RIFLESSIONI IN TEMA DI CITTÀ METROPOLITANA*
di
Luigi Benvenuti
(Professore ordinario di Diritto amministrativo
Università Cà Foscari di Venezia)
27 febbraio 2013
Il tema della città metropolitana assume rinnovati motivi di attrazione soprattutto in un
periodo di crisi profonda, in cui ci si interroga circa le modalità di partecipazione della società
alle istanze di cambiamento e di sviluppo economico-sociale, mentre il paese è stagnante e
arroccato su posizioni difensive.
Spesso nel dibattito sull’argomento sono prevalsi i timori di condizionamenti da parte degli
enti locali contro-interessati, aggravati dal quadro di insieme di una finanza regionale e locale
alla ricerca di un assetto definitivo, mentre si è assistito talora ad una vera e propria cattura
delle periferie nei confronti del potere centrale, “imponendo i propri interessi di parte e nello
stesso tempo impedendogli di svolgere, il che è ancora più grave, il ruolo cruciale di garanzia
del sistema […]”1.
Oppure si è trattato di una preferenza per altri modelli collaborativi quali raccordi, intese,
convenzioni, considerati più idonei che non il ricorso ad uno specifico soggetto istituzionale
per la soluzione di problemi sovra comunali.
*
Intervento al seminario “La razionalizzazione del sistema locale in Italia e in Europa” svoltosi presso la Scuola
di specializzazione in studi sull’Amministrazione Pubblica dell’Università di Bologna (SPISA) il 17 dicembre
2012.
1
Cammelli, Governo delle città: profili istituzionali in AA.VV., Le grandi città italiane. Società e territori da
ricomporre, a cura di G. Dematteis, Venezia 2011, p. 358
federalismi.it n. 5/2013
Tutto questo e altro ancora è ben presente nel dibattito più recente, e vale la pena di allargare
lo sguardo, per un momento, al di là dei confini giuridici, provando a offrire qualche
definizione preliminare, quale quella data dai demografi e dai geografi urbani.
In tal senso le cosiddette aree vaste sono individuate e descritte secondo tre modelli generali:
quello del continuum urbano, del sistema di parti irrelate, quello basato sulle grandi aree di
influenza.
Il primo considera “la città fisica e il fenomeno metropolitano come espansione della città
oltre la storica delimitazione, amministrativa o della comunità: la città metropolitana è un
continuum urbanizzato di manufatti o usi non agricoli senza sostanziale soluzione di
continuità”. E’una città più grande, ma sempre un unicum compatto.
Il secondo consiste nella interrelazione tra popolazione e funzioni: ammette il policentrismo,
l’esistenza, di più di un centro urbano.
Il terzo è piuttosto incentrato sulle regioni metropolitane e sulle aree di influenza2.
Non voglio entrare troppo nel merito di un dibattito, che per altro ha avuto soprattutto nei
tempi recenti importanti sviluppi.
Penso, con attenzione al Veneto, ai documenti apparsi nell’ultimo decennio a cura dell’OCSE;
ovvero alla ricerca sviluppata dall’OSME su Venezia metropoli3 e osservo come oggetto di
attenzione, talora comparata con quel che avviene negli altri paesi, sono ad esempio i
fenomeni demografici, ovvero il tema del pendolarismo e della mobilità, entrambi visti da
vicino, secondo un metodo strettamente empirico.
Ma vi è pure, in tale ricerca, uno sguardo più dall’alto e più generale sui profili di ordine
economico e finanziario, riprendendo prospettive tipiche degli studi degli anni ’70.
Può essere interessante osservare come il punto di vista dei flussi pendolari è inserito in un
contesto di ordine economico-funzionale che indaga i mutamenti intervenuti in questa area del
Nord Est a partire dagli anni ’90.
Negli anni ’90 il Nord Est dei distretti beneficiava dell’ultima grande svalutazione
competitiva della lira: l’area metropolitana non era sentita come una necessità.
Poi cambia lo scenario e lo spazio metropolitano è percepito come urgente perché le forze
economiche spingono in tal senso.
2
Cfr. in senso diverso J. Friedmann, J. Miller, Journal of the American Institute of Planners, The urban field ,
1965, B. J. L. Berry, P. G. Goheen, M. Goldstein, Metropolitan definition: a re-evaluation of concepts and
statistical practice U.S. Bureau of the Census, Working Paper, U.S. Government printing office, Washington D.
C. 1968; A. Acquarone, Grandi città e aree metropolitane in Italia, Bologna 1961; S. Cafiero, A. Busca, Lo
sviluppo metropolitano in Italia, SVIMEZ, (Giuffré) Milano - Roma 1970; U. Marchese (a cura di) (1989), Aree
metropolitane in Italia – Anni 80. Economia e fattori di centralità. Trasporti e movimenti pendolari, Padova,
Cedam; U. Marchese (a cura di) Aree metropolitane in Italia alle soglie del Duemila, ECIG, Genova, 1997.
3
AA.VV., OECD Territorial Reviews. Rapporto su Venezia metropoli, Padova, 2010
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2
Ogni municipio deve ripesarsi, e si sente ormai necessario sempre più fare un salto di scala.
Soprattutto alcuni studi recenti mettono in rilievo luci e ombre di questa progressiva presa di
conoscenza indagando le varie cause macro-economiche (i vari shock intervenuti nell’ultimo
decennio, shock nella competizione, nell’innovazione tecnologica) suggerendo proposte per la
riorganizzazione del Nord Est4.
Infine vi è la questione delle forme di governo e di governance, su cui intendo ora
soffermarmi, perché è fin troppo facile scorgere, da parte di economisti, urbanisti o sociologi
urbani, una sorta di presa di distanza da un’idea di città metropolitana che risultasse
imperniata esclusivamente sulla dimensione giuridico-amministrativa, denotata dunque solo
dai confini amministrativi, dalle province, da un governo dei perimetri, senza tener conto dei
presupposti reali di un vero processo di governance.
Per corrispondere al quale, peraltro, non si potrebbe non condividere l’opinione che una
perimetrazione, esclusivamente basata, ad esempio, sulla dimensione provinciale, non
potrebbe esprimere le esigenze economiche e funzionali, né quelle di aree metropolitane
ristrette, né di altre allargate o integrate.
Ma se tutto ciò è vero, viene da porsi una questione ulteriore.
Se il solo punto di vista giuridico-amministrativo non pare adeguato a descrivere e
rappresentare le esigenze di un’area vasta, da esso peraltro non sarebbe possibile prescindere;
se è vero come è vero che l’area metropolitana è divenuta oggetto di vari articoli
costituzionali che toccano la materia dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni;
che inoltre dovrebbero valere per il modello metropolitano le stesse regole di checks and
balance valevoli per altre figure presenti in Costituzione; che lo stesso strumento principe
dello Statuto si presta a molteplici interrogativi di ordine giuridico-amministrativo; che tuttora
aperto resta il ruolo dei regolamenti e soprattutto la eventuale creazione di figure e istituti
accessori a quelli considerati necessari dalla normativa; infine che vanno concretamente
configurati i contenuti delle funzioni amministrative5.
E allora, fermo tutto ciò, provo a dare uno sguardo retrospettivo alle risposte date dalla
normativa recente fino agli ultimi interventi legislativi.
4
S. Micelli, L’area metropolitana di Venezia nelle trasformazioni dell’economia del Nord Est, Economia e
Società regionale, 1, 2010
5
Cfr. in senso diverso, A. Lucarelli, Prime considerazioni in merito all’istituzione della città metropolitana,
www.federalismi.it, A. Pirani, Verso la città metropolitana. Quali funzioni, appunto per il gruppo di lavoro su
L’istituzione delle città metropolitane: procedure, problemi, ostacoli, opportunità, 17/11/2012, www.astridonline.it, f. Pizzetti, Organi di governo, www.astrid-online.it, V. Cerulli Irelli, Relazioni tra città metropolitane e
comuni, www.astrid-online.it, P. Urbani, Le funzioni di pianificazione della città metropolitana, www.astridonline.it, A. Vigneri, Le funzioni della città metropolitana, www.astrid-online.it
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3
Penso innanzi tutto alla vecchia 142/1990, in ordine alla quale, se è ben vero che l’intera
costruzione giuridica sembra appoggiare sul perimetro provinciale, va almeno sottolineato
qualche timido tentativo di apertura verso i contenuti di ordine economico, sociale, culturale,
pur se considerati in modo fin troppo astratto o generico.
Con la legge 265/1999 (Vigneri – Napolitano) credo si assista allo sforzo maggiore di tener
conto della possibile differenziazione dei processi reali.
Così, c’è l’area e c’è la città metropolitana, laddove i procedimenti sono aperti e pluralisti.
Analogo discorso potrebbe farsi con l’art. 23 della legge 42/2010, che in sede di regime
transitorio, opera quello che è stato definito un vero e proprio sganciamento “dai
condizionamenti che ne avevano pregiudicato l’esito ma lo stesso avvio, ottenuto grazie a un
complesso di previsioni che di fatto relativizzano, o almeno rendono superabili, le tradizionali
resistenze di tutti i principali enti interessati, vale a dire regioni, provincie, comune capoluogo
e comuni limitrofi, nessuno dei quali […] dispone di un esclusivo potere di veto”.
Ma così facendo, come ben si è detto “si risolve un problema ma se ne apre un altro: chi
(quali soggetti) e per che cosa (quale disegno) è alla base della città metropolitana e del
relativo progetto”6.
Ecco quello dell’effettivo disegno mi pare un punto cruciale.
Ad esito di un estremo processo di relativizzazione, il legislatore del 2010 sembra aver perso
pure le coordinate minime indispensabili per portare a compimento il processo di istituzione
di un’area vasta.
È alla luce di questo quadro, che credo vada valutata l’individuazione della città
metropolitana operata dal governo tecnico in sede di spending review.
E non vi è dubbio che dopo gli esiti pluralistici o se vogliamo fortemente relativistici della
normativa appena citata, ora si tratta di un brusco salto all’indietro, verso quell’idea di
governo dei perimetri, forse mai davvero abbandonata, e che ora torna in primo piano con
l’istituzione della città metropolitana nello stesso territorio provinciale, solo attenuata da una
limitata facoltà di sganciamento da parte di qualche comune.
Naturalmente andrebbe sottolineata al proposito qualche recente correzione da parte del
Decreto Legge n. 188 del 05/11/2012, che probabilmente recependo alcune critiche di fonte
dottrinale (ad esempio Caravita) ha fatto rientrare Monza e Brianza nella città metropolitana
6
Cfr. M. Cammelli, op. ult. cit., p. 356. Dello stesso vedi nel tempo, Aree metropolitane: più governo o più
governi?, Il Mulino, 1988, p. 419 ss.; Appunti per un governo metropolitano (ragionando su Bologna e dintorni)
in Reg. Gov. Loc., 1990, p. 15 ss.
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4
di Milano, Pistoia e Prato in quella di Firenze operando una ulteriore correzione per Reggio
Calabria.
Sappiamo che fine ha fatto tale Decreto.
Ma a parte qualche intervento correttivo, il discorso si farebbe lungo sul perché il legislatore
non abbia attuato in concreto un reale governo delle differenze; forse l’idea stessa di città
metropolitana appare come un mito, che avrebbe potuto esser soppiantato o quantomeno
affiancato da altre formule collaborative interistituzionali (accordi, intese, convenzioni, etc.)
per la soluzione di precise questioni di livello intercomunale.
Ma tant’è, è giunto il momento di cimentarsi in una breve esegesi dell’art. 18 della legge
135/2012, provando a passare in rassegna taluni dei profili maggiormente discussi.
E inizio proprio da forme di governo e sistema elettivo, su cui il dibattito pare più acceso ed
orientato ad una estremizzazione delle differenze.
Come noto, ai sensi dell’art.18 è possibile la elezione del sindaco con le medesime modalità
del Presidente della Provincia, vale a dire da parte del Consiglio metropolitano; ovvero lo
Statuto della città metropolitana può stabilire che il sindaco della stessa coincida con il
sindaco del comune capoluogo; infine si prevede la possibile elezione del sindaco a suffragio
universale diretto, ma soltanto a seguito di una complessa procedura di frazionamento del
capoluogo di provincia in più comuni.
Svolgo qualche riflessione.
Quanto alla prima ipotesi, a mio avviso va sottolineata l’eventualità e vorrei dire il rischio, di
un condizionamento da parte del sistema dei partiti, con un ritorno a vecchie logiche di
negoziazioni che forse sarebbe opportuno evitare.
Vi è da aggiungere che la elezione del sindaco metropolitano da parte del Consiglio
provinciale, potrebbe indurre ad un conflitto con i sindaci di città forti, eletti direttamente dal
popolo.
Tralascio il caso del sindaco eletto direttamente, ipotesi probabilmente rara e marginale.
E indugio sull’ipotesi intermedia, quella del sindaco metropolitano coincidente con il sindaco
del comune capoluogo.
Se posso esprimere un’opinione questa mi sembra la soluzione preferibile per una serie di
motivi.
Innanzitutto, pur se è vero che vale anche per tale ipotesi l’argomento di un “possibile forte
squilibrio tra comuni all’interno dell’area e una preminenza assoluta del comune capoluogo” 7,
7
Cfr. di Cerulli Irelli, op. ult. cit.
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5
va sottolineato la possibilità di far leva sulla normativa per evidenziare una serie di antidoti
che potrebbero contro bilanciare l’eventuale uso negativo di poteri monocratici.
Già la gratuità della carica pare voler enfatizzare una spoliticizzazione del ruolo del nuovo
sindaco metropolitano, destinato tendenzialmente ad assumere compiti di coordinamento più
che di direzione8.
Va rimarcato come tale funzione di tendenziale terzietà, dovrebbe giovarsi di un Consiglio
metropolitano facoltativamente affiancato da altri organi di garanzia e di controllo, o di
rappresentanza dal basso.
In tale assetto una funzione centrale andrebbe comunque assegnata all’attività di indirizzo e
controllo politico dell’organo collegiale, rappresentante delle comunità locali, con una
adeguata garanzia del ruolo delle opposizioni per la rappresentanza delle minoranze.
Aderisco in questo senso alle tesi recentemente espresse da un noto costituzionalista, Alberto
Lucarelli, ben attento a sottolineare i profili pluralistici e partecipativi del sistema
amministrativo; pur se non arrivo a pensare come lui a organi facoltativi dalla dimensione
troppo elefantiaca e penso, alle ambiguità ben conosciute ad esempio del Consiglio delle
autonomie locali9.
Nella prospettiva qui delineata, che assegna un ruolo di rilievo alla doppia veste di sindaco
metropolitano e di comune capoluogo da un lato, e al Consiglio metropolitano dall’altro, una
parola va detta in ordine al tema della rappresentanza di secondo grado.
Qui non mi avventuro nelle motivazioni di diritto su cui potrebbe far leva la Corte
Costituzionale (del resto sul punto rimando a qualche puntualizzazione di Mauro Renna) 10,
ma mi limito ad una considerazione più generale che vorrebbe tener conto di qualche
esperienza del passato.
E vado con la memoria alla Repubblica di Venezia, esempio di un sistema politico incentrato
su elezioni a grado multiplo, in cui gli organi collegiali erano quasi sempre di secondo o
addirittura terzo grado, e quel che importava era soprattutto la presenza di checks and
balances tra i diversi poteri (oltre che di escamotage per respingere eventuali brogli),
esperienza che ha certo evitato i rischi di un eccessivo accentramento negli organi di vertice,
permettendo nel contempo di esprimere le esigenze provenienti dal basso11.
8
Sul ruolo del coordinamento vedi da ultimi in termini particolarmente problematici F. Cortese, Il
coordinamento amministrativo. Dinamiche e interpretazioni, Milano, 2012
9
A. Lucarelli, op. ult. cit.
10
M. Renna, Brevi considerazioni su province e altri enti intermedi di area vasta. Astrid, Rassegna n. 36/2006
11
Cfr. per la presenza di checks and balances tra diversi poteri G. Cozzi, Repubblica di Venezia e Stato italiano,
Torino, 1982, p. 81 ss.
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6
Del resto, a dire il vero, quanto al potere di rappresentanza, ancora attuale a me pare l’aureo
libretto di Edoardo Ruffini, apparso nel 1927, con quel suo calcolato relativismo nella
descrizione delle varie e possibili formule e modelli segnati “dal sottile ago sensibilissimo del
principio maggioritario”12.
Anche lì tra rappresentanza diretta e indiretta esiste una gamma sottilissima di gradazione, che
testimonia delle varie possibili declinazioni di un’idea di democrazia che deve tener conto di
diversi discorsi e contesti.
E vengo da ultimo alla tematica delle funzioni amministrative, ammassate nell’ambito del
comma 7 dell’art. 18, e data dalla somma di quelle provinciali di cui al comma 10 art. 17 e di
altre analiticamente enumerate (lettera b) n. 1-4)13.
Inizio dalla pianificazione territoriale, per dire che, dalla somma delle funzioni, alla città
metropolitana spetterebbero sia la pianificazione territoriale di coordinamento che quella
generale.
La prima questione che a tal proposito va affrontata, a me pare il ruolo svolto dalla Regione,
visto che entrambe le competenze ora sono disciplinate da legge regionali.
In particolare, con attenzione al nuovo Statuto della Regione Veneto, preliminare a qualsiasi
ragionamento in ordine alle competenze metropolitane dovrà essere un profondo
ripensamento del ruolo svolto proprio dalla Regione circa il governo del territorio, anche alla
luce degli art. 11 e 14 del nuovo Statuto.
Ciò precisato, è evidente che alla città metropolitana ben potrà essere attribuita la redazione
del contenuto del PTPC e del PAT, restando proprio al Consiglio e al sindaco metropolitano il
compito di rendere coerenti e compatibili i due strumenti generali, ora unificati.
Anche con attenzione alla pianificazione delle reti infrastrutturali, posta la rilevanza a livello
metropolitano del PTPC, credo che il passaggio successivo dovrà essere un ulteriore
ripensamento a livello regionale, quantomeno dei piani attuativi e di settore, dovendosi
escludere che il solo strumento statutario possa intestarsi decisioni che, secondo quanto si è
visto in precedenza, dovranno vedere il coinvolgimento di altri soggetti e comunque si dovrà
prevedere forme di accordo tra livello metropolitano a livello regionale.
Quanto alla tutela e valorizzazione dell’ambiente, funzioni che erano provinciali, quali
disciplinate dal Codice dell’ambiente, il punto di partenza mi sembra la presa d’atto
12
E. Ruffini, Il principio maggioritario, Milano, 1976, p. 58
Per la tematica delle funzioni riferimento d’obbligo è a A. Vigneri, Le funzioni della città metropolitana,
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13
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7
dell’avvenuta soppressione delle autorità d’ambito, il che ha creato una fase di incertezza
istituzionale, ad esempio nei settori idrico e dei rifiuti.
Con attenzione al Veneto, la Giunta regionale ha ad esempio disposto una disciplina
transitoria (DGR n. 2157 del 13/12/2011) con cui si è trovato ad individuare dei commissari
per la prosecuzione dell’attività ordinaria.
Credo che, ai sensi dell’art.18 lett. b) n. 2 dell’art. 18, tutta la materia dovrebbe venir
governata dalle città metropolitane.
Altra funzione amministrativa attribuita almeno in parte alla città metropolitana è quella dei
servizi di trasporto.
Qui, essendo di provenienza provinciale, dovrebbe identificarsi ora un ambito metropolitano,
pur con diversi confini.
Del resto il comma 7 lett. b) n. 2 del richiamato art. 18, parla esplicitamente di organizzazione
dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano.
Residueranno peraltro competenze comunali per il trasporto pubblico comunale, e per altri
profili quali soste, taxi, ecc.
Quanto alla mobilità, sarà da stabilire con esattezza i vari tipi di pianificazione (provinciale,
extraurbana, piani di bacino), lasciando forse il piano della mobilità urbana ai comuni (il
piano urbano del traffico è a loro garantito).
Ho richiamato solo alcune delle funzioni fondamentali delle città metropolitane, che mi sono
sembrate particolarmente rilevanti, specie per poter impostare un discorso nuovo, che non
potrà non muovere da un vero ripensamento dei rapporti ed equilibri tra diversi soggetti.
Il che, a mio avviso, non potrà avvenire in modo proficuo senza un reale coinvolgimento dei
cittadini alla gestione di beni e servizi, che è poi il cardine e il senso di una democrazia che
voglia davvero trovare un bilanciamento tra istanze rappresentative e istanze partecipative.
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27 febbraio 2013 Il tema