Giovanni Guazzone fra SOGNO e VERISMO Il sottile filo d’Arianna della Lirica Carmen. Cavalleria Rusticana. Pagliacci. La Bohème. Gianni Schicchi I personaggi. I luoghi. I libretti chiariti Progetto grafico Emilio FM Guazzone MUNARI edizioni Ringraziamenti Per il costante aiuto di revisione del lavoro anche in questo secondo volume, ringrazio Chiara Guglielmi, mezzosoprano d’agilità e redattrice editoriale esperta. I disegni di copertina, del frontespizio e quelli di inizio capitolo sono di Emilio FM Guazzone Copyright Titolo del libro: fra Sogno e Verismo, il sottile filo d’Arianna della Lirica Autore: Giovanni Guazzone © 2012, Giovanni Guazzone Copyright [email protected] isbn: del libro: fra Sogno e Verismo, il sottile filo d’Arianna della Lirica Titolo edizione:Giovanni giugno 2012 – stampato in italia Autore: Guazzone © 2012, Giovanni Guazzone [email protected] TUTTI I DIRITTI RISERVATI. La riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo, non è isbn: 9788897701446 consentitadigitale senza lagiugno preventiva edizione 2013autorizzazione scritta dell’Autore TUTTI I DIRITTI RISERVATI. La riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo, non è consentita senza la preventiva autorizzazione scritta dell’Autore. Nei melodrammi veristi le donne sono le protagoniste primarie, noi uomini siamo più scontati. Dedico questo libro a tutte le donne con le quali amandoci ci aiutiamo a vivere. Lo dedico alla mia amica, fidanzata, moglie Elisa, con lei da sessant’anni, molto veristi. INDICE 9 14 19 Scopo del libro Nota sui libretti d’opera Schema tipo per ogni melodramma opere 21 185 201 209 235 Carmen musica libretto/ testo anno G. Bizet H. Meilhac L. Halévy 1875 Cavalleria Rusticana P. Mascagni Novella (da Vita dei campi) Dramma per il teatro (da Scene popolari) Melodramma (libretto) 259 Pagliacci R. Leoncavallo 311 La Bohème G. Puccini 435 Gianni Schicchi G. Puccini G. Targioni Tozzetti G. Menasci 1890 G. Verga 1880 G. Verga 1884 ------------- 1890 1892 G. Giacosa L. Illica 1896 G. Forzano 1918 SCOPO DEL LIBRO Anche questo secondo libro è fatto per noi, Vecchi e Giovani, coi libretti d’opera, ma senza la musica che i vecchi ritrovano nella memoria del passato e i giovani nella memoria elettronica e purtroppo pochissimi in Teatro. Questo nuovo libro fa parte dello stesso labirinto del volume precedente: “Il Filo d’Arianna”, ma per ragioni volumetriche è il secondo; per ragioni cronologiche però sarebbe ancora successivo: il terzo o il quarto. Sono gli scherzi del labirinto e dei capricci d’Arianna. Tiro il Filo e mi appaiono: Carmen, Turiddu, Canio, Mimì, Gianni Schicchi. Personaggi di quel periodo della storia del melodramma che inizia col Realismo francese e dilaga nel Verismo operistico italiano. L’abbiamo conosciuto e amato grazie all’invenzione dei suoi principali autori: Bizet, Mascagni, Leoncavallo e il grandissimo Puccini. Ho preferito impegnarmi in questa atmosfera del tutto nuova. È anche colpa dell’aforisma ironico, ai limiti del disfattismo, di G. B. Shaw, riletto per caso in questi giorni di ricerche sull’opera lirica, che suona in italiano all’incirca così: un’opera è la storia di un soprano e di un tenore che vogliono fare all’amore e di un baritono che glielo impedisce. Fa ridere, ma come sempre, nelle caricature aggressive di Shaw, c’è qualcosa di vero; è inutile difendere il melodramma romantico, che si difende splendidamente da solo, ma a noi un tuffo nel Verismo ci fa sentire più agguerriti. Intanto le donne sono diverse: viene a mente il “protofemminismo” di Carmen, che in amore sceglie e non vuol essere scelta; di Santuzza, che certo sbaglia, esagera, ma si ribella al maschilismo tradizionale siciliano e denuncia il traditore che l’offende e l’umilia; Nedda, che si ribella ad una vita da prigioniera come un cavallo da circo e muore nel tentativo di proteggere il suo amato e sognato liberatore. 9 Sorprende il fatto che in queste opere veriste gli autori, tutti uomini, abbiano sempre illuminato i personaggi femminili e messo in cattiva luce quelli maschili: mentre le donne sono sempre adorabili, belle, coraggiose, tenere o ammirevoli nel bene e nel male (Carmen, Santuzza e Lola, Nedda, Mimì e Musetta, Lauretta, e anche Tosca, che qui non appare) gli uomini sono prepotenti, violenti, fatui, vanagloriosi, orditori di trame ignobili o vergognose (don José e Escamillo, Turiddu e Alfio, Canio e Tonio, e i simpatici ma fatui Bohemiéns, e Gianni Schicchi, o anche Scarpia, Spoletta e l’incauto Cavaradossi, che qui non ci sono). Chi si vorrebbe cambiare con uno di loro? Questi melodrammi veristi ci affascinano anche con il mistero dei misteri, che è l’amore: l’amore che dà la gioia, il piacere e dà la vita; l’amore che dà il dolore, la disperazione e dà la morte. È un mistero che ha impegnato filosofi e artisti da sempre, e i nostri padri greci con Eros (dio dell’amore) e Thanatos (dio della morte); è un mistero che ha riempito le biblioteche e le discoteche di tutto il mondo; è un mistero non risolto nemmeno dalle religioni; oggi il mistero l’hanno affrontato, con qualche modesto passo avanti, perfino gli scienziati, che spostano il problema sulla biochimica (i più simpatici sono i filematologi, cioè gli esperti del bacio, per i quali l’ossitocina è favorevole e il cortisolo è contrario!); il mistero resta, però i naturalisti ci ricordano, con grande e banale semplificazione, che anche l’umanità fa parte del regno animale (siamo simili ai nostri simili). Hanno molta ragione, ma: l’Arte? E la Musica? Il Verismo predilige le vicende strettamente individuali e l’ambiente generalmente popolare, o comunque visto dal popolo, per le passioni più genuine rispetto a quelle della borghesia e dei ceti alti, che hanno imparato a dissimulare e a venire a patti con l’interesse venale e con il potere. Come la letteratura verista verso i suoi lettori, così il melodramma si rivolge ad un pubblico più interessato ai problemi di tutti i giorni, o riferibili ad un recente passato. 10 Sorprende che autori di valore come Bizet, Mascagni o Leoncavallo non siano riusciti a produrre altri autentici capolavori come Carmen, Cavalleria Rusticana, e Pagliacci; sembrerebbe che il periodo del naturalismo e del verismo fosse affetto da una specie di malattia epidemica, che dopo il primo volo tende a tarpare le ali; fa però eccezione Puccini che di capolavori ne ha fatti diversi; un vero “figlio” del grandissimo Verdi. Voglio aggiungere che per questi melodrammi veristi, sarebbe particolarmente interessante dare la possibilità al lettore del Libretto di premettere la lettura dei testi originali dai quali è ricavata la trama dell’Opera. Questo è possibile per un melodramma di un atto unico, come la Cavalleria Rusticana, per la quale sono facilmente disponibili gli scritti di Giovanni Verga; e anche perché, in tutto, l’insieme da leggere ha una dimensione limitata. Per le opere più grandi sarebbe un aggravio veramente spropositato sulla consistenza del libro. In ogni modo, per le opere qui presentate, oltre la Cavalleria, cerco di riportare qualche brano o qualche frase dei testi da cui sono stati tratti i soggetti, quando arricchiscono la comprensione dei relativi libretti d’opera, o ne mostrano la forte differenza. Un caso a sé è rappresentato dai Pagliacci di Leoncavallo perché il bravo musicista ha scritto tutto da solo, musica e parole, senza un testo di riferimento. Dopo aver acquisito la giusta comprensione del libretto, (che rientra nella potenzialità di tutti), sarebbe bello poter leggere anche la partitura musicale dell’opera (che rientra nelle possibilità di nessuno, o quasi). Per non essere frainteso dico subito che la musica ha un effetto all’ascolto così universale che arriva comunque; effetto che sarà acuito dalla conoscenza approfondita delle vicende e dei personaggi. Non posso fare a meno però di stigmatizzare l’esiguità di quanti in Italia possono leggere la musica e quanti pochi dei musicisti hanno una laurea universitaria; tanto pochi che vien 11 da pensare che il nostro sistema di cultura popolare e di istruzione pubblica confini i musicisti italiani in una “specie” umana a parte, a rischio di estinzione o di evoluzione retrograda, con i suoi linguaggi, e i suoi strumenti; con i suoi campioni esaltati e i suoi generici disprezzati. Mi ha sempre angustiato la consapevolezza di non aver avuto dalla scuola una sufficiente cultura musicale: quello che so, l’ho imparato da solo, con le letture e con l’ascolto, con la partecipazione da amatore alla polifonia corale, con la frequentazione e l’organizzazione di gruppi di artisti e di associazioni musicali private, con la presenza in teatro, da spettatore e da ospite di prove liriche. CONFIDENZE RISERVATE AI PIÙ GIOVANI Lo “spettacolo” più affollato di appassionati nel mondo di oggi e di ieri è senza dubbio quello sportivo negli stadi e nella TV (calcio, olimpiadi etc.). Molti perciò si meravigliano dello scarso interesse che il grande sport suscita nelle persone anziane e in campo femminile (in via di accrescimento); analogamente, con le dovute accortezze si può dire che il grande successo dell’Opera lirica in Italia non è esploso fra i giovani: sono ragioni di cultura: nel primo caso sportiva, nel secondo musicale e teatrale. Non voglio essere frainteso: naturalmente il paragone fra sport e melodramma non significa metterli allo stesso livello, come la mela di Newton non ha l’importanza della gravitazione, così come per altre simboliche trovate antiche e moderne: la grotta di Platone, le zolle della Tettonica a placche, le ali degli angeli, etc.; certe metafore sono trovate “filosofiche” per divulgare il “sapere”. (Per me i filosofi sono i poeti del sapere: più bello di quello che dicono, è come lo dicono). 12 Del resto non mi riferisco a chi esercita professionalmente lo sport, ma a chi lo guarda: cioè allo spettacolo; questo, per piacere in quanto “bello”, deve rispondere a due principali richieste: la qualità del prodotto e la comprensione dello spettatore. Ciò può convincere a cercare cosa ci vuole per un confronto appagante fra una produzione creativa e la preparazione di chi è portato a guardarla, a leggerla, o ad ascoltarla. Sembra la scoperta dell’acqua calda, ma ci serve a sollecitare l’eventuale lettore non acculturato a una paziente lettura di questo libro, che intende aiutare il giusto apprezzamento e, talvolta, il godimento di uno spettacolo complesso e multiforme com’è il Melodramma. In altre parole, ripeto con una sola frase la mia ferma convinzione che giustifica il lavoro fatto per questo libro: “non si può apprezzare un melodramma senza aver prima studiato il Libretto d’Opera”. A questi volumi ne seguiranno altri, con opere scelte dall’autore fra i melodrammi più rappresentativi e attraenti, compresi fra Monteverdi e Puccini. Per chi leggesse questo volume prima del precedente, devo ripetere tutta l’introduzione premessa al primo libro a proposito della versificazione poetica dei libretti d’opera, appropriata per particolari impressioni ed espressioni melodrammatiche, cercate dai librettisti, ma spesso imposte o alterate dai compo sitori. 13 NOTA SUI LIBRETTI D’OPERA (riservata ai non esperti ed ai curiosi) Non tutti sanno che i libretti delle opere liriche sono per lo più scritti in versi; quelli di questo libro lo sono tutti. La stretta parentela fra poesia e musica vocale è sempre esistita, anche nella pratica religiosa, e perfino nella musica leggera. Capita di canticchiare O sole mio e Volare senza renderci conto che sono “poesie”. Cantautori come De André, De Gregori, ed altri, sono anche poeti. Noti poeti, ingiustamente chiamati parolieri, hanno avuto in questo campo molta importanza, come il famoso Mogol. Talvolta capita che sia scritta prima la poesia e poi la musica, o viceversa; talvolta l’ideazione di musica e parole può essere contemporanea e coagente fra i due autori, come è avvenuto, credo, per coppie famose come Battisti e Mogol, e come è ovvio quando l’ideatore è uno solo, come Conte, Battiato, Gaber, ed altri. Nella storia della musica operistica è successo di tutto a monte della messa in scena: prima la metamorfosi dal soggetto (commedia o dramma, testi religiosi, miti tratti da greci e latini, libri di successo…) poi la stesura poetica del Libretto, quindi il confronto fra il poeta e il musicista: è nota la grande influenza che Verdi ha avuto, e non solo lui, sui propri librettisti, con la complicazione della censura austriaca, e con il risultato di sofferte alterazioni della versificazione originale. Storicamente vi è stata una vera identificazione fra poesia e canti monodici e polifonici, documentata da terminologia comune, come: sonetto, madrigale, canzone, etc… Per i Libretti d’Opera si può aggiungere che mentre le Arie cantate (con ripetizioni e varianti) sono generalmente versificate in strofe, i Recitativi sono costituiti da versi più o meno liberi. Comunque i versi possono essere interi su unica riga di scrittura oppure spezzati in due o più parti, disposte su righe diverse, in successione, quando le parti sono cantate da personaggi di14 versi. Affinché il lettore possa leggere per primo uno qualsiasi dei Libretti qui riportati, alcune di queste avvertenze sono ripetute tali e quali sulle note a margine di tutti i Libretti. Il lettore inesperto dovrà abituarsi alla lettura di una scrittura di stile un po’ vintage, in voga nella pratica dei poeti dei secoli passati, anche affascinante nel dire e non dire, nell’uso di parole viete e nel preferire costruzioni delle frasi alla latina, cioè con il verbo verso la fine della frase, es.: “… io nei voleri arcani leggo del cielo…”. Un’altra sorpresa potrà essere la riscoperta di modi di dire, travasati dalla lirica al linguaggio comune, come succede, per altre strade, ai proverbi. Senza addentrarsi nel difficile campo della Metrica e della Stilistica, è forse interessante riportare alcune osservazioni sul genere dei versi più adottati in questi Libretti; fermo restando che anche nelle strofe più classiche i versi possono essere irregolari per eccesso e per difetto, e che in molti casi i versi in successione possono seguire metriche diverse, in alternanza, secondo le esigenze poetiche o drammatiche. Non si può tralasciare di ricordare che nella poesia le sillabe metriche (ritmiche) non coincidono sempre con quelle grammaticali; sicché in un verso il numero delle sillabe m. è quasi sempre diverso da quello delle sillabe g. Certamente i versi più comuni dei Libretti sono i settenari (7 sillabe m.), notoriamente i più cantabili: “… in così gran martire/ lasciatemi morire…” (Arianna, Rinuccini - Monteverdi) “… una voce poco fa’/ qui nel cor mi risuonò…” (Il Barbiere di Siviglia, Sterbini - Rossini) “… stizzoso mio stizzoso/ voi fate il borioso…” (La Serva Padrona, Federico - Pergolesi) “… ma quando vien lo sgelo/ il primo sole è mio…” (La Bohème, Giacosa e Illica - Puccini) 15 Fra le poesie a noi più note, nate non per la musica, ma con lo stesso metro, viene subito in mente il Pianto Antico di Carducci: “L’albero a cui tendevi/ la pargoletta mano…” Anche gli ottonari (8 sillabe m.), più adatti alla declamazione ed alla narrazione, sono molto usati: “… Casta Diva, che inargenti/ Queste sacre antiche piante…” (Norma, Romani - Bellini) “… La calunnia è un venticello,/ un’auretta assai gentile…” (Il Barbiere di Siviglia, Sterbini - Rossini) “… Bella figlia dell’amore/ schiavo son de’ vezzi tuoi…” (Rigoletto, Piave - Verdi) A scuola, con lo stesso metro, abbiamo imparato dal Metastasio: “È la fede degli amanti/ come l’araba Fenice…” Gli endecasillabi (11 sillabe m.) sono molto elastici, si prestano a qualsiasi occasione: “… e che volete voi che mi conforte…” (Arianna, Rinuccini – Monteverdi) “… Deh, vieni alla finestra, o mio tesoro…” (Don Giovanni, Da Ponte – Mozart) “… Di voluttà nei vortici perire…” (La Traviata, Piave – Verdi) “… T’aveva il cielo per l’amor creata,/ ed io t’uccido per averti amata!...” (Aida, Ghislanzoni – Verdi) Con questo metro ne abbiamo imparate di tutte a scuola, per non dire della Commedia di Dante: tutta di endecasillabi. Ma di Lui non possiamo dimenticare: “Tanto gentile e tanto onesta pare/ la donna mia, quand’ella altrui saluta…” 16 I decasillabi (10 sillabe m.) nei Libretti sono molto impiegati per occasioni drammatiche o invettive stentoree: “Va pensiero sull’ali dorate;/ va, ti posa sui clivi, sui colli…” (Nabucco, Solera – Verdi) “Cortigiani, vil razza dannata,/ per qual prezzo vendeste il mio bene?...” (Rigoletto, Piave – Verdi) Ma anche per sillabazioni ironiche od elencazioni ossessive: “… Non più andrai farfallone amoroso,/ notte e giorno d’intorno girando…” (Le Nozze di Figaro, Da Ponte – Mozart) “… Madamina il catalogo è questo…/… in Italia seicentoquaranta…” (Don Giovanni, Da Ponte – Mozart) A scuola i decasillabi non sono stati incontrati troppo di frequente, ma Manzoni ci aiuta: “Soffermati sull’arida sponda,/ volti i guardi al passato Ticino…” Anche i dodecasillabi (12 sillabe m.) sono spesso presenti nei colloqui o nelle invettive: “Uccider quel gobbo!... che diavol dicesti!/ Un ladro son forse? Son forse un bandito?” (Rigoletto, Piave – Verdi) “Va, trema, o vegliardo, dell’ira sovrana…/ tu l’hai provocata, più speme non v’è.” (Rigoletto, Piave – Verdi) A guardar bene però questi versi sono doppi senari (6 sillabe m.), che uniti danno più forza alla declamazione. Del resto, le misure minori sono raramente da sole: “Ah, che bel vivere,/ che bel piacere/ per un barbiere/ di qualità.” (Il Barbiere di Siviglia, Sterbini - Rossini) Come si vede qui un senario è seguito da due quinari e da un quaternario, che per la brevità chiude bene. 17 Un altro capitolo della metrica riguarderebbe la posizione delle “sillabe” accentate (ictus), che cambiano il ritmo e l’effetto che i versi di stesso metro possono dare alla lettura del testo poetico, al parlare cantando, e più ancora all’aria cantata. Il tema è interessante, ma per sintetizzarlo e semplificarlo con chiarezza, come il livello di questo libro richiederebbe, si rischia di rimanere nella banalità e nell’approssimazione. Si deve anche notare che i cantanti lirici, per esigenze tecniche o per esibizioni virtuosistiche, spesso mandano gli accenti del testo poetico a farsi friggere. Chiudo questa introduzione raccomandando ai neofiti di non scandalizzarsi se nel corso delle rappresentazioni a teatro i testi cantati non coincidono con quelli originali: succede talvolta che il direttore e concertatore imponga varianti e riduzioni per favorire i cantanti o per seguire prassi entrate nella tradizione. Ricordo che queste pubblicazioni hanno scopi di divulgazione e di promozione specialmente verso i colleghi vecchi e nuovi dell’autore e verso i loro allievi, che a scuola o all’università non hanno mai studiato nulla di musica e di melodramma, ma solo di letteratura, e poco anche di altre arti come la pittura, la scultura, ecc. Per questa ragione gli argomenti sono semplici, brevi, i testi ordinati in modo diverso dal solito, i libretti d’opera completi ma presentati in modo più comprensibile del solito. Nei Libretti qui trascritti, le parti più belle o più significative sono stampate in grassetto. 18 SCHEMA TIPO PER OGNI MELODRAMMA Inquadramento in poche righe (tempo e luoghi) Personaggi (con citazioni dei versi del libretto) Percezioni melodrammatiche e approfondimento della vicenda (con poche citazioni c. s., e qualche rilievo sulle musiche più note) Luoghi citati e scene (cartina geografica – immagini) Curiosità e storie: Personaggi e Autori (immagini) Il Libretto originale. Note laterali a margine e significato delle parole e delle frasi oscure. Confronti con brani dei testi da cui è tratto il soggetto. 19 CARMEN Si je t’aime prends garde à toi! Bizet – Meilhac/Halévy Fig. 1 – La Spagna. Da notare la distanza tra la Navarra e l’Andalusia 22 Carmen CARMEN Georges Bizet – Henri Meilhac e Ludovic Halévy Dramma lirico in quattro atti (1875) Immaginato nel 1820 circa in Andalusia, essenzialmente a Siviglia, ma anche sulle montagne che guardano Gibilterra, sulla cordigliera sudoccidentale del Sistema Betico (Fig. 1). Il soggetto è tratto liberamente dal racconto omonimo di Prosper Mérimée (1845). I due personaggi principali e altri minori sono mantenuti con i loro nomi, ma sono reinterpretati con grandi varianti; Bizet e i suoi librettisti hanno aggiunto anche nuovi personaggi, fra cui Micaëla, proveniente dalla lontana Navarra, ed Escamillo, famoso torero di Granada (Mérimée aveva accennato ad una breve avventura di Carmen con un certo Lucas, picador, solo per esasperare la gelosia di don José; ma a Bizet dette lo spunto per dare ben altro ruolo ad Escamillo ed al gioco “monumentale” della Corrida); Frasquita e Mercédès sono un soprano e un mezzosoprano introdotti da Bizet specialmente per ragioni musicali. PERSONAGGI I personaggi principali sono: CARMEN, DON JOSÉ, MICAËLA, ESCAMILLO, altri personaggi non trascurabili: Frasquita, Mercédès, Le Dancaïre, Le Remendado, Zuniga, Moralès, Lillas-Pastia. CARMEN, mezzosoprano, (talvolta soprano drammatico) giovane, bella, bruna come la maggioranza delle spagnole meridionali; a prima vista una gitana andalusa piuttosto che una bohémienne, eccezionale per la sua personalità, che la pone in una nuova caratterizzazione teatrale: l’individuo (donna) verso tutta la collettività sociale. Consapevole del fascino che esercitano le sue qualità fisiche e artistiche, con il canto e con la danza, non 23 Bizet – Meilhac/Halévy solo sui maschi, ma soprattutto sui maschi, pretende e si assicura posizioni di rilievo in ogni contesto e così riesce a sottrarsi a quasi tutte le conseguenze morali e legali in cui la sua arroganza libertaria incorre facilmente. La conosciamo all’inizio come sigaraia, una delle centinaia di donne, prevalentemente giovani, che passano la giornata di lavoro arrotolando foglie di tabacco per i sigari che in Spagna sono, o erano, fumati ovunque, a tutte le ore. Il sipario si apre su una piazza popolare della periferia occidentale di Siviglia, presso il fiume Guadalquivir, dove prevalgono due costruzioni molto diverse fra loro, l’enorme manifattura dei tabacchi, e la postazione di guardia fortificata, sopraelevata e predominante, sede di un plotone di soldati di cavalleria, i Dragoni. Da come si svolgono le prime scene, si capisce che il ruolo prevalente dei militari consiste nel proteggere e Fig. 2 – Carmen, Habanera. Samuel Holland, 1919 24 Carmen sorvegliare la piazza, che si anima come uno stadio, all’entrata e all’uscita delle sigaraie per la giornata di lavoro e per l’intervallo di riposo. La Carmencita, osannata dai giovani popolani che l’accerchiano estasiati fin dal suo apparire sulla soglia della manifattura, esordisce con una bellissima canzone a ballo, Havanaise (Habanera): “L’amour est un oiseau rebelle/… il vient, s’en va…/ Tu crois le tenir, il t’ú vite/ Tu crois l’éviter il te tient…” (L’amore è un uccello ribelle …viene e va …tu credi di tenerlo e lui ti evita, tu credi di evitarlo e lui ti tiene). Accenna a movimenti di danza, non balla come una ragazza qualsiasi: si immagina che alterni passi aggressivi concedendosi in avanti, senza guardare chi c’è, ed improvvisi arretramenti altrettanto bruschi; ma tutti la guardano e la sfiorano, mentre lei se ne infischia, eccitata e strafottente (Figg. 2-4). Figg. 3-4 – El na Garanča, Carmen. Londra, 2009 25 Bizet – Meilhac/Halévy Questo per spiegare l’effetto che ottiene, rompendo l’accerchiamento per lanciare un fiore contro un giovane sergente (brigadier des Dragons), distratto, non si sa quanto, intento agli accessori del suo moschetto. Inizia così la sua conquista di don José che durerà un pezzo, ma non per sempre, come ha sempre fatto e farà, con altri; che siano soldati, ufficiali o toreri non importa: “…L’amour! L’amour! L’amour!…”. Insomma Carmen sceglie; non si fa scegliere. Carmen con le altre ragazze è cameratesca, se si lasciano guidare, ma può diventare prepotente, violenta e volgare se la contestano o si danno delle arie. Il secondo colpo di scena dell’inizio dell’Opera avviene in un locale della manifattura, quando Carmen aggredisce Manuelita, dopo un battibecco con offese di basso conio, relative ad un asino che la ragazza vantava di comprare; dopo uno scontro passato alle mani, Carmen la sfregia in volto con il trincetto di lavoro (Figg. 5-6). La ragazza ferita non gravemente (per Mérimée: morta) crea uno scompiglio drammatico e l’intervento del tenente dei Dragoni, Zuniga, che interroga inutilmente Carmen; lei risponde cantando: “Tralalala, coupe moi, brûle moi,/ Je ne te dirai rien” (Tralalala, colpiscimi, bruciami, io non ti dirò niente). È il suo modo di trarsi d’impaccio beffando chi la minaccia, indipendentemente dalle ragioni che determinano l’impaccio; così si libera beffandosi anche di don José, incaricato di portarla in prigione, corrompendolo, facendogli credere di essere sua compaesana ed eccitandolo con promesse di amore; e così scappa beata, con il risultato di far incarcerare lui invece di lei. Però, il patto per il convegno amoroso non è un accordo da prostituta, ma è una decisione unilaterale presa perché lei si è invaghita, quasi incaponita di amare don José. Sapremo poi quanto sia azzardata la decisione di attrarre il brigadiere nella stessa taverna di Lillas Pastia, frequentata ogni sera anche da Zuniga, (tenente) di lui diretto superiore, anch’esso invaghito della gitana, nella speranza d’incontri intimi, nonostante i precedenti che avrebbero dovuto portare Carmen in prigione. 26 Carmen Fig. 5 – Una rappresentazione di Carmen, Teatro Regio di Torino, 2006 Fig. 6 – Il duello con Manuelita, Canadian Opera Company’s 2009 27 Bizet – Meilhac/Halévy Anche qui, in questa taverna malfamata, la bella gitana nuota come un pesce nell’acqua, tra intrighi e festosità molto popolari, con zingari contrabbandieri, e con le loro donne: “Pre des remparts de Séville/ Chez mon ami Lillas Pastia/ J’irai danser la Séguedille/ Et boire du Manzanilla.” (Presso le mura di Siviglia dal mio amico Lillas Pastia, andrò a ballare la Séguedilla e a bere la Manzanilla) (Fig. 7). Brava, primeggia ma non può impedire lo scontro gravissimo tra i due militari, l’ufficiale e il brigadiere; si evita il peggio per l’intervento dei banditi che allontanano Zuniga, minaccioso, con le buone e con le cattive maniere. Le conseguenze per Carmen e i suoi amici avrebbero potuto essere pesanti, ma Carmen non si sgomenta, si butta dietro le spalle grane e prospettive cambiando aria; è il suo modo di vivere, liberarsi di tutto e scegliere una cosa sola: la libertà; libertà di azione, di pensiero, di storie amorose. “…Le ciel ouvert, la vie errante/ Pour pais, l’univers; Et pour loi, sa volonté,/ Et surtout la chose enivrante:/ La liberté! La liberté!” (Il cielo aperto, la vita errante, per patria l’universo; e per legge, la propria volontà e su tutto la scelta inebriante: la libertà!). Fig. 7 – Carmen, balletto. Antonio Gades Compañia, Teatro G. da Udine, 2012 28 Carmen Così Carmen, dietro ai banditi, con don José, costretto a fuggire con loro, cambia completamente vita, o forse ripercorre una via di fuga già vissuta: la montagna che separa l’Andalusia da Gibilterra; un percorso lungo e difficile che i contrabbandieri conoscono per importare senza dogana merci inglesi e forse balle di cotone. Il disagio, notte e giorno, nel gelo della montagna, mangiando male e dormendo peggio, in un’avventura senza prospettive entusiasmanti, rende la convivenza poco favorevole alle gioie dell’amore: don José, sempre più cupo e geloso, Carmen sempre più fredda e scostante: è l’inizio della fine. Gli arrivi imprevisti di due persone, emblemi di mondi diversi e inquietanti per le coscienze dei nostri eroi, come il torero Escamillo e Micaëla, danno l’ultimo scossone alla vicenda: il primo è il campione di una realtà di successi, di bella vita e di vittorie che turbano e attraggono Carmencita; la seconda è per il navarrese l’ex fidanzata, lo specchio di un passato di onestà tradita e di ricordi che non torneranno più. Il richiamo della cara madre morente, di cui Micaëla è latrice, suscita un ultimo bagliore di sentimento sano in don José che abbandona il campo per correre dalla madre, ma sconvolto come una belva ferita, non domata. Dopo un certo tempo, Carmen, già amante di Escamillo, nell’esaltazione del trambusto gioioso di imminenti corride a Siviglia, per gli esaltanti trionfi del suo nuovo compagno matador, si ritrova davanti il povero ex contadino, ex brigadiere, ex contrabbandiere, malridotto, ma ancora spasimante per lei, che aveva liquidato come un capriccio morto e sepolto. Carmen non si defila come un debitore inseguito dal suo aguzzino; bella e splendente nella sua rossa mantiglia, affronta il grosso barbone affamato di lei, che la investe con parole bellissime e bruttissime; e che, dopo l’ennesimo rifiuto di lei, senza più speranza, la uccide. 29 Bizet – Meilhac/Halévy DON JOSÉ tenore, giovane aitante di bell’aspetto, serio, proviene dal mondo rurale della Navarra, regione ai piedi dei Pirenei; è amatissimo dalla madre e già felicemente fidanzato con la graziosa Micaëla, giovanissima ragazza semplice e costumata, benvoluta e favorita dalla futura suocera. Come sia possibile che il bravo campagnolo sia stato arruolato nel reggimento dei Dragoni di Almanza, (con una dipendenza forse ad Alcalà, a ca. 20 Km da Siviglia) lui lo dice a Zuniga (tenente, suo superiore): ha deciso di lasciare il suo paese dopo una grossa lite con un coetaneo, che lui ha sconfitto due volte in un gioco a premio alla Palla Basca (una specie di tennis), in una gara della provincia di Álava, al confine con la Navarra; per seguirlo sua madre si è stabilita a dieci leghe da Siviglia (poco ad est, forse proprio ad Alcalà) con Micaëla, fanciulla orfana, allevata affettuosamente. (Secondo Mérimée, il giovane don José, dopo un duello mortale in cui ebbe la meglio, fu costretto a fuggire e ad arruolarsi nei Dragoni; un po’ come succedeva in Francia con la “Legione Straniera” (Figg. 8-10). Figg. 8-9 – Don José, Fernando Valero, 1886; Placido Domingo nel film di F. Rosi, 1984 30 Carmen A Bizet questo esordio del suo giovane personaggio non andava bene e lo attenuò per mantenere la sua figura di solida innocenza contadina e quindi il melodrammatico contrasto con l’effetto corruttivo della diabolica gitana). Abile a cavallo, è subito nominato brigadiere (sergente); sotto il comando di un tenente è assegnato ai turni del posto di guardia del delicato rione periferico di Siviglia, capoluogo dell’Andalusia. Lì, nella piazza della manifattura dei tabacchi, già descritta, rivede la fidanzata, Micaëla, che porta un primo messaggio della cara mamma del dragone, ben congegnato, che tocca il bravo giovanotto con il piacere emotivo dei buoni sentimenti. Un altro piacere però gli era piovuto addosso, come una freccia di Cupido, sotto la forma ambigua di un fiore scagliato con impudenza dalla provocante Carmencita, dopo le erotiche piroette del ballo da gitana, improvvisato e cantato con indubbia bravura, l’Habanera, come già detto: “L’amour est un oiseau rebelle…” (L’amore è un uccello ribelle…) Fig. 10 – Don José e Carmen, Roberto Alagna e El na Garanča. Londra 2009 31 Bizet – Meilhac/Halévy Abbiamo visto come il brigadiere sia irretito dal fascino di Carmen al punto di trasgredire all’ordine di condurla in carcere e di subire degrado e prigione per due mesi, per averne favorita la fuga. Finalmente liberato, corre alla taverna di Lillas Pastia, per ritrovare la sospirata Carmencita; ma le cose non vanno come ci si aspetterebbe: don José non ha fatto i conti con gli orari di caserma; non solo non ha il tempo di coronare un sogno che ha accarezzato ogni notte per due mesi, ma è addirittura costretto ad interrompere il canto e la danza con cui la zingara lo accoglie, assai invitante. Succede che arriva da lontano, fuori campo, il suono della tromba della “ritirata”, che ogni sera è propagato dal corpo di guardia. Don José, con molto rincrescimento, cerca di spiegare il contrattempo alla bella Carmen, che all’inizio non lo prende sul serio; dopo le ovvie spiegazioni sull’appello dei militari e sui doveri di caserma, Carmen si irrita e non si capacita della dabbenaggine puerile del sergente, sottoposto come un cameriere, che lo porta a rinunciare a lei per una disciplina grigia di misero militare anteposta alla grande felicità dell’amore. Un uomo così per lei è uno sciocco bamboccio, e lei, deridendolo, lo chiama “canarino” per la vistosa montura gialla dei Dragoni: “…Va-t’en donc, canari!/ …et va t’en, mon garçon, va t’en!/La la la la la la la…” (E vattene canarino!… e vattene ragazzo mio, vattene/ la la…) (Figg. 11-12). Figg. 11-12 – Due interpretazioni di Carmen e don José: Ginger Costa-Jackson, Adam Diegel, 2011; Marina Domashenko, José Cura, 2003 32 Carmen Don José per un residuo senso dell’onore e per il senso di colpa di aver già disubbidito una volta, avendo compromesso la sua carriera, resiste e prende l’amara decisione di lasciare Carmen, a rischio di perderla per sempre. Ma il destino stravolge il corso degli eventi: arriva all’improvviso il tenente Zuniga violento e sprezzante, che lo sorprende chiamandolo: “drôle” (buffone); ne nasce il duello già descritto. Dopo il duello e la violenza esercitata dai banditi su Zuniga, don José è costretto alla diserzione, con una rottura definitiva col suo passato di onesto navarrese, di bravo figliolo, di fidanzato felice, di stimato dragone, per una vergognosa vita da contrabbandiere con gli zingari così diversi da lui. Tutto sopporta per l’amore della bella Carmencita. In alta montagna, lasciato solo a guardia della mercanzia mentre i contrabbandieri e le donne si allontanano per studiare ed eventualmente distrarre i doganieri, spara nel buio a uno sconosciuto mancandolo per poco. Dopo due parole, scopre che il nuovo arrivato, Escamillo, è un altro infatuato di Carmen, poco pericoloso per i contrabbandieri ma molto per lui e lo sfida a duello. Il torero, non si approfitta della sua ovvia superiorità di schermidore e generosamente si limita a difendersi; non pensava di offenderlo e non si aspettava di dover affrontare un “toro” così infuriato, scivola, cade e sta per soccombere, salvato per un soffio da Carmen e dai suoi amici. Fra la Carmencita seccatissima e i banditi irritati dal contrattempo, don José riceve un’altra ospite inattesa, come già accennato, arrivata in cima ai monti presso Gibilterra dalla lontanissima Navarra (dove la madre era certamente tornata dopo la diserzione di José): è Micaëla, già informata di tutto, spaventata ma tenace, che tenta un ricupero quasi impossibile del suo compagno navarrese: “…Je vais voir de près cette femme/ dont les artifices maudit sont fini par faire un infâme/ de celui que j’amais jadis!...” (Vado a vedere da vicino questa donna i cui artifici malèfici han finito per rendere infame l’uomo che un tempo amavo); don José, per lei perso ormai, è ancora sensibile al richiamo della madre morente; sicché lascia l’empia compagnia, 33 Bizet – Meilhac/Halévy irritato dall’ironico congedo di Carmen: “Va-t’en, va-t’en, tu feras bien,/ notre métier ne te vaut rien!” (Vattene, vattene tu farai bene, il nostro mestiere non fa per te); e don José a Carmen: “Sois contente… Je pars… mais…nous reverrons!” (Sarai contenta… me ne vado… ma… ci rivedremo!) Dopo la morte della madre in Navarra (per Mérimée la madre di José stava a Pamplona), non si sa quanto dopo, don José torna a Siviglia proprio in un momento poco opportuno quando Escamillo al massimo della fama è chiamato da Granada all’arena di Siviglia, accolto come un trionfatore, con la bella Carmen al suo fianco radiosa in un costume sfolgorante. Mentre il torero affronta il duello col toro inferocito, a pochi metri di distanza fuori dall’arena Carmen affronta il suo doloroso duello con don José (Fig. 13) e sappiamo come va a finire. Splendida la musica che combina gli echi fragorosi ma fuori campo della corrida con gli slanci melodici e gli accenti del non Fig. 13 – Grace Bumbry e Jon Vickers nel film opera di Herbert von Karajan, 1967 34 Carmen meno rischioso scontro di don Josè, abbrutito dalla disperazione con l’inafferrabile gitana; destinati entrambi alla morte: Carmen pugnalata da don José e lui che si consegna alle guardie per la forca: “Vous pouvez m’arrétêr… c’est mois qui l’ai tuée!” (Mi potete arrestare, son io che l’ho uccisa); “Ah! Carmen, ma Carmen adorée!”. MICAËLA, soprano lirico leggero, orfanella raccolta dalla madre di José, giovanissima e carina, con la sua gonna blu e la treccia ricadente, certamente l’opposto di una come Carmen; è diventata la fidanzata di don José, seria, una brava ragazza di campagna animata da buoni sentimenti, e molto coraggiosa. Come ho già detto è un personaggio nuovo rispetto al racconto di Mérimée, introdotto da Bizet sicuramente per accentuare il contrasto tra il mondo semplice e onesto di provenienza del brigadiere e quello della gitana, esaltando l’effetto drammatico della loro infatuazione che travalica come un’ondata crescente Fig. 14 – Micaëla, Maya Dashuk. Arena di Verona, 2002 35 Bizet – Meilhac/Halévy qualsiasi argine. Bizet assegna a Micaëla alcune belle arie dolci e confortanti forse anche per accontentare chi lo spronava appunto ad addolcire le tinte molto forti della tragedia per il pubblico dell’Opéra-Comique, del tutto impreparato a questo nuovo genere. Micaëla non è una figura dominante ma lascia un bel ricordo (Fig. 14). ESCAMILLO, baritono, uomo affascinante come un divo, sempre ben vestito, brillante e galante come deve essere un grande toreador. Escamillo conoscerà per caso Carmen da Lillas Pastia, dove capita per una breve sosta, interrompendo un viaggio in carrozza a cavalli. Anche questo è un nuovo personaggio introdotto da Bizet con abilità melodrammatica per avvicinare progressivamente, senza parere, lo scontro pericoloso a cui è destinato il coraggioso torero, con la sensualità delle sue piroette volteggianti e sfuggenti per la forza di un toro scatenato, al “duello” a cui si è destinata l’altrettanto imprendibile gitana, anche lei bella e luccicante come il matador, contro la forza dell’abbrutito ex amante, infuriato come un toro, ma disperato come un condannato senza più speranza per un amore, vicino e lontano, irrecuperabile, che lo attanaglia come la crisi d’astinenza di un tossicodipendente. Escamillo, quando scende dal piedistallo del trionfo, all’uscita dall’arena, è invece tragicamente sconfitto nell’amore, davanti alla scena finale della sua anima gemella uccisa. Tutta la musica che riguarda il torero dal preludio alla fine dell’opera è splendida, perfettamente adeguata (Figg. 15-16). FRASQUITA e MERCÉDÈS, soprano e mezzosoprano, zingare, giovani (Fig. 17) amiche di Carmen, cantano e danzano ma non come lei; con lei aiutano e dipendono dai contrabbandieri, soprattutto per distrarre o corrompere i doganieri: “Quant au douanier, c’est notre affaire!/ …il s’agit tout simplement/ de se laisser prendre la taille/ et d’écouter un compliment./ S’il faut aller jusqu’au 36 Carmen Figg. 15-16 – Escamillo, Michael Todd Simpson, 2011; Ettore Bastianini, 1957 Fig. 17 – Frasquita e Mercédès, Maria Rita D'Orazio e Sara Allegretta, 2012 37 Bizet – Meilhac/Halévy sourire,/ que voulez-vous! on sourira!” (Quanto al doganiere è affar nostro! … si tratta semplicemente di farsi prendere intorno alla vita e di ascoltare un complimento. Se bisogna spingersi a sorridere, che volete! Si sorriderà!) Il testo non dice di più. Le due zingare appaiono nella scena della taverna di Pastia del II atto, dove partecipano allegramente a canti e balli e dichiarano subito l’adesione ai prossimi progetti di lungo viaggio dei contrabbandieri, cercando di convincere anche Carmen, assai riluttante essendo in attesa del bel dragone don José. Hanno poi un ruolo teatralmente e musicalmente più importante nel III atto, nella scena notturna di alta montagna, quando tutti dormono ma loro, inquiete, con Carmen vogliono indagare sull’inconoscibile del loro futuro, usando le “carte”; seguendo notissime tradizioni gitane che stanno fra la superstizione e la truffa magica. Le previsioni “risultano” fauste per le amiche, ma terribilmente infauste per Carmen: un destino di morte per lei e per il suo momentaneo amante (don José); non si sa se Carmen ci crede o fa finta di crederci perché avverte la prossima e difficile fine di questo amore; è certo che da ora in poi aumenta il suo atteggiamento fatalista sulle vicende del cuore. Frasquita e Mercédès rifanno una brevissima apparizione nell’atto IV, quando tentano invano di convincere Carmen ad evitare l’incontro difficile con don José, che hanno intravisto cupo e malandato. Questa preoccupazione delle amiche si comunica così anche al pubblico del melodramma. Dal punto di vista musicale va fatto notare che le due zingare con Carmen realizzano interessanti trii di sole voci femminili, che non è frequente ascoltare nell’opera lirica. EL DANCAÏRE e EL REMENDADO, entrambi tenori, (talvolta baritono e tenore) zingari, contrabbandieri. Con Lillas Pastia, Frasquita e Mercédès, rappresentano il clan dei gitani che circonda l’adorata Carmencita, in un rapporto di mutuo soccorso che è sempre presente nell’opera. I due zingari, forti, decisi, con pochi scrupoli, vivono tra gli ozi festosi della taver- 38 Carmen na di Pastia e il traffico del contrabbando che esercitano, come giø detto, per le merci inglesi e le balle di cotone, caricate a dorso di mulo e di cavallo nel porto di Gibilterra; riescono poi ad introdurle in Spagna, seguendo i sentieri impervi della sierra montagnosa, alla propaggine sudoccidentale della Cordigliera Betica, evitando gli sparuti doganieri messi di guardia ai passi piø elevati. Sono briganti ma non privi di un certo senso di cavalleria e di misura che li differenzia molto dagli omonimi malfattori di Mø rimø e, dediti anche alle rapine e agli omicidi. Bizet evita attentamente di squalificare con loro anche la sua eroina Carmen, gitana sø , prepotente ed arrogante sø , ma bella, desiderabile, valente nel canto e nel ballo, libertaria fino all’amoralità, ma per sua scelta “ideale”; non una squallida prostituta criminale. Il rapporto dei due contrabbandieri di Bizet con le zingare del clan è quello del “padre-padrone”; fa eccezione Carmen che i briganti rispettano e con la quale misurano le loro decisioni. Hanno un ruolo importante ma spariscono nel IV atto. ZUNIGA, vocalmente basso, rappresenta l’autorità legale, è il tenente che comanda il plotone dei Dragoni in cui milita anche don Josø . Come giø accennato, ø un capo severo a valle e Figg. 18-19 – Micaú la e Moralú s, Anya Matanovic e Wes Mason, 2011; Carmen e Zuniga, Nino Surguladze e Kevin Langan, 2011 39 Bizet – Meilhac/Halévy assai lasso a monte; annoiato al posto di guardia che da lui dipende, esordisce rivelando interesse solo per le qualità estetiche delle sigaraie che stanno per uscire dalla manifattura (Fig. 19); questo non gli fa onore ma lo rende più umano. Quest’umanità che si nasconde sotto le divise emerge in varie occasioni in cui si trovano soldati, sottufficiali e ufficiali. Ritornando a Zuniga, è rimarchevole che sia stato preso in giro da Carmen, capace di annullare ogni tentativo d’interrogatorio cantando; il tenente, come si sa, ha cercato di arrestarla e di punirla, comandando al brigadiere di portarla in prigione; ma Carmencita ha fatto colpo anche su Zuniga, sicché lui borbotta: “C’est dommage,/c’est grand dommage,/ car elle est gentille vraiment…” (Che peccato, che granpeccato, perché è graziosa davvero). Insomma, Zuniga è apparso serissimo col brigadiere nel comando di arrestarla e nell’imporgli la altrettanto severa punizione per essersela fatta fuggire e sconcerta nel ritrovarlo nella taverna dello zingaro Pastia a corteggiare proprio l’ex evasa Carmen, come se nulla fosse stato; anzi, si capisce che Zuniga è un abituale frequentatore del posto, già inserito fra gli ammiratori più o meno corrotti dall’ineffabile gitana. Ricordiamoci del pericoloso duello di don José con Zuniga, proprio nella taverna. In pratica la parte di Zuniga finisce lì (anche se appare fra il pubblico dell’arena di Siviglia, poco prima della conclusione dell’opera, probabilmente più attratto dalla compagna del torero che dalla corrida). MORALÈS, baritono, dichiara di essere brigadiere come don José, ma appartenente ad un altro plotone di Dragoni; appare proprio all’inizio dell’Opera in un simpatico colloquio con Micaëla (Fig. 18), che cerca il fidanzato al corpo di guardia, nella piazza delle sigaraie di Siviglia. Anche Moralès se la spassa tra gli ambigui frequentatori della malfamata taverna di Pastia, insieme ad altri militari, compresi altri ufficiali oltre Zuniga. Qui Moralès fa poco più che da comparsa, come può esserlo alla fine del melodramma, fra la folla che si accalca all’ingresso dell’arena per la corrida. 40 Carmen LILLAS PASTIA, zingaro corifeo, oste della taverna omonima, non canta ma parla; interviene per ricordare energicamente agli avventori notturni che se ne devono andare, rispettando l’orario di chiusura imposto dall’ordinanza del Corregidor (Prefetto di Polizia). Lillas Pastia è quello che ospita e nasconde i contrabbandieri con le loro donne e ne facilita l’attività illegale. Riflettendo sui clienti abituali che ha e che fingono di non riconoscere alcun malavitoso, vien da pensare a frequenti connivenze di ufficiali come il “severo” Zuniga (che del resto glielo fa notare maliziosamente). Si può comunque ben dire che anche Pastia fa parte del clan gitano che ruota attorno alla fantastica Carmencita (Fig. 20). Fig. 20 – Nella Taverna di Lillas Pastia, Metropolitan Opera House di New York, 2011 41 Bizet – Meilhac/Halévy Fig. 21 – Carmen di Bizet, 6 Figurine Liebig in edizione italiana, 1895 42 Carmen PERCEZIONI MELODRAMMATICHE E CURIOSITÀ La percezione più rilevante che si trae dall’opera di Bizet è duplice: la bella musica e la bella gitana, Carmen. Sulla musica per ora mi limito a dire che è quasi sempre spumeggiante, carica di imprevisti; a ciò contribuiscono per contrasto anche i passaggi più teneri, più delicati, come quelli impersonati da Micaëla (inventata dagli autori proprio per questo). Carmen, più che il sentimento, suscita il desiderio, l’amore totale, la fissazione bramosa in tutti i maschi a cui si avvicina e quindi il relativo rischio; in questo si capisce la comunanza che avvicina Carmen al torero Escamillo, che per passione rischia tutto se stesso nell’arena. La parte del toro la fa il povero don José, anche lui strappato alla verde campagna (come un toro) per un mondo di guerra potenziale, che non è il suo: i Dragoni; e anche lui precipitato in una sfida mortale, ubriacato dallo sventolio della mantilla di Carmen (come una muleta), irritato e ferito (nell’anima), ma fuori dell’arena (Figg. 21-23). Figg. 22-23 – Illustrazione di Gabriel Pacheco; una locandina, autore ignoto 43 Bizet – Meilhac/Halévy Questa volta il “toro-José”, dopo tanto soffrire, “incorna” e uccide chi sta dietro la mantiglia. La morte lascia solo, nudo e puro, il sentimento che agghiaccia il povero don José, assassino, con la sua disperazione. La musica interpreta tutto perfettamente. Il preludio introduce e sintetizza il dramma con tre temi: l’entrata dei toreri nell’arena che prelude all’incontro selvaggio col toro; la presentazione del Toreador, brillante e superbo; e il tema della fatalità, cupo e solenne fino al compimento della tragedia. Trattandosi di eventi forti, con intervalli di dolce intimità, in alcune esecuzioni, per il timore di eccedere, capita di trovare l’insieme monotono e poco convincente; qualche altra messa in scena, al contrario, può eccedere in violenze di voci, movimenti e suoni, intorno a Carmen ed Escamillo, e poi in esagerazioni languide con Micaëla. Questi sono rischi che lo spettatore poco fortunato può correre. E forse sarà stata anche questa la ragione dell’insuccesso della prima, alla Salle Favart dell’OpéraComique, nel marzo del 1875 (Figg. 23-24-27-28). Figg. 23-24 – Celestine Galli-Marié, la prima Carmen, 1875; Pauline Donalda, Carmen e suo marito Paul Seveilhac, Don José, 1906 44 Carmen Ma soprattutto fu la stampa borghese che gridò allo scandalo per l’offesa ai Dragoni, militari e ufficiali, corrotti da una zingara senza scrupoli, violenta e portata a delinquere con la mala dei contrabbandieri, e perfino vincente sui sani sentimenti di una fidanzata e di una madre affezionatissime al dragone; e in conclusione, per la fine tragica e cruenta della storia, sullo sfondo di una festa volgarmente popolare. Si disse male perfino della musica, troppo nuova e invadente, “intollerabile”. Con questa propaganda, le prime repliche andarono quasi deserte; e il bravissimo Bizet (Fig. 25), già ammalato e depresso da queste notizie, morì nel giugno del 1875, povero e abbandonato, tre mesi dopo la prima del suo capolavoro. Bizet non poté sapere che a Vienna, nell’ottobre dello stesso anno, la Carmen avrebbe avuto un grande successo, e che l’OpéraComique anche a Parigi l’avrebbe replicata con interesse crescente di pubblico; basti dire che nel 1904 si festeggiò la millesima replica della Carmen. Tutt’oggi Carmen risulta una delle opere più eseguite nel mondo. Il grande successo di questo capolavoro è confermato da ben 37 film sul tema e sull’opera fra il 1907 e il 2005; e da numerosi balletti (Figg. 13-26). Figg. 25-26 – Georges Bizet, ritratto da Étienne Carjat; il balletto Carmen Flamenco, con Trinidad Artiguez, 2005 45 Bizet – Meilhac/Halévy Carmen è sostanzialmente un melodramma tragico, può far meraviglia la contraddizione lessicale con il nome del teatro che l’ha prodotto: Opéra-Comique. C’è del vero, e fece scalpore, perché i soliti frequentatori erano abituati a spettacoli più leggeri e a lieto fine, dove le vicende con arie cantate si alternavano con dialoghi parlati (non recitativi musicali); ma non necessariamente solo per opere buffe. Il genere è probabilmente derivato dal Vaudeville, cioè spettacolo di varietà francese della fine del ’700, dove nella recita parlata si inserivano canzoni o episodi musicati. Nell’800 quello dell’Opéra-Comique era comunque un genere essenzialmente popolare e piccolo borghese, in confronto al Grand Opéra che aveva un pubblico altoborghese e aristocratico abituato ad opere serie e di più lunga durata (es. il “Guglielmo Tell” di Rossini). Fra le tante registrazioni disponibili in vinile, in CD e in DVD, così come nelle repliche in teatro, è molto probabile che le parti dei dialoghi originariamente parlati senza musica siano sostituiti da recitativi musicati (su parole di E. Giraud per la prima viennese), cosicché i testi dei libretti che circolano per la Carmen possono differire in vari punti e questo è spiacevole, ma non pregiudica la qualità delle diverse esecuzioni; mentre sono da evitare le messe in scena o gli ascolti in lingua diversa dal francese. È probabile che le repliche della Carmen messe in scena in Francia abbiano conservato le parti parlate, mentre all’estero hanno preferito sostituirle in tutto o in parte con i recitativi musicati: questo semplifica per i non francesi i problemi di esecuzione, ma il libretto è molto più bello nell’originale del 1875 e migliore ne risulta anche l’opera. Mi permetto di associarmi con quanti hanno detto che la prima traduzione in italiano del libretto originale fatta da Achille de Lanzières è “catastrofica”. Anche altre traduzioni italiane non sono all’altezza dell’originale francese. Per le ragioni dette, appare più giusto rinunciare alla versione in italiano del libretto, 46 Carmen che in questo volume sarà in lingua originale e il più completo possibile, comprendendo le varie pagine eliminate o cambiate dalla prassi esecutiva. In italiano, con carattere corsivo, ci si limita ad esporre le introduzioni sceniche e tutto quello che non è cantato o parlato sulla scena, oltre alla traduzione di alcune parole del testo meno frequenti o alcune frasi più significative (riportate nella colonna riservata alle note a margine). L’Opera di Bizet è un susseguirsi di eventi inaspettati che percepiamo come fatti di cronaca visti e sentiti di nascosto; i sentimenti del romanticismo sono in secondo piano, come il ricordo del passato ed i pensieri per il futuro: è il realismo di quello che succede che prevale e ti lascia senza fiato. I brani concertati, i parlati senza musica (o i recitativi), i duetti, le canzoni a ballo, le declamazioni e le fanfare dell’arena, sono così reali che ci sembra di viverli, come se fossimo presenti. All’inizio è intensa la contraddizione fra la monotonia della poca gente che passa nella piazza di Siviglia (tanto che paiono eventi l’arrivo di Micaëla, nel suo vestitino azzurro o la misera pantomima dei due coniugi che passano, con lei che civetta col giovane cicisbeo che nascostamente la segue), e l’uscita clamorosa della massa delle sigaraie, sguaiate e strafottenti, molte con la sigaretta in bocca, che fendono uno stuolo di giovani popolani, piano piano affluiti e aggruppati per avvicinare tutta questa grazia d’Iddio. In questa sorta di spettacolo non poteva non emergere la personalità di Carmencita, la gitana che, come accennato, ne combina di tutti i colori. A parte i giudizi morali, è da riconsiderare la novità melodrammatica del rapporto dominante fra un singolo individuo (specialmente donna) e tutti gli altri: la società. Meno affascinanti, ma sempre interessanti, appaiono le vicende in montagna dei contrabbandieri e dei personaggi principali. Le due inerpicate sulla cordigliera betica alla cieca, da una parte di Escamillo, che si umilia e mette a rischio la sua vita per ritrovare una donna, un amore che sente possibile e vuole ottenere a tutti i costi, così com’è abituato a rischiare nella cor- 47 Bizet – Meilhac/Halévy rida (sembra la controfigura dell’arrogante Carmencita); dall’altra parte l’arrampicata di Micaëla, anche lei a casaccio, così giovane e inesperta, sui monti, tanti monti, senza indirizzo e senza bussola (con l’apparizione di una guida improbabile); sembrano fasi troppo inverosimili per rientrare in coinvolgenti fatti di cronaca. Ma su tutto domina in musica e teatro il finale tragico. L’eroina di Bizet, “al di là del bene e del male”, proclama la sua invincibile smania di libertà, accompagnata da un incredibile fatalismo superstizioso; rifiuta fughe e compromessi, nel tempo e nello spazio: “Jamais Carmen ne céderà!/ Libre elle est née et libre elle mourra!” (Mai Carmen cederà, libera è nata e libera morirà); coraggiosa, affronta l’incontro sgradevolissimo con l’ex amante don José, ignorando le sue disperate dichiarazioni d’amore eterno; con ostentata chiarezza gli sbatte in faccia che ora è innamorata di Escamillo, proprio sullo sfondo sonoro degli applausi dell’arena, dove ha fretta di ritornare. Il povero ex contadino ed ex dragone, ridotto a bandito per amore e per forza, le impedisce l’accesso all’arena, ma lei non demorde, irritata ed eccitata, insiste nel freddare gli slanci e i mugugni del prode rifiutato, lanciandogli contro come un’arma l’anello che lui le aveva dato, rendendolo imbufalito; lei non sottovaluta il pericolo, anzi lo sfida temerariamente, rimandando desideri, passioni, amici, all’ignoto del destino. Mai come in questo caso viene fatto di dire che Carmen prende il toro per le corna e ci lascia la pelle. Queste analogie favolose fra José e il toro e fra Carmen e il torero sono certamente il frutto di una delle brillanti invenzioni melodrammatiche di Bizet, che la prepara nel terzo atto e nel quarto la fa esplodere. Ricordiamoci che Escamillo–toreador aveva già avuto un assaggio di José-toro in alta montagna, dove Escamillo stava per soccombere sotto l’improvvisa potenza furiosa del sottovalutato toro umano. Lì Escamillo batte in ritirata canticchiando il suo “…toreador, en garde!…” (salvato da Carmen a cui forse è diretto il suo “…en garde!). 48 Carmen Ma l’analogia fra la modalità della corrida e l’ultimo scontro di Carmen con José diventa clamorosa nel finale dell’opera, quando Carmen esaspera la sua ripulsa dell’aggressività di José, offendendolo e maltrattandolo con brucianti ferite al suo animo esacerbato da una vera tortura, come a poca distanza, nell’arena, capita al vero toro, torturato a sangue dalle picche e dalle banderille, e poi distrutto dallo sfuggente matador che lo uccide. Questo ci trasmettono le voci e i suoni della musica descrittiva che viene dall’arena. Ma fuori, qui nella scena, con tutt’altra musica, nello stesso tempo e quasi nello stesso modo, Carmen (toreador) tortura lo spirito di José e crede di finirlo nello slancio amoroso gettandogli l’anello come l’espada. Ma il toro si rivolta disperatamente, non riuscendo più a controllare la sua preponderanza fisica e dà la “cornata” fatale (Figg. 2728). Fig. 27 – Bozzetto di Emile Bertin per la prima all’Opéra Comique, Parigi 1875 49 Bizet – Meilhac/Halévy Questo capolavoro di Bizet è certamente un’opera di realismo “favoloso”, cioè di eventi e personaggi che potevano esistere come fatti di cronaca che spesso superano la fantasia. Come tutte le storie favolose anche questa si presta a trarre la cosiddetta “morale della favola”, nel tentativo di riconoscere le intenzioni dell’autore. Stiamo attenti: intenzioni, che potrebbero essere suoi convincimenti personali o solo scopi di rappresentazione di caratteri non suoi. Qui, ad esempio, si potrebbe accennare sommariamente a considerazioni “morali” tratte dalle vicende di alcuni singoli personaggi della Carmen. Zuniga, che approfitta del grado militare per essere severo con i sottoposti ma non con se stesso, fino a farsi corrompere dalle grazie d’una bella gitana; e ne esce sconfitto. Escamillo, che impara con dolore che l’abilità e il successo non bastano a dare la felicità. Don José, forte e buono nel corpo ma debole nell’animo: si fa drogare dal fascino e dalla personalità della Carmencita, con la perdita dell’onore e dei legami di origine, fino alla caduta nel mondo della malavita, nella tortura della gelosia, nello sfinimento, nel baratro della disperazione, e perfino nell’omicidio– “suicidio” (per l’autodenuncia). Carmen rappresenta l’esame più difficile perché è carica di grandi qualità e gravi difetti, tutti ai massimi livelli: bellezza, fascino, bel canto di grande facilità naturale, bella capacità di danza, provocante ma non volgare, fedeltà per gli amici, astuzia, personalità che fa rispettare l’individuo “donna” in un mondo che nell’800 era ancor più maschilista di oggi (Angelo Foletto le attribuisce comportamenti “proto-femministi”), e soprattutto una passione indomita per la libertà materiale e morale su tutto e per tutto, che le fa sopportare qualsiasi adattamento e qualsiasi disagio; e questo fa da ponte ai suoi difetti: spregiudicatezza, scarsa istruzione, volubilità anche nell’amore, con brama maniacale di scegliere e ripulsa totale di essere scelta, apprezza le avances accorate ma rimanda i contatti a suo piacimento, crede nelle superstizioni risibili e nel fato, che fron- 50 Carmen teggia con superbia e temerarietà ai limiti dell’autolesionismo che la porterà alla morte; è certamente eccezionale, ma non inverosimile. A pensarci bene, queste osservazioni sulla “morale della favola” potrebbero essere ripetute per ogni successiva opera del verismo melodrammatico italiano, e quindi quelle di questo libro, perché ci permetterebbero di capire più facilmente se gli esecutori hanno interpretato bene il compositore o se ne hanno stravolto le intenzioni (in peggio o in meglio). Ai più giovani mi permetto di raccomandare di non lasciarsi impressionare dalle “favole”, di farsi una cultura saldamente critica, come antidoto a tutti i mali, compresi i pregiudizi e le superstizioni: questo tipo di cultura si ottiene dalla scuola, dalla famiglia, dalla socialità libera, dalle letture, dai viaggi, e dagli spettacoli; e con gli spettacoli si rientra nel nostro tema principale, che è quello di capire e di apprezzare contemporaneamente la musica, le parole e le scene del melodramma, con un po’ di conoscenza, ma liberi da giudizi e da pregiudizi. Buon divertimento. 51 Bizet – Meilhac/Halévy Fig. 28 – Manifesto della prima rappresentazione, 1875 52 Carmen CARMEN Libretto di H. Meilhac e L. Halévy Da vari libretti d’opera di teatro (Ed. A. Barion, Milano senza data; Ed. Sonzogno, Milano 1954 ). Da “Opera Glass”, Libretti, http://opera.stanford.edu. Da UNIFE Carmen, Libretto Francese-Italiano a cura di A. Roccagliati, Ferrara. CD Deutsche Grammophon 1972 (Horne-Mc Cracken-Bernstein); CD EMI 1964/1997 (Callas–Gedda-Prêtre); CD EMI 1970 (Bumbry-VickersFreni-Fruhbec de Burgos) e RCA vinile 1963/1971 (Price-Corelli-FreniKarajan); Da “L’Opera, repertorio della lirica dal 1597”, Mondadori 1977; e da “Guida illustrata a CARMEN”, a cura di P. M. Paoletti e E. Rescigno, Fratelli Fabbri 1975. (Varianti e note di G. Guazzone) DRAMMA LIRICO IN TRE ATTI 1875 1 Personaggi Prima rappresentazione, 3 Marzo 1875, Parigi Opéra-Comique CARMEN Mezzosoprano Célestine Galli-Marié DON JOSÉ Tenore Paul Lhérie MICAËLA Soprano lirico leggero Margherita Chapuy ESCAMILLO Baritono Jacques Bouhy FRASQUITA Soprano Alice Ducasse MERCÉDÈS Mezzosoprano Esther Chevalier EL DANCAÏRE Baritono Pierre-Armand Potel EL REMENDADO Tenore Barnolt (nome d’arte di Paul Fleuret) ZUNIGA Basso Eugène Dufriche MORALÈS Baritono Edmond Duvernoy 2 LILLAS PASTIA Corifeo (ruolo parlato) M.Nathan UNA GUIDA Ruolo parlato M. Teste Ufficiali, Dragoni, monelli, sigaraie, zingari, contrabbandieri, venditori ambulanti, ecc. LA SCENA È IN SPAGNA VERSO IL 1820 53