anno XVI - numero 41 - 17 giugno 2010
L’intervista
Parlano il regista Jean-Louis Grinda
ed il direttore Alain Guingal
A Pag.
2
La Storia dell’Opera
Il frivolo spirito del Settecento
nella Manon che conquistò Parigi
A Pag.
6
Massenet a Roma
Quando il compositore
conobbe la futura moglie
A Pag.
8e9
L’ambientazione 3° atto
La chiesa di Saint-Suplice,
vivaio del clero francese
A Pag.
10
L’ultima Manon
Boulevard Solitude
di Hans Werner Henze
A Pag.
14
Manon
di Jules Massenet
Manon
2
Parlano il regista Grinda ed il direttore Guingal
«Una allestimento esaltato
dalla pittura del ‘700»
L
a Manon di Massenet torna al Teatro
dell’Opera di Roma dopo 26 anni di assenza, in una co-produzione con l’Opéra di
Monte Carlo, dove questo allestimento andrà in
cartellone probabilmente nel 2013.
Se le scene sono della
giovane italiana Paola
Moro, che però ha già
lavorato diverse volte
con lo stabile monegasco, la regia è stata affidata al francese JeanLouis Grinda, dal 1996
al 2007 Direttore Generale dell’Opéra Royal de
Wallonie di Liegi e dalla
stagione successiva alla
direzione dell’Opéra de
Monte-Carlo. «E’ questo
uno spettacolo tutto centrato intorno allo specchio
che rappresenta il passare
del tempo ed il confrontarsi con se stessi», dice il regista, conosciuto al pubblico romano per aver
curato nell’ottobre 2008
la regia di Amica di Mascagni. «Manon è una figura enigmatica, la quale
rappresenta il vuoto che
attrae l’uomo e lo fa perdere nel vortice della passione. L’allestimento è basato
su riferimenti pittorici di
quel ‘700 in cui l’opera è
ambientata dall’autore,
con le sue frivolezze, i suoi
merletti». Sfileranno, così, immagini di tele famose di Jean- Honoré
Fragonard importante
esponente del rococò, di
quel Claude Lorrain
maestro del paesaggio
ideale che proprio a Roma molto lavorò e vi
morì, per essere poi sepolto nella chiesa di Trinità dei Monti e del bellunese Sebastiano Ricci.
Con queste appariranno
simbolicamente anche
“La morte che suona il violino” di Arnold Böcklin e
“L’allegoria della fortuna”
di Giacinto Gimignani.
«Ne nascerà un’atmosfera
– dice Grinda – e tutto
sarà funzionale al dualismo che anima lo spettacolo, al contrasto tra l’erotismo di Manon ed il misticismo del Cavalier des
Grieux, il quale, deluso
dall’amore, abbraccia la religione per poi abbandonare quell’intendimento stordito dai fumi della passione. Un altro dualismo che
abbiamo voluto presentare
è quello tra fango ed oro.
Oro simbolo della ricchezza a cui Manon aspira ed il
fango che simboleggia la
condizione dalla quale la
donna vorrebbe fuggire,
ma nella quale miseramente ricade nella sua parabola
discendente verso la deportazione e la morte».
Il regista francese ha
cercato di dare all’opera
una lettura maggiormente poetica rispetto
alla Manon Lescaut di
Puccini. «Questa di Massenet è un personaggio meno passionale, più france-
Il G iornale dei G randi Eventi
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se, più raffinata, quindi
più lirica».
Il III atto è poi il fulcro
dell’opera, con il contrasto tra la vita frivola di
Manon ed il misticismo
di de Grieux, tra l’amore
di comodo della donna e
l’amore vero dei due
amanti. «Nel primo quadro, ambientato a CoursIa-Reine, la scena è ispirata proprio all’Opéra di
Monte Carlo e costruita
tutta con enormi maschere
a bocca aperta. E’ come se
il tempo si fosse fermato. Il
mondo che Manon vede
camminando elegantissima e briosa, è in realtà un
mondo fittizio che non è il
suo, è solo il frammento di
una illusione».
A dirigere questa Manon sarà un altro francese, Alain Guingal, considerato, anche se giovane, uno specialista di
Massenet, il quale sul
podio dell’Opera di Roma è già stato nel 1997
con un’altro lavoro del
compositore francese, il
Don Quichotte. «Per la
verità non ho diretto Manon molte volte: l’ho fatta
per la radio francese due
volte a Berlino, quindi a
Tokyo ed a Trieste. Non è
una partitura facile, anche
se Massenet scriveva con
estrema cura tutti i particolari, anche il colore dell’orchestra e l’equilibrio fra
voci ed orchestra. Ci sono
arie, recitativi e questi
hanno una tessitura musicale molto quadrata, dentro la quale i cantanti devono però sentirsi liberi di
muoversi. Questa volta,
fortunatamente, l’opera
verrà presentata nella sua
interezza con solo piccolissimi tagli necessari, ma
non riesco a comprendere
la prassi tutta italiana di
tagliare nel III atto, la parte iniziale della passeggiata del Cours-la Reine…così si perde tutto! Tutto il
contrasto tra i due mondi e
la spiegazione dell’intera
vicenda, che è in fondo
quella di una contadina di
16 anni proiettata senza
certezze in questo mondo».
andrea Marini
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Stagione Estiva alle Terme di Caracalla
15 luglio - 5 agosto
aIDa
di Giuseppe Verdi
Daniel Oren
Direttore
Interpreti
Daniela Dessì, Giovanna Casolla, Fabio Armiliato
28 luglio - 8 agosto
RIGoLETTo
Direttore
di Giuseppe Verdi
Steven Mercurio
Stagione 2010 al Teatro Costanzi
1 - 6 ottobre
Direttore
Interpreti
RoBERTo DEVEREUX
di Gaetano Donizetti
Bruno Bartoletti
Gian Luca Terranova, Carmela Remigio, Alberto Gazale, Sonia Ganassi
4 - 11 novembre
di Francesco Cilea
Maurizio Arena
Direttore
Interpreti
~~
aDRIana LECoUVREUR
Martina Serafin /Giovanna Casolla, Marcello Giordani,
Katia Lytting /Agnes Zwierko, Alessandro Guerzoni
La Locandina ~ ~
Teatro Costanzi, 17 - 24 giugno 2010
Manon
Opéra-comique in cinque atti
Libretto di Heinri Meilhac e Philippe Gille
dal romanzo Historie du Chevalier
des Grieux et de Manon Lescaut dell’abate Prévost
Musica di Jules Massenet
Prima rappresentazione: Parigi, Opéra-Comique, 17 gennaio 1884
Maestro concertatore e Direttore
Maestro del Coro
Regia
Scene
Costumi
Coreografia
Disegno luci
Alain Guingal
Andrea Giorgi
Jean-Louis Grinda
Paola Moro
Anna Biagiotti
Eugénie Andrin
Agostino Angelini
Personaggi / Interpreti
Manon Lescaut (S)
Annick Massis (17, 19, 22, 24) /
Sylwia Krzysiek (18, 20, 23)
Poussette
Sabrina Testa
Javotte
Mariella Guarnera
Rosette
Milena Josipovic
La servante
Mazia Zanonzini (17, 19, 22, 24) /
Lorella Pieralli (18, 20, 23)
Le comte Des Grieux (B)
Paolo Battaglia (17, 19, 22, 24) /
Alfredo Zanazzo (18, 20, 23)
Le chevalier Des Grieux (T)
Massimo Giordano (17, 19, 22, 24) /
Jean-François Borras (18, 20, 23)
Lescaut (Bar)
Domenico Balzani (17, 19, 22) /
Piero Guarnera (18, 20, 23, 24)
Guillot de Morfontaine (T)
Mario Bolognesi
De Brétigny (Bar)
Roberto Accurso
L’hôtelier
Gabriele Ribis
Premier garde
Stefano Osbat
Deuxième garde
Giuliano Di Filippo
Le portier du Séminaire
Leonardo Trinciarelli (17, 19, 22, 24) /
Antonio Taschini (18, 20, 23)
Une voix
Giorgio Parpaiola (17, 19, 22, 24) /
Vinicio Cecere (18, 20, 23)
Un sergent
Luca Battagello (17, 19, 22, 24) /
Francesco Bovino (18, 20, 23)
Premier joueur
Giordano Massaro (17, 19, 22, 24) /
Pasquale Carlo Faillaci (18, 20, 23)
Deuxiéme joueur
Fabio Tinalli (17, 19, 22, 24) /
Andrea Buratti (18, 20, 23)
ORCHESTRA CORO E CORPO DI BALLO DEL TEATRO DELL’OPERA
Nuovo allestimento in coproduzione con l’Opéra di Montecarlo
In lingua originale con sovratitoli in italiano
Il
Manon
Giornale dei Grandi Eventi
G
uarda al contrasto interiore della
protagonista,
questa Manon di Massenet, che torna in scena al
Teatro dell’Opera di Roma dopo 26 anni dall’ultima volta, quando andò
fu proposta con la direzione di Michail Tabachnick e la regia di Alberto Fassini.
Una co-produzione con
l’Opéra di Monte Carlo
nella quale il lavoro del
compositore
francese
verrà presentato nella
sua interezza e senza
quel taglio del primo
quadro del terzo atto, comunemente adottato in
Italia, che però ne compromette la comprensione. Massenet, tra l’altro
vincitore nel 1863 del
Prix de Rome e che, dunque, soggiornò a Roma
presso l’Accademia di
Francia di Villa Medici,
nel 1881 si innamorò subito di questa storia di
passione ed illusioni tratta da un romanzo dell’Abate Antoine François
Prévost pubblicato 150
anni prima, nel 1731. Con
l’uso alternato di recitati
e cantati, tipici dell’opéracomique, ne fece un affresco delle frivolezze del
‘700 ottenendo uno
straordinario successo al
debutto parigino del 17
gennaio 1884. Questa sua
quarta composizione divenne così, nel giro di pochi anni, una delle opere
più eseguite in Europa.
3
Le Repliche
Venerdì 18 Giugno, h. 20.30
Sabato 19 Giugno, h. 18.00
Domenica 20 Giugno, h. 17.00
Martedì 22 Giugno, h. 20.30
Mercoledì 23 Giugno, h. 20.30
Giovedì 24 Giugno, h. 20.30
Il dualismo di Manon tra erotismo e misticismo
L’azione si svolge in Francia nel 1721.
atto I
prio sogno ad occhi aperti di speranza e di
amore. Un improvviso tumulto esterno fa si
che des Grieux esca, ma sulla porta viene bloccato e trascinato in carrozza. Manon accetta
l’offerta di Brétigny e lascia la casa.
La Trama
- In una locanda di Amiens due ricchi borghesi parigini, il banchiere Guillot de
Morfontaine e l’appaltatore delle imposte de Brétigny ,si trovano in
compagnia di tre attrici e mentre attendono il pranzo osservano l’arrivo di una diligenza. Da essa scende l’affascinante Manon, la quale, a causa del suo carattere frivolo ed estroverso, per volere della famiglia sarà educata in un convento. La donna è scortata dal cugino,
la guardia reale Lescaut. Guillot, stregato dalla bellezza della ragazza ed approfittando del momentaneo allontanamento di Lescaut intento al ritiro dei bagagli, comincia a corteggiarla promettendogli
una vita agiata. L’innocente fanciulla non sa come comportarsi. Lescaut tornando, prima mette in guardia la cugina dalle insidie della
vita e poi raggiunge gli amici al tavolo da gioco. Ma quando il giovane e altrettanto innocente Cavaliere des Grieux rivolge la parola a
Manon, se ne innamora subito ed anche nella fanciulla s’accende la
scintilla dell’amore. I due fuggono verso Parigi nella carrozza di
Guillot.
atto II – Nell’appartamento di De Grieux a Parigi - I giovani amanti vivono insieme in condizioni modeste. Manon si sente oppressa
dalla miseria. Des Grieux vuole legalizzare la loro relazione e scrive al padre per annunciargli il matrimonio con Manon.
Giungono due finte guardie, Lescaut e de Brétigny. Mentre Lescaut
blocca des Grieux chiedendogli le sue intenzioni nei confronti della cugina, de Brétigny dice a Manon che des Grieux verrà rapito per
volere del padre al fine di mettere fine alla scandalosa relazione. A
lei, dunque, non resta che fuggire subito col giovane affrontando
una vita di stenti, oppure accettare una vita ricca al proprio fianco.
Manon non fa alcuna promessa a de Brétigny, ma non parla neppure con des Grieux di quello che sta per accadere. Des Grieux esce
per imbucare la lettera. Quando rientra dice alla ragazza di un pro-
atto III – Quadro I - Nel parco parigino di Cours-Ia-Reine è in
corso una festa popolare. Fra i divertiti partecipanti vi sono anche
Manon e la sua cerchia: Guillot, de Brétigny e le attrici. Manon è elegantissima e briosa. Giunge il vecchio conte des Grieux che dice a de
Brétigny di essere a Parigi per incontrare suo figlio ritiratosi nel seminario di Saint-Suplice dove sta per diventare sacerdote. Manon è
turbata e chiede dettagli, che il vecchio des Grieux elude.
Quadro II – Nel parlatorio di Saint-Suplice – I devoti lodano l’oratoria
di des Grieux. Giunge il padre che vuole convincere il figlio ad abbandonare la vita monastica. Il giovane rifiuta e lo allontana. Giunge Manon, la quale, ricordandogli il passato, gli giura amore eterno.
Il giovane, accecato dalla passione, decide di fuggire con lei.
atto IV – Nella sala da gioco dell’ Hôtel di Transilvania – Des Grieux
per soddisfare la sfrenata sete di piacere e ricchezza di Manon tenta
la fortuna al gioco con Guillot de Morfontaine. Vince, ma è accusato di barare con la complicità di Manon. Il giovane è arrestato, ma
giunge il Conte padre che riesce a far rilasciare il figlio, mentre Manon finisce in carcere.
atto V – Quadro I – Sulla strada di Le Havre – Manon è stata condannata come prostituta alla deportazione nelle Americhe. Lescaut,
dopo aver tentato di liberarla, informa des Grieux e gli rivela di
aver corrotto una sentinella per farla fuggire.
Quadro II – Manon, debole e sofferente, scende a fatica da un pendio
collinoso per abbracciare des Grieux. Tra le sue braccia rievoca la loro dolce e tragica passione e, dopo avergli chiesto perdono, muore.
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Manon
5
Massimo Giordano e Jean-François Borras
Annick Massis e Sylwia Krzysiek
Il giovane Cavalier des
Grieux, combattuto tra
passione e misticismo
La bella ed incontentabile
Manon
I
soprano annick Massis (17, 19, 22 e 24) e Sylwia Krzysiek (18,
20, 23) si alterneranno nel ruolo della giovane ed avvenente protagonista Manon. annick Massis è considerata a tutt’oggi uno
l ruolo del Cavalier des Grieux sarà dei tenori Massimo Giordano
(17, 19, 22 e 24) e Jean-François Borras (18, 20, 23). Massimo Gior- dei buoni soprano lirici di coloratura a livello internazionale, stimadano dopo essersi diplomato in flauto presso il Conservatorio “Gi- ta per la profondità delle sue interpretazioni e per la grande versatilità. Ospite dei maggiori teatri d’Europa, è reseppe Tartini” di Trieste, si è dedicato allo studio del
golarmente invitata in alcuni dei Festival più
canto sotto la guida di Cecilia Fusco. Vincitore di nuprestigiosi a livello internazionale come Glynmerosi concorsi internazionali, fra le quali l“Adriano
derbourne, Maggio Musicale Fiorentino, FestiBelli” di Spoleto, debuttando nella Clemenza di Tito
val di Salisburgo, Rossini Opera Festival ed al
(ruolo del titolo) al Teatro Lirico Sperimentale di
Festival Arena di Verona. Il suo repertorio comSpoleto e nella Traviata (Alfredo) al Teatro Nuovo di
prende più di sessanta ruoli di musica francese
Spoleto. La rapida ed intensa carriera lo ha condotto
che abbracciano un ampio periodo cronologico:
sui palcoscenici di alcuni fra i maggiori teatri del
da Rameau sino a Poulenc e Berlioz. Tra i ruoli
mondo. Ha preso parte a importanti festival internanel suo vasto repertorio la Comtesse Adèle (Le
zionali, fra i quali il Rossini Opera Festival di Pesaro,
Comte Ory) e le versioni italiana e francese de Il
il Festival di Salisburgo, il Santa Fe Opera Festival e
Barbiere di Siviglia; Marie ne La Fille du régiment e
il Glyndebourne Opera Festival. Fra i successi delle
Lucia di Lammermoor, titolo quest’ultimo cantato
ultime stagioni si segnalano La rondine e Tosca alla
in oltre dieci produzioni. In aggiunta alla sua inDallas Opera, Romeo e Giulietta alla Pittsburgh Opera
tensa attività operistica, si è cimentata anche nel
e alla Lyric Opera di Chicago, Gianni Schicchi al Merepertorio concertistico e liederistico, eseguendo
tropolitan, La bohème alla Bayerische Staatsoper di
brani di Fauré, Poulenc, Viardot, Ravel, DebusMonaco e alla Los Angeles Opera, La traviata al Teasy, Berlioz e Strauss. Ha vinto il premio “La Siotro alla Scala, al Teatro Regio di Parma e alla Bayerila d’oro” di Cesena come miglior soprano. In
sche Staatsoper di Monaco, L’elisir d’amore alla StaatFrancia è stata insignita dell’ambita onorificenza
soper di Berlino, Werther alla Bayerische Staatsoper
di “Cavaliere dell’Ordine delle Arti e delle Lettere”
di Monaco. Recentemente ha interpretato con gran- Massimo Giordano e Sylwia Krzysiek
dal Ministro della Cultura per i suoi meriti artide successo La bohème al Metropolitan Opera di New
York e all’Opéra Bastille de Paris, Tosca e Carmen alla Deutsche Oper stici. Ha cantato Violetta in La Traviata per la prima volta in Italia diretta da Daniel Oren, nel gennaio 2009 le quattro eroine in Les Condi Berlino.
Jean-François Borras è una delle giovani promesse canore francesi. tes d’Hoffmann di Offenbach all’Opéra de Nice. E’ tornata in primaHa iniziato a cantare all’età di otto anni come membro dei “Petits vera alla Scala di Milano nelle vesti della Contessa di Folleville per
Chanteurs de Monaco”. Appena terminati gli studi con Marie-Anne Il Viaggio a Reims di Rossini, seguito da Gilda nell’opera Rigoletto ad
Losco all’Accademia Musicale di Monaco, in soli due anni ha fatto i Ancona diretta da Bruno Bartoletti, per poi concludere la stagione
suoi debutti all’Opera di Marsiglia, Nizza, Bordeaux, Toulon, Rouen, all’Arena di Verona ne Il barbiere di Siviglia, come Rosina per la seGraz, Mannheim ed Aachen così come all’Orange Festival. Durante la conda volta.
preparazione all’Accademia Musicale di Monaco dal 2001 al 2004, ha Sylwia Krzysiek è nata in Polonia nel 1979. Si è diplomata alla
debuttato come Alfredo (La Traviata), Nemorino (L´Elisir d´Amore), Scuola di Musica di Kielce e presso il Dipartimento Vocale dell’AcRoméo (Roméo et Juliette), Werther, Wilhelm (Mignon), Faust e Frick cademia di Musica di Varsavia. Ha studiato canto con il M° Grze(La Vie Parisienne) in produzioni di Gabriel Bacquier. Nel giugno 2004 gorz Bayer. Nel 2004, presso la Chopin Academy of Music, ha deha conseguito il diploma superiore in canto, continuando a lavorare buttato il ruolo di Susanna ne Le nozze di Figaro. Dal 2005 e’ solista
con Michèle Command. Nello stesso anno ha partecipato ad un con- presso la Warsaw Chamber Opera dove ha interpretato i seguenti
certo per giovani talenti all’Opera di Avignon. E’ vincitore del con- ruoli: Lavina ne L’oca del Cairo; Despina in Cosi fan tutte; Rosina ne
corso ci canto al ”Centre Français de Promotion Lyrique” nel 2005 anno Il Barbiere di Siviglia; Roggiero in Tancredi. Ha eseguito numerosi
in cui ha debuttato come Don Ottavio (Don Giovanni) con la Chamber concerti tra i quali: Erwünschtes Freudenlicht BWV 184; Lutherische
Messe BWV 234; Ein feste Burg BWV 80 J.S. Bach; Litania do Marii
Opera di Francia a Menton.
Panny; Stabat Mater K. Szymanowski. Nel 2008 ha vinto l’8° Concorso Internazionale di canto Lirico, da Camera, Barocco Opera RiDomenico Balzani e Piero Guarnera
nata, Italia.
I
Lescaut, cugino premuroso
S
aranno i baritoni Domenico Balzani ( 17, 19, 22) e Piero Guarnera (18, 20, 23 e 24) a prestare la voce al personaggio di Lescaut.
Domenico Balzani, originario di Alghero, si è laureato presso
l’Università degli Studi di Sassari in Scienze Politiche ed Economiche
e contemporaneamente si è diplomato in Canto presso il Conservatorio di Musica di Verona con il massimo dei voti. Sotto la guida del M°
Angelo Capobianco, con cui tutt’ora si perfeziona, dal 1999 ha intrapreso una brillante carriera che lo vede vincitore di numerosi concorsi tra cui il “Basiola” di Cremona, il “Tagliavini” di Deutschlandsberg
(Austria), il ”Belli di Spoleto e il “Placido Domingo Operalia” di Amburgo. Nel 2002 ha inciso sotto la direzione di Riccardo Chailly il ruolo di
Ping nella prima mondiale di Turandot con il finale di Luciano Berio.
Ha inciso in prima assoluta la Zazà di Leoncavallo ed è di prossima
pubblicazione un CD di arie da salotto con accompagnamento di accordeon e pianoforte. Nel suo repertorio figurano anche opere moderne come il Cirano de Bergerac di Marco Tutino, che lo ha visto protagonista nel difficile ruolo di Cirano nella prima rappresentazione
assoluta in Francia all’Opèra di Metz.
Piero Guarnera ha compiuto gli studi musicali con Maria Carbone e
Maria Vittoria Romano. Nel 1984 ha vinto il concorso internazionale di Spoleto, debuttando nell’Elisir d’amore (Belcore). Nello stesso
anno ha debuttato all’Opera di Roma nel Don Giovanni (Masetto)
con la direzione di Peter Maag. Nel corso della sua carriera ha calcato i palcoscenici di alcuni importanti teatri italiani e internazionali, fra i quali il Teatro alla Scala, l’Opera di Roma (Iphigénie en Tauride, Malatesta in Don Pasquale, Ford in Falstaff, Miserere di Bartolucci), il San Carlo di Napoli, il Regio di Torino, il Massimo di Palermo,
La Fenice di Venezia, l’Opernhaus di Zurigo e l‘Opéra de Montecarlo. Ha presto parte inoltre a numerosi festival interpretando Re
Teodoro in Venezia di Paisiello al Festival di Montepulciano, la prima
esecuzione assoluta in epoca moderna di Amor vuol dire sofferenza di
Leonardo Leo e L’armida immaginaria di Cimarosa al Festival della
Valle d’Itria di Martina Franca, Il barbiere di Siviglia (Figaro) al Festival dell’Arena di Avenches con la regia di Daniele Abbado e all’Opera Festival di Bellinzona.
Pagina a cura di Francesco Piccolo – Foto di Corrado M. Falsini
Manon
6
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La storia dell’Opera
Il frivolo spirito del Settecento
nella Manon che conquistò Parigi
I
l 19 gennaio1884 Manon infiammò il cuore
di Parigi: la platea
dell’Opéra-Comique ribollì di entusiasmo. Gli
applausi furono scroscianti e le richieste di bis
un vero furor di popolo.
Un successo strepitoso
che nemmeno Massenet
forse si aspettava, egli
che prima d’ora mai era
stato tanto osannato in
Patria. Ed insieme a lui
chiamato a gran voce fu
il cast, tra cui la protagonista Marie Heilbronn, il
baritono Emile-Aléxandre Taskin nel ruolo di
Lescaut, il tenore JeanAléxandre Talazac in
quello di Des Grieux; direttore Jules Danbé.
Il compositore, allora
quarantaduenne, era reduce dal grande consenso ottenuto al Théâtre de
la Monnaie di Bruxelles,
nel 1881, con Herodiade, e
la sua “agenda” segnava
un bel po’ di opere ancora da scrivere. Ma quali
erano le ragioni di tanto
successo? In primis certamente la musica, ma la
gran parte del pubblico di
quest’opéra-comique (così
denominata sullo spartito, ad indicare l’alternanza di parti cantate e recitate) apprezzò soprattutto lo spirito, la douceur de
vivre, l’evasione erotica, le
accattivanti civetterie: dal
palcoscenico arrivava tutta quella malizia del Settecento, il Grand Siecle, visto qui come secolo delle
frivolezze, avvolto dalle
sete odorose e dai merletti. Un gusto che imperava
in quel momento e che
l’arguto Massenet, con
un’ottima strategia – diremmo oggi – di “marketing”, decise di assecondare.
Ispirata ad un testo
di 150 anni prima
Les aventures du chevalier
des Grieux et de Manon
Lescaut erano state pubblicate nel 1731, come
settimo e ultimo volume
dei Memoires d’un homme
de qualité dell’abate An-
toine-François Prevost
(1697 - 1763). Lo stesso
Prevost ne curò poi una
revisione nel 1753, intitolata Histoire du chevalier
des Grieux et de Manon Lescaut. Romanzo in parte
autobiografico, ripreso
da molti altri musicisti:
Halevy per un balletto
del 1830 e Auber per
mia incertezza era totale,
vedevo davanti a me il vuoto, il niente, quando il titolo di un libro mi colpì come
una rivelazione. Manon!».
Da lì ebbe inizio anche la
stesura del libretto da
parte
dello
stesso
Meilhac, che, comunque,
accolse con entusiasmo il
“capriccio” del composi-
dell’anno successivo, il
1882, ebbe testa solo per
lei. Tanto che, secondo
quanto riportato nello
scritto biografico di Paul
Bossand-Massenet, nipote del musicista, nell’agosto dello stesso anno
Massenet andò all’Aia e
volle alloggiare all’Hotel
du vieux Doelen, in quel-
La facciata dell’Opéra-Comique di Parigi
un’opéra-comique del
1856; per non citare naturalmente Giacomo Puccini e la sua Manon Lescaut
del 1893. La fonte non
era particolarmente pregiata dal punto di vista
letterario, ma antesignana certo di un genere quello psicologico-moralistico - assai gradito nell’Ottocento francese.
Di Manon si trova traccia
nei Souvenirs, le memorie
dell’ormai anziano Massenet, in cui però fioriscono inesattezze, probabilmente dovute ad inganni di memoria. Pare
che il musicista, nel 1881,
avesse ricevuto l’incarico
dal direttore dell’OpéraComique Carvalho di
musicare un’opera in tre
atti, Phoebé, di Henri
Meilhac; testo che però
non lo entusiasmava affatto, tanto da gettarlo in
uno stato di grande agitazione, incapace com’era di accingersi al lavoro.
«Un leone in gabbia non
avrebbe sofferto di più. La
tore. Anzi, lo invitò a
pranzo e sotto il tovagliolo «vi trovai cosa? I
primi due atti di Manon!»
Se il vecchio Massenet riportò all’estate di quell’anno l’episodio e l’inizio del suo lavoro sull’opera, gli studi biografici
sono ormai propensi a
spostare le prime tracce
dello spartito qualche
mese più avanti, in autunno, quando a Bruxelles si svolgevano le prove
di Herodiade. Lavoro intenso, che gradualmente
oscurò anche Montalte,
l’opera incentrata sul
Cardinale Montalto – come veniva chiamato dal
nome del suo paese natale Alessandro Peretti, futuro papa Sisto V - cui
Massenet lavorava contemporaneamente. Ma
pian piano la figura della
femme fatal, protagonista
dell’opera Manon acquistò spessore, fino ad occupare interamente la
mente del compositore,
che da gennaio o febbraio
la che era la casa antica
dell’abate Prévost durante gli anni di esilio e dove
– pare - una certa qual
suggestione lo aiutò ad
entrare ancor più nel soggetto. Che il fatto sia vero
o no – non lo riporta Fedele D’Amico nel suo
saggio “Manon, amore assoluto” - è sicuro però che
l’orchestrazione terminò
entro la metà del 1883.
Dando uno sguardo al libretto, il quale risulta
piuttosto fedele all’originale, salvo il taglio degli
avvenimenti in Louisiana, che invece ritroviamo
nell’ultima scena dell’opera di Puccini: Meilhac che firmerà il lavoro con
Philippe Gille – spogliò il
testo di Prevost dalla veste metafisica per donargli panni più carnali, indugiando sulla gioia e
sulle sofferenze d’amore
e creando una base letteraria perfettamente consona alla musica: la nuova Manon irretisce nelle
maglie di una sensualità
spietata ed è emblema di
quelle aspirazioni “proibite” che popolavano i
sogni delle donne francesi di provincia: la sete di
ricchezza, di lusso sfrenato, di piacere e di
emancipazione sessuale.
E’ lei che assume su di sé
tutti gli aspetti negativi,
mentre Des Grieux – che
nel romanzo originale
possiede un aspro cinismo - viene moralizzato,
seguendo un perbenismo
imposto dalle “leggi” in
uso.
Celebrata l’unione tra testo e spartito, si trattava
ora di trovare gli interpreti, soprattutto per il
ruolo principale: Massenet scrivendo la parte di
Manon non aveva pensato a nessuna cantante in
particolare, ma nella sua
testa aveva un’immagine
ideale, quella di una fioraia di Boulevard des Capucines notata per caso:
«Il suo ricordo mi accompagnava ovunque, la vedevo
ininterrottamente davanti a
me durante la composizione». Sul piano pratico, il
compositore scelse infine
la Heilbronn, che, dopo
una pausa di tre anni,
aveva appena ripreso a
calcare le scene; grazie
all’editore Hartmann,
Massenet fece ascoltare
Manon alla cantante, e lei
ne rimase talmente estasiata e commossa, che già
il giorno successivo il
contratto con l’OpéraComique era firmato. Le
prove cominciarono a
settembre, fino alle tre
“generali” a porte chiuse
dell’inizio del 1884.
In Italia l’opera arrivò il
19 ottobre 1893 al Teatro
Carcano di Milano, lo
stesso anno della prima
assoluta dell’omonima
opera pucciniana. Sonzogno (ormai subentrato a
Ricordi nella rappresentanza di Massenet in Italia) ne affidò la messa in
scena a Ruggero Leoncavallo; tra gli interpreti Lison Francio e Edoardo
Castellano, sul podio Rodolfo Ferrari.
Barbara Catellani
Il
Manon
Giornale dei Grandi Eventi
7
Analisi musicale
Manon alla ricerca del lirismo perduto
«I
suoi colleghi non gli
perdonarono quella
capacità di piacere
che è propriamente un dono.... Un tale successo fece sì
che per un certo periodo andasse di moda copiare le manie melodiche di Massenet,
poi improvvisamente gli
stessi che lo avevano così
tranquillamente saccheggiato lo trattarono duramente.
Gli si rimproverava di avere
troppa simpatia per Mascagni e non abbastanza adorazione per Wagner... confesso
di non capire perché sia preferibile piacere ad anziane
wagneriane
cosmopolite
piuttosto che a giovani donne profumate, benché mediocri pianiste...». Il passo,
tratto dal “Signor Croche
antidilettante” di Debussy,
pur con l’ironia propria
dell’autore, coglie lucidamente quello che fu il destino di Jules Massenet,
all’epoca certamente uno
dei compositori più amati
e nello stesso tempo più
discussi del teatro francese. Un itinerario articolato
il suo, contrassegnato tuttavia, almeno nelle sue
prove migliori, da una
straordinaria raffinatezza
melodica e armonica in
una visione drammaturgica di notevole efficacia
emotiva.
Qualità che emergono appieno in Manon uno dei
capolavori indiscussi del
teatro di fine Ottocento.
Con un esemplare lavoro
di sforbiciatura sul romanzo dell’abate Prevost,
librettista
Henry
il
Meilhac (autore, con Halevy, di molti testi per Offenbach oltre che di Carmen per Bizet) coadiuvato
da Philippe Gille, sfrondò
le situazioni, semplificò la
vicenda, puntò essenzialmente sul carattere di Manon, questa «creatura - come ha scritto Fedele D’Amico in un suo saggio sull’opera - nella quale l’amore
non riesce a nascere se non
per fiorire in affermazione
egoistica del proprio esplosivo trionfo, che strangola,
dunque, l’amore salvo a vederselo poi dialetticamente
rinascere dalle sue ceneri;
questa donna a cui l’esaltazione fra le braccia del suo
cavaliere provoca principalmente un incoercibile bisogno di gioielli e di carrozze
da soddisfare altrove».
Il lavoro è nella
forma dell’opéracomique, dunque
nella struttura tipicamente francese che prevedeva
parti musicali e
parti recitate in
prosa.
In Manon le parti
recitate sono sostenute dall’orchestra secondo
la forma del melologo (testo letterario con accompagnamento musicale che lo commenta), il che
conferisce
una
compattezza
musicale
maggiore alla partitura.
Il terzo atto,
snodo dell’opera
L’opera è in cinque atti e
sei quadri. Colpisce immediatamente il gioco dei
contrasti nel passaggio da
una scena alla successiva:
così alla leggerezza e alla
giocondità del primo atto
(L’hotellerie d’Amiens) si
contrappone il lirismo e la
malinconia del secondo
(L’appartamento di Des
Grieux e Manon); alla volgare vacuità del quarto
(l’Hotel de Transylvaine)
si oppone il drammatico
ultimo atto con la morte
di Manon stremata. Il ter-
zo atto, diviso in due parti fa da perno a tutta l’opera: la prima scena (Le
cours – La reine) è la celebrazione della bella vita
sognata e per un certo
tempo “vissuta” da Manon; la seconda (Il seminario di S.Sulpice) è imbevuta di spiritualità e di
passione sincera.
E’ un peccato che spesso
l’opera venga presentata
nella versione in quattro
atti con il taglio della prima scena del terzo che oltre a proporre pagine musicali coinvolgenti svolge
un ruolo drammaturgico
importante, proprio ai fini
della definizione psicologica dei personaggi e delle situazioni.
Sul piano musicale, sin
dal primo atto risulta evidente l’intenzione di Massenet di mescolare le carte, reinventando un Settecento di pizzi e merletti (i
riferimenti al Minuetto,
l’impalpabilità di certi
passi orchestrali), ma con
slanci emotivi passionali
di sapore romantico.
Da buon wagneriano, il
musicista non rinuncia a
leit-motiv, temi cioè che ricorrono nell’arco della
composizione come fili
conduttori della memoria.
Si pensi alla melodia ampia e fluente che accompagna Des Grieux, uno
dei temi più belli e cantabili in una partitura che
tuttavia abbonda di pagine memorabili: basta ricordare l’aria di Manon
nel primo atto, la sua
emozione per il primo
viaggio della vita; oppure
i suoi sospiri, sempre nel
primo atto, nell’immaginare una vita diversa da
quella che l’aspetta. Massenet riesce con genialità a
dipingere la ragazza
estrosa, brillante, assetata
di felicità e di ricchezza in
maniera spudorata, ma
talmente genuina da apparirci comunque affascinante, perché finiamo con
il guardarla con gli occhi
di Des Grieux, perdendo
anche noi come lui la necessaria lucidità critica.
Così, poco più avanti, nel
suo dialogo con Des
Grieux, quando dice «Non
sono cattiva… ma spesso in
famiglia mi accusano d’amare troppo il piacere», Manon
ci commuove. Da raffinato musicista francese,
Massenet riesce a cogliere
le sfumature dei caratteri
e del diverso modo di
amare. Si prenda il secondo atto: al melodismo appassionato e strabocchevole di Des Grieux tutto
preso dalla sua Manon, si
oppone un lirismo più
calcolato, talvolta nostalgico della ragazza che
ama, ma nello stesso tempo, vede in Des Grieux
l’ostacolo verso la vera felicità fatta di ricchezza e
agiatezza. E’, la parte di
Manon, ricchissima di
sfumature a sottolineare i
continui rimorsi e tentennamenti della ragazza in
lotta con se stessa: significativa in questo senso la
scena nel Parlatorio del
Seminario dove il suo arrivo si mescola con il Magnificat in un’atmosfera
notevolmente suggestiva.
In molte opere incentrate
sulla passione amorosa di
una coppia, l’autore punta tutte le carte su un personaggio, facendo dell’altro una controfigura (si
pensi a Violetta e Alfredo). Qui Manon e Des
Grieux sono le due facce
contrapposte e integrate
dell’amore e se Des
Grieux non può vivere
senza la sua Manon, neppure la ragazza sarebbe
“compiuta” senza l’amore
autentico, vero e profondo del suo cavaliere. In
rapporto a loro, gli altri
sono mezzi caratteri, funzionali tuttavia alla storia,
dalle vacue amiche di Manon, al cugino Lescaut, affarista con pochi scrupoli,
ai perfidi Guillot e Bretigny. Un’umanità rozza,
triviale, rispetto alla quale
l’amore dei due giovani
appare ancora più bello e
Des Grieux, irretito, costretto al gioco delle carte
per regalare ricchezza alla
sua amante, ancora più
puro e buono: figura molto diversa da quella di
Prevost, cinica e disinvolta quanto la sua Manon.
Una Manon cui Massenet
concede di morire a Le
Havre, risparmiandole il
deserto americano in cui
la relegano Prevost e Puccini: Manon si spegne fra
le braccia di Des Grieux,
muore sapendo di dover
espiare le sue colpe, come
tante eroine romantiche e
chiude la sua esistenza
terrena con una frase da
ragazzina semplice che
solo per un attimo si era
illusa d’essere regina: «E
questa è la storia di Manon
Lescaut».
Roberto Iovino
Manon
8
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Quando Massenet conobbe a Roma la sua f
Gli incontri di Liszt con Ingres e Mass
C
on la circonlocuzione «violon d’lngres» è consuetudine indicare ancor più che
attività in margine a quella principale svolta da una
persona, i veri e propri
“hobbies”. Un brillante
nostro scrittore, Lucio
d’Ambra, a torto dimenticato anche dal suo editore
Mondadori, dedicò uno
dei suoi primi articoli nel
Corriere della Sera ai «violon d’Ingres» dell’Accademia d’Italia ricordando lo
scultore Pietro Canonica,
il cui “violon” era la musica e una sua opera fu data
con successo al Teatro dell’Opera; il fisico Giovanni
Giorgi, il cui “violon” erano le collezioni di cartoline illustrate e di conchiglie marine; il sommo ellenista Ettore Romagnoli il
cui “violon” era proprio il
violino!
Ma il “violon” d’Ingres è
stato circondato da un’aura di leggenda. L’illustre
pittore francese e direttore
dal 1835 al 1841 della Academie de France poté godersi da Villa Medici l’aria
balsamica del Pincio, lo
spettacolo dell’Urbe che il
suo spirito religioso sembra tutto affidare all’ardita e maestosa cupola michelangiolesca del massimo tempio della cristianità. In quegli anni il violino fu per Ingres qualcosa
di più di un “hobby”: fu
una vera passione coltiva-
ta, insieme con la pittura,
con lo stesso amore e con
lo stesso impegno anche
se con un pudore che
vietò larga e meritata fama. A togliere il velo di
leggenda alla vocazione
musicale del “Signor Ingres”, come lo chiamavano gli allievi e i modelli,
sta l’autorità di Franz Liszt al quale si possono
rimproverare le molte avventure galanti ma non
certo negarglisi una sensibilità e un gusto musicali
squisiti e una facoltà di
giudizio che non lascia
dubbi o sospetti sulla sua
sincerità.
Ecco che cosa il futuro
suocero di Riccardo Wagner scriveva nel settembre del 1839 –quando Ingres allora sessantenne
era a Roma direttore dell’
Academie de France - nella
Revue musicale di Parigi:
«Il signor Ingres mi ammise
a Roma in una intimità del
cui ricordo sono ancora fiero.
I1 grande artista, per il quale
l’antichità non ha segreti e
che Apelle avrebbe chiamato
fratello, è eccellente musicista come è pittore insigne.
Mozart, Beethoven, Haydn
gli parlano la stessa lingua
che Fidia e Raffaello. Egli coglie il bello dovunque lo scorge e il suo culto ardente dinamizza e accresce il suo genio. Un giorno, che non dimenticherò mai, visitammo
insieme i musei vaticani. La
sua parola infiammata dava
Jean-Auguste-Dominique Ingres “Villa Medici”, Roma
una nuova vita a tutti i capolavori esposti. La sua eloquenza ci trasportava nei secoli passati. La sera, quando
rientrammo, dopo esserci assisi sotto i secolari lecci di
Villa Medici ed aver lungamente parlato a cuore aperto
delle bellezze della natura, io
lo trascinai verso il pianoforte e facendogli dolce violenza:
Andiamo, maestro, gli dissi,
non dimentichiamo la nostra
cara musica: il violino vi attende, la sonata in “ la “ minore si annoia sul leggio: cominciamo... Oh se lo aveste
udito allora! Con quale religiosa fedeltà egli rende il
pensiero di Beethoven! Con
quale fermezza piena di dolcezza egli muove l’archetto!
Che’ purezza di stile, che verità nei sentimenti! Malgrado il rispetto che egli m’ispira io non posso fare a meno
di gettarmi al suo collo; ed io
fui felice di sentire che egli
mi serrava al suo petto con
una tenerezza paterna... ».
Ingres, dunque, possedeva un violino che suonava
magistralmente ed egli
avrebbe ‘Potuto! acquistare, grazie ad esso, la gloria
che preferì chiedere al
pennello. Così il “violon
d’Ingres” non è un mito. E
per questo sarebbe meglio, per rispetto alle grandi cose di non dare il nome di “violon d’Ingres” a
tutti i piccoli passatempi
delle ore libere!
Dominique Ingres aveva
un vero culto per quattro
sommi musicisti : Mozart,
Haydn, Beethoven e
Gluck. Egli non ammetteva la minima critica verso
questi suoi Dei !
In occasione di un grande
ricevimento a Villa Medici
fu presentato a Ingres il
giovane Console di Francia a Civitavecchia, Henri
Beyle, che non aveva ancora al suo attivo la fama
di “Stendhal”. Simpatizzarono e vennero a parlare di musica. Beyle commise l’errore di dire: «Non
vi è canto in Beethoven!» Ingres immediatamente gli
voltò le spalle e la sera
riaccompagnando gl’invitati, sussurrò all’orecchio
del portiere indicandogli
Beyle : «Tenete presente che
io non ci sarò mai per quel si-
gnore là!». E Beyle dovette
chiedersi perché mai il signor Ingres era sempre assente da Villa Medici ogni
volta che capitando a Roma, egli si faceva premura
di recarsi alI’ Academie per
salutarlo!
motivi di originalissimi ed
acuti raffronti tra la scultura e l’architettura e le
creazioni musicali. Ma la
grande fiammata già accennava ad illanguidirsi:
Franz Liszt non è per l’amore eterno. A Louis de
Jean-Auguste-Dominique Ingres (1780, Montauban - 1867, Paris),
"Autoritratto all'età di 24 anni"
Al tempo dell’incontro
con Dominique Ingres,
Franz Liszt aveva ventotto anni. Nell’inverno del
1832-33 egli aveva conosciuto a Parigi la contessa
Adèle de Laprunarède: la
loro breve avventura si
svolse in un castello in
mezzo alle Alpi. Ma sul finire della primavera ecco
il “coup de foudre”: la contessa Maria d’ Agoult.
Durò due anni la lotta che
Maria sostenne trai suoi
obblighi coniugali e l’amore: vinse questo e
Franz e Maria lasciarono
Parigi per la Svizzera ed il
loro idillio ebbe per cornice il Lago di Walenstadt.
Riandando a quel tempo
un giorno Maria ricorderà
il mormorio delle acque, il
fiotto del colpo del remo
della barca e le musiche
sgorgate dal cuore di Liszt. Nel 1839 Liszt e la d’
Agoult arrivarono a Roma
e si stabilirono in via della
Purificazione dove resterarono circa un anno. Immensa è l’impressione che
su Liszt esercitarono i monumenti, le opere d’arte
adunate nei musei e nelle
gallerie: tutto gli suscitava
Ronchaud che un giorno,
durante una discussione,
aveva preso le difese di
Marja affermando che la
donna è l’ispiratrice dell’uomo e adduceva l’esempio di Dante e Beatrice, Liszt rispose che erano
i Dante a fare le Beatrice e
che quelle vere morivano
a diciotto anni ! Sul finir di
quell’anno Liszt riprese la
sua vita errabonda e ricevette accoglienze trionfali
a Londra, ad Amburgo, a
Francoforte, a Bonn. A
Berlino nel 1842 conobbee
la grande attrice Charlotte
de Hagn e se ne innamorò, ma subito dopo
non restò insensibile al fascino di Bettina von Arnim che aveva portato il
suo sorriso nella vita di
Goethe e di Beethoven. Ed
al carro delle conquiste
aggiunse anche una bellezza famosa per i suoi
amori regali: Lola Montès.
È la goccia che fece traboccare il vaso e decidere Maria d’Agoult a riprendere
la sua libertà per essere
riaccolta in seno alla società aristocratica parigina
iniziando la sua attività di
scrittrice con lo pseudoni-
Il
Manon
Giornale dei Grandi Eventi
9
utura moglie
senet nella Città Eterna
mo di Daniel Stern.
Aveva ormai trentasei anni Liszt quando, nella sua
vita entrò Jeanne Elisabeth Carolyne Iwanowska, principessa Nicolas
de Sayn-Wittgenstein, di
otto anni più giovane di
lui, non bella, ma intelligente, colta, dinamica. Liszt sentiva che il fascino
della dama era benefico e
fecondo per la sua arte e
pensò di sposarsi. Ma le
pratiche per il divorzio
chiesto dalla principessa
andarono per le lunghe e
non si conclusero che tredici anni dopo. I due non
ottennero, però, la ratifica
da parte del vescovo di
Fulda. Per la decisione si
fa ricorso a Roma e tutto
sembrava appianato. Fu
fissato anche il giorno delle nozze quando nella notte della vigilia, che Franz e
Carolyne stanno trascorrendo in preghiera, arrivò
un messo speciale di Pio,
IX il quale desiderava riesaminare l’incartamento
essendosi presentati dei
dubbi procedurali. Fu la
pioggia che spense il fuoco! I mancati sposi videro
nell’intervento papale la
mano di Dio. La principessa riprese a scrivere le
sue opere di carattere filosofico-religioso e Liszt a
comporre la Ugende de
Sainte Elisabeth. Ma Liszt
frequenterà sempre il salotto della principessa ove
convenivano, Monsignor
Hohenloe - poi insignito
della porpora - la moglie
di Marco Minghetti, la intellettuale donna Laura, il
duca di Sermoneta, padre
di donna Ersilia che fu legata da affettuosa amicizia a Giosuè Carducci il
quale la chiamava «gentile
vinattiera» perché essa lo
riforniva del vino delle
sue vigne di Prisciano,
Giovanni Sgambati che
schiuse le vie del successo
a Francesco Paolo Tosti facendolo partecipare ad un
concerto diretto da Franz
Liszt, il cardinale Luciano
Bonaparte, oltre ad artisti
e scrittori. Il 25 aprile del
1865 Franz Liszt, per iniziativa di Pio IX che molto
lo stimava e che era andato anche a fargli visita nel
chiostro della Madonna
del Rosario, dove si era ritirato, ascoltando musiche
suonate sull’armonium,
riceveva gli Ordini minori. Rossini, avutane notizia, col suo consueto spirito aveva commentato:
«Dunque Liszt componeva
delle Messe per abituarsi a
dirle!».
Jules Massenet nel 1912
L’incontro di Massenet
con la futura moglie
Fu proprio nel salotto della principessa che, nel
Santo Stefano del 1864,
Massenet avvicinò la sua
futura moglie. Al suo arrivo nell’Urbe come vinci-
Mostra a Villa Medici dal 20 giugno
Ingres e Kelly: un confronto al di fuori del paragone
L’
intenzione non è quella di
mettere a confronto due
stili o due generi formali,
bensì di comprendere quali siano
le relazioni che hanno legato due
pittori vissuti a distanza di un secolo e mezzo esponenti di punta
uno della pittura neoclassica e
l’altro dell’astrattismo.
Dal 20 giugno al 26 settembre
2010, l’Accademia di Francia a
Roma presenta una mostra che
vedrà riuniti due grandi artisti
della storia dell’arte, l’americano
Ellsworth Kelly (1923) dagli anni
’40 tra i più attivi della scena contemporanea e Jean-Auguste-Dominique Ingres (1780-1867) che
ha dominato la storia della pittura francese per buona parte del
Jean-Auguste-Dominique Ingres, Ritratto
di Jean Baptiste Desdéban, circa 1810
secolo XIX segnando profondamente la generazione impressionista (Renoir, Degas) ed influenzando direttamente l’opera di
Matisse e quella di Picasso. Ingres è stato borsista a Villa Medici dal 1806 al 1810, prima che ne
fosse eletto direttore, dal 1835 al
1841.
La mostra espone lavori recenti
ed inediti di Ellsworth Kelly, come anche una selezione di suoi
disegni di piante e figure (8 oli e
28 disegni), affiancati a dipinti e
disegni di Ingres (4 oli e 32 disegni), frutto di una selezione dell’artista americano e provenienti
dalle collezioni del Museo Ingres
di Montauban, del Louvre, del
Besançon e del Museo di Lyon.
Il percorso si articola non tanto
come un confronto diretto quanto come una disposizione che favorisca l’arricchirsi dello sguardo. Nella prima sala saranno esposti tre ritratti di Ingres, tra i
quali il Ritratto di Jean-Baptiste
Desdéban (1810, Museo di Besançon), dipinto proprio a Villa Medici, cui sarà confrontata una tela
di Ellsworth Kelly del 2009: Blue
Curves. Nelle tre sale successive
sarà la serie più recente dell’artista americano: sei rilievi monumentali la cui composizione quasi identica varia a seconda dei colori (la serie Curves). Il seguito del
percorso sarà articolato attorno a
disegni di entrambi gli artisti, per
raggruppamenti distinti. In tal
modo, si invita lo sguardo e lo
spirito dello spettatore a confrontarsi ripetutamente ora con l’uno
ora con l’altro, senza che vi sia un
paragone diretto ma in modo tale
che la memoria dell’uno permei
ancora lo sguardo che si porta
sull’altro, e viceversa.
Jean-auguste-Dominique
Ingres / Ellsworth Kelly
accademia di Francia – Villa
Medici – Via Trinità dei Monti,
1 – Roma
Da martedì 20 giugno a domenica 26 settembre 2010
Fr. Pic.
Ellsworth Kelly, Blue Curves, 2009
tore del Prix de Rome, i
colleghi dell’Academie gli
avevano detto che se voleva avere un’idea del palpito e del colore di Roma
doveva andare alla Messa
di mezzanotte alI’Aracoeli. E Massenet vi andò.
Splendeva nel cielo terso
il plenilunio. Lungo la
scalinata egli ebbe modo,
di notare una bellissima
giovane dal cui comportamento e dalla cui grazia
restò affascinato. Al sommo della scalinata la giovane si fermò e Massenet
vide che essa attendeva
una signora che saliva più
lentamente: forse la madre, forse una governante.
Tornato a Villa Medici,
Massenet si chiese come
avrebbe potuto rintracciare nel mare magnum della
Città Eterna quella deliziosa creatura. E invece
nel ricevimento offerto nel
giorno di Santo Stefano
dalla principessa Carolyne al quale essa, per tradizione, invitava i Prix de
Rome, Massenet ritrovò la
sua Dulcinèa! E trovò anche Liszt, il quale appena
presentatogli s’interessò
benevolmente di lui; e
poiché la madre della bella sconosciuta gli aveva
chiesto un precettore musicale per la figlia, Liszt
propose senz’altro Massenet. La musica non fece
molta strada per l’allieva,
ma nel cuore dei due giovani molta ne fece l’amore. E Massenet, terminato
il quadriennio e tornato a
Parigi, realizzò sull’altare
il romano sogno d’amore!
Raffaello Biordi
10
Manon
Il
Giornale dei Grandi Eventi
L’ambientazione della 2° scena del III atto
Saint-Suplice, seminario simbolo del clero francese
N
el terzo atto dell’opera il Cavaliere De Grieux
per dimenticare la bella
Manon si rifugia, con la
ferma intenzione di dedicarsi al sacerdozio, nel
monastero di Saint-Suplice, monastero di quella che è la più grande
chiesa di Parigi dopo la
Cattedrale di Notre Dame.
La Compagnia dei
Sacerdoti di
Saint-Suplice
In seguito al Concilio di
Trento voluto da San Pio
V, durante il quale vennero presi nuovi provvedimenti disciplinari allo
scopo di risolvere il problema dell’ignoranza e
dell’impreparazione dei
religiosi, il sacerdote
Jean-Jacques Olier, allora parroco di Saint-Suplice, turbato dallo stato
di prostrazione morale
ed intellettuale in cui era
caduto il clero francese,
comprese che gli scopi
delle missioni non potevano essere assicurati se
non sulla base di una solida formazione culturale e spirituale. Pensò,
quindi di dedicarsi alla
formazione dei candidati al sacerdozio e si prodigò per l’applicazione
del credo tridentino Cum
adulescentium aetas, attraverso la fondazione nel
1642, insieme a due compagni, di un seminario
chiamato “Compagnia dei
Sacerdoti di Saint-Suplice”. Con le sue quattro
comunità di novizi, la
congregazione divenne
presto la matrice ed il vivaio del clero francese
post conciliare. Olier intese il seminario come
una Domus Apostolica,
nella quale tutto era
orientato a riprodurre lo
spirito del «Santo Collegio
degli Apostoli», dedito
esclusivamente alla diffusione nel mondo della
religione cristiana. Ben
presto i “signori” di
Saint-Suplice vennero richiesti dai vescovi delle
diocesi di tutta la Francia
per assumere la direzione dei rispettivi semina-
ri. All’interno della coquello definito dai lavori
munità di Saint-Suplice
iniziati il 20 febbraio
si formarono molti figli
1646, quando la regina
di aristocratici destinati
Anna d’Austria pose la
a costituire gran parte
prima pietra del nuovo
dell’alta gerarchia eccleedificio. Sarebbero ocsiastica francese. Alla
corsi però ben 134 anni e
morte del fondatore, avla collaborazione di sei
venuta nel 1657, Alexandiversi architetti prima
dre Le Ragois de Bretondi concludere i lavori.
villiers, successore di
Un processo lungo e laOlier nella guida della
borioso, durante il quale
Parrocchia, redasse una
non mancarono tempi
costituzione per i
suoi sacerdoti, approvata dal Re di
Francia nel 1713. In
essa i “sulpiziani”
vennero riconosciuti
come compagnia di
«sacerdoti secolari donati a Nostro Signore
per servire il suo clero»; essi non pronunciavano voti, ma solo
la promessa solenne
di perseverare nell’istituto e di non accettare benefici ecclesiastici. Oggi la
Compagnia, approvata definitivamente La facciata della chiesa di Saint-Suplice
dalla Santa Sede nel
1931, opera ancora nelmorti per delle difficoltà
l’attività per cui fu costifinanziarie, che culminatuita, essendo, nel fratrono tra il 1678 e il 1718,
tempo, divenuta una Socon la momentanea
cietà clericale di diritto
chiusura del cantiere.
apostolico riconosciuta e
presente in molti Paesi,
La facciata
come il Canada, il Sud
America, gli Stati Uniti
Nel 1732, al momento di
d’America, l’Africa Cenristrutturare la facciata,
trale e il Sud-est asiatico.
venne indetto un concorso per cambiare lo stile
La Chiesa
greco-romano originario. Lo vinse Giovanni
Saint-Sulpice è situata nel
Niccolò Servandoni con
VI arrondissement, sulla
un progetto ispirato alrive gauche. E’ dedicata a
l’antichità classica, che
San Sulpizio, vescovo
creò un notevole contrafranco e capo della Diosto tra questa parte della
cesi di Brouges, vissuto
chiesa e il resto dell’edinel VII sec. La struttura
ficio. Egli optò per un
fu progettata dagli archidoppio colonnato ionico
tetti Christophe Gamard,
in stile neoclassico, noLouis Le Vau e Daniel Gitnostante la presenza deltard, che decisero di erila due torri laterali più
gere un edificio sacro
aderenti, invece, ad un
dallo stile austero sul
modello gotico. Negli
luogo in cui sorgeva una
anni successivi vennero
chiesa più antica risaleneffettuate diverse modite al XIII sec., dipendenfiche, il cui risultato finate dalla vicina abbazia
le differì in parte dal
St-Germain-des-Prés, afprogetto di Servandoni.
finché servisse da parLa torre sud, risalente al
rocchia ai contadini che
1749 opera dell’architetabitavano quelle terre.
to Maclaurin non fu portata a termine, mentre
Più volte rimaneggiata,
nel 1777 l’architetto Chalil suo impianto attuale è
grin si occupò della realizzazione della torre
nord e del restauro della
facciata, cui apportò ulteriori cambiamenti. Il
frontone monumentale,
tra l’altro, vene eliminato, i lucernari rinascimentali, destinati a coprire i campanili, furono
sostituiti da balaustrate.
Le torri restarono asimmetriche e non si integrano
perfettamente: quella sud
è, infatti, più alta
ed ornata rispetto
all’altra, rimasta
incompiuta.
Importante è l’interno della chiesa
con i suoi 110 metri
di lunghezza, 56 di
larghezza e 33 di
altezza, adornato
con opere di artisti
francesi famosi come le acquasantiere di Jean Baptiste
Pigalle e due affreschi di Eugène Delacroix nella Chapelle des Anges
raffiguranti “Giacobbe che
lotta con l’angelo” ed
“Eliodoro scacciato dal
tempio”.
L’organo
Sopra l’ingresso, dietro
un buffet Louis XVI, troneggia il magnifico organo a canne distribuito su
sette piani, costruito da
François Henri Clicquot
tra il 1776 e il 1781, su
progetto di Jean François
Chalgrin, notevolmente
ampliato e messo a punto nel meccanismo da
Aristide Cavaillé Coll
nel secolo successivo.
L’altezza, dal piano della
cantoria alla volta, raggiunge i 18 metri. Il meccanismo occupa quattro
L’organo di Saint-Suplice
piani, mentre le canne gli
altri tre. Inaugurato il 29
aprile 1863, questo strumento, per le sue straordinarie caratteristiche, è
stato utilizzato per nuregistrazioni
merose
musicali ed ancora oggi
è possibile apprezzarne
le armonie che scaturiscono dalle 6.700 canne
di cui è composto.
La meridiana citata nel
“Codice da Vinci”
Su richiesta del curato,
nel XVIII secolo sulla
parte nord del transetto
venne collocata una meridiana con lo gnomone
a forma di obelisco, dal
quale parte una barra
d’ottone di rilevamento
che percorre tutta la navata centrale della chiesa. Questo strumento di
misurazione astronomica aveva lo scopo di stabilire con precisione la
data di Pasqua coincidente con l’equinozio di
primavera, osservando il
punto toccato dai raggi
del sole sulla linea metallica nel pavimento. I
raggi vengono indirizzati direttamente da una
lente posta nella vetrata
del transetto sud dell’edificio, quando il sole è
allo zenit. La meridiana,
insieme alla chiesa, è anche citata nel romanzo di
Dan Brown, “Il Codice da
Vinci”, che erroneamente fa passare il meridiano
di Parigi attraverso lo
gnomone ad l’obelisco.
In realtà il vero antico
meridiano zero (o meridiano di Parigi) si trova
a cento metri ad est della
chiesa e passa per l’Osservatorio di Parigi lì
collocato dal 1718.
Livio Magnarapa
Il
Manon
Giornale dei Grandi Eventi
11
Schiacciato tra i due grandi musicisti europei
Massenet fra Verdi e Wagner
«I
suoi colleghi non
gli perdonarono
quella capacità di
piacere che è propriamente
un dono.... Un tale successo fece sì che per un certo
periodo andasse di moda copiare le manie melodiche di
Massenet, poi improvvisamente gli stessi che lo avevano così tranquillamente
saccheggiato lo trattarono
duramente».
Il passo, tratto dal “Signor Croche antidilettante”
vecento, nella Francia di
Debussy. Ha saputo destreggiarsi fra i due
grandi colossi del teatro
europeo dai quali era
pressoché impossibile
prescindere, Wagner e
Verdi. Conobbe entrambi ed entrambi lasciarono su di lui una forte impressione.
L’incontro con Wagner
Al 1861 risale l’incontro
fra il giovane musicista
Verdi, Wagner e Massenet in una litografia caricaturale
di Debussy, coglie lucidamente quello che fu il
destino di Jules Massenet, all’epoca certamente
uno dei compositori più
amati e nello stesso tempo più discussi del teatro
francese.
Una cinquantina di lavori
teatrali fra opere, operette, oratori e musiche di
scena, un’ampia produzione di musica sinfonica,
cameristica e vocale, Massenet è stato fra i grandi
protagonisti della cultura
francese del secondo Ottocento. Ha contribuito ad
“europeizzare” il teatro
del suo Paese che proprio
in quegli anni invase i palcoscenici italiani facendo
una concorrenza spietata
ai nostri musicisti.
Ha mosso i primi passi
come successore di Gounod e ha chiuso la carriera, nei primi anni del No-
francese e Wagner: «Abitavo in una piccola camera
accanto alla sua nel castello
di Plessis-Trevise del celebre
tenore Gustave Roger», ha
raccontato nelle sue “Memorie”. «Roger conosceva
il tedesco e si era candidato
a curare la traduzione francese del “Tannhäuser”. Richard Wagner lo aveva raggiunto per curare l’accordo
fra le parole francesi e la
musica. Ricordo ancora la
sua possente interpretazione quando suonava al piano
i frammenti del suo capolavoro...».
Massenet fu conquistato
dalla personalità del tedesco e certamente alcune soluzioni armoniche
da lui adottate derivarono da Wagner: «Sotto
l’influenza di Wagner – ha
scritto Gérard Condé
analizzando l’opera Cleopatra - Massenet aveva più
o meno del tutto bandito le
cadenze perfette a partire da
“Werther”, preferendo loro
il più spesso possibile cadenze interrotte che respingono inopinatamente la
musica in una direzione
nuova nel momento in cui
si crede che essa stia per
fermarsi».
La sottile invidia
di Verdi
Nel 1879 Le roi de Lahore
raggiunse la Scala.
Recatosi a Mila-no, il musicista francese fu oggetto
di calorosi festeggiamenti
che l’austero Ver-di stigmatizzò in una lettera da
Genova alla Con-tessa Massenet in un disegno
Maffei: «...tutto questo moestrema affabilità. La
Massenet e Verdi si invimento, questo fracasso per
conversazione si protrascontrarono qualche anno
un’opera, tutte queste lodi o
se per una trentina di midopo, nel novembre
adulazioni, mi fanno ripennuti e lasciò una profon1894, quando l’artista
sare al passato (si sa che i
da impressione sull’arfrancese, nuovamente in
vecchi lodano sempre i loro
tista francese: «Passai in
Italia, passò da Genova e
tempi) quando Noi senza résua compagnia alcuni
rese omaggio al suo più
clame, senza qua-si conosceistanti di un fascino indevecchio collega a Palazre persona presentavamo il
finibile, parlando con la
zo del Principe.
nostro muso al pubblico e se
Dopo aver attraversato
più deliziosa semplicità
ci applaudiva si diceva o
una vasta anticamera e
nella sua camera, poi sulla
non si diceva “grazie”. Se ci
un salone affacciato su
terrazza da dove si domifischiava:
“Arrivederci
un’ampia terrazza, Masnava il porto di Genova e
un’altra volta”. Non so se
senet entrò nello studio
il mare. Ebbi l’illusione
questo era più bello, ma era
di Verdi che sedeva al
che fosse lui stesso un Docertamente più degno...».
suo tavolo di lavoro.
ria che mi mostrasse con
Erano, del resto, quegli
L’anziano compositore di
orgoglio la sua flotta vittoanni, contrassegnati da
Busseto si alzò, gli andò
riosa».
un particolare interesse
incontro e lo trattò con
Francesca oranges
da parte dei nostri teatri e
del nostro pubblico per la produzione d’oltralpe. A ciò non
erano estranei il
silenzio cui si
era condannato
proprio Verdi
dopo Aida e il
disagio con cui
si muovevano i
giovani autori
italiani, schiacciati dal mito di
Wagner, preoccupati
dalla
concorrenza
francese, culturalmente chiusi
fra un romanticismo al tramonto, una scapigliatura vitale
solo nella critica “in negativo” e un verismo ancora all’orizzonte.
Incontro di Massenet con Siegfried Wagner, figlio del compositore Richard
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Il
Manon
Giornale dei Grandi Eventi
13
Il compositore
Jules Massenet, musicista
dall’animo nobile
U
ltimo di 21 figli, Jules Massenet nacque a Montaud,
presso Saint-Etienne, il
12 maggio 1842. Studiò
pianoforte con la madre
e ad undici anni entrò
nomina a membro dell’Academie des Beaux-Arts.
Sollevato dal peso delle
preoccupazioni economiche che sempre lo
avevano agitato, Massenet si dedicò completa-
Massenet nel suo studio
nel conservatorio di Parigi, città dove la famiglia si era trasferita nel
1848. Gli anni dell’adolescenza furono tormentati da un’insofferenza
alla disciplina familiare
e dai disagi economici e
che costrinsero il giovane Jules a sottrarre tempo agli studi per dedicarsi a piccoli lavori.
Nonostante questo si distinse fra i compagni, fino a vincere nel 1863 il
prestigioso “Prix de Rome” con la cantata David
Rizzio, che gli valse un
lungo ed importante
soggiorno a Roma. Tornato a Parigi si misurò
con diversi generi senza
attirare troppa attenzione, il riscatto venne nel
1873 con il dramma sacro Marie Magdalene a
cui seguirono altri successi che resero più salda la sua fama. Nel 1878
fu chiamato a succedere
a Bazin nella classe di
composizione al Conservatorio e ottenne la
mente all’insegnamento
e alla composizione consolidando la sua fama fino ad ottenere con Ma-
non il riconoscimento e
la piena affermazione.
La sua umiltà lo spinse a
non cimentarsi nel canto
di ampi affreschi musicali. Ai toni grandiosi
preferiva le sfumature,
riconobbe i propri limiti
e li rispettò, non permise mai all’ambizione di
prendere il sopravvento. Timoroso delle critiche cercò sempre di accattivarsi le simpatie e il
consenso del pubblico
scegliendo toni amabili
e misurati e privilegiò
una musica piacevole,
incline al sentimentalismo e attenta al gusto
dell’epoca senza però
sacrificare la tecnica
sempre ricca ed evoluta.
La sua arte è stata definita “femminile” perché
proprio la donna nel suo
teatro trova un’espressione e un carattere di
rilievo. Le donne di
Massenet rappresentano
il dualismo tra la purezza e la carnalità, tra il
misticismo e la corruzione terrena, eroine decadenti di cui esalta con
discrezione la bellezza,
la sensualità, la giovinezza, Salomè, Maria
Maddalena, Eva, Esclarmonde, Thaïs, Arianna e
persino l’animo femminile che emerge dalle spoglie maschili del Werther.
Anatole France in
seguito alla
prima rappresentazione della Thaïs così si congratulò con l’autore: «Caro Maestro lei ha
innalzato al più alto livello
consentito a un’eroina del
melodramma la mia povera
Thais. E’ la mia gloria più
dolce. Sono in una vera
estasi». Universi
magici e simbolici, storici e
leggendari,
cavallereschi
e mistici che
nel gusto sobrio
del suo linguaggio e delle sue melodie ripetute
gli permisero di essere
amato come pochi altri
artisti. Morì a Parigi il 13
agosto 1912.
Lun. San.
A Milano dieci anni dopo il debutto parigino
Manon arriva in Italia
I
n Italia la Manon di Massenet arrivò quasi dieci anni
dopo il debutto, il 19 ottobre 1893 al Teatro Carcano
di Milano, lo stesso anno, dunque, della prima assoluta dell’opera omonima pucciniana (Teatro Regio di
Torino, 1° febbraio). Sonzogno (ormai subentrato a
Ricordi nella rappresentanza di Massenet in Italia) affidò la messa in scena a Ruggero Leoncavallo. Dirigeva Rodolfo Ferrari, nei ruoli principali Lison Frandin
e Edoardo Castellano.
Il 20 ottobre ne scrisse Giovanni Battista Nappi sulla
Perseveranza: «la Manon non risponde forse totalmente all’indole italiana; tuttavia ha titoli per sostenersi
brillantemente sulle nostre scene e in ispecie in ambienti intimi e aristocratici... L’ottimo indirizzo del canto declamato per meglio assecondare l’espressione delle passioni, il richiamo frequente dei temi dominanti - i
quali non si svolgono però nè si snodano frammentandosi, ricollegandosi, sovrapponendosi l’uno all’altro,
come avviene dei leitmotivs wagneriani... il delicato,
nobile linguaggio melodico, per quanto a periodi corti,
la forbitezza delle linee armoniche, l’eleganza peregrina dei dettagli istrumentali degni di un artista sapien-
te, l’intuizione sentita della scena, la varietà geniale dei
coloriti, l’esattezza dello stile musicale proprio dell’epoca e dell’ambiente, questo ricco patrimonio fanno
della Manon una magnifica opera d’arte...».
Al Tetra dell’Opera di Roma questo titolo ha debuttato
il 21 aprile 1894 con sei rappresentazioni affidate alla
bacchetta del maestro Giovanni Zuccani. Interpreti: Ernestina Bendazzi Secchi (Manon), Antonio Salotti (De
Grieux) e Michele Wigley (Lescaut). Da allora l’opera
da allora è andata in scena al Tetra Costanzi altre 19
volte con interpreti di grande rilievo: per Manon Rosina Storchio, Pia Tassinari, Mafalda Favero, Raina Kabaivanska; Come De Grieux Tito Schipa, Giacomo Lauri Volpi, Beniamino Gigli, Bruno Landi, Ferruccio Tagliavini, Giuseppe Di Stefano; nel ruolo di Lescaut Giuseppe De Luca ed Emilio Ghirardini. L’ultima messa in
scena risale al 2 marzo 1984 con sette repliche dirette da
Michail Tabachnick, la regia di Alberto Fassini e le scene di Pierluigi Samaritani. A dividersi il ruolo della
protagonista Diana Soviero e Floriana Sovilla. Alberto
Cupido e Carlo Tuand sono stati De Grieux, mentre
Carlo Deideri ha cantato come Lescaut.
Manon
14
Il
Giornale dei Grandi Eventi
L’ultima Manon: dalla tradizione alla dodecafonia
L’eclettismo di Hans Werner Henze
in Boulevard Solitude
D
imostra la ferrea
volontà di inserirsi
nel solco di una
tradizione
consolidata
Hans Werner Henze
quando, all’inizio degli
anni cinquanta, sceglie di
rivolgersi alla vicenda di
Manon Lescaut (tratta dal
romanzo dell’abate Prévost) per la sua seconda
fatica in campo teatrale.
Una decisione singolare,
considerando il gusto contemporaneo per le vicende astratte e per una poetica in evidente contrasto
con il passato, e coraggiosa, visto che gli illustri
precedenti portano le firme di Auber, Puccini e
Massenet. Appare, comunque, evidente che
Boulevard Solitude, il cui titolo è chiaramente ispirato
al Sunset Boulevard di Billy
Wilder, rifugge qualsiasi
sterile tentazione passatista. Il contatto stabilito con
l’universo filmico dimostra la chiara volontà di attualizzare l’estetica operistica, scacciando i fantasmi che ne profetizzavano
un’imminente conclusione, ponendosi quale punto
di partenza per la costruzione di un teatro veramente moderno.
Nelle pieghe di una drammaturgia volutamente
frammentaria (in tal senso
fondamentale appare la
lezione di Puccini), articolata in sette quadri separati da interludi strumentali
(il libretto è opera di Grete
Weil), Henze modella una
vicenda di forte attualità,
percorsa da un’atmosfera
luttuosa e decadente che
richiama la pellicola di
Wilder. Come nei film di
Resnais o di Antonioni, i
personaggi sfuggono inafferrabili, incapaci di comunicare. Il quadro iniziale è un esempio lampante della volontà che
anima il compositore, della sua capacità di estrarre
l’essenziale dalla vicenda,
improntando la propria
poetica ad una logica
asciutta e stringente. Manon vede Armand Des
Grieux nell’atrio della stazione di una città impreci-
Il Teatro Opernhaus di Hannover
sata, subito dopo la seconda guerra mondiale. Lei
deve seguire il fratello in
un collegio a Losanna,
mentre lui ha appena accompagnato un amico in
partenza. Pur svolgendosi
in un luogo affollato, l’incontro avviene in un’atmosfera estremamente
desolata. Quello che accomuna i due amanti è la
propria condizione solitaria, immediatamente dichiarata, e la propria tendenza ad abbandonarsi ai
sogni. Lo studente Armand, il quale ricopre un
ruolo maggiore rispetto
alle versioni di Massenet e
di Puccini, si attarda in un
soliloquio dove lamenta la
crudeltà delle grandi metropoli, crogiolo di illusioni nel quale l’uomo è destinato a precipitare; in
quest’ottica basta lo
sguardo di una ragazza
per far presagire un mon-
do di promesse, destinato
ad infrangersi contro la
realtà. La donna sceglie
inevitabilmente la ricchezza, mentre il povero studente non può far altro
che proseguire la propria
esistenza solitaria.
L’assonanza con il teatro
espressionista di Georg
Kaiser è evidente: nel
dramma Dal mattino a
mezzanotte il protagonista
è un cassiere pronto a rubare per il fugace balenare
di una veste femminile,
sacrificando la propria
esistenza sull’altare di
un’ebbrezza vitalistica
tanto effimera quanto illusoria. Ci troviamo in uno
scenario dominato dal dio
denaro, e non a caso i novelli amanti di Henze, alla
fine del primo quadro, si
dichiarano smarriti nei
propri sogni, alla ricerca
di un’impossibile evasione dall’orrore della quoti-
dianità (evasione che Armand cerca nei paradisi
artificiali della droga). All’inizio dell’opera, dopo
una breve introduzione
affidata alle percussioni, i
due protagonisti dialogano fra loro, ma è come se
parlassero a sé stessi,
mentre la musica, depurata da qualsiasi tentazione
romantica legata alle convenzioni della seduzione,
dipinge un’atmosfera sospesa e straniante, nella
quale si cela il dramma.
La partitura prosegue con
grande eclettismo, quasi
che Henze volesse riprendere le fila dell’intera storia della musica, rimodellandone i frammenti e tessendo il proprio particolare percorso creativo. In
Boulevard Solitude convivono stilemi apparentemente inconciliabili, dalla
tonalità all’atonalismo,
dagli spunti melodici dal
sapore pucciniano alla dodecafonia, dalle forme
della musica popolare al
jazz. Infine, occorre ricordare l’uso del coro, il quale introduce nella vicenda
un sapore da tragedia greca e della danza, la cui
concretezza corporea inserisce nel dramma una
nota del tutto peculiare.
Dal punto di vista formale, l’opera non è esente da
certe atmosfere vicine al
Wozzeck ed alla Lulu di Alban Berg, salvo poi notare
come in Henze il gesto
espressionista sia sovente
trattenuto, tanto interiorizzato da risultare terribile come il grido muto del
celebre quadro di Munch.
Il finale è agghiacciante
nel suo immobilismo, con
Armand solo davanti alla
prigione nella quale è rinchiusa Manon e la neve
che cade lenta sul selciato.
Le voci dei collegiali che
attraversano la piazza
cantando risultano terribili quanto quelle dei bambini alla fine del già citato
Wozzeck. L’immagine della modernità, con le sue
contraddizioni ed il suo
pluristilismo, tanto complessa da risultare irriducibile ad un unico punto
di vista, è tutta qui. Dobbiamo essere grati ad
Henze per la sua ansia
febbrile di comunicare,
per la sua fiducia nelle
possibilità del teatro musicale in un’epoca che
sembrava decretarne il
tramonto, per il suo impegno sociale e per la coerenza morale sempre dimostrata. La sua opera si
staglia solitaria come una
montagna, straordinaria
in quanto totalmente libera da condizionamenti,
sempre animata da un
anelito verso la libertà che
costituisce un luminoso
esempio per le generazioni future.
Riccardo Cenci
Il compositore
Hans Werner Henze
H
ans Werner Henze è nato, in Germania, a Gütersloh, il primo luglio del 1926. Iniziò gli studi
presso la scuola di musica di Braunschweig nel
1942, ma dovette interromperli nel 1944 quando fu richiamato dall’esercito per partecipare alla Seconda
guerra Mondiale. La fine della guerra lo vede prigioniero degli inglesi. Henze diviene in breve uno degli interpreti più sensibili di una realtà devastata dal conflitto
mondiale. Con il Kammerkonzert op. 1 inizia la sua ascesa artistica. Con Boulevard Solitude del 1952 esplode il
suo talento teatrale. Fra le sue opere più note ricordiamo Re Cervo (König Hirsch) del 1956 tratto dall’omonima fiaba di Carlo Gozzi, Il Principe di Homburg del 1958
(rielaborata poi nel 1991) dal dramma del poeta settecentesco tedesco Heinrich von Kleist ed Elegia per giovani
amanti. Nel 1953 si trasferisce a Marino, dove ha trascorso gran parte della sua vita, dimostrando un amore
sviscerato per l’Italia. Nel 1976 fonda il Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano, deputato in particolare alla diffusione della musica contemporanea, progetto al quale gli artisti partecipano di norma a titolo
gratuito, per il semplice piacere di far musica. Fra i suoi
ultimi lavori ricordiamo Phaedra, andata in scena nel
2007 e Immolazione, commissionata dall’Accademia di
S.Cecilia e presentata in prima esecuzione assoluta all’Auditorium Parco della Musica nel gennaio 2010.
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Dal mondo della musica 15
Dal 21 luglio al 22 agosto il Festival di Bregenz
Una Aida spettacolare sul lago di Costanza
S
pettacolare, monumentale, grandiosa,
questi gli aggettivi
più usati dalla critica nel
recensire l’Aida di Verdi
allestita l’estate scorsa
sul lago di Costanza al
Festival di Bregenz, e
presentata in replica nel
2010, secondo una consuetudine che vede alternarsi con cadenza
biennale titoli di forte richiamo per lo spettatore,
scelti nell’ambito del
grande repertorio.
Se l’opera è nata per stupire, non si può negare
che gli organizzatori del
festival austriaco perseguano con dedizione l’obiettivo del meraviglioso, in un tripudio di idee
che richiama l’estetica
barocca. Il teatro musicale diviene in tal modo
un grande show che potrà non soddisfare pienamente i puristi, ma nei
confronti del quale il
pubblico si dimostra entusiasta. Un vero tripudio non solo per gli occhi con il grande palcoscenico sul lago che non
può certo lasciare indifferenti, ma anche per le
orecchie, considerando
l’eccellente sistema di
amplificazione in uso,
sorprendente per uno
spettacolo all’aperto. La
programmazione dell’adiacente Festival Opera
House prosegue invece
all’insegna della modernità, presentando The
passenger del compositore polacco Mieczyslaw
Weinberg, un lavoro
sull’olocausto scritto nel
1968. Il collegamento
con Aida è evidente: in
entrambi i casi l’attenzione è puntata sull’idea
dell’esilio, tematica di
grande attualità che costituisce il filo conduttore fra passato e presente.
Lodevole l’impegno del
direttore artistico David
Puntney il quale, dopo
aver intrapreso una politica di valorizzazione
del repertorio contemporaneo - si pensi a Masquerade di Nielsen, oppure a Re Ruggero di
Szymanowski - dal
prossimo anno programmerà
esclusivamente lavori commissionati appositamente per
il Festival (si comincia
nel 2011 con Miss Fortune/Achterbahn dell’inglese Judith Weir, per proseguire poi con Solaris
del compositore tedesco
Detlev Glanert, e successivamente con Tales from
the Vienna Woods, di HK
Gruber, una delle figure
più enigmatiche dell’attuale panorama musicale austriaco). L’edizione
2010 del Festival, che si
svolgerà dal 21 luglio al
22 agosto prossimi, offre
inoltre un’ampia programmazione sinfonica
– diffusa in diretta anche dagli altoparlanti
sul lungolago - che vedrà la presenza di importanti direttori quali
Vladimir Fedoseyev e
Dmitri Jurowski, insieme a numerosi eventi
collaterali, tutti di grande interesse. Un’occasione importante per gli
amanti della cultura,
un’opportunità per visitare una regione dell’Austria Felix forse meno frequentata dai turisti, comunque splendida
dal punto di vista paesaggistico.
Riccardo Cenci
Al Teatro Verdi di Salerno ne L’Elisir d’Amore
La morte di un grande interprete del repertorio italiano
Con Internet e
Facebook tutto esaurito
per il debutto del
finalista di “Amici”
Giuseppe Taddei, baritono leggendario
D
al programma “Amici” di Maria De Filippi al
palco del Tetra Verdi di Salerno ne L’elisir
d’Amore di Donizetti per la regia di Michele
Mirabella, terza opera in cartellone. E’ stato un successo l’esordio l’8 giugno scorso nel ruolo di Nemorino del giovane tenore di Sassuolo Matteo Macchioni,
già finalista della trasmissione televisiva e poi scritturato in un ruolo da protagonista per la sua prima
Opera Lirica in un teatro nazionale.
Il giovane ha cantato come secondo cast dell’opera
già andata in scena lo scorso 26 maggio con protagonista il tenore Celso Albelo. «Una voce fresca ed accattivante», l’ha definita Daniel Oren sul podio nell’allestimento salernitano. «I giovani non conoscono
l’Opera, Matteo con la sua popolarità, il suo talento e la
sua presenza scenica fa da cassa di risonanza attirando
l’attenzione di un nuovo pubblico alla scoperta di una forma d’arte riservata finora prevalentemente ad un pubblico adulto».
Un esordio ed un evento fuori dagli schemi dell’abituale promozione di un’Opera Lirica. Attraverso Internet, Facebook ed il sito del giovane tenore, infatti,
le prevendite hanno toccato il “tutto esaurito” già un
mese prima della serata. Questo grazie anche ad una
promozione diretta ad un pubblico giovane. Difatti,
studenti e ragazzi fino a 30 anni hanno acquistato un
biglietto al costo di 20 euro. «Il prezzo di una serata in
pizzeria – ha aggiunto Oren - ma spesi per conoscere le
grandi Opere Italiane».
L. Di Die.
I
l 26 giugno avrebbe compiuto 94 anni il baritono Giuseppe Taddei,
scomparso il 2 giugno scorso nella
sua casa romana sulle pendici di Monte
Mario. Nato nel 1916 a
Genova, a due passi
dalla casa di Nicolò Paganini, già a 10 anni dimostrò la sua naturale
inclinazione al canto. A
18 anni partecipò e vinse un concorso per voci
liriche bandito dal Tetra
dell’Opera di Roma.
Tullio Serafin, all’epoca
direttore artistico del
Teatro, lo fece immediatamente debuttare al
Costanzi nel ruolo dell’Araldo nel Lohengrin
di Richard Wagner, diretto da Arturo Toscanini. Da allora la sua carriera fu rapida
e brillante, fino a diventare uno dei più
grandi baritoni del ‘900.
Con lo scoppio della guerra Taddei,
partendo per il fronte dei Balcani, dovette interrompere l’attività. Nel 1943 i
tedeschi presero prigioniero tutto il suo
reparto e lo trasferirono in un campo di
concentramento. E proprio nelle baracche di un lager, mentre intratteneva i
suoi commilitoni, fu notato da alcuni
tedeschi melomani. Questo fece sì che
ottenne un trattamento migliore e cominciò a girare i vari campi per cantare
per i prigionieri d’ogni nazionalità fino
a quando, alla fine della Guerra, entrò
nella squadra d’artisti che lo “Special
Service” americano utilizzava per spettacoli destinati alle truppe
alleate. Capitò così a Salisburgo, dove conobbe von
Karajan, il quale lo cooptò
immediatamente e con il
quale iniziò una lunga e
proficua collaborazione,
cominciando a cantare nei
maggiori teatri del mondo
e lavorando con tutti i più
grandi cantanti e direttori
d’orchestra, da Serafin a
von Karajan, fino a Zubin
Mehta e Claudio Abbado,
con il quale eseguì nel 1991
a Vienna un memorabile
Simon Boccanegra all’età di
75 anni.
Con la sua voce di rara bellezza timbrica ed anche con la grande
fantasia interpretativa, divenne celeberrimo interprete in particolare di ruoli del repertorio italiano (Verdi, Rossini,
Puccini e Donizetti), ma anche di personaggi mozartiani e wagneriani. E’ stato
uno dei più grandi interpreti del ruolo
di Falstaff, ma anche di Scarpia, Tonio,
Gianni Schicchi e Gérard. Nel 1992, a 76
anni, ha inciso diretto da James Levine
la Manon Lescaut di Puccini cantando il
ruolo di Geronte di Ravoir.
L. Di Die.
FANALCOMUNICAZIONE
I L F U T U R O N O N È P I Ù Q U E L L O D I U N A V O LT A .
Ogni giorno Acea si impegna e lavora per gestire in modo sostenibile le risorse naturali e l’energia, valorizzandone
l’impiego, prestando particolare attenzione alla riduzione degli sprechi e incrementando il ricorso alle fonti rinnovabili. Perché l’uso razionale dell’energia, il risparmio energetico, il rispetto per il territorio e la tutela dell’ambiente
sono le primissime cose che migliorano la qualità della vita. Perché il nostro futuro inizia da qui, ora.
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