CEM Mondialità e Biblia/BeS
«STORIE DI GUERRA E PROFEZIE DI PACE NELLA BIBBIA»
Sabato 20 FEBBRAIO 2016
PROFEZIE DI PACE
GianGabriele Vertova
Richiamo due concetti noti: pace, che nella parola latina rimanda ad una radice indoeuropea col significato
di pattuire, nella tradizione biblica è shalom. Nell’idea implicita di pienezza e di armonia c’è qualcosa di più
dell’assenza di guerra. Lo shalom riguarda non solo le relazioni fra stati o etnie, ma ogni relazione e la vita
quotidiana. Profezia non è tanto annunciare il futuro e nemmeno quanto sta oltre la storia, ma
testimoniare (nelle parole e nelle azioni) quello che si pensa sia il punto di vista di Dio circa gli eventi storici
che si vivono. Nella Bibbia troviamo profezie di pace che nacquero in relazione a momenti particolari, ma
che poi sono state ispirazione per i credenti in altre situazioni storiche dove hanno voluto riportare lo
sguardo di Dio compreso in quelle parole.
In principio … Nel mito di Caino e di Abele si rappresentano due condizioni sociali tra le quali scoppia la
violenza omicida negazione della fraternità che l’uomo dovrebbe riconoscere, ma il comandamento di Dio è
di proteggere Caino e di interrompere la catena della violenza (Genesi 4, 3-15). Anche la storia di Noè
sottolinea come continuamente crescesse la violenza («la terra era corrotta e piena di violenza» - Gn.
6,11), ma se in un primo momento la risposta divina appare omogenea alla logica della forza, alla fine del
racconto, in una proclamata nuova alleanza cosmica, un Dio convertito alla nonviolenza non si limita ad
ordinare di nuovo il rifiuto della violenza (Gn. 9,5), ma si impegna a non venir mai meno all’obbligo di
salvaguardare la terra: l’Arcobaleno è il simbolo mitico del Dio convertito alla Pace (Gen. 9, 12-13).
Nell'alleanza al Sinai, con cui Dio si sceglie un suo popolo tra tutte le genti, l’interdetto originario è ribadito
come una delle clausole del patto: «Tu non ucciderai» (Es. 20,13). L'israelita dovrà, con l’obbedienza ai
precetti, creare una situazione di vita sociale e familiare in cui la violenza abbia poco spazio. Il codice del
taglione (Es. 21,23-24), ripreso dalle legislazioni mesopotamiche, cerca di mettere un limite equo alla
violenza della vendetta. Nel grande messaggio deuteronomistico (Deut. 28) Dio mette davanti alla libertà
umana la scelta fra lo shalom e la violenza, la benedizione e la maledizione, la vita e la morte: qui è
evidente che la pace, lo shalom, fa parte della costituzione di Israele. Se la guerra è presentata come la
conseguenza dell'infedeltà (Lev. 26, 14; 25), questo significa che la pace è una possibilità per l'uomo che
rimane in alleanza con Dio. La convinzione che lo shalom, inteso nel suo senso più pieno, sia opera del
Signore, trova ripetute conferme all’interno delle grandi preghiere d’Israele come è evidente nella
benedizione sacerdotale del libro dei Numeri (6,24-26).
E’ vero che il passaggio della liberazione di Israele, fondante la sua identità di popolo del Signore, secondo
il racconto pasquale, è caratterizzato dalla violenza del Dio liberatore. E’ vero anche che il Re-Messia
Davide, che ha realizzato la grandezza e l’unità di Israele, fu un re guerriero, ma la tradizione biblica
trasmette anche un quadro ideale diverso, quello del regno di Salomone, caratterizzato dalla Pace
all’interno e all’esterno (1 Re 5, 4), dalla saggezza e dalla Giustizia. Soprattutto i profeti maggiori, Isaia e
Geremia, si caratterizzano per la loro ostilità a soluzioni militari, al punto da essere perseguitati e minacciati
di morte. Del grande Isaia, attivo nell’ultimo quarantennio del secolo VIII, è famosa la figura de Il Principe
della Pace (Isaia 9). Si sa che questi titoli aulici erano propri delle corti orientali ed erano attribuiti al Re. Al
tempo di Isaia Israele soffriva sotto il prepotente dominio degli Assiri e la parte settentrionale del paese
(Zabulon e Neftali) era umiliata e oppressa. La cosa straordinaria di quel discendente di Davide (che
rappresenta in terra il Signore, unico vero re) è che la sua azione avrà l’effetto di creare la pace non con un’
azione militare, ma (v.6) con quella di un servitore della giustizia. Nel cosiddetto libretto dell’Emanuele si
esplicita, al capitolo 11, che l’attività giudiziaria del Re sarà a favore degli oppressi (Isaia 11, 3-4). Sulla
stessa linea è il testo di Isaia 2,1-5, in cui si sogna il grande pellegrinaggio dei popoli a Gerusalemme. La
pace diventa pace universale, ripresa con concetti simili in Michea (4,1-5). Proprie del profeta Michea sono
le immagini della vite e del fico (assenti nel parallelo passo di Isaia) che richiamano la concretezza
benedetta dei beni terrestri per descrivere l’epoca di Salomone, il re pacifico.
In Isaia 52,7 appare la categoria del vangelo della pace, del lieto annuncio da parte del profeta dell'esilio:
pace e salvezza sono sinonimi. La pace è frutto dell’azione messianica di liberazione (Isaia 61, che Gesù
in Luca applica esplicitamente a sé - 4,16-21). Questa pace è un bene promesso ai poveri e da loro atteso,
non è un'utopia, ma è una possibilità e un compito che Dio offre all'uomo nella storia. L’ Alleanza sarà
sempre alleanza di Pace (berit shalom) mentre la sua rottura significherà morte, distruzione, desolazione.
La giustizia è condizione della pace. Non è solo questione etica o sociale, ma di fedeltà al Dio di Israele. Alla
radice dell’ingiustizia c’è l’idolatria e allora la pace non è possibile. Geremia, Ezechiele e il terzo Isaia sono i
profeti che aiutano il popolo a capire questo legame inscindibile tra pace e giustizia. Dio promette
un'alleanza nuova inscritta nel cuore (Ger. 31,31-33). L'uomo nuovo con un cuore di carne (Ez. 36,25 s.),
munito di un nuovo spirito, abbandonando l'idolatria e l'ingiustizia, troverà lo shalom che verrà esteso a
tutti i popoli pagani che riconosceranno il Signore, anche all'Egitto (Is. 19,21) Sulla terra «giustizia e pace si
baceranno perché verità germoglierà dalla terra e giustizia si affaccerà dal Cielo» (Sal. 85,9-12).
Sempre di più sembra crescere nella coscienza di Israele l’idea di un dio nonviolento, un'immagine
profetica del Dio di grazia, di perdono, di vita. Giona non può accettare un Dio di sola grazia e fatica a
comprendere le parabole esistenziali del Signore di Israele. In Zaccaria la pace è l'opera del Messia il quale
toglierà i carri da guerra da Efraim, i cavalli da Gerusalemme e farà sparire l'arco da guerra (9,10). La pace è
detta come un dono non utopico ma profetico, non atemporale ma storico. Gli uomini che vogliono farsi
annunciatori di questa pace non potranno fare altro che adottare i metodi e le qualificazioni della pace
messianica.
Beati i miti. Nel Primo Testamento il titolo di anaw (povero, mite) è attribuito a Mosè (Numeri 12, 3), ma è
anche applicato al re messianico, per esempio nel Salmo 45, un canto nuziale in cui il giovane re (v. 5) è
caratterizzato nel suo programma messianico di accoglienza nei confronti dei piccoli e dei poveri. Ma degli
anawim in particolare si dice che possederanno la terra (Salmo 37, 119).
Il Secondo Testamento non rappresenta una rottura rispetto al primo circa la visione della Pace, ma ne
dichiara l’attualità dal momento in cui Dio ha visitato il suo popolo «guidando i nostri passi sulla via della
pace» (Lc. 1.79). Gli Angeli annunciano la pace agli uomini in quanto amati da Dio (Lc. 2,14) e quando Gesù
appare ad annunciare il Regno di Dio, annuncia la realizzazione possibile della pace. Ma Gesù, proprio
perché porta la pace autentica, è anche portatore di spada, di contraddizione (Lc. 2,31-34; 12,51; Mt.
11,12). Egli richiede ai discepoli una violenza contro le loro membra (Mc. 8; 9,42-48), contro la loro vita
(Mc. 8,34-36) contro i loro possessi (Mc. 10,29-30). Matteo è vicino alla tradizione rabbinica in cui emerge
il significato di pace come riconciliazione tra persone (Matteo 5,23), obbligo per poter celebrare la
comunione con Dio. Cristo risorto si presenta con il saluto della pace: «Pace a voi» (Lc. 24,36; Gv. 20,19 s.):
la pace è il dono della nuova realtà del regno di Dio. In Romani 5,11 Paolo usa il termine riconciliazione in
senso religioso: Dio ci ha riconciliato, non ha più bisogno di essere riconciliato con sacrifici, riti e preghiere,
al contrario di quanto sostenevano le religioni intente a placare l'ira degli dei. Nella lettera agli Efesini della
scuola di Paolo, cap. 2, si dichiara che nel Cristo crocifisso crollano i muri di separazione e gli opposti
(circoncisi e non circoncisi) si sono riconciliati. La pace non è assenza di conflitti, ma resistenza nella fedeltà
alla propria missione. L’attività pubblica di Gesù è stata caratterizzata da una serie di conflitti con le
istituzioni giudaiche, fino alla contestazione contro la stessa istituzione templare, radicalizzando quella dei
profeti Isaia e Geremia. Ma non sono mancati anche tensioni nei confronti della famiglia e persino con il
gruppo dei discepoli. La radice di questi conflitti è conseguenza della scelta di porsi al servizio del Regno di
Dio. Che l’azione di Gesù non sia stata da lui pensata come tranquilla è dimostrato da alcuni passaggi dove
il regno di Dio è collegato alla violenza: Matteo 11, 12. Gesù vede nell’arresto del profeta Battezzatore il
segnale della minaccia che lo coinvolge (in Luca 16,6 la parola di Gesù sul regno che subisce violenza è
invece un invito ai discepoli ad impegnarsi per entrare nel regno di Dio, in Matteo riflette il clima
conflittuale provocato dall’azione di Gesù). La pace è impegno di sequela nonviolenta. Il messianismo di
Gesù si discosta dalle attese prevalenti al suo tempo, è rinuncia alla lotta armata (Mt 26, 51; Mc 14, 47; Lc
22, 42; Gv 18, 10-11), ma anche alla tentazione di richiedere un intervento violento da parte del Padre (Mt
26, 53) in coerenza alla sua fede in un Dio Provvidente ed amoroso e al suo comandamento che vuole
superare la legge del taglione amando anche il nemico (Mt 5, 43-48). Il comando di Gesù di non opporsi al
malvagio (Mt 5,39) non va interpretato come un consiglio evangelico per tutti quelli che si ritirano
dall’impegno nella storia, rinunciando all’azione di cambiamento della violenza dominante e accettando per
il mondo lo status quo, ma come lotta che è capace di rinunciare alla violenza ricorrendo alla forza della
verità. Questo è il significato della metafora che ordina di porgere l’altra guancia. Beati gli operatori di pace
perché saranno chiamati figli di Dio: si diventa figli di Dio diventando operatori di processi di pacificazione.
Partendo dal principio biblico della nonviolenza, la chiesa dei primi tre secoli, nella sua prevalenza, ha
enucleato la formula antimilitarista: «Il cristiano non può fare il soldato».
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