CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Incontro di studio : La responsabilità nelle professioni legali. Roma 9 – 11 giugno 2010 *** LA RESPONSABILITÀ NELLE PROCEDURE CONCORSUALI di Giuseppe Bersani Giudice delegato del Tribunale di Piacenza 1. La responsabilità del curatore fallimentare sistema della legge fallimentare del nel 1942. Generalità La portata della responsabilità del curatore nel sistema vigente, non della natura e può prescindere da una analisi delle fattispecie concrete responsabilità nell’ambito fallimentare di nella legge fallimentare del 1942. Occorre - pertanto - brevemente riassumere la questione attinente la natura ed estensione della responsabilità civile, penale e fiscale del curatore nel vigore della legge 267 del 1942. 2 . La responsabilità civile del curatore: natura e caratteristiche In base al tenore dell'art. 38 L.f. nel testo del 1942, il curatore doveva adempiere con diligenza ai doveri del proprio ufficio; secondo la dottrina la diligenza configurabile era quella del buon padre di famiglia, che nel fallimento significava conformarsi da un lato alle direttive generali del giudice delegato dall’altro a quelle specifiche per i singoli atti , ed era integrata dalla responsabilità specifica della professionalità dell 'opera che era chiamato a svolgere. Nel sistema della legge fallimentare del 1942 delineavano,pertanto ipotesi di responsabilità per dolo, colpa grave e, per alcuni, anche per colpa lieve. Secondo parte extracontrattuali della il dottrina curatore nei rispondeva rapporti anche di colpa lievissima: con riferimento a tale aspetto la giurisprudenza 1 aveva escluso che al curatore nei si potesse applicare la limitazione di cui all'ari 2236 c.c. relativa all'opera professionale, ed avente ad oggetto la particolare difficoltà delle attività affidategli. Nella previdente disciplina la responsabilità parte della dottrina era generalmente da ritenuta di natura contrattuale: in particolare si affermava che essa derivava dall’ investitura del munus publicum e dall'aver violato il dovere di diligenza imposto dalla legge, ritenendo, parimenti configurabile, nei confronti dei creditori e dei terzi, una responsabilità di tipo extracontrattuale per violazione del generale principio del neminem laedere ; da pa rti di altri autori, si affermava che si trattava semplicemente di responsabilità 1 extracontrattuale.2 Cfr. Cass., 8 novembre 1979 n. 5761, in Giust. Civ., 1980,1,340. Cfr. Meli, La responsabilità civile del commissario giudiziale e del liquidatore, in Quad. Giur. Comm., 1988, n. 90, 33. 2 2 Da parte della dottrina si individuavano sostanzialmente quattro diversi tipi di responsabilità: a) responsabilità da violazione del divieto del nemi nem laedere ; b) responsabilità per violazione dei doveri dell'ufficio diversi da quelli di gestione del patrimonio fallimentare; c) responsabilità per la gestione del patrimonio; d) responsabilità per danni arrecati ingiustamente al patrimonio che non trov ano giustificazione nell'avere perseguito diligentemente l'interesse del fallimento. L’adesione all’una dottrinali circa la o di delle soluzioni natura della responsabilità non è di poco momento, termini all’aLtra incidendo in modo rilevante sui prescr izione, cinque anni per la extracontrattuale e dieci per quella contrattuale e sull'onere della prova non sostenuto nel 2043 c.c. da presunzioni ed inversioni dell'onere della prova come nel 1218 c.c. per la responsabilità contrattuale. In giurisprudenza si rapporto era affermava che fra il curatore e la equiparabile applicazione al procedura fallimentare mandato l'ordinaria la natura del per cui prescrizione trovava decennale, relative ai contratti e conseguentemente conseguenza che la responsabilità con la doveva ritenersi di tipo contrattuale,3 Con riferimento all’ambito di procedura veniva analizzato il che legava il curatore al estensione della particolare rapporto giudice delegato nella previdente disciplina; la responsabilità del cu ratore Cfr. Cass. 5 aprile 2001, n. 5044, in Il Fall., 2002, 57,; Cass. 11 febbraio 2000 n. 1507, ivi, 2001, 473, e Trib. Milano 15 marzo 2001, ivi, 2001, 833. 3 3 (dal punto di vista delle fattispecie tale aspetto) rilevanti sotto si dilatava o restringeva a seconda della concezione che di tale rapporto si assumeva: infatti mentre in dottrina vi erano ritenevano fosse configurabile una autori che “cogestione”, fra giudice e curatore, da parte di altri – in modo più pragmatico, ma tutto sommato riconosceva una sostanziale realistico preminenza - si finale decisoria del giudice che necessariamente alleggeriva o comunque diminuiva le fattispecie in cui risultava configurabile la responsabilità del curatore. Per il curatore, pertanto si delineava una responsabilità solo per le operazioni compiute senza la consultazione del Giudice delegato, (pagamenti senza autorizazzazioni ecc. ), per i ritardi ingiustificati della procedura, ma non per le scelte “decisionali “ ritenute errate o dannose per la massa dei creditori le quali erano sostanzialmente rimesse alla decisione del Giudice delegato, previo parere del comitato dei creditori. 4 Pertanto per le procedure fallimentari sorte nella vigenza della legge del 1942, si affermava che la responsabilità non nasceva dalle iniziative assunte, dalle scelte, dalle decisioni come tali, poiché di regola queste erano la competenza tipica del giudice delegato, bensì dalla attività di indagine, di consulenza, di relazione, di valutazione, di assistenza tecnica, di esecuzione e di sorveglianza che gli incombevano. Per il “nuovo” ruolo assunto da tale organo nella procedura a seguito della riforma del 2006 e per il conseguente accrescimento di responsabilità cfr. Inzitari, La responsabilità del comitato dei creditori, in Il caso .it, sez. II, doc. 123 4 4 Va infatti ricordato che il curatore era responsabile principalmente dell'attività di raccordo tra il processo esecutivo speciale (cioè in sostanza tra il giudice) e la realtà esterna, con la conseguenza ovvia che era pleta o nonché responsabile per la imprecisa, incom- cattiva per la esecuzione degli esecuzione di atti atti autorizzati, palesemente illegitti mi (ad esempio avere pagato un soggetto che non ne aveva il diritto). Peraltro non poteva essere considerato responsabile per atti la era avvenuta cui esecuzione sulla base di una efficiente e corretta informazione e valutazione. In capo al curatore era la responsabilità - comunque – configurabile per l'operato dei propri collaboratori, per culpa in eligendo, quando ciò era possibile e si sostanziava in una proposta fatta al giudice di un soggetto non in possesso delle capacitò professionali richieste; la culpa in vigilando, si realizzava quando lo stesso curatore aveva omesso di vigilare i soggetti che svolgevano la loro attività sotto la sua responsabilità, come i coadiutori od i delegati; infine si poteva configurare una ipotesi di colpa per gl i indirizzi errati forniti ai sensi dell'art. 1717 (cioè nell'ipotesi in cui nell'esecuzione del mandato egli sostituiva altri a se stesso, senza esservi autorizzato o senza che ciò fosse necessario per la natura dell'incarico). Una forma particolarmente ricorrente di responsabilità – che peraltro caratterizza anche la nuova procedura fallimentare - era quella relativa al ritardo col quale le attività della procedura venivano 5 compiute e si concretizzava nel ritardo nella vendita, nel recupero dei crediti o nell'esercizio di azioni; a ciò si aggiungeva il ritardo nella ripartizione dei ricavati ai creditori muniti di privilegio reale o in generale a tutti i creditori, ritardo per il quale la magistratura contabile aveva ritenuto obbligato il curatore a rivalere lo stato del risarcimento versato al fallito per la eccessiva durata del processo di fallimento. Vedremo più “ritardo” avanti 5 abbiano responsabilità del come portato curatore dell’Erario per quanto tali a anche fattispecie configurare nei di la confronti dovuto dallo Stato al fallito a seguito dell’ esperimento della legge Pinto. 3. Il grado di diligenza richiesto al curatore nello svolgimento delle attività connesse alla curatela fallimentare. Al fine di verificare se il curatore ha adempiuto in modo corretto alle proprie obbligazioni occorre individuare il grado di diligenza richiesto; da parte della dottrina e della giurisprudenza si è ritenuto opportuno fare riferimento al principio generale valido in materia di obbligazioni: si è detto in dottrina che il curatore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1176, comma l o , cod. civ.) e tale parametro normativo risulta pienamente applicabile alla diligenza che la legge impone al curatore nell'adempimento ufficio. 5 Cfr. par. 12 6 dei doveri del proprio In giurisprudenza, con riferimento ad un fallimento “vecchio diligenza rito” si è affermato dell'adempimento che degli “quanto alla obblighi del curatore, occorre tener presente che il curatore del fallimento assume la posizione di organo ausiliare dell'amministrazione della giustizia cui fa carico di adempiere ai doveri dell'ufficio con quella diligenza che può meglio consentire il conseguimento dell'interesse pubblico alla sollecita composizione dei dissesti degli imprenditori commerci ali, incarico che può essere svolto solo dai all'albo dei dottori ragionieri, a tutela professionisti iscritti commercialisti, avvocati e dell'interesse pubblicistico al regolare andamento delle procedure concorsuali”. 6 In dottrina si è precisato che la trasgressione della diligenza prevista importa la colpa del curatore in senso lato, che si scinde in dolo, e in colpa in senso stretto — il curatore sarà imputabile anche per sola colpa lieve, a maggior ragione per colpa grave —, sottolineando, però come sia differenza tra i comuni ravvisabile una sottile concetti di colpa e responsabilità nel campo obbligatorio e la colpa e la conseguente responsabilità attribuite dalla legge al curatore, in quanto poiché questo versa in colpa quando abbia semplicemente trasgredito o violato i doveri del proprio ufficio, si prescinde dall'e stremo, altrimenti necessario, che la colpa abbia determinato una lesione . 6 Cfr. Tribunale di Piacenza, 18 luglio 2008. 7 Da parte di altra autorevole dottrina 7 si sottolineava come sul curatore gravasse un obbligo di diligenza nei doveri del suo ufficio la quale doveva essere parametrata alla per il quale professionalità del suo incarico, erano (e sono) richiesti particolari requisiti tecnici. Secondo la sia dottrina la colpa poteva in atti positivi che concretizzarsi omissivi8: pertanto il curatore poteva essere chiamato a rispondere anche dell'operato dei suoi delegati o ausiliari e del coadiutore, rispetto ai quali era configurabile una responsabilità in vigilando, non più in eligendo, se la nomina, sebbene su sua proposta, fosse avvenuta da parte dal giudice delegato. La responsabilità del curatore, oltre che per il fatto proprio, anche, come committente, del danno cagionato dal fatto illecito dei suoi commessi, era affermata dall'art. anche 2049 da cod. altri civ., autori, ove si argomentando precisava che l'espressione “commessi” deve, nella specie, essere intesa in senso assai lato e comprende re, oltre propriamente i commessi di negozio o i commessi viaggiatori, i tecnici e le altre persone retribuite (compreso il fallito), da cui il curatore sia coadiuvato, dietro autorizzazione del giudice delegato (poiché tale autorizzazione, secondo la legge speciale, non esonera il curatore da responsabilità). Nell’ipotesi in cui il curatore agisca come contraente, subentri egli in tale posizione al fallito o instauri 7 8 Provinciali, Trattato, I, pag. 725. Provinciali, op. cit., pagg. 725, 726. 8 nuovi rapporti contrattuali con terzi, la sua eventuale colpa e la conseguente responsabilità sono governate dai principi generali inerenti alle obbligazioni e ai contratti (cfr. art. 1176 e segg. cod. civ.). Peraltro da parte di tali autori si responsabilità curatore, anche per colpa nell'espletamento ammette la lievissima delle sue se il mansioni, incorra in colpa extra -contrattuale (art. 2043 cod. civ.). La dottrina appariva divisa con riferimento all’ipotesi di responsabilità del curatore per il compimento di atti autorizzati da parte del Giudice delegato. Come già sopra analizzato, aderendo alla tesi della responsabilità del G.D. per le scelte “gestionali” della procedura non può esservi responsabilità del curatore qualora egli abbia compiuto gli atti o le operazioni previo conferimento della prevista autorizzazione. In tale senso si era espressa la giurisprudenza in tema di realizzo delle attività fallimentari. Per la natura pubblicistica e processualistica della figura del giudice delegato, si motivava che, se questo è l'organo volitivo della procedura, se sue sono la direzione, l'iniziativa, la propulsione, se, cioè, egli è il vero dominus della procedura fallimentare, ne consegue che la responsabilità per le conseguenze dei eseguiti curatore dal Peraltro - provvedimenti specificava non la può da lui essere presi che giurisprudenza ed sua. - il curatore può essere chiamato a rispondere circa la sua collaborazione, la diligenza della sua ammini9 strazione, per gli atti che gli competono in modo esclusivo. Non si responsabilità potrebbe, del pertanto, curatore per negare non la avere inventariato presso la sede dell'impresa fallita cose che vi si trovavano e delle quali il giudice delegato non poteva naturalmente sapere. Il curatore rispondeva anche nel caso in cui avesse prospettato al giudice delegato situazione difforme dalla realtà e in modo non consono a raffigurargli la situazione delle provvedimento curatore cose e inidoneo veniva provocando quindi dannoso. Pertanto o chiamato a rispondere per un il la mancata o tardiva esecuzione dei provvedimenti del giudice delegato, per la cattiva o ritardata esecuzione degli stessi, o per non avere sorvegliato sulle persone nominate ex art. 32 1. f. per la collaborazione nei suoi confronti. Al contrario (e coerentemente), si affermava che il curatore non poteva essere chiamato a rispondere delle conseguenze dell'esecuzione dei provvedimenti del giudice delegato emessi anche su richiesta e iniziativa del curatore stesso, al quale non si possa addebitare alcun quand'anche vi difetto fosse di da collaborazione; parte del e ciò curatore nel consigliare il giudice delegato, nel dirigere la sua attività, nel richiedere provvedimenti, una situazione intima di errore in fatto o in diritto, purché non colposa. Si è ritenuto 9 che il curatore non fosse responsabile verso il terzo conduttore per disdetta anticipata della 9 Cfr. Trib. Roma, 28 febbraio 1962, in Dir. fall., 1962, II. 10 locazione, nel caso in cui si sia servito di una c l a usola del contratto stipulato secondo le direttive prefissegli dagli organi fallimentari. Anche da parte della dottrina curatore dovesse si è ritenuto che il considerarsi esente da ogni responsabilità per il compimento degli atti a cui sia s t a t o comandato da parte del Giudice delegato e del Tribunale, distinguendo, tuttavia, l’ipotesi in cui l’ atto sia stato ordinato dal giudice, il (ma che curatore, attraverso i propri accertamenti e le proprie relazioni al giudice, dall’ipotesi in cui abbia direttamente provocato) il curatore sia stato costretto, per ordine dell'autorità superiore, a compiere un atto dal quale avrebbe voluto esimersi, oppure quella che il curatore abbia compiuto, con la sola autorizzazione e indipendentemente da un ordine specifico in tal senso, tiri atto prescritto dalle norme di procedura. Secondo tale dottrina, nell'una e nell'altra di queste opposte ipotesi, l'affermazione o l'esclusione della responsabilità del curatore non può che trovare fondamento nella valutazione del comportamento da lui tenuto in relazione ai doveri del suo ufficio o al grado di diligenza spiegato nell'assolverlo, con risultati che possono determinare anche l'affermazione della sua responsabilità per atti impostigli (ipotesi questa in cui ovviamente la responsabilità sarà per solito esclusa), oppure per atti autorizzati, ben potendo darsi nell'uno o nell'altro caso che sia stato lo stesso curatore a provocare colposamente l'ordine o l'autorizzazione. Il principio proprio dei secondo fatti cui il dipendenti 11 curatore dalla risponde sua in gestione, nonostante egli abbia agito in presenza delle autorizzazioni del giudice delegato, è stato sancito da quella giurisprudenza 10 responsabilità va che ha affermato ricollegata, in tal che la caso, sia all'iniziativa presa dal curatore e alle proposte per i vari provvedimenti che egli ha sottoposto al giudice, sia per il modo con cui i provvedimenti stessi sono stati eseguiti; mentre il decreto del giudice delegato non ha natura curatore un'attività autorizzazione. aveva di Con ordine, che vincolata, tale imponga ma pronuncia di la cioè al semplice Cassazione precisato che, affinché la responsabilità del curatore sorga, deve sussistere, tuttavia, sempre una sua condotta colposa o dolosa nell'espletamento delle funzioni e occorre, altresì, che sussista un nesso di causalità tra tale condotta e l'evento dannoso per la massa dei creditori. 4. Fattispecie concrete di responsabilità del curatore relative alla legge fallimentare del 1942 Nella vigenza della abrogata versione della legge fallimentare la casistica era ricchissima e variegata e si riportano alcune fattispecie particolarmente significative affrontate dalla giurisprudenza. Si è affermato che sussisteva una violazione del generico dovere di diligenza — tale da comportare la mancata approvazione del rendiconto — nell'ingiustificato ritardo nella presentazione della relazione prevista dall'art. 33 1. fall., quando Cfr. Cass., 22 aprile 1954, n. 1229, in Dir. fall., 1954, II, pag. 174; in Foro it., 1955, I, c. 699. 10 12 l'inadempimento formale si sostanziava nella totale mancanza di una equiv alente attività informativa.11 In materia esecuzione di della sentenza dichiarativa di fallimento in pendenza del giudizio di opposizione alla medesima, la Corte di Appello di Milano, 12 verso aveva ritenuto l'ex fallito precipitato, senza della sentenza per responsabile il curatore colpa plausibile grave, per motivo, dichiarativa di avere l'esecuzione fallimento, ed escludendo che la sua responsabilità fosse coperta dagli analoghi provvedimenti del giudice delegato. Secondo la Corte milanese la provv isoria eseguibilità della sentenza dichiarativa di fallimento rappresenta una facoltà da esperirsi di caso in caso secondo il prudente arbitrio dell'interessato e in rapporto alle singole circostanze della fattispecie, ma non un obbligo; l'opposizione, la si escludeva sentenza che, pendendo dichiarativa andasse eseguita obbligatoriamente in toto, ossia anche in quelle parti, come la distribuzione dell'attivo, la cui esecuzione, nell'ipotesi dell'opposizione, di importerebbe per accoglimento l'opponente un danno grave e talora irreparabile. Analizzando Corte i caratteri peculiari del caso deciso milanese ha ritenuto curatore, verosimilmente creditori, sembrava comportamento al che, sotto , avere deliberato nella la informato proposito la specie, spinta il dei il proprio di creare, Cfr. Trib. Milano, 20 febbraio 1975, in Dir. fall., 1975, II, pag. 934; più recentemente Trib. Piacenza, 18 luglio 2008 11 12 Cfr. Appello Milano, 30 maggio 1952, in Dir. fall., 1952, 11, pag. 260. 13 come avvenne, il fatto prima della decisione definitiva sull'opposizione proposta dal fallito.. Tale rigorosa soluzione ha trovato conferma nella giurisprudenza di legittimità 13 ove si è ribadito che l'esecutività di dir itto della sentenza dichiarativa di fallimento consente, non obbliga, in pendenza del giudizio di opposizione, a dare inizio o svolgimento alle operazioni fallimentari, così che essa non esclude la responsabilità del curatore per i fatti dannosi dipendent i dalla sua gestione, e cioè dalle sue iniziative l'autorizzazione e istanze, del giudice rispetto delegato alle non quali vale ad eliminare la responsabilità medesima. Precisa la Corte di Cassazione che l'esecutività della sentenza di fallimento è l'esecutorietà di qualsiasi altra sentenza l'esecuzione è soggetta affidata ad al impugnazione, prudente arbitrio dell'interessato, il quale, se agisce senza la normale prudenza, può andare incontro alla responsabilità per danni, prevista nell'art. 96, comma 2 cod. proc. civ. Diversamente è stato deciso 14 che l'ufficio fallimentare ha il potere-dovere di procedere a tutte le operazioni della procedura distribuzione del ricavato ed in particolare alla ai creditori sociali — sebbene penda giudizio di opposiz ione avverso la sentenza di estensione (ad esso) del fallimento; il giudice delegato esclude in tal caso ogni Cfr. Corte di Cassazione, 22 aprile 19 ,54, n. 1229, cit., in « Dir. fall. », 1954, 11, pag. 174. 13 Cfr. Trib. Milano, 25 marzo 1956, Dir. fall. , 1956, 11, pag. 561; in Giur. it. , 1956, 1, 2, col. 742, e in Monit. trib. , 1956, pag. 234. 14 14 responsabilità personale, per l'ipotesi di esito vittorioso per l'opponente del giudizio di opposizione, del curatore, specie se l'iniziativa della vendita e del pagamento provenga dal giudice delegato, che abbia ordinato di procedervi. La responsabilità del curatore che coltivi gli incombenti necessari alla chiusura del fallimento in pendenza di una dichiarazione tardiva di credito, non ancora passata al stata esclusa vaglio del giudice delegato, è in giurisprudenza 15 motivando che l'insinuazione tardiva non può mai spiegare efficacia interruttiva della regolare evoluzione del procedimento fallimentare e che, per contro, il tempo per una sua ut ile ammissione, idonea cioè a farla partecipare ai presentazione, riparti è successivi rimesso alla sua esclusivamente alla diligenza del creditore che l'ha proposta. La giurisprudenza 16 ha inoltre riconosciuto una responsabilità del curatore nei confronti della massa dei creditori nel caso in cui il curatore abbia ritardato la liquidazione dei beni e quindi abbia fatto perdere alla massa la possibilità di conseguire gli interessi attivi dal deposito delle somme riscosse e quando ha dato corso al riparto finale dell'attivo impedendo la partecipazione al concorso del concessionario della riscossione che aveva presentato ricorso per insinuazione tardiva.17 Cfr. Trib. Milano, 11 novembre 1967, Amministrazione delle Finanze c. Marzi, in « Giur. it. », 1969, I, 2, col. 351, e in « Temi », 1968, pag. 334. 15 16 Cfr. Trib. Milano, 20 maggio 1985, in banca dati Il fallimento. 17 Cfr. App. Torino, 17 settembre 1994, ibidem. 15 Sempre in giurisprudenza 18 è stato ritenuto gravemente colposo il comportamento del curatore che ha causato la perdita dei beni inventariati qualora egli abbia gestito il patrimonio immobiliare della società fallita con interventi del tutto insufficienti ed episodici, senza risolvere il problema della custodia e della conservazione dei beni aziendali, che prima del fallimento erano sottoposti a vigilanza con ronda notturna. In giurisprudenza 19 si è ribadito che costituiscono fonte di responsabilità per il cessato curatore illecito sia la violazione dei doveri di intrasmissibilità delle proprie funzioni (artt. 32 e 34) ove manchi apposita autorizzazione, che l'inosservanza del dovere di diligenza (art. 38), ove il professionista si sia avvalso di collaboratori non autorizzati né successivamente dal medesimo controllati, non abbia riferito al giudice sull'amministrazione ed abbia infine omesso di custodire personalmente il libretto bancario del fallimento a lui intestato. Il Supremo Collegio ha quindi ritenuto la sussistenza dell'autonomo illecito extracontrattuale in un caso di concorso di colpa e di r e sponsabilità solidale ex artt. 1292 e 2055 c.c. del curatore con la banca cui erano imputabili le operazioni di sottrazione della provvista destinata al fallimento, non ricorrendo in tale circostanza un avvenimento estraneo alla sfera di prevedibilità e 18 Cfr. Trib. Napoli, 13 marzo 2004, in Riv. dott. comm, 2004, p. 1401. 19 Cfr. Cass. 13 lug. 2007/15668, in Fall, 2008, 353. 16 pr evenibilità del soggetto su cui gravava l'obbligo di custodia. Sempre in giurisprudenza 20 è s t a t o a ffermato che l'abbandono dell'attivo fallimentare da parte del curatore privo di autorizzazione ex art. 35, è fonte di responsabilità verso la massa e può determinare la mancata approvazione del rendiconto; anche la mancata consultazione del fascicolo prefallimentare può costituire fonte di responsabilità. Il curatore può essere chiamato anche a rispondere del pregiudizio sopportato dai creditori per effe tto della ritardata presentazione dei piani di riparto parziali 21; Egli inoltre, può rispondere 22 nei confronti del creditore iscritto al quale non abbia notificato l'estratto nell'ordinanza di vendita; non è responsabile verso la banca che, non essendo venuta a conoscenza, per omessa indica zione da parte del curatore, dell'intervenuto fallimento del correntista, abbia continuato ad adempiere il contratto di conto corrente, effettuando pagamenti a terzi il curatore abbia causato un pregiudizio al patrimonio della massa e non quando detto comportamento sia riferibile a danni arrecati direttamente al fallito, ai creditori od a terzi estranei alla procedura.23 20 Trib. Palermo 18 lug. 2002, in Fall, 2003, 222. Cass. 27 ott. 1982/5623, Dir FALL, 1983, 1I, 63; Ap. Venezia 30 set. 1983, in Fall., 1984, 716; Trib. Milano 14 apr. 1986, in Fall, 1987, 336. 21 22 Cfr. Trib. Venezia 10 nov. 1992, in Fall., 1993, 775. 23 Cfr. Trib. Palermo 10 dic. 1999, in Fall., 2000, 810. 17 La responsabilità del curatore per omessa o tardiva comunicazione ai sensi dell'art. 35 o dell'art. 107 è oggetto di un'approfondita riflessione in dottrina. In mancanza di elementi giudizio, il danno derivante dalla negligente gestione della procedura da parte del curatore, può essere liquidato equitativamente in favore della massa.24 È stato osse rvato che il rendiconto del curatore (v. sub art. 116) non rappresenta solo un'esposizione di singole partite contabili delle entrate e delle uscite (cd. rendiconto di cassa), ma anche una relazione dell'anda mento generale dell'amministrazione, dei criter i seguiti nello svolgimento del proprio incarico e delle giustificazioni delle operazioni compiute.25 In altra fattispecie concreta è stato ritenuto responsabile il curatore che non ha proceduto alle azioni di recupero dei crediti del fallito, senza dimost rare che il mancato esercizio di tali azioni è dipeso da una consapevole valutazione dei negativi risultati che potevano scaturire dai tentativi di realizzo. 26 Si è altresì ritenuto responsabile il curatore nei casi di violazione delle direttive del giudice delegato, di commissione di atti svantaggiosi per la procedura, di esperimento di azioni giudiziarie disastrose e di trascuratezza nell'esperire liti necessarie, nonché di difettosa compilazione dell'inventario, di deficienza 24 Trib. Roma 23 feb. 1995, in Fall., 1995, 1158. 25 Cfr. Trib. Bologna 16 mag. 1991, FALL, 1991, 1091. 26 Cfr. Trib. Piacenza, 18 luglio 2008, nonché Trib. Napoli, ult. cit. 18 della relazione inesattezza del al giudice suo manchevolezze delegato contenuto, di o falsità o omissione o nell'esposizione periodica dell'amministrazione, di mancato adempimento alla richiesta di esibizione dei documenti giustificativi, di intempestiva, negligente o irregolare vendita dei beni, di omessa sorveglianza sull'esercizio provvisorio, di incompleto o falso rendiconto della gestione, e il commissario giudiziale per avere trascurato la sorveglianza nell'adempimento del concordato . La Corte di Cassazione in epoca risalente, ma con riferimento ad una fattispecie sempre attuale, ha ritenuto responsabile il curatore che, consapevole dell'esistenza nella cassa del fallimento di somma ricavata ipotecato, gestione dalla ne subasta disponga fallimentare e fiscale di per occorrenze in le un pagamento immobile di della crediti chirografari, sottraendola, in tal guisa, ai creditori iscritti, sebbene dietro ordine del giudice delegato da lui sollecitato. 27 La responsabilità del curatore è stata – peraltro esclusa nelle ipotesi di: a) manca ta trasmissione, da parte del cancelliere, della sentenza — dichiarativa di fallimento di società irregolare o di fatto soggetta a registrazione sino dall'origine perché enunciativa del rapporto sociale creatosi tra i falliti —all'ufficio per la re gistrazione, non potendo il curatore essere tenuto responsabile — per il pagamento del tributo — dell'inosservanza imputabile al cancelliere; b) mancata annotazione,in entrata e in uscita, nel libro 19 g iornale dell'amministrazione fallimentare, di una somma, non di pertinenza dell'attivo fallimentare, costituendo un'irregolarità formale e non sostanziale e non essendo causati per derivato colpa alcun del danno; custode c) danni preposto alla sorveglianza dei locali in cui sono conservate cose appartenenti all'amministrazione fallimentare, ove il custode non abbia agito in tale sua veste, ma a titolo diverso (nella specie: come portiere dello , stabile) e qualora il danno non sia stato provocato direttamente dalle cose custodite; d) perdita parziale d e l val ore dei beni affidati all'amministrazione del curatore non per cause dipendenti dal suo comportamento, ma per il solo trascorrere del tempo, nelle more imposte cautela richie sta nell'esplicazione del suo mandato28; e) mancata inclusione nel privilegiato di dalla piano spese di riparto processuali del credito attribuite per distrazione, ex art. 93 cod. proc. civ., al difensore di un creditore, allorquando costui sia stato avvertito, a norma dell'art. 116 1. fall., con lettera raccomandata spedita all'avvocato difensore, il quale ultimo, quindi, è stato in tal modo posto in condizione di controllare l'esattezza del conto finale e di presentare osservazioni al giudice delegato a difesa del proprio credito pretermesso. 29 Cass., 18 maggio 1942, n. 1312, in Giur. it. Rep., 1942, voce “Fallimento”, n. 154, 28 Trib. Milano, 26 ottobre 1970, in “Monit. trib., 1972, pag. 65, con nota di Bianchi. 27 29 Cass., 26 marzo 1974, n. 831, in “Dir. fall.”, 1975, 11, pag. 42. 20 Come si vedrà in modo specifico più avanti, si è anche affermato che il curatore del fallimento, qualora sia ritenuto responsabile in relazione alla eccessiva durata della procedura fallimentare per colpevole inerzia o negligenza, condannato a risarcire l'ammonta re del danno relazione alla dell'evento, giudice può presenza quali delegato professionista il e di il di danno essere di erariale; in produttive sorveglianza concomitanza altre essere ridotto concause difetto la deve in procedure capo del al alquanto complesse.30 5. L’azione di responsabilità nei confronti del veniva accertata la curatore. L'azione con la quale responsabilità del curatore era tribunale fallimentare, in di competenza del composizione collegiale, seguiva gli ordinari criteri di competenza una volta che il fallimento veniva sostanzialmente anticipata chiuso e poteva essere svolgendo osservazioni opponendosi da parte dei creditori, al conto della gestione ex art. 116 l.f. . Dal punto di vista processuale condivisibile appare pienament e all'indirizzo della giurisprudenza di Cfr. Corte Conti, Sez. giurisd. Lombardia, 12 dicembre 2005, n. 733, in Il fall., 2006, 1183, con nota di PUSTERLA, Il curatore fallimentare e il risarcimento del danno erariale per eccessiva durata della procedura concorsuale. Nel caso concreto il Ministro della giustizia era stato condannato per la violazione del termine di ragionevolezza del fallimento (19 anni) e il curatore era stato assoggettato alla giurisdizione contabile con un'azione di responsabilità per danno erariale; nel caso di specie si è ritenuto che la prescrizione iniziasse a decorrere dal momento in cui il debito dell'erario fosse stato accertato con sentenza passata in giudicato. 30 21 m e r i t o31, secondo cui la competenza a decidere la fase contenziosa del procedimento di opposizione al contro della gestione deve essere riconosciuta al Tribunale in composizione collegiale, in considerazione del condivisibile rilievo connesso alla consumazione della "potestas decidendi" del giudice delegato ad esito della verifica che deve precedere il decreto con cui egli ordina il rendiconto- art. 116 l. fall. comma 2. deposito del 32 Ulteriore problema è costituito dal coordinamento tra il rinvio che l'art. 116 l. fall. compie all'art. 189 c. p.c. e la disciplina codicistica dell'iter processuale con riferimento giudice delegato alla competenza a funzionale partecipare al del giudizio contenzioso sul rendiconto. Si ritiene possono sent. di aderire a tutte le implicazioni che trarsi dall'affermazione del S.C. (sez. 1, 13274 del 05.10.2000) secondo cui il pur possibile cumulo del giudizio di rendiconto ex art. 116 l. fall. con il diverso ed autonomo giudizio di responsabilità del curatore, non può sottrarsi alle regole comuni del " procedimento stabilite per il giudizio di cognizione ordinario "- che nel caso di specie impongono la notificazione della relativa domanda, in quanto non assorbita in quell a di non approvazione del conto . In conclusione, ferma la riserva di collegialità in Cfr. Trib. Piacenza, 18 luglio 2008, Trib. Palermo, 18.07.2002; Trib Napoli, 28.02.2001, Trib. Ragusa, 17.02.1999; contra : Tribunale Bologna, sent. del 23.01.1998 31 Cfr. Tribunale Tre viso, sent. del 27.10.1998, Trib. Roma del 30 marzo 2004. 32 22 ordine alla decisione nella suddetta fase contenziosa del procedimento di approvazione del conto, resta la competenza funzionale funzione giu dice di procedimento che del giudice istruttore, è delegato nell'ambito caratterizzato di in un dall'ordinaria sequenza di cui agli artt. 180,183 e 184 c. p. c.. Pertanto il giudice istruttore del giudizio sorto a seguito dell’opposizione al conto della gestione, ben può essere il giudice delegato del fallimento, in quanto il giudizio di opposizione è stato promosso autonomamente da un creditore e quindi, senza alcuna autorizzazione da parte del giudice delegato. Va, altresì, ribadito, il principio più volte affermato in giurisprudenza, secondo cui "il giudizio che s'instaura, ai sensi dell'art. 116 legge fall., in caso di mancata approvazione del rendiconto della gestione del curatore può avere ad oggetto non solo gli errori materiali, le omissioni ed i criteri di conteggio, ma anche il controllo della gestione del curatore stesso e l'accertamento delle sue personali per il compimento pregiudizio alla di massa atti o che ai responsabilita' abbiano diritti dei arrecato singoli creditori. 33 In dottrina e giurisprudenza, infatti, non si registrano incertezze sul fatto che il rendiconto del curatore debba essere un vero e proprio rendiconto di gestione e non già soltanto di cassa, onde si spiega perché costituisca ormai "ius receptum", sia nell'ambito della giurisprudenza di legitt imità che di merito, l'affermazione secondo cui "…l'oggetto del 33 Cfr. Cass. Sez. 1 n. 547/2000; n. 10028/1997. 23 giudizio “di approvazione del rendiconto” , al di la' della sua strutturazione formale e della fase in cui si trova, attiene comunque al controllo (da parte del giudice delegato, dei creditori ammessi al passivo e del fallito) della gestione, responsabilita' personale patrimonio quest'ultimo di (art. fonte 38 di eventuale legge effettuata fall.), dal del curatore … ” . 34 L a giurisprudenza della Suprema Corte ha anche avuto modo di precisare che: "In ipotesi di azione risarcitoria del fallito nei confronti del curatore, del quale venga prospettato dedotta al una tribunale responsabilità circostanze per non aver veritiere (nella specie, esistenza di una società di fatto, così provocandone la dichia razione di fallimento), in tema di responsabilità processuale aggravata (art. 96 c.p.c.) fatta valere con riferimento ad una procedura fallimentare, regola del deve necessariamente “simultaneus medesimo giudice, atteso l’azione risarcitoria processus” che postula anche che applicarsi la dinanzi al in tal caso l’affermata inesistenza delle predette circostanze (nella specie, l’inesistenza della società di fatto) debba farsi valere contestualmente all’atto di opposizione avverso la sentenza dichiarativa di fa llimento al fine di ottenerne la revoca (a prescindere dalla circostanza che l’eventuale responsabilità del curatore sia, come nella specie, più correttamente riconducibile alla violazione del principio del “neminem laedere” di cui Cfr. Cass. sez. 1, sent. 3696 del 28.03.2000; nella giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Palermo, 18.07.2002 in "Il Fallimento" 2003 pag. 781; Trib Napoli, 28.02.2001 in "Il Fallimento 2002" pag. 60. 34 24 all’art. 2043 c.c. che non alla norma ex art. 96 c.p.c.), risultando legittima la proposizione dell’azione e x art. 96 citato in un autonomo giudizio nella sola ipotesi (non ricorrente, all’evidenza, nella specie) che il “simultaneus processus ” sia precluso da ragioni attinenti alla struttura stessa del processo e non dipendenti dall’inerzia della parte". In capo ai singoli configurabile creditori anche la 35 veniva possibilità ritenuta di esperire un'azione ordinaria ai sensi dell'art. 2043 c.c. per le attività colpose realizzata dal curatore che avessero determinato un danno ingiusto ad altri ed in proposito si faceva l'ipotesi di danni per affermazioni mendaci contenute nella relazione ex art. 33. 6. Il ruolo e le responsabilità del curatore a seguito della riforma del diritto fallimentare; in particolare il grado di diligenza richiesto e la natura della responsabilità del curatore nel nuovo “sistema fallimentare” Alle ipotesi classiche di responsabilità del curatore vanno aggiunte altre ipotesi alla luce del nu ovo ruolo e dei nuovi compiti attribuiti dalla legge fallimentare al curatore alla luce della riforma del diritto fallimentare del 2006, completata con il D. Lgs. N. 169/07, in cui è stato ridimensionato il ruolo del Giudice Delegato e potenziato quello del curatore e del comitato dei creditori. 36 35 36 Cass. 26.8.2002, n. 12541, MGI, 2002) Per il ruolo di tale organo si rinvia a Inzitari, op. cit. 25 Il nuovo testo dell'articolo 32 l.f., prevede, - così come per il passato - che il curatore debba agire con l a diligenza richiesta dalla natura dell'incarico; l’indicazione normativa consente di definire in termini generali il contenuto del dovere di diligenza richiesto al curatore. Pertanto il punto minimo di partenza sarà costituita, così come per il passato dalla diligenza di cui all’art. 1176 c.c. anche concretamente se secondo esigibile q uella alcuni sarà richiesta dalla natura dell’incarico ai sensi dell’art. 1176 comma 2. 37 Altra dottrina ha osservato che il riferimento alla natura dell'incarico e il diverso ruolo di gestione attiva del patrimonio, conducono all'applicabilità (negata in passato) dell'art. 2236 c.c. (responsabilità del prestatore d'opera), quale parametro per individuare e valutare la responsabilità del curatore. A tale considerazione si giunge proprio a causa del mutato ruolo del curatore nell’ambito del fallimento e della la nuova dimensione, pienamente gestoria, attribuita dalla comportante la riforma alla soluzione di figura problemi speciale difficoltà e varietà la quale potrebbe in parte limitare del la curatore, tecnici di si è detto - responsabilità e discriminare le ipotesi di operare il limite della colpa lieve, con la conseguenza che il curatore dovrebbe ve- CFr. Mandrioli, Il curatore fallimentare: ruolo e compiti, in www.i.caso.it, sez. II, doc. n. 66/2007; cfr. altresì Forgillo, Il ruolo del curatore fallimentare nella riforma, ove si precisa che il nuovo testo “correla la diligenza del nuovo curatore a quella professionale, sicchè importando un richiamo all’art. 2236 c.c. prelude quanto sino ad oggi s’ammetteva col richiamo alla diligenza generale, cioè la possibilità di accusarlo per colpa lieve”. 37 26 rosimilmente rispondere, applicando analogicamente l'art. 2236, solo per dolo e colpa grave.38 A tale soluzione si contrapposto formulazione de lla norma che sancisce la a nuova carico del curatore un criterio di condotta identico a quello previsto dall'art. 2392 c.c. per gli amministratori di società per azioni, cioè quello dell'avveduto gestore. Come già evidenziato i “nuovi” compiti gestori del curatore (ereditati dal Giudice delegato) hanno spinto alcuni commentatori responsabilità a ad quella accostare degli la sua amministratori di società di capitali. Si è poi osservato che se tale accostamento appare la dizione più che plausibile, atteso che dell'a rt. 38, comma dell'art. 2392, comma 1, c.c., 1, ripete quella tale argomentazione non può essere utilizzata per individuare una soglia di “minore diligenza”, avrebbe utilizzato la «specifiche competenze» che è stata poiché il legislatore locuzione relativa non alle indicata dall’art. 2392 c.c. omessa in relazione alla responsabilità del curatore. La maggioranza della dottrina recupera tale omissione rilevando che sarebbe pleonastico richiedere specifiche competenze al curatore, atteso che esse, data la sua veste di professionista, sono condizioni insite nel conferimento dell'incarico. Si è peraltro osservato che ad un curatore fallimentare si può richiedere le competenze che sono tipiche della professione di appartenenza, e quindi competenze giuridiche o economico-giuridiche, non Cfr. Pajardi - Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, pag. 245 ss. 38 27 anche quelle che sono appannaggio di altre professioni o ad altre branche della scienza. Va però sottolineato come – attualmente – il curatore ha la possibilità di professionisti nominare per la singoli soluzione esperti di e questioni particolari e pertanto l’eventuale responsabilità ben può essere fatta rientra nell’ambito della culpa in vigilando o eligendo. Si è infine sottolineato che il munus è diverso da quello che caratterizza gli amministratori responsabili nei confronti della società; il curatore è pubblico ufficiale i cui compiti sono prevalentemente fissati dalla legge, per cui non si è ritenuto di consentirgli di invocare anche la limitazione connessa alle specifiche competenze.39 Va comunque ricordato che stabilisce con precisione legge fallimentare quali sono i non doveri dell'ufficio che il curatore deve adempiere ma si limita a rinviare, tra l'altro, agli obblighi derivanti dal piano di liquidazione approvato, sottolineando così il carattere di obbl igatorietà delle previsioni contenute nel piano alle quali il curatore deve dare completa attuazione. 40 Peraltro si è evidenziato che la responsabilità del curatore è da ancorare innanzitutto alla violazione d e l dovere generico di corretta amministrazione: il curatore deve regolare amministrazione, 39Cfr. 40 osservare elementari quindi è principi di tenuto al Pajardi - Paluchowski, cap. VI, § 4.11. Cfr. Ruggiero, in Ferro, La legge fallimentare, Padova, 2007, pag. 292. 28 risarcimento dei danni scaturiti da scelte palesemente irrazionali. In ordine curatore, alla in natura delle dottrina,41 si è responsabilità affermato che del “ … certamente, in merito agli eventi forieri di danno e al grado di diligenza che deve caratterizzare la condotta del curatore, il testo introdotto dal legislatore del 2006 risulta più esplicito di quello ereditato dal 1942. Come già osservato l’individua zione della “diligenza” come quella “richiesta dalla natura dell'incarico”, era stato già compiuto dalla dottrina, che aveva sostenuto la necessità di parametrare la diligenza del curatore non a quella ordinaria del buon padre di famiglia (art. 1176, comma 1, c.c.), ma a quella qualificata dalla professionalità dell'incarico (art. 1176, comma 2). Era rimasto tuttavia parzialmente irrisolto il dilemma sulla natura contrattuale o extracontrattuale della responsabilità del curatore e tale problema appare ora ancora più attuale e rilevante. Come già sopra evidenziato l'inadempimento contrattuale presume la colpa del prestatore, per cui il soggetto danneggiato si limita alla prova dell'inadempimento e del danno subito, spettando al prestatore provare la «impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile» (art. 1218). Qualora si volesse aderire all’orientamento “riduttivo” sopra richiamato, si osserva che la prestazione, che costituisce l'obbligazione contrattuale, se «implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà”, 29 il prestatore non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave» (art. 2236): non vi sarà quindi la responsabilità quando l'inadempimento è causato d a colpa lieve . L'azione di responsabilità contrattuale si prescrive in dieci anni (art. 2946) a decorrere dal giorno in cui si è verificato il danno. Il danneggiato che agisce invocando la responsabilità aquiliana , di converso, deve provare, oltre alla condotta illecita dell'autore e il rapporto causale tra la condotta e il danno, anche la colpa o il dolo dell'autore liberarsi medesimo, dalla e quest'ultimo responsabilità, proprio non può perché ha commesso un atto non dovuto, eccependo la colpa lieve. Inoltre la responsabilità si prescrive in cinque anni, de correnti dal giorno in cui l'atto dannoso si è verificato (art. 2947); la giurisprudenza tende a far decorrere la produzione diventando prescrizione del danno dal si oggettivamente memento manifesta in cui la all'esterno percepibile e riconoscibile; sorger à pertanto il problema se tale momento sia individuato nel deposito in cancelleria della documentazione vendita dell’azienda ad giustificativa un prezzo (ad esempio ritenuto non congruo) o al momento del deposito del conto della gestione (tale momento sarà sicuramente rilevante con riferimento alla condotte omissive). Come già ricordato si contrapponevano due soluzioni contrastanti; in favore della tesi della responsabilità contrattuale vi erano (e vi sono) i seguenti elementi: 41 Cfr. Verna, in Riv. Dott. Comm., 2010, pag. 163 ss. 30 a ) l'ufficio di curatore è esplicitamente un incarico ( munus publicum ), quindi un mandato, ovvero un contratto col quale un professionista, che accetta, viene investito dal tribunale dell'obbligo di compiere una serie di atti giuridici nell'interesse della giustizia e di una massa di creditori; siamo ampiamente dentro lo schema di cui all'art. 1710 c.c.; b) la configurabilità della responsabilità del curatore in dipendenza dall'inadempimento dei doveri «derivanti dal piano di liquidazione», ovvero da un atto tipicamente negoziale, frutto dell'incontro di più volontà, milita decisamente a favore della natura contrattuale di tale responsabilità; c) ogni sei mesi il curatore redige un «rapporto riepilogativo delle attività svolte... accompagnato dal conto della sua gestione», che viene trasmesso alla massa dei creditori e alla cancelleria del tribunale (art. 33, ult. comma) e ciò costituisce adempimento tipico di un mandato; d) al termine del mandato il curatore presenta il rendiconto delle attività svolte all'autorità giudiziaria e a t utti i creditori (art. 116); e ) l'esplicita richiesta di una «diligenza professionale» da correlarsi con la «natura dell'incarico» è configurabile solo con la responsabilità contrattuale; f) il mandato di curatore ha un oggetto che non è stabilito dalle parti, ma è predeterminato dalla legge; l'eventuale confronti inadempimento di nell'interesse doveri della si pone specifici giustizia e e della quindi nei prestabiliti massa dei creditori, non nei confronti di doveri astrattamente elencati, come quelli che danno luogo agli atti illeciti; 31 g) la responsabilità da mandato nasce per l'inadempimento di doveri, mentre quella da atto illecito dalla contravvenzione a divieti; h) atteso che il curatore può essere responsabile sia di atti omissivi che commissivi, solo questi ultimi, se si eccettua la disciplina penale, sono forieri di responsabilità da illecito, mentre la responsabilità contrattuale nasce anche da quelli omissivi. Va evidenziato fallimento” una il volta curatore di più deve che nel esprimere “nuovo ca pacità manageriali sul piano dell'organizzazione ed anche naturalmente su quello della gestione del lavoro e delle professionalità altrui di cui può avvalersi ex art. 32. Infatti il co. 2 dell'art. 32 consente al curatore di ottenere l'autorizzazione del comitato dei creditori a farsi coadiuvare sotto la sua responsabilità. Può essere quindi fonte di responsabilità sia la scelta di coadiutori (culpa in eligendo ), che la mancata vigilanza ordinaria sull'attività di questi (culpa in vigilando ) ed inoltre la circostanza di non essersi avvalso di un esperto pur essendo consapevole di non e ssere in grado di far fronte al problema La diligenza assicurata del anche curatore in deve relazione inoltre al essere controllo sull'operato dei delegati e dei coadiutori di cui all'art. 32. Sicuramente il curatore sarà responsabile per l'impiego non autorizzato di delegati e coadiutori: in dottrina si è sottolineato che il danno sofferto dai creditori sarà attribuito o meno alla detta circostanza 32 sulla base dei criteri relativi all'individuazione del nesso di causalità tra condotta illecita e danno). . La culpa in eligendo si configura peraltro se la scelta è caduta su soggetto non iscritto ad albo professionale, o privo di abilitazione professionale, o con discutibili trascorsi professionali. La legge non intende attribuire al curatore una responsabilità per il fatto altrui: si è pertanto affermato che il curatore sarà responsabile delle conseguenze dannose derivanti dalla violazione del dovere di prov vedere personalmente all'esecuzione di compiti di cui è incaricato pur con la collaborazione, debitamente autorizzata, di coadiutori; di conseguenza il curatore potrà essere derivante tenuto dal non responsabile avere del controllato pregiudizio l'attività dei coadiutore ove il controllo fosse possibile. Si è così esemplificato in dottrina: al curatore non si potrà imputare di non avere nuovamente contato migliaia di confezioni quantificate disposto presenti dal in un coa diutore, un'ulteriore verifica magazzino bensì in di caso e non di già aver vistosa discordanza tra i dati contabili e quelli riferiti dal coadiutore. Conclusivamente, si concorda con l'autore nel ritenere che il fatto doloso o colposo del coadiutore, non impiegando la impedibile dovuta dal diligenza, curatore comporterà pur la responsabilità del solo coadiutore (salva pur sempre la verifica del contenuto della proposta del curatore al comitato dei creditori relativamente al grado di difficoltà dell'inca rico ed all'idoneità del soggetto proposto), mentre a determinare la responsabilità del curatore sarà la colpevole inosservanza dei doveri 33 inerenti l'ufficio. Rispetto ai delegati per specifiche operazioni previsti dal co. 1 dell'art. 32, il curatore risponderà anche in questo caso per culpa in eligendo o comunque ex art. 1717, co. 3 (“il mandatario risponde delle istruzioni che ha impartito al sostituito”). In dottrina 42 si è poi osservato che la natura contrattuale dell'azione di responsabilità fa sorgere una ulteriore considerazione. Si è detto a tale proposito che “… riconoscendo la profonda diversità, sia teleologica sia formale, fra impugnazione del conto della gestione ed azione di responsabilità, una volta approvato detto rendiconto (anche per silenzioassenso) da tutti i creditori concorsuali regolarmente avvertiti della fissazione dell'udienza ex art. 116, comma 3, non può più essere esercitata l'azione di responsabilità almeno con riferimento alle operazioni indicate nel rendiconto medesimo. Vero è che “il giudizio di rendiconto non si svolge più nelle forme della cognizione ordinaria e non si conclude con sentenza, ma con ... decreto motivato che potrebbe essere anche suscettibile di revoca”, ma ciò comporta solo che le operazioni indicate nel rendiconto potrebbero essere contestate e forma re oggetto anche di un'azione di responsabilità contro il curatore solo previa revoca del rendiconto medesimo”. Le considerazioni che precedono e l'arricchimento del novero degli eventi-danni rispetto al testo previgente, ovvero l'introduzione, accanto ai “doveri del proprio ufficio imposti dalla legge”, di quelli “derivanti dal 42 Cfr. Verna, op. cit. 34 piano di liquidazione approvato” ex art. 104-ter l.f. fa propendere, - a nostro avviso - decisamente, per la soluzione della responsabilità contrattuale. *** Tra gli elemen ti altri costitutivi responsabilità del curatore, della si annovera senza dubbio l'intenzionalità della condotta causativa del danno. Occorre – peraltro - che si verifichi un danno, che, con riferimento alla condotta del curatore, non può che avere, salvo casi paradossali, natura patrimoniale, e che sussista un nesso eziologico fra condotta e danno medesimo. 7. Le specifiche fattispecie di responsabilità del curatore nel “nuovo fallimento”. Il nuovo assetto dei rapporti interorganici determinato dalla riforma, ha inizialmente indotto il legislatore suddividere la il dei curatore a ed meccanismo comitato della responsabilità creditori solidarietà, tra il tramite il mentre con il successivo correttivo (d.lgs. 169/2007) si è esclusa la solidarietà per le omissioni di vigilanza, più precisamente si è disposto che l'art. 2407, co. 1 e 3, c.c. è applicabile ai componenti del comitato dei creditori in quanto compatibile. Occorre, pertanto, al fine di delineare un nuovo “catalogo” di responsabilità in capo al curatore, direttamente conseguenti al ruolo di gestore diretto della procedura, affrancato dal “direzione” del Giudice delegato, analizzare i principali compiti che gli vengono attribuiti dalla legge fallimentare. 35 Va tuttavia anticipato che curatore non può delegare ad altri le sue funzioni tranne che per singole operazioni e con una apposita autorizzazione : si ha allora la figura del "delegato" che sostituisce il curatore in specifici adempimenti. Anche in relazione a questo istituto il legislatore del de creto correttivo è intervenuto trasferendo un'ulteriore competenza dal giudice delegato ad un organo di matrice privatistica. Mentre infatti la riforma prevede che sia il giudice a prov vedere alla nomina del delegato del curatore, la rinnovata formulazione dell'art. 32 se da un lato limita le funzioni delegabili escludendo quelle previste dagli arti. 89 (predisposizione degli elenchi dei creditori), 92 (formulazione dell'avviso circa l'udienza di verifica), 95 (predisposizione del progetto di stato passiv o l'esame), e partecipazione 97 all'udienza (comunicazione fissata dell'esito per del- l'accertamento del passivo) e 104-ter (predisposizione del programma di liquidazione) dall'altro attribuisce al comitato dei creditori il potere di autorizzare la dele g a . Può invece accadere che il curatore non necessiti di essere sostituito in una specifica attività ma debba opportunamente essere affiancato da un collaboratore o da un esperto per un singolo affare o per tutta una serie di attività di un certo tipo (ad esempio questioni legali in materia di revocatorie). In tali fattispecie, previa autorizzazione del comitato dei creditori, il curatore potrà farsi assistere da tecnici o da altre persone retribuite, compreso il 36 fallito (e si ha allora la figura del "coadiutore" che affianca il curatore ma non può compiere autonomamente alcuna attività allo stesso riservata). Per tali ipotesi potrà naturalmente configurarsi una culpa in vigilando o in eligendo . Per quanto riguarda i soggetti delegati per specifiche oper azioni, che vengono nominati dal comitato ai sensi dell'art. 32 co. 1, su indicazione del curatore, questi risponde o per l'incauto suggerimento (quindi ancora una volta in eligendo se suggerisce un soggetto che non ha i requisiti di idoneità e capacità per l'incarico) o, comunque ai sensi dell'art. 1717 comma 3, per le istruzioni date ai soggetti incaricati, ove le medesime siano state incomplete o foriere di danni. Si osserva in dottrina che sebbene il legislatore abbia sostituito il Giudice delegato con dei creditori nel rilascio delle comportano scelte di merito, medesimo risultato di il comitato autorizzazioni che non si è riprodotto il alleggerimento da responsabilità, che secondo parte della dottrina e della giurisprudenza, curatore eseguiva il si determinava provvedimento q uando il autorizzatorio emesso dal giudice. *** Tra i nuovi compiti affidati al curatore vi è quello primario è quello di provvedere alla predisposizione del progetto di stato passivo, secondo quanto previsto dall’ art . 95 l.f. Sebbene anche nella previgente disciplina fosse prevista la predisposizione dello stato passivo (co37 siddetto doveva stato passivo essere provvisorio), compiuta del giudice l'assistenza del curatore e portava tale attività delegato con alla formulazione di un progetto da depositare in cancelleria in modo da essere poi esaminato ed eventualmente corretto in sede di verifica dello stato passivo; nella realtà tale adempimento era quasi sempre omesso e i creditori venivano a conoscenza degli or ientamenti dell'ufficio solo in sede di verifica. La nuova formulazione dell'art. 95 ripropone l'adempimento ma ne attribuisce la responsabilità esclusivamente al curatore il quale, sulla base delle domande esclusa tempestivamente ogni depositando cancelleria il pervenute ammissione progetto trenta giorni (e d'ufficio), di stato prima quindi deve passivo dell’udienza – tin di formazione dello stato passivo - non solo predisporre gli elenchi separati dei creditori e dei titolari dei diritti sui beni mobilio immobili in possesso del fallito, motivando la sue conclusioni, ma deve anche "eccepire i fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto fatto valere, nonché l'inefficacia del titolo su cui sono fondati il credito o la prelazione, anche se è prescritta la relativa azione". In dottrina si è osservato che è questo un ruolo particolarmente delicato in quanto muta sostanzialmente il profilo della responsabilità del curatore che mentre prima poteva affidarsi al consiglio e al giudizio del giudice delegat o ora deve operare in modo del tutto autonomo, avendo assunto il giudice una posizione di assoluta terzietà che comporta il divieto, a pena di ricusazione, di 38 fornire una qualche indicazione sulla linea da seguire. Tenuto conto della delicatezza della posizione del curatore in sede di accertamento del passivo e della sua responsabilità per eventuali omissioni nel proporre eccezioni che avrebbero potuto portare alla non ammissione di un credito o di una garanzia non mi sembrerebbe fuori luogo che, nell'ipo tesi in cui la nomina non curatore si abbia faccia privilegiato autorizzare un dal avvocato, comitato il dei creditori a farsi assistere da un coadiutore legale proprio per l'esame delle domande quando le stesse presentino profili particolarmente problematici. E’ evidente che in caso di ammissione di crediti non dovuti o di mancata indicazione di prescrizioni, potrà configurarsi una responsabilità del curatore per il danno subito dagli altri creditori concorrenti con il credito ammesso. Con riferimento all’obbligo di redigere la relazione ex art. 33 l.f., le modifiche introdotte dalla novella appaiono di rilievo sotto il vigore in quanto, mentre si riteneva della vecchia normativa che si trattasse di un atto diretto unicamente al giudice delegato, l'attuale formulazione del 4° co. dell'art. 33 la rende un atto conoscibile e diretto anche dal comitato che dei creditori, posto ne prevede il deposito in cancelleria nel fascicolo fallimentare al quale tale organo ha libero accesso, con la sola eccezione dell’ipotesi di segretazione disposta dal giudice delegato delle parti relative alla responsabilità penale del fallito o di terzi e alle 39 azioni che il curatore intende proporre nei confronti degli amministratori. La nuova legge fallimentare ha ampliato il termine per il deposito della relazione, portato a sessanta giorni dalla dichiarazione di fallimento, prevedendo poi il deposito di una ulteriore relazione ogni sei mesi. Infatti, mentre la precedente disciplina prevedeva che mensilmente il curatore dovesse indirizzare al solo giudice delegato "un'esposizione sommaria della sua amministrazione", la novella compie un passo rilevante in direzione della conoscenza e quindi della trasparenza dell'attività del curatore in quanto dispone che il medesimo , ogni sei mesi successivi al deposito della relazione, rediga " un rapporto riepilogativo delle attività svolte con indicazione di tutte le informazioni raccolte dopo la prima relazione, accompagnato dal conto della sua gestione". Il rapporto deve essere delle imprese, dei creditori, depositato presso il registro ed è trasmesso in copia al comitato unitamente agli estratti conto dei depositi della procedura. Il comitato dei creditori e ciascuno dei suoi membri possono formulare osservazioni scritte che vengono allegate ad altra copia del rapporto che deve essere trasmessa per via telematica all'ufficio del registro delle imprese entro quindici giorni dalla scadenza del termine per il deposito del rapporto in cancelleria. Appare chiaro l'intento del legislatore da un lato di far esercitare un controllo diffuso sull'attività del 40 curatore, che mediante la pubblicazione nel registro delle imprese diviene sostanzialmente conoscibile da chiunque, e dall'altro di far uscire la procedura dal chiuso degli uffi ci giudiziari in modo che i creditori si possano rendere conto dello stato in cui la stessa si trova e delle ragioni per cui è ancora pendente. Ci si deve domandare se il termine per l’esercizio di eventuali azioni di responsabilità decorrerà dal deposito del rapporto – unitamente al conto della gestione relativo al periodo - presso il registro delle imprese o se, invece, il termine sarà quello del deposito del conto finale ex art. 116 l.f. Altra importante novità potenziali ipote si curatore - è costituita di di redazione responsabilità in capo al dall'obbligo per quest’ultimo entro predisporre, che può dare luogo a sessanta dell'inventario, il giorni dalla programma di liquidazione (art. 104-ter). Si tratta di uno degli adempimenti “centrali” del n uovo fallimento, nonché il vero banco di prova della capacità manageriale richiesta al curatore nella “nuova”procedura. Nel sistema anteriore alla riforma la liquidazione dei beni, che non avrebbe dovuto tendenzialmente iniziare prima del termine delle operazioni di verifica dei crediti, era rimessa, quanto ai tempi e alle modalità, alle decisioni prese di volta in volta dal curatore con l'approvazione del giudice delegato. Con la previsione del programma di liquidazione cui scopo è non - il solo quello d i r e ndere edotti i creditori delle linee sulle quali intende muoversi il curatore ma di far sì che la liquidazione dei beni non 41 avvenga "in ordine sparso" ma seguendo un progetto ben definito quanto ai tempi e ai modi e soprattutto sia inserita nel più ampio scenario dell'amministrazione del patrimonio – il legislatore ha previsto che il curatore predisponga un atto di pianificazione e di indirizzo in ordine alle modalità e ai termini previsti per la realizzazione dell'attivo, consentendo, pertanto, ai formulare ragionevoli aspettative in creditori di ordine al momento del pagamento del loro credito. Il programma deve contenere le valutazioni del curatore circa l'opportunità dell'esercizio provvisorio dell'impresa 43 o di rami d'azienda ovvero l'opport unità di autorizzare l'affitto di azienda o di suoi rami, la comunicazione dell'esistenza di eventuali proposte di concordato, la valutazione circa le azioni risarcitone, recuperatorie e revocatorie da intraprendere, nonché (come ha aggiunto il decreto correttivo) il loro possibile esito (previsione che ha un senso solo se riferita alla concreta possibilità di soddisfacimento in relazione alle capacità economiche del revocando, posto che le azioni si dovrebbero a rigor di logica proporre solo nella prospettiva ragionevole di vincerle), le modalità della vendita dei beni, e cioè se in blocco o singolarmente, e a quali condizioni. Il programma, secondo la formulazione della novella, deve essere sottoposto all’approvazione dei creditori, che può proporre del comitato modifiche, Sulle eventuali responsabilità in capo al curatore per tale de licato aspetto cfr. par. 9. 43 42 e al Giudice delegato per l’autorizzazione degli atti ad esso conformi. Si è detto che a seguito delle predisposzione del programma di liquidazione si configura un avvicinamento della responsabilità a quella del mero p r o f e ssionista : pur se l'incarico è pubblico, il suo contenuto non cambia, il curatore cioè è pubblico ufficiale ma le modalità pratiche di svolgimento del suo incarico (per quelle attività che sono svolte di regola da professionisti) sono analoghe a quelle del professionista; non riteniamo pertanto condivisibile quella soluzione secondo potrebbe portare ad cui tale considerazione una applicazione analogica del 2236 c.c. limitando la responsabilità al dolo e alla colpa grave quando il problema da risolvere è un pr oblema tecnico di speciale difficoltà.44 In dottrina ci si è altresì domandati quale sia la funzione ed il ruolo, in relazione alla responsabilità dell'organo gestorio della omissione della informativa che, per gli atti di straordinaria amministrazione potenzialmente depauperatoci di valore superiore a 50.000 euro e per tutte le transazioni (ex art. 35), nonché per le vendite (art. 107), il curatore deve rendere al giudice delegato prima del compimento dell'atto. L'omissione della comunicazione e/o del deposito della documentazione, da un lato può essere valutata ai fini della revoca, e inoltre, ove l'atto sia poi concretamente dannoso, integra 44Cfr. una carenza di Cataldo, Il controllo sugli atti del curatore ed il regime della responsabilità, in Il Fall., 2007, 1024; Cfr. Patti, Il curatore nella nuova procedura di liquidazione concorsuale, in Il Fall,, 2005, 724. 43 diligenza e di onere di relazione che è certamente foriera di responsabilità per l'organo che l'ha posta in essere; infatti la carenza di informazione può avere impedito al giudice delegato di intervenire, tramite convocazione degli organi e il tentativo di dissuasione o rimozione dell'organo stesso. Ad avviso di chi scrive, l'informativa è una sorta di sistema di « doppio controllo » che il legislatore, deciso ad eliminare l'ingerenza decisionale nel merito del giudice delegato, ha posto per lasciare una sorta di “salvagente per ogni evenienza” che consente una supervisione di legittimità (ma per certi aspetti tecnico-giuridici direi anche di merito immediata) o, comunque di allertare gli organi di controllo in generale. È, cioè, un probabile residuato della scarsa fiducia nel solo controllo del comitato dei creditori. Se l’ omissione di informazione ex art. 35 può certo servire a ridurre od escludere le responsabilità del comitato dei creditori ed eventualmente del Giudice delegato, essa sarà valutabile ai fini della revoca e per l'esercizio, ovviamente, di quell'attività di sorveglianza che concretamente finisce per accertare se le condotte in generale poste in essere dal curatore rispondono ai criteri direttivi di comportamento dettati da ogni tribunale e, quindi, se esso meriti di vedersi rinnovata la fiducia con altre nomine. Una particolare attenz ione va posta nei confronti dell'attività di informativa di cui al 107, riguardante la vendita in generale di mobili ed immobili, ove è previsto che il curatore depositi la documentazione attestante la documentazione relativa alle procedure 44 competitive poste in essere per propiziare l'alienazione ed il loro risultato. L'onere è duplice e riguarda il comitato ed il giudice delegato. Il giudice deve essere reso edotto della situazione perché può impedire il perfezionamento della vendita, entro 10 giorni dal deposito della documentazione, se il prezzo offerto risulti notevolmente inferiore a quello di vendita; in ogni caso non può assumere l'iniziativa d'ufficio, ma solo su istanza del fallito, del comitato o di altri interessati. La circostanza che nessuno di questi soggetti, pur informato, abbia chiesto la sospensione o il blocco, non esime certo il curatore dalle sue responsabilità per avere liquidato fallimentare ad un i valore cespiti del inferiore patrimonio a quello di mercato o di stima, né le riduce, caso mai integra proprio uno di quei casi in cui vi è possibile corresponsabilità del comitato, in quanto il controllo efficace avrebbe impedito il perfezionarsi dell'atto ed il prodursi, correlativo, del danno (non si reputa infatti che la responsabili tà per omissione di vigilanza debba intendersi incompatibile con la figura del comitato dei creditori, nemmeno dopo la modifica apportata dal correttivo). Da parte di alcuni autori, si è sottolineato che anche stessa potestà di scelta autonoma dell'ist ituto bancario – ora rimessa alla discrezionalità del curatore - può divenire fonte di responsabilità ad esempio in caso di dissesto dell'istituto di credito, qualora vi fossero elementi di allarme percepibili. 45 Non appare configurabile una responsabilità per il mancato deposito delle somme nei 5 giorni: infatti se da un lato il termine è stato ampliato a 10 giorni entro i quali eseguire la scelta dell'istituto e la apertura del conto sottolineato come motivato o libretto, dall’altro si è il mero ritardo di poco conto, ragionevolmente, esso non è rilevante, inoltre va sempre valutato insieme ad altri elementi per giustificare la revoca. Si collocano al di fuori di tali fattispecie le situazioni di ritardati depositi per periodi prolungati di denaro o – naturalmente - la sottrazione delle somme prima o dopo il deposito45, eventi riamente, il curatore dovrà dei quali, rispondere necessa anche in sede penale. *** A tali ipotesi si possono aggiungere le fattispecie più varie connesse alla concezione pr opugnata dal legislatore che l'impresa come valore aggiunto ed aggregazione produttiva vada salvata, assicurandone, ogni volta che è possibile, la prosecuzione dell'attività anche in capo a terzi; da ciò deriva l’esigenza di conduzione di questa attività, di amministrazione di un complesso produttivo, attività definita di governance 46 dell'impresa in d efault. Per tale fattispecie cfr. Trib. Lecce, 5 novembre 2009 che ha individuato una responsabilità contrattuale concorrente dell’istituto di credito. 45 Cfr. Panzani, La riforma delle procedure concorsuale introdotta dalla legge n. 8012005 e dal decreto attuativo approvato in via definitiva: regime transitorio ed impatto sulla gestione della crisi, relazione al Convegno Paradigma del 15 febbraio 2006, Roma. 46 46 I n questo ambito rientrano l'esercizio provvisorio, l'affitto d'azienda, unitariamente o la per vendita rami, il della stessa potenziamento del concordato con riconoscimento della legittimazione al curatore. In esso il curatore è l'amministratore ed il gestore dei beni aziendali nell'interesse diretto e primario dei creditori, che, proprio per questo, con il proprio organo rafforzato, il comitato dei creditori, presiedono alla funzione autorizzatoria, prima di competenza del giudice che, invece, ora esplica una funzione solo di controllo di legittimità. 8. L’azione di responsabilità nei confronti del curatore. Durante la pendenza del fallimento, l 'azione di responsabilità contro il curatore revocato è proposta solo ed esclusivamente dal nuovo curatore 47 autorizzazione del giudice delegato previa ovvero del comitato dei creditori. La dottrina si è interrogata se le due autorizzazioni siano alternative, lasciando al curatore la scelta del soggetto al quale rivolgersi con la conseguenza che, in caso di disaccordo, nel senso che i due organi si pronunciano in senso contrastante in merito alla proposizione dell'azione, il curatore possa comunque agire e ssendo sufficiente l'autorizzazione di uno dei due organi per integrare i poteri del curatore. Da parte di altri autori si ritiene che poiché il giudice legittimità delegato presidia la mentre il Cfr. Trib. Napoli 9 giu. 1994, in Dir. FALL, 1995, Il, 307, con nota di Di Lauro; Trib. Bologna 29 feb. 1984, in dir. FALL, 1985, II, 260. 47 47 comitato dei creditori l'opportunità, afferenti l'amministrazione, dell'azione del curatore delle la postula il scelte proposizione previo rilascio dell'autorizzazione di entrambi gli organi. Nel caso in cui le opinioni dei due organi divergano, più precisamente nell'ipotesi in cui il giudice autorizzi ed i l comitato dissenta, l'atto può essere impugnato ex art. 26, così come se il giudice non autorizzi mentre il comitato è determinato a procedere. Se è il comitato ad autorizzare, si puntualizza dottrina che il l'autorizzazione a giudice stare potrebbe in giudizio, in negare con la conseguenza che il comitato o il nuovo curatore hanno di nuovo la facoltà di impugnare il provvedimento ex art. 26 ed ottenere la pronuncia di u n o rgano superiore e terzo. Si è affermato48 che “…l'azione di responsabilità, come tutte le altre azioni giudiziarie contemplate dall'art. 25, n. 6), non può essere sottratta ad una pur sommaria delibazione di fondatezza da parte del giudice delegato, il cui intervento, data la delicatezza dell'azione e degli interessi che possono esse re coinvolti (si pensi ad indebite autorizzazioni concesse dal comitato dei creditori), si appalesa nella specie particolarmente necessario”, prospettando “…. il caso di qualificate sollecitazioni alla promozione dell'anzidetta azione, pervenute al giudice delegato dalla massa dei creditori, non condivise dal loro comitato, quanto meno per il fatto che verrebbero messi in discussione autorizzazioni 48 da questo concesse e omessi controlli su operazioni di mala gestio del curatore”. Nel caso in cui il danneggiato sia un terzo diverso dai creditori, si ritiene che l'azione potrà essere in qualsiasi momento proposta anche contro il curatore in carica. L'azione di responsa bilità può comunque essere sempre proposta, anche quando non vi sia stata revoca, dopo la chiusura del fallimento, da qualunque interessato, secondo le regole comuni ed entro i previsti termini di prescrizione. In dottrina si è sostenuto che la legittimazione attiva del curatore, per essere efficace, avrebbe dovuto estendersi anche oltre la chiusura dello stesso conservandosi la titolarità dell'azione al curatore o ad un curatore speciale. I n giurisprudenza si è affermato che la domanda avente per oggetto l'accertamento della responsabilità del curatore in dipendenza di atti di mala gestio , posti in essere dopo l'approvazione del rendiconto, non può essere fatta valere in sede di reclamo al decreto di chiusura della procedura, ma in via ordinaria). Tuttavia, chiuso il fallimento ed approvato il rendiconto ipotizzabile nei presentato confronti dal di curatore, costui non è un'azione di responsabilità, ma unicamente un'azione aquiliana extracontrattuale ispirata al principio di neminem laedere di cui all'art. 2043 c.c., a condizione che non si siano accertati dei vizi procedurali in sede di verifica del rendiconto. 48 Cfr. Verna, op. cit. 49 Pertanto per esperire l’azione contrattuale derivante dallo svolgimento dell’attività di curatore fallimentare, appare imprescindibile la contestazione del conto della gestione ex art. 116 l.f. L'azione è soggetta a prescrizione decennale 49 c o n decorrenza dalla data della revoca ed il termine prescrizionale decorre anche nei confronti del fallito, legittimato in ogni caso a proporla dopo la chiusura del fallimento, purché l'azione non sia prescritta. Come già osservato più sopra, il tribunale competente è quello fallimentare, ex art. 24, in composizione collegiale anche se si è sostenuta la tesi della competenza del giudice monocratico in mancanza di specifica previsione sul punto. 9. La responsabilità del curatore per le eventuali sanzioni applicate alla società durante l’esercizio provvisorio ai sensi del D. Lgs. N. 231/01. Come è noto con il D. Lgs. 231/2001 50 è stata previsto un corpo autonomo di norme sostanziali e 49 Cass. 4 ott. 1996/8716, in Fall., 1997, 601; conff., Cass. 5 apr. 2001/5044, in Fall., 2002, 57; Cass 11 feb. 2000/1507, in Fall., 2001, 473; T Milano 15 mar. 2001, in Fall., 2001, 833. In termini generali per un commento al D.lgs. n. 231 del 2001 cfr. Alessandri, Attività d'impresa e responsabilità penali, in Riv. it. dir. e proc. pen. 2005, pag. 534 ss; Paliero, Il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231: da ora in poi; societas delinquere (et puniri) potest, in Corr. giur., 2001, pag. 845 idem, La responsabilità delle persone giuridiche. Profili generali e creteri di imputazione, in Il nuovo diritto penale delle società, Milano, 2002, pag. 47 ss., Sfameni, La responsabilità delle persone giuridiche. Fattispecie e disciplina dei modelli di organizzazione, gestione e controllo, ivi, pag. 65 ss.; de Maglie, Principi generali e criteri di attribuzione della responsabilità, in Dir. pen. proc., 2001, pag. 1348, s. Gennai - Traversi, La responsabilità degli enti, Milano, 2001; S.; Piergallini, Sistema sanzionatorio e reati previsti dal codice penale, in Dir. pen. proc., 2001, pag. 1353 S.; DE Simone, I profili sostanziali della responsabilità d.c. amministrativa degli enti: la parte generale e la “parte speciale” del D. Lgs. 50 50 processuali in cui viene disciplinata la responsabilità degli enti per i reati commessi soggetti dipendenti posti in posizione dai apicale o subordinata. Si tratta di una normativa che per certi versi, è subito apparsa rivoluzionaria, in quanto ha ribaltato i termini di un problema che vedeva nel principio “societas delinquere non potest” un dogma che appariva inattaccabile.51 Peraltro generali, la citata non normativa, si discosta nei da suoi principi quelli previsti dall’ordinamento penale 52, ed anzi, proprio al fine di non porre in essere una frattura netta fra responsabilità delle persone fisiche e responsabilità delle persone giuridiche, il Legislatore ha cercato di far confluire nel testo del D. Lgs. 231/01 i principi cardine del diritto penale.53 Il D. Lgs. n. 231/01 ha responsabilità per anche previsto il regi me della i soggetti privi di 8 giugno 2001 n. 231, in Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, Padova, 2002, pag. 57 ss; Conti, La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. Abbandonato il principio societas delinquere non potest?, in Il diritto penale dell'impresa, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell' economia, diretto da F. Galgano, XXV, Padova, 2001, pag. 861 ss.; Pulitanò, La responsabilità “ da reato” degli enti nell’ordinamento italiano, Cass. pen., 2003, supplemento al n. 6/03, pag. 7 ss.; Rordof, La normativa sui modelli di organizzazione dell’ente, ivi, pag. 79 ss. Sull’argomento, anche per una completa bibliografia, cfr. De Simone, op. cit. pag. 73 ss. ed a Lanzi – Bersani, I nuovi re ati tributari, Torino, 1995, pag. 41 ss. 51 Cfr. per l’applicazione del principio di legalità e quindi di irretroattività della legge penale nella specifica materia Cass. VI penale, 1 febbraio 2007. 52 Cfr. De Simone, op. cit. pag. 87. Cfr. tuttavia Tribunale di Milano, sez. IV penale, 11 dicembre 2006, secondo cui la responsabilità degli enti è di natura amministrativa. 53 51 personalità storica giuridica, con contrapposizione ciò superando la tra gruppi personificati e non personificati, pur prevedendo - recependo le indicazioni del legislatore delegato e le esperienze del francese 54 sistema - l’esclusione dalla responsabilità dello Stato e degli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale individuabili in partiti politici e sindacati, nonché degli altri enti pubblici non economici. 55 Con riferimento al problema della responsabilità del curatore - che interessa in questa sede - occorre verificare quando, in che misura, i reati previsti dagli articoli 25 e ss. D. Lgs. 231/01 possano essere commessi nell'ambito di una procedura fallimentare; in altre parole occorre verificare quali siano gli ambiti applicativi della legge 231/01 nello specifico settore del diritto fallimentare, considerazione del fatto che anche - in talune ipotesi in la società potrebbe essere chiamata a rispondere di sanzioni penali pe cuniarie a causa di inadempimenti del curatore. Cfr. de Maglie, Principi generali, cit. pag. 1350; De Simone, op. cit. pag. 83. 54 Cfr. De Simone, op. cit. pag. 82, anche per ulteriori riferimenti. Da parte di de Maglie, op. cit. pag. 1350, si osserva che l’espressione “enti che esercitano pubblici poteri” di cui all'art. 11 L. n. 300 del 2000 non brilla per chiarezza: non vi sono, infatti, nel diritto amministrativo, definizioni univoche e stabilizzate della categoria degli «enti pubblici che non esercitano pubblici poteri»: risulta comprensibile, dunque, la scelta "drastica" del Governo, determinata da "esigenze di certezza del diritto", anche se, la formulazione della legge-delega induce il convincimento che il regime della responsabilità amministrativa degli enti sia la regola e l'irresponsabilità sia l'eccezione: l'espressione «Stato ed altri enti pubblici che esercitano pubblici poteri» non doveva perciò, a mio avviso, essere interpretata estensivamente”. 55 52 9. a) Reati commessi nell’esercizio provvisorio dell’impresa fallita. Poiché – come si è più sopra brevemente analizzato il presupposto oggettivo per l'applicazione della legge 231/01 è costituito dalla commissione personale dipendente posizione apicale o di un - da parte di soggetto posto in - di uno dei reati previsti negli articoli 25 e ss. D. Lgs. 231/01 appare evidente attesa la natura di tali reati - come tale disciplina normativa trovi applicazione solo nelle situazioni in cui l'attività aziendale e produttiva può essere ancora utilmente svolta nell'interesse della massa dei creditori. Ci riferiamo – pertanto - all'ipotesi di esercizio provvisorio dell'impresa disciplinata dall'articolo 104 della legge fallimentare; configurare la commissione è infatti, difficile, delle ipotesi delittuose previste dagli articoli 25 e ss. D. Lgs. 231/01 nella mera attività di liquidazione dell’attivo dell’ente.56 In tale prospettiva – come già osservato - a ppare rafforzato l'istituto dell'esercizio provvisorio il quale, come evidenziato in dottrina non è più semplicemente finalizzato a consentire un miglior risultato della liquidazione creditori ma, soprattutto, concorsuale per i a perseguire una più genera le finalità di conservazione dell'impresa che dovrà essere ceduta nella sua integrità o in parte, pur nel rispetto della volontà dei creditori. Si tratta, pertanto, di un istituto che, almeno in Sul punto cfr. Liuzzi, L’esercizio provvisorio e la liquidazione dell’attivo, in Foro it., 2006, V, c. 197 ss. 56 53 linea teorica, dovrebbe trovare una applicazione più frequent e rispetto al passato. Ci si deve, pertanto, domandare quali essere i profili di responsabilità potranno a carico della stessa impresa in esercizio provvisorio, se in tale ambito, venga commesso taluno dei reati previsti dal catalogo del D. Lgs. n. 231/01. Riteniamo che le fattispecie che dell'impresa commerciale nello svolgimento potranno concretamente essere commesse da parte dei soggetti in posizione apicale o subordinata saranno, prevalentemente, quelli classici contro pubblica amministrazione ed i c.d. “reati societari”, maggiormente trattandosi riconducibili di allo ipotesi svolgimento dell’attività economica. Accertato che anche da parte della società fallita che opera in regime di esercizio provvisorio potranno essere commessi alcuni dei reat i previsti dagli articoli del D. Lgs. n. 231/06, occorre domandarsi se, e in che misura, il curatore possa evitare l'applicazione delle sanzioni a carico della curatela. 9. b) La sussistenza di un interesse o di un vantaggio per l’ente in esercizio provvisorio. Un primo momento responsabilità di esclusione dell’ente potrà della configurarsi utilizzando il criterio della riferibilità del “vantaggio” conseguente alla prospettiva è responsabi lità sussistenza commissione doveroso degli della enti del reato. evidenziare è In tale che la condizionata circostanza che i alla reati specificamente indicati nell’art. 24, 25, 25 bis e 25 54 ter D. Lgs. 231/01 siano stati commessi a loro “vantaggio” o nel loro “interesse” da parte di soggetti sottoposti (id est svolgono funzioni dipendenti) di o da persone rappresentanza o che di amministrazione o di direzione (c.d. “apicali”). La sussistenza o meno di un “concreto” vantaggio per l’ente a seguito della commissione di un reato da parte di un dipendente o di un soggetto in posizione apicale costituisce, dunque, il presupposto oggettivo della responsabilità, preliminare, la ed impedisce, configurabilità di già una in via eventuale responsabilità. L’ indicazione legislativa prevede – pertanto - una alternativa tra due diverse situazioni oggettivamente delineate: l’interesse o il vantaggio in presenza dei quali si giustifica la sanzione a carico dell’ente. L’esatta portata dei due concetti risulta eplicitata nella relazione governativa ove si evidenzia che “l’interesse” ha un contenuto proiettivo e finalistico della condotta ed è suscettibile proprio in quanto tale, di una valutazione ex ante, mentre il “vantaggio” attiene ad un dato di puro risultato concreto, considerazione valutabile ex complessiva pos t, degli sull’ente dalla commissione del reato. in effetti sede di prodotti 57 Cfr. Putinati, Commento all’art. 3 del D. Lgs. 61/2002, in I nuovi reati societari, a cura di Lanzi – Cadoppi, Padova, 2002, pag. 240. Da ricordare quanto chiarito sul punto da Cass. Sez. 2 n. 3615 del 20.12.2005: "in tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche e delle società, l'espressione normativa, con cui se ne individua il presupposto nella commissione dei reati "nel suo interesse o a suo vantaggio", non contiene un'endiadi, perché i termini hanno riguardo a concetti giuridicamente diversi, potendosi distinguere un interesse "a monte", per effetto di un indebito arricchimento, prefigurato e magari non realizzato, in conseguenza dell'illecito, da un vantaggio obbiettivamente conseguito con la commissione del reato, seppure non prospettato "ex ante", sicché 57 55 Con riferimento alla natura del vantaggio, da parte della dottrina è stato escluso che lo stesso debba necessariamente avere contenuto patrimoniale, ben potendo configurarsi anche un vantaggio puramente morale dell’ente collettivo: il che può ipotizzarsi con riguardo sia agli enti non aventi finalità lucrative ma che tuttavia rientrano tra i destinatari della nuova normativa, sia anche agli enti prettamente lucrativi come le società commerciali; con riferimento a queste ultime si è affermato che il vantaggio da reato può individuarsi anche soltanto nella tutela di una certa immagine pubblicitaria o di marketing, la posizione sul mercato e sortendo rafforzando un effetto patrimoniale solo indiretto. 58 Alla luce di tale considerazioni, da parte della dottrina, si è osservato che nel primo caso (interesse) si è in presenza di un risultato potenziale e solo auspicato (ma che in realtà potrebbe anche non verificarsi), mentre nel se condo (vantaggio), l'interesse ed il vantaggio sono in concorso reale". Sulla nozione di profitto, va richiamato quanto di recente chiarito dalla Suprema Corte (peraltro in materia di misure cautelari interdittive di cui all'art. 45 D.L.vo 231/01): "appare estranea a questi fini una nozione di profitto intesa come utile netto, dovendo optarsi per un conce tto di profitto dinamico, più ampio che arrivi a ricomprendere vantaggi economici anche non immediati, comunque conseguiti attraverso la realizzazione dell'illecito" (Cass. Sez. VI n. 32626/2006). Si tratta dunque, di una nozione "allargata" che non si limita a strette considerazioni di bilancio ma prospetta la rilevanza di ogni conseguenza vantaggiosa collegabile all'attività illecita. In dottrina cfr. Stalla, Responsabilità amministrativa degli enti. I modelli organizzativi. Compliace programs e la loro rilevanza nella struttura dell’illecito, relazione tenuta all’incontro di studi per magistrati Roma, 9 – 11 dicembre 2002, pag. 5 del dattiloscritto, il quale ha prospettato una corruzione finalizzata a non far trapelare la notizia del rinvenimento da parte dell’Autorità di scarichi inquinanti che, per quanto suscettibili di essere eliminati con trascurabile onere economico o addirittura semplicemente con una diversa organizzazione del ciclo produttivo a costo zero, potrebbero tuttavia “guastare ” l’immagine della società agli occhi dei consumatori e della concorrenza). 58 56 rileva il risultato effettivamente conseguito in dipendenza della commissione del reato. 59 L ’accertamento della sussistenza dell’interesse o del vantaggio andrà verificato in concreto, ben potendo una medesima fattispecie astratta di reato risultare vantaggiosa solo per la persona fisica. Il comma 2 dell'art. 5 d.1gs. in esame prevede, pertanto, una responsabilità rilevanza causa della di persona esclusione giuridica della che avrà anche in caso di esercizio provvisorio e cioè quando l’agente abbia commesso il reato per esclusivo vantaggio proprio o di terzi. In tal caso la sanzione non viene applicata il rapporto di immedesimazione viene perché infranto60: perché il reato possa essere attribuito all'ente è necessario che la persona fisica lo abbia realizzato tenendo presente - almeno in parte - il vantaggio dell'organizzazione.61 Si pensi, esemplificando, alla corruzione compiuta dal soggetto in posizione apicale di una società fornitrice di materiale sanitario, il quale, dopo aver ottenuto il pagamento della fornitura dall’ente pubblico, abbandoni la società sottraendo la somma ottenuta in pagamento. In casi analoghi a quello rappresentato, pertanto, non la potrà configurarsi società in alcuna responsabilità esercizio provvisorio, ed per una responsabilità penale sarà attribuibile solo a carico 59 Cfr. Stalla, op. cit pag. 3 del dattiloscritto. 60 Cfr. De Simone, op. cit. pag. 101. 61 Cfr. Putinati, op. cit. pag. 240. 57 del dipendente infedele. 9. c) La necessità della creazione di un modello organizzativo anche per l”’ente” in esercizio provvisorio. Nel caso in cui non possa ecludersi una riferibilità a lla curatela (e quindi ai creditori) dell’interesse o del vantaggio del reato commesso, una ulteriore ipotesi di non punibilità dell’ente è analoga a quella già prevista per l'ente che svolge la propria attività in bonis; il curatore, pertanto, potrà dotarsi di una organizzazione di controllo finalizzata a prevenire la commissione dei reati. Come è noto la struttura del D. Lgs. n. 231/06 è frutto di un compromesso fra un sistema improntato alla responsabilità oggettiva per fatto (responsabilità oggettiva), ed un sistema altrui impostato sulla responsabilità per fatto doloso proprio. Elemento caratterizzante del primo aspetto è dato dalla netta distinzione della responsabilità penale della persona conseguenza risponde fisica che – da quella come già dell’ente, osservato con - la l’ente autonomamente del reato commesso dalla persona fisica non solo quando l’autore del reato non sia stato identificato o non sia imputabile, ma anche quando lo stesso sia estinto per prescrizione, remissione di querela o comunque per causa diversa dall’amnistia. Tipica del sistema penale è invece la delimitazione della responsabilità dell’ente nell’ambito dell’area tipica della colpevolezza (per culpa in eligendo o in vigilando) così da soddisfare il 58 principio di cui all’art.27 Costituzione, interpretato alla luce delle sentenze n. 364/1988 e n. 1985/1988. 62 Il decreto 231/2001 colpevolezza (per prevede carenza seconda che il reato di due forme organizzazione), di a venga commesso da persone fisiche che si trovano a i vertici dell’ente, ovvero da coloro che si trovano in posizione di sottoposti: nel primo caso si configura una colpevolezza conseguente alle scelte di politica di impresa (sub specie di culpa in eligendo direttamente riferibile all’ente), mentre nella seconda ipotesi si delinea una vera e propria “colpa di organizzazione” (sub specie di culpa in vigilando, in quanto il fatto di reato si è verificato solo perché i vertici o coloro preposti al controllo non hanno vigilato o hanno vigilato male). 63 L a distinzione è riferimento quanto anche con all’esercizio provvisorio di impresa, in – come si vedrà più avanti - si configura ben diversamente del di notevole rilevanza modello l’onere probatorio in caso di adozione organizzativo da parte dell’ente sottoposto alla procedura concorsuale: mentre nel caso in cui il reato sia stato commesso dai soggetti Nella relazione di accompagnamento al decreto legislativo tale scelta di compromesso viene giustificata in base a condivisibili ragioni di opportunità politico-criminale, sottolineando come il richiamo alla “colpa in organizzazione” consente di stimolare - attraverso l’onere di adozione di modelli organizzativi idonei a prevenire il “rischio-reato” - l’ente nell’attività di prevenzione, con tutti i vantaggi conseguenti ad un coinvolgimento interno e volontaristico. 62 Cfr. de Maglie, Principi generali e criteri di attribuzione, in Dir. pen. e processo, n. 11/2001, pag. 1349; negli stessi termini cfr. la relazione tenuta al convegno di studi per magistrati, Roma, 9 – 11 dicembre 2002; nonchè Izzo, Sindacato giudiziario sull’idoneità dei modelli organizzativi, in Fisco, 2002, n. 44, fasc. 1, pag. 16505. 63 59 in posizione “apicale” l’idoneità del “modello” il curatore dovrà provare a prevenire i reati (oltre alla concreta adozione nell’ambito aziendale), ne l caso di reato commesso probatorio da soggetti sottoposti l’onere (circa l’idoneità del modello), si sposterà a carico del Pubblico Ministero. E’ infatti opportuno ricordare che l’art.6 Lgs. n. 231/01 (reato commesso da apicali), del D. prevede c h e “l’ente non risponde se prov a”: a) di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; b) di aver affidato ad un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento; c) l’elusione fraudolenta dei modelli di organizzazione e di gestione da parte delle persone che hanno commesso il reato; d) l’insussistenza di una omessa o insufficiente vigilanza da parte del citato organismo di controllo. E’ chiaro come ci si trovi in presenza di una serie di presupposti la cui prova – nel corso dell’eventuale procedimento penale - costituirà un ostacolo gravoso da parte dell’ente. Sulla base di tale costruzione legislativa, come già evidenziato, non dovrà essere il Pubblico Ministero a provare la colpa in organizzazione dell’ente, ma l’onere da verificare l’idoneità del modello sarà a carico dell’ente stesso. Il curatore, se vorrà mandare indenne da sanzione l’ente, dovrà dimostrare di aver fatto tutto quanto richiesto per evitare il reato, con una evidente inversione dell’onere della prova. 60 Indubbiamente meno gravosa per l’ente è la disciplina relativa al reato commesso dai sottoposti, prevista dall’art. 7, ove si statuisce, invece, che “l’ente è responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza ” . La giustificazione di tale differenziazione legislativa (e del conseguente onere probatorio) viene esplicitata e giustificata circostanza nella che relazione governativa il con la soggetto in posizione apicale “esprime e rappresenta la politica d ell’ente”; il che equivale a dire che in tal caso la commissione del r e a to è – essa stessa –espressione della politica aziendale. Si rende, pertanto necessario esaminare ulteriormente quali relazioni devono sussistere tra la persona fisica cui è attribuibi le il reato e l'ente chiamato a risponderne: dall’analisi della normativa di riferimento si delineano due tipi di relazione: la prima prevista dall’art. 6 è quella facente capo a “soggetti in posizione apicale”, mentre una seconda, disciplinata dall’art. 7 del D. Lgs. 231/01, riguarda i “soggetti sottoposti all'altrui direzione”. Riteniamo, pertanto, che nel caso di esercizio provvisorio dell’impresa il curatore potrà predisporre speciali protocolli preventivi - i compliance prograrns del sistema st atunitense - destinati ad evitare la commissione dei reati tipici rispetto economica dell'ente; ciò consentirà organizzati saranno commissione punibilità del attuati reato dell’ent e per il 61 all'attività - se tali modelli prima di configurare reato della la non commesso dal sottoposto o dal dirigente. Peraltro non tutti i modelli organizzativi potranno svolgere efficacia esimente rispetto ai reati commessi dai sottoposti la legge o dai soggetti in posizione apicale; se non richiede che attraverso predisposizione del “modello organizzativo” riesca sempre e comunque a commessi dalle persone fisiche, il “modello” deve presentare prevenire è altresì quei la l’ente i reati vero che requisiti di efficienza, praticabilità e funzionalità, che sono in grado ragionevolmente di disinnescare le fonti di rischio. Perché questa efficienza venga assicurata nella sua massima espressione, il modello deve essere, pertanto, modulato sul tipo di impresa in cui viene adottato e deve prevedere il tipo di attività che viene concretamente svolta. Tali considerazioni saranno pienamente utilizzabili anche in caso di esercizio provvisorio di impresa. Inoltre, come avviene per le aziende in bonis , modelli organizzativi dovranno essere i diversi a seconda che si rivolgano ai soggetti apicali o ai sottoposti. Appare pertanto opportuno che, nel caso di esercizio provvisorio dotarsi dell’impresa, - qualora l’ente il curatore provveda a non ne fosse provvisto in precedenza - dei modelli organizzativi che, in caso di commissione di reati da parte di sottoposti o di soggetti in posizione apicale, portino a ritenere non configurabile la punibilità dell’ente stesso. Un ulteriore punto di tangenza fra responsabilità degli enti e procedure fallimentari è costituito dall'ipotesi in cui il curatore sia costretto a far fronte 62 alle sanzioni cui la stessa società è stata condannata a seguito della commissione di reati di propri dipendenti. È evidente come in questo caso l'Erario (genericamente inteso) potrà presentare domanda di insinuazione al passivo della pretesa pecuniaria, costituita dalla condanna al pagamento delle "quote" cui la stessa società è stata condannata. Poiché si tratta di un debito erariale, ciò costituirà sicuramente un danno per i creditor i (chirografari) i quali avranno, in eguale misura, diminuita la possibilità di soddisfarsi sull’attivo patrimoniale. Riteniamo che in questo caso il curatore, ben prima della condanna a carico dell’ente, analogamente a quanto previsto in termini generali in tema di responsabilità degli amministratori e di sindaci ex art. 2394 c.c., ben possa proporre un'azione di risarcimento nei confronti di colui che, con la propria azione delittuosa, di fatto, ha posto le premesse per la condanna della società ad un esborso pecuniario. Pertanto, qualora la condanna intervenga perché la società non si sia minimamente dotata di strutture di controllo secondo quanto previsto dall'articolo 6 della legge 231/01, analoga azione di risarcimento potrà essere proposta ne i confronti degli amministratori che non solo non hanno correttamente vigilato nei confronti dei propri sottoposti, ma non si sono nemmeno attivati per porre in essere le strutture di controllo in presenza delle quali la società avrebbe potuto invocare l'e simente prevista della legge 231/06. 63 dall'articolo 6 Ulteriore degli momento enti e di procedure dall’applicazione di fallita a tangenza causa fra responsabilità concorsuali è costituito sanzioni alla società del reato dichiarata commesso “nel suo i nteresse” da un “amministratore di fatto”. Infatti, un problema che si all’individuazione può verificare della figura quello relativo a reati sono con dell’ riguardo “apicale ” è commessi da soggetti che formalmente esterni ad esso, ma che, tuttavia , sono dotati di poteri tali da influenzarne in maniera determinante le scelte di fondo: il riferimento è – naturalmente - a coloro che seppure di “fatto” 64 hanno svolto attività di amministrazione dell’ente ed a coloro che amministrano la società per il tramite del controllo azionario di un’altra società (rapporto controllante – controllata). Con riferimento all’amministratore “di fatto” va peraltro ricordato come tale figura sia stata ora regolata dall’art. 2639 c.c. come modificato dal D. Lgs. n. 61/2001.65 Relativamente al problema del “controllo indiretto”, in considerazione della formulazione ampia della norma, in conformità a quanto affermato da altri autori, si è ritenuto ascritto non solo il che in tale ambito vada rapporto di gestione e controllo ricavabile dai criteri di collegamento e controllo societario di cui all’art.2359 cod.civ., ma anche ogni 64 Putinati, op. cit. pag. 239. Per un commento a tale fattispecie cfr. Veneziani, , commento all’art. 2639 c.c. in AA.VV., I nuovi reati societari, a cura di Lanzi – Cadoppi, Padova, 2002, pag. 186 ss., nonché Alessandri, I soggetti, in AA.VV. Il nuovo diritto penale delle società, Milano, pag. 37 ss. 65 64 situazione di influenza determinante di una società su un’altra, anche se “.. operante non sul piano della partecipazione azionaria, ma semplice mente su quello di cogenti vincoli contrattuali o di mercato”. L’esempio riportato dell’amministratore in della dottrina 67 è controllante 66 quello Alfa che fraudolentemente procuri alla controllata Beta dei finanziamenti pubblici al q uest’ultima in condizione debiti la prima; verso solo di fine di estinguere ovvero che mettere i propri corrompa un pubblico funzionario al fine di far conseguire a Beta una commessa da eseguirsi – direttamente o in subappalto – da Alfa. In situazioni simili, potrebbe affermar si presupposto la (e responsabilità sempre che…) di Beta l’autore sul del reato, proprio perché “vertice” della controllante, esplica un dominio totalizzante (“gestione e controllo”) su Beta.68 Anche in tale ipotesi, pertanto, potrebbe configurarsi una ipotesi dall’art. 6 riconducibile D. Lgs. alla 231/2000, disciplina con prevista conseguente applicazione della sanzione a carico della società fallita e possibilità per quest’ultimo di costituirsi parte civile recuperando, in favore dei creditori, le s a nzioni poste a carico dell’ente fallito. Stalla op. cit. pag. 9. Osserva la dottrina citata come “..va peraltro detto che il rigore di una interpretazione che miri ad estendere la responsabilità dell’ente nei rapporti infragruppo trova naturale correttivo nel criterio di imputazione oggettiva, dovendosi in ogni caso accertare se il reato realizzato dal vertice della controllante rispondeva all’ “interessevantaggio” altresì della controllata”. 66 67 Stalla, op. cit. pag. 9. 68 Stalla, op. cit. pag. 9. 65 10. Il problema assicurativa della per la eventuale responsabilità copertura civile del curatore fallimentare. Il problema della risarcibilità da parte della società assicurativa danni degli eventuali cagionat i dal curatore ala procedura è stato oggetto di una recente pronuncia della Corte di Cassazione. Si tratta dell'ipotesi in cui un professionista, regolarmente iscritto all'albo professionale, assuma un incarico di curatore fallimentare, arrecando però un danno alla curatela e, più precisamente, depauperando la massa fallimentare. Nel caso in cui responsabilità il curatore era assicurato per la professionale senza che le relative condizioni assicurative prevedessero espressamente la copertura per il qualità di curatore, garanzia rischio dei danni causati in sarebbe possibile estendere la assicurativa sino a ricomprendere tali fattispecie? Sarà l'impresa che assicura la responsabilità civile dell'avvocato a doverlo manlevare dagli esborsi subiti quale conse guenza del riconoscimento della di lui responsabilità nell'esercizio delle funzioni di curatore o costui dovrà sopportare in proprio detto pregiudizio? 69 Si tratta di un problema di non poco momento in quanto non è previsto per tale categoria professionale un deposito cauzionale al fine di accedere all’incarico 69 Cfr. Mancuso, in Giust. civ. 2008, 11, 2588. 66 di curatore, con il rischio che il curatore non possa - eventualmente far fronte – ai danni cagionati dalla propria inesperienza, imperizia ad alcuni casi recenti di ingenti dai conti o dal dolo (si pensi sottrazione di somme della curatela da parte dei curatori). In dottrina 70 si è rilevato che “…la risposta al secondo quesito presuppone la risoluzione di un problema di esegesi contrattuale e, più precisamente, se alla luce del tenore letterale , della comune intenzione dei contraenti, dell'intero articolato delle pattuizioni di polizza e del principio di buona fede, possa includersi nell'oggetto dell'assicurazione per la responsabilità civile professionale anche un'attività implicante l'esercizio di pubblici poteri e x art. 38 l. fall.” La 71 Corte di un'interpretazione negoziale di Cassazione estensiva assicurazione, ad del così aderito ad regolamento confermando la pronuncia impugnata e la condanna a carico della compagnia assicuratrice a tenere indenne l'avvocato assicurato per la responsabilità derivante dai danni cagionati quale curatore fallimentare. La Corte richiama un precedente della medesima terza sezione 72, che risolve un caso 70 simile a quello Cfr. Cfr. Mancuso, op. cit. Si conferma la natura del curatore quale “uffici”» e, dunque, organo della procedura. In tal senso in dottrina cfr. anche Ferretti, Nuovi poteri e responsabilità del curatore , in Dir. prat. soc., 2006, 20 ss.; Salanitro, Motivi ispiratori e valutazioni interpretative della riforma concorsuale , in Banca, borsa, 2006, 511 ss.; Abate, Nuovi ruoli e poteri degli organi della procedura fallimentare , in Giur. merito, 2007, 286 ss. e, in giurisprudenza, Trib. Milano 13 giugno 2006). 71 72 Cfr. Cass. 15 luglio 2005 n. 15030 67 che qui ci occupa di curatore l'incarico riguardando sia l'ipote si assunto da in cui un dottore pronuncia si era affermato che il commercialista, anziché da un avvocato. Anche in tale rischio dei danni a qualsiasi titolo derivanti dalla condotta del fallime ntare dottore è commercialista garantito - curatore dall'assicurazione per la responsabilità civile stipulata dal professionista. Il ragionamento della Corte di Cassazione si fondava su tali principi: in primo luogo, richiamando la disciplina di cui agli art. 2229 ss. c.c., si afferma che le disposizioni codicistiche in materia «trattano esclusivamente un modo (quello contrattuale) di attuarsi dell'attività professionale intellettuale ma non esauriscono dell'attività delle tutte le professionale leggi speciali possibili esplicazioni intellettuale, che nei regolano limiti ciascuna professione. È quindi errata l'equazione di fondo, che ritenesse che l'attività professionale intellettuale, per la quale è richiesta l'iscrizione all'albo, non abbia altro spazio contratto di (esercizio d'opera di di esercizio che prestazione professione professionale)”. all'interno d'opera richiama un intellettuale intellettuale Si di = contratto poi l'art. 1, commi 1 e 2, d. lgs. C.p.S. 23 agosto 1946 n. 153, in forza del quale, essendo soppresso il ruolo degli amministratori giudiziari, i relativi incarichi nelle procedure negli albi concorsuali sono professionali di attributi avvocati, agli iscritti dottori e ragionieri commercialisti, nonché alle norme di cui agli art. 26 e 31 l. fall., a mente dei quali si r i costruisce la figura del curatore quale ausiliare 68 della giustizia e pubblico ufficiale pur rimanendo costui un libero professionista Da ultimo si richiama l'art. 1, comma 2, lett. a , d.P.R. 27 ottobre 1953 n. 1067 (Ordinamento commercialista), della professione all'epoca di vigente dottore ed oggi integralmente abolito dall'art. 76 d. lgs. 28 giugno 2005 n. 139 (Costituzione dell'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, a norma dell'art. 2 l. 24 febbraio 2005 n. 34), il cui relativo a rt. 1, comma 2, lett. a , ricalca pedissequamente il dettato della norma nell'oggetto della commercialista e previgente, ossia include professione di dottore di esperto contabile: «l'amministrazione e la liquidazione di aziende, di patrimoni e di singoli beni». Si è osservato in dottrina 31, comma 1, l. fall. 73 che, oggi come ieri, l'art. attribuisce alla curatela il compito principale di gestire il patrimonio del fallito, se ne desume l'agevole riconduzione dell'attività di curatore tra quelle di cui all'ar t. 1, comma 2, lett. a , cit., di guisa che la generica copertura assicurativa contro i danni derivanti dall'esercizio della professione di dottore commercialista non potrebbe non estendersi anche alla responsabilità e x art. 38 l. fall. e 2043 c.c. Da parte della citata dottrina come nella sentenza in si è poi sottolineato rassegna, la Corte di Cassazione richiama il suesposto ragionamento e lo 73 Cfr. Mancuso, in Giust. civ. 2008, 11, 258. 69 applica automaticamente al caso dei danni causati dall'avvocato-curatore fallimentare, facendo per di più propria l'idea della Corte territoriale secondo la quale «l'attività di curatore fallimentare viene svolta normalmente (anche se non esclusivamente) dagli avvocati e costituisce un'attività professionale remunerata secondo tariffa e non una carica od un ufficio», rilevando infine che poiché “…. è la stessa legge fallimentare (art. 38, comma 1) a riconoscere la natura di «ufficio» all'incarico affidato al curatore, non sembrerebbe ammissibile l'integrale trasposizione dell'iter logico-giuridico seguito dalla Suprema Corte nella parte motiva della sentenza n. 15030/2005 favore onde argomentare dell'interpretazione condizioni di assicurazione e propendere estensiva per la anche in delle responsabilità civile professionale dell'avvocato”. 74 Cfr. Mancuso, op. cit. il quale poi osserva “Vero è che la professione forense, come quella di dottore commercialista ed esperto contabile, non si esaurisce soltanto nella locatio operis e appare, altresì, pacifico che la recente riforma fallimentare del 2006, così come le successive «correzioni» di cui al d. lgs. 12 settembre 2007 n. 16974, hanno inciso sulla figura del curatore nel senso di ampliarne l'autonomia ed il raggio di azione sì da esaltarne la sostanziale natura di privato professionista (tanto che, adesso, al medesimo è richiesta una diligenza «professionale» nell'adempimento dei propri doveri ex art. 38, comma 1, l. fall.). Nulla quaestio , del pari, sulla possibilità di invocare l'art. 1, commi 1 e 2, d. lgs. C.p.S. n. 153, cit. Manca, però, nell'ordinamento della professione di avvocato (r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, conv., con mod., nella l. 22 gennaio 1934 n. 36) una norma che individui esplicitamente l'oggetto dell'attività professionale, a differenza di quanto da sempre prevede la legge professionale sui dottori commercialisti. I pochi ma autorevoli studi che si sono soffermati su questa problematica sono, comunque, concordi nel ritenere che la professione forense si esplichi essenzialmente nel cavere e nel postulare , ossia nella consulenza stragiudiziale e nell'attività di rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio (il patrocinio). Nessuna disposizione include espressamente tra le attività tipicamente forensi, cioè quelle che ne contraddistinguono la categoria, l'amministrazione e la liquidazione aziendale e patrimoniale. Ciò non escluderebbe che l'avvocato iscritto all'albo possa assumere incarichi gestori, ma non consentirebbe di riproporre il passaggio finale e decisivo del percorso argomentativo seguito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 15 luglio 2005 n. 15030), al fine 74 70 11. Ipotesi responsabilità particolari del di curatore responsabilità: quale sostituto la di imposta. A carico del curatore fallimentare sussiste anche una precisa responsabilità dell’art. 10 bis penale e fiscale ai sensi D. Lgs. n. 74/2000 nelle ipotesi in cui agisce in qualità di sostituto di imposta. Prima dell'entrata in vigore 223/2006 avvenuta il 4 dell'art. 37 del d.l. luglio 2006, che ha espressamente qualificato sostituti di imposta sia il curatore fallimentare che il commissario liquidatore, in dottrina e giurisprudenz a si era discusso se il curatore fallimentare potesse rientrare tra i sostituti di imposta.75 La giurisprudenza di legittimità possibilità, a meno che, una 76 aveva escluso tale volta dichiarato il fallimento, l'impresa non fosse stata autorizzata a di confutare ogni dubbio circa la proposta estensione della copertura assicurativa per la responsabilità civile professionale anche ai rischi cui va incontro l'avvocato -curatore”. Su tale aspetto cfr. Marzullo, Il delitto di omesso versamento di ritenute certificate ex art. 10 bis D. Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000, in Riv. It. Dir. Proc. pen, 2007, pag. 1372 ss. 75 Vedi Cass. civ., Sez. I, 13 gennaio 1996 n. 237 in Il Fisco n. 5/1996, p. 1145, secondo cui: "il curatore fallimentare non è tenuto ad operare la ritenuta a titolo di acconto dell'imposta sui redditi delle persone fisiche sui versamenti eseguiti in favore dei lavoratori dipendenti ammessi al passivo per compensi ad essi dovuti dall'imprenditore poi dichiarato fallito, sia perchè non rientra tra i soggetti che l'art. 23 comma 1° del d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, con previsione tassativa, ricomprende tra quelli tenuti ad effettuare la ritenuta d'acconto dell'imposta sui redditi di lavoro, sia perché deve escludersi che egli possa essere soggetto agli obblighi che gravano sull'imprendito re quale sostituto di imposta, in quanto essi trovano il loro presupposto proprio nell'esercizio dell'impresa, mentre, una volta dichiarato il fallimento, l'impresa cessa, a meno che non ne sia autorizzata la continuazione temporanea a norma dell'art. 90 l. fall. 76 71 proseguire temporaneamente l'attività d'impresa ai sensi dell'art. 104 della nuova legge fallimentare (d.lgs 9 gennaio 2006 n. 5). In tal caso presiedere il al curatore normale fallimentare, svolgimento dovendo dell'attività economica, era perciò soggetto a tutti gli obblighi di natura tributaria che incombono sull'imprenditore; e pertanto avrebbe dovuto operare le ritenute sui compensi corrisposti ai sostituiti, rilasciare a costoro la relativa certificazione, effettuare il versamento all'Erario delle somme tratt enute e presentare nei termini di legge il modello annuale di dichiarazione del sostituto di La giurisprudenza di merito 77 imposta. si era infine occupata dello stesso tema con riferimento alla figura del commissario liquidatore commissario, in quanto e aveva concluso che soggetto investito di il un munus pubblicum in posizione di autonomia rispetto a quella dell'Ente (con compiti di accertamento delle attività e passività della società sottoposta a Cfr. Tribunale di Bari 23 novembre 1994 in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, p. 608, la cui massima recita: "il commissario liquidatore di un istituto di credito in regime di liquidazione coatta amministrativa, in quanto P.U. ed organo della pro cedura non è, al tempo stesso, un sostituto di imposta. Consegue che nei suoi confronti non sussiste l'obbligo del versamento delle ritenute di acconto di cui all'art. 2 d.l. 10 settembre 1982 convertito in l. 7 agosto 1982 n. 516", con nota di Mormando in cui si illustrano le ragioni per le quali il liquidatore, per le funzioni a lui attribuite per legge, debba essere in tutto equiparato alla figura del curatore fallimentare ("Il commissario liquidatore esercita le sue funzioni in modo relativamente autonomo e responsabile, al di fuori di un rapporto di impiego sia con l'amministrazione che lo nomina sia con l'ente che deve essere liquidato. Egli è cioè titolare di un ufficio che lo pone, in un certo senso super partes, in considerazione della tutela imparziale e della più conveniente composizione degli interessi e dei diritti impegnati nella liquidazione. Si parla infatti di organi o ufficio della procedura di liquidazione coatta in maniera del tutto analoga agli organi o ufficio del fallimento cossichè al curatore corrisponde il commissario liquidatore, al comitato dei creditori, il comitato di sorveglianza, ed al giudice delegato l'autorità amministrativa di vigilanza") 77 72 liquidazione coatta, di formazione dello stato passivo e dei piani creditorie di e riparto per assicurare soddisfare così la le par ragioni condicio creditorum ) non potesse essere qualificato sostituto di imposta. Peraltro il problema interpretativo è stato risolo con l'introduzione dell'art. 37 d.l. 223/2006 con l'espressa previsione che sia il curatore fallimentare che il commissario liquidatore devono essere annoverati tra i sostituti di imposta. 12. Segue: la responsabilità del curatore per gli adempimenti connessi alla legge ambientale. Appare di rileva nte impatto pratico e di non scarsa frequenza nella pratica il problema della gestione dei rifiuti abbandonati dall’impresa fallita e l’eventuale responsabilità del curatore. In dottrina 78 ed in giurisprudenza pertanto, anche il rilevant e si è analizzato problema della responsabilità del curatore fallimentare per l'omessa gestione (sotto l’aspetto della rimozione e avvio a recupero/smaltimento e della rimessione in pristino dei luoghi inquinati) dei rifiuti presenti all'interno dell'azienda fallita e da lla stessa prodotti prima della dichiarazione di fallimento. Tale problematica è stata affrontata, in diverse occasioni, da parte amministrativa al fine di della giurisprudenza individuare il soggetto Cfr. Peres, in Riv. giur. ambiente 2009, 1, 180; nonché Perasson, Obblighi e responsabilità del curatore fallimentare in materia di tutela ambientale, in www.unijuris.it 78 73 tenuto allo smaltimento dei rifiuti dell’impresa fallita e alla rimessione in pristino dei luoghi. In alcune pronunce venne affermata la responsabilità del curatore; mentre il T.A.R. Toscana (sent. n. 780 del 28 aprile 2000) fu categorico nel ritenere che, in conformità ad una risalente p r o n u n c i a d e l l o stesso T.A.R. 79, "la disponibilità dei "beni", anche di quelli classificati come rifiuti nocivi, entra giuridicamente conseguentemente in con titolarità essa del anche curatore e dovere di il rimuoverli in applicazione delle leggi vigenti" 80, d a parte di altro giudice amministrativo 81 ci si limitò ad affermare caso di la responsabilità della curatela al solo danni verificatisi durante la gestione provvisoria del patrimonio fallimentare. Da parte del T.A.R. Lombardia 82 si precisò poi che l'ordine di rimozione e ripristino era legittimamente impartito da parte dell’autorità comunale misura in cui tale degrado risulti " nella aggravato da specifici episodi di sversamento di liquidi pericolosi successivi al fallimento, nonostante il curatore non sia stato produttiva, autor izzato in ragione a del proseguire dovere di l'attività custodia e vigilanza che incombe sul suo ufficio" . Cfr. T.A.R. Toscana, sent. n. 196 del 3 marzo 1993: "Ricade sul curatore fallimentare, solo ad essere autorizzato a disporre o comunque a prendere iniziative incidenti sulla massa fallimentare, l'obbligo di disporre lo smaltimento di rifiuti tossici e l'allontanamento di sostanze inquinanti, ferma rimanendo la responsabilità penale dell'imprenditore fallito". 80 Cfr. T.A.R. Toscana, I, n. 196/1993. 79 81 Cfr. T.A.R. Liguria sent. n. 1024 del 3 ottobre 2000. 82 Cfr. T.A.R. Lombardia sent. n. 5374 del 5 settembre 2000. 74 A tale primo orientamento si contrappone quello che ritenne illegittimo l'ordine di rimozione e ripristino impartito al curatore; in tal senso si orientò il T.A.R. Toscana, 83 sottolineando come "i rifiuti prodotti dall'imprenditore fallito non costituiscano "beni" da acquisire alla procedura fallimentare (e, quindi non formino oggetto di apprensione da parte del curatore); comunque dovendosi rilevare che esclusa la legittima sussumibilità compendio fallimentare dei rifiuti (rispetto stessi alla nel quale potrebbero venire in considerazione eventuali profili di responsabilità di carattere meramente gestorio in capo al curatore) non viene individuato, nell'ordine di ripristino sottoposto all'esame di questo Collegio, alcun ambito di responsabilità univoca, dei autonoma curatori e stessi chiara ai fini dell'abbandono dei rifiuti onde trattasi (dandosi, al contrario, atto almeno collocazione temporale ultimi epoca ad della implicitamente derelizione antecedente de lla di questi l'apertura delle procedure fallimentari) " . Tale soluzione è stata condivisa anche dal T.A.R. Abruzzo secondo cui “… i diritti e gli obblighi della società fallita immediatamente ausiliare del non dal possono curatore, giudice, è essere che, figura quale che assunti Organo persegue l'interesse pubblico della composizione del dissesto degli imprenditori commerciali, per cui difetta di 83 CFr. T.A.R. Toscana sent. n. 1318 del 1° agosto 2001. 75 legittimazione passiva rispetto agli oner i imposti dal Comune con il provvedimento impugnato" .84 L'assenza di responsabilità del curatore viene sostenuta anche dal T.A.R. Sicilia 85, secondo il quale " la curatela è assolutamente estranea all'attività di derilizione dei rifiuti, intervenuta prima della dichiarazione del fallimento" e così anche dal T.A.R. Lazio, Latina (sent. n. 304 del 12 marzo 2005). Lo stesso orientamento viene poi condiviso dal T.A.R. Lombardia, Milano (sent. n. 1159 del 10 maggio 2005) il quale, ferma l'insussistenza di "alcun obbligo del curatore smaltimento fallita", del dei ricorda fallimento rifiuti che di provvedere industriali " in tale allo dell'impresa evenienza la p.a. competente può procedere all'esecuzione d'ufficio in danno degli r e cupero eventuali delle soggetti somme obbligati anticipate ed al mediante insinuazione di credito al passivo del fallimento". Va infine ricordato il dell'11 marzo T.A.R. Sardegna 86 (sent. n. 395 2008), richiamando uno degli argomenti addotti dal Consiglio di Stato nel 2003, sostiene che "la peculiare posizione dei curatori non può essere interpretata in termini di "subentro" delle responsabilità del soggetto fallito" . Tale orientamento è stato ribadito da parte del TAR Toscana Sez. II sent. 700 del 19 marzo 2010 Rifiuti, precisando che “nei confronti del curatore fallimentare non è configurabile alcun 84 Cfr. sent. n. 1393 del 17 dicembre 2004. 85 T.A.R. Sicilia, Catania, sent. n. 398 del 10 marzo 2005. 86 Cfr. T.A.R. Sardegna, sent. n. 395 dell'11 marzo 2008. 76 obbligo ripristinatorio in ordine all'abbandono dei rifiuti in assenza dell’accertamento univoco di un’autonoma responsabilità del medesimo presupposta ricognizione conseguente di alla comportamenti commissivi, ovvero meramente omissivi, che abbiano dato luogo al fatto antigiuridico. Si legge nella motivazione della citata sentenza: “… con sentenza del Tribunale di Metalgalvanica, Pisa n. esercente 39/99 l'attività di la società trattamento galvanico e verniciatura di prodotti metallici, veniva dichiarata fallita fallimentare con la dell'odierno nomina ricorrente a curatore sig. Franco Grassini. A seguito di sopralluoghi eseguiti dalla sezione provinciale notevole qua ntità dell’ARPAT di rifiuti emergeva prodotti che dalla una stessa società era stata abbandonata in modo incontrollato. In particolare, risultavano stoccati, sia all'interno degli impianti che nelle aree e nei piazzali antistanti, numerosi fusti metallici contenenti vernici, fanghi e residui delle lavorazioni, nonché trasformatori in disuso contenenti PCB e PCT, lastre di eternit e vasche fuori terra contenenti emulsioni oleose esauste. La circostanza veniva segnalata con un esposto indirizzato alla Procura della Repubblica di Pisa da lla stessa curatela fallimentare. In data 3 dicembre 1999 il Sindaco del congiuntamente Comune al di Pontedera ricorrente, nella ordinava qualità di curatore fallimentare della ex Metalgalvanica s.r.l., e al sig. Germano Giovanni, quale legale rappresentante della ditta T.M.M. S.r.l. con la quale in data 4 giugno 1998 77 era stato stipulato un contratto d'affitto di azienda, di provvedere, ai sensi dell'articolo 14 del d.lgs. n. 22 / 1997, alla "rimozione ed avvio a smaltimento di tutti i rifiuti ciascuna di tta per la propria parte - prodotti dagli impianti produttivi ascrivibili alle suddette società". Contro tale atto ricorre il sig. Grassini con il ricorso 397/00 chiedendone l’annullamento, con vittoria di spese e deducendo i motivi che seguono: - Violazione e falsa applicazione degli artt. 6, lett. b) e c), 10 e 14 del d.lgs. n. 22/1997. Violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di illeciti amministrativi. Violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di procedure fallimentari. Violazione e falsa applicazione delle norme del codice civile in potere materia per di errore motivazione, affitto sui d’azienda. presupposti, contraddittorietà e Eccesso di difetto di ingiustizia manifesta. Riferisce la parte ricorrente che, pur non intendo prestarvi acquiescenza, l’ordinanza sopra indicata è stata in parte eseguita con la messa in sicurezza dell’area retrostante lo stabilimento, lo smaltimento dei rifiuti pericolosi ivi accumulati e la bonifica dell’area circostante, sostenendo un costo di ca. 400 milioni di lire, addebitati alla massa del 12 attiva del fallimento. Con l’ordinanza n. 148 maggio 2000 l’Amministrazione comunale di Pontedera, dopo aver disposto la sospensione del punto a) dell’ordinanza n. 81 del 2000, “in attesa dell’esito della nuova asta fallimentare e per un periodo non superiore a tre mesi”, ha tuttavia sostanzialmente 78 rinnovato nei confronti della curatela del fallimento Metalgalvanica i contenuti della precedente ingiunzione. Con il ricorso rubricato al n. 1335/00 la predetta curatela fallimentare ha impugnato anche tale atto, deducendo: - Violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 10, 14 e 17 del d.lgs. n. 22/1997. Violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 14 e 18 del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471. Violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di illeciti amministrativi. Violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di procedure fallimentari. Violazione e falsa applicazione delle norme del codice civile in materia di affitto d’azienda (art. 2562). Eccesso di potere per errore motivazione, sui presupposti, contraddittorietà e difetto di ingiustizia manifesta”. Sulla scorta di tali elementi in fatto si osserva da parte del Giudice amministrativo: “… Con il ricorso n. 397/00 è stata impugnata l’ordinanza con cui il Sindaco del Comune di Pontedera ha ingiunto al fallimentare ricorrente, della ex nella qualità di Metalgalvanica curatore s.r.l., di provvedere, ai sensi dell'articolo 14 del d.lgs. n. 22 / 1997, alla "rimozione ed avvio a smaltimento di tutti i rifiuti - prodotti ciascuna dagli ditta impianti per la produttivi propria parte - ascrivibili alle suddette società". 3. Con la memoria depositata il 10 febbraio 2010 la parte ricorrente ha reso noto che, a s e g u i to del provvedimento del Giudice delegato della Sezione fallimentare del Tribunale di Pisa del 15 maggio 2000, è stato disposto il trasferimento del compendio immobiliare relativo 79 alla società Metalgalvanica s.r.l., in favore della C.S.L. s.p.a., “con rinuncia confronti espressa della a qualsiasi procedura pretesa nei concorsuale”. Inoltre, con determinazione dirigenziale n. 96 del 3 novembre 2003, il Comune di Pontedera, preso atto della nuova situazione di fatto, assegnava alla T.M.M. un termine di 30 giorn i per la presentazione del piano di caratterizzazione e bonifica del sito. Successivamente, avendo la C.S.L. s.p.a., in qualità di avente causa della T.M.M., ottemperato nel corso del 2004 alle prescrizioni impartite dal Comune, è stata rilasciata, in data 7 ottobre 2005 dalla Provincia di Pisa, certificazione di avvenuta bonifica dell’area 4. ex Nondimeno, la Metalgavanica. ricorrente curatela fallimentare afferma di conservare interesse alla definizione nel merito del gravame, non avendo le sopra nominate ditte rinunciato formalmente ad esercitare l’azione di regresso nei confronti del fallimento, né avendo l’Amministrazione intimata revocato o annullato i provvedimenti impugnati. Il ricorso deve, dunque, essere esaminato, atteso che nel processo amministrativo la dichiarazione d'ufficio di improcedibilità sopravvenuta del carenza ricorso di originario interesse può per essere pronunciata soltanto al verificarsi di una situazione in fatto o in diritto del tutto nuova rispetto a quella esistente al momento della sua proposizione, tale da rendere certa e definitiva l'inutilità della sentenza, nel senso di avere fatto venire meno per il ricorrente qualsiasi, anche se solo strumentale, morale o comunque residua utilità della pronuncia del giudice, 80 anche solo propedeutica a future azioni rivolte al risarcimento marzo 2009, espressa del danno (Cons. n. 1431), sulla riserva nel Stato sez. quale c’è, ricorso IV, 12 peraltro, 1335/00. 5. Il ricorso è fondato. Con una precedente sentenza (peraltro condivisa dalla succe ssiva giurisprudenza) questa Sezione ha già espresso un orientamento, dal quale non si ravvisano motivi per discostarsi, in ordine all’esonero da responsabilità per il curatore fallimentare relativamente ai rifiuti abbandonati sul terreno della azienda posta in liquidazione (T.A.R. Toscana, sez. II, 1 agosto 2001, n. 1318). Si è in particolare curatore rilevato, fallimentare quanto - alla posizione segnatamente per del quanto concerne la legittimazione passiva di quest'ultimo rispetto all'impartito ordine di smaltimento - che, in linea di principio, i rifiuti prodotti dall'imprenditore fallito non procedura costituiscono fallimentare e, beni da quindi, acquisire non alla formano oggetto di apprensione da parte del curatore. Inoltre, posto che, a fondamento dell’obbligo di ripristino e messa in sicurezza conseguente a contaminazione del suolo e dell’ambiente l’ordinamento (in particolare l’art. 14 del d.lgs. n. 22/1997) pone il principio della responsabilità, l'esercizio dei poteri di cui alla norma menzionata destinatario è subordinato alla circostanza che il dell'ordine risulti responsabile dello smaltimento abusivo o dell’inquinamento almeno a titolo di colpa, non potendosi configurare a suo carico una responsabilità di tipo oggettivo (T.A.R. Toscana, sez. II, 19 settembre 2008, n. 2052; T.A.R. Veneto, sez. III, 19 giugno 2006 n. 1800). 6. Anche 81 nei confronti del curatore fallimentare non è, dunque, configurabile alcun obbligo ripristinatorio in ordine all'abbandono dei rifiuti dell’accertamento univoco responsabilità del medesimo presupposta ricognizione in di assenza un’autonoma conseguente di alla comportamenti commissivi, ovvero meramente omissivi, che abbiano dato luogo al All'Amministrazione ascrivibilità fatto competente, soggettiva della antigiuridico. in difetto condotta della preordinata allo scarico abusivo dei rifiuti, residua la possibilità, alla stregua di quanto stabilito dall'ultima parte del III comma dell'art. 14 del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, di procedere all'esecuzione d'ufficio "in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate" che, nel caso di specie, può avvenire mediante insinuazione del relativo credito nel passivo fallimentare, come del resto previsto dal V comma dell'art. 18 del D.M. 25 ottobre 1999 n. 471, in base al quale "nel caso in cui il sito inquinato sia oggetto ... delle procedure concorsuali di cui al R.D. 16 marzo 1942 n. 267, il Comune domanda l'ammissione al passivo ai sensi degli artt. 93 e 101 del decreto medesimo per una somma corrispondente all'onere di bonifica preventivamente amministrativa" (Cons. determinato Stato sez. V, 25 in via gennaio 2005, n. 136; T.A.R. Toscana, sez. II, 1 agosto 2001, n. 1318; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 10 maggio 2005, n. 1159; T.A.R. Lazio, Latina, 12 marzo 2005, n. 304). 7. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere accolto 82 conseguendone l’annullamento dell’atto impugnato. 8. Con il ricorso n. 1335/00 la curatela del fallimento Metalgavanica ha impugnato l’ordinanza n. 148 del 12 maggio 2000 con cui il Sindaco del Comune di Pontedera ha ordinato al curatore “Metalgalvanica srl” fallimentare “la revoca del della ex punto b) dell’ordinanza n. 81 del 9.3.2000 avendo i curatori fallimentari ottemperato a quanto descritto nel punto b) sopracitato; la sospensione della esecutività del punto a) dell’ordinanza n. 81 del 9.3.2000 in attesa dell’esito della nuova asta fallimentare e comunque per un periodo non superiore a tre mesi dalla data di notifica Il della ricorso è precedenza sorretto dalle scrutinate in presente”; medesime ordine censure alla in giuridica impossibilità di addossare alla curatela fallimentare obblighi di abbandonati rimozione e di di bonifica rifiuti di aree illecitamente inquinate in assenza dell’accertamento (del tutto ome sso nella circostanza) della responsabilità in capo al curatore di comportamenti anche solo meramente omissivi che abbiano dato luogo al fatto antigiuridico. Il ricorso va, dunque, accolto, per le ragioni già precedentemente esaminate”. **** Da parte del Consiglio di Stato87 si è poi evidenziato c h e " il riferimento alla disponibilità giuridica degli oggetti, qualificati inquinanti, 87 non dal è Comune sufficiente come per rifiuti imporre Cfr. Consiglio di Stato, sentenza sent. n. 4328 del 29 luglio 2003. 83 l'adempimento di un obbligo gravante sull'impresa fallita. Il potere di disporre dei beni fallimentari (secondo le particolari regole della procedura concorsuale e sotto il controllo del giudice delegato) non comporta necessariamente il dovere di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti, sottolineando poi, come proprio il richiamo alla disciplina del fallimento e della successione nei contratti evidenzia che la curatela fallimentare non strettamente subentra corre lati negli alla obblighi più responsabilità dell'imprenditore fallito" . L’inconfigurabilità di un obbligo di bonifica a carico del curatore è stato affermato anche da parte della di merito chiamata anche ad adottare provvedimenti d'urgenza.88 In senso contrario è peraltro l’opinione della Corte di Cassazione, Sez. III penale, la quale – affrontando il problema dello smaltimento dei rifiuti - ha affermato che " nel merito esisteva la prova che l'area in questione era stata materiali riscontrati (nota NOE del n. sgomberata nei 11/05 precedenti del 3 da rifiuti e sopralluoghi ottobre 2000) e Tribunale di Mantova, 6 marzo 2003: "Il curatore fallimentare non può considerarsi destinatario dell'obbligo di ripristino ambientale dell'area occupata dalla società fallita non essendogli addebitabile alcun comportamento colposo nell'abbandono dei rifiuti. L'obbligazione derivante dalla necessità di bonificare tale area, deve pertanto considerarsi concorsuale e sarà l'ente pubblico a dover provvedere all'esecuzione della stessa salvo poi il diritto di chiedere l'insinuazione al passivo secondo gli art. 93 e 101 l. fall.". Tribunale di Lucca, 5 novembre 1993: "Nel caso di fallimento di una azienda spetta al sindaco, in qualità di ufficiale di governo, e non al curatore, provvedere allo smaltimento di rifiuti tossici o speciali, rinvenuti nel patrimonio fallimentare; di conseguenza, il curatore può ottenere, in via d'urgenza, il provvedimento con cui si ordini al sindaco di smaltire i suddetti rifiuti". 88 84 comunque la società S. era fallita a partire dal 26 gennaio 1999, sicché la responsabilità della custodia gravava sul curatore fallimentare" (sent. n. 48061 del 14 dicembre 2004). La C orte di legittimità ha di recente affrontato il problema con la sentenza del 12 giugno 2008: con tale pronuncia - tornando sul delicato tema della responsabilità del curatore si è affermato - che "quando l'impresa sia dichiarata fallita ad avviso di questo collegio la responsabilità del suo titolare si trasferisce sul curatore fallimentare, che da una parte è pubblico ufficiale e dall'altra ha il compito di amministrare il patrimonio dell'impresa in sostituzione del suo titolare (l. fall. ex artt . 30 e 31)". Si legge nella citata sentenza deposito di rifiuti pericolosi che il “… continuava ad accrescersi anche in costanza di fallimento, per il perdurante sfaldamento delle coperture in eternit in stato di abbandono ormai da oltre vent'anni, sicché lo spossessamento dell'impresa per effetto del fallimento era inidoneo a scongiurare la protrazione o la reiterazione del reato; senza considerare che gli interessi meramente economici della massa dei creditori cedono necessariamente il passo dinanzi a lle più meritevoli esigenza di tutela della salute dei cittadini, che era esposta a rischio per la esposizione alle polveri di amianto". Alla luce di tali elementi in fatto la Corte Suprema ha ritenuto corretta la sussistenza del fumus in ordine al reato di cui all'art. 674 c.p., evidenziando che " nei casi di attività non autorizzate, è sufficiente la semplice idoneità delle emissioni a creare molestia alle persone ", senza, 85 pertanto, che si renda necessario verificare un eventuale superamento dei limiti. " Le emissioni dispersione in atmosfera, nell'ambiente sottolinea al riguardo la di sotto fibre specie di di amianto” Corte “… non sono state prodotte da un'attività industriale autorizzata, ma sono state conseguenza del negligente abbandono agli agenti atmosferici in cui la curatela fallimentare ha lasciato i capannoni industriali contenenti a mi an to" . Pertanto secondo Cassazione, l’interpretazione della Corte di deve ritenersi corretta la valutazione d e l fumus in ordine al reato di cui all'art. 256 comma 2 D.Lgs. 152/2006, relativamente all'abbandono sul suolo di rifiuti di ogni genere e non solo di eternit , individuando un a precisa responsabilità in capo al curatore. Con motivazione nettamente diversa da quella dei giudici amministrativi si afferma che "… quando l'impresa sia dichiarata fallita... la responsabilità del suo titolare si trasferisce sul curatore fallimentare, che da una parte è pubblico ufficiale e dall'altra ha il compito di amministrare il patrimonio dell'impresa in sostituzione del suo titolare (e x artt. 30 e 31 della legge fallimentare). Si tratta non già di estensione analogica, norma soggetta ma di interpretazione incriminatrice, materia, il secondo ruolo del teleologica la quale, curatore della nella non può ridursi a quello di soggetto "comune". Del resto, non sembra estranea a questa logica la recente affermazione delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo la quale la curatela fallimentare non è "terzo 86 estraneo al reato" ai fini di cui all'art. 240 c.p., comma 3" . 89 Con particolare riferimento alla abbandono di rifiuti va – infatti - fattispecie di ricordato anche l'art. 192 D.Lgs. 152/2006 90, in particolare l'ultimo comma che considera espressamente l'ipotesi di subentro da parte di terzi nei diritti della persona fisica, richiamando, ai fini della valutazione della responsabilità del subentrante, quanto previsto dal D.Lgs. 231/2001. 12. Ipotesi particolare: la responsabilità del curatore per la durata eccessiva della procedura Ulteriore problema è costituito dall’individu azione di una responsabilità del curatore per quanto lo Stato Italiano ha dovuto 89 risarcire al fallito per l’eccessiva Cfr. SS.UU. n. 29951 del 24 maggio 2004, rv. 228164. 192. Divieto di abbandono "1. L'abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati. 2. È altresì vietata l'immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee. 3. Fatta salva l'applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate. 4. Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni". 90 87 durata della procedura secondo quanto previsto dalla legge Pinto. 91 In dottrina 92 si è affermato che il curatore è un organo dell'ufficio fallimentare, realtà composita che ha come obbligo primario quello di condurre la procedura affinché risponda ai dettami dell'art. 97 della costituzione che impone l'assicurazione del buon andamento dell'amministrazione, concetto che si declina nella realtà attraverso il filtro della legge 24 marzo 2001 n. 89 c.d. legge Pinto. La conseguenza di questa sua intima appartenenza all'ufficio, fa sì che in caso di condanna del ministero di giustizia alla equa riparazione, giurisdizione contabile, egli sia qualora soggetto venga alla ritenuto responsabile dell'eccessiva durata della procedura per colpevole inerzia o negligenza, e debba essere condannato a risarcire il danno erariale relativo. Non sono mancate le prime pronunce in tal senso da parte della magist ratura contabile. La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Lombardia 22982/05 93 giurisdizione nei ha confronti affermato di un la propria curatore fallimentare, ritenendo che egli, oltre ad essere un pubblico ufficiale, in considerazione dei poteri che Cfr. Rispoli, Legge Pinto, ora paga anche il curatore. Fallimento-lumaca, via Arenula si rivale. Professionista negligente, sì alla responsabilità patrimoniale, in D&G 2006, 13, 87. 91 Cfr. Paluchowski, Impugnazione del decreto di chiusura del fallimento e ricorso per cassazione del curatore: regime e peculiarità prima e dopo la legge n. 5 del 2006, in Il Fall., 2007, 20. 92 Cfr. Corte dei Conti sez. giur. Regione Lombardia 12 dicembre 2005 n. 733, in Il Fall., 2006, 1183 con nota di PUSTERLA, Il curatore Fallimentare e il risarcimento del danno erariale per eccessiva durata della procedura concorsuale. 93 88 l'ordinamento gli attribuisce - sia pure temporaneamente - è, altresì, rivestito della qualifica di compartecipe fattivo dell'attività pubblica, con il conseguente assoggettamento alla responsabilità patrimoniale. La condanna al risarcimento del professionista ha origine da un decreto di condanna emesso, ai sensi della legge 89/2001, dalla Corte d'appello di Venezia nei confronti violazione del dei ministero termini di della Giustizia ragionevole durata per del processo (articolo 6 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali); la Corte d'appello aveva accertato un'anomala durata della procedura concorsuale (protrattasi dal novembre del 1981 sino al luglio del 2000), rispetto alla quale nessun addebito poteva muoversi al comportamento del fallito. Il decreto di condanna era, quindi, stato trasmesso, ai sensi dell'articolo 5 legge 89/2001, al procuratore generale della Corte dei conti, ai fini dell'eventuale avvio del procedimento di responsabilità, cui avev fatto seguito la condanna al risarcimento. I giudici contabili hanno precisato che il fatto che l'esistenza di un rapporto di servizio si configura allorché il soggetto sia inserito a qualsiasi titolo nell'organizzazione per lo della svolgimento pubblica in modo amministrazione continuativo di un'attività, secondo le regole proprie di quest'ultima. Nella specie, non ha rilevanza alcuna il fatto che l'inserimento riguardi una sia volontario persona fisica o obbligatorio o giuridica. o che Questo indirizzo giurisprudenziale, del resto, è stato ripreso 89 più volte anche dalla Cassazione a Sezioni unite, la quale ha precisato che, per integrare tale rapporto, è sufficiente l'esistenza di una relazione funzionale che implichi la partecipazione del soggetto alla gest ione di risorse pubbliche e il suo conseguente assoggettamento ai vincoli ed agli obblighi volti ad assicurare la Cassazione, corretta Sezioni gestione unite di tali 4060/93, beni (cfr. Cassazione, Sezioni unite, 3358/94). Sulla base di tali principi, la giurisprudenza contabile ha ravvisato la sussistenza del rapporto di servizio per i medici di base convenzionati con il Servizio sanitario nazionale, per i direttori ed i collaudatori di lavori pubblici, per i componenti di un seggio elettorale, per i membri del collegio dei sindaci o dei revisori di un ente pubblico. La dottrina 94 che si è occupata dell’argomento ha osservato che la normativa di riferimento è costituita dall'articolo 52 Rd 1214 del 1934, che assoggetta alla giurisdizione contabile, accant o agli impiegati, anche dall'articolo l'estensione 2 i della della funzionari legge e 658/84, giurisdizione gli agenti che ribadisce contabile e agli "amministratori e funzionari, impiegati e agenti di uffici e organi dello Stato e di enti pubblici". Si è osservato che le espressioni "funzionari" (comprendenti, evidentemente, anche quelli onorari) ed "agenti", utilizzate dal legislatore, hanno costituito il presupposto fondamentale su cui si è basata quella giurisprudenza che, a partire dalla 94 Cfr. Rispoli, op. cit. 90 seconda metà degli anni '50, ha oltrepassato l'ambito del rapporto d'impiego per arrivare a ritenere giustificata l'espansione della giurisdizione contabile anche alle ipotesi di mero rapporto di servizio. La sentenza 22982/05 giurisdizionale per la emessa Lombardia dalla della sezione Corte dei conti, dunque, parte da un'analitica ricostruzione dei principi che giustificano l'estensione della propria giurisdizione ai soggetti che, pur essendo estranei all'amministrazione, operano, a vario titolo, all'interno della ste ssa. I giudici contabili sottolineano - infatti - che anche l'incarico colloca espletato nell'ambito dal del curatore rapporto fallimentare di servizio si con l'amministrazione, in quanto l’ordinamento oltre ad attribuirgli la qualifica di pubblico u fficiale ed a pretendere nello stesso il possesso di peculiari qualità individuali, gli conferisce un ruolo essenziale nell'ambito della procedura fallimentare, affidandogli l'amministrazione del patrimonio fallimentare. I medesimi giudici sottolineano, inoltre, come l'ampiezza dei poteri conferitigli portino a definire il curatore quale càrdine della gestione del patrimonio fallimentare e cooperatore del giudice. A tali soggetti principi di risultano pienamente “buon andamento applicabili i dell’attività amministrativa”: in dottrina si è infatti sostenuto che il significato MMMMMMMM + QQQQQ + SSSSS 91 Le indicate considerazioni giustificano – secondo la giurisprudenza del l'assoggettamento giudice del curatore contabile fallimentare alla giurisdizione della Corte dei conti per responsabilità amministrativa, negligenti, lo qualora, stesso a causa abbia di cagionato condotte un danno all'erario. La dottrina 95 che ha favorevolmente annotato tale pronuncia, si pone ha osservato che “… l'indicata sentenza nel solco di una giurisprudenza ormai consolidata, secondo la quale non è sufficiente, per la configurazione di un rapporto di servizio, il solo esercizio di una funzione o di un'attività collegata a finalità pubbliche, esercizio, se pure dell'amministrazione, ma occorre esterno anche che all'apparato avvenga secondo detto diretto regole e criteri fissati da quest'ultima, nell'esplicazione di poteri pubblici o, comunque, sotto la vigilanza della pubblica amministrazione. … Invero, viene pacificamente ammessa dalla giurisprudenza senza contrasti la sussistenza del rapporto di servizio nei limiti della competenza delegata (cfr. Corte dei Conti 110/97). Il delegato, pertanto, è soggetto alla disciplina della responsabilità amministrativa, secondo le regole p r o p r i e dell'attività esercitata per effetto dell'atto di delega. In questo caso, può discutersi, semmai, se la responsabilità trasformarsi esclusiva in del responsabilità delegato concorrente possa con il delegante (giudice dell'esecuzione), qualora questi sia 95 Cfr. Rispoli, op. cit. 92 s t ato in qualsiasi forma interpellato al fine di intervenire nella materia o nell'oggetto della delega. Tale orientamento ha trovato conferma anche recentemente seppure con alcune precisazioni: la Corte di Cassazione con sentenza 2009 n. 28318 ha affermato che del 31 dicembre 1111 da RRRRR a M Sempre da parte della stessa Corte di Cassazione (cfr. Cass. 25 gennaio 2010 n. 2207) – ampliando al creditore fallimentare il numero dei legittimati a chiedere il risarcimento soggetti - si è poi affermato che “nel giudizio ex legge Pinto promosso per ottenere l’equa riparazione del danno cagionato dall’irragionevole durate del processo fallimentare, la durata per il creditore ammesso al passivo fallimentare, deve essere valutata con riferimento al periodo compreso tra la proposizione dell’istanza di ammissione al passivo fallimentare e l distribuzione finale del ricavato”. 13. La responsabilità penale del curatore per le fattispecie previste dalla legge fallimentare. 13. a) Generalità La prima norma, cost ituita dall’ art. 228 L.F. punisce, con la pena della reclusione da due a sei anni e con la multa non inferiore di 200 euro “il curatore che prende un interesse privato negli atti del fallimento”; la seconda fattispecie prevista dall’art. 229 punisce con la pena della reclusione da tre mesi a due anni e con un multa che va da un minimo di 100 euro ad un massimo di 516 euro, il 93 curatore che “accetta o pattuisce una retribuzione non dovuta ” e la terza ipotesi disciplinata dall’art. 230, punisce “l’omessa c onsegna o deposito di cose del fallimento” prevedendo la pena della reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 1032 se la condotta è commessa con dolo, e la reclusione fino a sei mesi o la multa fino ad euro 300 circa, se l’omissione è dovuta a mera dimenticanza e/o negligenza. 13. B) Il bene giuridico In dottrina ed in giurisprudenza il bene giuridico tutelato dalla fattispecie di reato sopra indicate, stato indicato svolgimento unanimemente, della “nell’integrità nel procedura dell’azione “corretto fallimentare” , degli è organi e del fallimento” , organi a cui appartiene il curatore e del quale necessita tutelare la sua “onestà”, “integrità” nei rapporti complessivi con la procedura concorsuale. Secondo alcuni autori l’oggetto giuridico della norma può ravvisarsi anche nel “buon andamento” e nella “imparzialità e correttezza degli organi preposti alla citata procedura concorsuale”, anche se non mancano coloro che individuano un ulteriore oggetto giuridico di elaborazione squisitamente giuri sprudenziale nato sotto la figura disciplinata dall’art. 229 della L.F., criminosa in cui la Cassazione, con una pronuncia recente, ma anche unica sul delitto de quo (Cass. 2.11.94 sez. VI), nel tentativo di sottrarre il curatore ad ogni forma di 94 suggestione economica perseguibile - in ogni forma ha individuato il bene interesse tutelato nella “ venalità del curatore”. Tuttavia, come è dato comprendere, sia che si segua la dottrina che la giurisprudenza, il bene interesse tutelato dalle salvaguardare della norme “ il giustizia è prestigio e degli sempre quello di dell’amministrazione organi fallimentari” nell’ambito della procedura concorsuale. 13. c) Aspetti e problematiche collegate alla qualifica soggetiva del curatore fallimentare I l curatore è un pubblico ufficiale stante l’espressa previsione dell’art. 30 l.f. , in mancanza della quale a renderlo un p.u. ci penserebbe la norma generale di cui all’art. 357 del cp. In relazione a quest’ultima norma è innegabile che il curatore è un “ organo dell’ufficio fallimentare” e concorre alla “formazione e manifestazione della volontà della P.A.” attraverso i suoi pareri, le sue istanze, la costante partecipazione negoziale agli atti del fallimento. Se è normativamente pacifica la qualifica di pubblico ufficiale in capo al curatore, ai fini dell’assunzione delle responsabilità penali, diventa importante individuare il momento in cui il curatore assume tale qualifica. La risposta, a prima vista, appare scontata, nel senso, che la qualifica si assu me con la nomina del curatore contenuta nella sentenza dichiarativa di fallimento. 95 Il problema può sorgere sulla efficacia della nomina del curatore contenuta in sentenza , in mancanza di una sua espressa accettazione, così come previsto dall’art. 29 L.F. In tal caso, seguendo la linea giurisprudenziale più accreditata, la soluzione sembra essere quella secondo la quale, la veste di p.u. e le conseguenti responsabilità verrebbero mantenute, in ogni caso, fino a quando il Tribunale non ha provveduto alla s u a sostituzione. Questa tesi non può incidere negativamente sulle responsabilità del curatore nell’ipotesi di eventuali ritardi nella sua sostituzione da parte del Tribunale ove lo stesso, non abbia inteso assumere l’incarico proprio per l’esistenza di un reale conflitto di interesse con il fallito e/o con i creditori. Sicuramente le responsabilità penali del curatore non cessano né con la “chiusura del fallimento” né con “la revoca fallimento” della in sentenza quanto, se il dichiarativa fatto di commesso si riferisce all’ufficio o al servizio esercitato, lo stesso risponderà delle condotte poste in essere nel corso del suo incarico. Nell’ambito obblighi sempre stesso penalistico, posti a carico sottolineata nel oltre del ad curatore, l’importanza procedimento evidenziare penale del è stata ruolo promosso gli da dello per la repressione degli eventuali fatti di rilevanza penale a carico del Fallito. Tra gli atti più significativi posti in essere dal curatore per la individuazione delle responsa - bilità penali del fallito, va segnalata la relazione ex art. 96 33 della L.F. , in ordine alla quale, tralasciando tutti gli aspetti di natura civilistica, è importante, in questa sede, soffermarsi sull’efficacia probatoria della relazione nell’ambito del procedimento penal e . Al riguardo, la giurisprudenza penale di legittimità ha univocamente qualificato la relazione del curatore come un “documento” acquisibile al fascicolo del dibattimento. (tra le più Cass. recenti, 13.4.99 Gianferrari, in Cass. Pen. 2000, 409). Ciò non significa che tutto quello che il curatore abbia riportato nella sua relazione costituirà prova nel processo l’efficacia scomposta penale a carico probatoria a seconda del che del suo : il fallito, ma contenuto va curatore compie accertamenti di fatto personalmente e direttamente relazionati al G.D. in ordine ai quali, quanto da lui riferito, assume carattere fidefacente fino a querela di falso; il curatore apprende di fatti del fallito che si limita a riferire e per i quali vige la presunzione a prova contraria discarico; il con testi curatore e documentazione riferisce opinioni a e/o valutazioni in merito alle cause del fallimento o ad altre circostanze che lo hanno determinato, per le quali opinioni si è fuori dal campo delle prove. Anche se i reati del curatore fallimentare si caratterizzano per essere “reati propri” della figura del curatore fallimentare”, non è escluso che, le medesime ipotesi criminose siano estensibili ai coadiutori del curatore, che per ciò solo, in forza della norma speciale del c.p. ex art. 357, assumono anch’essi la qualifica di pubblici ufficiali. Sul punto, il curatore risponde, a titolo personale anche se 97 l’inadempimento deriva dal fatto omissivo dei suoi coadiutori, nei confronti dei quali ricorre il principio della “culpa in vigilando” . Non potrà mai estendersi a carico del curatore una “culpa in eligendo” dei suoi coadiutori, in quanto gli stessi vengono nominati ex art. 32 previa autorizzazione dell’A.G. In ordine alla condotta materiale, i reati del curatore vanno esa minati in maniera distinta per coglierne i tratti essenziali per ciascuna di esse. Non v’è dubbio che la condotta che maggiormente ha sollecitato dibattiti, è stata la norma di cui all’art. 228 che, come abbiamo già detto, punisce il curatore che “prende un interesse negli atti del fallimento” . Il concetto della “ presa di interesse” è interamente contenuto nell’esegesi giurispruden ziale formatasi sotto la vigenza della soppressa norma di diritto comune “dell’inte- resse privato in atti di ufficio del pubblico ufficiale” ex art. 324 del c.p. Rispetto a quest’ultima norma, quella prevista dalla legislazione fallimentare, si distingueva, per la “specialità del soggetto attivo del reato” e per la natura degli “atti” attraverso i quali può essere preso l’interesse. La nozione di “atto del fallimento” è stata estesa fino a volontà ricomprendere del curatore qualsiasi manifestazione posta essere in nella di sua istituzionale funzione di organo del fallimento. La dottrina ha segnalato che il legislatore ha voluto limitare la responsabilità del curatore alla presa di interesse nel compimento degli atti del fallimento escludendo tutte le ipotesi in cui lo stesso ponga in 98 essere comportamenti di natura privata (si pensi al curatore che abbia fornito un aiuto agli acquirenti dei beni sottoposti al concordato fallimentare) Le diverse nozioni di “presa di interesse del curatore” sono, come già detto, il risultato della progressiva elaborazione giurispruden- ziale che, sarà richiamata a titolo esemplificativo, cominciando dalle applicazioni più remote per poi, concludere con l’indirizzo più recente e condiviso dalla Corte Costituzionale. In questa prospettiva, veniva ravvisato il delitto nelle condotta del curatore che, nell’esplicare un’attività concorsuale faceva prevalere i suoi scopi di “utilità privata e personale che risultavano incompatibili con le finalità dell’ufficio ricoperto”. Ancora è stato ravvisato il reato in relazione ad atti formalmente e sostanzialmente legittimi che il curatore ha posto in essere associandoli ad un suo privato interesse, derivato un anche effettivo senza che vantaggio dall’atto sia patrimoniale, trattandosi di reato di mero pericolo (Cass. V 1967, Scali). Si è sostenuto che il curatore possa prende un interesse privato nella formulazione della proposta ex art. 108 L.F. (Cass. V 1.2.1984, Reale ) o addirittura nello svolgimento di un asta partecipando significativamente alla liquidazione dello attivo. 96 La giurisprudenza ha configurato interesse” nell’effettiva ingerenza la “presa di Profittatrice Del Curatore, che strumentalizzi i poteri del suo ufficio 96 Cfr. Cass. V 22.2.1994. 99 al fine di inserire, in un atto del fallimento, una prospettiva di vantaggio privato. In altri termini, il curatore attraverso il suo comportamento ingerente e profittatrice deve agi re con la consapevolezza di associare un interesse privato ad un atto del fallimento, indipendentemente dalla legittimità o meno dell’atto e dal danno o vantaggio derivabile alla amministrazione fallimentare. Tale indirizzo è stato suggellato dalla Corte C ostituzionale ( 18.3.99 n.69) la quale, tra l’altro, precisava curatore che “per la fallimentare sussistenza non è del sufficiente reato la del mera coincidenza o coesistenza di un interesse privato convergente o compatibile con l’interesse pubblico, né, ta ntomeno, la mera violazione di un obbligo di astensione, ma che consistendo la presa di interesse in una effettiva necessaria pubblico la ad configgente ingerenza profittatrice, strumentalizzazione un con fine privato, l’interesse dell’atto contrario della sia o procedura concorsuale..”. 13. d) L’elemento soggettivo dei reati fallimentari del curatore. Richiede un dolo generico costituito dalla “coscienza e volontà del comportamento e della realizzazione del privato interesse”. La dottrina più sensibile, in linea con le precedenti critiche sollevate all’abrogata fattispecie prevista dall’art. 324 del c.p., ritiene – e non a torto – che avendo il legislatore connotato 100 positivamente l’elemento psicologico con una “specifica presa di interesse privato “ non si possa prescindere nell’esame dell’elemento soggettivo, da un dolo intenzionale caratterizzato dall’esistenza nel reo di una consapevole strumentalizzazione dell’atto al perseguimento di un vantaggio personale o di terzi. 13. e) Le singole fattispecie L’ art. 229 l.f. La Condotta materiale consiste “nel ricevere o pattuire una retribuzione in aggiunta a quella legalmente Giudice attribuita delegato o dal dal Tribunale diverso o dal organo amministrativo “. Si evidenzia subito l’infelice formulazi one legislativa che, ad una rigorosa interpretazione ermeneutica, lascerebbe fuori dal reato ogni forma di retribuzione liquidata al curatore antecedentemente al decreto ex art. 39 della L.F. E’ apparso subito chiaro che ciò non poteva essere l a v o l o n t à legislativa che addirittura costruisce la fattispecie come una sorta di difesa anticipata contro la corruzione del curatore sicchè l’inciso “ in aggiunta di quella liquidata in suo favore dal Tribunale “ significato di va allora “ ol tre al interpretata compenso e letta nel legalmente dovuto” La condotta si divide in due momenti che sono equivalenti sotto l’effetto incriminatorio: a) nel ricevere l’offerta del privato, 101 b) nella pattuizione con il privato per una dazione indebita senza la necessità che la stessa segue necessariamente all’accordo. Da queste due forme di condotta va senz’altro esclusa la “promessa unilaterale del terzo” a cui non segue l’adesione del curatore. In ordine alla natura del “vantaggio” si è dibattuto se, nel concetto di retribuzione rientra anche un vantaggio “non patrimoniale”. A favore dei sostenitori della tesi estensiva, vi è il richiamo, per un verso, all’analoga fattispecie di corruzione di diritto comune ove l’utilità può avere anche un contenuto “non patrimoniale” (cfr. Cass. Sez. UN. 11.5.93 configurabilità del Romano reato in anche ordine per un alla favore sessuale) e, per l’altro, il richiamo operato dall’art. 229 L.F., che insieme al danaro, cita retribuzioni avvenute “in altra forma”. Interessante in giurisprudenza è il richiamo delle decisioni in materia di “rimborso delle spese” Il principio da cui si deve partire è che la retribuzione corrisposta al curatore è lecita tutte le volte in cui trova la sua causa in un titolo estraneo alla procedura, ad esempio perché fondata su di un incarico professionale. Naturalmente sarà punibile la condotta del curatore qualora il rimborso delle spese sia solamente fittizio e mascheri la volontà di una retribuzione privata del curatore per l’opera svolta. Ancora controversa nella prassi giurisprudenziale è se nell’ampio concetto di retribuzione possa essere inserita anche un compenso di modico valore o mera 102 cortesia che non integrano un reale vantaggio economico per il curatore. A contrastare tale assunto sono quegli autori che ritengono punibili tali comportamenti sia pure caratterizzati da un minor disvalore sociale, purché i donativi di modico valore siano dotati di una valenza economica o di una qualche utilità per chi li riceve. Il reato ovviamente si consuma con l’accettazione della promessa di retribuzione o con la pattuizione dell’indebito compenso, o in mancanza dell’uno o dell’altra, con la mera ricezione dell’indebita ricompensa. Si ritiene configurabile il tentativo, nella condotta del curatore che, avvii una trattativa con il privato, tesa a definire l’an della prestazione o il suo esatto ammontare. Non sarà applicabile certamente l’istituto di diritto comune della cd. desistenza volontaria , in quanto al momento dell’accordo il reato si è già perfezionato, p e r cui l’eventuale rifiuto al momento del pagamento da parte del privato, sarebbe del tutto irrilevante. Al contrario, se il curatore, nel mentre avvii le trattative per concordare un indebita retribuzione receda spontaneamente dalla trattativa, si ritiene i mpossibile configurare qualsiasi forma di addebito. L’elemento soggettivo deve essere caratterizzato dalla coscienza e volontà di pattuire o ricevere un compenso non dovuto in relazione alla propria qualità di curatore. Poiché la fattispecie incriminatrice in esame, rientra nella categoria dei reati cd. “a concorso necessario” , 103 resta da qualificare il concorso del privato nel reato del curatore. Una parte della dottrina esclude la punibilità del privato laddove il legislatore intende perseguire ogni forma di suggestione economica di soggetti qualificati quale appunto il curatore che svolgono funzioni di rilevo nella procedura fallimentare, mentre il privato potrebbe anche agire per mero spirito di liberalità. Secondo altri autori, il privato può essere esente da pena, solo se abbia errato su taluni elementi essenziali della fattispecie, ed in particolare, quando ignori la qualità di curatore in capo a colui al quale dà o promette il denaro. L’art. 230 l.f. disciplinata dall’art. 230 L.F. , relativa alla “ omessa consegna o deposito di cose del fallimento”, il presupposto della “ disponibilità di condotta fatto è dei costituito beni di dalla cui è obbligatoria la consegna o il deposito” . Si tratta di un “reato omissivo proprio” la cui consumazione è subordinata alla esistenza di un duplice presupposto: la detenzione da parte del curatore di somme o cose del fallimento; l’ordine del Giudice. In ordine al primo presupposto, il concetto di “ somme” e d i “cose” va interpretato estensivamente tanto da far ricomprende re, nel primo, anche gli utili ed i profitti inerenti i cespiti del fallimento con gli eventuali ricavi dall’esercizio provvisorio, e nel secondo, anche beni immateriali, mobili ed immobili, compreso i documenti necessari 104 per garantire il trasferimento della titolarità dei beni caduti nel fallimento. In ordine al secondo presupposto, vige al contrario, una interpretazione più restrittiva, nel senso che, vanno esclusi tutti gli ordini non provenienti da organi fallimentari. Sul punto, non manca chi ritiene che, nel anche il termine “giudice” debba P.M. procedimento investito del farsi rientrare penale. (Antolisei – Conti). A favore della tesi piu’ restrittiva considerazione che la norma espressamente “al curatore fallimento” imponga legittimanti l’emanazione rilevante per cui una militano facendo ed lo cose nei dell’ordine sara’ riferimento alle restrizione la del soggetti penalmente stesso P.M. del procedimento penale che potrà semmai sollecitare il Tribunale e/o il G.D. all’emanazione di un valido ordine di deposito. L’ordine non deve necessariamente assumere la forma del decreto, ma comunque è indispensabile che lo stesso debba essere portato a conoscenza del curatore nella sua indicazione specifica In dottrina si era posto infine il problema se, l’ordine del giudice dovesse contenere un termine finale per rendere più agevole consumazione del l’individuazione reato perfezionatosi della con il mancato rispetto del termine. La risposta è sicuramente negativa in quanto trattandosi di reati omissivi propri, la responsabilità del curatore è desumibile anche dal decorso di un termine minimo necessario all’esecuzione dell’ordine medesimo. 105 per provvedere In ogni caso, la giurisprudenza ha escluso il reato del curatore per il mero decorso del termine di 5 gg. ex a rt. 34 L.F. Infine, vi è contrasto anche sulle modalità con cui il curatore deve adempiere all’ordine del giudice, nel senso che, taluni ritengono non liberatoria la condotta del curatore che esegue il deposito in forme e con modalità diverse rispetto all’ordine giurisdizionale, altri, per converso sostengono che il deposito nella cancelleria del tribunale fallimentare esime da qualsiasi responsabilità il curatore medesimo. Trattasi di reato istantaneo che si consuma con il mancato deposito nel lasso di te mpo necessario per l’esecuzione dell’adempimento richiesto dal Giudice. Stante la natura di reato “omissivo proprio istantaneo”, prevale la tesi che non sia ammissibile la figura del delitto tentato. L’elemento soggettivo si caratterizza per la sua duplice forma dolosa e colposa. La prima richiede sempre la consapevolezza del curatore di non ottemperare all’ordine di consegna o di deposito. La seconda ricorre allorché l’omissione è dovuta a negligenza o dimenticanza del curatore. 14. Le prospettive di riforma dei reati del curatore fallimentare In una prospettiva di riforma, parlamentare ha la commissione previsto la abrogazione, dei tutti i reati concernenti le figure del curatore fallimentare nel disegno di legge n. 1741 - C, recante “Delega al 106 Governo per il riordino della legislazione in materia di gestione delle crisi aziendali”. Il disegno di legge citato è composto di due articoli: il primo contiene la delega al Governo per la riforma della disciplina delle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, il secondo contiene la delega a riformare la legge fallimentare penale di cui al titolo VI del R.d. 16 marzo 1942, n. 267 (non modificato dalla riforma attuata con la legge n. 80/05), il D.lgs. n. 5/06 e il D.lg s. n. 129/07. Nella relazione di accompagnamento si legge che la finalità della procedure, delle adeguare grandi materia delega di è la imprese aiuti di quella di disciplina alla Stato, uniformare del normativa nonché le salvataggio europea in completare la riforma della legge fallimentare, attuata con il D.lgs. n. 5/06 e correttivi successivi. Si è osservato in sede di parere reso dal Consiglio Superiore della Magistratura che gli articoli si caratterizzano per l’ampiezza e la genericità delle direttive impartite al Governo: in particolare con specifico riferimento alla tutela penale, con la legge n. 80/05 non è stata conferita alcuna delega al Governo, né modifiche sono state introdotte per effetto degli interventi correttivi successivi. Le direttive del disegno di delega di cui alla citata legge, relative al titolo VI della legge fallimentare, di cui alla lett. d ) dell’art. 2, sono state eliminate nel corso della proposta a discussione seguito di per l’approvazione emendamento della soppressivo determinat o dal fatto che veniva conferita delega 107 diretta ad una drastica riduzione delle sanzioni previste per i reati fallimentari. Pertanto rispetto alla tutela penale la riforma fallimentare attuata tra il 2005 ed il 2007 non ha offerto nessuna soluzione in riferimento alle questioni per cui tradizionalmente si invocava un intervento del legislatore quali: la necessità di individuazione del momento di rilevanza penale delle condotte dell’imprenditore commerciale ai fini della configurabilità dei reati di bancarotta, l’intervento in merito a lacune quali quella della mancata previsione dell’estensione agli amministratori ed ai liquidatori dei reati previsti per l’imprenditore in concordato, la risoluzione delle antinomie tra bancarotta impropria e reati societari come modificati dalla riforma, la risoluzione di questioni processuali determinate dal codice di procedura penale del 1988 quali quella della pregiudizialità della sentenza dichiarativa di fallimento. La riforma fallimentare, attuata senza alcun intervento nel settore penale, ha determinato ulteriori antinomie e lacune. Alcune questioni sono state risolte dalla giurisprudenza che ha ricollegato alla riforma effetti abrogativi sia pure indiretti: si pensi all’abrogazione di taluni obblighi imposti al fallito e di talune conseguenze connesse alla dichiarazione di fallimento o alla sostanziale modifica del concordato preventivo o all’abrogazione dell’amministrazione controllata. Una delle tematiche di maggior rilievo, sorta a seguito della riforma, è quella della tutela penale da apprestare in riferimento a condotte dell’imprenditore individuale, collettivo o organizzato 108 in forma societaria, idonee a determinare grave danno ai creditori - si pensi alla falsa esposizione di dati contabili concordato ai o fini dell’ammissione all’omologazione degli al nuovo accordi di ristrutturazione - fatti che non integrano alcuno dei tradizionali reati fallimentari e non sono sussumibili nei reati del codice penale. Il disegno di legge contenente la delega per la riforma dei reati fallimentari risolve il vuoto normativo e dunque lo scollamento determinatosi a seguito della riforma nel corpus disposizioni juris apprestate dell’imprenditore tra fallimentare per offrire commerciale ai le creditori un’adeguata tutela civile e quelle finalizzate ad apprestare un’adeguata tutela penale. Si è pertanto detto che la delega affronta e risolve la questione rilevanza dell’individuazione penale delle del condotte momento di dell’imprenditore commerciale ai fini della configurabilità dei reati di risolve bancarotta, le antinomie della bancarotta impropria, sorte dopo la modifica dei reati societari, risolve in radice la questione relativa all’estensione agli amministratori ed ai liquidatori dei reati previsti per l’imprenditore in concordato. Per quanto riforma della riguarda legge gli aspetti fallimentare principali penale, della l’art. 2 contiene la delega ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi recanti la riforma organica de lla disciplina delle disposizioni penali in materia di procedure concorsuali di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. 109 Con specifico riferimento all’aspetto che interessa in questa sede e cioè reati i del curatore, del coadiutore e del commissario Giudiziale, va detto che il disegno di legge contiene una disposizione che si limita a qualificare tali soggetti agli effetti della egge penale pubblici ufficiali. Con riguardo a tali fattispecie nella relazione è esposto che tali reati vanno ricondotti ne lle fattispecie delittuose dei reati commessi dal pubblico ufficiale. I n proposito la direttiva di cui alla lett. n) prevede infatti che il legislatore delegato debba stabilire, agli effetti della legge penale “l’equiparazione dei curatori, dei commissari coadiutori ai giudiziali o governativi e dei loro pubblici ufficiali”; tale disposizione ribadisce quanto previsto dall’art. 30 L.f. secondo il quale “il curatore è pubblico ufficiale per quanto attiene all’esercizio delle sue funzioni”. La direttiva di cui alla lett. n.) determina così l’abrogazione di reati di cui agli articoli 228, 229, 230 e 231 L.f.. 14. La attestatore responsabilità nella del presentazione professionista del concordato preventivo (art. 160e ss. L.f.) 14. a) La relazione del pr ofessionista: il contenuto della relazione ex art. 161 l.f. 110 La relazione del professionista ex art. 161 l.f. riveste un ruolo fondamentale nell’ambito della “nuova” procedura di concordato preventivo. Un primo problema dell'individuazione è dei costituito, soggetti pertanto, abilitati alla redazione di tale documento. L’art. 161 comma 3 l.f. possono procedere prevede che i soggetti che alla redazione della relazione i sono professionisti in possesso dei requisiti di cui all’art. 67 terzo comma lett. D), il quale , a sua volta richiama indicati dall’art. 28 lett. a) e b) l.f. e quindi gli avvocati, ragionieri i dottori commercialisti, commercialisti associati o società gli i ragionieri i studi professionali tra professionisti che abbiano i requisiti di cui sopra, e coloro che “abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società per azione adeguate capacità intervenuta nei che abbiano dato prova di imprenditoriali e purchè non sia loro confronti dichiarazione di falli mento. Un secondo problema consiste nell'individuazione di eventuali cause di incompatibilità in capo al professionista. In altri termini ci si deve domandare se tale relazione possa essere redatta da un professionista che aveva pregressi rapporti di consulenza o di collaborazione con il debitore, indipendenza e del quindi verificare professionista il che l’importante documento; ciò comporta la grado di redige necessità che il professionista, per quanto scelto dal debitore, svolga giudizio l’incarico ed conferitogli imparzialità, 111 con avendo autonomia egli la di delicata funzione di conferire attendibilità alla proposta del debitore. Con riferimento caratterizzare alla il indipendenza professionista che che deve redige la relazione ex art. 61 l.f. la Corte di Cassazione,97 h a affermato che le attestazioni relative alla dei dati aziendali e la fattibilità veridicità del piano possono essere redatte, ai sensi dell’art. 161 l.fall., anche da un soggetto attività che già in professionale passato in abbia favore del prestato debitore concordatario. La scelta della Corte di Cassazione (nonostante la vicenda si riferisse ad un piano allestito prima dell’ultima modifica ai requisiti per la nomina a curatore, du nque entrata ad in vigore un’epoca il 16 in luglio cui 2006, e sussisteva un’incompatibilità a tale incarico in base all’art. 28, secondo comma l.fall.), è netta nello svincolare da un requisito di maggiore terzietà il professionista. Tale indicazione giurisprudenziale si colloca sofferto dottrinale dibattito che, unitamente nel alle prime decisioni della giurisprudenza di merito, sta cercando di elaborare un connotato di autorevolezza fidefaciente dell’attestatore, optando piuttosto per una valorizzazione del maggior numero di elementi di indipendenza della sottolineare che “una posizione figura e non manca di se al professionista va riconosciuta di terzietà, essa deve essere 97 Cfr. Cassazione, Sez. I, 4 febbraio 2009, n. 2706 - Pres. Proto - Est. Panebianco - G.B. e altri c. Montechiaro S.r.l. in liquidazione e altri, in Fallimento, 2009, pag. 387. 112 connotata da un rapporto di fiducia con l’imprenditore”. Pertanto se è evidente che il debitore scelga per la relazione ex art. 161 l.f. un professionista di sua fiducia, ciò non significa che tale relazione debba venier meno genuinità che ai requisisti di attendibilità e di consentono di sottoporla al vagli dei creditori (e del Tribunale). Passando al con tenuto l’art. 161 l.f. prevede che la relazione di accompagnamento del professionista ex art. 161 l.f., deve attestare: a) la veridicità dei dati aziendali; b) la fattibilità del piano, ai sensi dell’art. 161, terzo comma l. fall. I contenuti di “v eridicità dei dati aziendali” e di “fattibilità del piano” sono stati variamente intesi; è comunque un dato acquisito in dottrina e in giurisprudenza che la finalità di questa informazione, garantita nella chiarezza (perchè comprensibile nelle sue fonti e nella sua rappresentazione), genuinita` e nell’esaustivita` oltre che critico sindacato del tribunale, nella dall’attento e trova la sua giustificazione nel fatto che la stessa è destinata alla formazione di un reale “consenso informato” dei creditor i, posti cosi` in condizione di esprimere il loro libero convincimento, con una volonta` viziata.98 14. b) La veridicità dei dati aziendali 98 Cfr. Tribunale di Ancona 13 ottobre 2005, in Fall., 2005, 1405). 113 non Con particolare veridicità dei riferimento dati contabili, professionist a non possa verifica regolarità della abbia l’onere svolgere un - all’attestazione si ritiene che limitarsi ad una della di il formale documentazione ma al fine di tutelare i creditori – di controllo di merito verificando - ad esempio - la congruenza tra i dati contabili allegati alla pr oposta di concordato preventivo e la contabilità effettiva. A nostro avviso non saranno ammissibili controlli e verifiche a campione, e l’attestazione di veridicità non potrà essere condizionata o parziale. Tale onere per il professionista appare coere nte con il fatto che nel sistema novellato, professionista sostituisce vigenza del la relazione l’accertamento precedente sistema il del che nella Tribunale doveva operare in base al combinato disposto degli artt.161 e 162, comma 1°, primo periodo: un accertamento che si fondava proprio sulle scritture contabili che, materialmente, veniva effettuato e mediante redazione di consulenza tecnica (in cui il consulente tecnico veniva, tuttavia, nominato dal Tribunale). L’importanza della attestazione di veridicità dei dati contabili sotto questo aspetto, pertanto, emerge dalla circostanza che, preventivo”, diretto procedure essa destinate, costituisce ad evitare fin un “filtro ammissioni dall’origine, ad di esito infausto, ma che, per il solo fatto della intervenuta ammissione, nel frattempo sono idonee a porre in essere effetti paralizzanti delle azioni esecutive dei creditori o la decorrenza dei termini per le eventuali (ormai poche) azioni revocatorie. 114 Del resto, proprio con riferimento alle dichiarazioni di veridicità dei dati contabili la relazione dovrà essere vagliata attentamente e con estremo rigore da parte del Tribunale; ciò risulta logico, come evidenziato in dottrina, il in quanto, professionista asseveratore non ha alcuna ulter iore veste nel corso della procedura e dopo l’ammissione esce di scena: egli non creditori, solo non compare alla adunanza dei ma non partecipa nemmeno al giudizio di omologazione. Le affermazioni pertanto, se rese non in ordine ai dati adeguatamente aziendali, motivate e controllare, rischiano di rimanere, nell’ambito della procedura, come un dato intangibile suscettibile di essere smentito solo nella fase di liquidazione dei beni.. In merito al livello di approfondimento della relazione del professionista si erano delineati tre orientamenti prima del decreto correttivo n. 169/07: secondo parte della giurisprudenza 99 era necessario che nelle attestazioni il professionista effettuassse una motivata riteneva, assunzione quindi, non di responsabilità; sufficiente che si il professionista attestasse che i dati esposti erano stati reperiti nella contabilità dell’imprenditore perché occorreva anche che egli ne veridicità riscontrase la incidendo tale dato anche in ordine alla fattibilità del piano. Cfr. Tribunale di Torino, Sentenza 17 novembre 2005 n. 436/05, in Il Fallimento, 2006, 691. 99 115 Altra giurisprudenza,100 rivendicando al Giudice il “…ruolo di controllore formale della esistenza di un valido consenso …”, riteneva che il controllo giudiziario si dovesse estendere alla verifica del fatto che i creditori fossero posti in condizione di e sprimere il proprio libero convincimento sulla base di un’effettiva conoscenza della situazione prospettata dal debitore, così che la volontà non ne risultasse viziata. D a parte di altra giurisprudenza 101 si come nella attestare fattibilità relazione “la il professionista veridicità del evidenziava dei piano dati dovesse: aziendali medesimo”; II) e I) la rendere “…ricostruibile l'iter logico… posto a base delle sue valutazioni …” dando “…conto dei riscontri e della documentazione esaminata, nonché della metodologia seguita nei controlli effettuati…”; III) compiere una serie di controlli “…articolati nelle seguenti fasi: 1) accertamento delle scritture contabili e della regolare tenuta dei libri sociali obbligatori, 2) controllo (sia formale che sostanziale ) della rispondenza dei dati esposti nella situazione economico finanziaria della società, prodotta a sostegno della proposta di concordato, con le scritture contabili del corrente anno; rilevazione del contenuto dei verbali di verifica redatti dal Collegio Sindacale e delle relazioni di quest'ultimo organo per verificare l'attendibilità delle scritture contabili e dei libri sociali, nonché la Cfr. Tribunale di Ancona, decr. 13.10.2005, Pres. Moretta, est. Ragaglia, in il Fallimento, 2005, pag. 1405. 100 Cfr. Tribunale di Messina, seconda sezione civile, decreto 29 dicembre 2005. 101 116 corretta redazione dei bilanci di esercizio chiusi negli anni precedenti al presente; controllo incrociato delle e sposizioni debitorie al 30.09.2005 attraverso il riscontro della documentazione contabile d'appoggio della debitrice con i documenti provenienti dagli stessi creditori; predisposizione 3) del riesame prospetto del passivo relativo al e "passivo rettificato" allegato alla proposta; indicazione, infine, delle passività potenziali, riferibili a contenziosi pendenti o prevedibili; 4) attestazione della veridicità dei dati aziendali medesimo; dar e della “…conto fattibilità dei del piano e della riscontri d ocu mentazione esaminata, nonché della metodologia seguita nei controlli effettuati…”. Si tratta di orientamenti che, seppure con diverse sfumature, richiedevano una controllo non meramente formale, bensì effettivo oltre che puntuale ed analitico in ordine all a veridicità dei dati contabili aziendali; dalla serietà conseguiva e una completezza assunzione di di tali controlli responsabilità del professionista accertatore. Tali rigorose soluzioni evidenziavano l’importanza della relazione del professionista necessità anche e la che lo stesso nella redazione dell’atto si attenesse il più possibile ai propri doveri deontologici. Tale rigore si giustificava in quanto, nel nuovo concordato preventivo, appare indispensabile una corretta informazione in capo al ceto creditorio, in quanto non riceve una preventivo dal debitore, proposta di concordato bensì una convocazione da 117 parte del Commissario Giudiziale nelle forme descritte dall’art. 171 l. f. ed ha quindi la ragionevole aspettativa di avere di fronte un documento sul quale poter riporre la propria fiducia in quanto dallo stesso “percepito” come di provenienza giudiziale e dallo stesso Tribunale preventivamente valutato in modo favorevole ai fini dell’ammissibilità della procedura. Riteniamo, pertanto che il controllo sulla veridicità dei dati contabili, debba rigoroso, soprattutto, essere sempre alla luce delle molto modifiche apportate dal D. Lgs. n. 169/07 (anche perché chi viene ammesso alle “nuove” procedure di concordato preventivo non è soltanto l’imprenditore individuale onesto e sfortunato ma, potenzialmente, anche persona giuridica reduce la da operazioni “disinvolte” compiute con limitato capitale di rischio). Aderisce a questa condivisibile) secondo cui concordato rigorosa (ma a nostro giudizio soluzione, quella giurisprudenza 102 “… nella fase di ammissione del preventivo, al tribunale fallimentare compete un controllo di merito sulla veridicità dei dati esposti e sulla fattibilità del piano. L’esistenza di tale controllo è stata vieppiù confermata dalle modifiche apportate dal d. lgs. n. 169/2007 posto che i) all’art. 162 legge fall. è prescritto che il tribunale, decidendo in sede di ammissione, deve verificare i presupposti previsti dall’art. 161, tra i quali la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; ii) nell’art. 163 è stato abrogato l’inciso 102 Cfr. in tal senso Tribunale di Roma 24 aprile 2008, Pres. Severini, est. La Malfa. 118 “verificata la completezza e la regolarità della documentazione”, cui la dottrina e la giurisprudenza contrarie riconducevano, sul piano letterale, la volontà normativ a di restringere il campo d’indagine del tribunale documentale alla della sola correttezza proposta). relazione ex art. 161 l.f. nell’ambito della preventivo, quell’orientamento Peraltro se e la assume tale importanza procedura a ppare formale di parimenti giurisprudenziale concordato condivisibile secondo cui “sempre a proposito della relazione del professionista va detto che appare opportuna l'assimilazione dell'attestazione in essa contenuta alla verifica e al giudizio al quale è tenuto il revisore contabile delle società per azioni ai sensi dell'art 2409-ter lett. b) e lett. c), atteso che, come quella, deve articolarsi in diverse fasi (ispettivo - ricognitiva, valutativa della regolarità, comminatoria, con pubblica esplicitazione del giudizio espresso) e necessita della possibilità di ricostruire i controlli effettuati.” In tale prospettiva interpretativa di estremo rigore (rigore finalizzato, tuttavia, alla tutela delle ragioni dei creditori, soprattutto chirografari) deve essere richiamato anche un altro orientamento103, ove si è precisato che la relazione ex art. 161, co. 3, l. fall., nell’attestare la veridicità dei dati aziendali nonché la fattibilità del piano, deve necessariamente dar conto dell’iter logico-argomentativo utilizzato dei criteri e delle metodologie seguite in concreto, alla Cfr. Tribunale di Palermo, Decreto del 17/02/2006, Pres. Marino, est. Nonno, in Il Fallimento, 2006, 571. 103 119 luce delle moderne tecniche di revisione contabile, per la formulazione del relativo giudizio. Ciò appare tanto più necessario se si riflette sul fatto che Commissario il della procedura svolge, stando al testo letterale della riforma (art. 172), un controllo che risolve in alla si una sommaria verifica di sostanza quanto tenuta ed all’attendibilità delle scritture contabili e che al professionista è assegnato – come sopra ricordato - un compito di tutela degli interessi sicuramente non formale. L’attestazione di veridicità dovrà essere ampia e senza riserve: non saranno ammissibili certificazioni che riportino locuzione del tipo “i dati contabili sono sostanzialmente veritieri”: tali modalità espositive portano, infatti, ad eludere la precisa funzione di garanzia che la legge ha attribuito alla relazione ex art. 161 l.f. ed al ruolo del professionista nel “nuovo” concordato preventivo. Va da ultimo evidenziato che figura del professionista è qui richiamata - atteso il contesto sistematico lega al non per il rapporto fiduciario che lo cliente, bensì per la professionale; egli, in quanto posto in un regime di degli interessi del sua competenza tecnico ed esperto è indipendenza tra il versante debitore e quello proprio dei creditori. Si può dunque concludere che il professionista assume la funzione tanto del di garante nell’interesse non debitore/proponente quanto degli interessi dei terzi. Tale aspetto avrà incidenza attribuire al professionista. 120 sulla qualifica da In tale quadro normativo ci si è domandati se tribunale del possa entrare nel merito professionista, allo scopo il della relazione di appurare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, ovvero se debba diver samente limitarsi, al pari di un controllo di tipo notarile, ad un esame formale requisiti dagli della artt. sussistenza 160 e 161, dei ovvero, meramente ancora, individuabile una soluzione intermedia alle precedent i, in base alla richiesti se sia rispetto quale all’organo giurisdizionale competa un controllo di regolarità procedurale, tanto formale quanto sostanziale, che conduca ad affermare, senza per questo entrare nel merito della r a g giunte redatto da correttezza dal delle professionista, che conclusioni il documento quest’ultimo è intelligibile ed idoneo ad assolvere la funzione informativa e certificata cui è destinato. La necessità di controllo effettivo e parte del professionista proponente, è stata sulla sostanziale da contabilità del espressa recentemente anche dalla dottrina,104 la quale, al fine di chiarire i limiti del sindacato del tribunale nella fase iniziale della procedura di concordato preventivo, ha affermato che “… a norma dell’art. 162 l.fall., cosi` come modificato dal D.Lgs. n. 169/2007, il tribunale deve verificare la sussistenza dei l.fall., i tra «presupposti» quali vi e` di cui appunto all’art. la 161 relazione Cfr. Genoviva, I limiti del sindacato del tribunale nel concordato preventivo alla luce del “correttivo”, in Il Fallimento, n. 6/08 pag. 688 ss. 104 121 dell’esperto, attestante la veridicita` dei dati aziendali e la fattibilita`”. Secondo la citata dottrina condizionare l’esito ammissibilita` determinati “… l’art. 162 l.fall., nel positivo alla del accertata «presupposti», giudizio di ricorrenza ricomprende tra di questi l’attestazione dell’esperto sulla veridicita` de i dati aziendali e sulla correttamente da c.d. «fattibilita`» intendersi come del un piano, «requisito attinente alla costituzione e allo svolgimento del rapporto processuale», nello specifico della procedura di concordato preventivo. E’ allora logico e coerente ritenere che l’oggetto del giudizio di ammissibilita` da parte del esistenza tribunale materiale professionista non del possa essere la mera «documento» -relazione incaricato dall’imprenditore, del ma il suo contenuto, cioe` l’attestazione su lla veridicita` dei dati aziendali e sulla prospettata fattibilita` del piano. In altri termini, dell’autorita` limitarsi lo giudiziaria alla screening non constatazione puo` da e non dell’allegazione parte deve tra i documenti di cui all’art. 161 l.fall. della relazione dell’esperto, ma deve avere come oggetto proprio il contenuto aziendali dell’attestazione e contabili di esposti veridicita` e della dei dati prognosi di coerenza e concretezza del piano in essa contenuta”. Secondo tale autore “… lo scopo della relazione dell’esperto ex art. 161 l.fall. non puo` essere altro che quello di fornire al tribunale elementi di giudizio sulla veridicita` dei dati aziendali della proposta concordataria e posti a base sulla concreta fattibilita` e praticabilita` della stessa, al fine di 122 verificare l’esistenza di tali fondamentali presupposti di ammissibilita` della proposta stessa. E` infatti evidente che dati aziendali incompleti, lacunosi o addirittura falsi e/o ingannevoli rendono del tutto i nattendibile la ricostruzione del patrimonio e dei debiti dell’imprenditore verifica sulla ed serieta` impediscono stessa ogni della proposta concordataria, mentre e` del pari evidente che un piano inattuabile o non idoneo a garantire c r e d i t o r i quelle utilita` promesse non puo` ingresso e spazio, sin dalle prime ai trovare battute della procedura”. Evidenzia poi la citata dottrina speditezza della procedura come le esigenze di non possono portare all’ulteriore conclusione “… che il tribunale limitarsi a prendere conclusioni del acriticamente professionista, debba per buone senza le poter autonomamente valutare, sia pure sulla scorta del solo materiale fornito allo stesso imprenditore, se sussistano o meno i fondamentali presupposti di a mmissibilita` della procedura costituiti dalla veridicita` e trasparenza dei dati aziendali esposti e dalla concreta fattibilita` del piano proposto. Se tali requisiti difettano, e` giusto arrestare la procedura sin dal suo nascere, con tutte le ulteriori conseguenze previste dall’art. 162 l.fall.”. 105 14. c) La qualifica attribuibile al professionista che attesta la “veridicità” dei dati aziendali 105 Cfr. Genoviva op. cit. 123 Si affaccia, a questo punto, il quesito se il professionista che redige la relazione ex art. 161 l.f. a ssuma una qualificazione pubblicistica analogo a quella del curatore nell’ambito del fallimento Su tale problema si sono riscontrate numerose opinioni in dottrina ed in giurisprudenza. A favore di un ruolo “pubblico” del professionista che redige la relazione ex art. 161 l.f. collegamento con il milita il Commissario che è espressamente definito pubblico ufficiale (art. 165) e – per il medesimo richiamo dell’art. 28 – l’estraneità dagli interessi del privato committente. Secondo alcuni ufficiale, autori, deriva la dalla certificativa della natura funzione relazione di pubblico chiaramente del professionista, quanto alla “veridicità” dei dati aziendali esposti dal ricorrente, la quale costituisce il fondamento delle valutazioni disponibili per i creditori e dell’AG in ordine all’ammissibilità della procedura. Secondo un’autorevole dottrina 106 il ruolo che il professionista assume è molto delicato, “… perché da una parte condiziona i comportamenti dei creditori, e dall’altra incide in misura de terminante sull’indagine che spetta al Giudice. E’ chiaro alloro, che, in relazione a questi compiti, una parte decisiva è giocata dalle responsabilità”. A ciò si aggiunga disciplina norme di contenute 106 il dato rappresentato dalla normativa di riferimento, derivante dalle diritto nella pubblico, legge quali fallimentare sono protesa Fagiani, Diritto fallimentare. Principi e regole, Bologna 2010. 124 quelle alla soluzione di plurimi concorsuali ed e configgenti interessi alla disciplina, anche penale, delle evidenziate patologie. Oltre che dalla natura pubblicistica fallimentare, in capo al professionista pubblico ufficiale, si potrebbe del la diritto natura di ricava dal fatto che egli può essere chiamato a rispondere – ex art. 162 l.f. - alle richieste di integrazione del Tribunale; in tal caso si viene a determinare una relazione, assai più stretta e qualificata con il Tribunale, al quale in sostanza, il professionista fornisce una risposta ad una precisa richiesta di integrazione.. In tale particolare fattispecie il professionista viene, in definitiva, a rivestire una funzione di consulenza (seppure impropria) a favore l’incarico anche i della procedura, e originario di natura privatistica assume connotati pubblicistici, con le possibili responsabilità descritte dall’art. 64 c.p.c. Tale considerazione rileva - indubbiamente - anche per qualificare la natura della relazione resa dal professionista: egli ritenuto soggetto certificazione negarsi anche nell’ipotesi privato, sia nel mendace, la configura bilità in cui caso in sia cui difficilmente la potrà della la fattispecie di cui all’art. 483 c.p., in quanto la relazione è diretta al Tribunale ed è destinata a provare la veridicità dei dati aziendali. In ogni caso - deve richiamarsi consulenza nell’interesse fatto, svolge il la funzione di della procedura che, di professionista; discorso che non risulta infondato se si considera che, per quanto attiene alla limitrofa disciplina 125 del piano di risanamento, l’art. 67 comma 2 lett. d) dispone un richiamo espresso all’art. 2501 bis c.c., il quale a sua volta rinvia alla figura dell’esperto suscettibile di sanzione penale (sia a titolo di consapevole falsità peritale sia a titolo di colpa grave redazione) ex art. 64 c.p.c., essendo consulente tecnico nella sua parificato al nominato nel processo civile dal giudice. Del resto – come sopra ampiamente osservato - è proprio sulla base di tale attestazione di “veridicità” del professionista che viene effettuato un primo giudizio di ammissibilità tanto da parte del Tribunale, che si è evidenziato che “ … la relazione, essendo diretta a sostituire l’attività istruttoria del Tribunale e a garantire che i creditori siano adeguatamente e correttamente informati sugli esatti termini della proposta, non può essere un ...mero atto di fede dei dati aziendali”. 107 Tende – peraltro - a ridimensionare il ruolo e la valenza della relazione del professionista la soluzione giurisprudenzia che pur dando atto del “tentativo di "qualificare" il "piano" per il concordato preventivo e le sue allegazioni” ril eva come “... Legislatore non ha sanzionato sotto alcun profilo – viceversa tipico delle attività "fidefacienti" – la responsabilità del professionista di cui all’art.28, incaricato dal debitore perché attesti la veridicità dei dati aziendali ivi riportati e la fattibilità del piano concordatario: ne deriva che gli elementi forniti dai suddetti documenti (individuati sub art.161 co2° cit.) costituiscono la 107 Cfr. in tal senso Tribunale di Torino 30 novembre 2006. 126 base primaria per le fasi successive della procedura, ma che – salvo costituire un prezioso contributo critico sull’attendibilità dei valori contabili, un approfondimento ed un chiarimento sull’entità delle risorse a disposizione, ecc. – anche la relazione di cui all’art.161 "livello" degli co.3° altri assume atti cui rilievo si al medesimo riferiscono le sue valutazioni. 108 Pertanto, è evidente che, se al professionista che redige la relazione ex art. 1616 l.f., viene demandata l'attestazione della veridicità dei dati aziendali, tale ccertificazione non può che essere il risultato di una verifica puntua le ed analitica dei medesimi e quindi anche delle scritture contabili aziendali. 14. d) La fattibilità del “piano” proposto dal debitore. Come sopra evidenziato, un altro elemento essenziale della relazione ex art. 161 l.f. è costituito dalla dichiarazione di fattibilità del piano concordatario. Il professionista fattibilità del piano deve altresì proposto certificare dal problema della fattibilità è, tuttavia, collegato del al contenuto infatti come per il passato, piano la debitore. Il direttamente concordatario: il piano potrà avere un contenuto liquidatorio oppure – in una prospettiva di prosecuzione dell’attivitù imprenditoriale estrinsecarsi in una proposta di potrà ristrutturazione sia dell’attività aziendale che del debito. Cfr. Tribunale Bologna, dec. 15 novembre 2005, Pres. De Robertis, est. Florini, in www.giuremilia.it. 108 127 In t ale ultima esprimere le ipotesi proprie considerazione gli il professionista valutazioni elementi su dovrà prendendo cui si in fonda il processo di ristrutturazione aziendale; in particolare dovranno essere esposte le scelte strategiche che l’impresa dovra` adottare, gli eventuali cambiamenti da apportare al management, attraverso una sostituzione o l’affiancamento con specialisti esterni, i beni strumentali che l’azienda intende dismettere, esaminando al tempo stesso i fattori esterni che potrebbero in un qualche modo influenzare o addirittura impedire la regolare attuazione del piano stesso. Analoghe considerazioni con riferimento relativamente dovranno essere espresse concordato alle poste liquidatorio, attive destinate al pagamento dei creditori. In ogni caso il professionista, all’interno della relazione, dovrà esplicitare tutte le incertezze ed i punti critici del “piano”, così destinatari ed che i creditori (cioè i utilizzatori finali del documento) possano comprenderne e valutarne i rischi correlati e, quindi, affrontare responsabilmente le proprie scelte. 109 Anche con riferimento al concetto di “fattibilità” non sono mancate indicazioni ed elaborazioni giusprudenziali. Partendo dalla premessa che “.. l’art. 161 l.f. onera il ricorrent e di produrre -oltre a una relazione Cfr. Madrioli, Il Piano di ristrutturazione nel concordato preventivo tra profili giuridici ed aspetti aziendalistici, in Il Fallimento, 2005, pag. 1341. 109 128 rappresentativa della economica e analitico estimativo situazione finanziaria patrimoniale, dell’impresa, delle allo attività, stato all’elenco nominativo dei creditori e dei rispettivi crediti ed all’elenco dei titolar i di diritti reali o personali sui beni appartenenti o posseduti dal debitore - una relazione redatta da un professionista che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano”, si è statuito in termini generali che “… secondo quanto previsto dall’art. 163 la completezza e la regolarità della relazione del professionista condizionano, dunque, l’ammissibilità della proposta concordataria”. Il Tribunale di Bologna, con completa ed esauriente motivazione, ha analizzato dal professionista il nuovo “ruolo” assunto nell’ambito della procedura, precisando come le dimensioni valutative interessate dal giudizio di completezza documentazione possano della a corredo e regolarità della della proposta non semplicisticamente ricondursi al riscontro sussistenza ingresso “… di mere dovendo condizioni pur sempre formali il di tribunale procedere – nella sommarietà e nei limiti della fase – ad un sindacato valutazioni di indicate presiedono. In ricompone solo interpretativo correttezza e dei sintesi criteri il in nel crisi, coerenza che quadro all’interno che dell’imprenditore , e di stesse normativo un valorizzare ne alle delle àncori si percorso l’iniziativa comunque l’azione a requisiti di razionalità concorsuale quali evidenziati: a ) della comple tezza e della regolarità della documentazione, quale necessario strumento 129 informativo capace di assicurare stabilità e coerenza alla proposta concordataria e di veicolare sulla stessa il consenso consapevole del ceto creditorio: in tal senso, l’aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa, lo stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione analitica dei crediti e delle cause di prelazione, l’elenco dei titolari di diritti propongono reali, come il valore elementi dei beni inscindibili si della proposta, in quanto parti di una " rappresentazione cognitiva" che si vuole votata a criteri di assoluta chiarezza e precisione, ulteriormente asseverati quali imprescindibili nella cardini relazione attestazione fattibilità del del del metodologie razionalità concorsuale professionista; professionista piano di di operata valutazione b) della dalla veridicità secondo criteri comunemente e e censite dalla scienza aziendale pe r il governo delle crisi di impresa, il cui erroneo e/o incompleto e/o lacunoso utilizzo si traduce nella inammissibilità della proposta”. dichiarazione 110 Da parte del Tribunale bolognese si precisava, tale relazione prospettiva, che “… di la in del professionista, in applicazione dei principi di scienza aziendale, non può limitarsi ad una generica attestazione di veridicità dei dati aziendali e ad un’indicazione fattibilità del piano, ma deve evidenziare: a) quanto alle risultanze contabili, gli In tal senso cfr. anche Trib. Monza, 16 ottobre 2005; Trib Palermo 17 febbraio 2006 Trib. Bologna 17 novembre 2005; Trib. Pescara 20 10. 2005; Trib. Salerno 3 giugno 2005; Trib. della Spezia 23 febbraio 2006. 110 130 estremi dell’analisi compiuta, i riscontri operati, i criteri valutativi seguiti, la loro coerenza con le cause e circostanze del dissesto; b) quanto al giudizio di fattibilità, gli estremi di coerenza con le cause e circostanze del dissesto individuate, la valutazione comparata di possibili ipotesi alternative, l’indicazione di obiettivi, risorse e strategie che permettono all’impresa il recupero di una condizione di equilibrio per i piani di risanamento, e, per le liquidazioni, gli elementi di certezza che ne concretizzano nel tempo i valori dedotti a fondamento della indicata misura reale soddisfazione e vincolo concordataria. In del negoziale altri termini, ceto creditorio, della proposta l’attestazione di veridicità dei dati aziendali e di fattibilità del piano deve costituire momento di coerente esplicazione di un’attività professionale specifica, capace di veicolare un’estesa e coerente rappresentazione dello stato di crisi dell’impresa, delle sue cause fondative, e della loro integrazione nel giudizio di fattibilità, che si pone come "luogo specifico" di sintesi valutativa degli elementi conoscitivi esaminati”.”. 111 L’esigenza – sia in ordine alla veridicità dei dati aziendali che della fattibilità del piano concordatario - di una relazione analitica e completa da parte del professionista è stata Tribunale di Roma 112, evidenziata anche dal il quale, dopo aver premesso Cfr. Tribunale di Bologna, decreto de l 17 febbraio 2009, Pres. est. Vecchio, in www.Giuremilia.it, nonché Corte Appello Bologna 27 giugno 2006, in Fall., 2007 pag. 661. 111 Cfr. Tribunale Roma, 30 giugno 2008, Pres. Russo, est. La Malfa, in www.ilcaso.it, sez. I, pag. 1508. 112 131 che l’entrata in vigore del decreto “correttivo” ha risolto il nodo dell’estensione dei poteri di controllo del Tribunale nella fase di ammissione alla procedura di concordato preventivo, ha evidenziato come “… precedentemente a questa ulteriore modifica questo tribunale aveva preso posizione favorevole all’esercizio di un controllo di merito sulla veridicità dei dati esposti e sulla fattibilità del piano, basandosi sulla struttura e natura dell’istituto, in cui ancora sono presenti precisi connotati pubblicistici, sulla presenza di un piano che, in quanto tale deve essere connotato da veridicità e fattibilità (con conseguente riconducibilità di questi elementi alla qualifica di condizioni dell’azione), sulla presenza di vari dati testuali e logici a favore (la mancata abrogazione dell’art. 173; la previsione d’un giudizio di merito del tribunale in caso di concordato con suddivisione legittimazione alla dei creditor i costituzione in in classi; giudizio la dei creditori dissenzienti e di “qualsiasi interessato”; la previsione nel comma secondo dell’art. 180 l. fall. dei poteri istruttori d’ufficio; la previsione dell’art. 180 del deposito del parere del commissario), sulla necessità della relazione del professionista ex art. 161 sulla veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo ed infine sulla sicura presenza nella fase successiva all’ammissione di poteri di controllo di merito ex art. 173 l.f.” Secondo il Tribunale di Roma, pertanto, la novella entrata in vigore nel gennaio 2008 “… conferma e precisa ulteriormente tali elementi, rafforzando la tesi sopra riassunta. Anzitutto, l’esplicita indicazione 132 dell’art. 162 l. f. che il Tribunale, decidendo in sede d’ammissione, deve verificare i presupposti previsti dall’art. 161, e dunque anche la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. In secondo luogo, l’abrogazione nell’art. 163 dell’inciso “verificata la completezza e la regolarità della documentazione”, cui la dottrina riconducevano, normativa e la sul di giurisprudenza piano restringere il letterale, campo contrarie la volontà d’indagine del tribunale alla sola correttezza formale e documentale della proposta. In terzo luogo, la circostanza che il legislatore, nonostante l’acceso dibattito dottrinario e giurisprudenziale della tesi del sul punto controllo di con netta fattibilità, prevalenza non si sia espresso in favore della tesi opposta”. L’importanza dei dati contenuti nella relazione del professionista relativa che accompagna il “piano” assunzione di responsabilità sottoscrizione della relazione) è stata anche aver (e la con la analizzata da parte di attenta dottrina,113 la quale, dopo promesso indicato che il dall'articolo compito 161 del terzo professionista comma legge fallimentare consiste nella redazione di una relazione attestante la veridicità dei dati aziendali e di fattibilità del piano che, per sua natura è sottoposta al sindacato del tribunale, ha evidenziato come l'attestazione di veridicità dei dati aziendali “… non possa limitarsi ad un'assicurazione di corrispondenza tra i dati indicati nel piano proposto Cfr. Patti, Quale professionista per le nuove soluzioni della crisi di impresa: alternative al fallimento, in Fallimento, 2008, in particolare pag. 1071 ss. 113 133 dall'imprenditore e la sua contabilità, dovendone piuttosto garantire l'esattezza con illustrazione dei criteri e delle metodologie seguite nel procedimento di revisione e ciò sulla base di un attento e critico scrutinio del bilancio e delle scritture contabili che dia conto anche delle modalità della loro tenuta in funzione della finalità in formativa e di tutela dei creditori della relazione, pure senza l’analiticità di una revisione contabile non esigibile né richiesta dal tenore letterale, oltre che dallo spirito della normativa”. Con particolare riferimento all'aspetto della fattibilità de l piano, la relazione dovrà essere coerente motivata e completa, così “… da essere idonea a dare conto di conclusioni coerenti con le premesse poste in modo documentato e ragionato, illustrare il percorso di ristrutturazione fornendo o di adeguata finanziarie ed soddisfazione indicazione economiche dei delle congruenti creditori, risorse con il fabbisogno stimato, in funzione di una ed esaustiva ed argomentate informazione dei creditori in vista della loro votazione”. Si può pertanto affermato che il giudizio di fattibilità contenuto nella relazione ex art. 161 l.f. consiste in un giudizio professionale di alta probabilità “… e quindi di ragionevolezza, caratterizzato da discrezionalità tecnica e si qualifica per la razionale prospettazione degli aspetti di criticità del piano e degli interventi dalle esigenze correttivi di eventualmente rimodulazione 134 per richiesti sopravvenuti mutamenti delle condizioni originarie nell'esecuzione del concordato”. 114 Si ritiene, pertanto, in dottrina che “…e` solo dopo aver evidenziato i «profili di discontinuita`» che il piano presenta rispetto al passato e, quindi, alla precedente modalita` di gestione dell’azienda, e proceduto ad una specifica illustrazione delle «idee» che sono alla rappresentano quest’ultimo base in e` del realta` piano le fattibile….., medesimo che ragioni per che professionista il le e quali potra` pronunciarsi sulla concreta attuabilita` del piano”. 115 In altre parole, mentre il “piano” deve illustrare in modo sintetico, attraverso l’utilizzo dei numeri, gli interventi a medio e lungo termine che l’imprenditore intende attuare sulla struttura economico-finanziaria della societa`, la relazione del professionista dovrà rappresentare una illustrazione tecnica delle scelte operate dall’imprenditore medesimo ed un provenienti dalla chiarimento in ordine alla loro validità. Sulla scorta di tali indicazioni dottrina si è affermato che “… relazioni generiche, approssimative, immotivate o meramente ripetitive delle previsioni del piano proposto dal debitore, senza alcuna valutazione critica e ragionata dello stesso, non possono superare il vaglio di completezza e regolarità rimesso al Tribunale”. 116 114 Cfr. Patti, op. cit. pag. 1072. 115 Cfr. Mandrioli, op. cit. pag. 1341. Cfr. Tribunale di Piacenza, 27 ottobre 2005 (decreto) in Giur. di merito, 2009, pag. 149, con nota di P.G. Traversa, ivi, pag. 160 ss.; nonché nello stesso senso Tribunale di Pescara, 20 ottobre 2005, in Il diritto 116 135 Alla luce di questo nuovo scenario normativo ci si deve, dunque, professionista domandare in ordine se alla l’attestazione veridicita` ed del alla fattibilita` del piano sostituisca il controllo di merito che caratterizzava, nel vigore della previgente disciplina, l’omologa da parte del Tribunale, oppure se tale controllo di merito possa, ancora oggi, essere desunto dalla formulazione dell’art. 177, secondo comma, legge fallimentare. 14. e) La responsabilità del professionista attestatore Da parte di alcuni autori si è osservato profesionista, sottoscrivendo la relazione, come il assurge a ruolo di garante della fede pubblica, prospettando la sussistenza di un rischio penale per colui che rediga una relazione medesimo la falsa, individuando posizione di in pubblico capo al ufficiale ex articolo 357 codice penale. Non potendosi revocare in dubbio di che le norme che disciplinano la procedura concordato quelle di preventivo diritto prospettiva, sarà pubblico, nel siano la senso annoverabili tendenza, di in considerare tra tale il professionista in questione pubblico ufficiale, perché munito di poteri certificativ i. Deve essere ricordato, a questo proposito, l’insegnamento giurisprudenziale più recente secondo cui, integra il reato anche l’omessa indicazione di fallimentare, 2006II, pag. 101 ss. Va peraltro segnalato che il Tribunale di Salerno ha affermato che anche in sede di ammissione alla procedura spetta al Tribunale un controllo di merito. Cfr. Tribunale di Salerno, 3 giugno 2005, in Il Fallimento, 2005, pag. 1297. 136 debiti, oppure la sopravvalutazione di beni e quindi, pertanto, la simulazione o la dissimulazione anche parziale dell’attivo o del passivo. Si tratta di condotte che, alterando il risultato finale della situazione patrimoniale al momento della proposta, comportano, automaticamente, un’attribuzione di attivo ideologicamente falsa. 14. f) La responsabilità civile del professionista Si è già evidenziata che la delicatezza del compito del professionista che deriva dal costituire, quanto meno nella domanda, (prima) la garanzia fase di presentazione pressoche´ esclusiva della per i creditori. 117 Da ciò deriva il problema della accertamento tanto importante affidabilità di un lasciato alla disponibilita` del debitore, sia pure nella prospettiva della corresponsabilità del professionista incaricato. In tale prospettiva si colloca responsabilità di il delicato tema della quest’ultimo nei confronti dei creditori che hanno fatto affidamento alle indicazioni contenute nella relazione dallo stesso redatta. 14. g) La responsabilità penale del professionista incaricato Se si ritiene che una delle principali garanzie per i creditori in ordine alla serieta` della proposta di concordato 117 preventivo sia rappresentata Cfr. Patti, Il sindacato , op. cit. pag. 1022. 137 dalla relazione del fattibilità del professionista piano e che la certifica veridicità dei la dati aziendali, allora si deve concludere nel senso che in capo al medesimo si configura una precisa responsabilità. L’aspetto della individuazione di una particolare responsabilità in capo al professionista che redige la relazione ex art. 161 l.f. è statao esaminato dal Tribunale di Bologna,118 secondo cui, tuttavia “…pur emergendo il tentativo di “qualificare2 il "piano" per il C.P. e le sue allegazioni, il Legislatore non ha sanzionato sotto alcun profilo – viceversa tipico delle attività "fidefacienti" – la responsabilità del professionista di cui all’art.28, incaricato dal debitore perchè attesti la veridicità dei dati aziendali ivi riportati e la fattibilità del piano concordatario: ne deriva che gli elementi forniti dai suddetti documenti (individuati sub art.161 co.II cit.) costituiscono la b a se primaria per le fasi successive della procedura, ma che – salvo costituire un prezioso contributo critico sull’attendibilità dei valori contabili, un approfondimento ed un chiarimento sull’entità delle risorse a disposizione, ecc. – anche la relazione di cui all’art.161 "livello" degli co.III assume altri atti, rilievo cui si al medesimo riferiscono le valutazioni affidate al Tribunale”. Da parte di altra giurisprudenza si è invece ritenuta sussistente la natura fideifacente della relazione del professinista ex art. 161 l.f. con la conseguenza di Cfr. Tribunale di Bologna, 17 ottobre 2006, decre. Pres. Pilati, est. Florini, in wwwgiuremilia.it. 118 138 individuare una condotta penalmente rilevante nel comportamento di colui che dolosamente ometta di indicare passività del soggetto i cui dati di bilancio sono stati verificati; in particolare si è affermato che “... la qualità relazione al penultimo "fidefaciente" piano di comma, dell’incaricato fattibilità l.f., - ex novellato - art. la 161, impone la trasmissione del presente provvedimento al Pubblico Ministero per la valutazione degli eventuali profili di rilevanza penale”. 119 Con riferimento a tale specifico aspetto, in dottrina 120 si è rilevato come i profili di maggiore interesse connessi alla riforma del concordato preventivo ed ai riflessi di co. 2 essa sulla fattispecie di cui all’ art. 236 l. fall. concernono bancarotta c.d. preferenziale relazione all’ art. astrattamente di omologazione, 216 agli che abbia della 223 co. 1 co. 3, l. fall.) nel obblighi concordato figura (art. configurabile inadempimento proposta la e caso derivanti dal in di dalla decreto di comunque comportato, nella fase successiva all’ omologazione, l’ esecuzione di pagamenti costituire o di diritti di altre operazioni prelazione o idonee a trattamenti preferenziali in violazione del principio della par condicio creditorum, “… soprattutto Cfr. Tribunale Modena, dec. 13 ottobre 2006, Bruschetta in ww.giuremilia.it. 119 qualora il Pres. De Marco, est. Cfr. Bruno, Le responsabilità civili e penali degli organi amministrativi e di controllo nella gestione della crisi di impresa e dell’insolvenza, in atti del convegno di studi del CSM La riforma del diritto societario, e fallimentare, nella prospettiva interdisciplinare, Roma, 14- 16 luglio 2008, pag. 13 e ss. dattiloscritto. 120 139 consenso dei creditori sia stato fuorviato da una inesatta rappresentazione della realtà aziendale, con riflessi anche in ordine alla “fattibilità” del p i a no attestata nella relazione del professionista, ai sensi dell’ art. 161 l. fall. Osserva la citata dottrina come in certificazioni non (in caso di 161 l.f.) caso di false potrà concretamente configurarsi false attestazioni nella relazione ex art. la possibilità di un concorso del professionista con l’imprenditore nel reato di cui all’articolo 236, comma primo, della legge fallimentare che punisce, con la reclusione da uno a cinque anni, l’imprenditore che, al solo scopo di essere ammesso alla procedura, si sia attribuito attività inesistenti oppure che, al fine di influire sulla formazione delle maggioranze, abbia stimato crediti in tutto o in parte inesistenti. Da parte evidenziato della citata come inadempimento del dottrina in tutti si i è casi concordato – peraltro in cui consegua dichiarazione di fallimento, le condotte - in all’ la linea di principio sussumibili (anche) nella previsione dell’ art. 236 co. 2 l. fall. - resterebbero delitto di bancarotta mentre assorbita nel ex art. 216 co. 3 l. fall. 121, nulla impedirebbe la configurabilità del Cfr. Cass. Sez. V, 24 ottobre 2007 n. 39307, CED, rv. 238183 per la quale “In tema di bancarotta fraudolenta, nel caso in cui alla ammissione alla procedura di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, il concorso di norme tra l’ art. 236, comma secondo, n. 1 l. fall. e l’ art. 223 l. fall. va risolto utilizzando il principio di specialità, con l’ applicazione de lla fattispecie di bancarotta fallimentare. Ne consegue che la prescrizione decorre dalla sentenza dichiarativa di fallimento”. 121 140 reato citato in caso di prosecuzione della procedura concordataria. Accanto a tali configurabile figure di reato si è ritenuta potenzialmente anche la fattispecie di bancarotta c.d impropria da reato societario (art. 223 co. 2 n. 1 l. fall.), della quale amministratori, i liquidatori concorso i di a direttori società generali, che cagionare, il commettendo alcuno dei rispondono i sindaci gli ed abbiano “cagionato, o dissesto della società, fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile”. La dottrina rigorose ha tuttavia soluzioni evidenziato presentino come tali aspetti di problematicità 122, in quanto si fa riferimento ad operazioni 123 di in forza della quali credito, solitamente creditori difficoltà finanziaria gli istituti di imprenditori in erogano nuova liquidità allo scopo di costituirsi un titolo privilegiato di soddisfacimento del credito fallimento, subordinando mutuata all’ esposizione l’ estinzione debitoria. La nell’ utilizzo della ipotesi delle di somme precedente “liberalizzazione” del contenuto del piano – le cui previsioni, come è Cfr Bruno, Le responsabilità civili e penali degli organi amministrativi e di controllo nella gestione della crisi di impresa e dell’insolvenza, in atti del convegno di studi del op. cit.. 122 Cfr. Cass., sez. V, 2 marzo 2004, Manfredini ed altro, in Foro it., 2005, II, 32 ss. “Risponde a titolo di concorso nel reato di bancarotta preferenziale il funzionario di banca che, dopo la concessione di un mutuo non coperto da garanzie ad imprenditore successivamente divenuto insolvente, determini la trasformazione del credito già chirografario in credito privilegiato mediante concessione di mutuo fondiario, assistito da garanzia ipotecaria, destinato a ripianare l’ esposizione debitoria del conto corrente. 123 141 stato osservato, “…possono comprendere le forme del vecchio concordato preventivo (pagamento di una percentuale, garantito da terzi; cessione dei beni ai creditori; intervento di un assuntore) ma possono dare spazio ad architetture fina nziarie anche molto complesse, con ricorso ad operazioni straordinarie, alla costituzione di nuove società, alla trasformazione diretta o indiretta dei crediti in capitale creditori, di o a società obbligazioni…, alla da attribuzione ai partecipati di questi strumenti debito…” può frequenti, rischio,… finanziari o titoli di sicuramente rendere tali reati attesa l’ esigenza di attuazione di esso con l’ apporto assistenza mediante finanz iaria, più sostenere di l’ ulteriore intese e pattuizioni (che come la cronaca giudiziaria insegna non sono sempre lecite) con le banche, che peraltro costituiscono – nella maggior parte dei casi il comparto più significativo del ceto creditorio. E’ fisiologico in tali fattispecie il pericolo di una alterazione della par condicio creditorum, e quindi in presenza del dolo specifico richiesto dalla incorrere nelle fattispecie - la possibilità di previsioni bancarotta preferenziale 124, della che La fattispecie di cui all’ art. 216, terzo comma, l. fall. (bancarotta preferenziale) si riferisce al fallito che esegue pagamenti o simula titoli di prelazione allo scopo di favorire, a danno di altri creditori, alcuni di essi. Occorre quindi – quanto all’ oggetto del reato – la violazione della “par condicio creditorum” nella procedura fallimentare e, in relazione all’ elemento psicologico, il dolo specifico, costituito dalla volontà di recare un vantaggio al creditore (o ai creditori) soddisfatto, con l’ accettazione della eventualità di un danno per gli altri”, Cass., sez. V, n. 7230 del 5 luglio 1991 (ud. 28 maggio 1991), n. 7230, CED, rv. 187698, ed in Riv. pen., 1992, p. 38 ss. Sull’ esclusione della bancarotta preferenziale nell’ ipotesi di pagamento di creditori privilegiati, Cass., sez. V, 5 luglio 1991 (ud. 28 maggio 1991), n. 7230, in CED, rv. 187698 non assistito da garanzie, venendosi in tal modo ad alterare la par condicio 124 142 costituisce “…la vera insidia di tutte le soluzioni “privatistiche” o concordate della crisi d’ impresa, suscettibile di inaspettate contorsioni interpretative” E’ pertanto evidente responsabilità p r e senza del che potrà professionista di dati sintomatici illecita, ometta (dolosamente) sua relazione. Da prospettato al configurarsi che pur in di tale situazione di evidenziarli nella parte di altra dottrina è riguardo la – stato valorizzando il collegamento tra la nuova disciplina della azione revocatoria fallimentare, pagamenti e esecuzione co. 3, le del lett. che garanzie “posti concordato e, l. esclude della in fall.), e potenzialità atti, essere preventivo” bancarotta c.d. preferenziale – un elisione gli le i in (art. 67, ipotesi di radicale effetto di offensiva di tali operazioni, con riflessi sulla stessa antigiuridicità del fatto, sul presupposto che “… la riforma momento in adempimenti cui esclude delle l’ inefficacia obbligazioni, elencati nel degli e tipizzati in guisa oggettiva dal “nuovo” art. 67, 3° co., sottraendoli ipotizzare diretto un alla revocazione effetto riflesso ablativo nella sfera di consente questi delle atti di con fattispecie incriminatrice, anche con riguardo alla tutela della “par condicio” dei creditori” 125 creditorum”. Nello stesso senso, Cass., 1° dicembre 1999, Garofano, in Giur. it., 2002, 1259, con nota di Vinciguerra, Trasformazione del credito chirografario in privilegiato e concorso in bancarotta preferenziale del funzionario di banca, 2000, II, 91 Cfr Giunta, Riflessi penali della nuova disciplina del fallimento e delle procedure concorsuali, in La riforma della legge fallimentare, cit., p. 1216, per il quale “… l’ innovazione intervenuta in materia di azione revocatoria pon(e) le premesse per una interpretazione dell’ art. 216, comma 3 125 143 In assenza di una specifica riteniamo disposizione di legge preferibile, tuttavia, in considerazione dell’ autonomia della prospettiva di tutela penale rispetto al piano civilistico, la soluzione che porta a individuare quando sia intervenuto il consenso di tutti i creditori alla proposta di concordato, che esso si configuri operatività ad una come ed scriminante 126 efficacia corretta situazione una e è, tuttavia, veritiera economica, la cui subordinata informazione patrimoniale e sulla finanziaria della società e sulla fattibilità del “piano” proposto, così che la prestazione del consenso da parte dei creditori possa effettivamente consapevole ed informato. di concodotte dirsi Al contrario libero, la presenza omissive da parte del professionista con riferimento ad alcuni aspetti della “veridicità” dei dati ipotesi di o della “fattibilità” responsabilità , (anche potrà configurare al fuori di delle ispirata al criterio politico-criminale della sussidiarietà della tutela penale. Quest’ ultimo, valorizzando in chiave ermeneutica il principio costituzionale della pena come “extrema ratio”, porta ad escludere il ricorso alla pena là dove, nei confronti del medesimo interesse, il legislatore abbia chiaramente negato la meno intensa e costo sa tutela extrapenale”. Cfr. Insolera, Riflessi penalistici della nuova disciplina del concordato preventivo e delle composizioni extragiudiziali della crisi d’ impresa, in Giur. comm., 2006, I, p. 468. Cfr. Romano, cit., sub art. 50 c.p., p. 536, secondo cui “… una volontà viziata da errore, dolo o violenza, darà origine ad un consenso invalido ed inefficace” Ne consegue che, qualora il mendacio nella documentazione e/o nella relazione del professionista - che, a norma dell’ art. 106 l. fall., devono essere allegate alla proposta di concordato - sia dolosamente preordinato a costituire situazioni differenziali ovvero, nella fattispecie sopra esaminata, a costituire titolo di prelazione in favore della banca mutuante, consentendole di definire l’ esposizione debitoria non assistita da garanzia - dovrà ritenersi integrato il delitto di bancarotta preferenziale, con eventuale responsabilità concorsuale della banca e/o del professionista. 126 144 ipotesi di essere concorso con il debitore) di cui potrà chiamato a rispondere ex art. 236 l.f. Pertanto il problema si collega, ancora una volta, al contenuto come della relazione: è infatti indispensabile, si è detto, da un lato che i dati contabili esposti nella relazione siano che il piano abbia veritieri e, dall’altro, acquisito il consenso della maggioranza dei creditori, non essendo sufficiente, a tal fine, l’ concordato da prevenire intervenuta parte del omologazione tribunale, del inidonea a situazioni di lesione della par condicio in presenza di informazioni non genuine. Va infatti segnalato – come l’esperienza pratica di questi primi anni ha evidenziato – che procedimento di oggettivament e concordato costituire il “nuovo” preventivo uno può strumento per precostituire e determinare situazioni di indebito vantaggio nei confronti di alcuni creditori, con pregiudizio di altri. Come si è detto, ai fini dell’ approvazione il pi a no del non creditori in semplice dei legislatore della concordato preveda classi, è crediti la ammessi il al la di dei maggioranza voto, avendo principio maggioranza, qualora suddivisione sufficiente abbandonato doppia preventivo, il previgente numero e di somma. E’ perta nto possibile che il concordato risulti approvato da una minoranza di creditori, favorevoli rappresentano la maggioranza ammessi al voto. In tale di intese preventive prospettiva, tra il l’ debitore se i voti dei crediti eventualità e taluni creditori “forti” in pregiudizio di altri, con possibile 145 lesione della “par condicio ”, è tutt’altro che infrequente. Tale aspetto preventivo patologico risulta aggravato interpretazione contenuto del nuovo concordato se si pensa che prevalente, ed in l’ base al letterale dell’ art. 180 co. 4 l. fall. (“… Il tribunale, se la maggioranza di cui al primo comma dell’ art. 177 è raggiunta, approva il concordato con decreto motivato”) - il giudizio di omologazione che il tribunale deve emettere all’ esito della camera di consiglio rappresenta – di fatto - un atto dovuto in presenza maggioranza dei opposizioni), così creditori che potenzialmente essere di un ristretto verosimilmente l’ controllo, meramente formale mancanza di esdebitatorio può di credito) della alla mera decisione attenuto qualunque in effetto gruppo del consenso (ed rimesso ha soddisfacimento del creditori in altro al che di non sulla (che odo il fuori di sia quello verifica del raggiungimento del quorum , da parte degli organi giudiziari. Alla luce di professionista tali considerazioni la assume una valenza relazione del straordinaria nell’economia informativa del concordato preventivo: appare pertanto giustificato che assuma rilevanza penale – anche ai fini del giudizio di bancarotta - il mendacio all’ espressamente preordinato induzione in errore dei creditori - o quantomeno di alcuni consenso di sul essi piano - al fine di acquisirne il proposto: in tale prospettiva 146 potrà configurarsi il concorso nel reato secondo gli ordinari criteri di cui all’art. 110 c.p. 127 Per quanto concerne le fattispecie fallimentari, la soluzione diverse dai reati interpretativa è condizionata dalle opzioni che si voglio accogliere in tema di nello qualifica soggettiva svolgimento certificazione ufficiale o e di del della quindi dello esercente un professionista funzione di “status” di pubblico servizio di pubblica necessità. Nel primo ca so - ed in relazione alla sola attività di “attestazione” della veridicità dei dati contabili, i profili di responsabilità in ordine ai giudizi sulla “fattibilità” del piano saranno ipotesi di “abnormità” “manifesta delle configurabile il ravvisabili irragionevolezza” valutazioni: delitto nell’ di in tal caso falsità o sarà ideologica commessa dal pubblico ufficiale. Nella seconda ipotesi quello di cui all’ art. 481 c.p., in quanto la relazione deve essere presentata da un soccetto rientrante nella categoria all’art. e quindi di 28 l.f. di cui professione “…il cui esercizio sia vietato per legge senza una speciale abilitazione da parte dello Stato”. A nostro avviso la soluzione al professionista al problema se in capo che rediga la relazione che Cfr. Troyer Le responsabilità penali relative alle soluzioni concordate nella crisi di impresa, in Riv. dott. commercialisti, 2008, I, pag. 111 ss. Più in generale sul concorso del professionista nei reati economici, Perini, La consulenza del commercialista e dei componenti del collegio sindacale come compartecipazione alle violazioni contabili e fiscali dell’imprenditore, in Fisco, 2003, , pag. 11475 ss.; Cass. pen. sez. v, n. 569, pres. foscarini, est. Amato, 18 novembre 2003, in Impresa, c.i., 2005, pag. 1430. 127 147 accompagna il piano concordatario sia individuabile una qualifica pubblicistica passa attraverso considerazione del ruolo che professionista: la relazione propedeutico un norme di ad diritto sembrerebbe funzione, assume costituisce procedimento termini di non tale un atto regolato pubblico e, quindi, investirlo in oggi la tale ruolo una dissimili da pubblica dal curatore fallimentare, espressamente richiamat o per effetto del rinvio contenuto nell’ art. 161 co. 3 l. fall. all’ art. 28 l. fall. 128 Contro tale ricostruzione sono state mosse – tuttavia - numerose obiezioni, soprattutto in relazione alla fonte “privata” di derivazione della nomina. In dottrina ha suscitato di ricondurre esercizio di l’ attività una amministrativa, perplessità del pubblica giacchè normativamente la la professionista funzione all’ giudiziaria relazione prevista possibilità nell’ – o ancorché ambito del procedimento di concordato – non può dirsi che costituisca manifestazione riconducibile, direttamente o di volontà indirettamente, allo svolgimento della giurisdizione, in assenza di una investitura specifica “pubblica” funzione, né del professionista tantomeno alla nella pubblica amministrazione. Con riferimento poi nella “relazione economica, al problema di un mendacio aggiornata patrimoniale e sulla situazione finanziaria della Cfr. Sandrelli, La riforma della legge fallimentare: i riflessi penali, in Cass. pen., 2006, 443, p. 1456. 128 148 società” che unitamente il debitore è tenuto al ricorso e la cui presentare veridicità dei dati deve essere certificata dal professionista si è escluso - al di fuori delle ipotesi nelle quali potrebbero ravvisarsi, peraltro per il solo imprenditore individuale, condotte rilevanti ai sensi del primo comma dell’ art. 236 l. fall., sub specie di “attribuzione di attività inesistenti” e di “simulazione di crediti in tutto o in parte inesistenti” – che esso sia suscettibile di configurare atte sa l’ irrilevanza ipotesi di reato, penalistica della falsità ideologica in scrittura privata. Si sono – invece – ritenute caso, nella relazione una informazione del fini dell’ debitore decettiva “fattibilità” del piano gli ai configurabile, in ogni che in contenga ordine alla artitizi o raggiri rilevanti integrazione della fattispecie di truffa. Tali conclusione un risposta tutela delle domanda di non sembra soddisfacente posizioni dei ammissione peraltro alle creditori al costituire aspettative di connesse alla concordato preventivo che avrebbero richiesto un contestuale intervento sul versante delle fattispecie penali, in modo da assicurare la trasparenza ed effettività delle procedure di soluzi one concordata delle nuove crisi d’ impresa. Come è stato osservato in dottrina e come ribadito nelle pagine che precedono, “la lascia molti opportunistici del debitore spazi o o per addirittura dei nuova comportamenti “abusivi” creditori”; appare 149 normativa da parte pertanto, urgente, oltre che una più generale rivisitazine delle fattispecie penali l’introduzione della legge fallimentare 129, anche di specifiche e mirate ipotesi sanzionatorie per il debitore e per il professionista che nell’ambito del concordato preventivo presentino dati contabili falsi al fine di ottenere il voto osservato che “… una favorevole dei creditori. A questo proposito si è delle più gravi lacune della riforma (è costituita dal) fatto di non aver modificato la disciplina penale fallimentare, per correttezza dei apertura con e renderla idoneo comportamenti lo presidio connessi svolgimento delle alla con l’ procedure concorsuali”. Va comunque ricordato – come sopra osservato - che è allo studio una riforma anche di tali aspetti 15. La responsabilità del commissario e del liquidatore giudiziario nel concordato preventivo 15. a) La responsabilità del commissario giudiziale L'art. 38, legge fall., sulla responsabilità del curatore, è richiamato dall'art. 165, comma 2, che disciplina la responsabilità del commissario giudiziale nel concordato preventivo, dall'art. 182, comma 2, che si applica al liquidatore dei beni nominato per l'esecuzione del concordato preventivo, e dall'art. commissario 199, che regola liquidatore la nella responsabilità liquidazione del coatta amministrativa. Occorre tuttavia tenere conto delle 129 Cfr. Troyer, op. cit. pag. 111. 150 peculiarità dei compiti nelle citate procedure rispetto a quella del fallimento. Ai sensi dell'art. 165, comma 1, legge fall., con norma che concordato ripete nel preventivo contenuto il l'art. commissario 30, nel giudiziale , nell'esercizio delle sue funzioni, è pubblico ufficiale. Pur applicandosi la disciplina tratteggiata a proposito della responsabilità del cur atore, va tenuto in debito conto, sul piano degli eventi causativi di responsabilità, che le funzioni del commissario giudiziale non sono gestorie, ma prevalentemente di vigilanza (art. 167, comma 1), per cui la sua responsabilità può più adeguatamente accostarsi a quella di un sindaco anziché a quella di un amministratore. In dottrina trovare si afferma applicazione esclusiva e di i pertanto concetti che dovrebbero di responsabilità responsabilità concorrente (quest'ultima con quella degli amministratori della società debitrice), elaborati dalla dottrina in tema di art. 2407 c.c., rispettivamente al comma 1 e al comma 2, con la facoltà, quindi, nel caso di responsabilità concorrente, di chiamare in causa i suddetti amministratori per esercitare la rivalsa risarcitoria In dottrina 130 si è acutamente osservato che nel concordato preventivo mancano per il commissario giudiziale gli obblighi di tenere un registro contabile previamente vidimato, di elaborare e sottoporre al comitato dei creditori il programma di liquidazione 130 Cfr. Verna op. cit. 151 (anche perché non è previsto il comitato dei creditori se non dopo l'omologa e nel caso di cessione dei beni) e di depositare il rendiconto. Pertanto il commissario giudiziale dovrà essere particolarmente diligente nell'accertare se il debitore abbia «occultato o dissimulato parte dell'attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode»; in queste immediatamente p r evisto dall’ al art. circostanze tribunale 173, comma dovrà riferirne secondo 2) e, quanto in quanto pubblico ufficiale, ha l'obbligo, nel caso in cui ravvisi il compimento denunciare i di fatti reati al perseguibili pubblico d'ufficio, ministero o a di un ufficiale di polizia giudiziaria (art. 331, comma 1 e 2, c.p.p.). L'azione di responsabilità potrà essere esercitata contro di lui dai creditori, anche singolarmente, dal debitore e dal curatore del fallimento succedutosi, ma non anche dal nuovo commissario giudiziale, proprio perché questi è privo di poteri gestori e di rappresentanza.131 15. b) La responsabilità del liquidatore Il richiamo all'art. 38 legge fall. è fatto proprio anche dall'art. 182, comma 2, con riferimento alla responsabilità del liquidatore dei beni nella fase di esecuzione del concordato preventivo per cessione dei beni: mancando un rinvio all'art. 30, il liquidatore non può essere considerato ha come conseguenze il 152 pubblico ufficiale, e ciò fatto che egli non può incorrere nei reati propri di tale categoria giuridica e l'assenza dell'obbligo di denuncia dei reati perseguibili d'ufficio di cui sia venuto a conoscenza. Si ritiene in dottrina che attesa la natura dell'incarico affidatogli, la sua responsabilità può accostarsi a quella del liquidatore di società, equiparata dall'art. 2489, comma 2, c.c. a quella degli amministratori. prescrizione quinquennale amministratori coincide curatore Pertanto nell'ambito il stabilito per di gli con quello previsto per il della qui responsabilità di natura contrattuale. 131 termine cfr. Verna op. cit. 153 sostenuta