disse Teresa, spostandosi per mettersi
accanto a Thomas. La sua voce sembrava spettrale, e riecheggiava ciò che provava lui.
Per qualche ragione, con quella semplice affermazione, Thomas si rese conto che
essendo entrambi lì, loro due erano finalmente dalla stessa parte. A cercare di salvare
vite, a cercare di rimediare per ciò che avevano fatto contribuendo a dare inizio a tutto
quello. Voleva crederci con tutto sé stesso.
Si voltò verso di lei. «È pazzesco, eh?»
Lei sorrise per la prima volta da... non se lo ricordava. «Pazzesco.»
C’erano ancora moltissime cose che Thomas non ricordava − su di lui, su di lei − ma
Teresa era lì, ad aiutare, ed era tutto quello che lui poteva chiedere.
«Non pensi che faremmo meglio a salire?» domandò Brenda.
«Sì.» Thomas annuì. «È meglio.»
Andò per ultimo. Dopo che gli altri si arrampicarono, salì su per la scala, arrivò in cima,
poi camminò su due assi che erano state posizionate sullo spazio vuoto tra il pavimento
di pietra del Labirinto e il bordo della Scarpata. Sotto di lui c’era solo una zona di lavori
con le pareti nere che prima gli era sempre apparsa come un vuoto infinito. Alzò gli occhi
verso il Labirinto e dovette fermarsi un momento per guardarlo.
Dove il cielo una volta splendeva azzurro e limpido, adesso c’era solo un soffitto grigio.
L’olotecnologia usata sulla parete della Scarpata era stata completamente spenta, e la
vista un tempo vertiginosa era stata trasformata in semplice stucco nero. Ma vedere i
muri enormi coperti di edera che conducevano lontano dalla Scarpata gli tolse il fiato.
Quelli erano immensi anche senza l’aiuto dell’illusione ottica, e adesso si ergevano sopra
di lui come antichi monoliti, verdi e grigi e pieni di fratture. Come se fossero lì da migliaia
di anni, enormi lapidi che segnavano la morte di così tante persone.
Era tornato.
68
Fu Minho questa volta a guidare il gruppo, le spalle larghe mentre correva; da ogni
centimetro del suo corpo trasudava l’orgoglio per quei due anni in cui i corridoi del
Labirinto erano stati il suo regno. Thomas era subito dietro di lui, con il collo allungato
per osservare i muri di edera che si ergevano maestosi verso il soffitto grigio. Dopo tutto
quello che avevano passato dal giorno della loro fuga, era strano essere di nuovo lì.
Mentre correvano verso la Radura, nessuno disse granché. Thomas si chiese cosa
pensassero Brenda e Jorge del Labirinto. Sapeva che doveva sembrare enorme. Una
scacertola non avrebbe mai potuto trasferire il senso di una tale grandezza a chi
guardava dagli osservatori. E Thomas poteva solo immaginare tutti i brutti ricordi che
stavano riaffiorando prepotentemente nella mente di Gally.
Svoltarono l’ultimo angolo che conduceva all’ampio corridoio fuori dalla Porta Orientale
della Radura. Quando Thomas arrivò alla sezione di muro in cui aveva legato Alby
all’edera, guardò quel punto e scorse il groviglio di tralicci strappati. Tutta quella fatica
per salvare l’ex capo dei Radurai, solo per vederlo morire pochi giorni dopo, senza che si
fosse ripreso mai del tutto dalla Mutazione.
Sentì l’ira montare nelle vene come un liquido incandescente.
Raggiunsero l’enorme apertura tra i muri che formava la Porta Orientale, e Thomas
rallentò per riprendere fiato. C’erano centinaia di persone che vagavano per la Radura.
Provò orrore nel vedere che c’erano persino dei neonati e dei bambini in mezzo a quella
folla. Ci volle un attimo perché la voce girasse tra la marea di immuni, ma nel giro di
pochi secondi ogni singolo sguardo si era posato sui nuovi arrivati e un silenzio di tomba
cadde sulla Radura.
«Sapevi che erano così tanti?» chiese Minho a Thomas.
C’erano persone ovunque, sicuramente più di quanti non fossero mai stati i Radurai. Ma
a rapire l’attenzione di Thomas fu la Radura stessa. L’edificio sbilenco che chiamavano il
Casolare; il patetico bosco; il granaio del Macello; i campi, ormai ridotti a erbacce secche.
La Stanza delle Mappe bruciata, la porta di metallo annerita e ancora semiaperta. Dal
punto in cui era, riusciva persino a vedere la Gattabuia. Fu quasi travolto dall’emozione.
«Ehi, sognatore» disse Minho, schioccando le dita. «Ti ho fatto una domanda.»
«Eh? Ah... Ce ne sono così tanti. Fanno sembrare questo posto più piccolo di quanto non
sembrasse quando noi eravamo qui.»
Non ci volle molto prima che i loro amici li vedessero. Frypan, Clint, i Medicali. Sonya e
altre ragazze del Gruppo B. Arrivarono tutti correndo, e per un breve momento si
scambiarono saluti e abbracci.
Frypan diede una manata a Thomas sul braccio. «Ti rendi conto che mi hanno rimesso
in questo posto? Non mi lasciavano nemmeno cucinare, ci mandavano solo un mucchio di
cibo confezionato nella Scatola tre volte al giorno. La cucina non funziona neanche,
niente elettricità, niente di niente.»
Thomas rise, allentando la rabbia. «E pensare che eri un cuoco da strapazzo quando
dovevi sfamare cinquanta ragazzi. Prova a cucinare per questo esercito.»
«Sei un tipo divertente, Thomas. Sei un tipo divertente. Sono contento di vederti.» Poi
spalancò gli occhi. «Gally? C’è Gally? Gally è vivo?»
«Anch’io sono contento di vederti» rispose il ragazzo con tono serio.
Thomas diede una pacca sulla spalla a Frypan. «È una storia lunga. Adesso è un bravo
ragazzo.»
Gally fece una risata sarcastica ma non rispose.
Minho si avvicinò a loro. «D’accordo, i festeggiamenti sono finiti. Amico mio, come
accidenti procediamo?»
«Non dovrebbe essere troppo complicato» rispose Thomas. In realtà odiava l’idea di
cercare di far transitare tutta quella gente non solo attraverso il Labirinto, ma anche per
tutto il complesso della C.A.T.T.I.V.O. fino al Pass Verticale. Ma andava fatto.
«Non mi raccontare sploff» disse Minho. «I tuoi occhi non mentono.»
Thomas sorrise. «Be’, di certo abbiamo molte persone a combattere con noi.»
«Hai guardato quei poveracci?» chiese Minho, con tono disgustato. «La metà di loro è
più giovane di noi, e l’altra metà sembra non aver mai fatto a braccio di ferro, figurati a
cazzotti.»
«A volte quello che conta sono i numeri» replicò.
Vide Teresa e la chiamò, poi scorse Brenda.
«Qual è il piano?» chiese Teresa.
Se era davvero dalla loro parte, era in questo momento che Thomas aveva bisogno di
lei. E di tutti i ricordi che aveva recuperato.
«Bene, dividiamoli in gruppi» disse a tutti. «Ci saranno quattrocento, cinquecento
persone, perciò... gruppi da cinquanta. Poi mettiamo uno dei Radurai o del Gruppo B
come responsabile. Teresa, sai come arrivare a questo sgabuzzino?»
Le mostrò la mappa, e dopo averla esaminata, la ragazza annuì.
Thomas proseguì. «Io aiuterò a far muovere la gente mentre tu e Brenda fate strada.
Tutti gli altri guideranno un gruppo. Tranne Minho, Jorge e Gally. Credo che voi ragazzi
dovreste restare dietro in copertura.»
«A me va bene» disse Minho, scrollando le spalle. Per quanto assurdo, sembrava
annoiato.
«Qualunque cosa tu dica, muchacho» aggiunse Jorge. Gally annuì e basta.
Trascorsero i successivi venti minuti a dividere tutti a gruppi e a disporli in lunghe file.
Prestarono particolare attenzione a distribuire equamente la gente per età e forza. Gli
immuni non ebbero nessun problema a seguire gli ordini una volta compreso che i nuovi
arrivati erano venuti a salvarli.
Dopo aver organizzato i gruppi, Thomas e i suoi amici si misero in riga davanti alla
Porta Orientale. Thomas agitò le mani per ottenere l’attenzione di tutti.
«Ascoltate!» cominciò. «La C.A.T.T.I.V.O. ha intenzione di usarvi a scopi scientifici. I
vostri corpi, il vostro cervello. Stanno studiando la gente da anni, raccogliendo dati per
mettere a punto una cura per l’Eruzione. Adesso vogliono usare anche voi, ma voi
meritate più di una vita da cavie di laboratorio. Voi siete − noi tutti siamo − il futuro, e il
futuro non sarà come vuole la C.A.T.T.I.V.O. È per questo che noi siamo qui. Per portarvi
via da questo posto. Attraverseremo una serie di edifici per raggiungere un Pass Verticale
che ci porterà in un luogo sicuro. Se verremo attaccati, dovremo combattere. Restate con
il vostro gruppo, i più forti dovranno fare di tutto per proteggere i...»
Le ultime parole di Thomas vennero interrotte da un rumore violento, simile a quello
della pietra che si spacca. E poi, il nulla. Solo un’eco che rimbalzò tra i muri enormi.
«E quello cos’è stato?» gridò Minho, osservando il cielo in cerca della causa.
Thomas scrutò la Radura, i muri del Labirinto che si ergevano alle sue spalle, ma non
c’era niente fuori posto. Stava per ricominciare a parlare quando ci fu un altro forte
rumore, poi un altro ancora. Un rimbombo cupo attraversò la Radura, prima leggero poi
sempre più intenso. La terra cominciò a tremare, e sembrava che il mondo stesse per
crollare.
La gente si guardò intorno, cercando di capire da dove arrivasse quel rumore, e Thomas
si accorse che si stava diffondendo il panico. Presto non gli avrebbero più dato ascolto. La
terra tremò con maggiore violenza; i rumori − di tuoni e della roccia che si sgretolava −
si amplificarono, e dalla massa di gente davanti a lui cominciarono a levarsi delle grida.
Di colpo Thomas capì. «L’esplosivo.»
«Cosa?» gridò Minho.
Guardò l’amico. «Il Braccio Destro!»
Un ruggito assordante scosse la Radura, e Thomas si voltò per guardare verso l’alto.
Una grossa porzione del muro a sinistra della Porta Orientale si era staccato, e grandi
pezzi di pietra stavano volando ovunque. Un’enorme sezione sembrava sospesa a
un’angolazione assurda, e poi cadde, rotolando verso il basso.
Prima che Thomas avesse il tempo di avvertire del pericolo, il gigantesco pezzo di roccia
atterrò su un gruppo di persone schiacciandole, per poi spezzarsi in due. Thomas rimase
fermo per un momento, senza parole, mentre il sangue colava fuori dai bordi e ricopriva il
pavimento di pietra.
69
I feriti gridarono. Rombi di tuono e il rumore della roccia che si spaccava si unirono per
creare un coro orribile mentre il terreno sotto Thomas continuava a tremare. Il Labirinto
stava cadendo a pezzi intorno a loro; dovevano uscire di lì.
«Corri!» gridò a Sonya.
La ragazza non esitò. Si voltò e scomparve nei corridoi del Labirinto. Non ci fu bisogno
di dire alla gente che era in fila dietro di lei di seguirla.
Thomas inciampò, recuperò l’equilibrio e corse da Minho. «Andate in fondo! Io, Teresa e
Brenda dobbiamo andare in testa al gruppo!»
Minho annuì e gli diede una spinta per farlo muovere. Thomas si voltò appena in tempo
per vedere il Casolare spaccarsi al centro come una ghianda divisa a metà, e una parte
della struttura sbilenca crollare al suolo creando una nuvola di schegge di legno e
polvere. Il suo sguardo si spostò sulla Stanza delle Mappe, i muri di cemento si stavano
già sgretolando.
Non c’era tempo da perdere. Cercò Teresa in mezzo al caos. Prese la sua vecchia amica
e lei lo seguì verso il varco per il Labirinto. Brenda era lì, faceva del suo meglio insieme a
Jorge per facilitare il passaggio ed evitare che si infilassero tutti insieme in un fuggi fuggi
generale che di sicuro avrebbe ucciso la metà della gente.
Dall’alto arrivò il rumore di un’altra spaccatura; Thomas alzò lo sguardo e vide una
sezione di muro che cadeva vicino ai campi. Quando toccò terra esplose, ma per fortuna
sotto non c’era nessuno. Di colpo Thomas si rese conto che prima o poi il tetto stesso
sarebbe crollato e quel pensiero orrendo lo fece trasalire.
«Andate!» gli gridò Brenda. «Vi vengo dietro!»
Teresa lo prese per un braccio tirandolo in avanti, e i tre superarono il lato sinistro
frantumato della Porta che introduceva nel Labirinto, muovendosi a zig-zag tra la folla
che si dirigeva nella stessa direzione. Thomas dovette fare uno scatto per raggiungere
Sonya. Non aveva idea se fosse stata una Velocista nel Labirinto del Gruppo B o se ne
ricordasse bene quanto lui la struttura, e nemmeno se fosse uguale.
Il pavimento continuava a tremare, e veniva scosso a ogni esplosione, per quanto
distante. La gente inciampava a destra e a sinistra, cadeva, si rialzava, continuava a
correre. Thomas schivava, si abbassava, senza mai fermarsi; a un certo puntò saltò per
evitare un uomo a terra. Le rocce rotolavano giù dai muri. Ne vide una colpire un uomo in
testa, facendolo accasciare a terra. La gente si piegò sul suo corpo senza vita, cercò di
trascinarlo, ma c’era così tanto sangue che Thomas capì che era troppo tardi.
Raggiunse Sonya e la superò, guidando tutti una svolta dopo l’altra.
Sapeva che si stavano avvicinando. Poteva solo sperare che il Labirinto fosse il primo
posto colpito e che il resto del complesso fosse ancora intatto, che avessero ancora
tempo. Se solo fossero riusciti a uscire. La terra sotto di lui per un attimo si sollevò e un
rumore assordante bucò l’aria. Thomas cadde di faccia e si rialzò in fretta. A una trentina
di metri davanti a lui, una sezione del pavimento in pietra si era inclinata verso l’alto.
Mentre guardava, la metà esplose, mandando una pioggia di rocce e terra in ogni
direzione.
Non si fermò. C’era poco spazio tra il suolo sporgente e il muro, e Thomas ci passò in
mezzo; Teresa e Brenda erano dietro di lui. Sapeva che quella strettoia avrebbe fatto
perdere del tempo.
«Presto!» gridò da sopra la spalla. Rallentò per guardare dietro di sé e vide la
disperazione negli occhi di tutti.
Sonya superò il passaggio stretto, poi si fermò per aiutare gli altri, afferrando mani,
tirando e spingendo. Le persone lo superavano più rapidamente di quanto Thomas
potesse sperare, e lui riprese a correre verso la Scarpata a tutta velocità.
Si muoveva nel Labirinto mentre il mondo tremava, le pietre si sgretolavano e cadevano
intorno a loro, la gente gridava e piangeva. Non poteva far altro che mostrare la via ai
sopravvissuti. Sinistra e poi destra. Ancora a destra. Poi arrivarono nel lungo corridoio che
terminava con la Scarpata. Oltre il bordo, vide la fine del soffitto grigio e le pareti nere, il
buco rotondo dell’uscita, e una grossa crepa che si apriva verso l’alto dove una volta c’era
il finto cielo.
Si voltò verso Sonya e gli altri. «Presto! Sbrigatevi!»
Mentre si avvicinavano, Thomas vide il terrore ovunque. Volti pallidi e deformati dalla
paura, gente che cadeva a terra e si rialzava. Un ragazzino, che non poteva avere più di
dieci anni, stava praticamente trascinando una donna finché lei non riuscì a tirarsi su. Un
macigno grande quanto una piccola automobile rotolò dall’alto del muro e colpì un
anziano, scagliandolo a diversi metri di distanza. L’uomo cadde a terra e non si rialzò.
Thomas rimase scioccato ma continuò a correre, senza mai smettere di incoraggiare
chiunque avesse intorno.
Alla fine raggiunse la Scarpata. Le due assi di legno erano salde al loro posto, e Sonya
fece segno a Teresa di superare il ponticello di fortuna e scendere giù nella vecchia Tana
dei Dolenti. Poi Brenda lo attraversò seguita da una fila di persone.
Thomas aspettò sul bordo della Scarpata, agitando le mani per richiamare gli altri. Era
un lavoro angosciante, quasi insopportabile, guardare la gente che usciva dal Labirinto
così lentamente quando sembrava che tutto fosse sul punto di crollare da un momento
all’altro. Uno alla volta corsero sulle assi e si buttarono nel buco. Thomas si chiese se
Teresa li stesse mandando giù per lo scivolo invece che per la scala a pioli per fare più in
fretta.
«Vai!» gli gridò Sonya. «Devono sapere cosa fare una volta arrivati lì sotto.»
Thomas annuì, anche se si sentiva malissimo ad abbandonarli − aveva fatto la stessa
cosa la prima volta che era fuggito, aveva lasciato i Radurai a lottare mentre lui inseriva il
codice. Ma sapeva che Sonya aveva ragione. Diede un ultimo sguardo al Labirinto scosso
dalle esplosioni: pezzi di soffitto che si staccavano e pietre che sporgevano da terra dove
un tempo il pavimento era piano. Non sapeva come sarebbero potuti sopravvivere tutti, e
il suo cuore si riempì di paura per Minho, Frypan e gli altri.
Si infilò nel fiume di persone e attraversò le assi verso il buco, poi si staccò dalla folla
che passava dallo scivolo e si fiondò giù per la scala. Appoggiò i piedi sui pioli il più
velocemente possibile, e arrivato in fondo, fu sollevato nel vedere che quella parte non
era ancora danneggiata. Teresa era lì ad aiutare la gente a rialzarsi dopo essere atterrata
e a dare istruzioni sulla direzione da prendere.
«Ci penso io!» le gridò. «Vai in testa al gruppo!» Indicò la porta a due battenti.
Lei stava per rispondergli quando vide qualcosa dietro di lui. I suoi occhi si spalancarono
per la paura, e Thomas si voltò.
Numerosi coperchi delle capsule impolverate dei Dolenti si stavano sollevando,
ruotando sui cardini come bare che si aprivano.
70
«Ascoltami!» gridò Teresa. Lo afferrò per le spalle e lo girò perché la guardasse in
faccia. «Nella parte inferiore dei Dolenti,» indicò la capsula più vicina «quella che i
Creatori hanno chiamato il fusto, dentro la massa unta, c’è un interruttore, simile a una
maniglia. Devi attraversare la pelle e tirarla via. Se ci riesci, quegli affari moriranno.»
Thomas annuì. «D’accordo. Voi proseguite!»
Le capsule stavano continuando ad aprirsi e Thomas fece uno scatto verso quella più
vicina. Quando la raggiunse, il coperchio era arrivato a metà, e lui si fece forza per
guardare all’interno. L’enorme corpo informe del Dolente vibrava e si contorceva,
risucchiando una sostanza umida e del carburante da dei tubi collegati ai fianchi.
Thomas corse all’altra estremità e si arrampicò sul coperchio del contenitore, poi
allungandosi si piegò verso il Dolente. Infilò la mano nella pelle viscida per cercare quello
che Teresa aveva descritto. Grugnì per lo sforzo, spingendo finché non trovò una maniglia
dura, poi tirò più forte che poté. L’intero arnese si staccò e il Dolente ricadde in una
massa molliccia di gelatina sul fondo della capsula.
Buttò la maniglia sul pavimento e corse verso la capsula successiva, dove il coperchio
stava per toccare terra. Gli ci vollero pochi secondi per salire sul bordo, affondare la mano
nel grasso e tirare via la maniglia.
Mentre correva verso la capsula successiva, Thomas azzardò un’occhiata veloce verso
Teresa. La ragazza stava aiutando la gente a rialzarsi dopo la discesa lungo lo scivolo, e
la indirizzava verso le porte. Arrivavano in fretta, atterrando uno sopra l’altro. Sonya, poi
Frypan, e Gally. Minho scese a tutta velocità proprio mentre guardava. Thomas raggiunse
la capsula, il coperchio completamente aperto, i tubi che collegavano il Dolente al
contenitore che si stavano staccando uno a uno. Si tirò su, spinse la mano nella pelle di
quell’affare e strappò la maniglia.
Scese a terra e si voltò verso la quarta capsula, ma il Dolente si stava muovendo, la
parte superiore sollevata oltre il bordo, le appendici che spuntavano dalla pelle per
aiutarlo a cambiare posizione. Thomas arrivò appena in tempo, con un salto si lanciò sul
fianco della capsula. Spinse la mano nella pelle unta, afferrò la maniglia. Un paio di
cesoie si scagliarono verso la sua testa; Thomas si abbassò per schivarle mentre tirava il
pezzo di metallo. La creatura si spense, la massa trascinò con sé la maniglia dentro il
contenitore simile a una bara.
Thomas sapeva che era troppo tardi per fermare l’ultimo Dolente prima che uscisse
dalla capsula. Si voltò per valutare la situazione e si fermò a guardare quel corpo
rovesciarsi sul pavimento. La creatura stava già esaminando l’area con una piccola orbita
che si estendeva dalla fronte; poi, come Thomas aveva visto tante volte, quella cosa si
chiuse su sé stessa come una palla, e mentre degli spuntoni fuoriuscivano dalla pelle, si
mise a rotolare in avanti, accompagnata dal ronzio dei meccanismi dentro lo stomaco. Il
cemento si staccò saltando verso l’alto, strappato dagli spuntoni del Dolente, e Thomas lo
osservò atterrare su un piccolo gruppo arrivato dallo scivolo, senza poter fare niente.
Tranciò di netto diverse persone con le lame protese ancora prima che si accorgessero di
quello che stava succedendo.
Thomas si guardò in giro, cercando qualcosa da usare come arma. Un pezzo di tubo
lungo quanto il suo braccio si era staccato dal soffitto; corse a raccoglierlo. Quando si
voltò, vide che Minho aveva già raggiunto il Dolente. Lo stava prendendo a calci con una
ferocia che era quasi spaventosa.
Thomas si scagliò sul mostro, gridando agli altri di farsi da parte. La creatura si girò
verso di lui come se avesse sentito il comando, e si impennò appoggiandosi sulla parte
inferiore bulbosa. Dai lati spuntarono due appendici e Thomas si arrestò bruscamente; un
nuovo braccio metallico vibrava con una sega rotante, l’altro con un artiglio inquietante,
che si ramificava terminando con quattro lame.
«Minho, lascia che lo distragga!» gridò. «Fai uscire tutti e di’ a Brenda di cominciare a
portarli nello sgabuzzino!»
Mentre parlava, osservò un uomo cercare di strisciare per togliersi dalla traiettoria del
Dolente. Prima che riuscisse ad allontanarsi di un paio di metri, la creatura lo infilzò al
petto, e quello crollò a terra, sputando sangue.
Thomas si mise a correre, sollevando il tubo, pronto a usarlo per superare le appendici
e trovare la maniglia. Ce l’aveva quasi fatta, quando di colpo Teresa spuntò alla sua
destra. La ragazza si lanciò sul Dolente, che si trasformò immediatamente in una palla,
facendo rientrare tutti i bracci metallici per tirarla a sé e spingerla contro la propria pelle.
«Teresa!» gridò Thomas. Si fermò non sapendo cosa fare.
Lei si voltò per guardarlo. «Vai! Portali fuori!» Iniziò a scalciare e graffiare, le mani che
scomparivano nella carne unta. Fino a quel momento sembrava non aver subito nessuna
ferita grave.
Thomas si avvicinò di qualche passo, stringendo il tubo tra le mani, cercando il
momento per attaccare senza colpire lei per sbaglio.
Gli occhi di Teresa incrociarono di nuovo il suo sguardo. «Togliti di...»
Ma le sue parole vennero soffocate. Il Dolente aveva risucchiato il suo viso nella pelle
grassa e la stava trascinando sempre più dentro, soffocandola.
Thomas fissò la scena, pietrificato. Erano morte troppe persone. Troppe. E non sarebbe
rimasto a guardare mentre Teresa si sacrificava per salvare lui e gli altri. Non poteva
permettere che accadesse.
Gridò, e con tutta la forza che aveva, corse e si sollevò da terra, gettandosi sul Dolente.
Con uno scatto la sega rotante si spostò verso il suo petto e Thomas si buttò a sinistra
per schivarla, agitando il tubo mentre lo faceva. Riuscì a colpirlo, forte, e vide la sega
staccarsi e volare via. Sentì che atterrava producendo uno sferragliamento che si diffuse
per tutta la stanza. Si posizionò per colpire di nuovo, poi spinse il tubo nel corpo del
Dolente, proprio accanto alla testa di Teresa. Ricorrendo a tutta la forza che aveva, lo tirò
fuori e lo infilzò ancora e ancora.
Un’appendice con un artiglio lo cinse e lo sollevò in aria, per poi scagliarlo sul cemento
duro del pavimento. Thomas rotolò e con un salto si rimise in piedi. Teresa era riuscita a
trovare un appiglio sul corpo della creatura, si era messa in ginocchio e stava colpendo i
bracci di metallo. Thomas prese la rincorsa e saltò di nuovo avvinghiandosi alla carne
viscida, mentre con il tubo colpiva qualunque cosa gli si avvicinasse. Teresa lottava sotto
di lui; ma quando la creatura sbandò di lato e girò su sé stessa, fu scagliata in aria a tre
metri da terra prima di precipitare al suolo.
Thomas afferrò un braccio metallico, allontanando con un calcio le tenaglie che stavano
per cingerlo di nuovo. Piantò il piede sulla carne viscida, si spinse giù sul fianco del
Dolente e si allungò. Infilò il braccio nella pelle molliccia, tastando per trovare la
maniglia. Qualcosa di tagliente lo colpì alla schiena, provocandogli una scarica di dolore
per tutto il corpo. Continuò a scavare, e più affondava nella carne, più gli sembrava di
toccare una melma spessa.
Finalmente, con la punta delle dita, sfiorò una plastica dura, spinse la mano più giù di
un paio di centimetri, afferrò la maniglia e tirò con tutta la forza che aveva, poi si staccò
dal corpo del Dolente. Alzò lo sguardo e vide Teresa che cercava di respingere un paio di
lame a una spanna dal viso. E poi un silenzio improvviso calò sulla stanza, mentre il cuore
meccanico della creatura scoppiettava e si spegneva. Il Dolente si ripiegò su sé stesso,
trasformandosi in un mucchio piatto e oblungo di grasso e ingranaggi, con le appendici
sporgenti che cadevano a terra.
Thomas appoggiò la testa sul pavimento e fece dei respiri profondi. Poi Teresa corse
accanto a lui, per aiutarlo a girarsi a pancia insù. Vide il dolore sul viso di lei, i graffi, la
pelle arrossata, sudata.
Ma in qualche modo trovò la forza di sorridergli.
«Grazie, Tom» disse.
«Prego.» La tregua dopo la battaglia sembrava troppo bella per essere vera.
Teresa lo aiutò a tirarsi su. «Andiamo via di qui.»
Si accorse che non arrivava più nessuno dallo scivolo. Minho aveva appena fatto uscire
le ultime persone dalla porta, poi si voltò verso loro due.
Si piegò in avanti, appoggiando le mani sulle ginocchia per riprendere fiato. «Sono tutti
fuori.» Si tirò su a fatica. «Tutti quelli che ce l’hanno fatta, se non altro. Adesso capisco
perché ci hanno lasciato entrare con tanta facilità. Avevano in mente di farci a pezzetti
con quei caspio di Dolenti se fossimo usciti di nuovo. Comunque, voi dovete correre in
testa al gruppo e aiutare Brenda a guidare la gente.»
«Allora lei sta bene?» chiese Thomas. Il sollievo che provò fu travolgente.
«Sì. È già là sopra.»
Thomas si rimise in piedi, ma non fece in tempo a fare nemmeno due passi. Un
profondo boato arrivò da qualche parte, da ogni parte. La stanza tremò per qualche
secondo, poi si fermò.
«Ci conviene sbrigarci» disse, e con uno scatto si mise a correre per raggiungere gli
altri.
71
Almeno duecento persone erano uscite vive dal Labirinto, ma per qualche ragione
avevano smesso di muoversi. Thomas si infilò nel corridoio affollato per cercare di
arrivare davanti.
Procedette a zig-zag tra uomini, donne e bambini finché finalmente non vide Brenda. La
ragazza si fece strada verso di lui, lo strinse in un abbraccio e gli diede un bacio sulla
guancia. Thomas avrebbe voluto con tutto il cuore che fosse finita lì, che fossero al sicuro,
che non dovessero proseguire.
«Minho mi ha mandato via» disse. «Mi ha obbligato ad andarmene, mi ha promesso che
ti avrebbe aiutato se ne avessi avuto bisogno. Mi ha detto che far uscire la gente era
troppo importante e che voi ve la sareste cavata con il Dolente. Sarei dovuta restare. Mi
dispiace.»
«Gliel’ho chiesto io» rispose Thomas. «Hai fatto la cosa giusta. L’unica cosa giusta.
Presto ce ne andremo di qui.»
Brenda gli diede una piccola spinta. «Allora sbrighiamoci e facciamo in modo che
accada.»
«D’accordo.» Gli strinse la mano e si unirono a Teresa, tornando in testa al gruppo.
Il corridoio era ancora più buio di prima, le poche luci funzionanti erano fioche e
andavano a intermittenza. La gente che superavano era accalcata in silenzio, aspettava
con ansia. Thomas vide Frypan. Il cuoco non disse nulla ma si sforzò di fargli un sorriso
d’incoraggiamento, come al solito più simile a un ghigno. In lontananza si sentì un altro
scoppio rimbombare nell’aria e l’edificio tremò. Le esplosioni sembravano ancora
abbastanza distanti, ma Thomas sapeva che non sarebbe durata.
Quando lui e Brenda raggiunsero la prima fila, scoprirono che il gruppo si era fermato
davanti a delle scale, non sapendo se andare su o giù.
«Dobbiamo andare su» disse Brenda.
Thomas non esitò. Fece segno alla gente di seguirlo e cominciò a salire, con Brenda al
suo fianco.
Si rifiutò di cedere alla fatica. Quattro rampe, cinque, sei. Si fermò sul pianerottolo,
ansimando, e guardando giù, vide che gli altri stavano arrivando. Brenda lo guidò
attraverso un’entrata che portava verso un altro lungo corridoio, sinistra poi destra, su
per un’altra rampa di scale. Un altro atrio e poi giù per altre scale. Un piede davanti
all’altro. Thomas sperava solo che la cancelliera avesse detto la verità riguardo al Pass
Verticale.
Ci fu un’esplosione da qualche parte sopra di lui che scosse l’intero edificio, e Thomas fu
sbalzato a terra. Si sollevò della polvere, e dei pezzetti di piastrelle caddero dal soffitto
finendogli sulla schiena. L’aria si riempì di rumori di cose che cigolavano e si rompevano.
Alla fine, dopo aver tremato per diversi secondi, tutto si fermò e ripiombò il silenzio.
Thomas allungò un braccio verso Brenda, per assicurarsi che non fosse ferita.
«State tutti bene?» gridò dietro di sé.
«Sì!» rispose qualcuno.
«Continuiamo a muoverci! Ci siamo quasi!» Aiutò Brenda a rialzarsi e ripresero a
camminare. Pregava che la struttura resistesse ancora per un altro po’.
Thomas, Brenda, e la gente dietro di loro giunsero finalmente alla sezione dell’edificio
che la cancelliera aveva circondato sulla mappa: lo sgabuzzino. Erano esplose molte altre
bombe, ognuna più vicina della precedente. Ma niente di abbastanza forte da fermarli, e
adesso erano praticamente arrivati.
Lo sgabuzzino era situato dietro un’enorme magazzino. File ordinate di scaffali di
metallo pieni di scatole erano allineate lungo il muro di destra, e Thomas andò da quel
lato, poi cominciò a fare segno di entrare. Voleva che fossero tutti insieme prima di
attraversare il Pass Verticale. C’era solo una porta sul retro di quello spazio, doveva per
forza essere quella dello stanzino che stavano cercando.
«Continuate a farli entrare e preparateli» disse a Brenda; poi corse verso la porta. Se la
cancelliera Paige aveva mentito riguardo al Pass Verticale, o se qualcuno della
C.A.T.T.I.V.O. o del Braccio Destro avesse intuito quello che stavano per fare, sarebbero
stati spacciati.
Dalla porta si accedeva a uno stanzino pieno di tavoli coperti di attrezzi e rottami di
metallo e pezzi di macchinari. Sulla parete in fondo era appeso un grande telo. Thomas lo
raggiunse di corsa e lo strappò. Dietro trovò un muro grigio luccicante, incorniciato da un
rettangolo d’argento lucido, e, accanto, una centralina.
Era il Pass Verticale.
La cancelliera aveva detto la verità.
Quel pensiero lo fece ridere. La C.A.T.T.I.V.O. − il capo della C.A.T.T.I.V.O. − lo aveva
aiutato.
A meno che... Si rese conto che doveva scoprire un’ultima cosa. Doveva controllare
dove portava prima di far passare tutti. Thomas fece un profondo respiro. Era arrivato il
momento.
Si fece forza per superare la superficie ghiacciata del Pass Verticale. E quando uscì, si
ritrovò in un semplice casotto di legno con la porta spalancata. Oltre la soglia vide...
verde. Tanto, tanto verde. Erba, alberi, fiori, cespugli. Quel posto gli andava più che
bene.
Si girò e tornò nello sgabuzzino, euforico. Ce l’avevano fatta. Erano quasi salvi. Corse
fuori nel magazzino.
«Andiamo!» gridò. «Fate entrare tutti qui dentro. Funziona! Presto!»
Un’esplosione sbatacchiò i muri e gli scaffali di metallo. Polvere e detriti cominciarono a
piovere dal soffitto.
«Presto!» ripeté.
Teresa stava già facendo muovere la gente, indirizzandola verso di lui, che stava lì sulla
porta. Quando arrivò la prima persona, la prese per un braccio e la condusse verso il
muro grigio del Pass Verticale.
«Sai cos’è, vero?» le chiese.
La donna annuì, cercando di nascondere coraggiosamente la fretta che aveva di
attraversarlo e andarsene di lì. «Ci sono passata più di una volta, ragazzo.»
«Posso fidarmi di te e chiederti di restare qui a controllare che tutti lo attraversino?»
All’inizio sbiancò, ma poi fece sì con la testa.
«Non preoccuparti» la rassicurò Thomas. «Resta solo finché puoi.»
Non appena ricevette la conferma da parte della donna, tornò di corsa verso la porta.
Altra gente aveva riempito lo stanzino, e Thomas fece un passo indietro. «È proprio qui.
Fate spazio dall’altra parte!»
Si infilò tra la calca di persone e tornò nel magazzino. Si erano messi tutti in fila e
stavano entrando uno alla volta nello sgabuzzino. In fondo a tutta quella gente c’erano
Minho, Brenda, Jorge, Teresa, Aris, Frypan e qualche altro membro del Gruppo B. C’era
anche Gally. Thomas fece un cenno con la mano ai suoi amici.
«Sarà meglio che si sbrighino lì davanti» disse Minho. «Le esplosioni si stanno
avvicinando sempre di più.»
«Questo posto crollerà» aggiunse Gally.
Thomas osservò il soffitto come se si aspettasse che accadesse proprio in quel
momento. «Lo so. Gli ho detto di fare presto. Saremo fuori di qui in un...»
«Bene bene, cos’abbiamo qui?» gridò una voce dall’altra parte del magazzino.
Thomas sentì dei sussulti intorno a sé, mentre lui si voltava per vedere chi avesse
parlato. L’Uomo Ratto era appena entrato dalla porta che dava sul corridoio, e non era
solo. Era circondato dalle guardie di sicurezza della C.A.T.T.I.V.O. Thomas ne contò in
tutto sette, il che significava che lui e i suoi amici erano in maggioranza.
Janson si fermò e si mise le mani intorno alla bocca per gridare sopra il boato di un’altra
esplosione. «Strano posto per nascondersi quando tutto sta per crollare!» Pezzi di metallo
caddero dal soffitto, sferragliando sul pavimento.
«Tu lo sai cosa c’è qui!» gli rispose Thomas. «È troppo tardi... lo stiamo già
attraversando!»
Janson tirò fuori lo stesso lungo coltello che aveva prima e glielo fece vedere. E come se
fosse un segnale, gli altri mostrarono armi simili.
«Ma possiamo salvarne qualcuno» disse Janson. «E a quanto vedo, abbiamo i più forti e
più intelligenti proprio davanti a noi. Persino il nostro Candidato Finale, nientemeno!
Quello che ci serve di più, ma che si rifiuta di collaborare!»
Thomas e i suoi amici si erano messi in riga uno accanto all’altro tra i prigionieri,
sempre meno numerosi, e le guardie. Gli altri nel gruppo di Thomas stavano osservando il
pavimento in cerca di qualunque cosa potessero usare come arma: tubi, viti lunghe, il
bordo appuntito di una griglia metallica. Thomas notò un grosso pezzo di cavo ricurvo che
terminava con una serie di fili elettrici, dall’aspetto letale quanto una lancia. Lo afferrò,
proprio quando un’altra esplosione scosse la stanza, sbattendo una grossa parte della
scaffalatura di metallo sul pavimento.
«Non ho mai visto un mucchio di delinquenti tanto minaccioso!» gridò l’Uomo Ratto con
una faccia da pazzo, la bocca distorta in un ringhio selvaggio. «Devo ammettere di essere
terrorizzato!»
«Chiudi quella bocca del caspio e risolviamo questa cosa una volta per tutte!» gli gridò
Minho.
Janson concentrò il suo sguardo freddo, folle, sui ragazzi che aveva davanti.
«Volentieri» disse.
Thomas era ansioso di dare sfogo alla rabbia per tutta la paura e il dolore e la
sofferenza che avevano segnato la sua vita così a lungo. «Andiamo!» gridò.
I due gruppi caricarono, le grida di battaglia soffocate dall’improvvisa e violenta
esplosione che scosse l’intero edificio intorno a loro.
72
Thomas riuscì miracolosamente a rimanere in piedi, nonostante quella serie di
esplosioni, vicine come non mai, stesse facendo tremare tutto. La maggior parte degli
scaffali si rovesciò, e diversi oggetti volarono da una parte all’altra del magazzino. Schivò
un pezzo di legno appuntito, poi saltò per evitare l’ingranaggio rotondo di una macchina
che passò sotto di lui.
Gally, che gli era accanto, inciampò e cadde; lo aiutò a rialzarsi. Continuarono a
caricare. Brenda scivolò ma riuscì a restare in piedi.
Si scagliarono contro le guardie come la prima linea di soldati in un’antica battaglia.
Thomas si ritrovò davanti proprio l’Uomo Ratto, che era alto almeno quindici centimetri
più di lui; vide la lama che brandiva tra le mani scendere verso la sua spalla compiendo
un arco, ma si gettò in avanti con il cavo rigido e riuscì a colpire Janson all’ascella.
L’uomo urlò e lasciò cadere il coltello mentre il sangue sgorgava a fiotti, poi indietreggiò
usando l’altra mano per tenersi la ferita, e rivolse a Thomas uno sguardo pieno d’odio.
Alla sua destra e alla sua sinistra stavano lottando tutti. I rumori del metallo che
sbatteva sul metallo, le grida, le urla, i gemiti riempivano la testa di Thomas. Alcuni
combattevano in due contro uno; Minho se la stava vedendo con una donna che
sembrava forte il doppio di qualunque uomo del suo gruppo. Brenda era a terra,
impegnata in un corpo a corpo con un uomo esile, e cercava di togliergli il machete dalle
mani. Dopo aver lanciato una rapida occhiata in giro, Thomas tornò a concentrarsi sul suo
nemico.
«Non mi interessa se morirò dissanguato» disse Janson con una smorfia. «L’importante
è che prima ti riporti lì sopra.»
Un’altra esplosione scosse il pavimento sotto di loro e Thomas inciampò in avanti,
perdendo l’arma improvvisata e andando a sbattere contro il petto dell’Uomo Ratto.
Caddero entrambi a terra; Thomas cercò di toglierselo di dosso con una mano mentre con
l’altra provava a colpirlo. Riuscì a tirargli un pugno sulla guancia sinistra e ne osservò la
testa piegarsi di scatto di lato, con il sangue che gli schizzava dalla bocca. Thomas si
preparò a sferrare un altro attacco, ma Janson inarcò il corpo con violenza,
scaraventandolo via; atterrò di schiena.
Prima che potesse muoversi, l’uomo gli era saltato sopra e gli aveva circondato il busto
con le gambe, bloccandogli le braccia con le ginocchia. Thomas si contorse per liberarsi
mentre quello lo prendeva a pugni, colpendolo al viso più e più volte senza che potesse
proteggersi. Il dolore lo raggiunse ovunque. Poi sentì una scossa di adrenalina
attraversargli il corpo. Non sarebbe morto lì. Puntò i piedi a terra e spinse il ventre verso
l’alto.
Si sollevò solo di pochi centimetri da terra, ma fu sufficiente per liberare le braccia. Parò
il colpo successivo proteggendosi con gli avambracci, poi spinse entrambe le mani strette
a pugno verso il viso di Janson sopra di lui. L’uomo perse l’equilibrio e Thomas ne
approfittò per toglierselo di dosso, poi si portò le gambe al petto e scalciò colpendolo al
fianco, ancora e ancora. Ogni volta il corpo dell’Uomo Ratto si spostava di qualche
centimetro. Ma quando Thomas stava per sferrare l’attacco successivo, Janson si girò di
scatto e gli afferrò i piedi spingendoli di lato. Poi gli saltò di nuovo sopra.
Thomas impazzì; cominciò a tirare calci, pugni, e a contorcersi per liberarsi di lui.
Rotolarono uno sopra l’altro, e quando per una frazione di secondo sembrava che uno dei
due stesse avendo la meglio, l’altro riusciva a invertire la posizione. Cazzotti, calci;
scariche di dolore trafiggevano il corpo di Thomas. Janson graffiava e mordeva.
Continuarono a rotolare, colpendosi a vicenda fin quasi a svenire.
Finalmente Thomas trovò il giusto angolo per tirargli una gomitata sul naso; l’uomo fu
colto di sorpresa e si portò le mani sul viso. Un’energia improvvisa esplose dentro il
ragazzo; saltò su Janson e gli mise le mani intorno al collo, cominciando a stringere.
L’Uomo Ratto scalciò, agitò le braccia, ma Thomas continuò con una rabbia feroce, senza
mollare, spingendo in avanti tutto il suo peso per tenerlo fermo mentre stringeva sempre
di più. Sentì qualcosa spezzarsi, tendersi, rompersi. Gli occhi di Janson saltarono quasi
fuori dalle orbite; la lingua uscì dalla bocca.
Qualcuno diede a Thomas una manata sulla testa; si rendeva conto che quel tizio gli
stava parlando, ma non lo sentiva. Il viso di Minho comparve davanti al suo. Gli stava
gridando qualcosa. Thomas era accecato dalla sete di sangue. Si sfregò gli occhi sulla
manica e tornò a concentrarsi sul viso di Janson. L’uomo era morto da tempo, immobile,
pallido e pieno di contusioni.
«È morto!» gli stava gridando l’amico. «È morto!»
Thomas fece uno sforzo e tolse le mani, poi scese dal corpo strisciando carponi e sentì
Minho che lo tirava su.
«Li abbiamo messi tutti fuori combattimento!» gli urlò nell’orecchio. «Dobbiamo
andare!»
Due esplosioni scossero le pareti del magazzino contemporaneamente, e i muri
sembrarono cedere, scagliando pezzi di mattoni e cemento in ogni direzione. Dei detriti
caddero sui due amici. La polvere si sollevò e delle sagome circondarono Thomas,
barcollando, cadendo e rialzandosi. Cominciò a muoversi per raggiungere lo sgabuzzino.
Blocchi di soffitto cadevano a terra spaccandosi ed esplodendo. Il rumore era orribile,
assordante. Il pavimento tremava con violenza; le bombe continuavano a scoppiare, era
come se fossero ovunque. Thomas cadde; Minho lo tirò su. Qualche secondo dopo, fu
Minho a cadere; Thomas lo tirò e trascinò finché entrambi non si misero di nuovo a
correre. All’improvviso Brenda comparve davanti a Thomas, con lo sguardo terrorizzato.
Gli sembrò di vedere anche Teresa lì vicino; avanzavano cercando di non perdere
l’equilibrio.
Qualcosa andò in pezzi, frantumandosi, e il rumore fu così forte che Thomas non poté
evitare di voltarsi. Alzò lo sguardo: un’enorme parte del soffitto si era staccata. La
osservò ipnotizzato cadere verso di lui. Intravide Teresa con la coda dell’occhio, la sua
immagine a malapena distinguibile attraverso la polvere. Il corpo della ragazza gli finì
addosso, spingendolo verso lo sgabuzzino. Mentre cadeva all’indietro, la mente di
Thomas si svuotò; contemporaneamente un enorme pezzo di edificio piombava su
Teresa, schiacciandola; solo la testa e un braccio spuntavano da sotto le macerie.
«Teresa!» gridò Thomas, un urlo soprannaturale che si sollevò sopra ogni altra cosa.
Strisciò carponi verso di lei. Aveva il viso rigato di sangue, il braccio sembrava
spappolato.
Urlò ancora il suo nome, e mentalmente vide Chuck cadere a terra coperto di sangue, e
gli occhi fuori dalle orbite di Newt. Tre dei più cari amici che avesse mai avuto. La
C.A.T.T.I.V.O. glieli aveva portati via tutti.
«Mi dispiace» le sussurrò, sapendo che non poteva sentirlo. «Mi dispiace tanto.»
La bocca di Teresa si mosse, sforzandosi di parlare, e Thomas si avvicinò per capire
cosa stesse cercando di dirgli.
«Anche... a me» sussurrò. «L’unica cosa... importante per me sei sempre stato...»
E poi qualcuno lo trascinò per i piedi, portandolo via da lei. Non aveva l’energia o la
forza di volontà per resistere. Teresa se n’era andata. Provò un dolore devastante, che gli
trafisse il cuore. Brenda e Minho lo tirarono su, rimettendolo in piedi. I tre avanzarono
barcollando. Un incendio era scoppiato in un buco lasciato da un’esplosione, il fumo si
sollevava e si agitava nello strato denso di polvere.
Un altro boato risuonò scuotendo l’aria; si voltò mentre correva e vide il muro nero del
magazzino esplodere, frantumandosi a terra, e le fiamme che si sollevavano negli spazi
aperti. La parte di soffitto rimasta cedette, ormai priva di sostegno. Ogni centimetro
dell’edificio crollava una volta per tutte.
Arrivarono alla porta dello sgabuzzino e si infilarono dentro appena in tempo per vedere
Gally scomparire nel Pass Verticale. Tutti gli altri se n’erano andati. Thomas e i suoi amici
percorsero il breve corridoio tra i tavoli inciampando più volte. Entro qualche secondo
sarebbero morti. Il rumore di cose che andavano in frantumi aumentò; scoppi, cigolii, il
metallo che strideva, il ruggito sordo delle fiamme. Tutto si sollevò raggiungendo un
volume inimmaginabile. Thomas si rifiutò di guardare, anche se sapeva che a pochi passi
da lui stava crollando tutto. Spinse Brenda nel Pass. Il mondo intorno a lui e Minho stava
sprofondando.
Insieme, saltarono nel muro grigio di ghiaccio.
73
Thomas riusciva a malapena a respirare. Tossiva, sputava. Il suo cuore batteva
all’impazzata, rifiutandosi di rallentare. Era atterrato sul pavimento di legno del casotto, e
si mise a strisciare in avanti, per allontanarsi dal Pass Verticale nel caso delle macerie lo
raggiungessero lì. Con la coda dell’occhio intravide Brenda; stava premendo dei pulsanti
di una centralina. Poi il pannello grigio cessò di esistere, mostrando le assi di cedro del
muro dietro. Come fa a saperlo fare?, si chiese Thomas.
«Tu e Minho uscite» disse la ragazza, con un tono agitato che lui non comprendeva.
Erano al sicuro adesso. O forse no? «Devo fare un’ultima cosa.»
Minho si era alzato in piedi, e si avvicinò per aiutare Thomas a tirarsi su. «La mia mente
del caspio non ce la fa a pensare nemmeno per un altro secondo. Lasciale fare ciò che
vuole. Andiamo.»
«Bene così» disse Thomas. I due si guardarono a lungo, riprendendo fiato, rivivendo in
quei pochi attimi tutte le cose che avevano passato, tutte le morti, tutto il dolore. E in
mezzo a quelle cose c’era il sollievo che forse – forse – fosse tutto finito.
Più di ogni altra cosa Thomas provava il dolore della perdita. Guardare Teresa morire −
per salvargli la vita − era quasi troppo da sopportare. Adesso, fissando quello che era
diventato il suo vero migliore amico, dovette sforzarsi di trattenere le lacrime. In quel
momento, giurò a sé stesso di non dire mai a Minho quello che aveva fatto a Newt.
«Sicuro che va bene così, faccia di caspio» rispose Minho. Ma non gli rivolse il suo
classico sorrisetto. Piuttosto uno sguardo, per dirgli che capiva. E che entrambi avrebbero
portato sulle spalle il dolore della perdita per il resto della vita. Poi si voltò e si
incamminò.
Thomas si prese qualche momento, quindi lo seguì.
Quando mise piede fuori, dovette fermarsi ad ammirare. Erano arrivati in un posto che
gli avevano detto non esistere più. Rigoglioso, con tanto verde e vibrante di vita. Si
trovava in cima a una collina sopra un campo di erba alta e fiori selvatici. Le circa
duecento persone che avevano salvato passeggiavano qua e là, alcuni stavano addirittura
correndo e saltando. Alla sua destra la collina scendeva verso una valle di alberi altissimi
che sembrava estendersi per chilometri, alla fine della quale c’era una parete di
montagne rocciose che si spingeva verso il cielo azzurro e terso. Alla sua sinistra, i campi
erbosi si trasformavano dolcemente in una boscaglia e poi in sabbia. E dopo, l’oceano,
con le sue grandi onde scure e la cresta che diventava bianca infrangendosi sulla
spiaggia.
Il paradiso. Erano arrivati in paradiso. Poteva solo sperare che un giorno il suo cuore
sarebbe riuscito a gioire di quel posto.
Sentì la porta del casotto chiudersi, poi il sibilo del fuoco dietro di sé. Si voltò e vide
Brenda; lei lo spinse con delicatezza per allontanarlo di qualche passo dalla struttura, che
era già avvolta dalle fiamme.
«Giusto per non correre rischi?» le chiese.
«Giusto per non correre rischi» ripeté lei, e gli rivolse un sorriso così sincero da riuscire a
tranquillizzarlo un po’, con un pizzico di conforto. «Mi... mi dispiace per Teresa.»
«Grazie.» Non riuscì a trovare altre parole.
Lei non disse altro, e Thomas pensò che in fondo non ce ne fosse bisogno.
Camminarono per raggiungere il gruppo di persone che aveva lottato con loro in
quell’ultima battaglia contro Janson e gli altri; erano tutti pieni di graffi e lividi dalla testa
ai piedi. Incrociò lo sguardo di Frypan, proprio come aveva fatto con Minho. Poi si
voltarono tutti verso il casotto e lo osservarono mentre veniva raso al suolo dalle fiamme.
Qualche ora dopo, Thomas era seduto in cima a una scogliera che si affacciava
sull’oceano, con i piedi che penzolavano oltre il bordo. Il sole era quasi calato dietro
l’orizzonte, che brillava come fuoco. Era uno degli spettacoli più belli a cui avesse mai
assistito.
Minho aveva già cominciato a prendere in mano la situazione nella foresta lì sotto, dove
avevano deciso di vivere; stava organizzando dei gruppi di ricerca per il cibo, un comitato
per l’edilizia, una squadra di vigilanza. Thomas ne era contento; non voleva addossarsi
mai più la minima responsabilità. Era stanco, fisicamente e mentalmente. Sperava che
ovunque si trovassero, sarebbero stati isolati e al sicuro, mentre il resto del mondo
trovava un modo per convivere con l’Eruzione, cura o non cura. Sapeva che sarebbe stato
un processo lungo, difficile e faticoso, ed era sicuro al cento percento di non volerne fare
parte.
Aveva chiuso.
«Ehi, tu.»
Si voltò e vide Brenda. «Ehi, anche a te. Vuoi sederti?»
«Perché no, sì, grazie.» Si lasciò cadere accanto a lui. «Mi ricorda i tramonti alla
C.A.T.T.I.V.O., solo che non sembravano mai così luminosi.»
«Potresti dire lo stesso per molte cose.» Si sentì investire di nuovo dalla commozione
rivedendo nella sua mente il viso di Chuck, Newt e Teresa.
Trascorsero qualche minuto in silenzio a fissare la luce del giorno svanire, il cielo e
l’acqua che passavano dall’arancione al rosa al viola, poi al blu scuro.
«A cosa stai pensando in quella testolina?» gli chiese Brenda.
«Assolutamente a niente. Per un po’ non ne voglio più sapere di pensare.» E diceva sul
serio. Per la prima volta nella sua vita era libero e al sicuro, per quanto caro gli fosse
costato raggiungere quel traguardo.
Poi fece l’unica cosa che gli venne in mente. Allungò il braccio e prese la mano di
Brenda.
Lei gliela strinse. «Siamo in duecento e siamo tutti immuni. È un buon inizio.»
Thomas la guardò, insospettito da quanto sembrasse sicura, come se lei sapesse
qualcosa che lui ignorava. «E con questo cosa intendi?»
Brenda si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia, poi sulle labbra. «Niente. Niente di
niente.»
Thomas scacciò quel pensiero e la avvicinò a sé, mentre l’ultimo spicchio di sole svaniva
dietro l’orizzonte.
Epilogo
Comunicazione d’ufficio conclusiva − C.A.T.T.I.V.O. − Data: 10.4.232 Ora: 12:45
destinatario: I miei colleghi
mittente: Ava Paige, cancelliera
re: Un nuovo inizio
E dunque, abbiamo fallito.
Ma abbiamo anche trionfato.
Il nostro progetto iniziale non si è realizzato; la cianografia non ha mai preso forma.
Non siamo stati in grado di trovare né un vaccino né una cura per l’Eruzione. Ma io avevo
previsto questo risultato e predisposto una soluzione alternativa, per salvare almeno una
parte della nostra razza. Con l’aiuto dei miei collaboratori – due immuni saggiamente
collocati – sono stata in grado di escogitare e mettere a punto un piano che darà il
miglior esito che avremmo potuto sperare.
So che la maggior parte della C.A.T.T.I.V.O. pensava che dovessimo insistere con più
decisione, scavare più a fondo, essere più spietati con i nostri soggetti, continuare a
cercare una risposta. Iniziare nuovi cicli di Prove. Ma quello che non siamo stati in grado
di vedere era proprio davanti ai nostri occhi. Gli immuni solo l’unica risorsa rimasta a
questo pianeta.
E se tutto è andato secondo i piani, abbiamo mandato i nostri soggetti più intelligenti,
più forti, più tenaci in un luogo sicuro, dove possono dare un nuovo inizio alla civiltà
mentre il resto del mondo è portato all’estinzione.
Spero che negli anni la nostra organizzazione abbia in parte pagato il prezzo per l’atto
orribile commesso contro l’umanità dai nostri predecessori al governo. Anche se sono
pienamente consapevole che si trattava di un atto frutto della disperazione dopo le
eruzioni solari, la diffusione del virus dell’Eruzione come misura di controllo della
popolazione è stato un crimine abominevole e irreversibile. E i risultati disastrosi non
avrebbero mai potuto essere previsti. Dal momento stesso in cui quell’atto è stato
compiuto, la cattivo ha lavorato per correggere quell’errore, per trovare una cura. E anche
se abbiamo fallito in questa impresa, possiamo almeno affermare di aver piantato i semi
per il futuro del genere umano.
Non so come la storia giudicherà le azioni della cattivo, ma voglio affermare ufficialmente
che l’organizzazione ha sempre avuto un unico obiettivo, quello di preservare la razza
umana. Ed è esattamente ciò che abbiamo fatto con questo ultimo atto.
Come abbiamo cercato di inculcare in ognuno dei nostri soggetti senza mai stancarci, la
cattivo è buona.
Ringraziamenti
Che viaggio è stato questa trilogia. Per tanti versi è stato uno sforzo di collaborazione tra me, il mio editor, Krista Marino,
e il mio agente, Michael Bourret. Non riesco a trovare un modo per ringraziare abbastanza queste due persone. Ma
continuerò a provarci.
I miei ringraziamenti vanno anche a tutte le belle persone alla Random House, in particolare a Beverly Horowitz e ai miei
addetti stampa, Emily Pourciau e Noreen Herits. E anche ai fantastici membri delle squadra di vendite, marketing,
progettazione, revisione, e a tutte le altre parti essenziali che permettono a un libro di prendere vita. Grazie per aver reso
questa serie un successo.
Grazie, Lauren Abramo e Dystel & Goderich, per esservi assicurati che questi libri fossero disponibili in tutto il mondo. E
grazie a tutti i miei editori all’estero per avermi dato un’opportunità.
Grazie a Lynette e J. Scott Savage, per aver letto le prime bozze e per i vostri commenti. Vi assicuro che sono stati
molto utili!
Grazie a tutti i blogger di libri e agli amici di Facebook e Twitter #dashnerarmy, per aver trascorso del tempo con me e
aver promosso i miei libri ad altri. A voi e a tutti i miei lettori, grazie. Questo mondo per me è diventato realtà, e spero vi
sia piaciuto viverci.
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