Giovanni Guazzone
fra SOGNO e VERISMO
Il sottile filo d’Arianna della Lirica
Carmen. Cavalleria Rusticana. Pagliacci. La Bohème.
Gianni Schicchi
I personaggi. I luoghi. I libretti chiariti
Progetto grafico Emilio FM Guazzone
MUNARI edizioni
Ringraziamenti
Per il costante aiuto di revisione del lavoro anche in questo secondo volume,
ringrazio Chiara Guglielmi, mezzosoprano d’agilità e redattrice editoriale esperta.
I disegni di copertina, del frontespizio e quelli di inizio capitolo sono di
Emilio FM Guazzone
Copyright
Titolo del libro: fra Sogno e Verismo, il sottile filo d’Arianna della Lirica
Autore: Giovanni Guazzone
© 2012, Giovanni Guazzone
Copyright
[email protected]
isbn: del libro: fra Sogno e Verismo, il sottile filo d’Arianna della Lirica
Titolo
edizione:Giovanni
giugno 2012
– stampato in italia
Autore:
Guazzone
© 2012, Giovanni Guazzone
[email protected]
TUTTI
I DIRITTI RISERVATI. La riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo, non è
isbn:
9788897701446
consentitadigitale
senza lagiugno
preventiva
edizione
2013autorizzazione scritta dell’Autore
TUTTI I DIRITTI RISERVATI. La riproduzione, anche parziale e con qualsiasi
mezzo, non è consentita senza la preventiva autorizzazione scritta dell’Autore.
Nei melodrammi veristi le donne
sono le protagoniste primarie, noi
uomini siamo più scontati.
Dedico questo libro a tutte le donne
con le quali amandoci ci aiutiamo a
vivere. Lo dedico alla mia amica,
fidanzata, moglie Elisa, con lei da
sessant’anni, molto veristi.
INDICE
9
14
19
Scopo del libro
Nota sui libretti d’opera
Schema tipo per ogni melodramma
opere
21
185
201
209
235
Carmen
musica
libretto/ testo
anno
G. Bizet
H. Meilhac
L. Halévy
1875
Cavalleria Rusticana P. Mascagni
Novella
(da Vita dei campi)
Dramma per il teatro
(da Scene popolari)
Melodramma
(libretto)
259
Pagliacci
R. Leoncavallo
311
La Bohème
G. Puccini
435
Gianni Schicchi
G. Puccini
G. Targioni Tozzetti
G. Menasci
1890
G. Verga
1880
G. Verga
1884
-------------
1890
1892
G. Giacosa
L. Illica
1896
G. Forzano
1918
SCOPO DEL LIBRO
Anche questo secondo libro è fatto per noi, Vecchi e Giovani,
coi libretti d’opera, ma senza la musica che i vecchi ritrovano
nella memoria del passato e i giovani nella memoria elettronica
e purtroppo pochissimi in Teatro.
Questo nuovo libro fa parte dello stesso labirinto del volume precedente: “Il Filo d’Arianna”, ma per ragioni volumetriche è il secondo; per ragioni cronologiche però sarebbe ancora
successivo: il terzo o il quarto. Sono gli scherzi del labirinto e
dei capricci d’Arianna. Tiro il Filo e mi appaiono: Carmen, Turiddu, Canio, Mimì, Gianni Schicchi. Personaggi di quel periodo della storia del melodramma che inizia col Realismo francese
e dilaga nel Verismo operistico italiano. L’abbiamo conosciuto e
amato grazie all’invenzione dei suoi principali autori: Bizet,
Mascagni, Leoncavallo e il grandissimo Puccini.
Ho preferito impegnarmi in questa atmosfera del tutto nuova. È anche colpa dell’aforisma ironico, ai limiti del disfattismo,
di G. B. Shaw, riletto per caso in questi giorni di ricerche
sull’opera lirica, che suona in italiano all’incirca così: un’opera è la
storia di un soprano e di un tenore che vogliono fare all’amore e di un baritono che glielo impedisce. Fa ridere, ma come sempre, nelle caricature aggressive di Shaw, c’è qualcosa di vero; è inutile difendere
il melodramma romantico, che si difende splendidamente da
solo, ma a noi un tuffo nel Verismo ci fa sentire più agguerriti.
Intanto le donne sono diverse: viene a mente il “protofemminismo” di Carmen, che in amore sceglie e non vuol essere scelta; di Santuzza, che certo sbaglia, esagera, ma si ribella al
maschilismo tradizionale siciliano e denuncia il traditore che
l’offende e l’umilia; Nedda, che si ribella ad una vita da prigioniera come un cavallo da circo e muore nel tentativo di proteggere il suo amato e sognato liberatore.
9
Sorprende il fatto che in queste opere veriste gli autori, tutti
uomini, abbiano sempre illuminato i personaggi femminili e
messo in cattiva luce quelli maschili: mentre le donne sono
sempre adorabili, belle, coraggiose, tenere o ammirevoli nel bene e nel male (Carmen, Santuzza e Lola, Nedda, Mimì e Musetta, Lauretta, e anche Tosca, che qui non appare) gli uomini sono prepotenti, violenti, fatui, vanagloriosi, orditori di trame
ignobili o vergognose (don José e Escamillo, Turiddu e Alfio,
Canio e Tonio, e i simpatici ma fatui Bohemiéns, e Gianni
Schicchi, o anche Scarpia, Spoletta e l’incauto Cavaradossi, che
qui non ci sono). Chi si vorrebbe cambiare con uno di loro?
Questi melodrammi veristi ci affascinano anche con il mistero dei misteri, che è l’amore: l’amore che dà la gioia, il piacere e dà la vita; l’amore che dà il dolore, la disperazione e dà
la morte.
È un mistero che ha impegnato filosofi e artisti da sempre, e
i nostri padri greci con Eros (dio dell’amore) e Thanatos (dio della morte); è un mistero che ha riempito le biblioteche e le discoteche di tutto il mondo; è un mistero non risolto nemmeno
dalle religioni; oggi il mistero l’hanno affrontato, con qualche
modesto passo avanti, perfino gli scienziati, che spostano il
problema sulla biochimica (i più simpatici sono i filematologi,
cioè gli esperti del bacio, per i quali l’ossitocina è favorevole e il
cortisolo è contrario!); il mistero resta, però i naturalisti ci ricordano, con grande e banale semplificazione, che anche
l’umanità fa parte del regno animale (siamo simili ai nostri simili). Hanno molta ragione, ma: l’Arte? E la Musica?
Il Verismo predilige le vicende strettamente individuali e
l’ambiente generalmente popolare, o comunque visto dal popolo, per le passioni più genuine rispetto a quelle della borghesia e
dei ceti alti, che hanno imparato a dissimulare e a venire a patti
con l’interesse venale e con il potere. Come la letteratura verista verso i suoi lettori, così il melodramma si rivolge ad un
pubblico più interessato ai problemi di tutti i giorni, o riferibili
ad un recente passato.
10
Sorprende che autori di valore come Bizet, Mascagni o
Leoncavallo non siano riusciti a produrre altri autentici capolavori come Carmen, Cavalleria Rusticana, e Pagliacci; sembrerebbe
che il periodo del naturalismo e del verismo fosse affetto da una
specie di malattia epidemica, che dopo il primo volo tende a
tarpare le ali; fa però eccezione Puccini che di capolavori ne ha
fatti diversi; un vero “figlio” del grandissimo Verdi.
Voglio aggiungere che per questi melodrammi veristi, sarebbe particolarmente interessante dare la possibilità al lettore del
Libretto di premettere la lettura dei testi originali dai quali è ricavata la trama dell’Opera. Questo è possibile per un melodramma di un atto unico, come la Cavalleria Rusticana, per la
quale sono facilmente disponibili gli scritti di Giovanni Verga;
e anche perché, in tutto, l’insieme da leggere ha una dimensione limitata. Per le opere più grandi sarebbe un aggravio veramente spropositato sulla consistenza del libro. In ogni modo,
per le opere qui presentate, oltre la Cavalleria, cerco di riportare
qualche brano o qualche frase dei testi da cui sono stati tratti i
soggetti, quando arricchiscono la comprensione dei relativi libretti d’opera, o ne mostrano la forte differenza. Un caso a sé è
rappresentato dai Pagliacci di Leoncavallo perché il bravo musicista ha scritto tutto da solo, musica e parole, senza un testo di
riferimento.
Dopo aver acquisito la giusta comprensione del libretto,
(che rientra nella potenzialità di tutti), sarebbe bello poter leggere anche la partitura musicale dell’opera (che rientra nelle
possibilità di nessuno, o quasi).
Per non essere frainteso dico subito che la musica ha un effetto all’ascolto così universale che arriva comunque; effetto
che sarà acuito dalla conoscenza approfondita delle vicende e
dei personaggi.
Non posso fare a meno però di stigmatizzare l’esiguità di
quanti in Italia possono leggere la musica e quanti pochi dei
musicisti hanno una laurea universitaria; tanto pochi che vien
11
da pensare che il nostro sistema di cultura popolare e di istruzione pubblica confini i musicisti italiani in una “specie” umana
a parte, a rischio di estinzione o di evoluzione retrograda, con i
suoi linguaggi, e i suoi strumenti; con i suoi campioni esaltati e i
suoi generici disprezzati.
Mi ha sempre angustiato la consapevolezza di non aver avuto dalla scuola una sufficiente cultura musicale: quello che so,
l’ho imparato da solo, con le letture e con l’ascolto, con la partecipazione da amatore alla polifonia corale, con la frequentazione e l’organizzazione di gruppi di artisti e di associazioni
musicali private, con la presenza in teatro, da spettatore e da
ospite di prove liriche.
CONFIDENZE RISERVATE AI PIÙ GIOVANI
Lo “spettacolo” più affollato di appassionati nel mondo di oggi
e di ieri è senza dubbio quello sportivo negli stadi e nella TV
(calcio, olimpiadi etc.). Molti perciò si meravigliano dello scarso
interesse che il grande sport suscita nelle persone anziane e in
campo femminile (in via di accrescimento); analogamente, con
le dovute accortezze si può dire che il grande successo
dell’Opera lirica in Italia non è esploso fra i giovani: sono ragioni di cultura: nel primo caso sportiva, nel secondo musicale
e teatrale.
Non voglio essere frainteso: naturalmente il paragone fra
sport e melodramma non significa metterli allo stesso livello,
come la mela di Newton non ha l’importanza della gravitazione,
così come per altre simboliche trovate antiche e moderne: la
grotta di Platone, le zolle della Tettonica a placche, le ali degli angeli,
etc.; certe metafore sono trovate “filosofiche” per divulgare il
“sapere”. (Per me i filosofi sono i poeti del sapere: più bello di
quello che dicono, è come lo dicono).
12
Del resto non mi riferisco a chi esercita professionalmente
lo sport, ma a chi lo guarda: cioè allo spettacolo; questo, per
piacere in quanto “bello”, deve rispondere a due principali richieste: la qualità del prodotto e la comprensione dello spettatore.
Ciò può convincere a cercare cosa ci vuole per un confronto appagante fra una produzione creativa e la preparazione di
chi è portato a guardarla, a leggerla, o ad ascoltarla.
Sembra la scoperta dell’acqua calda, ma ci serve a sollecitare
l’eventuale lettore non acculturato a una paziente lettura di
questo libro, che intende aiutare il giusto apprezzamento e, talvolta, il godimento di uno spettacolo complesso e multiforme
com’è il Melodramma.
In altre parole, ripeto con una sola frase la mia ferma convinzione che giustifica il lavoro fatto per questo libro: “non si
può apprezzare un melodramma senza aver prima studiato il
Libretto d’Opera”.
A questi volumi ne seguiranno altri, con opere scelte
dall’autore fra i melodrammi più rappresentativi e attraenti,
compresi fra Monteverdi e Puccini.
Per chi leggesse questo volume prima del precedente, devo
ripetere tutta l’introduzione premessa al primo libro a proposito della versificazione poetica dei libretti d’opera, appropriata
per particolari impressioni ed espressioni melodrammatiche,
cercate dai librettisti, ma spesso imposte o alterate dai compo
sitori.
13
NOTA SUI LIBRETTI D’OPERA
(riservata ai non esperti ed ai curiosi)
Non tutti sanno che i libretti delle opere liriche sono per lo più
scritti in versi; quelli di questo libro lo sono tutti. La stretta parentela fra poesia e musica vocale è sempre esistita, anche nella
pratica religiosa, e perfino nella musica leggera. Capita di canticchiare O sole mio e Volare senza renderci conto che sono
“poesie”. Cantautori come De André, De Gregori, ed altri, sono anche poeti. Noti poeti, ingiustamente chiamati parolieri,
hanno avuto in questo campo molta importanza, come il famoso Mogol.
Talvolta capita che sia scritta prima la poesia e poi la musica,
o viceversa; talvolta l’ideazione di musica e parole può essere
contemporanea e coagente fra i due autori, come è avvenuto,
credo, per coppie famose come Battisti e Mogol, e come è ovvio quando l’ideatore è uno solo, come Conte, Battiato, Gaber,
ed altri.
Nella storia della musica operistica è successo di tutto a
monte della messa in scena: prima la metamorfosi dal soggetto
(commedia o dramma, testi religiosi, miti tratti da greci e latini,
libri di successo…) poi la stesura poetica del Libretto, quindi il
confronto fra il poeta e il musicista: è nota la grande influenza
che Verdi ha avuto, e non solo lui, sui propri librettisti, con la
complicazione della censura austriaca, e con il risultato di sofferte alterazioni della versificazione originale.
Storicamente vi è stata una vera identificazione fra poesia e
canti monodici e polifonici, documentata da terminologia comune, come: sonetto, madrigale, canzone, etc…
Per i Libretti d’Opera si può aggiungere che mentre le Arie
cantate (con ripetizioni e varianti) sono generalmente versificate in strofe, i Recitativi sono costituiti da versi più o meno liberi.
Comunque i versi possono essere interi su unica riga di scrittura oppure spezzati in due o più parti, disposte su righe diverse,
in successione, quando le parti sono cantate da personaggi di14
versi. Affinché il lettore possa leggere per primo uno qualsiasi
dei Libretti qui riportati, alcune di queste avvertenze sono ripetute tali e quali sulle note a margine di tutti i Libretti.
Il lettore inesperto dovrà abituarsi alla lettura di una scrittura di stile un po’ vintage, in voga nella pratica dei poeti dei secoli
passati, anche affascinante nel dire e non dire, nell’uso di parole
viete e nel preferire costruzioni delle frasi alla latina, cioè con il
verbo verso la fine della frase, es.: “… io nei voleri arcani leggo del
cielo…”.
Un’altra sorpresa potrà essere la riscoperta di modi di dire,
travasati dalla lirica al linguaggio comune, come succede, per altre strade, ai proverbi.
Senza addentrarsi nel difficile campo della Metrica e della Stilistica, è forse interessante riportare alcune osservazioni sul genere dei versi più adottati in questi Libretti; fermo restando che
anche nelle strofe più classiche i versi possono essere irregolari
per eccesso e per difetto, e che in molti casi i versi in successione possono seguire metriche diverse, in alternanza, secondo
le esigenze poetiche o drammatiche. Non si può tralasciare di
ricordare che nella poesia le sillabe metriche (ritmiche) non
coincidono sempre con quelle grammaticali; sicché in un verso
il numero delle sillabe m. è quasi sempre diverso da quello delle
sillabe g.
Certamente i versi più comuni dei Libretti sono i settenari
(7 sillabe m.), notoriamente i più cantabili:
“… in così gran martire/ lasciatemi morire…”
(Arianna, Rinuccini - Monteverdi)
“… una voce poco fa’/ qui nel cor mi risuonò…”
(Il Barbiere di Siviglia, Sterbini - Rossini)
“… stizzoso mio stizzoso/ voi fate il borioso…”
(La Serva Padrona, Federico - Pergolesi)
“… ma quando vien lo sgelo/ il primo sole è mio…”
(La Bohème, Giacosa e Illica - Puccini)
15
Fra le poesie a noi più note, nate non per la musica, ma con lo
stesso metro, viene subito in mente il Pianto Antico di Carducci:
“L’albero a cui tendevi/ la pargoletta mano…”
Anche gli ottonari (8 sillabe m.), più adatti alla declamazione ed alla narrazione, sono molto usati:
“… Casta Diva, che inargenti/ Queste sacre antiche piante…”
(Norma, Romani - Bellini)
“… La calunnia è un venticello,/ un’auretta assai gentile…”
(Il Barbiere di Siviglia, Sterbini - Rossini)
“… Bella figlia dell’amore/ schiavo son de’ vezzi tuoi…”
(Rigoletto, Piave - Verdi)
A scuola, con lo stesso metro, abbiamo imparato dal Metastasio:
“È la fede degli amanti/ come l’araba Fenice…”
Gli endecasillabi (11 sillabe m.) sono molto elastici, si prestano a qualsiasi occasione:
“… e che volete voi che mi conforte…”
(Arianna, Rinuccini – Monteverdi)
“… Deh, vieni alla finestra, o mio tesoro…”
(Don Giovanni, Da Ponte – Mozart)
“… Di voluttà nei vortici perire…”
(La Traviata, Piave – Verdi)
“… T’aveva il cielo per l’amor creata,/ ed io t’uccido per averti amata!...”
(Aida, Ghislanzoni – Verdi)
Con questo metro ne abbiamo imparate di tutte a scuola, per
non dire della Commedia di Dante: tutta di endecasillabi. Ma di
Lui non possiamo dimenticare:
“Tanto gentile e tanto onesta pare/ la donna mia, quand’ella altrui saluta…”
16
I decasillabi (10 sillabe m.) nei Libretti sono molto impiegati per occasioni drammatiche o invettive stentoree:
“Va pensiero sull’ali dorate;/ va, ti posa sui clivi, sui colli…”
(Nabucco, Solera – Verdi)
“Cortigiani, vil razza dannata,/ per qual prezzo vendeste il mio bene?...”
(Rigoletto, Piave – Verdi)
Ma anche per sillabazioni ironiche od elencazioni ossessive:
“… Non più andrai farfallone amoroso,/ notte e giorno d’intorno girando…”
(Le Nozze di Figaro, Da Ponte – Mozart)
“… Madamina il catalogo è questo…/… in Italia seicentoquaranta…”
(Don Giovanni, Da Ponte – Mozart)
A scuola i decasillabi non sono stati incontrati troppo di frequente, ma Manzoni ci aiuta:
“Soffermati sull’arida sponda,/ volti i guardi al passato Ticino…”
Anche i dodecasillabi (12 sillabe m.) sono spesso presenti nei
colloqui o nelle invettive:
“Uccider quel gobbo!... che diavol dicesti!/ Un ladro son forse? Son forse
un bandito?”
(Rigoletto, Piave – Verdi)
“Va, trema, o vegliardo, dell’ira sovrana…/ tu l’hai provocata, più speme non v’è.”
(Rigoletto, Piave – Verdi)
A guardar bene però questi versi sono doppi senari (6 sillabe
m.), che uniti danno più forza alla declamazione.
Del resto, le misure minori sono raramente da sole:
“Ah, che bel vivere,/ che bel piacere/ per un barbiere/ di qualità.”
(Il Barbiere di Siviglia, Sterbini - Rossini)
Come si vede qui un senario è seguito da due quinari e da un
quaternario, che per la brevità chiude bene.
17
Un altro capitolo della metrica riguarderebbe la posizione
delle “sillabe” accentate (ictus), che cambiano il ritmo e l’effetto
che i versi di stesso metro possono dare alla lettura del testo
poetico, al parlare cantando, e più ancora all’aria cantata. Il tema è interessante, ma per sintetizzarlo e semplificarlo con chiarezza, come il livello di questo libro richiederebbe, si rischia di
rimanere nella banalità e nell’approssimazione. Si deve anche
notare che i cantanti lirici, per esigenze tecniche o per esibizioni virtuosistiche, spesso mandano gli accenti del testo poetico a
farsi friggere.
Chiudo questa introduzione raccomandando ai neofiti di
non scandalizzarsi se nel corso delle rappresentazioni a teatro i
testi cantati non coincidono con quelli originali: succede talvolta che il direttore e concertatore imponga varianti e riduzioni
per favorire i cantanti o per seguire prassi entrate nella tradizione.
Ricordo che queste pubblicazioni hanno scopi di divulgazione e di promozione specialmente verso i colleghi vecchi e
nuovi dell’autore e verso i loro allievi, che a scuola o
all’università non hanno mai studiato nulla di musica e di melodramma, ma solo di letteratura, e poco anche di altre arti come la pittura, la scultura, ecc. Per questa ragione gli argomenti
sono semplici, brevi, i testi ordinati in modo diverso dal solito,
i libretti d’opera completi ma presentati in modo più comprensibile del solito.
Nei Libretti qui trascritti, le parti più belle o più significative
sono stampate in grassetto.
18
SCHEMA TIPO PER OGNI MELODRAMMA
Inquadramento in poche righe (tempo e
luoghi)
Personaggi
(con citazioni dei versi del libretto)
Percezioni melodrammatiche e approfondimento della vicenda (con poche citazioni c. s., e qualche rilievo sulle musiche più note)
Luoghi citati e scene
(cartina geografica – immagini)
Curiosità e storie: Personaggi e Autori
(immagini)
Il Libretto originale. Note laterali a margine e significato delle parole e delle frasi
oscure. Confronti con brani dei testi da
cui è tratto il soggetto.
19
CARMEN
Si je t’aime prends garde à toi!
Bizet – Meilhac/Halévy
Fig. 1 – La Spagna. Da notare la distanza tra la Navarra e l’Andalusia
22
Carmen
CARMEN
Georges Bizet – Henri Meilhac e Ludovic Halévy
Dramma lirico in quattro atti (1875)
Immaginato nel 1820 circa in Andalusia, essenzialmente a Siviglia, ma anche sulle montagne che guardano Gibilterra, sulla
cordigliera sudoccidentale del Sistema Betico (Fig. 1).
Il soggetto è tratto liberamente dal racconto omonimo di
Prosper Mérimée (1845). I due personaggi principali e altri minori sono mantenuti con i loro nomi, ma sono reinterpretati
con grandi varianti; Bizet e i suoi librettisti hanno aggiunto anche nuovi personaggi, fra cui Micaëla, proveniente dalla lontana
Navarra, ed Escamillo, famoso torero di Granada (Mérimée
aveva accennato ad una breve avventura di Carmen con un certo Lucas, picador, solo per esasperare la gelosia di don José; ma
a Bizet dette lo spunto per dare ben altro ruolo ad Escamillo ed
al gioco “monumentale” della Corrida); Frasquita e Mercédès
sono un soprano e un mezzosoprano introdotti da Bizet specialmente per ragioni musicali.
PERSONAGGI
I personaggi principali sono: CARMEN, DON JOSÉ, MICAËLA, ESCAMILLO, altri personaggi non trascurabili: Frasquita, Mercédès, Le Dancaïre, Le Remendado, Zuniga, Moralès, Lillas-Pastia.
CARMEN, mezzosoprano, (talvolta soprano drammatico)
giovane, bella, bruna come la maggioranza delle spagnole meridionali; a prima vista una gitana andalusa piuttosto che una bohémienne, eccezionale per la sua personalità, che la pone in una
nuova caratterizzazione teatrale: l’individuo (donna) verso tutta
la collettività sociale. Consapevole del fascino che esercitano le
sue qualità fisiche e artistiche, con il canto e con la danza, non
23
Bizet – Meilhac/Halévy
solo sui maschi, ma soprattutto sui maschi, pretende e si assicura posizioni di rilievo in ogni contesto e così riesce a sottrarsi
a quasi tutte le conseguenze morali e legali in cui la sua arroganza libertaria incorre facilmente. La conosciamo all’inizio
come sigaraia, una delle centinaia di donne, prevalentemente
giovani, che passano la giornata di lavoro arrotolando foglie di
tabacco per i sigari che in Spagna sono, o erano, fumati ovunque, a tutte le ore.
Il sipario si apre su una piazza popolare della periferia occidentale di Siviglia, presso il fiume Guadalquivir, dove prevalgono due costruzioni molto diverse fra loro, l’enorme manifattura dei tabacchi, e la postazione di guardia fortificata, sopraelevata e predominante, sede di un plotone di soldati di cavalleria, i Dragoni. Da come si svolgono le prime scene, si capisce
che il ruolo prevalente dei militari consiste nel proteggere e
Fig. 2 – Carmen, Habanera. Samuel Holland, 1919
24
Carmen
sorvegliare la piazza, che si anima come uno stadio, all’entrata e
all’uscita delle sigaraie per la giornata di lavoro e per l’intervallo
di riposo.
La Carmencita, osannata dai giovani popolani che l’accerchiano estasiati fin dal suo apparire sulla soglia della manifattura, esordisce con una bellissima canzone a ballo, Havanaise (Habanera): “L’amour est un oiseau rebelle/… il vient, s’en va…/
Tu crois le tenir, il t’ú vite/ Tu crois l’éviter il te tient…” (L’amore è un
uccello ribelle …viene e va …tu credi di tenerlo e lui ti evita, tu
credi di evitarlo e lui ti tiene). Accenna a movimenti di danza,
non balla come una ragazza qualsiasi: si immagina che alterni
passi aggressivi concedendosi in avanti, senza guardare chi c’è,
ed improvvisi arretramenti altrettanto bruschi; ma tutti la
guardano e la sfiorano, mentre lei se ne infischia, eccitata e
strafottente (Figg. 2-4).
Figg. 3-4 – El na Garanča,
Carmen. Londra, 2009
25
Bizet – Meilhac/Halévy
Questo per spiegare l’effetto che ottiene, rompendo
l’accerchiamento per lanciare un fiore contro un giovane sergente (brigadier des Dragons), distratto, non si sa quanto, intento agli accessori del suo moschetto. Inizia così la sua conquista di don José che durerà un pezzo, ma non per sempre,
come ha sempre fatto e farà, con altri; che siano soldati, ufficiali o toreri non importa: “…L’amour! L’amour! L’amour!…”. Insomma Carmen sceglie; non si fa scegliere.
Carmen con le altre ragazze è cameratesca, se si lasciano
guidare, ma può diventare prepotente, violenta e volgare se la
contestano o si danno delle arie.
Il secondo colpo di scena dell’inizio dell’Opera avviene in
un locale della manifattura, quando Carmen aggredisce Manuelita, dopo un battibecco con offese di basso conio, relative ad
un asino che la ragazza vantava di comprare; dopo uno scontro
passato alle mani, Carmen la sfregia in volto con il trincetto di
lavoro (Figg. 5-6). La ragazza ferita non gravemente (per Mérimée: morta) crea uno scompiglio drammatico e l’intervento
del tenente dei Dragoni, Zuniga, che interroga inutilmente
Carmen; lei risponde cantando: “Tralalala, coupe moi, brûle moi,/
Je ne te dirai rien” (Tralalala, colpiscimi, bruciami, io non ti dirò
niente). È il suo modo di trarsi d’impaccio beffando chi la minaccia, indipendentemente dalle ragioni che determinano
l’impaccio; così si libera beffandosi anche di don José, incaricato di portarla in prigione, corrompendolo, facendogli credere di
essere sua compaesana ed eccitandolo con promesse di amore;
e così scappa beata, con il risultato di far incarcerare lui invece
di lei. Però, il patto per il convegno amoroso non è un accordo
da prostituta, ma è una decisione unilaterale presa perché lei si
è invaghita, quasi incaponita di amare don José. Sapremo poi
quanto sia azzardata la decisione di attrarre il brigadiere nella
stessa taverna di Lillas Pastia, frequentata ogni sera anche da
Zuniga, (tenente) di lui diretto superiore, anch’esso invaghito
della gitana, nella speranza d’incontri intimi, nonostante i precedenti che avrebbero dovuto portare Carmen in prigione.
26
Carmen
Fig. 5 – Una rappresentazione di Carmen, Teatro Regio di Torino, 2006
Fig. 6 – Il duello con Manuelita, Canadian Opera Company’s 2009
27
Bizet – Meilhac/Halévy
Anche qui, in questa taverna malfamata, la bella gitana nuota come un pesce nell’acqua, tra intrighi e festosità molto popolari, con zingari contrabbandieri, e con le loro donne: “Pre des
remparts de Séville/ Chez mon ami Lillas Pastia/ J’irai danser la Séguedille/ Et boire du Manzanilla.” (Presso le mura di Siviglia dal
mio amico Lillas Pastia, andrò a ballare la Séguedilla e a bere la
Manzanilla) (Fig. 7). Brava, primeggia ma non può impedire lo
scontro gravissimo tra i due militari, l’ufficiale e il brigadiere; si
evita il peggio per l’intervento dei banditi che allontanano Zuniga, minaccioso, con le buone e con le cattive maniere.
Le conseguenze per Carmen e i suoi amici avrebbero potuto
essere pesanti, ma Carmen non si sgomenta, si butta dietro le
spalle grane e prospettive cambiando aria; è il suo modo di vivere, liberarsi di tutto e scegliere una cosa sola: la libertà; libertà
di azione, di pensiero, di storie amorose.
“…Le ciel ouvert, la vie errante/ Pour pais, l’univers; Et pour loi, sa
volonté,/ Et surtout la chose enivrante:/ La liberté! La liberté!” (Il cielo
aperto, la vita errante, per patria l’universo; e per legge, la propria volontà e su tutto la scelta inebriante: la libertà!).
Fig. 7 – Carmen, balletto. Antonio Gades Compañia, Teatro G. da Udine, 2012
28
Carmen
Così Carmen, dietro ai banditi, con don José, costretto a
fuggire con loro, cambia completamente vita, o forse ripercorre
una via di fuga già vissuta: la montagna che separa l’Andalusia
da Gibilterra; un percorso lungo e difficile che i contrabbandieri conoscono per importare senza dogana merci inglesi e forse
balle di cotone.
Il disagio, notte e giorno, nel gelo della montagna, mangiando male e dormendo peggio, in un’avventura senza prospettive
entusiasmanti, rende la convivenza poco favorevole alle gioie
dell’amore: don José, sempre più cupo e geloso, Carmen sempre più fredda e scostante: è l’inizio della fine.
Gli arrivi imprevisti di due persone, emblemi di mondi diversi e inquietanti per le coscienze dei nostri eroi, come il torero Escamillo e Micaëla, danno l’ultimo scossone alla vicenda: il
primo è il campione di una realtà di successi, di bella vita e di
vittorie che turbano e attraggono Carmencita; la seconda è per
il navarrese l’ex fidanzata, lo specchio di un passato di onestà
tradita e di ricordi che non torneranno più.
Il richiamo della cara madre morente, di cui Micaëla è latrice, suscita un ultimo bagliore di sentimento sano in don José
che abbandona il campo per correre dalla madre, ma sconvolto
come una belva ferita, non domata.
Dopo un certo tempo, Carmen, già amante di Escamillo,
nell’esaltazione del trambusto gioioso di imminenti corride a
Siviglia, per gli esaltanti trionfi del suo nuovo compagno matador, si ritrova davanti il povero ex contadino, ex brigadiere, ex
contrabbandiere, malridotto, ma ancora spasimante per lei, che
aveva liquidato come un capriccio morto e sepolto. Carmen
non si defila come un debitore inseguito dal suo aguzzino; bella
e splendente nella sua rossa mantiglia, affronta il grosso barbone affamato di lei, che la investe con parole bellissime e bruttissime; e che, dopo l’ennesimo rifiuto di lei, senza più speranza,
la uccide.
29
Bizet – Meilhac/Halévy
DON JOSÉ tenore, giovane aitante di bell’aspetto, serio,
proviene dal mondo rurale della Navarra, regione ai piedi dei
Pirenei; è amatissimo dalla madre e già felicemente fidanzato
con la graziosa Micaëla, giovanissima ragazza semplice e costumata, benvoluta e favorita dalla futura suocera. Come sia
possibile che il bravo campagnolo sia stato arruolato nel reggimento dei Dragoni di Almanza, (con una dipendenza forse ad
Alcalà, a ca. 20 Km da Siviglia) lui lo dice a Zuniga (tenente,
suo superiore): ha deciso di lasciare il suo paese dopo una grossa lite con un coetaneo, che lui ha sconfitto due volte in un
gioco a premio alla Palla Basca (una specie di tennis), in una gara della provincia di Álava, al confine con la Navarra; per seguirlo sua madre si è stabilita a dieci leghe da Siviglia (poco ad
est, forse proprio ad Alcalà) con Micaëla, fanciulla orfana, allevata affettuosamente. (Secondo Mérimée, il giovane don José,
dopo un duello mortale in cui ebbe la meglio, fu costretto a
fuggire e ad arruolarsi nei Dragoni; un po’ come succedeva in
Francia con la “Legione Straniera” (Figg. 8-10).
Figg. 8-9 – Don José, Fernando Valero, 1886; Placido Domingo nel film di F. Rosi, 1984
30
Carmen
A Bizet questo esordio del suo giovane personaggio non
andava bene e lo attenuò per mantenere la sua figura di solida
innocenza contadina e quindi il melodrammatico contrasto con
l’effetto corruttivo della diabolica gitana).
Abile a cavallo, è subito nominato brigadiere (sergente); sotto il comando di un tenente è assegnato ai turni del posto di
guardia del delicato rione periferico di Siviglia, capoluogo
dell’Andalusia. Lì, nella piazza della manifattura dei tabacchi,
già descritta, rivede la fidanzata, Micaëla, che porta un primo
messaggio della cara mamma del dragone, ben congegnato, che
tocca il bravo giovanotto con il piacere emotivo dei buoni sentimenti. Un altro piacere però gli era piovuto addosso, come
una freccia di Cupido, sotto la forma ambigua di un fiore scagliato con impudenza dalla provocante Carmencita, dopo le
erotiche piroette del ballo da gitana, improvvisato e cantato
con indubbia bravura, l’Habanera, come già detto:
“L’amour est un oiseau rebelle…” (L’amore è un uccello ribelle…)
Fig. 10 – Don José e Carmen, Roberto Alagna e El na Garanča. Londra 2009
31
Bizet – Meilhac/Halévy
Abbiamo visto come il brigadiere sia irretito dal fascino di
Carmen al punto di trasgredire all’ordine di condurla in carcere
e di subire degrado e prigione per due mesi, per averne favorita
la fuga. Finalmente liberato, corre alla taverna di Lillas Pastia,
per ritrovare la sospirata Carmencita; ma le cose non vanno
come ci si aspetterebbe: don José non ha fatto i conti con gli
orari di caserma; non solo non ha il tempo di coronare un sogno che ha accarezzato ogni notte per due mesi, ma è addirittura costretto ad interrompere il canto e la danza con cui la zingara lo accoglie, assai invitante. Succede che arriva da lontano,
fuori campo, il suono della tromba della “ritirata”, che ogni sera è propagato dal corpo di guardia. Don José, con molto rincrescimento, cerca di spiegare il contrattempo alla bella Carmen, che all’inizio non lo prende sul serio; dopo le ovvie spiegazioni sull’appello dei militari e sui doveri di caserma, Carmen
si irrita e non si capacita della dabbenaggine puerile del sergente, sottoposto come un cameriere, che lo porta a rinunciare a
lei per una disciplina grigia di misero militare anteposta alla
grande felicità dell’amore. Un uomo così per lei è uno sciocco
bamboccio, e lei, deridendolo, lo chiama “canarino” per la vistosa montura gialla dei Dragoni: “…Va-t’en donc, canari!/ …et
va t’en, mon garçon, va t’en!/La la la la la la la…” (E vattene canarino!… e vattene ragazzo mio, vattene/ la la…) (Figg. 11-12).
Figg. 11-12 – Due interpretazioni di Carmen e don José: Ginger Costa-Jackson, Adam
Diegel, 2011; Marina Domashenko, José Cura, 2003
32
Carmen
Don José per un residuo senso dell’onore e per il senso di
colpa di aver già disubbidito una volta, avendo compromesso
la sua carriera, resiste e prende l’amara decisione di lasciare
Carmen, a rischio di perderla per sempre. Ma il destino stravolge il corso degli eventi: arriva all’improvviso il tenente Zuniga
violento e sprezzante, che lo sorprende chiamandolo: “drôle”
(buffone); ne nasce il duello già descritto.
Dopo il duello e la violenza esercitata dai banditi su Zuniga,
don José è costretto alla diserzione, con una rottura definitiva
col suo passato di onesto navarrese, di bravo figliolo, di fidanzato felice, di stimato dragone, per una vergognosa vita da contrabbandiere con gli zingari così diversi da lui. Tutto sopporta
per l’amore della bella Carmencita. In alta montagna, lasciato
solo a guardia della mercanzia mentre i contrabbandieri e le
donne si allontanano per studiare ed eventualmente distrarre i
doganieri, spara nel buio a uno sconosciuto mancandolo per
poco. Dopo due parole, scopre che il nuovo arrivato, Escamillo, è un altro infatuato di Carmen, poco pericoloso per i contrabbandieri ma molto per lui e lo sfida a duello. Il torero, non
si approfitta della sua ovvia superiorità di schermidore e generosamente si limita a difendersi; non pensava di offenderlo e
non si aspettava di dover affrontare un “toro” così infuriato,
scivola, cade e sta per soccombere, salvato per un soffio da
Carmen e dai suoi amici. Fra la Carmencita seccatissima e i
banditi irritati dal contrattempo, don José riceve un’altra ospite
inattesa, come già accennato, arrivata in cima ai monti presso
Gibilterra dalla lontanissima Navarra (dove la madre era certamente tornata dopo la diserzione di José): è Micaëla, già informata di tutto, spaventata ma tenace, che tenta un ricupero quasi impossibile del suo compagno navarrese: “…Je vais voir de près
cette femme/ dont les artifices maudit sont fini par faire un infâme/ de
celui que j’amais jadis!...” (Vado a vedere da vicino questa donna i
cui artifici malèfici han finito per rendere infame l’uomo che un
tempo amavo); don José, per lei perso ormai, è ancora sensibile
al richiamo della madre morente; sicché lascia l’empia compagnia,
33
Bizet – Meilhac/Halévy
irritato dall’ironico congedo di Carmen: “Va-t’en, va-t’en, tu feras
bien,/ notre métier ne te vaut rien!” (Vattene, vattene tu farai bene,
il nostro mestiere non fa per te); e don José a Carmen: “Sois
contente… Je pars… mais…nous reverrons!” (Sarai contenta… me
ne vado… ma… ci rivedremo!)
Dopo la morte della madre in Navarra (per Mérimée la madre di José stava a Pamplona), non si sa quanto dopo, don José
torna a Siviglia proprio in un momento poco opportuno quando Escamillo al massimo della fama è chiamato da Granada
all’arena di Siviglia, accolto come un trionfatore, con la bella
Carmen al suo fianco radiosa in un costume sfolgorante.
Mentre il torero affronta il duello col toro inferocito, a pochi metri di distanza fuori dall’arena Carmen affronta il suo doloroso duello con don José (Fig. 13) e sappiamo come va a finire. Splendida la musica che combina gli echi fragorosi ma fuori
campo della corrida con gli slanci melodici e gli accenti del non
Fig. 13 – Grace Bumbry e Jon Vickers nel film opera di Herbert von Karajan, 1967
34
Carmen
meno rischioso scontro di don Josè, abbrutito dalla disperazione con l’inafferrabile gitana; destinati entrambi alla morte:
Carmen pugnalata da don José e lui che si consegna alle guardie
per la forca: “Vous pouvez m’arrétêr… c’est mois qui l’ai tuée!” (Mi
potete arrestare, son io che l’ho uccisa); “Ah! Carmen, ma Carmen adorée!”.
MICAËLA, soprano lirico leggero, orfanella raccolta dalla
madre di José, giovanissima e carina, con la sua gonna blu e la
treccia ricadente, certamente l’opposto di una come Carmen; è
diventata la fidanzata di don José, seria, una brava ragazza di
campagna animata da buoni sentimenti, e molto coraggiosa.
Come ho già detto è un personaggio nuovo rispetto al racconto
di Mérimée, introdotto da Bizet sicuramente per accentuare il
contrasto tra il mondo semplice e onesto di provenienza del
brigadiere e quello della gitana, esaltando l’effetto drammatico
della loro infatuazione che travalica come un’ondata crescente
Fig. 14 – Micaëla, Maya Dashuk. Arena di Verona, 2002
35
Bizet – Meilhac/Halévy
qualsiasi argine. Bizet assegna a Micaëla alcune belle arie dolci e
confortanti forse anche per accontentare chi lo spronava appunto ad addolcire le tinte molto forti della tragedia per il pubblico dell’Opéra-Comique, del tutto impreparato a questo nuovo genere. Micaëla non è una figura dominante ma lascia un bel
ricordo (Fig. 14).
ESCAMILLO, baritono, uomo affascinante come un divo,
sempre ben vestito, brillante e galante come deve essere un
grande toreador. Escamillo conoscerà per caso Carmen da Lillas Pastia, dove capita per una breve sosta, interrompendo un
viaggio in carrozza a cavalli. Anche questo è un nuovo personaggio introdotto da Bizet con abilità melodrammatica per avvicinare progressivamente, senza parere, lo scontro pericoloso
a cui è destinato il coraggioso torero, con la sensualità delle sue
piroette volteggianti e sfuggenti per la forza di un toro scatenato, al “duello” a cui si è destinata l’altrettanto imprendibile gitana, anche lei bella e luccicante come il matador, contro la forza dell’abbrutito ex amante, infuriato come un toro, ma disperato come un condannato senza più speranza per un amore, vicino e lontano, irrecuperabile, che lo attanaglia come la crisi
d’astinenza di un tossicodipendente.
Escamillo, quando scende dal piedistallo del trionfo, all’uscita dall’arena, è invece tragicamente sconfitto nell’amore, davanti alla scena finale della sua anima gemella uccisa.
Tutta la musica che riguarda il torero dal preludio alla fine
dell’opera è splendida, perfettamente adeguata (Figg. 15-16).
FRASQUITA e MERCÉDÈS, soprano e mezzosoprano,
zingare, giovani (Fig. 17) amiche di Carmen, cantano e danzano
ma non come lei; con lei aiutano e dipendono dai contrabbandieri, soprattutto per distrarre o corrompere i doganieri: “Quant
au douanier, c’est notre affaire!/ …il s’agit tout simplement/ de se laisser
prendre la taille/ et d’écouter un compliment./ S’il faut aller jusqu’au
36
Carmen
Figg. 15-16 – Escamillo, Michael Todd Simpson, 2011; Ettore Bastianini, 1957
Fig. 17 – Frasquita e Mercédès, Maria Rita D'Orazio e Sara Allegretta, 2012
37
Bizet – Meilhac/Halévy
sourire,/ que voulez-vous! on sourira!” (Quanto al doganiere è affar
nostro! … si tratta semplicemente di farsi prendere intorno alla
vita e di ascoltare un complimento. Se bisogna spingersi a sorridere, che volete! Si sorriderà!) Il testo non dice di più.
Le due zingare appaiono nella scena della taverna di Pastia
del II atto, dove partecipano allegramente a canti e balli e dichiarano subito l’adesione ai prossimi progetti di lungo viaggio
dei contrabbandieri, cercando di convincere anche Carmen, assai riluttante essendo in attesa del bel dragone don José. Hanno
poi un ruolo teatralmente e musicalmente più importante nel
III atto, nella scena notturna di alta montagna, quando tutti
dormono ma loro, inquiete, con Carmen vogliono indagare
sull’inconoscibile del loro futuro, usando le “carte”; seguendo
notissime tradizioni gitane che stanno fra la superstizione e la
truffa magica. Le previsioni “risultano” fauste per le amiche,
ma terribilmente infauste per Carmen: un destino di morte per
lei e per il suo momentaneo amante (don José); non si sa se
Carmen ci crede o fa finta di crederci perché avverte la prossima e difficile fine di questo amore; è certo che da ora in poi
aumenta il suo atteggiamento fatalista sulle vicende del cuore.
Frasquita e Mercédès rifanno una brevissima apparizione
nell’atto IV, quando tentano invano di convincere Carmen ad
evitare l’incontro difficile con don José, che hanno intravisto
cupo e malandato. Questa preoccupazione delle amiche si comunica così anche al pubblico del melodramma. Dal punto di
vista musicale va fatto notare che le due zingare con Carmen
realizzano interessanti trii di sole voci femminili, che non è frequente ascoltare nell’opera lirica.
EL DANCAÏRE e EL REMENDADO, entrambi tenori,
(talvolta baritono e tenore) zingari, contrabbandieri. Con Lillas
Pastia, Frasquita e Mercédès, rappresentano il clan dei gitani
che circonda l’adorata Carmencita, in un rapporto di mutuo
soccorso che è sempre presente nell’opera. I due zingari, forti,
decisi, con pochi scrupoli, vivono tra gli ozi festosi della taver-
38
Carmen
na di Pastia e il traffico del contrabbando che esercitano, come
giø detto, per le merci inglesi e le balle di cotone, caricate a dorso di mulo e di cavallo nel porto di Gibilterra; riescono poi ad
introdurle in Spagna, seguendo i sentieri impervi della sierra
montagnosa, alla propaggine sudoccidentale della Cordigliera
Betica, evitando gli sparuti doganieri messi di guardia ai passi
piø elevati. Sono briganti ma non privi di un certo senso di cavalleria e di misura che li differenzia molto dagli omonimi malfattori di Mø rimø e, dediti anche alle rapine e agli omicidi. Bizet
evita attentamente di squalificare con loro anche la sua eroina
Carmen, gitana sø , prepotente ed arrogante sø , ma bella, desiderabile, valente nel canto e nel ballo, libertaria fino all’amoralità,
ma per sua scelta “ideale”; non una squallida prostituta criminale. Il rapporto dei due contrabbandieri di Bizet con le zingare
del clan è quello del “padre-padrone”; fa eccezione Carmen
che i briganti rispettano e con la quale misurano le loro decisioni. Hanno un ruolo importante ma spariscono nel IV atto.
ZUNIGA, vocalmente basso, rappresenta l’autorità legale, è
il tenente che comanda il plotone dei Dragoni in cui milita anche don Josø . Come giø accennato, ø un capo severo a valle e
Figg. 18-19 – Micaú la e Moralú s, Anya Matanovic
e Wes Mason, 2011; Carmen e Zuniga,
Nino Surguladze e Kevin Langan, 2011
39
Bizet – Meilhac/Halévy
assai lasso a monte; annoiato al posto di guardia che da lui dipende, esordisce rivelando interesse solo per le qualità estetiche
delle sigaraie che stanno per uscire dalla manifattura (Fig. 19);
questo non gli fa onore ma lo rende più umano. Quest’umanità
che si nasconde sotto le divise emerge in varie occasioni in cui
si trovano soldati, sottufficiali e ufficiali. Ritornando a Zuniga,
è rimarchevole che sia stato preso in giro da Carmen, capace di
annullare ogni tentativo d’interrogatorio cantando; il tenente,
come si sa, ha cercato di arrestarla e di punirla, comandando al
brigadiere di portarla in prigione; ma Carmencita ha fatto colpo
anche su Zuniga, sicché lui borbotta: “C’est dommage,/c’est grand
dommage,/ car elle est gentille vraiment…” (Che peccato, che granpeccato, perché è graziosa davvero). Insomma, Zuniga è apparso serissimo col brigadiere nel comando di arrestarla e
nell’imporgli la altrettanto severa punizione per essersela fatta
fuggire e sconcerta nel ritrovarlo nella taverna dello zingaro Pastia a corteggiare proprio l’ex evasa Carmen, come se nulla fosse stato; anzi, si capisce che Zuniga è un abituale frequentatore
del posto, già inserito fra gli ammiratori più o meno corrotti
dall’ineffabile gitana. Ricordiamoci del pericoloso duello di don
José con Zuniga, proprio nella taverna. In pratica la parte di
Zuniga finisce lì (anche se appare fra il pubblico dell’arena di
Siviglia, poco prima della conclusione dell’opera, probabilmente più attratto dalla compagna del torero che dalla corrida).
MORALÈS, baritono, dichiara di essere brigadiere come
don José, ma appartenente ad un altro plotone di Dragoni; appare proprio all’inizio dell’Opera in un simpatico colloquio con
Micaëla (Fig. 18), che cerca il fidanzato al corpo di guardia, nella piazza delle sigaraie di Siviglia. Anche Moralès se la spassa
tra gli ambigui frequentatori della malfamata taverna di Pastia,
insieme ad altri militari, compresi altri ufficiali oltre Zuniga.
Qui Moralès fa poco più che da comparsa, come può esserlo
alla fine del melodramma, fra la folla che si accalca all’ingresso
dell’arena per la corrida.
40
Carmen
LILLAS PASTIA, zingaro corifeo, oste della taverna omonima, non canta ma parla; interviene per ricordare energicamente agli avventori notturni che se ne devono andare, rispettando l’orario di chiusura imposto dall’ordinanza del Corregidor
(Prefetto di Polizia). Lillas Pastia è quello che ospita e nasconde
i contrabbandieri con le loro donne e ne facilita l’attività illegale. Riflettendo sui clienti abituali che ha e che fingono di non
riconoscere alcun malavitoso, vien da pensare a frequenti connivenze di ufficiali come il “severo” Zuniga (che del resto glielo
fa notare maliziosamente).
Si può comunque ben dire che anche Pastia fa parte del clan
gitano che ruota attorno alla fantastica Carmencita (Fig. 20).
Fig. 20 – Nella Taverna di Lillas Pastia, Metropolitan Opera House di New York, 2011
41
Bizet – Meilhac/Halévy
Fig. 21 – Carmen di Bizet, 6 Figurine Liebig in edizione italiana, 1895
42
Carmen
PERCEZIONI MELODRAMMATICHE E CURIOSITÀ
La percezione più rilevante che si trae dall’opera di Bizet è duplice: la bella musica e la bella gitana, Carmen.
Sulla musica per ora mi limito a dire che è quasi sempre
spumeggiante, carica di imprevisti; a ciò contribuiscono per
contrasto anche i passaggi più teneri, più delicati, come quelli
impersonati da Micaëla (inventata dagli autori proprio per questo). Carmen, più che il sentimento, suscita il desiderio, l’amore
totale, la fissazione bramosa in tutti i maschi a cui si avvicina e
quindi il relativo rischio; in questo si capisce la comunanza che
avvicina Carmen al torero Escamillo, che per passione rischia
tutto se stesso nell’arena. La parte del toro la fa il povero don
José, anche lui strappato alla verde campagna (come un toro)
per un mondo di guerra potenziale, che non è il suo: i Dragoni;
e anche lui precipitato in una sfida mortale, ubriacato dallo
sventolio della mantilla di Carmen (come una muleta), irritato e
ferito (nell’anima), ma fuori dell’arena (Figg. 21-23).
Figg. 22-23 – Illustrazione di Gabriel Pacheco; una locandina, autore ignoto
43
Bizet – Meilhac/Halévy
Questa volta il “toro-José”, dopo tanto soffrire, “incorna” e
uccide chi sta dietro la mantiglia. La morte lascia solo, nudo e
puro, il sentimento che agghiaccia il povero don José, assassino, con la sua disperazione.
La musica interpreta tutto perfettamente. Il preludio introduce e sintetizza il dramma con tre temi: l’entrata dei toreri
nell’arena che prelude all’incontro selvaggio col toro; la presentazione del Toreador, brillante e superbo; e il tema della fatalità,
cupo e solenne fino al compimento della tragedia.
Trattandosi di eventi forti, con intervalli di dolce intimità, in
alcune esecuzioni, per il timore di eccedere, capita di trovare
l’insieme monotono e poco convincente; qualche altra messa in
scena, al contrario, può eccedere in violenze di voci, movimenti
e suoni, intorno a Carmen ed Escamillo, e poi in esagerazioni
languide con Micaëla. Questi sono rischi che lo spettatore poco
fortunato può correre. E forse sarà stata anche questa la ragione dell’insuccesso della prima, alla Salle Favart dell’OpéraComique, nel marzo del 1875 (Figg. 23-24-27-28).
Figg. 23-24 – Celestine Galli-Marié, la prima Carmen, 1875; Pauline Donalda, Carmen e
suo marito Paul Seveilhac, Don José, 1906
44
Carmen
Ma soprattutto fu la stampa borghese che gridò allo scandalo per l’offesa ai Dragoni, militari e ufficiali, corrotti da una
zingara senza scrupoli, violenta e portata a delinquere con la
mala dei contrabbandieri, e perfino vincente sui sani sentimenti
di una fidanzata e di una madre affezionatissime al dragone; e
in conclusione, per la fine tragica e cruenta della storia, sullo
sfondo di una festa volgarmente popolare. Si disse male perfino della musica, troppo nuova e invadente, “intollerabile”.
Con questa propaganda, le prime repliche andarono quasi
deserte; e il bravissimo Bizet (Fig. 25), già ammalato e depresso
da queste notizie, morì nel giugno del 1875, povero e abbandonato, tre mesi dopo la prima del suo capolavoro. Bizet non
poté sapere che a Vienna, nell’ottobre dello stesso anno, la
Carmen avrebbe avuto un grande successo, e che l’OpéraComique anche a Parigi l’avrebbe replicata con interesse crescente di pubblico; basti dire che nel 1904 si festeggiò la millesima replica della Carmen. Tutt’oggi Carmen risulta una delle
opere più eseguite nel mondo. Il grande successo di questo capolavoro è confermato da ben 37 film sul tema e sull’opera fra
il 1907 e il 2005; e da numerosi balletti (Figg. 13-26).
Figg. 25-26 – Georges Bizet, ritratto da Étienne Carjat; il balletto Carmen Flamenco, con
Trinidad Artiguez, 2005
45
Bizet – Meilhac/Halévy
Carmen è sostanzialmente un melodramma tragico, può far
meraviglia la contraddizione lessicale con il nome del teatro che
l’ha prodotto: Opéra-Comique. C’è del vero, e fece scalpore,
perché i soliti frequentatori erano abituati a spettacoli più leggeri e a lieto fine, dove le vicende con arie cantate si alternavano con dialoghi parlati (non recitativi musicali); ma non necessariamente solo per opere buffe. Il genere è probabilmente derivato dal Vaudeville, cioè spettacolo di varietà francese della fine
del ’700, dove nella recita parlata si inserivano canzoni o episodi musicati.
Nell’800 quello dell’Opéra-Comique era comunque un genere essenzialmente popolare e piccolo borghese, in confronto
al Grand Opéra che aveva un pubblico altoborghese e aristocratico abituato ad opere serie e di più lunga durata (es. il “Guglielmo Tell” di Rossini).
Fra le tante registrazioni disponibili in vinile, in CD e in
DVD, così come nelle repliche in teatro, è molto probabile che
le parti dei dialoghi originariamente parlati senza musica siano
sostituiti da recitativi musicati (su parole di E. Giraud per la
prima viennese), cosicché i testi dei libretti che circolano per la
Carmen possono differire in vari punti e questo è spiacevole, ma
non pregiudica la qualità delle diverse esecuzioni; mentre sono
da evitare le messe in scena o gli ascolti in lingua diversa dal
francese.
È probabile che le repliche della Carmen messe in scena in
Francia abbiano conservato le parti parlate, mentre all’estero
hanno preferito sostituirle in tutto o in parte con i recitativi musicati: questo semplifica per i non francesi i problemi di esecuzione, ma il libretto è molto più bello nell’originale del 1875 e
migliore ne risulta anche l’opera.
Mi permetto di associarmi con quanti hanno detto che la
prima traduzione in italiano del libretto originale fatta da Achille de Lanzières è “catastrofica”. Anche altre traduzioni italiane
non sono all’altezza dell’originale francese. Per le ragioni dette,
appare più giusto rinunciare alla versione in italiano del libretto,
46
Carmen
che in questo volume sarà in lingua originale e il più completo
possibile, comprendendo le varie pagine eliminate o cambiate
dalla prassi esecutiva. In italiano, con carattere corsivo, ci si limita ad esporre le introduzioni sceniche e tutto quello che non
è cantato o parlato sulla scena, oltre alla traduzione di alcune
parole del testo meno frequenti o alcune frasi più significative
(riportate nella colonna riservata alle note a margine).
L’Opera di Bizet è un susseguirsi di eventi inaspettati che
percepiamo come fatti di cronaca visti e sentiti di nascosto; i
sentimenti del romanticismo sono in secondo piano, come il
ricordo del passato ed i pensieri per il futuro: è il realismo di
quello che succede che prevale e ti lascia senza fiato. I brani
concertati, i parlati senza musica (o i recitativi), i duetti, le canzoni a ballo, le declamazioni e le fanfare dell’arena, sono così
reali che ci sembra di viverli, come se fossimo presenti.
All’inizio è intensa la contraddizione fra la monotonia della poca gente che passa nella piazza di Siviglia (tanto che paiono
eventi l’arrivo di Micaëla, nel suo vestitino azzurro o la misera
pantomima dei due coniugi che passano, con lei che civetta col
giovane cicisbeo che nascostamente la segue), e l’uscita clamorosa della massa delle sigaraie, sguaiate e strafottenti, molte con
la sigaretta in bocca, che fendono uno stuolo di giovani popolani, piano piano affluiti e aggruppati per avvicinare tutta questa
grazia d’Iddio. In questa sorta di spettacolo non poteva non
emergere la personalità di Carmencita, la gitana che, come accennato, ne combina di tutti i colori. A parte i giudizi morali, è
da riconsiderare la novità melodrammatica del rapporto dominante fra un singolo individuo (specialmente donna) e tutti gli
altri: la società.
Meno affascinanti, ma sempre interessanti, appaiono le vicende in montagna dei contrabbandieri e dei personaggi principali. Le due inerpicate sulla cordigliera betica alla cieca, da
una parte di Escamillo, che si umilia e mette a rischio la sua vita
per ritrovare una donna, un amore che sente possibile e vuole
ottenere a tutti i costi, così com’è abituato a rischiare nella cor-
47
Bizet – Meilhac/Halévy
rida (sembra la controfigura dell’arrogante Carmencita);
dall’altra parte l’arrampicata di Micaëla, anche lei a casaccio, così giovane e inesperta, sui monti, tanti monti, senza indirizzo e
senza bussola (con l’apparizione di una guida improbabile);
sembrano fasi troppo inverosimili per rientrare in coinvolgenti
fatti di cronaca.
Ma su tutto domina in musica e teatro il finale tragico.
L’eroina di Bizet, “al di là del bene e del male”, proclama la
sua invincibile smania di libertà, accompagnata da un incredibile fatalismo superstizioso; rifiuta fughe e compromessi, nel
tempo e nello spazio: “Jamais Carmen ne céderà!/ Libre elle est née et
libre elle mourra!” (Mai Carmen cederà, libera è nata e libera morirà); coraggiosa, affronta l’incontro sgradevolissimo con l’ex
amante don José, ignorando le sue disperate dichiarazioni
d’amore eterno; con ostentata chiarezza gli sbatte in faccia che
ora è innamorata di Escamillo, proprio sullo sfondo sonoro
degli applausi dell’arena, dove ha fretta di ritornare. Il povero
ex contadino ed ex dragone, ridotto a bandito per amore e per
forza, le impedisce l’accesso all’arena, ma lei non demorde, irritata ed eccitata, insiste nel freddare gli slanci e i mugugni del
prode rifiutato, lanciandogli contro come un’arma l’anello che
lui le aveva dato, rendendolo imbufalito; lei non sottovaluta il
pericolo, anzi lo sfida temerariamente, rimandando desideri,
passioni, amici, all’ignoto del destino. Mai come in questo caso
viene fatto di dire che Carmen prende il toro per le corna e ci lascia
la pelle.
Queste analogie favolose fra José e il toro e fra Carmen e il
torero sono certamente il frutto di una delle brillanti invenzioni
melodrammatiche di Bizet, che la prepara nel terzo atto e nel
quarto la fa esplodere. Ricordiamoci che Escamillo–toreador
aveva già avuto un assaggio di José-toro in alta montagna, dove
Escamillo stava per soccombere sotto l’improvvisa potenza furiosa del sottovalutato toro umano. Lì Escamillo batte in ritirata canticchiando il suo “…toreador, en garde!…” (salvato da Carmen a cui forse è diretto il suo “…en garde!).
48
Carmen
Ma l’analogia fra la modalità della corrida e l’ultimo scontro
di Carmen con José diventa clamorosa nel finale dell’opera,
quando Carmen esaspera la sua ripulsa dell’aggressività di José,
offendendolo e maltrattandolo con brucianti ferite al suo animo esacerbato da una vera tortura, come a poca distanza,
nell’arena, capita al vero toro, torturato a sangue dalle picche e
dalle banderille, e poi distrutto dallo sfuggente matador che lo
uccide. Questo ci trasmettono le voci e i suoni della musica descrittiva che viene dall’arena. Ma fuori, qui nella scena, con
tutt’altra musica, nello stesso tempo e quasi nello stesso modo,
Carmen (toreador) tortura lo spirito di José e crede di finirlo
nello slancio amoroso gettandogli l’anello come l’espada. Ma il
toro si rivolta disperatamente, non riuscendo più a controllare
la sua preponderanza fisica e dà la “cornata” fatale (Figg. 2728).
Fig. 27 – Bozzetto di Emile Bertin per la prima all’Opéra Comique, Parigi 1875
49
Bizet – Meilhac/Halévy
Questo capolavoro di Bizet è certamente un’opera di realismo “favoloso”, cioè di eventi e personaggi che potevano esistere come fatti di cronaca che spesso superano la fantasia.
Come tutte le storie favolose anche questa si presta a trarre la
cosiddetta “morale della favola”, nel tentativo di riconoscere le
intenzioni dell’autore. Stiamo attenti: intenzioni, che potrebbero essere suoi convincimenti personali o solo scopi di rappresentazione di caratteri non suoi. Qui, ad esempio, si potrebbe
accennare sommariamente a considerazioni “morali” tratte dalle vicende di alcuni singoli personaggi della Carmen.
Zuniga, che approfitta del grado militare per essere severo
con i sottoposti ma non con se stesso, fino a farsi corrompere
dalle grazie d’una bella gitana; e ne esce sconfitto.
Escamillo, che impara con dolore che l’abilità e il successo
non bastano a dare la felicità.
Don José, forte e buono nel corpo ma debole nell’animo: si
fa drogare dal fascino e dalla personalità della Carmencita, con
la perdita dell’onore e dei legami di origine, fino alla caduta nel
mondo della malavita, nella tortura della gelosia, nello sfinimento, nel baratro della disperazione, e perfino nell’omicidio–
“suicidio” (per l’autodenuncia).
Carmen rappresenta l’esame più difficile perché è carica di
grandi qualità e gravi difetti, tutti ai massimi livelli: bellezza, fascino, bel canto di grande facilità naturale, bella capacità di
danza, provocante ma non volgare, fedeltà per gli amici, astuzia, personalità che fa rispettare l’individuo “donna” in un
mondo che nell’800 era ancor più maschilista di oggi (Angelo
Foletto le attribuisce comportamenti “proto-femministi”), e
soprattutto una passione indomita per la libertà materiale e morale su tutto e per tutto, che le fa sopportare qualsiasi adattamento e qualsiasi disagio; e questo fa da ponte ai suoi difetti:
spregiudicatezza, scarsa istruzione, volubilità anche nell’amore,
con brama maniacale di scegliere e ripulsa totale di essere scelta, apprezza le avances accorate ma rimanda i contatti a suo
piacimento, crede nelle superstizioni risibili e nel fato, che fron-
50
Carmen
teggia con superbia e temerarietà ai limiti dell’autolesionismo
che la porterà alla morte; è certamente eccezionale, ma non inverosimile.
A pensarci bene, queste osservazioni sulla “morale della favola” potrebbero essere ripetute per ogni successiva opera del
verismo melodrammatico italiano, e quindi quelle di questo libro, perché ci permetterebbero di capire più facilmente se gli
esecutori hanno interpretato bene il compositore o se ne hanno
stravolto le intenzioni (in peggio o in meglio).
Ai più giovani mi permetto di raccomandare di non lasciarsi
impressionare dalle “favole”, di farsi una cultura saldamente
critica, come antidoto a tutti i mali, compresi i pregiudizi e le
superstizioni: questo tipo di cultura si ottiene dalla scuola, dalla
famiglia, dalla socialità libera, dalle letture, dai viaggi, e dagli
spettacoli; e con gli spettacoli si rientra nel nostro tema principale, che è quello di capire e di apprezzare contemporaneamente la musica, le parole e le scene del melodramma, con un po’
di conoscenza, ma liberi da giudizi e da pregiudizi. Buon divertimento.
51
Bizet – Meilhac/Halévy
Fig. 28 – Manifesto della prima rappresentazione, 1875
52
Carmen
CARMEN Libretto di H. Meilhac e L. Halévy
Da vari libretti d’opera di teatro (Ed. A. Barion, Milano senza data; Ed. Sonzogno, Milano 1954 ). Da “Opera Glass”, Libretti, http://opera.stanford.edu.
Da UNIFE Carmen, Libretto Francese-Italiano a cura di A. Roccagliati, Ferrara. CD Deutsche Grammophon 1972 (Horne-Mc Cracken-Bernstein); CD
EMI 1964/1997 (Callas–Gedda-Prêtre); CD EMI 1970 (Bumbry-VickersFreni-Fruhbec de Burgos) e RCA vinile 1963/1971 (Price-Corelli-FreniKarajan); Da “L’Opera, repertorio della lirica dal 1597”, Mondadori 1977; e
da “Guida illustrata a CARMEN”, a cura di P. M. Paoletti e E. Rescigno, Fratelli Fabbri 1975.
(Varianti e note di G. Guazzone)
DRAMMA LIRICO IN TRE ATTI 1875 1
Personaggi
Prima rappresentazione,
3 Marzo 1875, Parigi Opéra-Comique
CARMEN
Mezzosoprano
Célestine Galli-Marié
DON JOSÉ
Tenore
Paul Lhérie
MICAËLA
Soprano lirico leggero
Margherita Chapuy
ESCAMILLO
Baritono
Jacques Bouhy
FRASQUITA
Soprano
Alice Ducasse
MERCÉDÈS
Mezzosoprano
Esther Chevalier
EL DANCAÏRE
Baritono
Pierre-Armand Potel
EL REMENDADO
Tenore
Barnolt (nome d’arte di Paul Fleuret)
ZUNIGA
Basso
Eugène Dufriche
MORALÈS
Baritono
Edmond Duvernoy
2
LILLAS PASTIA
Corifeo (ruolo parlato)
M.Nathan
UNA GUIDA
Ruolo parlato
M. Teste
Ufficiali, Dragoni, monelli, sigaraie, zingari, contrabbandieri, venditori ambulanti,
ecc.
LA SCENA È IN SPAGNA VERSO IL 1820
53
Scarica

Untitled