CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
Incontro
di
studio
:
La
responsabilità
nelle
professioni legali. Roma 9 – 11 giugno 2010
***
LA
RESPONSABILITÀ
NELLE
PROCEDURE
CONCORSUALI
di Giuseppe Bersani
Giudice delegato del Tribunale di Piacenza
1. La responsabilità del curatore fallimentare
sistema
della
legge
fallimentare
del
nel
1942.
Generalità
La
portata della responsabilità del curatore nel
sistema vigente, non
della
natura
e
può prescindere da una analisi
delle
fattispecie
concrete
responsabilità nell’ambito fallimentare
di
nella legge
fallimentare del 1942.
Occorre
-
pertanto - brevemente riassumere la
questione attinente la natura ed estensione della
responsabilità civile, penale e fiscale del curatore nel
vigore della legge 267 del 1942.
2 . La responsabilità civile del curatore:
natura e
caratteristiche
In base al tenore dell'art. 38 L.f. nel testo del 1942,
il curatore doveva adempiere con diligenza ai doveri
del proprio ufficio; secondo la dottrina la
diligenza
configurabile era quella del buon padre di famiglia,
che nel fallimento significava conformarsi da un lato
alle direttive generali del giudice delegato dall’altro
a quelle specifiche per i singoli atti , ed era integrata
dalla
responsabilità
specifica
della
professionalità
dell 'opera che era chiamato a svolgere.
Nel
sistema
della
legge
fallimentare
del
1942
delineavano,pertanto ipotesi di responsabilità
per
dolo, colpa grave e, per alcuni, anche per colpa
lieve.
Secondo
parte
extracontrattuali
della
il
dottrina
curatore
nei
rispondeva
rapporti
anche
di
colpa lievissima: con riferimento a tale aspetto la
giurisprudenza 1
aveva escluso che al curatore nei
si potesse applicare la limitazione di cui all'ari 2236
c.c. relativa all'opera professionale, ed avente ad
oggetto
la
particolare
difficoltà
delle
attività
affidategli.
Nella previdente disciplina la
responsabilità
parte della dottrina era generalmente
da
ritenuta di
natura contrattuale: in particolare si affermava che
essa derivava dall’ investitura del munus publicum e
dall'aver violato il dovere di diligenza imposto dalla
legge,
ritenendo,
parimenti
configurabile,
nei
confronti dei creditori e dei terzi, una responsabilità
di tipo extracontrattuale per violazione del generale
principio
del
neminem laedere ;
da
pa rti
di
altri
autori, si affermava che si trattava semplicemente di
responsabilità
1
extracontrattuale.2
Cfr. Cass., 8 novembre 1979 n. 5761, in Giust. Civ., 1980,1,340.
Cfr. Meli, La responsabilità civile del commissario giudiziale e del
liquidatore, in Quad. Giur. Comm., 1988, n. 90, 33.
2
2
Da
parte
della
dottrina
si
individuavano
sostanzialmente quattro diversi tipi di responsabilità:
a)
responsabilità
da
violazione
del
divieto
del
nemi nem laedere ; b) responsabilità per violazione dei
doveri dell'ufficio diversi da quelli di gestione del
patrimonio
fallimentare;
c)
responsabilità
per
la
gestione del patrimonio; d) responsabilità per danni
arrecati ingiustamente al patrimonio che non trov ano
giustificazione
nell'avere
perseguito
diligentemente
l'interesse del fallimento.
L’adesione
all’una
dottrinali circa la
o
di
delle
soluzioni
natura della responsabilità non è
di poco momento,
termini
all’aLtra
incidendo in modo rilevante sui
prescr izione,
cinque
anni
per
la
extracontrattuale e dieci per quella contrattuale e
sull'onere della prova non sostenuto nel 2043 c.c. da
presunzioni ed inversioni dell'onere della prova come
nel 1218 c.c. per la responsabilità contrattuale.
In giurisprudenza si
rapporto
era
affermava che
fra il curatore e la
equiparabile
applicazione
al
procedura fallimentare
mandato
l'ordinaria
la natura del
per
cui
prescrizione
trovava
decennale,
relative ai contratti e conseguentemente
conseguenza che
la responsabilità
con la
doveva ritenersi
di tipo contrattuale,3
Con
riferimento
all’ambito
di
procedura veniva analizzato il
che
legava
il
curatore
al
estensione
della
particolare rapporto
giudice
delegato
nella
previdente disciplina; la responsabilità del cu ratore
Cfr. Cass. 5 aprile 2001, n. 5044, in Il Fall., 2002, 57,; Cass. 11 febbraio
2000 n. 1507, ivi, 2001, 473, e Trib. Milano 15 marzo 2001, ivi, 2001, 833.
3
3
(dal punto di vista delle fattispecie
tale aspetto)
rilevanti sotto
si dilatava o restringeva a seconda
della concezione che di tale rapporto si assumeva:
infatti
mentre
in
dottrina
vi
erano
ritenevano fosse configurabile una
autori
che
“cogestione”, fra
giudice e curatore, da parte di altri – in modo più
pragmatico,
ma
tutto
sommato
riconosceva
una
sostanziale
realistico
preminenza
-
si
finale
decisoria del giudice che necessariamente alleggeriva
o comunque diminuiva le fattispecie in cui risultava
configurabile la
responsabilità del curatore.
Per il
curatore, pertanto si delineava una responsabilità
solo
per
le
operazioni
compiute
senza
la
consultazione del Giudice delegato, (pagamenti senza
autorizazzazioni ecc. ), per i ritardi ingiustificati
della procedura, ma non per le scelte “decisionali “
ritenute errate o dannose per la massa dei creditori
le quali erano sostanzialmente rimesse alla decisione
del Giudice delegato, previo parere del comitato dei
creditori. 4
Pertanto per le procedure fallimentari sorte nella
vigenza della legge del 1942, si affermava che la
responsabilità non nasceva dalle iniziative assunte,
dalle
scelte,
dalle
decisioni
come
tali,
poiché
di
regola queste erano la competenza tipica del giudice
delegato,
bensì
dalla
attività
di
indagine,
di
consulenza, di relazione, di valutazione, di assistenza
tecnica,
di
esecuzione
e
di
sorveglianza
che
gli
incombevano.
Per il “nuovo” ruolo assunto da tale organo nella procedura a seguito
della riforma del 2006
e per il conseguente accrescimento di
responsabilità cfr. Inzitari, La responsabilità del comitato dei creditori, in
Il caso .it, sez. II, doc. 123
4
4
Va
infatti
ricordato
che
il
curatore
era
responsabile principalmente dell'attività di raccordo
tra il processo esecutivo speciale (cioè in sostanza
tra il giudice) e la realtà esterna, con la conseguenza
ovvia che era
pleta
o
nonché
responsabile per la imprecisa, incom-
cattiva
per
la
esecuzione
degli
esecuzione
di
atti
atti
autorizzati,
palesemente
illegitti mi (ad esempio avere pagato un soggetto che
non ne aveva il diritto). Peraltro non poteva essere
considerato responsabile per atti la
era avvenuta
cui
esecuzione
sulla base di una efficiente e corretta
informazione e valutazione.
In capo al curatore era
la
responsabilità
- comunque – configurabile
per
l'operato
dei
propri
collaboratori, per culpa in eligendo, quando ciò era
possibile e si sostanziava in una
proposta fatta al
giudice di un soggetto non in possesso delle capacitò
professionali richieste; la culpa in vigilando, si
realizzava quando lo stesso curatore aveva omesso di
vigilare
i soggetti che svolgevano la loro attività
sotto la sua responsabilità, come i coadiutori od i
delegati; infine si poteva configurare una ipotesi di
colpa per gl i indirizzi errati forniti ai sensi dell'art.
1717 (cioè nell'ipotesi in cui nell'esecuzione del mandato egli sostituiva altri a se stesso, senza esservi
autorizzato o senza che ciò fosse necessario per la
natura dell'incarico).
Una
forma
particolarmente
ricorrente
di
responsabilità – che peraltro caratterizza anche la
nuova procedura fallimentare - era quella relativa al
ritardo col quale le attività della procedura venivano
5
compiute e si concretizzava nel ritardo nella vendita,
nel recupero dei crediti o nell'esercizio di azioni; a
ciò si aggiungeva il
ritardo nella ripartizione dei
ricavati ai creditori muniti di privilegio reale o in
generale a tutti i creditori, ritardo per il quale la
magistratura contabile
aveva ritenuto obbligato il
curatore a rivalere lo stato del risarcimento versato
al fallito per la eccessiva durata del processo di
fallimento.
Vedremo
più
“ritardo”
avanti 5
abbiano
responsabilità
del
come
portato
curatore
dell’Erario per quanto
tali
a
anche
fattispecie
configurare
nei
di
la
confronti
dovuto dallo Stato al fallito a
seguito dell’ esperimento della legge Pinto.
3. Il grado di diligenza richiesto al curatore nello
svolgimento delle attività connesse alla curatela
fallimentare.
Al fine di verificare se il curatore ha adempiuto in
modo
corretto
alle
proprie
obbligazioni
occorre
individuare il grado di diligenza richiesto; da parte
della dottrina e della giurisprudenza si è ritenuto
opportuno
fare riferimento
al principio generale
valido in materia di obbligazioni:
si è detto in
dottrina che il curatore deve usare la diligenza del
buon padre di famiglia (art. 1176, comma l o , cod.
civ.) e tale parametro normativo risulta
pienamente
applicabile alla diligenza che la legge impone al
curatore
nell'adempimento
ufficio.
5
Cfr. par. 12
6
dei
doveri
del
proprio
In giurisprudenza, con riferimento ad un fallimento
“vecchio
diligenza
rito”
si
è
affermato
dell'adempimento
che
degli
“quanto
alla
obblighi
del
curatore, occorre tener presente che il curatore del
fallimento assume la posizione di organo ausiliare
dell'amministrazione della giustizia cui fa carico di
adempiere ai doveri dell'ufficio con quella diligenza
che
può
meglio
consentire
il
conseguimento
dell'interesse pubblico alla sollecita composizione dei
dissesti degli imprenditori commerci ali, incarico che
può essere svolto solo dai
all'albo
dei
dottori
ragionieri, a tutela
professionisti iscritti
commercialisti,
avvocati
e
dell'interesse pubblicistico al
regolare andamento delle procedure concorsuali”. 6
In dottrina si è
precisato che la trasgressione della
diligenza prevista importa la colpa del curatore in
senso lato, che si scinde in dolo, e in colpa in senso
stretto — il curatore sarà imputabile anche per sola
colpa lieve, a maggior ragione per colpa grave —,
sottolineando, però come sia
differenza
tra
i
comuni
ravvisabile una sottile
concetti
di
colpa
e
responsabilità nel campo obbligatorio e la colpa e la
conseguente responsabilità attribuite dalla legge al
curatore, in quanto
poiché questo versa in colpa
quando abbia semplicemente
trasgredito o violato
i
doveri del proprio ufficio, si prescinde dall'e stremo,
altrimenti necessario, che la colpa abbia determinato
una lesione .
6
Cfr. Tribunale di Piacenza, 18 luglio 2008.
7
Da parte di altra autorevole dottrina 7 si sottolineava
come sul curatore gravasse
un obbligo di diligenza
nei doveri del suo ufficio la quale doveva essere
parametrata alla
per il quale
professionalità del suo incarico,
erano (e sono) richiesti particolari
requisiti tecnici.
Secondo la
sia
dottrina la colpa poteva
in atti positivi
che
concretizzarsi
omissivi8: pertanto il
curatore poteva essere chiamato a rispondere
anche
dell'operato dei suoi delegati o ausiliari e
del
coadiutore, rispetto ai quali era configurabile
una
responsabilità in vigilando, non più in eligendo, se la
nomina, sebbene su sua proposta, fosse avvenuta da
parte dal giudice delegato.
La responsabilità del curatore, oltre che per il fatto
proprio,
anche,
come
committente,
del
danno
cagionato dal fatto illecito dei suoi commessi, era
affermata
dall'art.
anche
2049
da
cod.
altri
civ.,
autori,
ove
si
argomentando
precisava
che
l'espressione “commessi” deve, nella specie, essere
intesa
in
senso
assai
lato
e
comprende re,
oltre
propriamente i commessi di negozio o i commessi
viaggiatori, i tecnici e le altre persone retribuite
(compreso
il
fallito),
da
cui
il
curatore
sia
coadiuvato, dietro autorizzazione del giudice delegato
(poiché tale autorizzazione, secondo la legge speciale,
non esonera il curatore da responsabilità).
Nell’ipotesi in cui il curatore agisca come contraente,
subentri egli in tale posizione al fallito o instauri
7
8
Provinciali, Trattato, I, pag. 725.
Provinciali, op. cit., pagg. 725, 726.
8
nuovi
rapporti
contrattuali
con
terzi,
la
sua
eventuale colpa e la conseguente responsabilità sono
governate
dai
principi
generali
inerenti
alle
obbligazioni e ai contratti (cfr. art. 1176 e segg. cod.
civ.).
Peraltro da
parte di tali autori si
responsabilità
curatore,
anche
per
colpa
nell'espletamento
ammette la
lievissima
delle
sue
se
il
mansioni,
incorra in colpa extra -contrattuale (art. 2043 cod.
civ.).
La dottrina appariva divisa con riferimento all’ipotesi
di responsabilità del curatore per il compimento di
atti autorizzati da parte del Giudice delegato.
Come già sopra analizzato, aderendo alla tesi
della
responsabilità del G.D. per le scelte “gestionali” della
procedura
non
può
esservi
responsabilità
del
curatore qualora egli abbia compiuto gli atti o le
operazioni
previo
conferimento
della
prevista
autorizzazione.
In tale senso si era espressa la giurisprudenza in
tema di realizzo delle attività fallimentari.
Per la natura pubblicistica e processualistica della
figura
del
giudice
delegato,
si
motivava
che,
se
questo è l'organo volitivo della procedura, se sue
sono la direzione, l'iniziativa, la propulsione, se,
cioè,
egli
è
il
vero
dominus
della
procedura
fallimentare, ne consegue che la responsabilità per le
conseguenze
dei
eseguiti
curatore
dal
Peraltro -
provvedimenti
specificava
non
la
può
da
lui
essere
presi
che
giurisprudenza
ed
sua.
-
il
curatore può essere chiamato a rispondere circa la
sua collaborazione, la diligenza della sua ammini9
strazione, per gli atti che gli competono in modo
esclusivo.
Non
si
responsabilità
potrebbe,
del
pertanto,
curatore
per
negare
non
la
avere
inventariato presso la sede dell'impresa fallita cose
che vi si trovavano e delle quali il giudice delegato
non poteva naturalmente sapere.
Il curatore rispondeva anche nel caso in cui
avesse
prospettato al giudice delegato situazione difforme
dalla realtà e in modo non consono a raffigurargli la
situazione
delle
provvedimento
curatore
cose
e
inidoneo
veniva
provocando
quindi
dannoso.
Pertanto
o
chiamato
a
rispondere
per
un
il
la
mancata o tardiva esecuzione dei provvedimenti del
giudice delegato, per la cattiva o ritardata esecuzione
degli stessi, o per non avere sorvegliato sulle persone
nominate ex art. 32 1. f. per la collaborazione nei
suoi confronti.
Al contrario (e coerentemente), si affermava che
il
curatore non poteva essere chiamato a rispondere
delle conseguenze dell'esecuzione dei provvedimenti
del giudice delegato emessi anche su richiesta e
iniziativa del curatore stesso, al quale non si possa
addebitare
alcun
quand'anche
vi
difetto
fosse
di
da
collaborazione;
parte
del
e
ciò
curatore
nel
consigliare il giudice delegato, nel dirigere la sua
attività, nel richiedere provvedimenti, una situazione
intima di errore in fatto o in diritto, purché non
colposa.
Si è ritenuto 9 che il curatore non fosse responsabile
verso il terzo conduttore per disdetta anticipata della
9
Cfr. Trib. Roma, 28 febbraio 1962, in Dir. fall., 1962, II.
10
locazione,
nel caso in cui
si sia servito di una
c l a usola del contratto stipulato secondo le direttive
prefissegli dagli organi fallimentari.
Anche da parte della dottrina
curatore
dovesse
si è ritenuto che il
considerarsi
esente
da
ogni
responsabilità per il compimento degli atti a cui sia
s t a t o comandato
da parte del Giudice delegato e del
Tribunale, distinguendo, tuttavia, l’ipotesi in cui
l’
atto sia stato ordinato dal giudice,
il
(ma che
curatore, attraverso i propri accertamenti e le proprie
relazioni al giudice,
dall’ipotesi in cui
abbia direttamente provocato)
il curatore sia stato costretto, per
ordine dell'autorità superiore, a compiere un atto dal
quale avrebbe voluto esimersi, oppure quella che il
curatore abbia compiuto, con la sola autorizzazione e
indipendentemente
da
un
ordine
specifico
in
tal
senso, tiri atto prescritto dalle norme di procedura.
Secondo tale dottrina, nell'una e nell'altra di queste
opposte ipotesi, l'affermazione o l'esclusione della
responsabilità
del
curatore
non
può
che
trovare
fondamento nella valutazione del comportamento da
lui tenuto in relazione ai doveri del suo ufficio o al
grado
di
diligenza
spiegato
nell'assolverlo,
con
risultati che possono determinare anche l'affermazione della sua responsabilità per atti impostigli (ipotesi
questa in cui ovviamente la responsabilità sarà per
solito
esclusa),
oppure
per
atti
autorizzati,
ben
potendo darsi nell'uno o nell'altro caso che sia stato
lo stesso curatore a provocare colposamente l'ordine
o l'autorizzazione.
Il
principio
proprio
dei
secondo
fatti
cui
il
dipendenti
11
curatore
dalla
risponde
sua
in
gestione,
nonostante
egli
abbia
agito
in
presenza
delle
autorizzazioni del giudice delegato, è stato sancito da
quella
giurisprudenza 10
responsabilità
va
che ha affermato
ricollegata,
in
tal
che la
caso,
sia
all'iniziativa presa dal curatore e alle proposte per i
vari provvedimenti che egli ha sottoposto al giudice,
sia per il modo con cui i provvedimenti stessi sono
stati eseguiti; mentre il decreto del giudice delegato
non
ha
natura
curatore
un'attività
autorizzazione.
aveva
di
Con
ordine,
che
vincolata,
tale
imponga
ma
pronuncia
di
la
cioè
al
semplice
Cassazione
precisato che, affinché la responsabilità del
curatore sorga, deve sussistere, tuttavia, sempre una
sua condotta colposa o dolosa nell'espletamento delle
funzioni e occorre, altresì, che sussista un nesso di
causalità tra tale condotta e l'evento dannoso per la
massa dei creditori.
4.
Fattispecie
concrete
di
responsabilità
del
curatore relative alla legge fallimentare del 1942
Nella vigenza della abrogata
versione della legge
fallimentare la casistica era ricchissima e variegata
e
si
riportano
alcune
fattispecie
particolarmente
significative affrontate dalla giurisprudenza.
Si è affermato che
sussisteva una
violazione del
generico dovere di diligenza — tale da comportare la
mancata
approvazione
del
rendiconto
—
nell'ingiustificato ritardo nella presentazione della
relazione
prevista
dall'art.
33
1.
fall.,
quando
Cfr. Cass., 22 aprile 1954, n. 1229, in Dir. fall., 1954, II, pag. 174; in
Foro it., 1955, I, c. 699.
10
12
l'inadempimento formale si sostanziava nella totale
mancanza di una equiv alente attività informativa.11
In
materia
esecuzione
di
della
sentenza
dichiarativa di fallimento in pendenza del giudizio
di opposizione alla medesima, la Corte di Appello di
Milano, 12
verso
aveva
ritenuto
l'ex
fallito
precipitato,
senza
della
sentenza
per
responsabile il curatore
colpa
plausibile
grave,
per
motivo,
dichiarativa
di
avere
l'esecuzione
fallimento,
ed
escludendo che la sua responsabilità fosse coperta
dagli analoghi provvedimenti del giudice delegato.
Secondo
la
Corte
milanese
la
provv isoria
eseguibilità della sentenza dichiarativa di fallimento
rappresenta una facoltà da esperirsi di caso in caso
secondo
il
prudente
arbitrio
dell'interessato
e
in
rapporto alle singole circostanze della fattispecie, ma
non
un
obbligo;
l'opposizione,
la
si
escludeva
sentenza
che,
pendendo
dichiarativa
andasse
eseguita obbligatoriamente in toto, ossia anche in
quelle parti, come la distribuzione dell'attivo, la cui
esecuzione,
nell'ipotesi
dell'opposizione,
di
importerebbe
per
accoglimento
l'opponente
un
danno grave e talora irreparabile.
Analizzando
Corte
i caratteri peculiari del caso deciso
milanese
ha
ritenuto
curatore,
verosimilmente
creditori,
sembrava
comportamento
al
che,
sotto ,
avere
deliberato
nella
la
informato
proposito
la
specie,
spinta
il
dei
il
proprio
di
creare,
Cfr. Trib. Milano, 20 febbraio 1975, in Dir. fall., 1975, II, pag. 934; più
recentemente Trib. Piacenza, 18 luglio 2008
11
12
Cfr. Appello Milano, 30 maggio 1952, in Dir. fall., 1952, 11, pag. 260.
13
come
avvenne,
il
fatto
prima
della
decisione
definitiva sull'opposizione proposta dal fallito..
Tale rigorosa soluzione ha trovato conferma nella
giurisprudenza di legittimità 13 ove si è
ribadito che
l'esecutività di dir itto della sentenza dichiarativa di
fallimento consente, non obbliga, in pendenza del
giudizio di opposizione, a dare inizio o svolgimento
alle
operazioni
fallimentari,
così
che
essa
non
esclude la responsabilità del curatore per i fatti
dannosi dipendent i dalla sua gestione, e cioè dalle
sue
iniziative
l'autorizzazione
e
istanze,
del
giudice
rispetto
delegato
alle
non
quali
vale
ad
eliminare la responsabilità medesima.
Precisa la Corte di Cassazione che l'esecutività della
sentenza di fallimento è l'esecutorietà di qualsiasi
altra
sentenza
l'esecuzione
è
soggetta
affidata
ad
al
impugnazione,
prudente
arbitrio
dell'interessato, il quale, se agisce senza la normale
prudenza, può andare incontro alla responsabilità
per danni, prevista nell'art. 96, comma 2 cod. proc.
civ.
Diversamente
è
stato
deciso 14
che
l'ufficio
fallimentare ha il potere-dovere di procedere a tutte
le operazioni della procedura
distribuzione
del
ricavato
ed in particolare alla
ai
creditori
sociali
—
sebbene penda giudizio di opposiz ione avverso la
sentenza di estensione (ad esso) del fallimento; il
giudice
delegato
esclude
in
tal
caso
ogni
Cfr. Corte di Cassazione, 22 aprile 19 ,54, n. 1229, cit., in « Dir. fall. »,
1954, 11, pag. 174.
13
Cfr. Trib. Milano, 25 marzo 1956,
Dir. fall. , 1956, 11, pag. 561; in
Giur. it. , 1956, 1, 2, col. 742, e in Monit. trib. , 1956, pag. 234.
14
14
responsabilità
personale,
per
l'ipotesi
di
esito
vittorioso per l'opponente del giudizio di opposizione,
del curatore, specie se l'iniziativa della vendita e del
pagamento provenga dal giudice delegato, che abbia
ordinato di procedervi.
La
responsabilità
del
curatore
che
coltivi
gli
incombenti necessari alla chiusura del fallimento in
pendenza di una dichiarazione tardiva di credito, non
ancora passata al
stata esclusa
vaglio
del giudice delegato, è
in giurisprudenza 15 motivando che
l'insinuazione tardiva non può mai spiegare efficacia
interruttiva
della
regolare
evoluzione
del
procedimento fallimentare e che, per contro, il tempo
per una sua ut ile ammissione, idonea cioè a farla
partecipare
ai
presentazione,
riparti
è
successivi
rimesso
alla
sua
esclusivamente
alla
diligenza del creditore che l'ha proposta.
La
giurisprudenza 16
ha
inoltre
riconosciuto
una
responsabilità del curatore nei confronti della massa
dei
creditori
nel
caso
in
cui
il
curatore
abbia
ritardato la liquidazione dei beni e quindi abbia
fatto perdere alla massa la possibilità di conseguire
gli interessi attivi dal deposito delle somme riscosse
e quando ha dato corso al riparto finale dell'attivo
impedendo
la
partecipazione
al
concorso
del
concessionario della riscossione che aveva presentato
ricorso per insinuazione tardiva.17
Cfr. Trib. Milano, 11 novembre 1967, Amministrazione delle Finanze c.
Marzi, in « Giur. it. », 1969, I, 2, col. 351, e in « Temi », 1968, pag. 334.
15
16
Cfr. Trib. Milano, 20 maggio 1985, in banca dati Il fallimento.
17
Cfr. App. Torino, 17 settembre 1994, ibidem.
15
Sempre
in
giurisprudenza 18
è
stato
ritenuto
gravemente colposo il comportamento del curatore
che
ha
causato
la
perdita
dei
beni
inventariati
qualora egli abbia gestito il patrimonio immobiliare
della
società
fallita
con
interventi
del
tutto
insufficienti ed episodici, senza risolvere il problema
della
custodia
e
della
conservazione
dei
beni
aziendali, che prima del fallimento erano sottoposti a
vigilanza con ronda notturna.
In giurisprudenza 19 si è
ribadito che costituiscono
fonte di responsabilità per il cessato curatore illecito
sia la violazione dei doveri di intrasmissibilità delle
proprie funzioni (artt. 32 e 34) ove manchi apposita
autorizzazione,
che
l'inosservanza
del
dovere
di
diligenza (art. 38), ove il professionista si sia avvalso
di collaboratori non autorizzati né successivamente
dal
medesimo
controllati,
non
abbia
riferito
al
giudice sull'amministrazione ed abbia infine omesso
di custodire personalmente il libretto bancario del
fallimento a lui intestato. Il Supremo Collegio ha
quindi ritenuto la sussistenza dell'autonomo illecito
extracontrattuale in un caso di concorso di colpa e di
r e sponsabilità solidale ex artt. 1292 e 2055 c.c. del
curatore
con
la
banca
cui
erano
imputabili
le
operazioni di sottrazione della provvista destinata al
fallimento, non ricorrendo in tale circostanza un
avvenimento estraneo alla sfera di prevedibilità e
18
Cfr. Trib. Napoli, 13 marzo 2004, in Riv. dott. comm, 2004, p. 1401.
19
Cfr. Cass. 13 lug. 2007/15668, in Fall, 2008, 353.
16
pr evenibilità del soggetto su cui gravava l'obbligo di
custodia.
Sempre in giurisprudenza 20 è s t a t o a ffermato che
l'abbandono
dell'attivo
fallimentare
da
parte
del
curatore privo di autorizzazione ex art. 35, è fonte di
responsabilità verso la massa e può determinare la
mancata
approvazione
del
rendiconto;
anche
la
mancata consultazione del fascicolo prefallimentare
può costituire fonte di responsabilità.
Il curatore può essere chiamato anche a rispondere
del pregiudizio sopportato dai creditori per effe tto
della ritardata presentazione dei piani di riparto
parziali 21; Egli inoltre, può rispondere 22 nei confronti
del creditore iscritto al quale non abbia notificato
l'estratto nell'ordinanza di vendita; non è responsabile verso la banca che, non essendo venuta a
conoscenza, per omessa indica zione da parte del
curatore, dell'intervenuto fallimento del correntista,
abbia continuato ad adempiere il contratto di conto
corrente, effettuando pagamenti a terzi il curatore
abbia causato un pregiudizio al patrimonio della
massa
e
non
quando
detto
comportamento
sia
riferibile a danni arrecati direttamente al fallito, ai
creditori od a terzi estranei alla procedura.23
20
Trib. Palermo 18 lug. 2002, in Fall, 2003, 222.
Cass. 27 ott. 1982/5623, Dir FALL, 1983, 1I, 63; Ap. Venezia 30 set.
1983, in Fall., 1984, 716; Trib. Milano 14 apr. 1986, in Fall, 1987, 336.
21
22
Cfr. Trib. Venezia 10 nov. 1992, in Fall., 1993, 775.
23
Cfr. Trib. Palermo 10 dic. 1999, in Fall., 2000, 810.
17
La responsabilità del curatore per omessa o tardiva
comunicazione ai sensi dell'art. 35 o dell'art. 107 è
oggetto di un'approfondita riflessione in dottrina.
In mancanza di elementi giudizio, il danno derivante
dalla negligente gestione della procedura da parte del
curatore, può essere liquidato equitativamente in
favore della massa.24
È stato osse rvato che il rendiconto del curatore (v.
sub art. 116) non rappresenta solo un'esposizione di
singole partite contabili delle entrate e delle uscite
(cd. rendiconto di cassa), ma anche una relazione
dell'anda mento
generale
dell'amministrazione,
dei
criter i seguiti nello svolgimento del proprio incarico e
delle giustificazioni delle operazioni compiute.25
In
altra
fattispecie
concreta
è
stato
ritenuto
responsabile il curatore che non ha proceduto alle
azioni
di
recupero
dei
crediti
del
fallito,
senza
dimost rare che il mancato esercizio di tali azioni è
dipeso da una consapevole valutazione dei negativi
risultati
che
potevano
scaturire
dai
tentativi
di
realizzo. 26
Si è altresì ritenuto responsabile il curatore nei casi
di violazione delle direttive del giudice delegato, di
commissione di atti svantaggiosi per la procedura, di
esperimento
di
azioni
giudiziarie
disastrose
e
di
trascuratezza nell'esperire liti necessarie, nonché di
difettosa compilazione dell'inventario, di deficienza
24
Trib. Roma 23 feb. 1995, in Fall., 1995, 1158.
25
Cfr. Trib. Bologna 16 mag. 1991, FALL, 1991, 1091.
26
Cfr. Trib. Piacenza, 18 luglio 2008, nonché Trib. Napoli, ult. cit.
18
della
relazione
inesattezza
del
al
giudice
suo
manchevolezze
delegato
contenuto,
di
o
falsità
o
omissione
o
nell'esposizione
periodica
dell'amministrazione, di mancato adempimento alla
richiesta di esibizione dei documenti giustificativi, di
intempestiva, negligente o irregolare vendita dei beni,
di omessa sorveglianza sull'esercizio provvisorio, di
incompleto o falso rendiconto della gestione, e il
commissario
giudiziale
per
avere
trascurato
la
sorveglianza nell'adempimento del concordato .
La Corte di Cassazione in epoca risalente, ma con
riferimento ad una fattispecie sempre attuale, ha
ritenuto
responsabile
il curatore che, consapevole
dell'esistenza nella cassa del fallimento di somma
ricavata
ipotecato,
gestione
dalla
ne
subasta
disponga
fallimentare
e
fiscale
di
per
occorrenze
in
le
un
pagamento
immobile
di
della
crediti
chirografari, sottraendola, in tal guisa, ai creditori
iscritti, sebbene dietro ordine del giudice delegato da
lui sollecitato. 27
La responsabilità del curatore è stata – peraltro esclusa nelle ipotesi di: a) manca ta trasmissione, da
parte del cancelliere, della sentenza — dichiarativa
di fallimento di società irregolare o di fatto soggetta
a registrazione sino dall'origine perché enunciativa
del rapporto sociale creatosi tra i falliti —all'ufficio
per la re gistrazione, non potendo il curatore essere
tenuto responsabile — per il pagamento del tributo
—
dell'inosservanza
imputabile
al
cancelliere;
b)
mancata annotazione,in entrata e in uscita, nel libro
19
g iornale
dell'amministrazione
fallimentare,
di
una
somma, non di pertinenza dell'attivo fallimentare,
costituendo un'irregolarità formale e non sostanziale
e
non
essendo
causati
per
derivato
colpa
alcun
del
danno;
custode
c)
danni
preposto
alla
sorveglianza dei locali in cui sono conservate cose
appartenenti all'amministrazione fallimentare, ove il
custode non abbia agito in tale sua veste, ma a titolo
diverso (nella specie: come portiere dello , stabile) e
qualora
il
danno
non
sia
stato
provocato
direttamente dalle cose custodite; d) perdita parziale
d e l val ore dei beni affidati all'amministrazione del
curatore
non
per
cause
dipendenti
dal
suo
comportamento, ma per il solo trascorrere del tempo,
nelle
more
imposte
cautela
richie sta
nell'esplicazione del suo mandato28; e)
mancata
inclusione
nel
privilegiato
di
dalla
piano
spese
di
riparto
processuali
del
credito
attribuite
per
distrazione, ex art. 93 cod. proc. civ., al difensore di
un creditore, allorquando costui sia stato avvertito,
a
norma
dell'art.
116
1.
fall.,
con
lettera
raccomandata spedita all'avvocato difensore, il quale
ultimo,
quindi,
è
stato
in
tal
modo
posto
in
condizione di controllare l'esattezza del conto finale
e di presentare osservazioni al giudice delegato a
difesa del proprio credito pretermesso. 29
Cass., 18 maggio 1942, n. 1312, in Giur. it. Rep., 1942, voce
“Fallimento”, n. 154,
28 Trib. Milano, 26 ottobre 1970, in “Monit. trib., 1972, pag. 65, con nota
di Bianchi.
27
29
Cass., 26 marzo 1974, n. 831, in “Dir. fall.”, 1975, 11, pag. 42.
20
Come si vedrà in modo specifico più avanti, si è
anche
affermato che il curatore del fallimento,
qualora sia ritenuto responsabile in relazione alla
eccessiva durata della procedura fallimentare per
colpevole
inerzia
o
negligenza,
condannato
a
risarcire
l'ammonta re
del
danno
relazione
alla
dell'evento,
giudice
può
presenza
quali
delegato
professionista
il
e
di
il
di
danno
essere
di
erariale;
in
produttive
sorveglianza
concomitanza
altre
essere
ridotto
concause
difetto
la
deve
in
procedure
capo
del
al
alquanto
complesse.30
5.
L’azione
di
responsabilità
nei
confronti
del
veniva
accertata
la
curatore.
L'azione
con
la
quale
responsabilità del curatore era
tribunale
fallimentare,
in
di competenza del
composizione
collegiale,
seguiva gli ordinari criteri di competenza una volta
che
il
fallimento
veniva
sostanzialmente anticipata
chiuso
e
poteva
essere
svolgendo osservazioni
opponendosi da parte dei creditori,
al conto della
gestione ex art. 116 l.f. .
Dal punto di vista processuale
condivisibile
appare pienament e
all'indirizzo della giurisprudenza di
Cfr. Corte Conti, Sez. giurisd. Lombardia, 12 dicembre 2005, n. 733, in
Il fall., 2006, 1183, con nota di PUSTERLA, Il curatore fallimentare e il
risarcimento del danno erariale per eccessiva durata della procedura
concorsuale. Nel caso concreto
il Ministro della giustizia era stato
condannato per la violazione del termine di ragionevolezza del fallimento
(19 anni) e il curatore era stato assoggettato alla giurisdizione contabile
con un'azione di responsabilità per danno erariale; nel caso di specie si è
ritenuto che la prescrizione iniziasse a decorrere dal momento in cui il
debito dell'erario fosse stato accertato con sentenza passata in giudicato.
30
21
m e r i t o31, secondo cui la competenza a decidere la
fase contenziosa del procedimento
di opposizione al
contro della gestione deve essere riconosciuta al
Tribunale
in
composizione
collegiale,
in
considerazione del condivisibile rilievo connesso alla
consumazione della "potestas decidendi" del giudice
delegato ad esito della verifica che deve precedere il
decreto
con
cui
egli
ordina
il
rendiconto- art. 116 l. fall. comma 2.
deposito
del
32
Ulteriore problema è costituito dal coordinamento tra
il rinvio che l'art. 116 l. fall. compie all'art. 189 c.
p.c. e la disciplina codicistica dell'iter processuale
con
riferimento
giudice
delegato
alla
competenza
a
funzionale
partecipare
al
del
giudizio
contenzioso sul rendiconto.
Si ritiene
possono
sent.
di aderire a tutte le implicazioni che
trarsi dall'affermazione del S.C. (sez. 1,
13274
del
05.10.2000)
secondo
cui
il
pur
possibile cumulo del giudizio di rendiconto ex art.
116 l. fall. con il diverso ed autonomo giudizio di
responsabilità del curatore, non può sottrarsi alle
regole comuni del " procedimento stabilite per il
giudizio di cognizione ordinario "- che nel caso di
specie
impongono
la
notificazione
della
relativa
domanda, in quanto non assorbita in quell a di non
approvazione del conto .
In conclusione, ferma la riserva di collegialità in
Cfr. Trib. Piacenza, 18 luglio 2008, Trib. Palermo, 18.07.2002; Trib
Napoli, 28.02.2001, Trib. Ragusa, 17.02.1999; contra : Tribunale Bologna,
sent. del 23.01.1998
31
Cfr. Tribunale Tre viso, sent. del 27.10.1998, Trib. Roma del 30 marzo
2004.
32
22
ordine alla decisione nella suddetta fase contenziosa
del procedimento di approvazione del conto, resta la
competenza
funzionale
funzione
giu dice
di
procedimento
che
del
giudice
istruttore,
è
delegato
nell'ambito
caratterizzato
di
in
un
dall'ordinaria
sequenza di cui agli artt. 180,183 e 184 c. p. c..
Pertanto il giudice istruttore del
giudizio
sorto a
seguito dell’opposizione al conto della gestione, ben
può essere
il giudice delegato del fallimento, in
quanto il giudizio di opposizione è stato promosso
autonomamente
da
un
creditore
e
quindi,
senza
alcuna autorizzazione da parte del giudice delegato.
Va, altresì, ribadito, il principio più volte affermato
in
giurisprudenza,
secondo
cui
"il
giudizio
che
s'instaura, ai sensi dell'art. 116 legge fall., in caso di
mancata approvazione del rendiconto della gestione
del curatore può avere ad oggetto non solo gli errori
materiali, le omissioni ed i criteri di conteggio, ma
anche il controllo della gestione del curatore stesso e
l'accertamento delle sue personali
per
il
compimento
pregiudizio
alla
di
massa
atti
o
che
ai
responsabilita'
abbiano
diritti
dei
arrecato
singoli
creditori. 33
In
dottrina
e
giurisprudenza,
infatti,
non
si
registrano incertezze sul fatto che il rendiconto del
curatore debba essere un vero e proprio rendiconto di
gestione e non già soltanto di cassa, onde si spiega
perché
costituisca
ormai
"ius
receptum",
sia
nell'ambito della giurisprudenza di legitt imità che di
merito, l'affermazione secondo cui "…l'oggetto del
33
Cfr. Cass. Sez. 1 n. 547/2000; n. 10028/1997.
23
giudizio “di approvazione del rendiconto” , al di la'
della sua strutturazione formale e della fase in cui si
trova, attiene comunque al controllo (da parte del
giudice delegato, dei creditori ammessi al passivo e
del
fallito)
della
gestione,
responsabilita'
personale
patrimonio
quest'ultimo
di
(art.
fonte
38
di
eventuale
legge
effettuata
fall.),
dal
del
curatore
… ” . 34
L a giurisprudenza della Suprema Corte ha anche
avuto modo di precisare che: "In ipotesi di azione
risarcitoria del fallito nei confronti del curatore, del
quale
venga
prospettato
dedotta
al
una
tribunale
responsabilità
circostanze
per
non
aver
veritiere
(nella specie, esistenza di una società di fatto, così
provocandone la dichia razione di fallimento), in tema
di
responsabilità
processuale
aggravata
(art.
96
c.p.c.) fatta valere con riferimento ad una procedura
fallimentare,
regola
del
deve
necessariamente
“simultaneus
medesimo
giudice,
atteso
l’azione
risarcitoria
processus”
che
postula
anche
che
applicarsi
la
dinanzi
al
in
tal
caso
l’affermata
inesistenza delle predette circostanze (nella specie,
l’inesistenza della società di fatto) debba farsi valere
contestualmente all’atto di opposizione avverso la
sentenza
dichiarativa
di
fa llimento
al
fine
di
ottenerne la revoca (a prescindere dalla circostanza
che l’eventuale responsabilità del curatore sia, come
nella
specie,
più
correttamente
riconducibile
alla
violazione del principio del “neminem laedere” di cui
Cfr. Cass. sez. 1, sent. 3696 del 28.03.2000; nella giurisprudenza di
merito, cfr. Trib. Palermo, 18.07.2002 in "Il Fallimento" 2003 pag. 781;
Trib Napoli, 28.02.2001 in "Il Fallimento 2002" pag. 60.
34
24
all’art. 2043 c.c. che non alla norma ex art. 96
c.p.c.),
risultando
legittima
la
proposizione
dell’azione e x art. 96 citato in un autonomo giudizio
nella sola ipotesi (non ricorrente, all’evidenza, nella
specie) che il “simultaneus processus ” sia precluso da
ragioni attinenti alla struttura stessa del processo e
non dipendenti dall’inerzia della parte".
In
capo
ai
singoli
configurabile
creditori
anche
la
35
veniva
possibilità
ritenuta
di
esperire
un'azione ordinaria ai sensi dell'art. 2043 c.c. per le
attività colpose realizzata dal curatore che avessero
determinato
un
danno
ingiusto
ad
altri
ed
in
proposito si faceva l'ipotesi di danni per affermazioni
mendaci contenute nella relazione ex art. 33.
6.
Il ruolo e le responsabilità del curatore a
seguito della riforma del diritto fallimentare; in
particolare il grado di diligenza richiesto e la
natura della responsabilità del curatore nel nuovo
“sistema fallimentare”
Alle
ipotesi classiche di responsabilità del curatore
vanno aggiunte altre ipotesi alla luce del nu ovo ruolo
e dei nuovi compiti attribuiti dalla legge fallimentare
al curatore
alla luce della
riforma del diritto
fallimentare del 2006, completata con il D. Lgs. N.
169/07, in cui è stato ridimensionato il ruolo del
Giudice Delegato e potenziato quello del curatore e
del comitato dei creditori. 36
35
36
Cass. 26.8.2002, n. 12541, MGI, 2002)
Per il ruolo di tale organo si rinvia a Inzitari, op. cit.
25
Il
nuovo testo dell'articolo 32 l.f.,
prevede,
- così
come per il passato - che il curatore debba agire con
l a diligenza richiesta dalla natura dell'incarico;
l’indicazione
normativa
consente
di
definire
in
termini generali il contenuto del dovere di diligenza
richiesto al curatore.
Pertanto il punto minimo di partenza sarà costituita,
così come per il passato dalla diligenza di cui all’art.
1176
c.c.
anche
concretamente
se
secondo
esigibile
q uella
alcuni
sarà
richiesta
dalla
natura dell’incarico ai sensi dell’art. 1176 comma 2. 37
Altra dottrina ha
osservato che
il riferimento alla
natura dell'incarico e il diverso ruolo di gestione
attiva
del
patrimonio,
conducono
all'applicabilità
(negata in passato) dell'art. 2236 c.c. (responsabilità
del
prestatore
d'opera),
quale
parametro
per
individuare e valutare la responsabilità del curatore.
A tale considerazione si giunge proprio a causa del
mutato ruolo del curatore nell’ambito del fallimento
e della
la nuova dimensione, pienamente gestoria,
attribuita
dalla
comportante
la
riforma
alla
soluzione
di
figura
problemi
speciale difficoltà e varietà la quale potrebbe
in
parte
limitare
del
la
curatore,
tecnici
di
si è detto -
responsabilità
e
discriminare le ipotesi di operare il limite della colpa
lieve, con la conseguenza che il curatore dovrebbe ve-
CFr. Mandrioli, Il curatore fallimentare: ruolo e compiti, in www.i.caso.it,
sez. II, doc. n. 66/2007; cfr. altresì Forgillo, Il ruolo del curatore
fallimentare nella riforma, ove si precisa che il nuovo testo “correla la
diligenza del nuovo curatore a quella professionale, sicchè importando un
richiamo all’art. 2236 c.c. prelude quanto sino ad oggi s’ammetteva col
richiamo alla diligenza generale, cioè la possibilità di accusarlo per colpa
lieve”.
37
26
rosimilmente rispondere, applicando analogicamente
l'art. 2236, solo per dolo e colpa grave.38
A tale soluzione si contrapposto
formulazione
de lla
norma
che
sancisce
la
a
nuova
carico
del
curatore un criterio di condotta identico a quello
previsto dall'art. 2392 c.c. per gli amministratori di
società per azioni, cioè quello dell'avveduto gestore.
Come già evidenziato i
“nuovi” compiti gestori del
curatore (ereditati dal Giudice delegato) hanno spinto
alcuni
commentatori
responsabilità
a
ad
quella
accostare
degli
la
sua
amministratori
di
società di capitali. Si è poi osservato che se tale
accostamento appare
la
dizione
più che plausibile, atteso che
dell'a rt.
38,
comma
dell'art. 2392, comma 1, c.c.,
1,
ripete
quella
tale argomentazione
non può essere utilizzata per individuare una soglia
di “minore diligenza”,
avrebbe
utilizzato
la
«specifiche competenze»
che è stata
poiché il legislatore
locuzione
relativa
non
alle
indicata dall’art. 2392 c.c.
omessa in relazione alla responsabilità
del curatore. La maggioranza della dottrina recupera
tale
omissione
rilevando
che
sarebbe
pleonastico
richiedere specifiche competenze al curatore, atteso
che esse, data la sua veste di professionista, sono
condizioni insite nel conferimento dell'incarico.
Si
è
peraltro
osservato
che
ad
un
curatore
fallimentare si può richiedere le competenze che sono
tipiche della professione di appartenenza, e quindi
competenze giuridiche o economico-giuridiche, non
Cfr. Pajardi - Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano,
2008, pag. 245 ss.
38
27
anche
quelle
che
sono
appannaggio
di
altre
professioni o ad altre branche della scienza. Va però
sottolineato come – attualmente – il curatore ha la
possibilità
di
professionisti
nominare
per
la
singoli
soluzione
esperti
di
e
questioni
particolari e pertanto l’eventuale responsabilità ben
può essere fatta rientra nell’ambito della culpa in
vigilando o eligendo.
Si è infine
sottolineato
che il munus è diverso da
quello che caratterizza gli amministratori responsabili
nei
confronti
della
società;
il
curatore
è
pubblico ufficiale i cui compiti sono prevalentemente
fissati dalla legge, per cui non si è ritenuto di
consentirgli
di
invocare
anche
la
limitazione
connessa alle specifiche competenze.39
Va comunque ricordato che
stabilisce
con
precisione
legge fallimentare
quali
sono
i
non
doveri
dell'ufficio che il curatore deve adempiere ma si
limita a rinviare, tra l'altro, agli obblighi derivanti
dal piano di liquidazione approvato, sottolineando
così il carattere di obbl igatorietà delle previsioni
contenute nel piano alle quali il curatore deve dare
completa attuazione.
40
Peraltro si è evidenziato che la responsabilità del
curatore è da ancorare innanzitutto alla violazione
d e l dovere generico di corretta amministrazione: il
curatore
deve
regolare
amministrazione,
39Cfr.
40
osservare
elementari
quindi
è
principi
di
tenuto
al
Pajardi - Paluchowski, cap. VI, § 4.11.
Cfr. Ruggiero, in Ferro, La legge fallimentare, Padova, 2007, pag. 292.
28
risarcimento
dei
danni
scaturiti
da
scelte
palesemente irrazionali.
In
ordine
curatore,
alla
in
natura
delle
dottrina,41 si
è
responsabilità
affermato
che
del
“
…
certamente, in merito agli eventi forieri di danno e al
grado di diligenza che deve caratterizzare la condotta
del curatore, il testo introdotto dal legislatore del
2006 risulta più esplicito di quello ereditato dal
1942.
Come già osservato l’individua zione della “diligenza”
come quella “richiesta dalla natura dell'incarico”, era
stato
già
compiuto
dalla
dottrina,
che
aveva
sostenuto la necessità di parametrare la diligenza del
curatore non a quella ordinaria del buon padre di
famiglia (art. 1176, comma 1, c.c.), ma a quella
qualificata
dalla
professionalità
dell'incarico
(art.
1176, comma 2).
Era rimasto tuttavia parzialmente irrisolto il dilemma
sulla natura contrattuale o extracontrattuale della
responsabilità del curatore e tale problema
appare
ora ancora più attuale e rilevante.
Come
già
sopra
evidenziato
l'inadempimento
contrattuale presume la colpa del prestatore, per cui
il
soggetto
danneggiato
si
limita
alla
prova
dell'inadempimento e del danno subito, spettando al
prestatore provare la «impossibilità della prestazione
per causa a lui non imputabile» (art. 1218). Qualora
si volesse aderire all’orientamento “riduttivo” sopra
richiamato,
si
osserva
che
la
prestazione,
che
costituisce l'obbligazione contrattuale, se «implica la
soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà”,
29
il prestatore non risponde dei danni, se non in caso
di dolo o colpa grave» (art. 2236): non vi sarà quindi
la responsabilità quando l'inadempimento è causato
d a colpa lieve .
L'azione di responsabilità contrattuale si prescrive in
dieci anni (art. 2946) a decorrere dal giorno in cui si
è verificato il danno.
Il danneggiato che agisce invocando la responsabilità
aquiliana ,
di
converso,
deve
provare,
oltre
alla
condotta illecita dell'autore e il rapporto causale tra
la condotta e il danno, anche la colpa o il dolo
dell'autore
liberarsi
medesimo,
dalla
e
quest'ultimo
responsabilità,
proprio
non
può
perché
ha
commesso un atto non dovuto, eccependo la colpa
lieve. Inoltre la responsabilità si prescrive in cinque
anni, de correnti dal giorno in cui l'atto dannoso si è
verificato (art. 2947); la giurisprudenza tende a far
decorrere
la
produzione
diventando
prescrizione
del
danno
dal
si
oggettivamente
memento
manifesta
in
cui
la
all'esterno
percepibile
e
riconoscibile; sorger à pertanto il problema se tale
momento sia individuato nel deposito in cancelleria
della
documentazione
vendita
dell’azienda
ad
giustificativa
un
prezzo
(ad
esempio
ritenuto
non
congruo) o al momento del deposito del conto della
gestione (tale momento sarà sicuramente rilevante
con riferimento alla condotte omissive).
Come già ricordato si contrapponevano due soluzioni
contrastanti; in favore della tesi della responsabilità
contrattuale vi erano (e vi sono) i seguenti elementi:
41
Cfr. Verna, in Riv. Dott. Comm., 2010, pag. 163 ss.
30
a ) l'ufficio di curatore è esplicitamente un incarico
( munus publicum ), quindi un mandato, ovvero un
contratto col quale un professionista, che accetta,
viene investito dal tribunale dell'obbligo di compiere
una serie di atti giuridici nell'interesse della giustizia
e
di
una
massa
di
creditori;
siamo
ampiamente
dentro lo schema di cui all'art. 1710 c.c.;
b) la configurabilità della responsabilità del curatore
in
dipendenza
dall'inadempimento
dei
doveri
«derivanti dal piano di liquidazione», ovvero da un
atto tipicamente negoziale, frutto dell'incontro di più
volontà, milita decisamente a favore della natura
contrattuale di tale responsabilità;
c) ogni sei mesi il curatore redige un «rapporto
riepilogativo delle attività svolte... accompagnato dal
conto della sua gestione», che viene trasmesso alla
massa dei creditori e alla cancelleria del tribunale
(art. 33, ult. comma) e ciò costituisce adempimento
tipico di un mandato;
d) al termine del mandato il curatore presenta il
rendiconto delle attività svolte all'autorità giudiziaria
e a t utti i creditori (art. 116);
e ) l'esplicita richiesta di una «diligenza professionale»
da
correlarsi
con
la
«natura
dell'incarico»
è
configurabile solo con la responsabilità contrattuale;
f) il mandato di curatore ha un oggetto che non è
stabilito dalle parti, ma è predeterminato dalla legge;
l'eventuale
confronti
inadempimento
di
nell'interesse
doveri
della
si
pone
specifici
giustizia
e
e
della
quindi
nei
prestabiliti
massa
dei
creditori, non nei confronti di doveri astrattamente
elencati, come quelli che danno luogo agli atti illeciti;
31
g)
la
responsabilità
da
mandato
nasce
per
l'inadempimento di doveri, mentre quella da atto
illecito dalla contravvenzione a divieti;
h) atteso che il curatore può essere responsabile sia
di atti omissivi che commissivi, solo questi ultimi, se
si
eccettua
la
disciplina
penale,
sono
forieri
di
responsabilità da illecito, mentre la responsabilità
contrattuale nasce anche da quelli omissivi.
Va
evidenziato
fallimento”
una
il
volta
curatore
di
più
deve
che
nel
esprimere
“nuovo
ca pacità
manageriali sul piano dell'organizzazione ed anche
naturalmente su quello della gestione del lavoro e
delle professionalità altrui di cui può avvalersi ex
art. 32.
Infatti il
co. 2 dell'art. 32 consente al curatore di
ottenere l'autorizzazione del comitato dei creditori a
farsi coadiuvare sotto la sua responsabilità. Può essere quindi fonte di responsabilità sia la scelta di
coadiutori
(culpa
in
eligendo ),
che
la
mancata
vigilanza ordinaria sull'attività di questi (culpa in
vigilando ) ed inoltre la circostanza di non essersi
avvalso di un esperto pur essendo consapevole di non
e ssere in grado di far fronte al problema
La
diligenza
assicurata
del
anche
curatore
in
deve
relazione
inoltre
al
essere
controllo
sull'operato dei delegati e dei coadiutori di cui
all'art. 32.
Sicuramente
il
curatore
sarà
responsabile
per
l'impiego non autorizzato di delegati e coadiutori: in
dottrina si è sottolineato che
il danno sofferto dai
creditori sarà attribuito o meno alla detta circostanza
32
sulla base dei criteri relativi all'individuazione del
nesso di causalità tra condotta illecita e danno).
. La culpa in eligendo si configura peraltro
se la
scelta è caduta su soggetto non iscritto ad albo
professionale, o privo di abilitazione professionale, o
con discutibili trascorsi professionali. La legge non
intende attribuire al curatore una responsabilità per
il fatto altrui: si è pertanto affermato che il curatore
sarà
responsabile
delle
conseguenze
dannose
derivanti dalla violazione del dovere di prov vedere
personalmente
all'esecuzione
di
compiti
di
cui
è
incaricato pur con la collaborazione, debitamente
autorizzata, di coadiutori; di conseguenza il curatore
potrà
essere
derivante
tenuto
dal
non
responsabile
avere
del
controllato
pregiudizio
l'attività
dei
coadiutore ove il controllo fosse possibile. Si è così
esemplificato in dottrina: al curatore non si potrà
imputare di non avere nuovamente contato migliaia
di
confezioni
quantificate
disposto
presenti
dal
in
un
coa diutore,
un'ulteriore
verifica
magazzino
bensì
in
di
caso
e
non
di
già
aver
vistosa
discordanza tra i dati contabili e quelli riferiti dal
coadiutore.
Conclusivamente,
si
concorda
con
l'autore nel ritenere che il fatto doloso o colposo del
coadiutore,
non
impiegando
la
impedibile
dovuta
dal
diligenza,
curatore
comporterà
pur
la
responsabilità del solo coadiutore (salva pur sempre
la verifica del contenuto della proposta del curatore
al comitato dei creditori relativamente al grado di
difficoltà
dell'inca rico
ed
all'idoneità
del
soggetto
proposto), mentre a determinare la responsabilità del
curatore sarà la colpevole inosservanza dei doveri
33
inerenti l'ufficio. Rispetto ai delegati per specifiche
operazioni previsti dal co. 1 dell'art. 32, il curatore
risponderà anche in questo caso per culpa in eligendo
o comunque ex art. 1717, co. 3 (“il mandatario
risponde
delle
istruzioni
che
ha
impartito
al
sostituito”).
In
dottrina 42
si
è
poi
osservato
che
la
natura
contrattuale dell'azione di responsabilità fa sorgere
una
ulteriore
considerazione.
Si
è
detto
a
tale
proposito che “… riconoscendo la profonda diversità,
sia
teleologica
sia
formale,
fra
impugnazione
del
conto della gestione ed azione di responsabilità, una
volta approvato detto rendiconto (anche per silenzioassenso) da tutti i creditori concorsuali regolarmente
avvertiti della fissazione dell'udienza ex art. 116,
comma 3, non può più essere esercitata l'azione di
responsabilità almeno con riferimento alle operazioni
indicate nel rendiconto medesimo. Vero è che “il
giudizio di rendiconto non si svolge più nelle forme
della cognizione ordinaria e non si conclude con
sentenza, ma con ... decreto motivato che potrebbe
essere anche suscettibile di revoca”, ma ciò comporta
solo
che
le
operazioni
indicate
nel
rendiconto
potrebbero essere contestate e forma re oggetto anche
di un'azione di responsabilità contro il curatore solo
previa revoca del rendiconto medesimo”.
Le considerazioni che precedono e l'arricchimento del
novero degli eventi-danni rispetto al testo previgente,
ovvero l'introduzione, accanto ai “doveri del proprio
ufficio imposti dalla legge”, di quelli “derivanti dal
42
Cfr. Verna, op. cit.
34
piano di liquidazione approvato” ex art. 104-ter l.f.
fa propendere, - a nostro avviso -
decisamente, per
la soluzione della responsabilità contrattuale.
***
Tra
gli
elemen ti
altri
costitutivi
responsabilità del curatore,
della
si annovera senza
dubbio l'intenzionalità della condotta causativa del
danno.
Occorre – peraltro - che si verifichi un danno, che,
con riferimento alla condotta del curatore, non può
che
avere,
salvo
casi
paradossali,
natura
patrimoniale, e che sussista un nesso eziologico fra
condotta e danno medesimo.
7. Le specifiche fattispecie di responsabilità del
curatore nel “nuovo fallimento”.
Il
nuovo
assetto
dei
rapporti
interorganici
determinato dalla riforma,
ha inizialmente indotto il
legislatore
suddividere
la
il
dei
curatore
a
ed
meccanismo
comitato
della
responsabilità
creditori
solidarietà,
tra
il
tramite
il
mentre
con
il
successivo correttivo (d.lgs. 169/2007) si è esclusa
la solidarietà per le omissioni di vigilanza, più
precisamente si è disposto che l'art. 2407, co. 1 e 3,
c.c. è applicabile ai componenti del comitato dei
creditori in quanto compatibile.
Occorre, pertanto, al fine di delineare un nuovo
“catalogo”
di
responsabilità
in
capo
al
curatore,
direttamente conseguenti al ruolo di gestore diretto
della
procedura,
affrancato
dal
“direzione”
del
Giudice delegato, analizzare i principali compiti che
gli vengono attribuiti dalla legge fallimentare.
35
Va
tuttavia
anticipato
che
curatore
non
può
delegare ad altri le sue funzioni tranne che per
singole operazioni e con una apposita autorizzazione :
si ha allora la figura del "delegato" che sostituisce il
curatore in specifici adempimenti.
Anche in relazione a questo istituto il legislatore del
de creto
correttivo
è
intervenuto
trasferendo
un'ulteriore competenza dal giudice delegato ad un
organo
di
matrice
privatistica.
Mentre
infatti
la
riforma prevede che sia il giudice a prov vedere alla
nomina
del
delegato
del
curatore,
la
rinnovata
formulazione dell'art. 32 se da un lato limita le
funzioni delegabili escludendo quelle previste dagli
arti. 89 (predisposizione degli elenchi dei creditori),
92
(formulazione
dell'avviso
circa
l'udienza
di
verifica), 95 (predisposizione del progetto di stato
passiv o
l'esame),
e
partecipazione
97
all'udienza
(comunicazione
fissata
dell'esito
per
del-
l'accertamento del passivo) e 104-ter (predisposizione
del programma di liquidazione) dall'altro
attribuisce
al comitato dei creditori il potere di autorizzare la
dele g a .
Può invece accadere che il curatore non necessiti di
essere sostituito in una specifica attività ma debba
opportunamente
essere
affiancato
da
un
collaboratore o da un esperto per un singolo affare o
per tutta una serie di attività di un certo tipo (ad
esempio questioni legali in materia di revocatorie).
In tali fattispecie, previa autorizzazione del comitato
dei creditori, il curatore potrà
farsi assistere da
tecnici o da altre persone retribuite, compreso il
36
fallito (e si ha allora la figura del "coadiutore" che
affianca
il
curatore
ma
non
può
compiere
autonomamente alcuna attività allo stesso riservata).
Per tali ipotesi potrà naturalmente configurarsi una
culpa in vigilando o in eligendo .
Per quanto riguarda i soggetti delegati per specifiche
oper azioni, che
vengono nominati dal
comitato ai
sensi dell'art. 32 co. 1, su indicazione del curatore,
questi risponde o per l'incauto suggerimento (quindi
ancora
una
volta
in
eligendo
se
suggerisce
un
soggetto che non ha i requisiti di idoneità e capacità
per l'incarico) o, comunque ai sensi dell'art. 1717
comma 3, per le istruzioni date ai soggetti incaricati,
ove le medesime siano state incomplete o foriere di
danni.
Si osserva
in dottrina che sebbene il
legislatore
abbia sostituito il Giudice delegato con
dei
creditori
nel
rilascio
delle
comportano scelte di merito,
medesimo
risultato
di
il comitato
autorizzazioni
che
non si è riprodotto il
alleggerimento
da
responsabilità, che secondo parte della dottrina e
della
giurisprudenza,
curatore
eseguiva
il
si
determinava
provvedimento
q uando
il
autorizzatorio
emesso dal giudice.
***
Tra i nuovi compiti affidati al curatore
vi è quello
primario è quello di provvedere alla predisposizione
del
progetto
di
stato
passivo,
secondo
quanto
previsto dall’ art . 95 l.f.
Sebbene
anche
nella
previgente
disciplina
fosse
prevista la predisposizione dello stato passivo (co37
siddetto
doveva
stato
passivo
essere
provvisorio),
compiuta
del
giudice
l'assistenza del curatore e portava
tale
attività
delegato
con
alla formulazione
di un progetto da depositare in cancelleria in modo
da essere poi esaminato ed eventualmente corretto in
sede di verifica dello stato passivo; nella realtà tale
adempimento era quasi sempre omesso e i creditori
venivano a conoscenza degli or ientamenti dell'ufficio
solo in sede di verifica.
La
nuova
formulazione
dell'art.
95
ripropone
l'adempimento ma ne attribuisce la responsabilità
esclusivamente al curatore il quale, sulla base delle
domande
esclusa
tempestivamente
ogni
depositando
cancelleria
il
pervenute
ammissione
progetto
trenta
giorni
(e
d'ufficio),
di
stato
prima
quindi
deve
passivo
dell’udienza
–
tin
di
formazione dello stato passivo - non solo predisporre
gli elenchi separati dei creditori e dei titolari dei
diritti sui beni mobilio immobili in possesso del
fallito, motivando la sue conclusioni, ma deve anche
"eccepire i fatti estintivi, modificativi o impeditivi del
diritto fatto valere, nonché l'inefficacia del titolo su
cui sono fondati il credito o la prelazione, anche se è
prescritta la relativa azione".
In dottrina si è osservato che è questo un ruolo
particolarmente
delicato
in
quanto
muta
sostanzialmente il profilo della responsabilità del
curatore
che
mentre
prima
poteva
affidarsi
al
consiglio e al giudizio del giudice delegat o ora deve
operare
in
modo
del
tutto
autonomo,
avendo
assunto il giudice una posizione di assoluta terzietà
che comporta il divieto, a pena di ricusazione, di
38
fornire
una
qualche
indicazione
sulla
linea
da
seguire.
Tenuto conto della delicatezza della posizione del
curatore in sede di accertamento del passivo e della
sua
responsabilità
per
eventuali
omissioni
nel
proporre eccezioni che avrebbero potuto portare alla
non ammissione di un credito o di una garanzia non
mi sembrerebbe fuori luogo che, nell'ipo tesi in cui la
nomina
non
curatore
si
abbia
faccia
privilegiato
autorizzare
un
dal
avvocato,
comitato
il
dei
creditori a farsi assistere da un coadiutore legale
proprio per l'esame delle domande quando le stesse
presentino profili particolarmente problematici.
E’ evidente che in caso di ammissione di crediti non
dovuti
o di mancata
indicazione di prescrizioni,
potrà configurarsi una responsabilità del curatore
per il danno subito dagli altri creditori concorrenti
con il credito ammesso.
Con riferimento all’obbligo di redigere la relazione
ex art. 33 l.f., le modifiche introdotte dalla novella
appaiono di rilievo
sotto
il
vigore
in quanto, mentre si riteneva
della
vecchia
normativa
che
si
trattasse di un atto diretto unicamente al giudice
delegato, l'attuale formulazione del 4° co. dell'art. 33
la rende un atto conoscibile
e diretto anche dal
comitato
che
dei
creditori,
posto
ne
prevede
il
deposito in cancelleria nel fascicolo fallimentare al
quale tale organo ha libero accesso, con la sola
eccezione dell’ipotesi di segretazione disposta dal
giudice
delegato
delle
parti
relative
alla
responsabilità penale del fallito o di terzi e alle
39
azioni che il curatore intende proporre nei confronti
degli amministratori.
La nuova legge fallimentare
ha ampliato il
termine
per il deposito della relazione, portato a sessanta
giorni dalla dichiarazione di fallimento,
prevedendo
poi il deposito di una ulteriore relazione ogni sei
mesi.
Infatti, mentre la precedente disciplina prevedeva
che mensilmente il curatore dovesse indirizzare al
solo giudice delegato "un'esposizione sommaria della
sua amministrazione", la novella compie un passo
rilevante in direzione della conoscenza e quindi della
trasparenza
dell'attività
del
curatore
in
quanto
dispone che il medesimo , ogni sei mesi successivi al
deposito
della
relazione,
rediga
" un
rapporto
riepilogativo delle attività svolte con indicazione
di tutte le informazioni raccolte dopo la prima
relazione,
accompagnato
dal
conto
della
sua
gestione".
Il rapporto deve essere
delle imprese,
dei
creditori,
depositato presso il registro
ed è trasmesso in copia al comitato
unitamente
agli
estratti
conto
dei
depositi della procedura.
Il comitato dei creditori e ciascuno dei suoi membri
possono formulare osservazioni scritte che vengono
allegate ad altra copia del rapporto che deve essere
trasmessa per via telematica all'ufficio del registro
delle imprese entro quindici giorni dalla scadenza
del
termine
per
il
deposito
del
rapporto
in
cancelleria.
Appare
chiaro l'intento del legislatore da un lato di
far esercitare un controllo diffuso sull'attività del
40
curatore, che mediante la pubblicazione nel registro
delle imprese diviene sostanzialmente conoscibile da
chiunque, e dall'altro di far uscire la procedura dal
chiuso degli uffi ci giudiziari in modo che i creditori
si possano rendere conto dello stato in cui la stessa
si trova e delle ragioni per cui è ancora pendente.
Ci si deve domandare se il termine per l’esercizio di
eventuali
azioni
di
responsabilità
decorrerà
dal
deposito
del rapporto – unitamente al conto della
gestione relativo al periodo - presso il registro delle
imprese o se, invece, il termine
sarà quello del
deposito del conto finale ex art. 116 l.f.
Altra importante novità potenziali
ipote si
curatore -
è costituita
di
di
redazione
responsabilità
in
capo
al
dall'obbligo per quest’ultimo
entro
predisporre,
che può dare luogo a
sessanta
dell'inventario,
il
giorni
dalla
programma
di
liquidazione (art. 104-ter).
Si tratta di uno degli adempimenti “centrali” del
n uovo fallimento,
nonché il vero banco di prova
della capacità manageriale richiesta al curatore
nella “nuova”procedura.
Nel sistema anteriore alla riforma la liquidazione dei
beni,
che
non
avrebbe
dovuto
tendenzialmente
iniziare prima del termine delle operazioni di verifica
dei
crediti,
era
rimessa,
quanto
ai
tempi
e
alle
modalità, alle decisioni prese di volta in volta dal
curatore con l'approvazione del giudice delegato.
Con la previsione del programma di liquidazione
cui scopo è non
- il
solo quello d i r e ndere edotti i
creditori delle linee sulle quali intende muoversi il
curatore ma di far sì che la liquidazione dei beni non
41
avvenga "in ordine sparso" ma seguendo un progetto
ben definito quanto ai tempi e ai modi e soprattutto
sia
inserita
nel
più
ampio
scenario
dell'amministrazione del patrimonio – il legislatore
ha previsto che il curatore predisponga
un atto di pianificazione e di indirizzo in ordine alle
modalità e ai termini previsti per la realizzazione
dell'attivo,
consentendo,
pertanto,
ai
formulare
ragionevoli
aspettative
in
creditori
di
ordine
al
momento del pagamento del loro credito.
Il
programma
deve
contenere
le
valutazioni
del
curatore circa l'opportunità dell'esercizio provvisorio
dell'impresa 43
o
di
rami
d'azienda
ovvero
l'opport unità di autorizzare l'affitto di azienda o di
suoi
rami,
la
comunicazione
dell'esistenza
di
eventuali proposte di concordato, la valutazione circa
le azioni risarcitone, recuperatorie e revocatorie da
intraprendere, nonché (come ha aggiunto il decreto
correttivo) il loro possibile esito (previsione che ha
un senso solo se riferita alla concreta possibilità di
soddisfacimento
in
relazione
alle
capacità
economiche del revocando, posto che le azioni si
dovrebbero
a
rigor
di
logica
proporre
solo
nella
prospettiva ragionevole di vincerle), le modalità della
vendita dei beni, e cioè se in blocco o singolarmente,
e a quali condizioni.
Il programma, secondo la formulazione della novella,
deve essere sottoposto all’approvazione
dei
creditori,
che
può
proporre
del comitato
modifiche,
Sulle eventuali responsabilità in capo al curatore per tale de licato
aspetto cfr. par. 9.
43
42
e
al
Giudice delegato per l’autorizzazione degli atti ad
esso conformi.
Si è detto che a seguito delle predisposzione del
programma
di
liquidazione
si
configura
un
avvicinamento della responsabilità a quella del mero
p r o f e ssionista :
pur se l'incarico è pubblico, il suo
contenuto non cambia, il curatore cioè è pubblico
ufficiale ma le modalità pratiche di svolgimento del
suo incarico (per quelle attività che sono svolte di
regola da professionisti) sono analoghe a quelle del
professionista; non riteniamo pertanto condivisibile
quella
soluzione
secondo
potrebbe portare ad
cui
tale
considerazione
una applicazione analogica del
2236 c.c. limitando la responsabilità al dolo e alla
colpa grave quando il problema da risolvere è un
pr oblema tecnico di speciale difficoltà.44
In dottrina ci si è altresì domandati
quale sia la
funzione ed il ruolo, in relazione alla responsabilità
dell'organo gestorio della omissione della informativa
che, per gli atti di straordinaria amministrazione
potenzialmente depauperatoci di valore superiore a
50.000 euro e per tutte le transazioni (ex art. 35),
nonché per le vendite (art. 107), il curatore deve
rendere al giudice delegato prima del compimento
dell'atto.
L'omissione della comunicazione e/o del deposito
della documentazione, da un lato può essere valutata
ai fini della revoca, e inoltre, ove l'atto sia poi
concretamente
dannoso,
integra
44Cfr.
una
carenza
di
Cataldo, Il controllo sugli atti del curatore ed il regime della
responsabilità, in Il Fall., 2007, 1024; Cfr. Patti, Il curatore nella nuova
procedura di liquidazione concorsuale, in Il Fall,, 2005, 724.
43
diligenza e di onere di relazione che è certamente
foriera di responsabilità per l'organo che l'ha posta
in essere; infatti la carenza di informazione può
avere impedito al giudice delegato di intervenire,
tramite convocazione degli organi e il tentativo di
dissuasione o rimozione dell'organo stesso.
Ad avviso di chi scrive, l'informativa è una sorta di
sistema di « doppio controllo » che il legislatore,
deciso ad eliminare l'ingerenza decisionale nel merito
del giudice delegato, ha posto per lasciare una sorta
di “salvagente per ogni evenienza” che consente una
supervisione
di
legittimità
(ma
per
certi
aspetti
tecnico-giuridici direi anche di merito immediata) o,
comunque
di
allertare
gli
organi
di
controllo
in
generale. È, cioè, un probabile residuato della scarsa
fiducia nel solo controllo del comitato dei creditori.
Se l’ omissione di informazione ex art. 35 può certo
servire a ridurre od escludere le responsabilità
del
comitato dei creditori ed eventualmente del Giudice
delegato,
essa sarà valutabile ai fini della revoca e
per l'esercizio, ovviamente, di quell'attività di sorveglianza che concretamente finisce per accertare se le
condotte in generale poste in essere dal curatore
rispondono
ai
criteri
direttivi
di
comportamento
dettati da ogni tribunale e, quindi, se esso meriti di
vedersi rinnovata la fiducia con altre nomine.
Una particolare attenz ione va posta nei confronti
dell'attività di informativa di cui al 107, riguardante
la vendita in generale di mobili ed immobili, ove è
previsto che il curatore depositi la documentazione
attestante la documentazione relativa alle procedure
44
competitive
poste
in
essere
per
propiziare
l'alienazione ed il loro risultato.
L'onere è duplice e riguarda il comitato ed il giudice
delegato.
Il giudice deve essere reso edotto della situazione
perché può impedire il perfezionamento della vendita,
entro 10 giorni dal deposito della documentazione, se
il
prezzo
offerto
risulti
notevolmente
inferiore
a
quello di vendita; in ogni caso non può assumere
l'iniziativa d'ufficio, ma solo su istanza del fallito, del
comitato o di altri interessati.
La circostanza che nessuno di questi soggetti, pur
informato, abbia chiesto la sospensione o il blocco,
non esime certo il curatore dalle sue responsabilità
per
avere
liquidato
fallimentare
ad
un
i
valore
cespiti
del
inferiore
patrimonio
a
quello
di
mercato o di stima, né le riduce, caso mai integra
proprio
uno
di
quei
casi
in
cui
vi
è
possibile
corresponsabilità del comitato, in quanto il controllo
efficace avrebbe impedito il perfezionarsi dell'atto ed
il prodursi, correlativo, del danno (non si reputa
infatti
che
la
responsabili tà
per
omissione
di
vigilanza debba intendersi incompatibile con la figura
del comitato dei creditori, nemmeno dopo la modifica
apportata dal correttivo).
Da parte di alcuni autori,
si è sottolineato
che
anche stessa potestà di scelta autonoma dell'ist ituto
bancario
–
ora
rimessa
alla
discrezionalità
del
curatore - può divenire fonte di responsabilità ad
esempio in caso di dissesto dell'istituto di credito,
qualora vi fossero elementi di allarme percepibili.
45
Non appare configurabile una responsabilità
per il
mancato deposito delle somme nei 5 giorni: infatti se
da un lato il
termine è stato ampliato a 10 giorni
entro i quali eseguire la scelta dell'istituto e la
apertura
del
conto
sottolineato come
motivato
o
libretto,
dall’altro
si
è
il mero ritardo di poco conto,
ragionevolmente,
esso
non
è
rilevante,
inoltre va sempre valutato insieme ad altri elementi
per giustificare la revoca.
Si collocano al di fuori di tali fattispecie le situazioni
di ritardati depositi per periodi prolungati di denaro
o – naturalmente - la sottrazione delle somme prima
o
dopo
il
deposito45,
eventi
riamente, il curatore dovrà
dei
quali,
rispondere
necessa anche in
sede penale.
***
A tali ipotesi si possono aggiungere le fattispecie più
varie connesse
alla concezione pr opugnata dal
legislatore che l'impresa come valore aggiunto ed
aggregazione produttiva vada salvata, assicurandone,
ogni
volta
che
è
possibile,
la
prosecuzione
dell'attività anche in capo a terzi; da ciò deriva
l’esigenza
di
conduzione
di
questa
attività,
di
amministrazione di un complesso produttivo, attività
definita di governance 46 dell'impresa in d efault.
Per tale fattispecie cfr. Trib. Lecce, 5 novembre 2009 che ha
individuato una responsabilità contrattuale concorrente dell’istituto di
credito.
45
Cfr. Panzani, La riforma delle procedure concorsuale introdotta dalla
legge n. 8012005 e dal decreto attuativo approvato in via definitiva: regime
transitorio ed impatto sulla gestione della crisi, relazione al Convegno
Paradigma del 15 febbraio 2006, Roma.
46
46
I n questo ambito rientrano l'esercizio provvisorio,
l'affitto
d'azienda,
unitariamente
o
la
per
vendita
rami,
il
della
stessa
potenziamento
del
concordato con riconoscimento della legittimazione al
curatore. In esso il curatore è l'amministratore ed il
gestore dei beni aziendali nell'interesse diretto e
primario dei creditori, che, proprio per questo, con il
proprio organo rafforzato, il comitato dei creditori,
presiedono
alla
funzione
autorizzatoria,
prima
di
competenza del giudice che, invece, ora esplica una
funzione solo di controllo di legittimità.
8.
L’azione
di
responsabilità
nei
confronti
del
curatore.
Durante
la
pendenza
del
fallimento,
l 'azione
di
responsabilità contro il curatore revocato è proposta
solo ed esclusivamente dal nuovo curatore 47
autorizzazione
del
giudice
delegato
previa
ovvero
del
comitato dei creditori.
La dottrina si è interrogata se le due autorizzazioni
siano alternative, lasciando al curatore la scelta del
soggetto al quale rivolgersi con la conseguenza che,
in caso di disaccordo, nel senso che i due organi si
pronunciano in senso contrastante in merito alla
proposizione dell'azione, il curatore possa comunque
agire e ssendo sufficiente l'autorizzazione di uno dei
due organi per integrare i poteri del curatore.
Da parte di altri autori si
ritiene che poiché il
giudice
legittimità
delegato
presidia
la
mentre
il
Cfr. Trib. Napoli 9 giu. 1994, in Dir. FALL, 1995, Il, 307, con nota di Di
Lauro; Trib. Bologna 29 feb. 1984, in dir. FALL, 1985, II, 260.
47
47
comitato
dei
creditori
l'opportunità,
afferenti
l'amministrazione,
dell'azione
del
curatore
delle
la
postula
il
scelte
proposizione
previo
rilascio
dell'autorizzazione di entrambi gli organi.
Nel caso in cui le opinioni dei due organi divergano,
più
precisamente
nell'ipotesi
in
cui
il
giudice
autorizzi ed i l comitato dissenta, l'atto può essere
impugnato ex art. 26, così come se il giudice non
autorizzi
mentre
il
comitato
è
determinato
a
procedere.
Se è il comitato ad autorizzare, si puntualizza
dottrina
che
il
l'autorizzazione
a
giudice
stare
potrebbe
in
giudizio,
in
negare
con
la
conseguenza che il comitato o il nuovo curatore
hanno
di
nuovo
la
facoltà
di
impugnare
il
provvedimento ex art. 26 ed ottenere la pronuncia di
u n o rgano superiore e terzo.
Si è affermato48 che “…l'azione di responsabilità,
come tutte le altre azioni giudiziarie contemplate
dall'art. 25, n. 6), non può essere sottratta ad una
pur sommaria delibazione di fondatezza da parte del
giudice delegato, il cui intervento, data la delicatezza
dell'azione
e
degli
interessi
che
possono
esse re
coinvolti (si pensi ad indebite autorizzazioni concesse
dal comitato dei creditori), si appalesa nella specie
particolarmente necessario”, prospettando “…. il caso
di
qualificate
sollecitazioni
alla
promozione
dell'anzidetta azione, pervenute al giudice delegato
dalla massa dei creditori, non condivise dal loro
comitato, quanto meno per il fatto che verrebbero
messi
in
discussione
autorizzazioni
48
da
questo
concesse e omessi controlli su operazioni di mala
gestio del curatore”.
Nel caso in cui il danneggiato sia un terzo diverso
dai creditori, si ritiene che
l'azione potrà essere in
qualsiasi momento proposta anche contro il curatore
in carica.
L'azione
di
responsa bilità
può
comunque
essere
sempre proposta, anche quando non vi sia stata
revoca,
dopo
la
chiusura
del
fallimento,
da
qualunque interessato, secondo le regole comuni ed
entro i previsti termini di prescrizione.
In dottrina si è sostenuto che la legittimazione attiva
del curatore, per essere efficace, avrebbe dovuto
estendersi
anche
oltre
la
chiusura
dello
stesso
conservandosi la titolarità dell'azione al curatore o
ad un curatore speciale.
I n giurisprudenza si è affermato che
la domanda
avente per oggetto l'accertamento della responsabilità
del curatore in dipendenza di atti di mala gestio ,
posti in essere dopo l'approvazione del rendiconto,
non può essere fatta valere in sede di reclamo al
decreto
di
chiusura
della
procedura,
ma
in
via
ordinaria). Tuttavia, chiuso il fallimento ed approvato
il
rendiconto
ipotizzabile
nei
presentato
confronti
dal
di
curatore,
costui
non
è
un'azione
di
responsabilità, ma unicamente un'azione aquiliana
extracontrattuale ispirata al principio di neminem
laedere di cui all'art.
2043 c.c., a condizione che
non si siano accertati dei vizi procedurali in sede di
verifica del rendiconto.
48
Cfr. Verna, op. cit.
49
Pertanto per esperire l’azione contrattuale derivante
dallo
svolgimento
dell’attività
di
curatore
fallimentare, appare imprescindibile la contestazione
del conto della gestione ex art. 116 l.f.
L'azione è soggetta a prescrizione decennale 49 c o n
decorrenza dalla data della revoca ed il termine
prescrizionale decorre anche nei confronti del fallito,
legittimato in ogni caso a proporla dopo la chiusura
del fallimento, purché l'azione non sia prescritta.
Come
già
osservato
più
sopra,
il
tribunale
competente è quello fallimentare, ex art. 24, in
composizione collegiale
anche
se si è sostenuta la
tesi della competenza del giudice monocratico in
mancanza di specifica previsione sul punto.
9. La responsabilità del curatore per le eventuali
sanzioni applicate alla società durante l’esercizio
provvisorio ai sensi del D. Lgs. N. 231/01.
Come è noto con il D. Lgs. 231/2001 50 è stata
previsto un corpo autonomo di norme sostanziali e
49 Cass.
4 ott. 1996/8716, in Fall., 1997, 601; conff., Cass. 5 apr.
2001/5044, in Fall., 2002, 57; Cass 11 feb. 2000/1507, in Fall., 2001,
473; T Milano 15 mar. 2001, in Fall., 2001, 833.
In termini generali per un commento al D.lgs. n. 231 del 2001 cfr.
Alessandri, Attività d'impresa e responsabilità penali, in Riv. it. dir. e proc.
pen. 2005, pag. 534 ss; Paliero, Il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231: da ora in
poi; societas delinquere (et puniri) potest, in Corr. giur., 2001, pag. 845
idem, La responsabilità delle persone giuridiche. Profili generali e creteri di
imputazione, in Il nuovo diritto penale delle società, Milano, 2002, pag. 47
ss., Sfameni, La responsabilità delle persone giuridiche. Fattispecie e
disciplina dei modelli di organizzazione, gestione e controllo, ivi, pag. 65
ss.; de Maglie, Principi generali e criteri di attribuzione della
responsabilità, in Dir. pen. proc., 2001, pag. 1348, s. Gennai - Traversi, La
responsabilità degli enti, Milano, 2001;
S.; Piergallini, Sistema
sanzionatorio e reati previsti dal codice penale, in Dir. pen. proc., 2001,
pag. 1353 S.; DE Simone, I profili sostanziali della responsabilità d.c.
amministrativa degli enti: la parte generale e la “parte speciale” del D. Lgs.
50
50
processuali
in
cui
viene
disciplinata
la
responsabilità degli enti per i reati commessi
soggetti
dipendenti
posti
in
posizione
dai
apicale
o
subordinata.
Si tratta di una normativa che
per certi versi, è
subito apparsa rivoluzionaria, in quanto ha ribaltato
i termini di un problema che vedeva nel principio
“societas
delinquere
non
potest”
un
dogma
che
appariva inattaccabile.51
Peraltro
generali,
la
citata
non
normativa,
si
discosta
nei
da
suoi
principi
quelli
previsti
dall’ordinamento penale 52, ed anzi, proprio al fine di
non
porre
in
essere
una
frattura
netta
fra
responsabilità delle persone fisiche e responsabilità
delle persone giuridiche, il Legislatore ha cercato di
far confluire nel testo del D. Lgs. 231/01 i
principi
cardine del diritto penale.53
Il D. Lgs. n. 231/01
ha
responsabilità
per
anche
previsto il regi me della
i
soggetti
privi
di
8 giugno 2001 n. 231, in Responsabilità degli enti per illeciti
amministrativi dipendenti da reato, Padova, 2002, pag. 57 ss; Conti, La
responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. Abbandonato il
principio societas delinquere non potest?, in Il diritto penale dell'impresa,
in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell' economia,
diretto da F. Galgano, XXV, Padova, 2001, pag. 861 ss.; Pulitanò, La
responsabilità “ da reato” degli enti nell’ordinamento italiano, Cass. pen.,
2003, supplemento al n. 6/03, pag. 7 ss.; Rordof, La normativa sui modelli
di organizzazione dell’ente, ivi, pag. 79 ss.
Sull’argomento, anche per una completa bibliografia, cfr. De Simone, op.
cit. pag. 73 ss. ed a Lanzi – Bersani, I nuovi re ati tributari, Torino, 1995,
pag. 41 ss.
51
Cfr. per l’applicazione del principio di legalità e quindi di irretroattività
della legge penale nella specifica materia Cass. VI penale, 1 febbraio 2007.
52
Cfr. De Simone, op. cit. pag. 87. Cfr. tuttavia Tribunale di Milano, sez. IV
penale, 11 dicembre 2006, secondo cui la responsabilità degli enti è di
natura amministrativa.
53
51
personalità
storica
giuridica,
con
contrapposizione
ciò
superando
la
tra gruppi personificati e
non personificati, pur prevedendo -
recependo le
indicazioni del
legislatore delegato e le esperienze
del
francese 54
sistema
-
l’esclusione
dalla
responsabilità dello Stato e degli enti che svolgono
funzioni
di
rilievo
costituzionale
individuabili
in
partiti politici e sindacati, nonché degli altri enti
pubblici non economici. 55
Con riferimento al problema della responsabilità del
curatore -
che interessa in questa sede - occorre
verificare quando, in che misura, i reati previsti dagli
articoli 25 e ss. D. Lgs. 231/01 possano essere
commessi nell'ambito di una procedura fallimentare;
in
altre
parole
occorre
verificare
quali
siano
gli
ambiti applicativi della legge 231/01 nello specifico
settore
del
diritto
fallimentare,
considerazione del fatto che
anche
- in talune ipotesi
in
la
società potrebbe essere chiamata a rispondere di
sanzioni penali pe cuniarie a causa di inadempimenti
del curatore.
Cfr. de Maglie, Principi generali, cit. pag. 1350; De Simone, op. cit. pag.
83.
54
Cfr. De Simone, op. cit. pag. 82, anche per ulteriori riferimenti. Da
parte di de Maglie, op. cit. pag. 1350, si osserva che l’espressione “enti
che esercitano pubblici poteri” di cui all'art. 11 L. n. 300 del 2000 non
brilla per chiarezza: non vi sono, infatti, nel diritto amministrativo,
definizioni univoche e stabilizzate della categoria degli «enti pubblici che
non esercitano pubblici poteri»: risulta comprensibile, dunque, la scelta
"drastica" del Governo, determinata da "esigenze di certezza del diritto",
anche se, la formulazione della legge-delega induce il convincimento che il
regime della responsabilità amministrativa degli enti sia la regola e
l'irresponsabilità sia l'eccezione: l'espressione «Stato ed altri enti pubblici
che esercitano pubblici poteri» non doveva perciò, a mio avviso, essere
interpretata estensivamente”.
55
52
9. a) Reati commessi nell’esercizio provvisorio
dell’impresa fallita.
Poiché – come si è più sopra brevemente analizzato il presupposto oggettivo per l'applicazione della legge
231/01 è costituito dalla commissione
personale
dipendente
posizione apicale
o
di
un
- da parte di
soggetto
posto
in
- di uno dei reati previsti negli
articoli 25 e ss. D. Lgs. 231/01 appare evidente attesa la natura di tali reati -
come
tale disciplina
normativa trovi applicazione solo nelle
situazioni
in cui l'attività aziendale e produttiva può essere
ancora utilmente svolta nell'interesse della massa dei
creditori.
Ci
riferiamo
–
pertanto
-
all'ipotesi
di
esercizio
provvisorio dell'impresa disciplinata dall'articolo 104
della
legge
fallimentare;
configurare la commissione
è
infatti,
difficile,
delle ipotesi delittuose
previste dagli articoli 25 e ss. D. Lgs. 231/01 nella
mera attività di liquidazione dell’attivo dell’ente.56
In tale prospettiva – come già osservato - a ppare
rafforzato l'istituto dell'esercizio provvisorio il quale,
come
evidenziato
in
dottrina
non
è
più
semplicemente finalizzato a consentire un miglior
risultato
della
liquidazione
creditori ma, soprattutto,
concorsuale
per
i
a perseguire una più
genera le finalità di conservazione dell'impresa che
dovrà essere ceduta nella sua integrità o in parte,
pur nel rispetto della volontà dei creditori.
Si tratta, pertanto, di un istituto che, almeno in
Sul punto cfr. Liuzzi, L’esercizio provvisorio e la liquidazione dell’attivo,
in Foro it., 2006, V, c. 197 ss.
56
53
linea teorica, dovrebbe trovare una applicazione più
frequent e rispetto al passato.
Ci
si
deve,
pertanto,
domandare
quali
essere i profili di responsabilità
potranno
a carico della
stessa impresa in esercizio provvisorio, se in tale
ambito, venga commesso taluno dei reati previsti dal
catalogo del D. Lgs. n. 231/01.
Riteniamo che le fattispecie che
dell'impresa
commerciale
nello svolgimento
potranno
concretamente
essere commesse da parte dei soggetti in posizione
apicale
o
subordinata
saranno,
prevalentemente,
quelli classici contro pubblica amministrazione ed i
c.d.
“reati
societari”,
maggiormente
trattandosi
riconducibili
di
allo
ipotesi
svolgimento
dell’attività economica.
Accertato che anche da parte della società fallita che
opera in regime di esercizio provvisorio potranno
essere
commessi
alcuni
dei
reat i
previsti
dagli
articoli del D. Lgs. n. 231/06, occorre domandarsi
se,
e
in
che
misura,
il
curatore
possa
evitare
l'applicazione delle sanzioni a carico della curatela.
9.
b)
La
sussistenza
di
un
interesse
o
di
un
vantaggio per l’ente in esercizio provvisorio.
Un
primo
momento
responsabilità
di
esclusione
dell’ente
potrà
della
configurarsi
utilizzando il criterio della riferibilità del “vantaggio”
conseguente
alla
prospettiva
è
responsabi lità
sussistenza
commissione
doveroso
degli
della
enti
del
reato.
evidenziare
è
In
tale
che
la
condizionata
circostanza
che
i
alla
reati
specificamente indicati nell’art. 24, 25, 25 bis e 25
54
ter D. Lgs. 231/01
siano
stati commessi
a loro
“vantaggio” o nel loro “interesse” da parte di soggetti
sottoposti
(id
est
svolgono
funzioni
dipendenti)
di
o
da
persone
rappresentanza
o
che
di
amministrazione o di direzione (c.d. “apicali”).
La sussistenza o meno di un “concreto” vantaggio per
l’ente a seguito della commissione
di un reato da
parte di un dipendente o di un soggetto in posizione
apicale costituisce, dunque, il presupposto oggettivo
della
responsabilità,
preliminare,
la
ed
impedisce,
configurabilità
di
già
una
in
via
eventuale
responsabilità. L’ indicazione legislativa
prevede –
pertanto - una alternativa tra due diverse situazioni
oggettivamente delineate: l’interesse o il vantaggio in
presenza dei quali
si giustifica la sanzione a carico
dell’ente.
L’esatta portata dei due concetti risulta eplicitata
nella relazione governativa
ove si evidenzia che
“l’interesse” ha un contenuto proiettivo e finalistico
della condotta ed è suscettibile proprio in quanto
tale,
di
una
valutazione
ex
ante,
mentre
il
“vantaggio” attiene ad un dato di puro risultato
concreto,
considerazione
valutabile
ex
complessiva
pos t,
degli
sull’ente dalla commissione del reato.
in
effetti
sede
di
prodotti
57
Cfr. Putinati, Commento all’art. 3 del D. Lgs. 61/2002, in I nuovi reati
societari, a cura di Lanzi – Cadoppi, Padova, 2002, pag. 240. Da ricordare
quanto chiarito sul punto da Cass. Sez. 2 n. 3615 del 20.12.2005: "in tema
di responsabilità da reato delle persone giuridiche e delle società,
l'espressione normativa, con cui se ne individua il presupposto nella
commissione dei reati "nel suo interesse o a suo vantaggio", non contiene
un'endiadi, perché i termini hanno riguardo a concetti giuridicamente
diversi, potendosi distinguere un interesse "a monte", per effetto di un
indebito arricchimento, prefigurato e magari non realizzato, in
conseguenza dell'illecito, da un vantaggio obbiettivamente conseguito con
la commissione del reato, seppure non prospettato "ex ante", sicché
57
55
Con riferimento alla natura del vantaggio, da parte
della dottrina è stato escluso che lo stesso debba
necessariamente avere contenuto patrimoniale, ben
potendo configurarsi anche un vantaggio puramente
morale dell’ente collettivo: il che può ipotizzarsi con
riguardo sia agli enti non aventi finalità lucrative ma
che tuttavia rientrano tra i destinatari della nuova
normativa,
sia anche agli enti prettamente lucrativi
come le società commerciali; con riferimento a queste
ultime si è affermato che
il vantaggio da reato può
individuarsi anche soltanto nella tutela di una certa
immagine pubblicitaria o di marketing,
la
posizione
sul
mercato
e
sortendo
rafforzando
un
effetto
patrimoniale solo indiretto. 58
Alla luce
di tale considerazioni, da parte della
dottrina, si è
osservato che
nel primo caso
(interesse) si è in presenza di un risultato potenziale
e solo auspicato (ma che in realtà potrebbe anche
non
verificarsi),
mentre
nel
se condo
(vantaggio),
l'interesse ed il vantaggio sono in concorso reale". Sulla nozione di profitto,
va richiamato quanto di recente chiarito dalla Suprema Corte (peraltro in
materia di misure cautelari interdittive di cui all'art. 45 D.L.vo 231/01):
"appare estranea a questi fini una nozione di profitto intesa come utile
netto, dovendo optarsi per un conce tto di profitto dinamico, più ampio che
arrivi a ricomprendere vantaggi economici anche non immediati,
comunque conseguiti attraverso la realizzazione dell'illecito" (Cass. Sez. VI
n. 32626/2006). Si tratta dunque, di una nozione "allargata" che non si
limita a strette considerazioni di bilancio ma prospetta la rilevanza di ogni
conseguenza vantaggiosa collegabile all'attività illecita.
In dottrina cfr. Stalla, Responsabilità amministrativa degli enti. I
modelli organizzativi. Compliace programs e
la loro rilevanza nella
struttura dell’illecito, relazione tenuta all’incontro di studi per magistrati Roma, 9 – 11 dicembre 2002, pag. 5 del dattiloscritto, il quale ha
prospettato
una corruzione finalizzata a non far trapelare la notizia del
rinvenimento da parte dell’Autorità di scarichi inquinanti che, per quanto
suscettibili di essere eliminati con trascurabile onere economico o
addirittura semplicemente con una diversa organizzazione del ciclo
produttivo a costo zero, potrebbero tuttavia “guastare ” l’immagine della
società agli occhi dei consumatori e della concorrenza).
58
56
rileva
il
risultato
effettivamente
conseguito
in
dipendenza della commissione del reato. 59
L ’accertamento della sussistenza dell’interesse o del
vantaggio andrà verificato in concreto, ben potendo
una medesima fattispecie astratta di reato risultare
vantaggiosa solo per la persona fisica.
Il comma 2 dell'art. 5 d.1gs. in esame prevede,
pertanto,
una
responsabilità
rilevanza
causa
della
di
persona
esclusione
giuridica
della
che
avrà
anche in caso di esercizio provvisorio e
cioè quando l’agente abbia commesso il reato per
esclusivo vantaggio proprio o di terzi.
In tal caso la sanzione non viene applicata
il
rapporto
di
immedesimazione
viene
perché
infranto60:
perché il reato possa essere attribuito all'ente è
necessario che la persona fisica lo abbia realizzato
tenendo presente - almeno in parte - il vantaggio
dell'organizzazione.61
Si pensi, esemplificando, alla corruzione compiuta
dal
soggetto
in
posizione
apicale
di
una
società
fornitrice di materiale sanitario, il quale, dopo aver
ottenuto
il
pagamento
della
fornitura
dall’ente
pubblico, abbandoni la società sottraendo la somma
ottenuta in pagamento.
In casi analoghi a quello rappresentato, pertanto,
non
la
potrà configurarsi
società
in
alcuna responsabilità
esercizio
provvisorio,
ed
per
una
responsabilità penale sarà attribuibile solo a carico
59
Cfr. Stalla, op. cit pag. 3 del dattiloscritto.
60
Cfr. De Simone, op. cit. pag. 101.
61
Cfr. Putinati, op. cit. pag. 240.
57
del dipendente infedele.
9. c) La necessità della creazione di un modello
organizzativo
anche
per
l”’ente”
in
esercizio
provvisorio.
Nel caso in cui non possa ecludersi una riferibilità
a lla
curatela
(e quindi ai creditori) dell’interesse o
del vantaggio del reato commesso,
una ulteriore
ipotesi di non punibilità dell’ente è analoga a quella
già prevista per l'ente che svolge la propria attività in
bonis; il curatore, pertanto, potrà dotarsi di una
organizzazione di controllo finalizzata a prevenire la
commissione dei reati.
Come è noto la struttura
del D. Lgs. n. 231/06 è
frutto di un compromesso fra un sistema improntato
alla
responsabilità
oggettiva
per
fatto
(responsabilità oggettiva), ed un sistema
altrui
impostato
sulla responsabilità per fatto doloso proprio.
Elemento caratterizzante del primo aspetto è dato
dalla netta distinzione della responsabilità penale
della
persona
conseguenza
risponde
fisica
che
–
da
quella
come
già
dell’ente,
osservato
con
-
la
l’ente
autonomamente del reato commesso dalla
persona fisica non solo quando l’autore del reato non
sia stato identificato o non sia imputabile, ma anche
quando
lo
stesso
sia
estinto
per
prescrizione,
remissione di querela o comunque per causa diversa
dall’amnistia. Tipica del sistema penale è invece la
delimitazione
della
responsabilità
dell’ente
nell’ambito dell’area tipica della colpevolezza (per
culpa in eligendo o in vigilando) così da soddisfare il
58
principio di cui all’art.27 Costituzione, interpretato
alla luce delle sentenze n. 364/1988 e n. 1985/1988.
62
Il
decreto
231/2001
colpevolezza
(per
prevede
carenza
seconda che il reato
di
due
forme
organizzazione),
di
a
venga commesso da persone
fisiche che si trovano a i
vertici dell’ente, ovvero da
coloro che si trovano in
posizione di sottoposti: nel
primo
caso
si
configura
una
colpevolezza
conseguente alle scelte di politica di impresa (sub
specie di culpa in eligendo direttamente riferibile
all’ente), mentre nella seconda ipotesi si delinea una
vera e propria “colpa di organizzazione” (sub specie
di culpa in vigilando, in quanto il fatto di reato si è
verificato solo perché i vertici o coloro preposti al
controllo non hanno vigilato o hanno vigilato male). 63
L a distinzione è
riferimento
quanto
anche con
all’esercizio provvisorio di impresa, in
– come si vedrà più avanti - si configura ben
diversamente
del
di notevole rilevanza
modello
l’onere probatorio in caso di adozione
organizzativo
da
parte
dell’ente
sottoposto alla procedura concorsuale: mentre nel
caso in cui il reato sia stato commesso
dai soggetti
Nella relazione di accompagnamento al decreto legislativo tale scelta di
compromesso viene giustificata in base a condivisibili ragioni di
opportunità politico-criminale, sottolineando come il richiamo alla “colpa
in organizzazione” consente di stimolare - attraverso l’onere di adozione
di modelli organizzativi idonei a prevenire il “rischio-reato” - l’ente
nell’attività di prevenzione, con tutti i vantaggi conseguenti ad un
coinvolgimento interno e volontaristico.
62
Cfr. de Maglie, Principi generali e criteri di attribuzione, in Dir. pen. e
processo, n. 11/2001, pag. 1349; negli stessi termini cfr. la relazione
tenuta al convegno di studi per magistrati, Roma, 9 – 11 dicembre 2002;
nonchè Izzo, Sindacato giudiziario sull’idoneità dei modelli organizzativi,
in Fisco, 2002, n. 44, fasc. 1, pag. 16505.
63
59
in
posizione
“apicale”
l’idoneità del “modello”
il
curatore
dovrà
provare
a prevenire i reati (oltre alla
concreta adozione nell’ambito aziendale), ne l caso di
reato
commesso
probatorio
da
soggetti
sottoposti
l’onere
(circa l’idoneità del modello), si sposterà
a carico del Pubblico Ministero.
E’ infatti opportuno
ricordare che
l’art.6
Lgs. n. 231/01 (reato commesso da apicali),
del D.
prevede
c h e “l’ente non risponde se prov a”: a) di aver adottato
ed efficacemente attuato, prima della commissione
del fatto, modelli di organizzazione e di gestione
idonei
a
prevenire
reati
della
specie
di
quello
verificatosi; b) di aver affidato ad un organismo
dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e
controllo il compito di vigilare sul funzionamento e
l’osservanza
dei
modelli
e
di
curare
il
loro
aggiornamento; c) l’elusione fraudolenta dei modelli
di organizzazione e di gestione da parte delle persone
che hanno commesso il reato; d) l’insussistenza di
una omessa o insufficiente vigilanza da parte del
citato organismo di controllo. E’ chiaro come ci si
trovi in presenza di una serie di presupposti
la cui
prova – nel corso dell’eventuale procedimento penale
- costituirà un ostacolo gravoso da parte dell’ente.
Sulla base di tale costruzione legislativa, come già
evidenziato, non dovrà essere il Pubblico Ministero a
provare
la colpa in organizzazione dell’ente, ma
l’onere da verificare l’idoneità del modello
sarà a
carico dell’ente stesso. Il curatore, se vorrà mandare
indenne da sanzione l’ente, dovrà dimostrare di aver
fatto tutto quanto richiesto per evitare il reato, con
una evidente inversione dell’onere della prova.
60
Indubbiamente
meno
gravosa
per
l’ente
è
la
disciplina relativa al reato commesso dai sottoposti,
prevista dall’art. 7, ove
si
statuisce, invece, che
“l’ente è responsabile se la commissione del reato è
stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi
di direzione o vigilanza ” .
La giustificazione di tale differenziazione legislativa
(e del conseguente onere probatorio) viene esplicitata
e giustificata
circostanza
nella
che
relazione governativa
il
con la
soggetto in posizione apicale
“esprime e rappresenta la politica d ell’ente”; il che
equivale a dire che in tal caso la commissione del
r e a to è
–
essa stessa –espressione della politica
aziendale.
Si
rende,
pertanto
necessario
esaminare
ulteriormente quali relazioni devono sussistere tra la
persona fisica cui è attribuibi le il reato e l'ente
chiamato a risponderne: dall’analisi della normativa
di riferimento si delineano due tipi di relazione: la
prima prevista
dall’art. 6 è quella facente capo a
“soggetti in posizione apicale”, mentre una seconda,
disciplinata dall’art. 7 del D. Lgs. 231/01,
riguarda
i “soggetti sottoposti all'altrui direzione”.
Riteniamo,
pertanto,
che
nel
caso
di
esercizio
provvisorio dell’impresa il curatore potrà predisporre
speciali protocolli preventivi - i compliance prograrns
del sistema st atunitense - destinati ad evitare la
commissione
dei
reati
tipici
rispetto
economica dell'ente; ciò consentirà
organizzati
saranno
commissione
punibilità
del
attuati
reato
dell’ent e
per
il
61
all'attività
- se tali modelli
prima
di
configurare
reato
della
la
non
commesso
dal
sottoposto o dal dirigente.
Peraltro non tutti
i modelli organizzativi potranno
svolgere efficacia esimente rispetto ai reati commessi
dai sottoposti
la
legge
o dai soggetti in posizione apicale; se
non
richiede
che
attraverso
predisposizione del “modello organizzativo”
riesca
sempre
e
comunque
a
commessi dalle persone fisiche,
il
“modello”
deve
presentare
prevenire
è altresì
quei
la
l’ente
i
reati
vero
che
requisiti
di
efficienza, praticabilità e funzionalità, che sono in
grado ragionevolmente di disinnescare le fonti di rischio. Perché questa efficienza venga assicurata nella
sua massima espressione, il modello deve essere,
pertanto, modulato
sul tipo di impresa in cui viene
adottato e deve prevedere il tipo di attività che viene
concretamente svolta.
Tali considerazioni saranno pienamente utilizzabili
anche in caso di esercizio provvisorio di impresa.
Inoltre, come avviene per le aziende in bonis ,
modelli organizzativi dovranno essere
i
diversi
a
seconda che si rivolgano ai soggetti apicali o
ai
sottoposti.
Appare pertanto opportuno che, nel caso di esercizio
provvisorio
dotarsi
dell’impresa,
- qualora l’ente
il
curatore
provveda
a
non ne fosse provvisto in
precedenza - dei modelli organizzativi che, in caso di
commissione di reati da parte di sottoposti o di
soggetti in posizione apicale, portino a
ritenere non
configurabile la punibilità dell’ente stesso.
Un ulteriore punto di tangenza fra responsabilità
degli enti e
procedure fallimentari
è costituito
dall'ipotesi in cui il curatore sia costretto a far fronte
62
alle sanzioni cui la stessa società è stata condannata
a
seguito
della
commissione
di
reati
di
propri
dipendenti.
È
evidente
come
in
questo
caso
l'Erario
(genericamente inteso) potrà presentare domanda di
insinuazione al
passivo della pretesa pecuniaria,
costituita dalla condanna al pagamento delle "quote"
cui la stessa società è stata condannata. Poiché si
tratta
di
un
debito
erariale,
ciò
costituirà
sicuramente un danno per i creditor i (chirografari) i
quali
avranno,
in
eguale
misura,
diminuita
la
possibilità di soddisfarsi sull’attivo patrimoniale.
Riteniamo che in questo caso il curatore, ben prima
della condanna a carico dell’ente, analogamente a
quanto previsto in termini generali
in
tema
di
responsabilità degli amministratori e di sindaci ex
art. 2394 c.c., ben possa
proporre un'azione di
risarcimento nei confronti di colui che, con la propria
azione delittuosa, di fatto, ha posto le premesse
per
la condanna della società ad un esborso pecuniario.
Pertanto,
qualora
la condanna intervenga perché la
società non si sia minimamente dotata di strutture di
controllo secondo quanto previsto dall'articolo 6 della
legge 231/01, analoga azione di risarcimento potrà
essere proposta ne i confronti degli amministratori
che non solo non hanno correttamente vigilato nei
confronti
dei
propri
sottoposti,
ma
non
si
sono
nemmeno attivati per porre in essere le strutture di
controllo in presenza delle quali la società avrebbe
potuto invocare l'e simente prevista
della legge 231/06.
63
dall'articolo 6
Ulteriore
degli
momento
enti
e
di
procedure
dall’applicazione di
fallita
a
tangenza
causa
fra
responsabilità
concorsuali
è
costituito
sanzioni alla società
del
reato
dichiarata
commesso
“nel
suo
i nteresse” da un “amministratore di fatto”. Infatti, un
problema
che
si
all’individuazione
può
verificare
della
figura
quello relativo a reati
sono
con
dell’
riguardo
“apicale
”
è
commessi da soggetti che
formalmente esterni ad esso, ma che, tuttavia ,
sono dotati di poteri tali da influenzarne in maniera
determinante le scelte di fondo: il riferimento è –
naturalmente
-
a
coloro
che
seppure
di
“fatto” 64
hanno svolto attività di amministrazione dell’ente ed
a coloro che amministrano la società per il tramite
del controllo azionario di un’altra società (rapporto
controllante – controllata).
Con
riferimento
all’amministratore
“di
fatto”
va
peraltro ricordato come tale figura sia stata ora
regolata dall’art. 2639 c.c. come modificato dal D.
Lgs. n. 61/2001.65
Relativamente al problema del “controllo indiretto”,
in
considerazione
della
formulazione
ampia
della
norma, in conformità a quanto affermato da altri
autori,
si è ritenuto
ascritto non
solo il
che in tale ambito vada
rapporto di gestione e controllo
ricavabile dai criteri di
collegamento e controllo
societario di cui all’art.2359 cod.civ., ma anche ogni
64
Putinati, op. cit. pag. 239.
Per un commento a tale fattispecie cfr. Veneziani, , commento all’art.
2639 c.c. in AA.VV., I nuovi reati societari, a cura di Lanzi – Cadoppi,
Padova, 2002, pag. 186 ss., nonché Alessandri, I soggetti, in AA.VV. Il
nuovo diritto penale delle società, Milano, pag. 37 ss.
65
64
situazione di influenza determinante di una società
su un’altra, anche se “.. operante non sul piano della
partecipazione
azionaria,
ma
semplice mente
su
quello di cogenti vincoli contrattuali o di mercato”.
L’esempio
riportato
dell’amministratore
in
della
dottrina 67
è
controllante
66
quello
Alfa
che
fraudolentemente procuri alla controllata Beta dei
finanziamenti
pubblici
al
q uest’ultima
in
condizione
debiti
la
prima;
verso
solo
di
fine
di
estinguere
ovvero
che
mettere
i
propri
corrompa
un
pubblico funzionario al fine di far conseguire a Beta
una
commessa
da
eseguirsi
–
direttamente
o
in
subappalto – da Alfa. In situazioni simili, potrebbe
affermar si
presupposto
la
(e
responsabilità
sempre
che…)
di
Beta
l’autore
sul
del
reato,
proprio perché “vertice” della controllante, esplica un
dominio totalizzante (“gestione e controllo”) su Beta.68
Anche in tale ipotesi, pertanto, potrebbe configurarsi
una
ipotesi
dall’art.
6
riconducibile
D.
Lgs.
alla
231/2000,
disciplina
con
prevista
conseguente
applicazione della sanzione a carico della società
fallita e possibilità per quest’ultimo di costituirsi
parte civile recuperando, in favore dei creditori, le
s a nzioni poste a carico dell’ente fallito.
Stalla op. cit. pag. 9. Osserva la dottrina citata come “..va peraltro
detto che il rigore di una interpretazione che miri ad estendere la
responsabilità dell’ente nei rapporti infragruppo trova naturale correttivo
nel criterio di imputazione oggettiva, dovendosi in ogni caso accertare se il
reato realizzato dal vertice della controllante rispondeva all’ “interessevantaggio” altresì della controllata”.
66
67
Stalla, op. cit. pag. 9.
68
Stalla, op. cit. pag. 9.
65
10.
Il
problema
assicurativa
della
per
la
eventuale
responsabilità
copertura
civile
del
curatore fallimentare.
Il problema della risarcibilità
da parte della società
assicurativa
danni
degli
eventuali
cagionat i
dal
curatore ala procedura è stato oggetto di una recente
pronuncia della Corte di Cassazione.
Si
tratta
dell'ipotesi
in
cui
un
professionista,
regolarmente iscritto all'albo professionale, assuma
un incarico di curatore fallimentare, arrecando però
un
danno
alla
curatela
e,
più
precisamente,
depauperando la massa fallimentare.
Nel caso in cui
responsabilità
il curatore era assicurato per la
professionale
senza
che
le
relative
condizioni assicurative prevedessero espressamente
la
copertura
per
il
qualità di curatore,
garanzia
rischio
dei
danni
causati
in
sarebbe possibile estendere la
assicurativa
sino
a
ricomprendere
tali
fattispecie?
Sarà l'impresa che assicura la responsabilità civile
dell'avvocato a doverlo manlevare dagli esborsi subiti
quale conse guenza del riconoscimento della di lui
responsabilità nell'esercizio delle funzioni di curatore
o
costui
dovrà
sopportare
in
proprio
detto
pregiudizio? 69
Si tratta di un problema di non poco momento in
quanto non è previsto per tale categoria professionale
un deposito cauzionale al fine di accedere all’incarico
69
Cfr. Mancuso, in Giust. civ. 2008, 11, 2588.
66
di curatore, con il rischio che
il curatore non possa
- eventualmente far fronte – ai danni cagionati dalla
propria inesperienza, imperizia
ad alcuni casi recenti di
ingenti
dai
conti
o dal dolo (si pensi
sottrazione di somme
della
curatela
da
parte
dei
curatori).
In
dottrina 70 si
è
rilevato
che
“…la
risposta
al
secondo quesito presuppone la risoluzione di un
problema di esegesi contrattuale e, più precisamente,
se
alla
luce
del
tenore
letterale ,
della
comune
intenzione dei contraenti, dell'intero articolato delle
pattuizioni di polizza e del principio di buona fede,
possa includersi nell'oggetto dell'assicurazione per la
responsabilità civile professionale anche un'attività
implicante l'esercizio di pubblici poteri e x art. 38 l.
fall.”
La
71
Corte
di
un'interpretazione
negoziale
di
Cassazione
estensiva
assicurazione,
ad
del
così
aderito
ad
regolamento
confermando
la
pronuncia impugnata e la condanna a carico della
compagnia assicuratrice a tenere indenne l'avvocato assicurato per la responsabilità derivante dai danni
cagionati quale curatore fallimentare.
La Corte richiama
un
precedente della medesima
terza sezione 72, che risolve un caso
70
simile a quello
Cfr. Cfr. Mancuso, op. cit.
Si conferma la natura del curatore quale “uffici”» e, dunque, organo della
procedura. In tal senso in dottrina cfr. anche
Ferretti, Nuovi poteri e
responsabilità del curatore , in Dir. prat. soc., 2006, 20 ss.; Salanitro,
Motivi ispiratori e valutazioni interpretative della riforma concorsuale , in
Banca, borsa, 2006, 511 ss.; Abate, Nuovi ruoli e poteri degli organi della
procedura fallimentare , in Giur. merito, 2007, 286 ss. e, in giurisprudenza,
Trib. Milano 13 giugno 2006).
71
72
Cfr. Cass. 15 luglio 2005 n. 15030
67
che
qui
ci
occupa
di
curatore
l'incarico
riguardando
sia
l'ipote si
assunto
da
in
cui
un
dottore
pronuncia si era affermato
che il
commercialista, anziché da un avvocato.
Anche in tale
rischio dei danni a qualsiasi titolo derivanti dalla
condotta
del
fallime ntare
dottore
è
commercialista
garantito
-
curatore
dall'assicurazione
per
la
responsabilità civile stipulata dal professionista.
Il ragionamento della Corte di Cassazione si fondava
su
tali
principi:
in
primo
luogo,
richiamando
la
disciplina di cui agli art. 2229 ss. c.c., si afferma
che le disposizioni codicistiche in materia «trattano
esclusivamente
un
modo
(quello
contrattuale)
di
attuarsi dell'attività professionale intellettuale ma
non
esauriscono
dell'attività
delle
tutte
le
professionale
leggi
speciali
possibili
esplicazioni
intellettuale,
che
nei
regolano
limiti
ciascuna
professione. È quindi errata l'equazione di fondo, che
ritenesse che l'attività professionale intellettuale, per
la quale è richiesta l'iscrizione all'albo, non abbia
altro
spazio
contratto
di
(esercizio
d'opera
di
di
esercizio
che
prestazione
professione
professionale)”.
all'interno
d'opera
richiama
un
intellettuale
intellettuale
Si
di
=
contratto
poi
l'art.
1,
commi 1 e 2, d. lgs. C.p.S. 23 agosto 1946 n. 153, in
forza del quale, essendo soppresso il ruolo degli
amministratori giudiziari, i relativi incarichi nelle
procedure
negli
albi
concorsuali
sono
professionali
di
attributi
avvocati,
agli
iscritti
dottori
e
ragionieri commercialisti, nonché alle norme di cui
agli art. 26 e 31 l. fall., a mente dei quali si
r i costruisce la figura del curatore quale ausiliare
68
della giustizia e pubblico ufficiale
pur rimanendo
costui un libero professionista Da ultimo si richiama
l'art. 1, comma 2, lett. a , d.P.R. 27 ottobre 1953 n.
1067
(Ordinamento
commercialista),
della
professione
all'epoca
di
vigente
dottore
ed
oggi
integralmente abolito dall'art. 76 d. lgs. 28 giugno
2005 n. 139 (Costituzione dell'Ordine dei dottori
commercialisti
e
degli
esperti
contabili,
a
norma
dell'art. 2 l. 24 febbraio 2005 n. 34), il cui relativo
a rt. 1, comma 2, lett. a , ricalca pedissequamente il
dettato
della
norma
nell'oggetto
della
commercialista
e
previgente,
ossia
include
professione
di
dottore
di
esperto
contabile:
«l'amministrazione e la liquidazione di aziende, di
patrimoni e di singoli beni».
Si è osservato in dottrina
31, comma 1, l. fall.
73
che, oggi come ieri, l'art.
attribuisce alla curatela il
compito principale di gestire il patrimonio del fallito,
se ne desume l'agevole riconduzione dell'attività di
curatore tra quelle di cui all'ar t. 1, comma 2, lett. a ,
cit., di guisa che la generica copertura assicurativa
contro
i
danni
derivanti
dall'esercizio
della
professione di dottore commercialista non potrebbe
non estendersi anche alla responsabilità e x art. 38 l.
fall. e 2043 c.c.
Da parte della citata dottrina
come
nella
sentenza
in
si è poi sottolineato
rassegna,
la
Corte
di
Cassazione richiama il suesposto ragionamento e lo
73
Cfr. Mancuso, in Giust. civ. 2008, 11, 258.
69
applica automaticamente al caso dei danni causati
dall'avvocato-curatore fallimentare, facendo per di
più propria l'idea della Corte territoriale secondo la
quale «l'attività di curatore fallimentare viene svolta
normalmente (anche se non esclusivamente) dagli
avvocati
e
costituisce
un'attività
professionale
remunerata secondo tariffa e non una carica od un
ufficio», rilevando infine che poiché “…. è la stessa
legge fallimentare (art. 38, comma 1) a riconoscere la
natura di «ufficio» all'incarico affidato al curatore,
non
sembrerebbe
ammissibile
l'integrale
trasposizione dell'iter logico-giuridico seguito dalla
Suprema Corte nella parte motiva della sentenza n.
15030/2005
favore
onde
argomentare
dell'interpretazione
condizioni
di
assicurazione
e
propendere
estensiva
per
la
anche
in
delle
responsabilità
civile professionale dell'avvocato”. 74
Cfr. Mancuso, op. cit. il quale poi osserva “Vero è che la professione
forense, come quella di dottore commercialista ed esperto contabile, non si
esaurisce soltanto nella locatio operis e appare, altresì, pacifico che la
recente riforma fallimentare del 2006, così come le successive «correzioni»
di cui al d. lgs. 12 settembre 2007 n. 16974, hanno inciso sulla figura del
curatore nel senso di ampliarne l'autonomia ed il raggio di azione sì da
esaltarne la sostanziale natura di privato professionista (tanto che, adesso,
al medesimo è richiesta una diligenza «professionale» nell'adempimento dei
propri doveri ex art. 38, comma 1, l. fall.). Nulla quaestio , del pari, sulla
possibilità di invocare l'art. 1, commi 1 e 2, d. lgs. C.p.S. n. 153, cit.
Manca, però, nell'ordinamento della professione di avvocato (r.d.l. 27
novembre 1933 n. 1578, conv., con mod., nella l. 22 gennaio 1934 n. 36)
una norma che individui esplicitamente l'oggetto dell'attività professionale,
a differenza di quanto da sempre prevede la legge professionale sui dottori
commercialisti. I pochi ma autorevoli studi che si sono soffermati su
questa problematica sono, comunque, concordi nel ritenere che la
professione forense si esplichi essenzialmente nel cavere e nel postulare ,
ossia nella consulenza stragiudiziale e nell'attività di rappresentanza,
assistenza e difesa in giudizio (il patrocinio). Nessuna disposizione include
espressamente tra le attività tipicamente forensi, cioè quelle che ne
contraddistinguono la categoria, l'amministrazione e la liquidazione
aziendale e patrimoniale. Ciò non escluderebbe che l'avvocato iscritto
all'albo possa assumere incarichi gestori, ma non consentirebbe di
riproporre il passaggio finale e decisivo del percorso argomentativo seguito
dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 15 luglio 2005 n. 15030), al fine
74
70
11.
Ipotesi
responsabilità
particolari
del
di
curatore
responsabilità:
quale
sostituto
la
di
imposta.
A carico del curatore fallimentare sussiste anche una
precisa
responsabilità
dell’art. 10 bis
penale
e
fiscale
ai
sensi
D. Lgs. n. 74/2000 nelle ipotesi in
cui agisce in qualità di sostituto di imposta.
Prima dell'entrata in vigore
223/2006
avvenuta
il
4
dell'art. 37 del d.l.
luglio
2006,
che
ha
espressamente qualificato sostituti di imposta sia il
curatore fallimentare che il commissario liquidatore,
in dottrina e giurisprudenz a si era discusso se il
curatore fallimentare potesse rientrare tra i sostituti
di imposta.75
La giurisprudenza di legittimità
possibilità,
a
meno
che,
una
76
aveva escluso tale
volta
dichiarato
il
fallimento, l'impresa non fosse stata autorizzata a
di confutare ogni dubbio circa la proposta estensione della copertura
assicurativa per la responsabilità civile professionale anche ai rischi cui va
incontro l'avvocato -curatore”.
Su tale aspetto cfr. Marzullo, Il delitto di omesso versamento di ritenute
certificate ex art. 10 bis D. Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000, in Riv. It. Dir.
Proc. pen, 2007, pag. 1372 ss.
75
Vedi Cass. civ., Sez. I, 13 gennaio 1996 n. 237 in Il Fisco n. 5/1996, p.
1145, secondo cui: "il curatore fallimentare non è tenuto ad operare la
ritenuta a titolo di acconto dell'imposta sui redditi delle persone fisiche sui
versamenti eseguiti in favore dei lavoratori dipendenti ammessi al passivo
per compensi ad essi dovuti dall'imprenditore poi dichiarato fallito, sia
perchè non rientra tra i soggetti che l'art. 23 comma 1° del d.p.r. 29
settembre 1973 n. 600, con previsione tassativa, ricomprende tra quelli
tenuti ad effettuare la ritenuta d'acconto dell'imposta sui redditi di lavoro,
sia perché deve escludersi che egli possa essere soggetto agli obblighi che
gravano sull'imprendito re quale sostituto di imposta, in quanto essi
trovano il loro presupposto proprio nell'esercizio dell'impresa, mentre, una
volta dichiarato il fallimento, l'impresa cessa, a meno che non ne sia
autorizzata la continuazione temporanea a norma dell'art. 90 l. fall.
76
71
proseguire temporaneamente l'attività d'impresa ai
sensi dell'art. 104 della nuova legge fallimentare
(d.lgs 9 gennaio 2006 n. 5).
In
tal
caso
presiedere
il
al
curatore
normale
fallimentare,
svolgimento
dovendo
dell'attività
economica, era perciò soggetto a tutti gli obblighi di
natura tributaria che incombono sull'imprenditore; e
pertanto
avrebbe
dovuto
operare
le
ritenute
sui
compensi corrisposti ai sostituiti, rilasciare a costoro
la
relativa
certificazione,
effettuare
il
versamento
all'Erario delle somme tratt enute e presentare nei
termini di legge il modello annuale di dichiarazione
del
sostituto
di
La giurisprudenza di merito
77
imposta.
si era infine occupata
dello stesso tema con riferimento alla figura del
commissario
liquidatore
commissario,
in
quanto
e
aveva
concluso
che
soggetto
investito
di
il
un
munus pubblicum in posizione di autonomia rispetto
a quella dell'Ente (con compiti di accertamento delle
attività
e
passività
della
società
sottoposta
a
Cfr. Tribunale di Bari 23 novembre 1994 in Riv. it. dir. proc. pen.,
1995, p. 608, la cui massima recita: "il commissario liquidatore di un
istituto di credito in regime di liquidazione coatta amministrativa, in
quanto P.U. ed organo della pro cedura non è, al tempo stesso, un sostituto
di imposta. Consegue che nei suoi confronti non sussiste l'obbligo del
versamento delle ritenute di acconto di cui all'art. 2 d.l. 10 settembre 1982
convertito in l. 7 agosto 1982 n. 516", con nota di Mormando in cui si
illustrano le ragioni per le quali il liquidatore, per le funzioni a lui
attribuite per legge, debba essere in tutto equiparato alla figura del
curatore fallimentare ("Il commissario liquidatore esercita le sue funzioni
in modo relativamente autonomo e responsabile, al di fuori di un rapporto
di impiego sia con l'amministrazione che lo nomina sia con l'ente che deve
essere liquidato. Egli è cioè titolare di un ufficio che lo pone, in un certo
senso super partes, in considerazione della tutela imparziale e della più
conveniente composizione degli interessi e dei diritti impegnati nella
liquidazione. Si parla infatti di organi o ufficio della procedura di
liquidazione coatta in maniera del tutto analoga agli organi o ufficio del
fallimento cossichè al curatore corrisponde il commissario liquidatore, al
comitato dei creditori, il comitato di sorveglianza, ed al giudice delegato
l'autorità amministrativa di vigilanza")
77
72
liquidazione coatta, di formazione dello stato passivo
e
dei
piani
creditorie
di
e
riparto
per
assicurare
soddisfare
così
la
le
par
ragioni
condicio
creditorum ) non potesse essere qualificato sostituto
di imposta.
Peraltro il problema interpretativo è stato risolo con
l'introduzione
dell'art.
37
d.l.
223/2006
con
l'espressa previsione che sia il curatore fallimentare
che
il
commissario
liquidatore
devono
essere
annoverati tra i sostituti di imposta.
12. Segue: la responsabilità
del curatore per
gli
adempimenti connessi alla legge ambientale.
Appare di rileva nte impatto pratico e di non scarsa
frequenza nella pratica il problema della gestione dei
rifiuti abbandonati dall’impresa fallita e l’eventuale
responsabilità del curatore.
In
dottrina 78 ed in giurisprudenza
pertanto,
anche
il
rilevant e
si è analizzato
problema
della
responsabilità del curatore fallimentare per l'omessa
gestione (sotto l’aspetto della rimozione e avvio a
recupero/smaltimento e della rimessione in pristino
dei luoghi inquinati) dei rifiuti presenti all'interno
dell'azienda fallita e da lla stessa prodotti prima della
dichiarazione di fallimento.
Tale problematica
è stata affrontata, in diverse
occasioni,
da
parte
amministrativa
al
fine
di
della
giurisprudenza
individuare
il
soggetto
Cfr. Peres, in Riv. giur. ambiente 2009, 1, 180; nonché Perasson,
Obblighi e responsabilità del curatore fallimentare in materia di tutela
ambientale,
in
www.unijuris.it
78
73
tenuto allo smaltimento dei rifiuti dell’impresa fallita
e alla rimessione in pristino dei luoghi.
In
alcune
pronunce
venne
affermata
la
responsabilità del curatore; mentre il T.A.R. Toscana
(sent. n. 780 del 28 aprile 2000) fu categorico nel
ritenere
che,
in
conformità
ad
una
risalente
p r o n u n c i a d e l l o stesso T.A.R. 79, "la disponibilità dei
"beni", anche di quelli classificati come rifiuti nocivi,
entra
giuridicamente
conseguentemente
in
con
titolarità
essa
del
anche
curatore
e
dovere
di
il
rimuoverli in applicazione delle leggi vigenti" 80, d a
parte di altro giudice amministrativo 81 ci si limitò ad
affermare
caso
di
la responsabilità della curatela al solo
danni
verificatisi
durante
la
gestione
provvisoria del patrimonio fallimentare.
Da parte del
T.A.R. Lombardia 82
si precisò poi che
l'ordine di rimozione e ripristino era legittimamente
impartito da parte dell’autorità comunale
misura
in
cui
tale
degrado
risulti
" nella
aggravato
da
specifici episodi di sversamento di liquidi pericolosi
successivi al fallimento, nonostante il curatore non
sia
stato
produttiva,
autor izzato
in
ragione
a
del
proseguire
dovere
di
l'attività
custodia
e
vigilanza che incombe sul suo ufficio" .
Cfr. T.A.R. Toscana, sent. n. 196 del 3 marzo 1993: "Ricade sul curatore
fallimentare, solo ad essere autorizzato a disporre o comunque a prendere
iniziative incidenti sulla massa fallimentare, l'obbligo di disporre lo
smaltimento di rifiuti tossici e l'allontanamento di sostanze inquinanti,
ferma rimanendo la responsabilità penale dell'imprenditore fallito".
80 Cfr. T.A.R. Toscana, I, n. 196/1993.
79
81
Cfr. T.A.R. Liguria sent. n. 1024 del 3 ottobre 2000.
82
Cfr. T.A.R. Lombardia sent. n. 5374 del 5 settembre 2000.
74
A tale primo orientamento si contrappone quello che
ritenne illegittimo l'ordine di rimozione e ripristino
impartito al curatore; in tal senso si orientò il T.A.R.
Toscana, 83
sottolineando
come
"i
rifiuti
prodotti
dall'imprenditore fallito non costituiscano "beni" da
acquisire alla procedura fallimentare (e, quindi non
formino
oggetto
di
apprensione
da
parte
del
curatore); comunque dovendosi rilevare che esclusa
la
legittima
sussumibilità
compendio
fallimentare
dei
rifiuti
(rispetto
stessi
alla
nel
quale
potrebbero venire in considerazione eventuali profili
di responsabilità di carattere meramente gestorio in
capo al curatore) non viene individuato, nell'ordine di
ripristino sottoposto all'esame di questo Collegio,
alcun
ambito
di
responsabilità
univoca,
dei
autonoma
curatori
e
stessi
chiara
ai
fini
dell'abbandono dei rifiuti onde trattasi (dandosi, al
contrario,
atto
almeno
collocazione
temporale
ultimi
epoca
ad
della
implicitamente
derelizione
antecedente
de lla
di
questi
l'apertura
delle
procedure fallimentari) " .
Tale soluzione è stata condivisa anche dal
T.A.R.
Abruzzo
secondo cui “… i diritti e gli obblighi della
società
fallita
immediatamente
ausiliare
del
non
dal
possono
curatore,
giudice,
è
essere
che,
figura
quale
che
assunti
Organo
persegue
l'interesse pubblico della composizione del dissesto
degli imprenditori commerciali, per cui difetta di
83
CFr. T.A.R. Toscana sent. n. 1318 del 1° agosto 2001.
75
legittimazione passiva rispetto agli oner i imposti dal
Comune con il provvedimento impugnato" .84
L'assenza
di
responsabilità
del
curatore
viene
sostenuta anche dal T.A.R. Sicilia 85, secondo il quale
" la curatela è assolutamente estranea all'attività di
derilizione
dei
rifiuti,
intervenuta
prima
della
dichiarazione del fallimento" e così anche dal T.A.R.
Lazio, Latina (sent. n. 304 del 12 marzo 2005). Lo
stesso orientamento viene poi condiviso dal T.A.R.
Lombardia, Milano (sent. n. 1159 del 10 maggio
2005) il quale, ferma l'insussistenza di "alcun obbligo
del
curatore
smaltimento
fallita",
del
dei
ricorda
fallimento
rifiuti
che
di
provvedere
industriali
" in
tale
allo
dell'impresa
evenienza
la
p.a.
competente può procedere all'esecuzione d'ufficio in
danno
degli
r e cupero
eventuali
delle
soggetti
somme
obbligati
anticipate
ed
al
mediante
insinuazione di credito al passivo del fallimento". Va
infine ricordato il
dell'11
marzo
T.A.R. Sardegna 86 (sent. n. 395
2008),
richiamando
uno
degli
argomenti addotti dal Consiglio di Stato nel 2003,
sostiene che "la peculiare posizione dei curatori non
può essere interpretata in termini di "subentro" delle
responsabilità del soggetto fallito" .
Tale orientamento è stato ribadito da parte del TAR
Toscana
Sez.
II
sent.
700
del
19
marzo
2010
Rifiuti, precisando che “nei confronti del curatore
fallimentare
non
è
configurabile
alcun
84
Cfr. sent. n. 1393 del 17 dicembre 2004.
85
T.A.R. Sicilia, Catania, sent. n. 398 del 10 marzo 2005.
86
Cfr. T.A.R. Sardegna, sent. n. 395 dell'11 marzo 2008.
76
obbligo
ripristinatorio in ordine all'abbandono dei rifiuti in
assenza dell’accertamento univoco di un’autonoma
responsabilità
del
medesimo
presupposta
ricognizione
conseguente
di
alla
comportamenti
commissivi, ovvero meramente omissivi, che abbiano
dato
luogo
al
fatto
antigiuridico.
Si
legge
nella
motivazione della citata sentenza: “… con sentenza
del
Tribunale
di
Metalgalvanica,
Pisa
n.
esercente
39/99
l'attività
di
la
società
trattamento
galvanico e verniciatura di prodotti metallici, veniva
dichiarata
fallita
fallimentare
con
la
dell'odierno
nomina
ricorrente
a
curatore
sig.
Franco
Grassini. A seguito di sopralluoghi eseguiti dalla
sezione
provinciale
notevole
qua ntità
dell’ARPAT
di
rifiuti
emergeva
prodotti
che
dalla
una
stessa
società era stata abbandonata in modo incontrollato.
In particolare, risultavano stoccati, sia all'interno
degli impianti che nelle aree e nei piazzali antistanti,
numerosi fusti metallici contenenti vernici, fanghi e
residui
delle
lavorazioni,
nonché
trasformatori
in
disuso contenenti PCB e PCT, lastre di eternit e
vasche
fuori
terra
contenenti
emulsioni
oleose
esauste.
La
circostanza
veniva
segnalata
con
un
esposto
indirizzato alla Procura della Repubblica di Pisa da lla
stessa curatela fallimentare. In data 3 dicembre 1999
il
Sindaco
del
congiuntamente
Comune
al
di
Pontedera
ricorrente,
nella
ordinava
qualità
di
curatore fallimentare della ex Metalgalvanica s.r.l., e
al
sig.
Germano
Giovanni,
quale
legale
rappresentante della ditta T.M.M. S.r.l. con la quale
in
data
4
giugno
1998
77
era
stato
stipulato
un
contratto d'affitto di azienda, di provvedere, ai sensi
dell'articolo
14
del
d.lgs.
n.
22
/
1997,
alla
"rimozione ed avvio a smaltimento di tutti i rifiuti ciascuna di tta per la propria parte - prodotti dagli
impianti produttivi ascrivibili alle suddette società".
Contro tale atto ricorre il sig. Grassini con il ricorso
397/00 chiedendone l’annullamento, con vittoria di
spese
e
deducendo
i
motivi
che
seguono:
- Violazione e falsa applicazione degli artt. 6, lett. b)
e c), 10 e 14 del d.lgs. n. 22/1997. Violazione e falsa
applicazione dei principi generali in materia di illeciti
amministrativi. Violazione e falsa applicazione dei
principi generali in materia di procedure fallimentari.
Violazione e falsa applicazione delle norme del codice
civile
in
potere
materia
per
di
errore
motivazione,
affitto
sui
d’azienda.
presupposti,
contraddittorietà
e
Eccesso
di
difetto
di
ingiustizia
manifesta.
Riferisce la parte ricorrente che, pur non intendo
prestarvi acquiescenza, l’ordinanza sopra indicata è
stata in parte eseguita con la messa in sicurezza
dell’area retrostante lo stabilimento, lo smaltimento
dei rifiuti pericolosi ivi accumulati e la bonifica
dell’area circostante, sostenendo un costo di ca. 400
milioni
di
lire,
addebitati
alla
massa
del
12
attiva
del
fallimento.
Con
l’ordinanza
n.
148
maggio
2000
l’Amministrazione comunale di Pontedera, dopo aver
disposto la sospensione del punto a) dell’ordinanza
n. 81 del 2000, “in attesa dell’esito della nuova asta
fallimentare e per un periodo non superiore a tre
mesi”,
ha
tuttavia
sostanzialmente
78
rinnovato
nei
confronti della curatela del fallimento Metalgalvanica
i
contenuti
della
precedente
ingiunzione.
Con
il
ricorso rubricato al n. 1335/00 la predetta curatela
fallimentare
ha
impugnato
anche
tale
atto,
deducendo:
- Violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 10, 14
e
17
del
d.lgs.
n.
22/1997.
Violazione
e
falsa
applicazione degli artt. 8, 14 e 18 del D.M. 25 ottobre
1999, n. 471. Violazione e falsa applicazione dei
principi generali in materia di illeciti amministrativi.
Violazione e falsa applicazione dei principi generali
in materia di procedure fallimentari. Violazione e
falsa applicazione delle norme del codice civile in
materia di affitto d’azienda (art. 2562). Eccesso di
potere
per
errore
motivazione,
sui
presupposti,
contraddittorietà
e
difetto
di
ingiustizia
manifesta”. Sulla scorta di tali elementi in fatto si
osserva da parte del Giudice amministrativo: “… Con
il ricorso n. 397/00 è stata impugnata l’ordinanza
con cui il Sindaco del Comune di Pontedera ha
ingiunto
al
fallimentare
ricorrente,
della
ex
nella
qualità
di
Metalgalvanica
curatore
s.r.l.,
di
provvedere, ai sensi dell'articolo 14 del d.lgs. n. 22 /
1997, alla "rimozione ed avvio a smaltimento di tutti
i
rifiuti -
prodotti
ciascuna
dagli
ditta
impianti
per
la
produttivi
propria
parte -
ascrivibili
alle
suddette società". 3. Con la memoria depositata il 10
febbraio 2010 la parte ricorrente ha reso noto che, a
s e g u i to del provvedimento del Giudice delegato della
Sezione fallimentare del Tribunale di Pisa del 15
maggio 2000, è stato disposto il trasferimento del
compendio
immobiliare
relativo
79
alla
società
Metalgalvanica s.r.l., in favore della C.S.L. s.p.a.,
“con
rinuncia
confronti
espressa
della
a
qualsiasi
procedura
pretesa
nei
concorsuale”.
Inoltre, con determinazione dirigenziale n. 96 del 3
novembre 2003, il Comune di Pontedera, preso atto
della
nuova
situazione
di
fatto,
assegnava
alla
T.M.M. un termine di 30 giorn i per la presentazione
del piano di caratterizzazione e bonifica del sito.
Successivamente, avendo la C.S.L. s.p.a., in qualità
di avente causa della T.M.M., ottemperato nel corso
del 2004 alle prescrizioni impartite dal Comune, è
stata
rilasciata,
in
data
7
ottobre
2005
dalla
Provincia di Pisa, certificazione di avvenuta bonifica
dell’area
4.
ex
Nondimeno,
la
Metalgavanica.
ricorrente
curatela
fallimentare
afferma di conservare interesse alla definizione nel
merito del gravame, non avendo le sopra nominate
ditte rinunciato formalmente ad esercitare l’azione di
regresso
nei
confronti
del
fallimento,
né
avendo
l’Amministrazione intimata revocato o annullato i
provvedimenti
impugnati.
Il ricorso deve, dunque, essere esaminato, atteso che
nel processo amministrativo la dichiarazione d'ufficio
di
improcedibilità
sopravvenuta
del
carenza
ricorso
di
originario
interesse
può
per
essere
pronunciata soltanto al verificarsi di una situazione
in fatto o in diritto del tutto nuova rispetto a quella
esistente al momento della sua proposizione, tale da
rendere certa e definitiva l'inutilità della sentenza,
nel senso di avere fatto venire meno per il ricorrente
qualsiasi,
anche
se
solo
strumentale,
morale
o
comunque residua utilità della pronuncia del giudice,
80
anche solo propedeutica a future azioni rivolte al
risarcimento
marzo
2009,
espressa
del
danno
(Cons.
n.
1431),
sulla
riserva
nel
Stato
sez.
quale
c’è,
ricorso
IV,
12
peraltro,
1335/00.
5. Il ricorso è fondato. Con una precedente sentenza
(peraltro condivisa dalla succe ssiva giurisprudenza)
questa Sezione ha già espresso un orientamento, dal
quale non si ravvisano motivi per discostarsi, in
ordine all’esonero da responsabilità per il curatore
fallimentare relativamente ai rifiuti abbandonati sul
terreno della azienda posta in liquidazione (T.A.R.
Toscana, sez. II, 1 agosto 2001, n. 1318). Si è in
particolare
curatore
rilevato,
fallimentare
quanto
-
alla
posizione
segnatamente
per
del
quanto
concerne la legittimazione passiva di quest'ultimo
rispetto all'impartito ordine di smaltimento - che, in
linea di principio, i rifiuti prodotti dall'imprenditore
fallito
non
procedura
costituiscono
fallimentare
e,
beni
da
quindi,
acquisire
non
alla
formano
oggetto di apprensione da parte del curatore. Inoltre,
posto che, a fondamento dell’obbligo di ripristino e
messa in sicurezza conseguente a contaminazione del
suolo e dell’ambiente l’ordinamento (in particolare
l’art. 14 del d.lgs. n. 22/1997) pone il principio della
responsabilità, l'esercizio dei poteri di cui alla norma
menzionata
destinatario
è subordinato alla circostanza che il
dell'ordine
risulti
responsabile
dello
smaltimento abusivo o dell’inquinamento almeno a
titolo di colpa, non potendosi configurare a suo
carico una responsabilità di tipo oggettivo (T.A.R.
Toscana, sez. II, 19 settembre 2008, n. 2052; T.A.R.
Veneto, sez. III, 19 giugno 2006 n. 1800). 6. Anche
81
nei
confronti
del
curatore
fallimentare
non
è,
dunque, configurabile alcun obbligo ripristinatorio in
ordine
all'abbandono
dei
rifiuti
dell’accertamento
univoco
responsabilità
del
medesimo
presupposta
ricognizione
in
di
assenza
un’autonoma
conseguente
di
alla
comportamenti
commissivi, ovvero meramente omissivi, che abbiano
dato
luogo
al
All'Amministrazione
ascrivibilità
fatto
competente,
soggettiva
della
antigiuridico.
in
difetto
condotta
della
preordinata
allo scarico abusivo dei rifiuti, residua la possibilità,
alla stregua di quanto stabilito dall'ultima parte del
III comma dell'art. 14 del d.lgs. 5 febbraio 1997 n.
22, di procedere all'esecuzione d'ufficio "in danno dei
soggetti
obbligati
ed
al
recupero
delle
somme
anticipate" che, nel caso di specie, può avvenire
mediante insinuazione del relativo credito nel passivo
fallimentare, come del resto previsto dal V comma
dell'art. 18 del D.M. 25 ottobre 1999 n. 471, in base
al quale "nel caso in cui il sito inquinato sia oggetto
... delle procedure concorsuali di cui al R.D. 16
marzo 1942 n. 267, il Comune domanda l'ammissione
al passivo ai sensi degli artt. 93 e 101 del decreto
medesimo per una somma corrispondente all'onere di
bonifica
preventivamente
amministrativa"
(Cons.
determinato
Stato
sez.
V,
25
in
via
gennaio
2005, n. 136; T.A.R. Toscana, sez. II, 1 agosto 2001,
n. 1318; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 10 maggio
2005, n. 1159; T.A.R. Lazio, Latina, 12 marzo 2005,
n.
304).
7. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve
pertanto
essere
accolto
82
conseguendone
l’annullamento dell’atto impugnato. 8. Con il ricorso
n. 1335/00 la curatela del fallimento Metalgavanica
ha impugnato l’ordinanza n. 148 del 12 maggio 2000
con cui il Sindaco del Comune di Pontedera ha
ordinato
al
curatore
“Metalgalvanica
srl”
fallimentare
“la
revoca
del
della
ex
punto
b)
dell’ordinanza n. 81 del 9.3.2000 avendo i curatori
fallimentari ottemperato a quanto descritto nel punto
b) sopracitato; la sospensione della esecutività del
punto a) dell’ordinanza n. 81 del 9.3.2000 in attesa
dell’esito della nuova asta fallimentare e comunque
per un periodo non superiore a tre mesi dalla data di
notifica
Il
della
ricorso
è
precedenza
sorretto
dalle
scrutinate
in
presente”;
medesime
ordine
censure
alla
in
giuridica
impossibilità di addossare alla curatela fallimentare
obblighi
di
abbandonati
rimozione
e
di
di
bonifica
rifiuti
di
aree
illecitamente
inquinate
in
assenza dell’accertamento (del tutto ome sso nella
circostanza) della responsabilità in capo al curatore
di comportamenti anche solo meramente omissivi che
abbiano
dato
luogo
al
fatto
antigiuridico.
Il ricorso va, dunque, accolto, per le ragioni già
precedentemente esaminate”.
****
Da parte del Consiglio di Stato87 si è poi evidenziato
c h e " il riferimento alla disponibilità giuridica degli
oggetti,
qualificati
inquinanti,
87
non
dal
è
Comune
sufficiente
come
per
rifiuti
imporre
Cfr. Consiglio di Stato, sentenza sent. n. 4328 del 29 luglio 2003.
83
l'adempimento di un obbligo gravante sull'impresa
fallita. Il potere di disporre dei beni fallimentari
(secondo
le
particolari
regole
della
procedura
concorsuale e sotto il controllo del giudice delegato)
non comporta necessariamente il dovere di adottare
particolari
comportamenti
attivi,
finalizzati
alla
tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica
da fattori inquinanti, sottolineando poi, come proprio
il
richiamo
alla
disciplina
del
fallimento
e
della
successione nei contratti evidenzia che la curatela
fallimentare
non
strettamente
subentra
corre lati
negli
alla
obblighi
più
responsabilità
dell'imprenditore fallito" .
L’inconfigurabilità di un obbligo di bonifica a carico
del curatore è stato affermato anche da parte della
di merito chiamata anche ad adottare provvedimenti
d'urgenza.88
In senso contrario è peraltro l’opinione
della Corte
di Cassazione, Sez. III penale, la quale – affrontando
il
problema
dello
smaltimento
dei
rifiuti
-
ha
affermato che " nel merito esisteva la prova che l'area
in
questione
era
stata
materiali
riscontrati
(nota
NOE
del
n.
sgomberata
nei
11/05
precedenti
del
3
da
rifiuti
e
sopralluoghi
ottobre
2000)
e
Tribunale di Mantova, 6 marzo 2003: "Il curatore fallimentare non può
considerarsi destinatario dell'obbligo di ripristino ambientale dell'area
occupata dalla società fallita non essendogli addebitabile alcun
comportamento colposo nell'abbandono dei rifiuti. L'obbligazione derivante
dalla necessità di bonificare tale area, deve pertanto considerarsi
concorsuale e sarà l'ente pubblico a dover provvedere all'esecuzione della
stessa salvo poi il diritto di chiedere l'insinuazione al passivo secondo gli
art. 93 e 101 l. fall.". Tribunale di Lucca, 5 novembre 1993: "Nel caso di
fallimento di una azienda spetta al sindaco, in qualità di ufficiale di
governo, e non al curatore, provvedere allo smaltimento di rifiuti tossici o
speciali, rinvenuti nel patrimonio fallimentare; di conseguenza, il curatore
può ottenere, in via d'urgenza, il provvedimento con cui si ordini al sindaco
di smaltire i suddetti rifiuti".
88
84
comunque la società S. era fallita a partire dal 26
gennaio 1999, sicché la responsabilità della custodia
gravava sul curatore fallimentare" (sent. n. 48061 del
14 dicembre 2004). La C orte di legittimità ha di
recente
affrontato il problema
con
la sentenza
del 12 giugno 2008: con tale pronuncia
- tornando
sul delicato tema della responsabilità del curatore
si è affermato
-
che "quando l'impresa sia dichiarata
fallita ad avviso di questo collegio la responsabilità
del
suo
titolare
si
trasferisce
sul
curatore
fallimentare, che da una parte è pubblico ufficiale e
dall'altra ha il compito di amministrare il patrimonio
dell'impresa in sostituzione del suo titolare (l. fall. ex
artt . 30 e 31)". Si legge nella citata sentenza
deposito di rifiuti pericolosi
che
il
“… continuava ad
accrescersi anche in costanza di fallimento, per il
perdurante sfaldamento delle coperture in eternit in
stato di abbandono ormai da oltre vent'anni, sicché
lo
spossessamento
dell'impresa
per
effetto
del
fallimento era inidoneo a scongiurare la protrazione o
la reiterazione del reato; senza considerare che gli
interessi
meramente
economici
della
massa
dei
creditori cedono necessariamente il passo dinanzi
a lle più meritevoli esigenza di tutela della salute dei
cittadini, che era esposta a rischio per la esposizione
alle polveri di amianto". Alla luce di tali elementi in
fatto
la Corte Suprema ha ritenuto
corretta la
sussistenza del fumus in ordine al reato di cui all'art.
674 c.p., evidenziando che " nei casi di attività non
autorizzate, è sufficiente la semplice idoneità delle
emissioni a creare molestia alle persone ", senza,
85
pertanto,
che
si
renda
necessario
verificare
un
eventuale superamento dei limiti.
" Le
emissioni
dispersione
in
atmosfera,
nell'ambiente
sottolinea al riguardo la
di
sotto
fibre
specie
di
di
amianto”
Corte “… non sono state
prodotte da un'attività industriale autorizzata, ma
sono state conseguenza del negligente abbandono
agli agenti atmosferici in cui la curatela fallimentare
ha
lasciato
i
capannoni
industriali
contenenti
a mi an to" .
Pertanto secondo
Cassazione,
l’interpretazione della Corte di
deve ritenersi
corretta la valutazione
d e l fumus in ordine al reato di cui all'art. 256 comma
2 D.Lgs. 152/2006, relativamente all'abbandono sul
suolo di rifiuti di ogni genere e non solo di eternit ,
individuando un a precisa responsabilità in capo al
curatore.
Con motivazione nettamente diversa da quella dei
giudici
amministrativi
si
afferma
che
"… quando
l'impresa sia dichiarata fallita... la responsabilità del
suo titolare si trasferisce sul curatore fallimentare,
che da una parte è pubblico ufficiale e dall'altra ha il
compito di amministrare il patrimonio dell'impresa in
sostituzione del suo titolare (e x artt. 30 e 31 della
legge fallimentare). Si tratta non già di estensione
analogica,
norma
soggetta
ma
di
interpretazione
incriminatrice,
materia,
il
secondo
ruolo
del
teleologica
la
quale,
curatore
della
nella
non
può
ridursi a quello di soggetto "comune". Del resto, non
sembra
estranea
a
questa
logica
la
recente
affermazione delle Sezioni Unite di questa Corte,
secondo la quale la curatela fallimentare non è "terzo
86
estraneo al reato" ai fini di cui all'art. 240 c.p.,
comma 3" . 89
Con
particolare
riferimento
alla
abbandono di rifiuti va – infatti -
fattispecie
di
ricordato anche
l'art. 192 D.Lgs. 152/2006 90, in particolare l'ultimo
comma
che
considera
espressamente
l'ipotesi
di
subentro da parte di terzi nei diritti della persona
fisica, richiamando, ai fini della valutazione della
responsabilità del subentrante, quanto previsto dal
D.Lgs. 231/2001.
12. Ipotesi particolare: la responsabilità
del
curatore per la durata eccessiva della procedura
Ulteriore problema è costituito dall’individu azione di
una responsabilità del curatore per quanto lo Stato
Italiano ha dovuto
89
risarcire al fallito per l’eccessiva
Cfr. SS.UU. n. 29951 del 24 maggio 2004, rv. 228164.
192. Divieto di abbandono
"1. L'abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo
sono vietati.
2. È altresì vietata l'immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato
solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee.
3. Fatta salva l'applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256,
chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla
rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino
dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti
reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia
imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in
contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo.
Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il
termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in
danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate.
4. Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad
amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli
effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti
che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni
del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni".
90
87
durata della procedura secondo quanto previsto dalla
legge Pinto. 91
In dottrina 92 si è affermato che
il curatore è un
organo dell'ufficio fallimentare, realtà composita che
ha
come
obbligo
primario
quello
di
condurre
la
procedura affinché risponda ai dettami dell'art. 97
della
costituzione
che
impone
l'assicurazione
del
buon andamento dell'amministrazione, concetto che
si declina nella realtà attraverso il filtro della legge
24 marzo 2001 n. 89 c.d. legge Pinto. La conseguenza
di questa sua intima appartenenza all'ufficio, fa sì
che in caso di condanna del ministero di giustizia
alla
equa
riparazione,
giurisdizione
contabile,
egli
sia
qualora
soggetto
venga
alla
ritenuto
responsabile dell'eccessiva durata della procedura
per colpevole inerzia o negligenza, e debba essere
condannato a risarcire il danno erariale relativo.
Non sono mancate le prime pronunce in tal senso da
parte della magist ratura contabile.
La
Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la
Lombardia
22982/05 93
giurisdizione
nei
ha
confronti
affermato
di
un
la
propria
curatore
fallimentare, ritenendo che egli, oltre ad essere un
pubblico ufficiale, in considerazione dei poteri che
Cfr. Rispoli, Legge Pinto, ora paga anche il curatore. Fallimento-lumaca,
via Arenula si rivale. Professionista negligente, sì alla responsabilità
patrimoniale, in D&G 2006, 13, 87.
91
Cfr. Paluchowski, Impugnazione del decreto di chiusura del fallimento e
ricorso per cassazione del curatore: regime e peculiarità prima e dopo la
legge n. 5 del 2006, in Il Fall., 2007, 20.
92
Cfr. Corte dei Conti sez. giur. Regione Lombardia 12 dicembre 2005 n.
733, in Il Fall., 2006, 1183 con nota di PUSTERLA, Il curatore
Fallimentare e il risarcimento del danno erariale per eccessiva durata della
procedura concorsuale.
93
88
l'ordinamento
gli
attribuisce
-
sia
pure
temporaneamente - è, altresì, rivestito della qualifica
di compartecipe fattivo dell'attività pubblica, con il
conseguente
assoggettamento
alla
responsabilità
patrimoniale.
La condanna al risarcimento del professionista
ha
origine da un decreto di condanna emesso, ai sensi
della legge 89/2001, dalla Corte d'appello di Venezia
nei
confronti
violazione
del
dei
ministero
termini
di
della
Giustizia
ragionevole
durata
per
del
processo (articolo 6 Convenzione per la salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali); la
Corte d'appello aveva accertato un'anomala durata
della
procedura
concorsuale
(protrattasi
dal
novembre del 1981 sino al luglio del 2000), rispetto
alla
quale
nessun
addebito
poteva
muoversi
al
comportamento del fallito. Il decreto di condanna
era, quindi, stato trasmesso, ai sensi dell'articolo 5
legge 89/2001, al procuratore generale della Corte
dei
conti,
ai
fini
dell'eventuale
avvio
del
procedimento di responsabilità, cui avev fatto seguito
la condanna al risarcimento.
I giudici contabili hanno precisato che
il fatto che
l'esistenza di un rapporto di servizio si configura
allorché il soggetto sia inserito a qualsiasi titolo
nell'organizzazione
per
lo
della
svolgimento
pubblica
in
modo
amministrazione
continuativo
di
un'attività, secondo le regole proprie di quest'ultima.
Nella specie, non ha rilevanza alcuna il fatto che
l'inserimento
riguardi
una
sia
volontario
persona
fisica
o
obbligatorio
o
giuridica.
o
che
Questo
indirizzo giurisprudenziale, del resto, è stato ripreso
89
più volte anche dalla Cassazione a Sezioni unite, la
quale ha precisato che, per integrare tale rapporto, è
sufficiente l'esistenza di una relazione funzionale che
implichi la partecipazione del soggetto alla gest ione
di
risorse
pubbliche
e
il
suo
conseguente
assoggettamento ai vincoli ed agli obblighi volti ad
assicurare
la
Cassazione,
corretta
Sezioni
gestione
unite
di
tali
4060/93,
beni
(cfr.
Cassazione,
Sezioni unite, 3358/94).
Sulla
base
di
tali
principi,
la
giurisprudenza
contabile ha ravvisato la sussistenza del rapporto di
servizio per i medici di base convenzionati con il
Servizio
sanitario
nazionale,
per
i
direttori
ed
i
collaudatori di lavori pubblici, per i componenti di
un seggio elettorale, per i membri del collegio dei
sindaci o dei revisori di un ente pubblico.
La dottrina 94 che si è occupata dell’argomento ha
osservato
che
la
normativa
di
riferimento
è
costituita dall'articolo 52 Rd 1214 del 1934, che
assoggetta alla giurisdizione contabile, accant o agli
impiegati,
anche
dall'articolo
l'estensione
2
i
della
della
funzionari
legge
e
658/84,
giurisdizione
gli
agenti
che
ribadisce
contabile
e
agli
"amministratori e funzionari, impiegati e agenti di
uffici e organi dello Stato e di enti pubblici".
Si
è
osservato
che
le
espressioni
"funzionari"
(comprendenti, evidentemente, anche quelli onorari)
ed
"agenti",
utilizzate
dal
legislatore,
hanno
costituito il presupposto fondamentale su cui si è
basata quella giurisprudenza che, a partire dalla
94
Cfr. Rispoli, op. cit.
90
seconda metà degli anni '50, ha oltrepassato l'ambito
del
rapporto
d'impiego
per
arrivare
a
ritenere
giustificata l'espansione della giurisdizione contabile
anche alle ipotesi di mero rapporto di servizio.
La
sentenza
22982/05
giurisdizionale
per
la
emessa
Lombardia
dalla
della
sezione
Corte
dei
conti, dunque, parte da un'analitica ricostruzione dei
principi che giustificano l'estensione della propria
giurisdizione ai soggetti che, pur essendo estranei
all'amministrazione,
operano,
a
vario
titolo,
all'interno della ste ssa.
I giudici contabili sottolineano - infatti - che anche
l'incarico
colloca
espletato
nell'ambito
dal
del
curatore
rapporto
fallimentare
di
servizio
si
con
l'amministrazione, in quanto l’ordinamento oltre ad
attribuirgli la qualifica di pubblico u fficiale ed a
pretendere
nello
stesso
il
possesso
di
peculiari
qualità individuali, gli conferisce un ruolo essenziale
nell'ambito della procedura fallimentare, affidandogli
l'amministrazione del patrimonio fallimentare.
I
medesimi
giudici
sottolineano,
inoltre,
come
l'ampiezza dei poteri conferitigli portino a definire il
curatore quale càrdine della gestione del patrimonio
fallimentare e cooperatore del giudice.
A
tali
soggetti
principi
di
risultano
pienamente
“buon
andamento
applicabili
i
dell’attività
amministrativa”: in dottrina si è infatti sostenuto che
il significato MMMMMMMM
+
QQQQQ
+ SSSSS
91
Le indicate considerazioni giustificano – secondo la
giurisprudenza
del
l'assoggettamento
giudice
del
curatore
contabile
fallimentare
alla
giurisdizione della Corte dei conti per responsabilità
amministrativa,
negligenti,
lo
qualora,
stesso
a
causa
abbia
di
cagionato
condotte
un
danno
all'erario.
La dottrina 95 che ha favorevolmente annotato tale
pronuncia,
si
pone
ha osservato che “… l'indicata sentenza
nel
solco
di
una
giurisprudenza
ormai
consolidata, secondo la quale non è sufficiente, per
la configurazione di un rapporto di servizio, il solo
esercizio di una funzione o di un'attività collegata a
finalità
pubbliche,
esercizio,
se
pure
dell'amministrazione,
ma
occorre
esterno
anche
che
all'apparato
avvenga
secondo
detto
diretto
regole
e
criteri fissati da quest'ultima, nell'esplicazione di
poteri pubblici o, comunque, sotto la vigilanza della
pubblica
amministrazione.
…
Invero,
viene
pacificamente ammessa dalla giurisprudenza senza
contrasti la sussistenza del rapporto di servizio nei
limiti della competenza delegata (cfr. Corte dei Conti
110/97).
Il delegato, pertanto, è soggetto alla disciplina della
responsabilità
amministrativa,
secondo
le
regole
p r o p r i e dell'attività esercitata per effetto dell'atto di
delega. In questo caso, può discutersi, semmai, se la
responsabilità
trasformarsi
esclusiva
in
del
responsabilità
delegato
concorrente
possa
con
il
delegante (giudice dell'esecuzione), qualora questi sia
95
Cfr. Rispoli, op. cit.
92
s t ato
in
qualsiasi
forma
interpellato
al
fine
di
intervenire nella materia o nell'oggetto della delega.
Tale
orientamento
ha
trovato
conferma
anche
recentemente seppure con alcune precisazioni: la
Corte di Cassazione
con sentenza
2009 n. 28318 ha affermato che
del 31 dicembre
1111 da RRRRR a
M
Sempre
da parte della stessa Corte di Cassazione
(cfr. Cass. 25 gennaio 2010 n. 2207) – ampliando al
creditore
fallimentare
il
numero
dei
legittimati a chiedere il risarcimento
soggetti
- si è poi
affermato che “nel giudizio ex legge Pinto promosso
per ottenere
l’equa riparazione del danno cagionato
dall’irragionevole durate del processo fallimentare, la
durata
per
il
creditore
ammesso
al
passivo
fallimentare, deve essere valutata con riferimento al
periodo compreso
tra la proposizione dell’istanza di
ammissione al passivo fallimentare e l distribuzione
finale del ricavato”.
13. La responsabilità penale del curatore per le
fattispecie previste dalla legge fallimentare.
13. a) Generalità
La
prima
norma,
cost ituita
dall’
art.
228
L.F.
punisce, con la pena della reclusione da due a sei
anni e con la multa non inferiore
di 200 euro “il
curatore che prende un interesse privato negli atti
del
fallimento”;
la
seconda
fattispecie
prevista
dall’art. 229 punisce con la pena della reclusione da
tre mesi a due anni e con un multa che va da un
minimo di 100 euro ad un massimo di 516 euro, il
93
curatore che “accetta o pattuisce una retribuzione
non dovuta ” e la terza ipotesi disciplinata dall’art.
230, punisce “l’omessa c onsegna o deposito di cose
del fallimento” prevedendo la pena della reclusione
fino a due anni e con la multa fino a euro 1032 se la
condotta è commessa con dolo, e la reclusione fino a
sei mesi o la multa fino ad euro 300 circa, se
l’omissione
è
dovuta
a
mera
dimenticanza
e/o
negligenza.
13. B) Il bene giuridico
In dottrina
ed in giurisprudenza il
bene giuridico
tutelato dalla fattispecie di reato sopra indicate,
stato
indicato
svolgimento
unanimemente,
della
“nell’integrità
nel
procedura
dell’azione
“corretto
fallimentare” ,
degli
è
organi
e
del
fallimento” , organi a cui appartiene il curatore e del
quale necessita tutelare la sua “onestà”, “integrità”
nei
rapporti
complessivi
con
la
procedura
concorsuale.
Secondo alcuni autori l’oggetto giuridico della norma
può ravvisarsi anche nel “buon andamento” e nella
“imparzialità e correttezza degli organi preposti
alla citata procedura concorsuale”, anche se non
mancano coloro che
individuano
un ulteriore
oggetto giuridico di elaborazione squisitamente giuri sprudenziale
nato
sotto
la
figura
disciplinata
dall’art.
229
della
L.F.,
criminosa
in
cui
la
Cassazione, con una pronuncia recente, ma anche
unica sul delitto de quo (Cass. 2.11.94 sez. VI), nel
tentativo di sottrarre il curatore ad ogni forma di
94
suggestione economica perseguibile - in ogni forma ha
individuato
il
bene
interesse
tutelato
nella
“ venalità del curatore”.
Tuttavia, come è dato comprendere, sia che si segua
la dottrina che la giurisprudenza, il bene interesse
tutelato
dalle
salvaguardare
della
norme
“ il
giustizia
è
prestigio
e
degli
sempre
quello
di
dell’amministrazione
organi
fallimentari”
nell’ambito della procedura concorsuale.
13.
c)
Aspetti
e
problematiche
collegate
alla
qualifica soggetiva del curatore fallimentare
I l curatore è un pubblico ufficiale stante l’espressa
previsione dell’art. 30 l.f. , in mancanza della quale a
renderlo un p.u. ci penserebbe la norma generale di
cui all’art. 357 del cp.
In relazione a quest’ultima norma è innegabile che il
curatore è un “ organo dell’ufficio fallimentare” e
concorre alla “formazione e manifestazione della
volontà della P.A.” attraverso i suoi pareri, le sue
istanze, la costante partecipazione negoziale agli atti
del fallimento.
Se è normativamente pacifica la qualifica di pubblico
ufficiale in capo al curatore, ai fini dell’assunzione
delle
responsabilità
penali,
diventa
importante
individuare il momento in cui il curatore assume tale
qualifica.
La risposta, a prima vista, appare scontata, nel
senso, che la qualifica si assu me con la nomina del
curatore contenuta nella sentenza dichiarativa di
fallimento.
95
Il problema può sorgere sulla efficacia della nomina
del curatore contenuta in sentenza , in mancanza di
una sua espressa accettazione, così come previsto
dall’art. 29 L.F.
In tal caso, seguendo la linea giurisprudenziale più
accreditata,
la
soluzione
sembra
essere
quella
secondo la quale, la veste di p.u. e le conseguenti
responsabilità verrebbero mantenute, in ogni caso,
fino a quando il Tribunale non ha provveduto alla
s u a sostituzione.
Questa tesi non può incidere negativamente sulle
responsabilità del curatore nell’ipotesi di eventuali
ritardi nella sua sostituzione da parte del Tribunale
ove lo stesso, non abbia inteso assumere l’incarico
proprio
per
l’esistenza
di
un
reale
conflitto
di
interesse con il fallito e/o con i creditori.
Sicuramente le responsabilità penali del curatore non
cessano né con la “chiusura del fallimento” né con
“la
revoca
fallimento”
della
in
sentenza
quanto,
se
il
dichiarativa
fatto
di
commesso
si
riferisce all’ufficio o al servizio esercitato, lo stesso
risponderà delle condotte poste in essere nel corso
del suo incarico.
Nell’ambito
obblighi
sempre
stesso
penalistico,
posti
a
carico
sottolineata
nel
oltre
del
ad
curatore,
l’importanza
procedimento
evidenziare
penale
del
è
stata
ruolo
promosso
gli
da
dello
per
la
repressione degli eventuali fatti di rilevanza penale a
carico del Fallito.
Tra
gli
atti
più
significativi
posti
in
essere
dal
curatore per la individuazione delle responsa - bilità
penali del fallito, va segnalata la relazione ex art.
96
33 della L.F. , in ordine alla quale, tralasciando tutti
gli aspetti di natura civilistica, è importante, in
questa
sede,
soffermarsi
sull’efficacia
probatoria
della relazione nell’ambito del procedimento penal e .
Al riguardo, la giurisprudenza penale di legittimità
ha univocamente qualificato la relazione del curatore
come un “documento” acquisibile al fascicolo del
dibattimento.
(tra
le
più
Cass.
recenti,
13.4.99
Gianferrari, in Cass. Pen. 2000, 409).
Ciò non significa che tutto quello che il curatore
abbia riportato nella sua relazione costituirà prova
nel
processo
l’efficacia
scomposta
penale
a
carico
probatoria
a
seconda
del
che
del
suo
:
il
fallito,
ma
contenuto
va
curatore
compie
accertamenti di fatto personalmente e direttamente
relazionati al G.D. in ordine ai quali, quanto da lui
riferito, assume carattere fidefacente fino a querela
di falso;
il curatore apprende di fatti del fallito che
si limita a riferire e per i quali vige la presunzione a
prova
contraria
discarico;
il
con
testi
curatore
e
documentazione
riferisce
opinioni
a
e/o
valutazioni in merito alle cause del fallimento o ad
altre circostanze che lo hanno determinato, per le
quali opinioni si è fuori dal campo delle prove.
Anche
se
i
reati
del
curatore
fallimentare
si
caratterizzano per essere “reati propri” della figura
del curatore fallimentare”, non è escluso che, le
medesime
ipotesi
criminose
siano
estensibili
ai
coadiutori del curatore, che per ciò solo, in forza
della norma speciale del c.p. ex art. 357, assumono
anch’essi la qualifica di pubblici ufficiali. Sul punto,
il curatore risponde, a titolo personale anche se
97
l’inadempimento deriva dal fatto omissivo dei suoi
coadiutori, nei confronti dei quali ricorre il principio
della “culpa in vigilando” . Non potrà mai estendersi
a carico del curatore una “culpa in eligendo” dei
suoi
coadiutori,
in
quanto
gli
stessi
vengono
nominati ex art. 32 previa autorizzazione dell’A.G.
In ordine alla condotta materiale, i reati del curatore
vanno esa minati in maniera distinta per coglierne i
tratti essenziali per ciascuna di esse.
Non v’è dubbio che la condotta che maggiormente ha
sollecitato dibattiti, è stata la norma di cui all’art.
228 che, come abbiamo già detto, punisce il curatore
che
“prende
un
interesse
negli
atti
del
fallimento” .
Il concetto della “ presa di interesse” è interamente
contenuto nell’esegesi giurispruden ziale formatasi
sotto la vigenza della soppressa norma di diritto
comune “dell’inte- resse privato in atti di ufficio
del pubblico ufficiale” ex art. 324 del c.p.
Rispetto a quest’ultima norma, quella prevista dalla
legislazione
fallimentare,
si
distingueva,
per
la
“specialità del soggetto attivo del reato” e per la
natura degli “atti” attraverso i quali può essere
preso l’interesse.
La nozione di “atto del fallimento” è stata estesa
fino
a
volontà
ricomprendere
del
curatore
qualsiasi
manifestazione
posta
essere
in
nella
di
sua
istituzionale funzione di organo del fallimento.
La dottrina ha segnalato che il legislatore ha voluto
limitare la responsabilità del curatore alla presa di
interesse nel compimento degli atti del fallimento
escludendo tutte le ipotesi in cui lo stesso ponga in
98
essere comportamenti di natura privata (si pensi al
curatore che abbia fornito un aiuto agli acquirenti
dei beni sottoposti al concordato fallimentare)
Le
diverse
nozioni
di
“presa
di
interesse
del
curatore” sono, come già detto, il risultato della
progressiva
elaborazione
giurispruden-
ziale
che,
sarà richiamata a titolo esemplificativo, cominciando
dalle applicazioni più remote per poi, concludere con
l’indirizzo
più
recente
e
condiviso
dalla
Corte
Costituzionale.
In questa prospettiva, veniva ravvisato il delitto nelle
condotta del curatore che, nell’esplicare un’attività
concorsuale faceva prevalere i suoi scopi di “utilità
privata e personale che risultavano
incompatibili
con le finalità dell’ufficio ricoperto”.
Ancora è stato ravvisato il reato in relazione ad atti
formalmente
e
sostanzialmente
legittimi
che
il
curatore ha posto in essere associandoli ad un suo
privato
interesse,
derivato
un
anche
effettivo
senza
che
vantaggio
dall’atto
sia
patrimoniale,
trattandosi di reato di mero pericolo (Cass. V 1967,
Scali).
Si è sostenuto che il curatore possa prende un
interesse privato nella formulazione della proposta ex
art. 108 L.F. (Cass. V 1.2.1984, Reale ) o addirittura
nello
svolgimento
di
un
asta
partecipando
significativamente alla liquidazione dello attivo. 96
La
giurisprudenza
ha
configurato
interesse” nell’effettiva ingerenza
la
“presa
di
Profittatrice Del
Curatore, che strumentalizzi i poteri del suo ufficio
96
Cfr. Cass. V 22.2.1994.
99
al fine di inserire, in un atto del fallimento, una
prospettiva di vantaggio privato.
In
altri
termini,
il
curatore
attraverso
il
suo
comportamento ingerente e profittatrice deve agi re
con
la
consapevolezza
di
associare
un
interesse
privato ad un atto del fallimento, indipendentemente
dalla legittimità o meno dell’atto e dal danno o
vantaggio
derivabile
alla
amministrazione
fallimentare.
Tale
indirizzo
è
stato
suggellato
dalla
Corte
C ostituzionale ( 18.3.99 n.69) la quale, tra l’altro,
precisava
curatore
che
“per
la
fallimentare
sussistenza
non
è
del
sufficiente
reato
la
del
mera
coincidenza o coesistenza di un interesse privato
convergente o compatibile con l’interesse pubblico,
né, ta ntomeno, la mera violazione di un obbligo di
astensione, ma che consistendo la presa di interesse
in
una
effettiva
necessaria
pubblico
la
ad
configgente
ingerenza
profittatrice,
strumentalizzazione
un
con
fine
privato,
l’interesse
dell’atto
contrario
della
sia
o
procedura
concorsuale..”.
13. d) L’elemento soggettivo dei reati fallimentari
del curatore.
Richiede un dolo generico costituito dalla “coscienza
e volontà del comportamento e della realizzazione
del privato interesse”. La dottrina più sensibile, in
linea con le precedenti critiche sollevate all’abrogata
fattispecie prevista dall’art. 324 del c.p., ritiene – e
non a torto – che avendo il legislatore connotato
100
positivamente
l’elemento
psicologico
con
una
“specifica presa di interesse privato “ non si possa
prescindere nell’esame dell’elemento soggettivo, da
un dolo intenzionale caratterizzato dall’esistenza nel
reo di una consapevole strumentalizzazione dell’atto
al perseguimento di un vantaggio personale o di terzi.
13. e) Le singole fattispecie
L’ art. 229 l.f.
La Condotta materiale consiste “nel ricevere o
pattuire una retribuzione in aggiunta a quella
legalmente
Giudice
attribuita
delegato
o
dal
dal
Tribunale
diverso
o
dal
organo
amministrativo “.
Si
evidenzia
subito
l’infelice
formulazi one
legislativa che, ad una rigorosa interpretazione
ermeneutica, lascerebbe fuori dal reato ogni forma
di
retribuzione
liquidata
al
curatore
antecedentemente al decreto ex art. 39 della L.F.
E’ apparso subito chiaro che ciò non poteva essere
l a v o l o n t à legislativa che addirittura costruisce la
fattispecie come una sorta di difesa anticipata
contro la corruzione del curatore sicchè l’inciso “
in aggiunta di quella liquidata in suo favore dal
Tribunale
“
significato
di
va
allora
“ ol tre
al
interpretata
compenso
e
letta
nel
legalmente
dovuto”
La condotta si divide in due momenti che sono
equivalenti sotto l’effetto incriminatorio:
a)
nel ricevere l’offerta del privato,
101
b)
nella pattuizione con il privato per una
dazione
indebita
senza la necessità
che la
stessa segue necessariamente all’accordo.
Da
queste
due
forme
di
condotta
va
senz’altro
esclusa la “promessa unilaterale del terzo” a cui
non segue l’adesione del curatore.
In ordine alla natura del “vantaggio” si è dibattuto
se, nel concetto di retribuzione rientra anche un
vantaggio “non patrimoniale”.
A favore dei sostenitori della tesi estensiva, vi è il
richiamo, per un verso, all’analoga fattispecie di
corruzione di diritto comune
ove l’utilità può avere
anche un contenuto “non patrimoniale” (cfr. Cass.
Sez.
UN.
11.5.93
configurabilità
del
Romano
reato
in
anche
ordine
per
un
alla
favore
sessuale) e, per l’altro, il richiamo operato dall’art.
229 L.F., che insieme al danaro, cita retribuzioni
avvenute “in altra forma”.
Interessante in giurisprudenza è il richiamo delle
decisioni in materia di “rimborso delle spese”
Il
principio
da
cui
si
deve
partire
è
che
la
retribuzione corrisposta al curatore è lecita tutte le
volte in cui trova la sua causa in un titolo estraneo
alla procedura, ad esempio perché fondata su di un
incarico professionale.
Naturalmente sarà punibile la condotta del curatore
qualora il rimborso delle spese sia solamente fittizio
e mascheri la volontà di una retribuzione privata del
curatore per l’opera svolta.
Ancora controversa nella prassi giurisprudenziale è
se nell’ampio concetto di retribuzione possa essere
inserita anche un compenso di modico valore o mera
102
cortesia
che non integrano un reale vantaggio
economico per il curatore.
A contrastare tale assunto sono quegli autori che
ritengono
punibili
tali
comportamenti
sia
pure
caratterizzati da un minor disvalore sociale, purché i
donativi di modico valore siano dotati di una valenza
economica o di una qualche utilità per chi li riceve.
Il reato ovviamente si consuma con l’accettazione
della promessa di retribuzione o con la pattuizione
dell’indebito compenso, o in mancanza dell’uno o
dell’altra,
con
la
mera
ricezione
dell’indebita
ricompensa.
Si ritiene configurabile il tentativo, nella condotta
del curatore che, avvii una trattativa con il privato,
tesa a definire l’an della prestazione o il suo esatto
ammontare.
Non sarà applicabile certamente l’istituto di diritto
comune della cd. desistenza volontaria , in quanto
al momento dell’accordo il reato si è già perfezionato,
p e r cui l’eventuale rifiuto al momento del pagamento
da parte del privato, sarebbe del tutto irrilevante.
Al
contrario,
se
il
curatore,
nel
mentre
avvii
le
trattative per concordare un indebita retribuzione
receda spontaneamente dalla trattativa, si ritiene
i mpossibile configurare qualsiasi forma di addebito.
L’elemento
soggettivo
deve
essere
caratterizzato
dalla coscienza e volontà di pattuire o ricevere un
compenso
non
dovuto
in
relazione
alla
propria
qualità di curatore.
Poiché la fattispecie incriminatrice in esame, rientra
nella categoria dei reati cd. “a concorso necessario” ,
103
resta da qualificare il concorso del privato nel reato
del curatore.
Una parte della dottrina esclude la punibilità del
privato laddove il legislatore intende perseguire ogni
forma di suggestione economica di soggetti qualificati
quale appunto il curatore che svolgono funzioni di
rilevo nella procedura fallimentare, mentre il privato
potrebbe anche agire per mero spirito di liberalità.
Secondo altri autori, il privato può essere esente da
pena,
solo
se
abbia
errato
su
taluni
elementi
essenziali della fattispecie, ed in particolare, quando
ignori la qualità di curatore in capo a colui al quale
dà o promette il denaro.
L’art. 230 l.f.
disciplinata dall’art. 230 L.F. , relativa alla “ omessa
consegna o deposito di cose del fallimento”, il
presupposto
della
“ disponibilità
di
condotta
fatto
è
dei
costituito
beni
di
dalla
cui
è
obbligatoria la consegna o il deposito” .
Si tratta di un “reato omissivo proprio” la cui
consumazione è subordinata alla esistenza di un
duplice presupposto:
la detenzione da parte del
curatore di somme o cose del fallimento;
l’ordine del
Giudice.
In
ordine
al
primo
presupposto,
il
concetto
di
“ somme” e d i “cose” va interpretato estensivamente
tanto da far ricomprende re, nel primo, anche gli utili
ed i profitti inerenti i cespiti del fallimento con gli
eventuali
ricavi
dall’esercizio
provvisorio,
e
nel
secondo, anche beni immateriali, mobili ed immobili,
compreso
i
documenti
necessari
104
per
garantire
il
trasferimento
della
titolarità
dei
beni
caduti
nel
fallimento.
In ordine al secondo presupposto, vige al contrario,
una interpretazione più restrittiva, nel senso che,
vanno esclusi tutti gli ordini non provenienti da
organi fallimentari. Sul punto, non manca chi ritiene
che,
nel
anche
il
termine “giudice”
debba
P.M.
procedimento
investito
del
farsi
rientrare
penale.
(Antolisei – Conti).
A
favore
della
tesi
piu’
restrittiva
considerazione
che
la
norma
espressamente
“al
curatore
fallimento”
imponga
legittimanti
l’emanazione
rilevante
per
cui
una
militano
facendo
ed
lo
cose
nei
dell’ordine
sara’
riferimento
alle
restrizione
la
del
soggetti
penalmente
stesso
P.M.
del
procedimento penale che potrà semmai sollecitare il
Tribunale e/o il G.D. all’emanazione di un valido
ordine di deposito.
L’ordine
non
deve
necessariamente
assumere
la
forma del decreto, ma comunque è indispensabile che
lo stesso debba essere portato a conoscenza del
curatore nella sua indicazione specifica
In dottrina si era posto infine il problema se, l’ordine
del giudice dovesse contenere un termine finale per
rendere
più
agevole
consumazione
del
l’individuazione
reato
perfezionatosi
della
con
il
mancato rispetto del termine.
La
risposta
è
sicuramente
negativa
in
quanto
trattandosi di reati omissivi propri, la responsabilità
del curatore è desumibile anche dal decorso di un
termine
minimo
necessario
all’esecuzione dell’ordine medesimo.
105
per
provvedere
In ogni caso, la giurisprudenza ha escluso il reato del
curatore per il mero decorso del termine di 5 gg. ex
a rt. 34 L.F.
Infine, vi è contrasto anche sulle modalità con cui il
curatore deve adempiere all’ordine del giudice, nel
senso
che,
taluni
ritengono
non
liberatoria
la
condotta del curatore che esegue il deposito in forme
e
con
modalità
diverse
rispetto
all’ordine
giurisdizionale, altri, per converso sostengono che il
deposito nella cancelleria del tribunale fallimentare
esime
da
qualsiasi
responsabilità
il
curatore
medesimo.
Trattasi di reato istantaneo che si consuma con il
mancato deposito nel lasso di te mpo necessario per
l’esecuzione dell’adempimento richiesto dal Giudice.
Stante
la
natura
di
reato
“omissivo
proprio
istantaneo”, prevale la tesi che non sia ammissibile
la figura del delitto tentato.
L’elemento soggettivo si caratterizza per la sua
duplice forma dolosa e colposa.
La
prima
richiede
sempre
la
consapevolezza
del
curatore di non ottemperare all’ordine di consegna o
di deposito.
La seconda ricorre allorché l’omissione è dovuta a
negligenza o dimenticanza del curatore.
14.
Le
prospettive
di
riforma
dei
reati
del
curatore fallimentare
In una prospettiva di riforma,
parlamentare ha
la commissione
previsto la abrogazione, dei tutti
i reati concernenti le figure del curatore fallimentare
nel disegno di legge n. 1741 - C, recante “Delega al
106
Governo
per
il
riordino
della
legislazione
in
materia di gestione delle crisi aziendali”.
Il disegno di legge citato è composto di due articoli:
il primo contiene la delega al Governo per la riforma
della disciplina delle procedure di amministrazione
straordinaria delle grandi imprese in crisi, il secondo
contiene la delega a riformare la legge fallimentare
penale di cui al titolo VI del R.d. 16 marzo 1942, n.
267 (non modificato dalla riforma attuata con la
legge n. 80/05), il D.lgs. n. 5/06 e il D.lg s. n.
129/07.
Nella relazione di accompagnamento si legge che la
finalità
della
procedure,
delle
adeguare
grandi
materia
delega
di
è
la
imprese
aiuti
di
quella
di
disciplina
alla
Stato,
uniformare
del
normativa
nonché
le
salvataggio
europea
in
completare
la
riforma della legge fallimentare, attuata con il D.lgs.
n. 5/06 e correttivi successivi.
Si è osservato in sede di parere reso dal Consiglio
Superiore
della
Magistratura
che
gli
articoli
si
caratterizzano per l’ampiezza e la genericità delle
direttive impartite al Governo: in particolare con
specifico riferimento alla tutela penale, con la legge
n. 80/05 non è stata conferita alcuna delega al
Governo,
né
modifiche
sono
state
introdotte
per
effetto degli interventi correttivi successivi.
Le direttive del disegno di delega di cui alla citata
legge, relative al titolo VI della legge fallimentare, di
cui alla lett. d ) dell’art. 2, sono state eliminate nel
corso
della
proposta
a
discussione
seguito
di
per
l’approvazione
emendamento
della
soppressivo
determinat o dal fatto che veniva conferita delega
107
diretta
ad
una
drastica
riduzione
delle
sanzioni
previste per i reati fallimentari.
Pertanto
rispetto
alla
tutela
penale
la
riforma
fallimentare attuata tra il 2005 ed il 2007 non ha
offerto
nessuna
soluzione
in
riferimento
alle
questioni per cui tradizionalmente si invocava un
intervento
del
legislatore
quali:
la
necessità
di
individuazione del momento di rilevanza penale delle
condotte dell’imprenditore commerciale ai fini della
configurabilità dei reati di bancarotta, l’intervento in
merito a lacune quali quella della mancata previsione
dell’estensione agli amministratori ed ai liquidatori
dei reati previsti per l’imprenditore in concordato, la
risoluzione delle antinomie tra bancarotta impropria
e reati societari come modificati dalla riforma, la
risoluzione di questioni processuali determinate dal
codice di procedura penale del 1988 quali quella
della pregiudizialità della sentenza dichiarativa di
fallimento. La riforma fallimentare, attuata senza
alcun intervento nel settore penale, ha determinato
ulteriori antinomie e lacune. Alcune questioni sono
state risolte dalla giurisprudenza che ha ricollegato
alla riforma effetti abrogativi sia pure indiretti: si
pensi all’abrogazione di taluni obblighi imposti al
fallito
e
di
talune
conseguenze
connesse
alla
dichiarazione di fallimento o alla sostanziale modifica
del concordato preventivo o
all’abrogazione dell’amministrazione controllata.
Una
delle
tematiche
di
maggior
rilievo,
sorta
a
seguito della riforma, è quella della tutela penale da
apprestare
in
riferimento
a
condotte
dell’imprenditore individuale, collettivo o organizzato
108
in
forma
societaria,
idonee
a
determinare
grave
danno ai creditori - si pensi alla falsa esposizione di
dati
contabili
concordato
ai
o
fini
dell’ammissione
all’omologazione
degli
al
nuovo
accordi
di
ristrutturazione - fatti che non integrano alcuno dei
tradizionali reati fallimentari e non sono sussumibili
nei reati del codice penale.
Il disegno di legge contenente la delega per la riforma
dei reati fallimentari risolve il vuoto normativo e
dunque lo scollamento determinatosi a seguito della
riforma
nel
corpus
disposizioni
juris
apprestate
dell’imprenditore
tra
fallimentare
per
offrire
commerciale
ai
le
creditori
un’adeguata
tutela
civile e quelle finalizzate ad apprestare un’adeguata
tutela penale.
Si è pertanto detto che la delega affronta e risolve la
questione
rilevanza
dell’individuazione
penale
delle
del
condotte
momento
di
dell’imprenditore
commerciale ai fini della configurabilità dei reati di
risolve
bancarotta,
le
antinomie
della
bancarotta
impropria, sorte dopo la modifica dei reati societari,
risolve in radice la questione relativa all’estensione
agli amministratori ed ai liquidatori dei reati previsti
per l’imprenditore in concordato.
Per
quanto
riforma
della
riguarda
legge
gli
aspetti
fallimentare
principali
penale,
della
l’art.
2
contiene la delega ad adottare, entro dodici mesi
dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più
decreti legislativi recanti la riforma organica de lla
disciplina
delle
disposizioni
penali
in
materia
di
procedure concorsuali di cui al regio decreto 16
marzo 1942, n. 267.
109
Con specifico riferimento all’aspetto che interessa in
questa
sede
e
cioè
reati
i
del
curatore,
del
coadiutore e del commissario Giudiziale, va detto
che il disegno di legge
contiene una disposizione
che si limita a qualificare tali soggetti agli effetti
della egge penale pubblici ufficiali. Con riguardo a
tali fattispecie nella relazione è esposto che tali reati
vanno ricondotti ne lle fattispecie delittuose dei reati
commessi dal pubblico ufficiale.
I n proposito la direttiva di cui alla lett. n) prevede
infatti che il legislatore delegato debba stabilire, agli
effetti della legge penale “l’equiparazione dei curatori,
dei commissari
coadiutori
ai
giudiziali o governativi e dei loro
pubblici
ufficiali”;
tale
disposizione
ribadisce quanto previsto dall’art. 30 L.f. secondo il
quale
“il curatore è pubblico ufficiale per quanto
attiene all’esercizio delle sue funzioni”.
La
direttiva
di
cui
alla
lett.
n.)
determina
così
l’abrogazione di reati di cui agli articoli 228, 229,
230 e 231 L.f..
14.
La
attestatore
responsabilità
nella
del
presentazione
professionista
del
concordato
preventivo (art. 160e ss. L.f.)
14. a) La relazione del pr ofessionista: il contenuto
della relazione ex art. 161 l.f.
110
La relazione del professionista ex art. 161 l.f. riveste
un
ruolo fondamentale nell’ambito della “nuova”
procedura di concordato preventivo.
Un
primo
problema
dell'individuazione
è
dei
costituito,
soggetti
pertanto,
abilitati
alla
redazione di tale documento.
L’art. 161 comma 3 l.f.
possono procedere
prevede che i
soggetti che
alla redazione della relazione i
sono professionisti in possesso dei requisiti di cui
all’art. 67 terzo comma lett. D), il quale , a sua volta
richiama indicati dall’art. 28 lett. a) e b) l.f. e quindi
gli avvocati,
ragionieri
i dottori commercialisti,
commercialisti
associati o società
gli
i ragionieri i
studi
professionali
tra professionisti che abbiano i
requisiti di cui sopra, e coloro che “abbiano
svolto
funzioni di amministrazione, direzione e controllo in
società per azione
adeguate capacità
intervenuta
nei
che abbiano dato prova
di
imprenditoriali e purchè non sia
loro
confronti
dichiarazione
di
falli mento.
Un secondo problema consiste nell'individuazione di
eventuali
cause
di
incompatibilità
in
capo
al
professionista.
In altri termini ci si deve domandare se tale relazione
possa essere redatta da un professionista che
aveva
pregressi rapporti di consulenza o di collaborazione
con
il
debitore,
indipendenza
e
del
quindi
verificare
professionista
il
che
l’importante documento; ciò comporta
la
grado
di
redige
necessità
che il professionista, per quanto scelto dal debitore,
svolga
giudizio
l’incarico
ed
conferitogli
imparzialità,
111
con
avendo
autonomia
egli
la
di
delicata
funzione
di conferire attendibilità alla proposta del
debitore.
Con
riferimento
caratterizzare
alla
il
indipendenza
professionista
che
che
deve
redige
la
relazione ex art. 61 l.f. la Corte di Cassazione,97 h a
affermato che
le attestazioni relative alla
dei dati aziendali e la fattibilità
veridicità
del piano possono
essere redatte, ai sensi dell’art. 161 l.fall., anche da
un
soggetto
attività
che
già
in
professionale
passato
in
abbia
favore
del
prestato
debitore
concordatario.
La scelta della Corte di Cassazione (nonostante la
vicenda
si
riferisse
ad
un
piano
allestito
prima
dell’ultima modifica ai requisiti per la nomina a
curatore,
du nque
entrata
ad
in
vigore
un’epoca
il
16
in
luglio
cui
2006,
e
sussisteva
un’incompatibilità a tale incarico in base all’art. 28,
secondo comma l.fall.),
è netta nello svincolare da
un requisito di maggiore terzietà il professionista.
Tale indicazione
giurisprudenziale si colloca
sofferto
dottrinale
dibattito
che,
unitamente
nel
alle
prime decisioni della giurisprudenza di merito, sta
cercando di elaborare un connotato di autorevolezza
fidefaciente dell’attestatore, optando piuttosto per
una valorizzazione del maggior numero di elementi di
indipendenza
della
sottolineare che
“una
posizione
figura
e
non
manca
di
se al professionista va riconosciuta
di
terzietà,
essa
deve
essere
97 Cfr. Cassazione, Sez. I, 4 febbraio 2009, n. 2706 - Pres. Proto - Est.
Panebianco - G.B. e altri c. Montechiaro S.r.l. in liquidazione e altri, in
Fallimento, 2009, pag. 387.
112
connotata
da
un
rapporto
di
fiducia
con
l’imprenditore”.
Pertanto se è evidente che il debitore scelga
per la
relazione ex art. 161 l.f.
un professionista
di sua
fiducia, ciò non significa
che tale relazione
debba
venier
meno
genuinità che
ai
requisisti
di
attendibilità
e
di
consentono di sottoporla al vagli dei
creditori (e del Tribunale).
Passando al con tenuto l’art. 161 l.f. prevede che la
relazione di accompagnamento del professionista
ex
art. 161 l.f., deve attestare:
a)
la veridicità
dei dati aziendali;
b) la fattibilità del piano, ai sensi dell’art. 161, terzo
comma l. fall.
I contenuti di “v eridicità dei dati aziendali” e di
“fattibilità del piano” sono stati variamente intesi; è
comunque
un
dato
acquisito
in
dottrina
e
in
giurisprudenza che la finalità di questa informazione,
garantita nella chiarezza (perchè comprensibile nelle
sue
fonti
e
nella
sua
rappresentazione),
genuinita` e nell’esaustivita` oltre che
critico
sindacato
del
tribunale,
nella
dall’attento e
trova
la
sua
giustificazione nel fatto che la stessa è destinata
alla
formazione di un reale “consenso informato”
dei creditor i, posti cosi` in condizione di esprimere il
loro
libero
convincimento,
con
una
volonta`
viziata.98
14. b) La veridicità dei dati aziendali
98
Cfr. Tribunale di Ancona 13 ottobre 2005, in Fall., 2005, 1405).
113
non
Con
particolare
veridicità
dei
riferimento
dati
contabili,
professionist a
non possa
verifica
regolarità
della
abbia l’onere
svolgere
un
-
all’attestazione
si
ritiene
che
limitarsi ad una
della
di
il
formale
documentazione
ma
al fine di tutelare i creditori – di
controllo
di
merito
verificando
-
ad
esempio - la congruenza tra i dati contabili allegati
alla
pr oposta
di
concordato
preventivo
e
la
contabilità effettiva.
A nostro avviso
non saranno ammissibili controlli e
verifiche a campione,
e l’attestazione di veridicità
non potrà essere condizionata o parziale.
Tale onere per il professionista appare coere nte con il
fatto
che
nel
sistema
novellato,
professionista sostituisce
vigenza del
la
relazione
l’accertamento
precedente sistema il
del
che nella
Tribunale doveva
operare in base al combinato disposto degli artt.161
e 162, comma 1°, primo periodo: un accertamento
che si fondava proprio sulle
scritture contabili
che, materialmente, veniva effettuato
e
mediante
redazione di consulenza tecnica (in cui il consulente
tecnico veniva, tuttavia, nominato dal Tribunale).
L’importanza della attestazione
di veridicità dei dati
contabili sotto questo aspetto, pertanto, emerge dalla
circostanza
che,
preventivo”,
diretto
procedure
essa
destinate,
costituisce
ad
evitare
fin
un
“filtro
ammissioni
dall’origine,
ad
di
esito
infausto, ma che, per il solo fatto della intervenuta
ammissione, nel frattempo sono
idonee a porre in
essere effetti paralizzanti delle azioni esecutive dei
creditori o la decorrenza dei termini per le eventuali
(ormai poche) azioni revocatorie.
114
Del resto, proprio con riferimento alle dichiarazioni
di veridicità dei dati contabili la relazione dovrà
essere vagliata attentamente e con estremo rigore da
parte del Tribunale; ciò risulta logico,
come evidenziato in dottrina,
il
in quanto,
professionista
asseveratore non ha alcuna ulter iore veste nel corso
della procedura e dopo l’ammissione esce di scena:
egli
non
creditori,
solo
non
compare
alla
adunanza
dei
ma non partecipa nemmeno al giudizio di
omologazione.
Le
affermazioni
pertanto,
se
rese
non
in
ordine
ai
dati
adeguatamente
aziendali,
motivate
e
controllare, rischiano di rimanere, nell’ambito della
procedura, come un dato intangibile
suscettibile di
essere smentito solo nella fase di liquidazione dei
beni..
In merito al livello di approfondimento della relazione
del
professionista
si
erano
delineati
tre
orientamenti prima del decreto correttivo n. 169/07:
secondo parte della giurisprudenza 99 era necessario
che nelle attestazioni il professionista effettuassse
una
motivata
riteneva,
assunzione
quindi,
non
di
responsabilità;
sufficiente
che
si
il
professionista attestasse che i dati esposti erano
stati
reperiti
nella
contabilità
dell’imprenditore
perché occorreva anche che egli ne
veridicità
riscontrase la
incidendo tale dato anche in ordine alla
fattibilità del piano.
Cfr. Tribunale di Torino, Sentenza 17 novembre 2005 n. 436/05, in Il
Fallimento, 2006, 691.
99
115
Altra giurisprudenza,100 rivendicando
al Giudice il
“…ruolo di controllore formale della esistenza di un
valido
consenso
…”,
riteneva
che
il
controllo
giudiziario si dovesse estendere alla verifica del fatto
che
i
creditori
fossero
posti
in
condizione
di
e sprimere il proprio libero convincimento sulla base
di
un’effettiva
conoscenza
della
situazione
prospettata dal debitore, così che la volontà non ne
risultasse viziata.
D a parte di altra giurisprudenza 101 si
come
nella
attestare
fattibilità
relazione
“la
il
professionista
veridicità
del
evidenziava
dei
piano
dati
dovesse:
aziendali
medesimo”;
II)
e
I)
la
rendere
“…ricostruibile l'iter logico… posto a base delle sue
valutazioni …” dando “…conto dei riscontri e della
documentazione esaminata, nonché della metodologia
seguita nei controlli effettuati…”; III) compiere una
serie di controlli “…articolati nelle seguenti fasi: 1)
accertamento delle scritture contabili e della regolare
tenuta dei libri sociali obbligatori, 2) controllo (sia
formale che sostanziale ) della rispondenza dei dati
esposti nella situazione economico finanziaria della
società,
prodotta
a
sostegno
della
proposta
di
concordato, con le scritture contabili del corrente
anno; rilevazione del contenuto dei verbali di verifica
redatti dal Collegio Sindacale e delle relazioni di
quest'ultimo organo per verificare l'attendibilità delle
scritture
contabili
e
dei
libri
sociali,
nonché
la
Cfr. Tribunale di Ancona, decr. 13.10.2005, Pres. Moretta, est.
Ragaglia, in il Fallimento, 2005, pag. 1405.
100
Cfr. Tribunale di Messina, seconda sezione civile, decreto 29 dicembre
2005.
101
116
corretta redazione dei bilanci di esercizio chiusi negli
anni precedenti al presente; controllo incrociato delle
e sposizioni
debitorie
al
30.09.2005
attraverso
il
riscontro della documentazione contabile d'appoggio
della debitrice con i documenti provenienti dagli
stessi
creditori;
predisposizione
3)
del
riesame
prospetto
del
passivo
relativo
al
e
"passivo
rettificato" allegato alla proposta; indicazione, infine,
delle
passività
potenziali,
riferibili
a
contenziosi
pendenti o prevedibili; 4) attestazione della veridicità
dei
dati
aziendali
medesimo;
dar
e
della
“…conto
fattibilità
dei
del
piano
e
della
riscontri
d ocu mentazione esaminata, nonché della metodologia
seguita
nei
controlli
effettuati…”.
Si
tratta
di
orientamenti che, seppure con diverse sfumature,
richiedevano una controllo non meramente formale,
bensì
effettivo oltre che puntuale ed analitico
in
ordine all a veridicità dei dati contabili aziendali;
dalla
serietà
conseguiva
e
una
completezza
assunzione
di
di
tali
controlli
responsabilità
del
professionista accertatore.
Tali
rigorose
soluzioni
evidenziavano
l’importanza della relazione del professionista
necessità
anche
e la
che lo stesso nella redazione dell’atto si
attenesse
il
più
possibile
ai
propri
doveri
deontologici.
Tale rigore
si giustificava in quanto, nel nuovo
concordato preventivo, appare indispensabile
una
corretta informazione in capo al ceto creditorio, in
quanto
non
riceve
una
preventivo dal debitore,
proposta
di
concordato
bensì una convocazione da
117
parte
del
Commissario
Giudiziale
nelle
forme
descritte dall’art. 171 l. f. ed ha quindi la ragionevole
aspettativa di avere di fronte un documento sul quale
poter riporre la propria fiducia in quanto dallo stesso
“percepito”
come di provenienza giudiziale e dallo
stesso Tribunale preventivamente valutato in modo
favorevole ai fini dell’ammissibilità della procedura.
Riteniamo, pertanto che
il controllo sulla veridicità
dei dati contabili, debba
rigoroso,
soprattutto,
essere sempre
alla
luce
delle
molto
modifiche
apportate dal D. Lgs. n. 169/07 (anche perché
chi
viene ammesso alle “nuove” procedure di concordato
preventivo non è
soltanto l’imprenditore individuale
onesto e sfortunato ma,
potenzialmente, anche
persona giuridica reduce
la
da operazioni “disinvolte”
compiute con limitato capitale di rischio).
Aderisce a questa
condivisibile)
secondo cui
concordato
rigorosa (ma a nostro giudizio
soluzione,
quella
giurisprudenza 102
“… nella fase di ammissione del
preventivo,
al
tribunale
fallimentare
compete un controllo di merito sulla veridicità dei
dati esposti e sulla fattibilità del piano. L’esistenza
di tale controllo è stata vieppiù confermata dalle
modifiche apportate dal d. lgs. n. 169/2007 posto
che i) all’art. 162 legge fall. è prescritto che il
tribunale, decidendo in sede di ammissione, deve
verificare i presupposti previsti dall’art. 161, tra i
quali la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del
piano;
ii)
nell’art.
163
è
stato
abrogato
l’inciso
102 Cfr. in tal senso Tribunale di Roma 24 aprile 2008, Pres. Severini, est.
La Malfa.
118
“verificata
la
completezza
e
la
regolarità
della
documentazione”, cui la dottrina e la giurisprudenza
contrarie
riconducevano,
sul
piano
letterale,
la
volontà normativ a di restringere il campo d’indagine
del
tribunale
documentale
alla
della
sola
correttezza
proposta).
relazione ex art. 161 l.f.
nell’ambito
della
preventivo,
quell’orientamento
Peraltro
se
e
la
assume tale importanza
procedura
a ppare
formale
di
parimenti
giurisprudenziale
concordato
condivisibile
secondo cui
“sempre a proposito della relazione del professionista
va
detto
che
appare
opportuna
l'assimilazione
dell'attestazione in essa contenuta alla verifica e al
giudizio al quale è tenuto il revisore contabile delle
società per azioni ai sensi dell'art 2409-ter lett. b) e
lett. c), atteso che, come quella, deve articolarsi in
diverse fasi (ispettivo - ricognitiva, valutativa della
regolarità, comminatoria, con pubblica esplicitazione
del giudizio espresso) e necessita della possibilità di
ricostruire i controlli effettuati.”
In tale prospettiva interpretativa di estremo rigore
(rigore finalizzato, tuttavia, alla tutela delle ragioni
dei creditori, soprattutto chirografari)
deve essere
richiamato anche un altro orientamento103,
ove si è
precisato che la relazione ex art. 161, co. 3, l. fall.,
nell’attestare la veridicità dei dati aziendali nonché
la fattibilità del piano, deve necessariamente dar
conto
dell’iter
logico-argomentativo
utilizzato
dei
criteri e delle metodologie seguite in concreto, alla
Cfr. Tribunale di Palermo, Decreto del 17/02/2006, Pres. Marino, est.
Nonno, in Il Fallimento, 2006, 571.
103
119
luce delle moderne tecniche di revisione contabile,
per la formulazione del relativo giudizio. Ciò appare
tanto più necessario se si riflette sul fatto che
Commissario
il
della procedura svolge, stando al testo
letterale della riforma (art. 172), un controllo che
risolve in
alla
si
una sommaria verifica di sostanza quanto
tenuta
ed
all’attendibilità
delle
scritture
contabili e che al professionista è assegnato – come
sopra ricordato - un compito di tutela degli interessi
sicuramente non formale.
L’attestazione
di
veridicità
dovrà
essere
ampia
e
senza riserve: non saranno ammissibili certificazioni
che riportino locuzione del tipo “i dati contabili sono
sostanzialmente veritieri”: tali modalità espositive
portano, infatti,
ad eludere la precisa funzione di
garanzia che la legge ha attribuito alla relazione ex
art. 161 l.f. ed al ruolo del professionista nel “nuovo”
concordato preventivo.
Va
da
ultimo
evidenziato
che
figura
del
professionista è qui richiamata - atteso il contesto
sistematico lega
al
non per il rapporto fiduciario che lo
cliente,
bensì
per
la
professionale; egli, in quanto
posto in un regime di
degli
interessi
del
sua
competenza
tecnico ed esperto è
indipendenza tra il versante
debitore
e
quello
proprio
dei
creditori.
Si può dunque concludere che il professionista
assume la funzione
tanto
del
di garante nell’interesse non
debitore/proponente
quanto
degli
interessi dei terzi.
Tale
aspetto
avrà
incidenza
attribuire al professionista.
120
sulla
qualifica
da
In tale quadro normativo ci si è domandati se
tribunale
del
possa
entrare nel merito
professionista,
allo
scopo
il
della relazione
di
appurare
la
veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano,
ovvero se debba diver samente limitarsi, al pari di un
controllo di tipo notarile, ad un
esame
formale
requisiti
dagli
della
artt.
sussistenza
160
e
161,
dei
ovvero,
meramente
ancora,
individuabile una soluzione intermedia
alle
precedent i,
in
base
alla
richiesti
se
sia
rispetto
quale
all’organo
giurisdizionale competa un controllo di regolarità
procedurale,
tanto
formale quanto sostanziale, che
conduca ad affermare, senza per questo entrare nel
merito
della
r a g giunte
redatto
da
correttezza
dal
delle
professionista,
che
conclusioni
il
documento
quest’ultimo è intelligibile ed
idoneo ad
assolvere la funzione informativa e certificata cui è
destinato.
La necessità di controllo effettivo e
parte
del
professionista
proponente, è stata
sulla
sostanziale da
contabilità
del
espressa recentemente anche
dalla dottrina,104 la quale, al fine di chiarire i limiti
del sindacato del tribunale nella fase iniziale della
procedura di concordato preventivo, ha affermato che
“… a norma dell’art. 162 l.fall., cosi` come modificato
dal D.Lgs. n. 169/2007, il tribunale deve verificare la
sussistenza
dei
l.fall.,
i
tra
«presupposti»
quali
vi
e`
di
cui
appunto
all’art.
la
161
relazione
Cfr. Genoviva, I limiti del sindacato del tribunale nel concordato
preventivo alla luce del “correttivo”, in Il Fallimento, n. 6/08 pag. 688 ss.
104
121
dell’esperto,
attestante
la
veridicita`
dei
dati
aziendali e la fattibilita`”.
Secondo la citata dottrina
condizionare
l’esito
ammissibilita`
determinati
“… l’art. 162 l.fall., nel
positivo
alla
del
accertata
«presupposti»,
giudizio
di
ricorrenza
ricomprende
tra
di
questi
l’attestazione dell’esperto sulla veridicita` de i dati
aziendali
e
sulla
correttamente
da
c.d.
«fattibilita`»
intendersi
come
del
un
piano,
«requisito
attinente alla costituzione e allo svolgimento del
rapporto processuale», nello specifico della procedura
di concordato preventivo. E’ allora logico e coerente
ritenere che l’oggetto del giudizio di ammissibilita` da
parte
del
esistenza
tribunale
materiale
professionista
non
del
possa
essere
la
mera
«documento» -relazione
incaricato
dall’imprenditore,
del
ma
il
suo contenuto, cioe` l’attestazione su lla veridicita`
dei
dati aziendali e sulla prospettata fattibilita` del
piano. In altri termini,
dell’autorita`
limitarsi
lo
giudiziaria
alla
screening
non
constatazione
puo`
da
e
non
dell’allegazione
parte
deve
tra
i
documenti di cui all’art. 161 l.fall. della relazione
dell’esperto, ma deve avere come oggetto proprio il
contenuto
aziendali
dell’attestazione
e
contabili
di
esposti
veridicita`
e
della
dei
dati
prognosi
di
coerenza e concretezza del piano in essa contenuta”.
Secondo tale autore “… lo scopo della relazione
dell’esperto ex art. 161 l.fall. non puo` essere altro
che quello di fornire al tribunale elementi di giudizio
sulla veridicita` dei dati aziendali
della
proposta
concordataria
e
posti
a
base
sulla concreta
fattibilita` e praticabilita` della stessa, al fine di
122
verificare l’esistenza di tali fondamentali presupposti
di ammissibilita`
della
proposta
stessa.
E` infatti
evidente che dati aziendali incompleti, lacunosi o
addirittura falsi e/o ingannevoli rendono del tutto
i nattendibile la ricostruzione del patrimonio e dei
debiti
dell’imprenditore
verifica
sulla
ed
serieta`
impediscono
stessa
ogni
della proposta
concordataria, mentre e` del pari evidente che un
piano
inattuabile
o
non
idoneo
a
garantire
c r e d i t o r i quelle utilita` promesse non puo`
ingresso
e
spazio,
sin
dalle
prime
ai
trovare
battute
della
procedura”.
Evidenzia poi la citata dottrina
speditezza della procedura
come le esigenze di
non possono portare
all’ulteriore conclusione “… che il tribunale
limitarsi
a
prendere
conclusioni
del
acriticamente
professionista,
debba
per buone
senza
le
poter
autonomamente valutare, sia pure sulla scorta del
solo materiale fornito allo stesso imprenditore, se
sussistano o meno i fondamentali presupposti di
a mmissibilita`
della
procedura
costituiti
dalla
veridicita` e trasparenza dei dati aziendali esposti e
dalla concreta fattibilita` del piano proposto. Se tali
requisiti difettano, e` giusto arrestare la procedura
sin
dal
suo
nascere,
con
tutte
le
ulteriori
conseguenze previste dall’art. 162 l.fall.”. 105
14. c) La qualifica
attribuibile al professionista
che attesta la “veridicità” dei dati aziendali
105
Cfr. Genoviva op. cit.
123
Si affaccia,
a questo punto, il quesito
se il
professionista che redige la relazione ex art. 161 l.f.
a ssuma una
qualificazione pubblicistica analogo a
quella del curatore nell’ambito del fallimento
Su tale problema si sono riscontrate
numerose
opinioni in dottrina ed in giurisprudenza.
A favore di un ruolo “pubblico” del professionista
che redige la relazione ex art. 161 l.f.
collegamento
con
il
milita il
Commissario
che
è
espressamente definito pubblico ufficiale (art. 165) e
– per il medesimo richiamo dell’art. 28 – l’estraneità
dagli interessi del privato committente.
Secondo
alcuni
ufficiale,
autori,
deriva
la
dalla
certificativa della
natura
funzione
relazione
di
pubblico
chiaramente
del professionista,
quanto alla “veridicità” dei dati aziendali esposti dal
ricorrente, la quale costituisce il fondamento
delle
valutazioni disponibili per i creditori e dell’AG in
ordine all’ammissibilità della procedura.
Secondo
un’autorevole dottrina 106 il ruolo che il professionista
assume
è molto delicato, “… perché
da una parte
condiziona i comportamenti dei creditori, e dall’altra
incide
in
misura
de terminante
sull’indagine
che
spetta al Giudice. E’ chiaro alloro, che, in relazione
a questi compiti,
una parte
decisiva è giocata dalle
responsabilità”.
A ciò si aggiunga
disciplina
norme
di
contenute
106
il dato rappresentato
dalla
normativa di riferimento, derivante dalle
diritto
nella
pubblico,
legge
quali
fallimentare
sono
protesa
Fagiani, Diritto fallimentare. Principi e regole, Bologna 2010.
124
quelle
alla
soluzione
di
plurimi
concorsuali ed
e
configgenti
interessi
alla disciplina, anche penale, delle
evidenziate patologie.
Oltre
che
dalla
natura
pubblicistica
fallimentare, in capo al professionista
pubblico ufficiale, si potrebbe
del
la
diritto
natura di
ricava dal fatto che
egli può essere chiamato a rispondere – ex art. 162
l.f. - alle richieste di integrazione del Tribunale; in
tal caso si viene a determinare una relazione, assai
più stretta e qualificata con il Tribunale, al quale in
sostanza, il professionista fornisce una risposta ad
una precisa richiesta di integrazione..
In tale particolare fattispecie il professionista viene,
in definitiva, a rivestire una funzione di consulenza
(seppure impropria) a favore
l’incarico
anche
i
della procedura,
e
originario di natura privatistica assume
connotati
pubblicistici,
con
le
possibili
responsabilità descritte dall’art. 64 c.p.c.
Tale considerazione rileva -
indubbiamente - anche
per qualificare la natura della relazione
resa dal
professionista:
egli
ritenuto
soggetto
certificazione
negarsi
anche
nell’ipotesi
privato,
sia
nel
mendace,
la configura bilità
in
cui
caso
in
sia
cui
difficilmente
la
potrà
della la fattispecie di cui
all’art. 483 c.p., in quanto la relazione è diretta al
Tribunale ed è
destinata a provare la veridicità dei
dati aziendali.
In
ogni
caso
-
deve
richiamarsi
consulenza nell’interesse
fatto,
svolge
il
la
funzione
di
della procedura che, di
professionista;
discorso
che
non
risulta infondato se si considera che, per quanto
attiene
alla
limitrofa
disciplina
125
del
piano
di
risanamento, l’art. 67 comma 2 lett. d)
dispone un
richiamo espresso all’art. 2501 bis c.c., il quale a
sua volta rinvia alla
figura dell’esperto suscettibile
di sanzione penale (sia a titolo di consapevole falsità
peritale
sia
a
titolo
di
colpa
grave
redazione) ex art. 64 c.p.c., essendo
consulente tecnico
nella
sua
parificato al
nominato nel processo civile dal
giudice.
Del resto – come sopra ampiamente osservato - è
proprio sulla base di tale attestazione di “veridicità”
del professionista che
viene effettuato un primo
giudizio di ammissibilità
tanto
da parte del Tribunale,
che si è evidenziato
che
“ … la relazione,
essendo diretta a sostituire l’attività istruttoria del
Tribunale
e
a
garantire
che
i
creditori
siano
adeguatamente e correttamente informati sugli esatti
termini della proposta, non può essere un ...mero
atto di fede dei dati aziendali”. 107
Tende – peraltro - a ridimensionare il ruolo e la
valenza della relazione del professionista la soluzione
giurisprudenzia che pur dando atto del “tentativo di
"qualificare" il "piano" per il concordato preventivo e
le sue allegazioni” ril eva come “... Legislatore non ha
sanzionato sotto alcun profilo – viceversa tipico delle
attività
"fidefacienti"
–
la
responsabilità
del
professionista di cui all’art.28, incaricato dal debitore
perché
attesti
la
veridicità
dei
dati
aziendali
ivi
riportati e la fattibilità del piano concordatario: ne
deriva che gli elementi forniti dai suddetti documenti
(individuati sub art.161 co2° cit.) costituiscono la
107
Cfr. in tal senso Tribunale di Torino 30 novembre 2006.
126
base primaria per le fasi successive della procedura,
ma che – salvo costituire un prezioso contributo
critico
sull’attendibilità
dei
valori
contabili,
un
approfondimento ed un chiarimento sull’entità delle
risorse a disposizione, ecc. – anche la relazione di
cui
all’art.161
"livello"
degli
co.3°
altri
assume
atti
cui
rilievo
si
al
medesimo
riferiscono
le
sue
valutazioni. 108
Pertanto,
è evidente che, se al professionista che
redige la relazione ex art. 1616 l.f., viene demandata
l'attestazione della veridicità dei dati aziendali, tale
ccertificazione non può che essere il risultato di una
verifica puntua le ed analitica dei medesimi e quindi
anche delle scritture contabili aziendali.
14.
d)
La
fattibilità
del
“piano”
proposto
dal
debitore.
Come sopra evidenziato, un altro elemento essenziale
della relazione
ex art. 161 l.f. è costituito
dalla
dichiarazione di fattibilità del piano concordatario.
Il
professionista
fattibilità
del
piano
deve
altresì
proposto
certificare
dal
problema della fattibilità
è, tuttavia,
collegato
del
al
contenuto
infatti come per il passato,
piano
la
debitore.
Il
direttamente
concordatario:
il piano potrà
avere un
contenuto liquidatorio oppure – in una prospettiva di
prosecuzione dell’attivitù imprenditoriale estrinsecarsi
in una
proposta di
potrà
ristrutturazione
sia dell’attività aziendale che del debito.
Cfr. Tribunale Bologna, dec. 15 novembre 2005, Pres. De Robertis, est.
Florini, in www.giuremilia.it.
108
127
In
t ale
ultima
esprimere
le
ipotesi
proprie
considerazione
gli
il
professionista
valutazioni
elementi
su
dovrà
prendendo
cui
si
in
fonda
il
processo di ristrutturazione aziendale; in particolare
dovranno essere
esposte le scelte strategiche che
l’impresa dovra` adottare, gli eventuali cambiamenti
da
apportare
al
management,
attraverso
una
sostituzione o l’affiancamento con specialisti esterni,
i beni strumentali che l’azienda intende dismettere,
esaminando al tempo stesso i fattori esterni che
potrebbero
in
un
qualche
modo
influenzare
o
addirittura impedire la regolare attuazione del piano
stesso.
Analoghe considerazioni
con
riferimento
relativamente
dovranno essere espresse
concordato
alle
poste
liquidatorio,
attive
destinate
al
pagamento dei creditori.
In ogni caso
il professionista,
all’interno della
relazione, dovrà esplicitare tutte le incertezze ed i
punti critici del “piano”, così
destinatari
ed
che i
creditori (cioè i
utilizzatori finali del documento)
possano comprenderne e valutarne i rischi correlati
e,
quindi,
affrontare
responsabilmente
le
proprie
scelte. 109
Anche con riferimento al concetto di “fattibilità” non
sono
mancate
indicazioni
ed
elaborazioni
giusprudenziali.
Partendo dalla premessa che “.. l’art. 161 l.f. onera il
ricorrent e
di
produrre
-oltre
a
una
relazione
Cfr. Madrioli, Il Piano di ristrutturazione nel concordato preventivo tra
profili giuridici ed aspetti aziendalistici, in Il Fallimento, 2005, pag. 1341.
109
128
rappresentativa
della
economica
e
analitico
estimativo
situazione
finanziaria
patrimoniale,
dell’impresa,
delle
allo
attività,
stato
all’elenco
nominativo dei creditori e dei rispettivi crediti ed
all’elenco dei titolar i di diritti reali o personali sui
beni
appartenenti
o
posseduti
dal
debitore -
una
relazione redatta da un professionista che attesti la
veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano”,
si è statuito in termini generali
che “… secondo
quanto previsto dall’art. 163 la completezza e la
regolarità
della
relazione
del
professionista
condizionano, dunque, l’ammissibilità della proposta
concordataria”.
Il Tribunale di Bologna, con completa ed esauriente
motivazione, ha analizzato
dal
professionista
il nuovo “ruolo” assunto
nell’ambito
della
procedura,
precisando come le dimensioni valutative interessate
dal
giudizio
di
completezza
documentazione
possano
della
a
corredo
e
regolarità
della
della
proposta
non
semplicisticamente ricondursi al riscontro
sussistenza
ingresso
“…
di
mere
dovendo
condizioni
pur
sempre
formali
il
di
tribunale
procedere – nella sommarietà e nei limiti della fase –
ad
un
sindacato
valutazioni
di
indicate
presiedono.
In
ricompone
solo
interpretativo
correttezza
e
dei
sintesi
criteri
il
in
nel
crisi,
coerenza
che
quadro
all’interno
che
dell’imprenditore
,
e
di
stesse
normativo
un
valorizzare
ne
alle
delle
àncori
si
percorso
l’iniziativa
comunque
l’azione a requisiti di razionalità concorsuale quali
evidenziati: a ) della comple tezza e della regolarità
della documentazione, quale necessario strumento
129
informativo capace di assicurare stabilità e coerenza
alla
proposta
concordataria
e
di
veicolare
sulla
stessa il consenso consapevole del ceto creditorio: in
tal
senso,
l’aggiornata
relazione
sulla
situazione
patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa, lo
stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco
nominativo dei creditori, con l’indicazione analitica
dei crediti e delle cause di prelazione, l’elenco dei
titolari
di
diritti
propongono
reali,
come
il
valore
elementi
dei
beni
inscindibili
si
della
proposta, in quanto parti di una " rappresentazione
cognitiva" che si vuole votata a criteri di assoluta
chiarezza e precisione, ulteriormente asseverati quali
imprescindibili
nella
cardini
relazione
attestazione
fattibilità
del
del
del
metodologie
razionalità
concorsuale
professionista;
professionista
piano
di
di
operata
valutazione
b)
della
dalla
veridicità
secondo
criteri
comunemente
e
e
censite
dalla scienza aziendale pe r il governo delle crisi di
impresa, il cui erroneo e/o incompleto e/o lacunoso
utilizzo
si
traduce
nella
inammissibilità della proposta”.
dichiarazione
110
Da parte del Tribunale bolognese si
precisava,
tale
relazione
prospettiva,
che
“…
di
la
in
del
professionista, in applicazione dei principi di scienza
aziendale,
non
può
limitarsi
ad
una
generica
attestazione di veridicità dei dati aziendali e ad
un’indicazione
fattibilità
del
piano,
ma
deve
evidenziare: a) quanto alle risultanze contabili, gli
In tal senso cfr. anche Trib. Monza, 16 ottobre 2005; Trib Palermo 17
febbraio 2006 Trib. Bologna 17 novembre 2005; Trib. Pescara 20 10. 2005;
Trib. Salerno 3 giugno 2005; Trib. della Spezia 23 febbraio 2006.
110
130
estremi dell’analisi compiuta, i riscontri operati, i
criteri valutativi seguiti, la loro coerenza con le
cause
e
circostanze
del
dissesto;
b)
quanto
al
giudizio di fattibilità, gli estremi di coerenza con le
cause
e
circostanze
del
dissesto
individuate,
la
valutazione comparata di possibili ipotesi alternative,
l’indicazione
di
obiettivi,
risorse
e
strategie
che
permettono all’impresa il recupero di una condizione
di equilibrio per i piani di risanamento, e, per le
liquidazioni,
gli
elementi
di
certezza
che
ne
concretizzano nel tempo i valori dedotti a fondamento
della
indicata
misura
reale
soddisfazione
e
vincolo
concordataria.
In
del
negoziale
altri
termini,
ceto
creditorio,
della
proposta
l’attestazione
di
veridicità dei dati aziendali e di fattibilità del piano
deve costituire momento di coerente esplicazione di
un’attività
professionale
specifica,
capace
di
veicolare un’estesa e coerente rappresentazione dello
stato di crisi dell’impresa, delle sue cause fondative,
e della loro integrazione nel giudizio di fattibilità, che
si pone come "luogo specifico" di sintesi valutativa
degli elementi conoscitivi esaminati”.”. 111
L’esigenza – sia in ordine alla veridicità dei dati
aziendali che della fattibilità del piano concordatario
-
di una relazione analitica e completa da parte del
professionista
è
stata
Tribunale di Roma 112,
evidenziata
anche
dal
il quale, dopo aver premesso
Cfr. Tribunale di Bologna, decreto de l 17 febbraio 2009, Pres. est.
Vecchio, in www.Giuremilia.it, nonché
Corte Appello Bologna 27 giugno
2006, in Fall., 2007 pag. 661.
111
Cfr. Tribunale Roma, 30 giugno 2008, Pres. Russo, est. La Malfa, in
www.ilcaso.it, sez. I, pag. 1508.
112
131
che l’entrata in vigore del decreto “correttivo” ha
risolto il nodo dell’estensione dei poteri di controllo
del Tribunale nella fase di ammissione alla procedura
di concordato preventivo, ha evidenziato come “…
precedentemente a questa ulteriore modifica questo
tribunale
aveva
preso
posizione
favorevole
all’esercizio di un controllo di merito sulla veridicità
dei
dati
esposti
e
sulla
fattibilità
del
piano,
basandosi sulla struttura e natura dell’istituto, in
cui
ancora
sono
presenti
precisi
connotati
pubblicistici, sulla presenza di un piano che, in
quanto tale deve essere connotato da veridicità e
fattibilità (con conseguente riconducibilità di questi
elementi alla qualifica di condizioni dell’azione), sulla
presenza di vari dati testuali e logici a favore (la
mancata abrogazione dell’art. 173; la previsione d’un
giudizio di merito del tribunale in caso di concordato
con
suddivisione
legittimazione
alla
dei
creditor i
costituzione
in
in
classi;
giudizio
la
dei
creditori dissenzienti e di “qualsiasi interessato”; la
previsione nel comma secondo dell’art. 180 l. fall. dei
poteri istruttori d’ufficio; la previsione dell’art. 180
del
deposito
del
parere
del
commissario),
sulla
necessità della relazione del professionista ex art.
161 sulla veridicità dei dati aziendali e la fattibilità
del piano medesimo ed infine sulla sicura presenza
nella
fase
successiva
all’ammissione
di
poteri
di
controllo di merito ex art. 173 l.f.”
Secondo il Tribunale di Roma, pertanto, la
novella
entrata in vigore nel gennaio 2008 “… conferma e
precisa ulteriormente tali elementi, rafforzando la
tesi sopra riassunta. Anzitutto, l’esplicita indicazione
132
dell’art. 162 l. f. che il Tribunale, decidendo in sede
d’ammissione, deve verificare i presupposti previsti
dall’art. 161, e dunque anche la veridicità dei dati
aziendali e la fattibilità del piano. In secondo luogo,
l’abrogazione nell’art. 163 dell’inciso “verificata la
completezza e la regolarità della documentazione”,
cui
la
dottrina
riconducevano,
normativa
e
la
sul
di
giurisprudenza
piano
restringere
il
letterale,
campo
contrarie
la
volontà
d’indagine
del
tribunale alla sola correttezza formale e documentale
della proposta. In terzo luogo, la circostanza che il
legislatore, nonostante l’acceso dibattito dottrinario e
giurisprudenziale
della
tesi
del
sul
punto
controllo
di
con
netta
fattibilità,
prevalenza
non
si
sia
espresso in favore della tesi opposta”.
L’importanza
dei dati contenuti nella relazione del
professionista
relativa
che accompagna il “piano”
assunzione
di
responsabilità
sottoscrizione della relazione) è stata
anche
aver
(e la
con
la
analizzata
da parte di attenta dottrina,113 la quale, dopo
promesso
indicato
che
il
dall'articolo
compito
161
del
terzo
professionista
comma
legge
fallimentare consiste nella redazione di una relazione
attestante
la
veridicità
dei
dati
aziendali
e
di
fattibilità del piano che, per sua natura è sottoposta
al sindacato del tribunale, ha
evidenziato come
l'attestazione di veridicità dei dati aziendali “… non
possa
limitarsi
ad
un'assicurazione
di
corrispondenza tra i dati indicati nel piano proposto
Cfr. Patti, Quale professionista per le nuove soluzioni della crisi di
impresa: alternative al fallimento, in Fallimento, 2008, in particolare pag.
1071 ss.
113
133
dall'imprenditore
e
la
sua
contabilità,
dovendone
piuttosto garantire l'esattezza con illustrazione dei
criteri e delle metodologie seguite nel procedimento
di revisione e ciò sulla base di un attento e critico
scrutinio del bilancio e delle scritture contabili che
dia conto anche delle modalità della loro tenuta in
funzione della finalità in formativa e di tutela dei
creditori della relazione, pure senza l’analiticità di
una revisione contabile non esigibile né richiesta dal
tenore
letterale,
oltre
che
dallo
spirito
della
normativa”.
Con particolare riferimento all'aspetto della fattibilità
de l piano, la relazione dovrà essere coerente motivata
e completa, così “… da essere idonea a dare conto di
conclusioni coerenti con le premesse poste in modo
documentato e ragionato, illustrare il percorso di
ristrutturazione
fornendo
o
di
adeguata
finanziarie
ed
soddisfazione
indicazione
economiche
dei
delle
congruenti
creditori,
risorse
con
il
fabbisogno stimato, in funzione di una ed esaustiva
ed argomentate informazione dei creditori in vista
della loro votazione”.
Si può pertanto affermato che il giudizio di fattibilità
contenuto nella relazione ex art. 161 l.f. consiste in
un giudizio professionale di alta probabilità “… e
quindi
di
ragionevolezza,
caratterizzato
da
discrezionalità tecnica e si qualifica per la razionale
prospettazione degli aspetti di criticità del piano e
degli
interventi
dalle
esigenze
correttivi
di
eventualmente
rimodulazione
134
per
richiesti
sopravvenuti
mutamenti delle condizioni originarie nell'esecuzione
del concordato”.
114
Si ritiene, pertanto, in dottrina che “…e` solo dopo
aver evidenziato i «profili di discontinuita`» che il
piano presenta rispetto al passato e, quindi, alla
precedente
modalita`
di
gestione
dell’azienda,
e
proceduto ad una specifica illustrazione delle «idee»
che
sono
alla
rappresentano
quest’ultimo
base
in
e`
del
realta`
piano
le
fattibile…..,
medesimo
che
ragioni
per
che
professionista
il
le
e
quali
potra` pronunciarsi sulla concreta attuabilita` del
piano”. 115
In altre parole, mentre il “piano” deve illustrare in
modo sintetico, attraverso l’utilizzo dei numeri, gli
interventi a medio e lungo termine che l’imprenditore
intende attuare sulla struttura economico-finanziaria
della societa`, la relazione del professionista dovrà
rappresentare una illustrazione tecnica delle scelte
operate
dall’imprenditore
medesimo
ed
un
provenienti
dalla
chiarimento in ordine alla loro validità.
Sulla
scorta
di
tali
indicazioni
dottrina si è affermato che “… relazioni generiche,
approssimative, immotivate o meramente ripetitive
delle
previsioni
del
piano
proposto
dal
debitore,
senza alcuna valutazione critica e ragionata dello
stesso, non possono superare il vaglio di completezza
e regolarità rimesso al Tribunale”. 116
114
Cfr. Patti, op. cit. pag. 1072.
115
Cfr. Mandrioli, op. cit. pag. 1341.
Cfr. Tribunale di Piacenza, 27 ottobre 2005 (decreto) in Giur. di merito,
2009, pag. 149, con nota di P.G. Traversa, ivi, pag. 160 ss.; nonché nello
stesso senso Tribunale di Pescara, 20 ottobre 2005, in Il diritto
116
135
Alla luce di questo nuovo scenario normativo ci si
deve,
dunque,
professionista
domandare
in
ordine
se
alla
l’attestazione
veridicita`
ed
del
alla
fattibilita` del piano sostituisca il controllo di merito
che
caratterizzava,
nel
vigore
della
previgente
disciplina, l’omologa da parte del Tribunale, oppure
se tale controllo di merito possa, ancora oggi, essere
desunto dalla
formulazione dell’art. 177, secondo
comma, legge fallimentare.
14.
e)
La
responsabilità
del
professionista
attestatore
Da parte di alcuni autori si è osservato
profesionista, sottoscrivendo la relazione,
come il
assurge a
ruolo di garante della fede pubblica, prospettando la
sussistenza di un rischio penale per colui che rediga
una
relazione
medesimo
la
falsa,
individuando
posizione
di
in
pubblico
capo
al
ufficiale
ex
articolo 357 codice penale. Non potendosi revocare in
dubbio
di
che le norme che disciplinano la procedura
concordato
quelle
di
preventivo
diritto
prospettiva,
sarà
pubblico,
nel
siano
la
senso
annoverabili
tendenza,
di
in
considerare
tra
tale
il
professionista in questione pubblico ufficiale, perché
munito di poteri certificativ i.
Deve
essere
ricordato,
a
questo
proposito,
l’insegnamento giurisprudenziale più recente secondo
cui, integra il reato anche l’omessa indicazione di
fallimentare, 2006II, pag. 101 ss. Va peraltro segnalato che il Tribunale di
Salerno ha affermato che anche in sede di ammissione alla procedura
spetta al Tribunale un controllo di merito. Cfr. Tribunale di Salerno, 3
giugno 2005, in Il Fallimento, 2005, pag. 1297.
136
debiti, oppure la sopravvalutazione di beni e quindi,
pertanto, la simulazione o la dissimulazione anche
parziale dell’attivo o del passivo. Si tratta di condotte
che,
alterando
il
risultato
finale
della
situazione
patrimoniale al momento della proposta, comportano,
automaticamente,
un’attribuzione
di
attivo
ideologicamente falsa.
14. f)
La responsabilità civile del professionista
Si è già evidenziata
che
la delicatezza del compito
del professionista che deriva dal costituire, quanto
meno
nella
domanda,
(prima)
la
garanzia
fase
di
presentazione
pressoche´
esclusiva
della
per
i
creditori. 117
Da ciò deriva
il problema della
accertamento
tanto
importante
affidabilità di un
lasciato
alla
disponibilita` del debitore, sia pure nella prospettiva
della corresponsabilità del professionista incaricato.
In tale prospettiva si colloca
responsabilità
di
il delicato tema della
quest’ultimo
nei
confronti
dei
creditori che hanno fatto affidamento alle indicazioni
contenute nella relazione dallo stesso redatta.
14. g) La responsabilità penale del professionista
incaricato
Se si ritiene che una delle principali garanzie per i
creditori in ordine alla serieta` della proposta di
concordato
117
preventivo
sia
rappresentata
Cfr. Patti, Il sindacato , op. cit. pag. 1022.
137
dalla
relazione
del
fattibilità
del
professionista
piano
e
che
la
certifica
veridicità
dei
la
dati
aziendali, allora si deve concludere nel senso che in
capo
al
medesimo
si
configura
una
precisa
responsabilità.
L’aspetto
della
individuazione
di
una
particolare
responsabilità in capo al professionista che redige la
relazione ex art. 161 l.f. è statao esaminato dal
Tribunale di Bologna,118 secondo cui, tuttavia “…pur
emergendo il tentativo di “qualificare2 il "piano" per
il C.P. e le sue allegazioni, il Legislatore non ha
sanzionato sotto alcun profilo – viceversa tipico delle
attività
"fidefacienti"
–
la
responsabilità
del
professionista di cui all’art.28, incaricato dal debitore
perchè
attesti
la
veridicità
dei
dati
aziendali
ivi
riportati e la fattibilità del piano concordatario: ne
deriva che gli elementi forniti dai suddetti documenti
(individuati sub art.161 co.II cit.) costituiscono la
b a se primaria per le fasi successive della procedura,
ma che – salvo costituire un prezioso contributo
critico
sull’attendibilità
dei
valori
contabili,
un
approfondimento ed un chiarimento sull’entità delle
risorse a disposizione, ecc. – anche la relazione di
cui
all’art.161
"livello"
degli
co.III
assume
altri
atti,
rilievo
cui
si
al
medesimo
riferiscono
le
valutazioni affidate al Tribunale”.
Da parte di altra giurisprudenza si è invece ritenuta
sussistente la natura fideifacente della relazione del
professinista ex art. 161 l.f.
con la conseguenza
di
Cfr. Tribunale di Bologna, 17 ottobre 2006, decre. Pres. Pilati, est.
Florini, in wwwgiuremilia.it.
118
138
individuare una condotta
penalmente rilevante
nel
comportamento di colui che dolosamente ometta di
indicare passività
del soggetto i cui dati di bilancio
sono stati verificati; in particolare si è affermato che
“...
la
qualità
relazione
al
penultimo
"fidefaciente"
piano
di
comma,
dell’incaricato
fattibilità
l.f.,
-
ex
novellato
-
art.
la
161,
impone
la
trasmissione del presente provvedimento al Pubblico
Ministero per la valutazione degli eventuali profili di
rilevanza penale”. 119
Con riferimento a tale specifico aspetto, in dottrina 120
si è rilevato come i
profili di maggiore interesse
connessi alla riforma del concordato preventivo ed ai
riflessi di
co.
2
essa sulla fattispecie di cui all’ art. 236
l.
fall.
concernono
bancarotta
c.d.
preferenziale
relazione
all’
art.
astrattamente
di
omologazione,
216
agli
che
abbia
della
223
co.
1
co.
3,
l.
fall.)
nel
obblighi
concordato
figura
(art.
configurabile
inadempimento
proposta
la
e
caso
derivanti
dal
in
di
dalla
decreto
di
comunque comportato,
nella fase successiva all’ omologazione, l’ esecuzione
di pagamenti
costituire
o di
diritti
di
altre
operazioni
prelazione
o
idonee
a
trattamenti
preferenziali in violazione del principio della par
condicio
creditorum,
“… soprattutto
Cfr. Tribunale Modena, dec. 13 ottobre 2006,
Bruschetta in ww.giuremilia.it.
119
qualora
il
Pres. De Marco, est.
Cfr. Bruno, Le responsabilità civili e penali degli organi amministrativi
e di controllo nella gestione della crisi di impresa e dell’insolvenza, in atti
del convegno di studi del CSM La riforma del diritto societario, e
fallimentare, nella prospettiva interdisciplinare, Roma, 14- 16 luglio
2008, pag. 13 e ss. dattiloscritto.
120
139
consenso
dei
creditori sia stato fuorviato da una
inesatta rappresentazione della realtà aziendale, con
riflessi
anche
in
ordine
alla
“fattibilità”
del
p i a no attestata nella relazione del professionista,
ai sensi dell’ art. 161 l. fall.
Osserva la citata dottrina come in
certificazioni non
(in caso di
161
l.f.)
caso di false
potrà concretamente configurarsi
false attestazioni nella relazione ex art.
la
possibilità
di
un
concorso
del
professionista con l’imprenditore nel reato di cui
all’articolo
236,
comma
primo,
della
legge
fallimentare che punisce, con la reclusione da uno a
cinque anni, l’imprenditore che, al solo scopo di
essere
ammesso
alla
procedura,
si
sia
attribuito
attività inesistenti oppure che, al fine di influire
sulla formazione delle maggioranze, abbia stimato
crediti in tutto o in parte inesistenti.
Da
parte
evidenziato
della
citata
come
inadempimento
del
dottrina
in
tutti
si
i
è
casi
concordato
–
peraltro in
cui
consegua
dichiarazione di fallimento, le condotte - in
all’
la
linea di
principio sussumibili (anche) nella previsione dell’
art. 236 co. 2 l. fall. - resterebbero
delitto di bancarotta
mentre
assorbita nel
ex art. 216 co. 3 l. fall. 121,
nulla impedirebbe
la configurabilità
del
Cfr. Cass. Sez. V, 24 ottobre 2007 n. 39307, CED, rv. 238183 per la
quale “In tema di bancarotta fraudolenta, nel caso in cui alla
ammissione alla procedura di concordato preventivo segua la
dichiarazione di fallimento, il concorso di norme tra l’ art. 236, comma
secondo, n. 1 l. fall. e l’ art. 223 l. fall. va risolto utilizzando il principio di
specialità, con l’ applicazione de lla fattispecie di bancarotta fallimentare.
Ne consegue che la prescrizione decorre dalla sentenza dichiarativa di
fallimento”.
121
140
reato
citato in caso di prosecuzione della procedura
concordataria.
Accanto
a
tali
configurabile
figure
di
reato
si
è
ritenuta
potenzialmente anche la fattispecie di
bancarotta c.d impropria da reato societario (art. 223
co. 2 n. 1 l. fall.), della quale
amministratori,
i
liquidatori
concorso
i
di
a
direttori
società
generali,
che
cagionare,
il
commettendo alcuno dei
rispondono
i
sindaci
gli
ed
abbiano “cagionato, o
dissesto
della
società,
fatti previsti dagli articoli
2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e
2634 del codice civile”.
La
dottrina
rigorose
ha
tuttavia
soluzioni
evidenziato
presentino
come
tali
aspetti
di
problematicità 122, in quanto si fa riferimento
ad
operazioni 123
di
in
forza
della
quali
credito, solitamente creditori
difficoltà finanziaria
gli
istituti
di imprenditori in
erogano
nuova
liquidità
allo scopo di costituirsi un titolo privilegiato di
soddisfacimento
del
credito
fallimento,
subordinando
mutuata
all’
esposizione
l’
estinzione
debitoria.
La
nell’
utilizzo
della
ipotesi
delle
di
somme
precedente
“liberalizzazione”
del
contenuto del piano – le cui previsioni, come è
Cfr Bruno, Le responsabilità civili e penali degli organi amministrativi
e di controllo nella gestione della crisi di impresa e dell’insolvenza, in atti
del convegno di studi del op. cit..
122
Cfr. Cass., sez. V, 2 marzo 2004, Manfredini ed altro, in Foro it., 2005,
II, 32 ss. “Risponde a
titolo di concorso nel reato di bancarotta
preferenziale il funzionario di banca che, dopo la concessione di un
mutuo non coperto da garanzie ad imprenditore successivamente
divenuto insolvente, determini la trasformazione del credito già
chirografario in credito privilegiato mediante concessione di mutuo
fondiario, assistito da garanzia ipotecaria, destinato a ripianare l’
esposizione debitoria del conto corrente.
123
141
stato osservato, “…possono comprendere le forme
del
vecchio
concordato
preventivo
(pagamento
di
una percentuale, garantito da terzi; cessione dei
beni ai creditori; intervento di un assuntore) ma
possono
dare
spazio
ad
architetture
fina nziarie
anche molto complesse, con ricorso ad operazioni
straordinarie,
alla
costituzione
di
nuove
società,
alla trasformazione diretta o indiretta dei crediti
in
capitale
creditori,
di
o
a
società
obbligazioni…,
alla
da
attribuzione
ai
partecipati
di
questi
strumenti
debito…” può
frequenti,
rischio,…
finanziari
o
titoli
di
sicuramente rendere tali reati
attesa
l’
esigenza
di
attuazione di esso con l’
apporto
assistenza
mediante
finanz iaria,
più
sostenere
di
l’
ulteriore
intese
e
pattuizioni (che come la cronaca giudiziaria insegna
non sono sempre lecite)
con
le
banche,
che
peraltro costituiscono – nella maggior parte dei casi il comparto più significativo del ceto creditorio.
E’
fisiologico in tali fattispecie il pericolo di una
alterazione della par condicio creditorum, e quindi in
presenza
del
dolo
specifico
richiesto
dalla
incorrere
nelle
fattispecie - la
possibilità
di
previsioni
bancarotta
preferenziale 124,
della
che
La fattispecie di cui all’ art. 216, terzo comma, l. fall. (bancarotta
preferenziale) si riferisce al fallito che esegue pagamenti o simula titoli di
prelazione allo scopo di favorire, a danno di altri creditori, alcuni di essi.
Occorre quindi – quanto all’ oggetto del reato – la violazione della “par
condicio creditorum” nella procedura fallimentare e, in relazione all’
elemento psicologico, il dolo specifico, costituito dalla volontà di recare un
vantaggio al creditore (o ai creditori) soddisfatto, con l’ accettazione
della eventualità di un danno per gli altri”, Cass., sez. V, n. 7230
del 5 luglio 1991 (ud. 28 maggio 1991), n. 7230, CED, rv. 187698,
ed in Riv. pen., 1992, p. 38 ss. Sull’ esclusione della bancarotta
preferenziale nell’ ipotesi di pagamento di creditori privilegiati, Cass.,
sez. V, 5 luglio 1991 (ud. 28 maggio 1991), n. 7230, in CED, rv. 187698
non assistito da garanzie, venendosi in tal modo ad alterare la par condicio
124
142
costituisce
“…la
vera insidia di tutte le soluzioni
“privatistiche” o concordate della crisi d’ impresa,
suscettibile di inaspettate contorsioni interpretative”
E’
pertanto
evidente
responsabilità
p r e senza
del
che
potrà
professionista
di dati sintomatici
illecita, ometta (dolosamente)
sua relazione. Da
prospettato
al
configurarsi
che
pur
in
di tale situazione
di evidenziarli
nella
parte di altra dottrina è
riguardo
la
–
stato
valorizzando
il
collegamento tra la nuova disciplina della azione
revocatoria
fallimentare,
pagamenti
e
esecuzione
co.
3,
le
del
lett.
che
garanzie
“posti
concordato
e,
l.
esclude
della
in
fall.),
e
potenzialità
atti,
essere
preventivo”
bancarotta c.d. preferenziale – un
elisione
gli
le
i
in
(art.
67,
ipotesi
di
radicale effetto di
offensiva
di
tali
operazioni, con riflessi sulla stessa antigiuridicità
del fatto, sul presupposto che “… la riforma momento
in
adempimenti
cui
esclude
delle
l’
inefficacia
obbligazioni,
elencati
nel
degli
e
tipizzati in guisa oggettiva dal “nuovo” art. 67, 3° co.,
sottraendoli
ipotizzare
diretto
un
alla
revocazione
effetto
riflesso
ablativo
nella
sfera
di
consente
questi
delle
atti
di
con
fattispecie
incriminatrice, anche con riguardo alla tutela della
“par condicio” dei creditori”
125
creditorum”. Nello stesso senso, Cass., 1° dicembre 1999, Garofano, in
Giur. it., 2002, 1259, con nota di Vinciguerra, Trasformazione del credito
chirografario in privilegiato e concorso in bancarotta preferenziale del
funzionario di banca, 2000, II, 91
Cfr Giunta, Riflessi penali della nuova disciplina del fallimento e delle
procedure concorsuali, in La riforma della legge fallimentare, cit., p. 1216,
per il quale “… l’ innovazione intervenuta in materia di azione revocatoria
pon(e) le premesse per una interpretazione dell’ art. 216, comma 3
125
143
In assenza di una specifica
riteniamo
disposizione di legge
preferibile, tuttavia,
in considerazione
dell’ autonomia della prospettiva di tutela penale
rispetto al piano civilistico, la soluzione che porta a
individuare
quando
sia intervenuto il consenso di
tutti i creditori alla proposta di concordato, che esso
si
configuri
operatività
ad
una
come
ed
scriminante 126
efficacia
corretta
situazione
una
e
è,
tuttavia,
veritiera
economica,
la
cui
subordinata
informazione
patrimoniale
e
sulla
finanziaria
della società e sulla fattibilità del “piano” proposto,
così
che la prestazione del consenso da parte dei
creditori
possa
effettivamente
consapevole ed informato.
di concodotte
dirsi
Al contrario
libero,
la presenza
omissive da parte del professionista
con riferimento ad alcuni aspetti della “veridicità”
dei
dati
ipotesi
di
o
della
“fattibilità”
responsabilità
,
(anche
potrà
configurare
al
fuori
di
delle
ispirata al criterio politico-criminale della sussidiarietà della tutela
penale. Quest’ ultimo, valorizzando in chiave ermeneutica il principio
costituzionale della pena come “extrema ratio”, porta ad escludere il
ricorso alla pena là dove, nei confronti del medesimo interesse, il
legislatore abbia chiaramente negato la meno intensa e costo sa tutela
extrapenale”.
Cfr. Insolera, Riflessi penalistici della nuova disciplina del
concordato preventivo e delle composizioni extragiudiziali della crisi d’
impresa, in Giur. comm., 2006, I, p. 468. Cfr. Romano, cit., sub art. 50
c.p., p. 536, secondo cui “… una volontà viziata da errore, dolo o violenza,
darà origine ad un consenso invalido ed inefficace” Ne consegue che,
qualora il mendacio nella documentazione e/o nella relazione
del professionista - che, a norma dell’ art. 106 l. fall., devono
essere allegate alla proposta di concordato - sia dolosamente
preordinato a costituire situazioni differenziali ovvero, nella fattispecie
sopra esaminata, a costituire titolo di prelazione in favore della
banca mutuante, consentendole di definire l’ esposizione debitoria
non assistita da garanzia - dovrà ritenersi integrato il delitto di
bancarotta preferenziale, con eventuale responsabilità concorsuale
della banca e/o del professionista.
126
144
ipotesi di
essere
concorso
con il debitore) di cui
potrà
chiamato a rispondere ex art. 236 l.f.
Pertanto il problema si collega, ancora una volta, al
contenuto
come
della relazione: è infatti indispensabile,
si
è
detto, da un lato che i dati contabili
esposti nella relazione siano
che
il
piano
abbia
veritieri e, dall’altro,
acquisito
il
consenso
della
maggioranza dei creditori, non essendo sufficiente, a
tal
fine,
l’
concordato
da
prevenire
intervenuta
parte
del
omologazione
tribunale,
del
inidonea
a
situazioni di lesione della par condicio
in
presenza di informazioni non genuine.
Va infatti segnalato – come l’esperienza pratica di
questi primi anni ha evidenziato – che
procedimento
di
oggettivament e
concordato
costituire
il
“nuovo”
preventivo
uno
può
strumento
per
precostituire e determinare situazioni di indebito
vantaggio
nei
confronti
di
alcuni
creditori,
con
pregiudizio di altri. Come si è detto, ai fini dell’
approvazione
il
pi a no
del
non
creditori
in
semplice
dei
legislatore
della
concordato
preveda
classi,
è
crediti
la
ammessi
il
al
la
di
dei
maggioranza
voto,
avendo
principio
maggioranza,
qualora
suddivisione
sufficiente
abbandonato
doppia
preventivo,
il
previgente
numero
e
di
somma. E’ perta nto possibile che il concordato risulti
approvato da una minoranza di creditori,
favorevoli rappresentano la maggioranza
ammessi al voto. In tale
di
intese
preventive
prospettiva,
tra
il
l’
debitore
se i voti
dei crediti
eventualità
e
taluni
creditori “forti” in pregiudizio di altri, con possibile
145
lesione
della
“par
condicio ”,
è
tutt’altro
che
infrequente.
Tale
aspetto
preventivo
patologico
risulta aggravato
interpretazione
contenuto
del
nuovo
concordato
se si pensa che
prevalente,
ed
in
l’
base
al
letterale dell’ art. 180 co. 4 l. fall. (“… Il
tribunale, se la maggioranza di cui al primo comma
dell’ art. 177 è raggiunta, approva il concordato
con
decreto
motivato”)
-
il
giudizio
di
omologazione che il tribunale deve emettere all’ esito
della camera di consiglio rappresenta – di fatto - un
atto
dovuto
in
presenza
maggioranza
dei
opposizioni),
così
creditori
che
potenzialmente essere
di
un
ristretto
verosimilmente
l’
controllo,
meramente
formale
mancanza
di
esdebitatorio può
di
credito)
della
alla mera decisione
attenuto
qualunque
in
effetto
gruppo
del
consenso
(ed
rimesso
ha
soddisfacimento
del
creditori
in
altro
al
che
di
non
sulla
(che
odo
il
fuori
di
sia
quello
verifica
del
raggiungimento del quorum , da parte degli organi
giudiziari.
Alla
luce
di
professionista
tali
considerazioni
la
assume una valenza
relazione
del
straordinaria
nell’economia informativa del concordato preventivo:
appare pertanto giustificato che
assuma rilevanza
penale – anche ai fini del giudizio di bancarotta
- il
mendacio
all’
espressamente
preordinato
induzione in errore dei creditori - o quantomeno
di
alcuni
consenso
di
sul
essi
piano
-
al
fine
di
acquisirne
il
proposto: in tale prospettiva
146
potrà configurarsi il concorso nel reato secondo gli
ordinari criteri di cui all’art. 110 c.p. 127
Per quanto concerne le fattispecie
fallimentari,
la
soluzione
diverse dai reati
interpretativa
è
condizionata dalle opzioni che si voglio accogliere in
tema
di
nello
qualifica
soggettiva
svolgimento
certificazione
ufficiale
o
e
di
del
della
quindi
dello
esercente
un
professionista
funzione
di
“status”
di
pubblico
servizio
di
pubblica
necessità.
Nel primo ca so - ed in relazione alla sola attività di
“attestazione” della veridicità dei
dati
contabili,
i
profili di responsabilità in ordine ai giudizi sulla
“fattibilità” del piano saranno
ipotesi
di
“abnormità”
“manifesta
delle
configurabile
il
ravvisabili
irragionevolezza”
valutazioni:
delitto
nell’
di
in tal caso
falsità
o
sarà
ideologica
commessa dal pubblico ufficiale.
Nella seconda ipotesi quello di cui all’ art. 481
c.p.,
in quanto la relazione deve essere presentata
da un soccetto
rientrante nella categoria
all’art.
e quindi di
28 l.f.
di cui
professione “…il cui
esercizio sia vietato per legge senza una speciale
abilitazione da parte dello Stato”.
A nostro avviso la soluzione
al professionista
al problema se in capo
che rediga la relazione
che
Cfr. Troyer Le responsabilità penali relative alle soluzioni concordate
nella crisi di impresa, in Riv. dott. commercialisti, 2008, I, pag. 111 ss.
Più in generale sul concorso del professionista nei reati economici, Perini,
La consulenza del commercialista e dei componenti del collegio sindacale
come compartecipazione alle violazioni contabili e fiscali dell’imprenditore,
in Fisco, 2003, , pag. 11475 ss.; Cass. pen. sez. v, n. 569, pres.
foscarini, est. Amato, 18 novembre 2003, in Impresa, c.i., 2005, pag.
1430.
127
147
accompagna il piano concordatario sia individuabile
una
qualifica pubblicistica passa attraverso
considerazione del ruolo
che
professionista: la
relazione
propedeutico
un
norme
di
ad
diritto
sembrerebbe
funzione,
assume
costituisce
procedimento
termini
di
non
tale
un atto
regolato
pubblico e, quindi,
investirlo
in
oggi
la
tale ruolo
una
dissimili
da
pubblica
dal
curatore
fallimentare, espressamente richiamat o per effetto
del rinvio contenuto nell’ art. 161 co. 3 l. fall.
all’ art. 28 l. fall. 128
Contro tale ricostruzione sono state mosse – tuttavia
- numerose
obiezioni, soprattutto
in relazione
alla fonte “privata” di derivazione della nomina.
In dottrina ha suscitato
di
ricondurre
esercizio
di
l’
attività
una
amministrativa,
perplessità
del
pubblica
giacchè
normativamente
la
la
professionista
funzione
all’
giudiziaria
relazione
prevista
possibilità
nell’
–
o
ancorché
ambito
del
procedimento di concordato – non può dirsi che
costituisca
manifestazione
riconducibile,
direttamente
o
di
volontà
indirettamente,
allo
svolgimento della giurisdizione, in assenza di una
investitura
specifica
“pubblica”
funzione,
né
del
professionista
tantomeno
alla
nella
pubblica
amministrazione.
Con riferimento poi
nella
“relazione
economica,
al problema di un mendacio
aggiornata
patrimoniale
e
sulla
situazione
finanziaria
della
Cfr. Sandrelli, La riforma della legge fallimentare: i riflessi penali, in
Cass. pen., 2006, 443, p. 1456.
128
148
società”
che
unitamente
il
debitore
è
tenuto
al ricorso e la cui
presentare
veridicità
dei dati
deve essere certificata dal professionista si è escluso
-
al di fuori delle ipotesi nelle quali potrebbero
ravvisarsi,
peraltro
per
il
solo
imprenditore
individuale, condotte rilevanti ai sensi del primo
comma
dell’
art.
236
l.
fall.,
sub
specie
di
“attribuzione di attività inesistenti” e di “simulazione
di crediti in tutto o in parte
inesistenti” – che esso
sia suscettibile di configurare
atte sa
l’
irrilevanza
ipotesi di reato,
penalistica
della
falsità
ideologica in scrittura privata.
Si sono – invece – ritenute
caso,
nella
relazione
una
informazione
del
fini
dell’
debitore
decettiva
“fattibilità” del piano gli
ai
configurabile, in ogni
che
in
contenga
ordine
alla
artitizi o raggiri rilevanti
integrazione
della
fattispecie
di
truffa.
Tali
conclusione
un
risposta
tutela
delle
domanda
di
non
sembra
soddisfacente
posizioni
dei
ammissione
peraltro
alle
creditori
al
costituire
aspettative
di
connesse alla
concordato preventivo
che avrebbero richiesto un contestuale intervento
sul versante delle fattispecie penali, in modo da
assicurare la trasparenza ed effettività delle
procedure di
soluzi one
concordata
delle
nuove
crisi
d’
impresa.
Come è stato osservato in dottrina e come ribadito
nelle pagine che precedono, “la
lascia
molti
opportunistici
del
debitore
spazi
o
o
per
addirittura
dei
nuova
comportamenti
“abusivi”
creditori”; appare
149
normativa
da
parte
pertanto,
urgente, oltre che una più generale rivisitazine delle
fattispecie penali
l’introduzione
della legge fallimentare 129, anche
di
specifiche
e
mirate
ipotesi
sanzionatorie per il debitore e per il professionista
che nell’ambito del concordato preventivo presentino
dati
contabili
falsi
al
fine
di
ottenere
il
voto
osservato che “…
una
favorevole dei creditori.
A questo proposito
si è
delle più gravi lacune della riforma (è costituita
dal) fatto di non aver modificato la disciplina penale
fallimentare,
per
correttezza
dei
apertura
con
e
renderla
idoneo
comportamenti
lo
presidio
connessi
svolgimento
delle
alla
con
l’
procedure
concorsuali”. Va comunque ricordato – come sopra
osservato - che è allo studio
una riforma anche di
tali aspetti
15.
La
responsabilità
del
commissario
e
del
liquidatore giudiziario nel concordato preventivo
15. a) La responsabilità del commissario giudiziale
L'art.
38,
legge
fall.,
sulla
responsabilità
del
curatore, è richiamato dall'art. 165, comma 2, che
disciplina
la
responsabilità
del
commissario
giudiziale nel concordato preventivo, dall'art. 182,
comma 2, che si applica al liquidatore dei beni
nominato per l'esecuzione del concordato preventivo,
e
dall'art.
commissario
199,
che
regola
liquidatore
la
nella
responsabilità
liquidazione
del
coatta
amministrativa. Occorre tuttavia tenere conto delle
129
Cfr. Troyer, op. cit. pag. 111.
150
peculiarità dei compiti nelle citate procedure rispetto
a quella del fallimento.
Ai sensi dell'art. 165, comma 1, legge fall., con
norma
che
concordato
ripete
nel
preventivo
contenuto
il
l'art.
commissario
30,
nel
giudiziale ,
nell'esercizio delle sue funzioni, è pubblico ufficiale.
Pur
applicandosi
la
disciplina
tratteggiata
a
proposito della responsabilità del cur atore, va tenuto
in debito conto, sul piano degli eventi causativi di
responsabilità,
che
le
funzioni
del
commissario
giudiziale non sono gestorie, ma prevalentemente di
vigilanza
(art.
167,
comma
1),
per
cui
la
sua
responsabilità può più adeguatamente accostarsi a
quella
di
un
sindaco
anziché
a
quella
di
un
amministratore.
In
dottrina
trovare
si
afferma
applicazione
esclusiva
e
di
i
pertanto
concetti
che
dovrebbero
di
responsabilità
responsabilità
concorrente
(quest'ultima con quella degli amministratori della
società debitrice), elaborati dalla dottrina in tema di
art. 2407 c.c., rispettivamente al comma 1 e al
comma
2,
con
la
facoltà,
quindi,
nel
caso
di
responsabilità concorrente, di chiamare in causa i
suddetti
amministratori
per
esercitare
la
rivalsa
risarcitoria
In dottrina 130 si è acutamente osservato che
nel
concordato preventivo mancano per il commissario
giudiziale gli obblighi di tenere un registro contabile
previamente vidimato, di elaborare e sottoporre al
comitato dei creditori il programma di liquidazione
130
Cfr. Verna op. cit.
151
(anche perché non è previsto il comitato dei creditori
se non dopo l'omologa e nel caso di cessione dei beni)
e di depositare il rendiconto.
Pertanto
il
commissario
giudiziale
dovrà
essere
particolarmente diligente nell'accertare se il debitore
abbia
«occultato
o
dissimulato
parte
dell'attivo,
dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti,
esposto passività insussistenti o commesso altri atti
di
frode»;
in
queste
immediatamente
p r evisto
dall’
al
art.
circostanze
tribunale
173,
comma
dovrà
riferirne
secondo
2)
e,
quanto
in
quanto
pubblico ufficiale, ha l'obbligo, nel caso in cui ravvisi
il
compimento
denunciare
i
di
fatti
reati
al
perseguibili
pubblico
d'ufficio,
ministero
o
a
di
un
ufficiale di polizia giudiziaria (art. 331, comma 1 e 2,
c.p.p.).
L'azione di responsabilità potrà
essere esercitata
contro di lui dai creditori, anche singolarmente, dal
debitore e dal curatore del fallimento succedutosi,
ma non anche dal nuovo commissario giudiziale,
proprio perché questi è privo di poteri gestori e di
rappresentanza.131
15. b) La responsabilità del liquidatore
Il richiamo all'art. 38 legge fall. è fatto proprio anche
dall'art.
182,
comma
2,
con
riferimento
alla
responsabilità del liquidatore dei beni nella fase di
esecuzione del concordato preventivo per cessione dei
beni:
mancando un rinvio all'art. 30, il liquidatore
non può essere considerato
ha
come
conseguenze
il
152
pubblico ufficiale, e ciò
fatto
che
egli
non
può
incorrere nei reati propri di tale categoria giuridica e
l'assenza
dell'obbligo
di
denuncia
dei
reati
perseguibili d'ufficio di cui sia venuto a conoscenza.
Si
ritiene
in
dottrina
che
attesa
la
natura
dell'incarico affidatogli, la sua responsabilità può
accostarsi
a
quella
del
liquidatore
di
società,
equiparata dall'art. 2489, comma 2, c.c. a quella
degli
amministratori.
prescrizione
quinquennale
amministratori coincide
curatore
Pertanto
nell'ambito
il
stabilito
per
di
gli
con quello previsto per il
della
qui
responsabilità di natura contrattuale.
131
termine
cfr. Verna op. cit.
153
sostenuta
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Relazione Bersani CSM 2010 - ordine dei dottori commercialisti e