anno XVI - numero 41 - 17 giugno 2010 L’intervista Parlano il regista Jean-Louis Grinda ed il direttore Alain Guingal A Pag. 2 La Storia dell’Opera Il frivolo spirito del Settecento nella Manon che conquistò Parigi A Pag. 6 Massenet a Roma Quando il compositore conobbe la futura moglie A Pag. 8e9 L’ambientazione 3° atto La chiesa di Saint-Suplice, vivaio del clero francese A Pag. 10 L’ultima Manon Boulevard Solitude di Hans Werner Henze A Pag. 14 Manon di Jules Massenet Manon 2 Parlano il regista Grinda ed il direttore Guingal «Una allestimento esaltato dalla pittura del ‘700» L a Manon di Massenet torna al Teatro dell’Opera di Roma dopo 26 anni di assenza, in una co-produzione con l’Opéra di Monte Carlo, dove questo allestimento andrà in cartellone probabilmente nel 2013. Se le scene sono della giovane italiana Paola Moro, che però ha già lavorato diverse volte con lo stabile monegasco, la regia è stata affidata al francese JeanLouis Grinda, dal 1996 al 2007 Direttore Generale dell’Opéra Royal de Wallonie di Liegi e dalla stagione successiva alla direzione dell’Opéra de Monte-Carlo. «E’ questo uno spettacolo tutto centrato intorno allo specchio che rappresenta il passare del tempo ed il confrontarsi con se stessi», dice il regista, conosciuto al pubblico romano per aver curato nell’ottobre 2008 la regia di Amica di Mascagni. «Manon è una figura enigmatica, la quale rappresenta il vuoto che attrae l’uomo e lo fa perdere nel vortice della passione. L’allestimento è basato su riferimenti pittorici di quel ‘700 in cui l’opera è ambientata dall’autore, con le sue frivolezze, i suoi merletti». Sfileranno, così, immagini di tele famose di Jean- Honoré Fragonard importante esponente del rococò, di quel Claude Lorrain maestro del paesaggio ideale che proprio a Roma molto lavorò e vi morì, per essere poi sepolto nella chiesa di Trinità dei Monti e del bellunese Sebastiano Ricci. Con queste appariranno simbolicamente anche “La morte che suona il violino” di Arnold Böcklin e “L’allegoria della fortuna” di Giacinto Gimignani. «Ne nascerà un’atmosfera – dice Grinda – e tutto sarà funzionale al dualismo che anima lo spettacolo, al contrasto tra l’erotismo di Manon ed il misticismo del Cavalier des Grieux, il quale, deluso dall’amore, abbraccia la religione per poi abbandonare quell’intendimento stordito dai fumi della passione. Un altro dualismo che abbiamo voluto presentare è quello tra fango ed oro. Oro simbolo della ricchezza a cui Manon aspira ed il fango che simboleggia la condizione dalla quale la donna vorrebbe fuggire, ma nella quale miseramente ricade nella sua parabola discendente verso la deportazione e la morte». Il regista francese ha cercato di dare all’opera una lettura maggiormente poetica rispetto alla Manon Lescaut di Puccini. «Questa di Massenet è un personaggio meno passionale, più france- Il G iornale dei G randi Eventi Direttore responsabile Andrea Marini Direzione Redazione ed Amministrazione Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma e-mail: [email protected] Editore A. M. 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A dirigere questa Manon sarà un altro francese, Alain Guingal, considerato, anche se giovane, uno specialista di Massenet, il quale sul podio dell’Opera di Roma è già stato nel 1997 con un’altro lavoro del compositore francese, il Don Quichotte. «Per la verità non ho diretto Manon molte volte: l’ho fatta per la radio francese due volte a Berlino, quindi a Tokyo ed a Trieste. Non è una partitura facile, anche se Massenet scriveva con estrema cura tutti i particolari, anche il colore dell’orchestra e l’equilibrio fra voci ed orchestra. Ci sono arie, recitativi e questi hanno una tessitura musicale molto quadrata, dentro la quale i cantanti devono però sentirsi liberi di muoversi. Questa volta, fortunatamente, l’opera verrà presentata nella sua interezza con solo piccolissimi tagli necessari, ma non riesco a comprendere la prassi tutta italiana di tagliare nel III atto, la parte iniziale della passeggiata del Cours-la Reine…così si perde tutto! Tutto il contrasto tra i due mondi e la spiegazione dell’intera vicenda, che è in fondo quella di una contadina di 16 anni proiettata senza certezze in questo mondo». andrea Marini Il Giornale dei Grandi Eventi Stagione Estiva alle Terme di Caracalla 15 luglio - 5 agosto aIDa di Giuseppe Verdi Daniel Oren Direttore Interpreti Daniela Dessì, Giovanna Casolla, Fabio Armiliato 28 luglio - 8 agosto RIGoLETTo Direttore di Giuseppe Verdi Steven Mercurio Stagione 2010 al Teatro Costanzi 1 - 6 ottobre Direttore Interpreti RoBERTo DEVEREUX di Gaetano Donizetti Bruno Bartoletti Gian Luca Terranova, Carmela Remigio, Alberto Gazale, Sonia Ganassi 4 - 11 novembre di Francesco Cilea Maurizio Arena Direttore Interpreti ~~ aDRIana LECoUVREUR Martina Serafin /Giovanna Casolla, Marcello Giordani, Katia Lytting /Agnes Zwierko, Alessandro Guerzoni La Locandina ~ ~ Teatro Costanzi, 17 - 24 giugno 2010 Manon Opéra-comique in cinque atti Libretto di Heinri Meilhac e Philippe Gille dal romanzo Historie du Chevalier des Grieux et de Manon Lescaut dell’abate Prévost Musica di Jules Massenet Prima rappresentazione: Parigi, Opéra-Comique, 17 gennaio 1884 Maestro concertatore e Direttore Maestro del Coro Regia Scene Costumi Coreografia Disegno luci Alain Guingal Andrea Giorgi Jean-Louis Grinda Paola Moro Anna Biagiotti Eugénie Andrin Agostino Angelini Personaggi / Interpreti Manon Lescaut (S) Annick Massis (17, 19, 22, 24) / Sylwia Krzysiek (18, 20, 23) Poussette Sabrina Testa Javotte Mariella Guarnera Rosette Milena Josipovic La servante Mazia Zanonzini (17, 19, 22, 24) / Lorella Pieralli (18, 20, 23) Le comte Des Grieux (B) Paolo Battaglia (17, 19, 22, 24) / Alfredo Zanazzo (18, 20, 23) Le chevalier Des Grieux (T) Massimo Giordano (17, 19, 22, 24) / Jean-François Borras (18, 20, 23) Lescaut (Bar) Domenico Balzani (17, 19, 22) / Piero Guarnera (18, 20, 23, 24) Guillot de Morfontaine (T) Mario Bolognesi De Brétigny (Bar) Roberto Accurso L’hôtelier Gabriele Ribis Premier garde Stefano Osbat Deuxième garde Giuliano Di Filippo Le portier du Séminaire Leonardo Trinciarelli (17, 19, 22, 24) / Antonio Taschini (18, 20, 23) Une voix Giorgio Parpaiola (17, 19, 22, 24) / Vinicio Cecere (18, 20, 23) Un sergent Luca Battagello (17, 19, 22, 24) / Francesco Bovino (18, 20, 23) Premier joueur Giordano Massaro (17, 19, 22, 24) / Pasquale Carlo Faillaci (18, 20, 23) Deuxiéme joueur Fabio Tinalli (17, 19, 22, 24) / Andrea Buratti (18, 20, 23) ORCHESTRA CORO E CORPO DI BALLO DEL TEATRO DELL’OPERA Nuovo allestimento in coproduzione con l’Opéra di Montecarlo In lingua originale con sovratitoli in italiano Il Manon Giornale dei Grandi Eventi G uarda al contrasto interiore della protagonista, questa Manon di Massenet, che torna in scena al Teatro dell’Opera di Roma dopo 26 anni dall’ultima volta, quando andò fu proposta con la direzione di Michail Tabachnick e la regia di Alberto Fassini. Una co-produzione con l’Opéra di Monte Carlo nella quale il lavoro del compositore francese verrà presentato nella sua interezza e senza quel taglio del primo quadro del terzo atto, comunemente adottato in Italia, che però ne compromette la comprensione. Massenet, tra l’altro vincitore nel 1863 del Prix de Rome e che, dunque, soggiornò a Roma presso l’Accademia di Francia di Villa Medici, nel 1881 si innamorò subito di questa storia di passione ed illusioni tratta da un romanzo dell’Abate Antoine François Prévost pubblicato 150 anni prima, nel 1731. Con l’uso alternato di recitati e cantati, tipici dell’opéracomique, ne fece un affresco delle frivolezze del ‘700 ottenendo uno straordinario successo al debutto parigino del 17 gennaio 1884. Questa sua quarta composizione divenne così, nel giro di pochi anni, una delle opere più eseguite in Europa. 3 Le Repliche Venerdì 18 Giugno, h. 20.30 Sabato 19 Giugno, h. 18.00 Domenica 20 Giugno, h. 17.00 Martedì 22 Giugno, h. 20.30 Mercoledì 23 Giugno, h. 20.30 Giovedì 24 Giugno, h. 20.30 Il dualismo di Manon tra erotismo e misticismo L’azione si svolge in Francia nel 1721. atto I prio sogno ad occhi aperti di speranza e di amore. Un improvviso tumulto esterno fa si che des Grieux esca, ma sulla porta viene bloccato e trascinato in carrozza. Manon accetta l’offerta di Brétigny e lascia la casa. La Trama - In una locanda di Amiens due ricchi borghesi parigini, il banchiere Guillot de Morfontaine e l’appaltatore delle imposte de Brétigny ,si trovano in compagnia di tre attrici e mentre attendono il pranzo osservano l’arrivo di una diligenza. Da essa scende l’affascinante Manon, la quale, a causa del suo carattere frivolo ed estroverso, per volere della famiglia sarà educata in un convento. La donna è scortata dal cugino, la guardia reale Lescaut. Guillot, stregato dalla bellezza della ragazza ed approfittando del momentaneo allontanamento di Lescaut intento al ritiro dei bagagli, comincia a corteggiarla promettendogli una vita agiata. L’innocente fanciulla non sa come comportarsi. Lescaut tornando, prima mette in guardia la cugina dalle insidie della vita e poi raggiunge gli amici al tavolo da gioco. Ma quando il giovane e altrettanto innocente Cavaliere des Grieux rivolge la parola a Manon, se ne innamora subito ed anche nella fanciulla s’accende la scintilla dell’amore. I due fuggono verso Parigi nella carrozza di Guillot. atto II – Nell’appartamento di De Grieux a Parigi - I giovani amanti vivono insieme in condizioni modeste. Manon si sente oppressa dalla miseria. Des Grieux vuole legalizzare la loro relazione e scrive al padre per annunciargli il matrimonio con Manon. Giungono due finte guardie, Lescaut e de Brétigny. Mentre Lescaut blocca des Grieux chiedendogli le sue intenzioni nei confronti della cugina, de Brétigny dice a Manon che des Grieux verrà rapito per volere del padre al fine di mettere fine alla scandalosa relazione. A lei, dunque, non resta che fuggire subito col giovane affrontando una vita di stenti, oppure accettare una vita ricca al proprio fianco. Manon non fa alcuna promessa a de Brétigny, ma non parla neppure con des Grieux di quello che sta per accadere. Des Grieux esce per imbucare la lettera. Quando rientra dice alla ragazza di un pro- atto III – Quadro I - Nel parco parigino di Cours-Ia-Reine è in corso una festa popolare. Fra i divertiti partecipanti vi sono anche Manon e la sua cerchia: Guillot, de Brétigny e le attrici. Manon è elegantissima e briosa. Giunge il vecchio conte des Grieux che dice a de Brétigny di essere a Parigi per incontrare suo figlio ritiratosi nel seminario di Saint-Suplice dove sta per diventare sacerdote. Manon è turbata e chiede dettagli, che il vecchio des Grieux elude. Quadro II – Nel parlatorio di Saint-Suplice – I devoti lodano l’oratoria di des Grieux. Giunge il padre che vuole convincere il figlio ad abbandonare la vita monastica. Il giovane rifiuta e lo allontana. Giunge Manon, la quale, ricordandogli il passato, gli giura amore eterno. Il giovane, accecato dalla passione, decide di fuggire con lei. atto IV – Nella sala da gioco dell’ Hôtel di Transilvania – Des Grieux per soddisfare la sfrenata sete di piacere e ricchezza di Manon tenta la fortuna al gioco con Guillot de Morfontaine. Vince, ma è accusato di barare con la complicità di Manon. Il giovane è arrestato, ma giunge il Conte padre che riesce a far rilasciare il figlio, mentre Manon finisce in carcere. atto V – Quadro I – Sulla strada di Le Havre – Manon è stata condannata come prostituta alla deportazione nelle Americhe. Lescaut, dopo aver tentato di liberarla, informa des Grieux e gli rivela di aver corrotto una sentinella per farla fuggire. Quadro II – Manon, debole e sofferente, scende a fatica da un pendio collinoso per abbracciare des Grieux. Tra le sue braccia rievoca la loro dolce e tragica passione e, dopo avergli chiesto perdono, muore. Il Giornale dei Grandi Eventi Manon 5 Massimo Giordano e Jean-François Borras Annick Massis e Sylwia Krzysiek Il giovane Cavalier des Grieux, combattuto tra passione e misticismo La bella ed incontentabile Manon I soprano annick Massis (17, 19, 22 e 24) e Sylwia Krzysiek (18, 20, 23) si alterneranno nel ruolo della giovane ed avvenente protagonista Manon. annick Massis è considerata a tutt’oggi uno l ruolo del Cavalier des Grieux sarà dei tenori Massimo Giordano (17, 19, 22 e 24) e Jean-François Borras (18, 20, 23). Massimo Gior- dei buoni soprano lirici di coloratura a livello internazionale, stimadano dopo essersi diplomato in flauto presso il Conservatorio “Gi- ta per la profondità delle sue interpretazioni e per la grande versatilità. Ospite dei maggiori teatri d’Europa, è reseppe Tartini” di Trieste, si è dedicato allo studio del golarmente invitata in alcuni dei Festival più canto sotto la guida di Cecilia Fusco. Vincitore di nuprestigiosi a livello internazionale come Glynmerosi concorsi internazionali, fra le quali l“Adriano derbourne, Maggio Musicale Fiorentino, FestiBelli” di Spoleto, debuttando nella Clemenza di Tito val di Salisburgo, Rossini Opera Festival ed al (ruolo del titolo) al Teatro Lirico Sperimentale di Festival Arena di Verona. Il suo repertorio comSpoleto e nella Traviata (Alfredo) al Teatro Nuovo di prende più di sessanta ruoli di musica francese Spoleto. La rapida ed intensa carriera lo ha condotto che abbracciano un ampio periodo cronologico: sui palcoscenici di alcuni fra i maggiori teatri del da Rameau sino a Poulenc e Berlioz. Tra i ruoli mondo. Ha preso parte a importanti festival internanel suo vasto repertorio la Comtesse Adèle (Le zionali, fra i quali il Rossini Opera Festival di Pesaro, Comte Ory) e le versioni italiana e francese de Il il Festival di Salisburgo, il Santa Fe Opera Festival e Barbiere di Siviglia; Marie ne La Fille du régiment e il Glyndebourne Opera Festival. Fra i successi delle Lucia di Lammermoor, titolo quest’ultimo cantato ultime stagioni si segnalano La rondine e Tosca alla in oltre dieci produzioni. In aggiunta alla sua inDallas Opera, Romeo e Giulietta alla Pittsburgh Opera tensa attività operistica, si è cimentata anche nel e alla Lyric Opera di Chicago, Gianni Schicchi al Merepertorio concertistico e liederistico, eseguendo tropolitan, La bohème alla Bayerische Staatsoper di brani di Fauré, Poulenc, Viardot, Ravel, DebusMonaco e alla Los Angeles Opera, La traviata al Teasy, Berlioz e Strauss. Ha vinto il premio “La Siotro alla Scala, al Teatro Regio di Parma e alla Bayerila d’oro” di Cesena come miglior soprano. In sche Staatsoper di Monaco, L’elisir d’amore alla StaatFrancia è stata insignita dell’ambita onorificenza soper di Berlino, Werther alla Bayerische Staatsoper di “Cavaliere dell’Ordine delle Arti e delle Lettere” di Monaco. Recentemente ha interpretato con gran- Massimo Giordano e Sylwia Krzysiek dal Ministro della Cultura per i suoi meriti artide successo La bohème al Metropolitan Opera di New York e all’Opéra Bastille de Paris, Tosca e Carmen alla Deutsche Oper stici. Ha cantato Violetta in La Traviata per la prima volta in Italia diretta da Daniel Oren, nel gennaio 2009 le quattro eroine in Les Condi Berlino. Jean-François Borras è una delle giovani promesse canore francesi. tes d’Hoffmann di Offenbach all’Opéra de Nice. E’ tornata in primaHa iniziato a cantare all’età di otto anni come membro dei “Petits vera alla Scala di Milano nelle vesti della Contessa di Folleville per Chanteurs de Monaco”. Appena terminati gli studi con Marie-Anne Il Viaggio a Reims di Rossini, seguito da Gilda nell’opera Rigoletto ad Losco all’Accademia Musicale di Monaco, in soli due anni ha fatto i Ancona diretta da Bruno Bartoletti, per poi concludere la stagione suoi debutti all’Opera di Marsiglia, Nizza, Bordeaux, Toulon, Rouen, all’Arena di Verona ne Il barbiere di Siviglia, come Rosina per la seGraz, Mannheim ed Aachen così come all’Orange Festival. Durante la conda volta. preparazione all’Accademia Musicale di Monaco dal 2001 al 2004, ha Sylwia Krzysiek è nata in Polonia nel 1979. Si è diplomata alla debuttato come Alfredo (La Traviata), Nemorino (L´Elisir d´Amore), Scuola di Musica di Kielce e presso il Dipartimento Vocale dell’AcRoméo (Roméo et Juliette), Werther, Wilhelm (Mignon), Faust e Frick cademia di Musica di Varsavia. Ha studiato canto con il M° Grze(La Vie Parisienne) in produzioni di Gabriel Bacquier. Nel giugno 2004 gorz Bayer. Nel 2004, presso la Chopin Academy of Music, ha deha conseguito il diploma superiore in canto, continuando a lavorare buttato il ruolo di Susanna ne Le nozze di Figaro. Dal 2005 e’ solista con Michèle Command. Nello stesso anno ha partecipato ad un con- presso la Warsaw Chamber Opera dove ha interpretato i seguenti certo per giovani talenti all’Opera di Avignon. E’ vincitore del con- ruoli: Lavina ne L’oca del Cairo; Despina in Cosi fan tutte; Rosina ne corso ci canto al ”Centre Français de Promotion Lyrique” nel 2005 anno Il Barbiere di Siviglia; Roggiero in Tancredi. Ha eseguito numerosi in cui ha debuttato come Don Ottavio (Don Giovanni) con la Chamber concerti tra i quali: Erwünschtes Freudenlicht BWV 184; Lutherische Messe BWV 234; Ein feste Burg BWV 80 J.S. Bach; Litania do Marii Opera di Francia a Menton. Panny; Stabat Mater K. Szymanowski. Nel 2008 ha vinto l’8° Concorso Internazionale di canto Lirico, da Camera, Barocco Opera RiDomenico Balzani e Piero Guarnera nata, Italia. I Lescaut, cugino premuroso S aranno i baritoni Domenico Balzani ( 17, 19, 22) e Piero Guarnera (18, 20, 23 e 24) a prestare la voce al personaggio di Lescaut. Domenico Balzani, originario di Alghero, si è laureato presso l’Università degli Studi di Sassari in Scienze Politiche ed Economiche e contemporaneamente si è diplomato in Canto presso il Conservatorio di Musica di Verona con il massimo dei voti. Sotto la guida del M° Angelo Capobianco, con cui tutt’ora si perfeziona, dal 1999 ha intrapreso una brillante carriera che lo vede vincitore di numerosi concorsi tra cui il “Basiola” di Cremona, il “Tagliavini” di Deutschlandsberg (Austria), il ”Belli di Spoleto e il “Placido Domingo Operalia” di Amburgo. Nel 2002 ha inciso sotto la direzione di Riccardo Chailly il ruolo di Ping nella prima mondiale di Turandot con il finale di Luciano Berio. Ha inciso in prima assoluta la Zazà di Leoncavallo ed è di prossima pubblicazione un CD di arie da salotto con accompagnamento di accordeon e pianoforte. Nel suo repertorio figurano anche opere moderne come il Cirano de Bergerac di Marco Tutino, che lo ha visto protagonista nel difficile ruolo di Cirano nella prima rappresentazione assoluta in Francia all’Opèra di Metz. Piero Guarnera ha compiuto gli studi musicali con Maria Carbone e Maria Vittoria Romano. Nel 1984 ha vinto il concorso internazionale di Spoleto, debuttando nell’Elisir d’amore (Belcore). Nello stesso anno ha debuttato all’Opera di Roma nel Don Giovanni (Masetto) con la direzione di Peter Maag. Nel corso della sua carriera ha calcato i palcoscenici di alcuni importanti teatri italiani e internazionali, fra i quali il Teatro alla Scala, l’Opera di Roma (Iphigénie en Tauride, Malatesta in Don Pasquale, Ford in Falstaff, Miserere di Bartolucci), il San Carlo di Napoli, il Regio di Torino, il Massimo di Palermo, La Fenice di Venezia, l’Opernhaus di Zurigo e l‘Opéra de Montecarlo. Ha presto parte inoltre a numerosi festival interpretando Re Teodoro in Venezia di Paisiello al Festival di Montepulciano, la prima esecuzione assoluta in epoca moderna di Amor vuol dire sofferenza di Leonardo Leo e L’armida immaginaria di Cimarosa al Festival della Valle d’Itria di Martina Franca, Il barbiere di Siviglia (Figaro) al Festival dell’Arena di Avenches con la regia di Daniele Abbado e all’Opera Festival di Bellinzona. Pagina a cura di Francesco Piccolo – Foto di Corrado M. Falsini Manon 6 Il Giornale dei Grandi Eventi La storia dell’Opera Il frivolo spirito del Settecento nella Manon che conquistò Parigi I l 19 gennaio1884 Manon infiammò il cuore di Parigi: la platea dell’Opéra-Comique ribollì di entusiasmo. Gli applausi furono scroscianti e le richieste di bis un vero furor di popolo. Un successo strepitoso che nemmeno Massenet forse si aspettava, egli che prima d’ora mai era stato tanto osannato in Patria. Ed insieme a lui chiamato a gran voce fu il cast, tra cui la protagonista Marie Heilbronn, il baritono Emile-Aléxandre Taskin nel ruolo di Lescaut, il tenore JeanAléxandre Talazac in quello di Des Grieux; direttore Jules Danbé. Il compositore, allora quarantaduenne, era reduce dal grande consenso ottenuto al Théâtre de la Monnaie di Bruxelles, nel 1881, con Herodiade, e la sua “agenda” segnava un bel po’ di opere ancora da scrivere. Ma quali erano le ragioni di tanto successo? In primis certamente la musica, ma la gran parte del pubblico di quest’opéra-comique (così denominata sullo spartito, ad indicare l’alternanza di parti cantate e recitate) apprezzò soprattutto lo spirito, la douceur de vivre, l’evasione erotica, le accattivanti civetterie: dal palcoscenico arrivava tutta quella malizia del Settecento, il Grand Siecle, visto qui come secolo delle frivolezze, avvolto dalle sete odorose e dai merletti. Un gusto che imperava in quel momento e che l’arguto Massenet, con un’ottima strategia – diremmo oggi – di “marketing”, decise di assecondare. Ispirata ad un testo di 150 anni prima Les aventures du chevalier des Grieux et de Manon Lescaut erano state pubblicate nel 1731, come settimo e ultimo volume dei Memoires d’un homme de qualité dell’abate An- toine-François Prevost (1697 - 1763). Lo stesso Prevost ne curò poi una revisione nel 1753, intitolata Histoire du chevalier des Grieux et de Manon Lescaut. Romanzo in parte autobiografico, ripreso da molti altri musicisti: Halevy per un balletto del 1830 e Auber per mia incertezza era totale, vedevo davanti a me il vuoto, il niente, quando il titolo di un libro mi colpì come una rivelazione. Manon!». Da lì ebbe inizio anche la stesura del libretto da parte dello stesso Meilhac, che, comunque, accolse con entusiasmo il “capriccio” del composi- dell’anno successivo, il 1882, ebbe testa solo per lei. Tanto che, secondo quanto riportato nello scritto biografico di Paul Bossand-Massenet, nipote del musicista, nell’agosto dello stesso anno Massenet andò all’Aia e volle alloggiare all’Hotel du vieux Doelen, in quel- La facciata dell’Opéra-Comique di Parigi un’opéra-comique del 1856; per non citare naturalmente Giacomo Puccini e la sua Manon Lescaut del 1893. La fonte non era particolarmente pregiata dal punto di vista letterario, ma antesignana certo di un genere quello psicologico-moralistico - assai gradito nell’Ottocento francese. Di Manon si trova traccia nei Souvenirs, le memorie dell’ormai anziano Massenet, in cui però fioriscono inesattezze, probabilmente dovute ad inganni di memoria. Pare che il musicista, nel 1881, avesse ricevuto l’incarico dal direttore dell’OpéraComique Carvalho di musicare un’opera in tre atti, Phoebé, di Henri Meilhac; testo che però non lo entusiasmava affatto, tanto da gettarlo in uno stato di grande agitazione, incapace com’era di accingersi al lavoro. «Un leone in gabbia non avrebbe sofferto di più. La tore. Anzi, lo invitò a pranzo e sotto il tovagliolo «vi trovai cosa? I primi due atti di Manon!» Se il vecchio Massenet riportò all’estate di quell’anno l’episodio e l’inizio del suo lavoro sull’opera, gli studi biografici sono ormai propensi a spostare le prime tracce dello spartito qualche mese più avanti, in autunno, quando a Bruxelles si svolgevano le prove di Herodiade. Lavoro intenso, che gradualmente oscurò anche Montalte, l’opera incentrata sul Cardinale Montalto – come veniva chiamato dal nome del suo paese natale Alessandro Peretti, futuro papa Sisto V - cui Massenet lavorava contemporaneamente. Ma pian piano la figura della femme fatal, protagonista dell’opera Manon acquistò spessore, fino ad occupare interamente la mente del compositore, che da gennaio o febbraio la che era la casa antica dell’abate Prévost durante gli anni di esilio e dove – pare - una certa qual suggestione lo aiutò ad entrare ancor più nel soggetto. Che il fatto sia vero o no – non lo riporta Fedele D’Amico nel suo saggio “Manon, amore assoluto” - è sicuro però che l’orchestrazione terminò entro la metà del 1883. Dando uno sguardo al libretto, il quale risulta piuttosto fedele all’originale, salvo il taglio degli avvenimenti in Louisiana, che invece ritroviamo nell’ultima scena dell’opera di Puccini: Meilhac che firmerà il lavoro con Philippe Gille – spogliò il testo di Prevost dalla veste metafisica per donargli panni più carnali, indugiando sulla gioia e sulle sofferenze d’amore e creando una base letteraria perfettamente consona alla musica: la nuova Manon irretisce nelle maglie di una sensualità spietata ed è emblema di quelle aspirazioni “proibite” che popolavano i sogni delle donne francesi di provincia: la sete di ricchezza, di lusso sfrenato, di piacere e di emancipazione sessuale. E’ lei che assume su di sé tutti gli aspetti negativi, mentre Des Grieux – che nel romanzo originale possiede un aspro cinismo - viene moralizzato, seguendo un perbenismo imposto dalle “leggi” in uso. Celebrata l’unione tra testo e spartito, si trattava ora di trovare gli interpreti, soprattutto per il ruolo principale: Massenet scrivendo la parte di Manon non aveva pensato a nessuna cantante in particolare, ma nella sua testa aveva un’immagine ideale, quella di una fioraia di Boulevard des Capucines notata per caso: «Il suo ricordo mi accompagnava ovunque, la vedevo ininterrottamente davanti a me durante la composizione». Sul piano pratico, il compositore scelse infine la Heilbronn, che, dopo una pausa di tre anni, aveva appena ripreso a calcare le scene; grazie all’editore Hartmann, Massenet fece ascoltare Manon alla cantante, e lei ne rimase talmente estasiata e commossa, che già il giorno successivo il contratto con l’OpéraComique era firmato. Le prove cominciarono a settembre, fino alle tre “generali” a porte chiuse dell’inizio del 1884. In Italia l’opera arrivò il 19 ottobre 1893 al Teatro Carcano di Milano, lo stesso anno della prima assoluta dell’omonima opera pucciniana. Sonzogno (ormai subentrato a Ricordi nella rappresentanza di Massenet in Italia) ne affidò la messa in scena a Ruggero Leoncavallo; tra gli interpreti Lison Francio e Edoardo Castellano, sul podio Rodolfo Ferrari. Barbara Catellani Il Manon Giornale dei Grandi Eventi 7 Analisi musicale Manon alla ricerca del lirismo perduto «I suoi colleghi non gli perdonarono quella capacità di piacere che è propriamente un dono.... Un tale successo fece sì che per un certo periodo andasse di moda copiare le manie melodiche di Massenet, poi improvvisamente gli stessi che lo avevano così tranquillamente saccheggiato lo trattarono duramente. Gli si rimproverava di avere troppa simpatia per Mascagni e non abbastanza adorazione per Wagner... confesso di non capire perché sia preferibile piacere ad anziane wagneriane cosmopolite piuttosto che a giovani donne profumate, benché mediocri pianiste...». Il passo, tratto dal “Signor Croche antidilettante” di Debussy, pur con l’ironia propria dell’autore, coglie lucidamente quello che fu il destino di Jules Massenet, all’epoca certamente uno dei compositori più amati e nello stesso tempo più discussi del teatro francese. Un itinerario articolato il suo, contrassegnato tuttavia, almeno nelle sue prove migliori, da una straordinaria raffinatezza melodica e armonica in una visione drammaturgica di notevole efficacia emotiva. Qualità che emergono appieno in Manon uno dei capolavori indiscussi del teatro di fine Ottocento. Con un esemplare lavoro di sforbiciatura sul romanzo dell’abate Prevost, librettista Henry il Meilhac (autore, con Halevy, di molti testi per Offenbach oltre che di Carmen per Bizet) coadiuvato da Philippe Gille, sfrondò le situazioni, semplificò la vicenda, puntò essenzialmente sul carattere di Manon, questa «creatura - come ha scritto Fedele D’Amico in un suo saggio sull’opera - nella quale l’amore non riesce a nascere se non per fiorire in affermazione egoistica del proprio esplosivo trionfo, che strangola, dunque, l’amore salvo a vederselo poi dialetticamente rinascere dalle sue ceneri; questa donna a cui l’esaltazione fra le braccia del suo cavaliere provoca principalmente un incoercibile bisogno di gioielli e di carrozze da soddisfare altrove». Il lavoro è nella forma dell’opéracomique, dunque nella struttura tipicamente francese che prevedeva parti musicali e parti recitate in prosa. In Manon le parti recitate sono sostenute dall’orchestra secondo la forma del melologo (testo letterario con accompagnamento musicale che lo commenta), il che conferisce una compattezza musicale maggiore alla partitura. Il terzo atto, snodo dell’opera L’opera è in cinque atti e sei quadri. Colpisce immediatamente il gioco dei contrasti nel passaggio da una scena alla successiva: così alla leggerezza e alla giocondità del primo atto (L’hotellerie d’Amiens) si contrappone il lirismo e la malinconia del secondo (L’appartamento di Des Grieux e Manon); alla volgare vacuità del quarto (l’Hotel de Transylvaine) si oppone il drammatico ultimo atto con la morte di Manon stremata. Il ter- zo atto, diviso in due parti fa da perno a tutta l’opera: la prima scena (Le cours – La reine) è la celebrazione della bella vita sognata e per un certo tempo “vissuta” da Manon; la seconda (Il seminario di S.Sulpice) è imbevuta di spiritualità e di passione sincera. E’ un peccato che spesso l’opera venga presentata nella versione in quattro atti con il taglio della prima scena del terzo che oltre a proporre pagine musicali coinvolgenti svolge un ruolo drammaturgico importante, proprio ai fini della definizione psicologica dei personaggi e delle situazioni. Sul piano musicale, sin dal primo atto risulta evidente l’intenzione di Massenet di mescolare le carte, reinventando un Settecento di pizzi e merletti (i riferimenti al Minuetto, l’impalpabilità di certi passi orchestrali), ma con slanci emotivi passionali di sapore romantico. Da buon wagneriano, il musicista non rinuncia a leit-motiv, temi cioè che ricorrono nell’arco della composizione come fili conduttori della memoria. Si pensi alla melodia ampia e fluente che accompagna Des Grieux, uno dei temi più belli e cantabili in una partitura che tuttavia abbonda di pagine memorabili: basta ricordare l’aria di Manon nel primo atto, la sua emozione per il primo viaggio della vita; oppure i suoi sospiri, sempre nel primo atto, nell’immaginare una vita diversa da quella che l’aspetta. Massenet riesce con genialità a dipingere la ragazza estrosa, brillante, assetata di felicità e di ricchezza in maniera spudorata, ma talmente genuina da apparirci comunque affascinante, perché finiamo con il guardarla con gli occhi di Des Grieux, perdendo anche noi come lui la necessaria lucidità critica. Così, poco più avanti, nel suo dialogo con Des Grieux, quando dice «Non sono cattiva… ma spesso in famiglia mi accusano d’amare troppo il piacere», Manon ci commuove. Da raffinato musicista francese, Massenet riesce a cogliere le sfumature dei caratteri e del diverso modo di amare. Si prenda il secondo atto: al melodismo appassionato e strabocchevole di Des Grieux tutto preso dalla sua Manon, si oppone un lirismo più calcolato, talvolta nostalgico della ragazza che ama, ma nello stesso tempo, vede in Des Grieux l’ostacolo verso la vera felicità fatta di ricchezza e agiatezza. E’, la parte di Manon, ricchissima di sfumature a sottolineare i continui rimorsi e tentennamenti della ragazza in lotta con se stessa: significativa in questo senso la scena nel Parlatorio del Seminario dove il suo arrivo si mescola con il Magnificat in un’atmosfera notevolmente suggestiva. In molte opere incentrate sulla passione amorosa di una coppia, l’autore punta tutte le carte su un personaggio, facendo dell’altro una controfigura (si pensi a Violetta e Alfredo). Qui Manon e Des Grieux sono le due facce contrapposte e integrate dell’amore e se Des Grieux non può vivere senza la sua Manon, neppure la ragazza sarebbe “compiuta” senza l’amore autentico, vero e profondo del suo cavaliere. In rapporto a loro, gli altri sono mezzi caratteri, funzionali tuttavia alla storia, dalle vacue amiche di Manon, al cugino Lescaut, affarista con pochi scrupoli, ai perfidi Guillot e Bretigny. Un’umanità rozza, triviale, rispetto alla quale l’amore dei due giovani appare ancora più bello e Des Grieux, irretito, costretto al gioco delle carte per regalare ricchezza alla sua amante, ancora più puro e buono: figura molto diversa da quella di Prevost, cinica e disinvolta quanto la sua Manon. Una Manon cui Massenet concede di morire a Le Havre, risparmiandole il deserto americano in cui la relegano Prevost e Puccini: Manon si spegne fra le braccia di Des Grieux, muore sapendo di dover espiare le sue colpe, come tante eroine romantiche e chiude la sua esistenza terrena con una frase da ragazzina semplice che solo per un attimo si era illusa d’essere regina: «E questa è la storia di Manon Lescaut». Roberto Iovino Manon 8 Il Giornale dei Grandi Eventi Quando Massenet conobbe a Roma la sua f Gli incontri di Liszt con Ingres e Mass C on la circonlocuzione «violon d’lngres» è consuetudine indicare ancor più che attività in margine a quella principale svolta da una persona, i veri e propri “hobbies”. Un brillante nostro scrittore, Lucio d’Ambra, a torto dimenticato anche dal suo editore Mondadori, dedicò uno dei suoi primi articoli nel Corriere della Sera ai «violon d’Ingres» dell’Accademia d’Italia ricordando lo scultore Pietro Canonica, il cui “violon” era la musica e una sua opera fu data con successo al Teatro dell’Opera; il fisico Giovanni Giorgi, il cui “violon” erano le collezioni di cartoline illustrate e di conchiglie marine; il sommo ellenista Ettore Romagnoli il cui “violon” era proprio il violino! Ma il “violon” d’Ingres è stato circondato da un’aura di leggenda. L’illustre pittore francese e direttore dal 1835 al 1841 della Academie de France poté godersi da Villa Medici l’aria balsamica del Pincio, lo spettacolo dell’Urbe che il suo spirito religioso sembra tutto affidare all’ardita e maestosa cupola michelangiolesca del massimo tempio della cristianità. In quegli anni il violino fu per Ingres qualcosa di più di un “hobby”: fu una vera passione coltiva- ta, insieme con la pittura, con lo stesso amore e con lo stesso impegno anche se con un pudore che vietò larga e meritata fama. A togliere il velo di leggenda alla vocazione musicale del “Signor Ingres”, come lo chiamavano gli allievi e i modelli, sta l’autorità di Franz Liszt al quale si possono rimproverare le molte avventure galanti ma non certo negarglisi una sensibilità e un gusto musicali squisiti e una facoltà di giudizio che non lascia dubbi o sospetti sulla sua sincerità. Ecco che cosa il futuro suocero di Riccardo Wagner scriveva nel settembre del 1839 –quando Ingres allora sessantenne era a Roma direttore dell’ Academie de France - nella Revue musicale di Parigi: «Il signor Ingres mi ammise a Roma in una intimità del cui ricordo sono ancora fiero. I1 grande artista, per il quale l’antichità non ha segreti e che Apelle avrebbe chiamato fratello, è eccellente musicista come è pittore insigne. Mozart, Beethoven, Haydn gli parlano la stessa lingua che Fidia e Raffaello. Egli coglie il bello dovunque lo scorge e il suo culto ardente dinamizza e accresce il suo genio. Un giorno, che non dimenticherò mai, visitammo insieme i musei vaticani. La sua parola infiammata dava Jean-Auguste-Dominique Ingres “Villa Medici”, Roma una nuova vita a tutti i capolavori esposti. La sua eloquenza ci trasportava nei secoli passati. La sera, quando rientrammo, dopo esserci assisi sotto i secolari lecci di Villa Medici ed aver lungamente parlato a cuore aperto delle bellezze della natura, io lo trascinai verso il pianoforte e facendogli dolce violenza: Andiamo, maestro, gli dissi, non dimentichiamo la nostra cara musica: il violino vi attende, la sonata in “ la “ minore si annoia sul leggio: cominciamo... Oh se lo aveste udito allora! Con quale religiosa fedeltà egli rende il pensiero di Beethoven! Con quale fermezza piena di dolcezza egli muove l’archetto! Che’ purezza di stile, che verità nei sentimenti! Malgrado il rispetto che egli m’ispira io non posso fare a meno di gettarmi al suo collo; ed io fui felice di sentire che egli mi serrava al suo petto con una tenerezza paterna... ». Ingres, dunque, possedeva un violino che suonava magistralmente ed egli avrebbe ‘Potuto! acquistare, grazie ad esso, la gloria che preferì chiedere al pennello. Così il “violon d’Ingres” non è un mito. E per questo sarebbe meglio, per rispetto alle grandi cose di non dare il nome di “violon d’Ingres” a tutti i piccoli passatempi delle ore libere! Dominique Ingres aveva un vero culto per quattro sommi musicisti : Mozart, Haydn, Beethoven e Gluck. Egli non ammetteva la minima critica verso questi suoi Dei ! In occasione di un grande ricevimento a Villa Medici fu presentato a Ingres il giovane Console di Francia a Civitavecchia, Henri Beyle, che non aveva ancora al suo attivo la fama di “Stendhal”. Simpatizzarono e vennero a parlare di musica. Beyle commise l’errore di dire: «Non vi è canto in Beethoven!» Ingres immediatamente gli voltò le spalle e la sera riaccompagnando gl’invitati, sussurrò all’orecchio del portiere indicandogli Beyle : «Tenete presente che io non ci sarò mai per quel si- gnore là!». E Beyle dovette chiedersi perché mai il signor Ingres era sempre assente da Villa Medici ogni volta che capitando a Roma, egli si faceva premura di recarsi alI’ Academie per salutarlo! motivi di originalissimi ed acuti raffronti tra la scultura e l’architettura e le creazioni musicali. Ma la grande fiammata già accennava ad illanguidirsi: Franz Liszt non è per l’amore eterno. A Louis de Jean-Auguste-Dominique Ingres (1780, Montauban - 1867, Paris), "Autoritratto all'età di 24 anni" Al tempo dell’incontro con Dominique Ingres, Franz Liszt aveva ventotto anni. Nell’inverno del 1832-33 egli aveva conosciuto a Parigi la contessa Adèle de Laprunarède: la loro breve avventura si svolse in un castello in mezzo alle Alpi. Ma sul finire della primavera ecco il “coup de foudre”: la contessa Maria d’ Agoult. Durò due anni la lotta che Maria sostenne trai suoi obblighi coniugali e l’amore: vinse questo e Franz e Maria lasciarono Parigi per la Svizzera ed il loro idillio ebbe per cornice il Lago di Walenstadt. Riandando a quel tempo un giorno Maria ricorderà il mormorio delle acque, il fiotto del colpo del remo della barca e le musiche sgorgate dal cuore di Liszt. Nel 1839 Liszt e la d’ Agoult arrivarono a Roma e si stabilirono in via della Purificazione dove resterarono circa un anno. Immensa è l’impressione che su Liszt esercitarono i monumenti, le opere d’arte adunate nei musei e nelle gallerie: tutto gli suscitava Ronchaud che un giorno, durante una discussione, aveva preso le difese di Marja affermando che la donna è l’ispiratrice dell’uomo e adduceva l’esempio di Dante e Beatrice, Liszt rispose che erano i Dante a fare le Beatrice e che quelle vere morivano a diciotto anni ! Sul finir di quell’anno Liszt riprese la sua vita errabonda e ricevette accoglienze trionfali a Londra, ad Amburgo, a Francoforte, a Bonn. A Berlino nel 1842 conobbee la grande attrice Charlotte de Hagn e se ne innamorò, ma subito dopo non restò insensibile al fascino di Bettina von Arnim che aveva portato il suo sorriso nella vita di Goethe e di Beethoven. Ed al carro delle conquiste aggiunse anche una bellezza famosa per i suoi amori regali: Lola Montès. È la goccia che fece traboccare il vaso e decidere Maria d’Agoult a riprendere la sua libertà per essere riaccolta in seno alla società aristocratica parigina iniziando la sua attività di scrittrice con lo pseudoni- Il Manon Giornale dei Grandi Eventi 9 utura moglie senet nella Città Eterna mo di Daniel Stern. Aveva ormai trentasei anni Liszt quando, nella sua vita entrò Jeanne Elisabeth Carolyne Iwanowska, principessa Nicolas de Sayn-Wittgenstein, di otto anni più giovane di lui, non bella, ma intelligente, colta, dinamica. Liszt sentiva che il fascino della dama era benefico e fecondo per la sua arte e pensò di sposarsi. Ma le pratiche per il divorzio chiesto dalla principessa andarono per le lunghe e non si conclusero che tredici anni dopo. I due non ottennero, però, la ratifica da parte del vescovo di Fulda. Per la decisione si fa ricorso a Roma e tutto sembrava appianato. Fu fissato anche il giorno delle nozze quando nella notte della vigilia, che Franz e Carolyne stanno trascorrendo in preghiera, arrivò un messo speciale di Pio, IX il quale desiderava riesaminare l’incartamento essendosi presentati dei dubbi procedurali. Fu la pioggia che spense il fuoco! I mancati sposi videro nell’intervento papale la mano di Dio. La principessa riprese a scrivere le sue opere di carattere filosofico-religioso e Liszt a comporre la Ugende de Sainte Elisabeth. Ma Liszt frequenterà sempre il salotto della principessa ove convenivano, Monsignor Hohenloe - poi insignito della porpora - la moglie di Marco Minghetti, la intellettuale donna Laura, il duca di Sermoneta, padre di donna Ersilia che fu legata da affettuosa amicizia a Giosuè Carducci il quale la chiamava «gentile vinattiera» perché essa lo riforniva del vino delle sue vigne di Prisciano, Giovanni Sgambati che schiuse le vie del successo a Francesco Paolo Tosti facendolo partecipare ad un concerto diretto da Franz Liszt, il cardinale Luciano Bonaparte, oltre ad artisti e scrittori. Il 25 aprile del 1865 Franz Liszt, per iniziativa di Pio IX che molto lo stimava e che era andato anche a fargli visita nel chiostro della Madonna del Rosario, dove si era ritirato, ascoltando musiche suonate sull’armonium, riceveva gli Ordini minori. Rossini, avutane notizia, col suo consueto spirito aveva commentato: «Dunque Liszt componeva delle Messe per abituarsi a dirle!». Jules Massenet nel 1912 L’incontro di Massenet con la futura moglie Fu proprio nel salotto della principessa che, nel Santo Stefano del 1864, Massenet avvicinò la sua futura moglie. Al suo arrivo nell’Urbe come vinci- Mostra a Villa Medici dal 20 giugno Ingres e Kelly: un confronto al di fuori del paragone L’ intenzione non è quella di mettere a confronto due stili o due generi formali, bensì di comprendere quali siano le relazioni che hanno legato due pittori vissuti a distanza di un secolo e mezzo esponenti di punta uno della pittura neoclassica e l’altro dell’astrattismo. Dal 20 giugno al 26 settembre 2010, l’Accademia di Francia a Roma presenta una mostra che vedrà riuniti due grandi artisti della storia dell’arte, l’americano Ellsworth Kelly (1923) dagli anni ’40 tra i più attivi della scena contemporanea e Jean-Auguste-Dominique Ingres (1780-1867) che ha dominato la storia della pittura francese per buona parte del Jean-Auguste-Dominique Ingres, Ritratto di Jean Baptiste Desdéban, circa 1810 secolo XIX segnando profondamente la generazione impressionista (Renoir, Degas) ed influenzando direttamente l’opera di Matisse e quella di Picasso. Ingres è stato borsista a Villa Medici dal 1806 al 1810, prima che ne fosse eletto direttore, dal 1835 al 1841. La mostra espone lavori recenti ed inediti di Ellsworth Kelly, come anche una selezione di suoi disegni di piante e figure (8 oli e 28 disegni), affiancati a dipinti e disegni di Ingres (4 oli e 32 disegni), frutto di una selezione dell’artista americano e provenienti dalle collezioni del Museo Ingres di Montauban, del Louvre, del Besançon e del Museo di Lyon. Il percorso si articola non tanto come un confronto diretto quanto come una disposizione che favorisca l’arricchirsi dello sguardo. Nella prima sala saranno esposti tre ritratti di Ingres, tra i quali il Ritratto di Jean-Baptiste Desdéban (1810, Museo di Besançon), dipinto proprio a Villa Medici, cui sarà confrontata una tela di Ellsworth Kelly del 2009: Blue Curves. Nelle tre sale successive sarà la serie più recente dell’artista americano: sei rilievi monumentali la cui composizione quasi identica varia a seconda dei colori (la serie Curves). Il seguito del percorso sarà articolato attorno a disegni di entrambi gli artisti, per raggruppamenti distinti. In tal modo, si invita lo sguardo e lo spirito dello spettatore a confrontarsi ripetutamente ora con l’uno ora con l’altro, senza che vi sia un paragone diretto ma in modo tale che la memoria dell’uno permei ancora lo sguardo che si porta sull’altro, e viceversa. Jean-auguste-Dominique Ingres / Ellsworth Kelly accademia di Francia – Villa Medici – Via Trinità dei Monti, 1 – Roma Da martedì 20 giugno a domenica 26 settembre 2010 Fr. Pic. Ellsworth Kelly, Blue Curves, 2009 tore del Prix de Rome, i colleghi dell’Academie gli avevano detto che se voleva avere un’idea del palpito e del colore di Roma doveva andare alla Messa di mezzanotte alI’Aracoeli. E Massenet vi andò. Splendeva nel cielo terso il plenilunio. Lungo la scalinata egli ebbe modo, di notare una bellissima giovane dal cui comportamento e dalla cui grazia restò affascinato. Al sommo della scalinata la giovane si fermò e Massenet vide che essa attendeva una signora che saliva più lentamente: forse la madre, forse una governante. Tornato a Villa Medici, Massenet si chiese come avrebbe potuto rintracciare nel mare magnum della Città Eterna quella deliziosa creatura. E invece nel ricevimento offerto nel giorno di Santo Stefano dalla principessa Carolyne al quale essa, per tradizione, invitava i Prix de Rome, Massenet ritrovò la sua Dulcinèa! E trovò anche Liszt, il quale appena presentatogli s’interessò benevolmente di lui; e poiché la madre della bella sconosciuta gli aveva chiesto un precettore musicale per la figlia, Liszt propose senz’altro Massenet. La musica non fece molta strada per l’allieva, ma nel cuore dei due giovani molta ne fece l’amore. E Massenet, terminato il quadriennio e tornato a Parigi, realizzò sull’altare il romano sogno d’amore! Raffaello Biordi 10 Manon Il Giornale dei Grandi Eventi L’ambientazione della 2° scena del III atto Saint-Suplice, seminario simbolo del clero francese N el terzo atto dell’opera il Cavaliere De Grieux per dimenticare la bella Manon si rifugia, con la ferma intenzione di dedicarsi al sacerdozio, nel monastero di Saint-Suplice, monastero di quella che è la più grande chiesa di Parigi dopo la Cattedrale di Notre Dame. La Compagnia dei Sacerdoti di Saint-Suplice In seguito al Concilio di Trento voluto da San Pio V, durante il quale vennero presi nuovi provvedimenti disciplinari allo scopo di risolvere il problema dell’ignoranza e dell’impreparazione dei religiosi, il sacerdote Jean-Jacques Olier, allora parroco di Saint-Suplice, turbato dallo stato di prostrazione morale ed intellettuale in cui era caduto il clero francese, comprese che gli scopi delle missioni non potevano essere assicurati se non sulla base di una solida formazione culturale e spirituale. Pensò, quindi di dedicarsi alla formazione dei candidati al sacerdozio e si prodigò per l’applicazione del credo tridentino Cum adulescentium aetas, attraverso la fondazione nel 1642, insieme a due compagni, di un seminario chiamato “Compagnia dei Sacerdoti di Saint-Suplice”. Con le sue quattro comunità di novizi, la congregazione divenne presto la matrice ed il vivaio del clero francese post conciliare. Olier intese il seminario come una Domus Apostolica, nella quale tutto era orientato a riprodurre lo spirito del «Santo Collegio degli Apostoli», dedito esclusivamente alla diffusione nel mondo della religione cristiana. Ben presto i “signori” di Saint-Suplice vennero richiesti dai vescovi delle diocesi di tutta la Francia per assumere la direzione dei rispettivi semina- ri. All’interno della coquello definito dai lavori munità di Saint-Suplice iniziati il 20 febbraio si formarono molti figli 1646, quando la regina di aristocratici destinati Anna d’Austria pose la a costituire gran parte prima pietra del nuovo dell’alta gerarchia eccleedificio. Sarebbero ocsiastica francese. Alla corsi però ben 134 anni e morte del fondatore, avla collaborazione di sei venuta nel 1657, Alexandiversi architetti prima dre Le Ragois de Bretondi concludere i lavori. villiers, successore di Un processo lungo e laOlier nella guida della borioso, durante il quale Parrocchia, redasse una non mancarono tempi costituzione per i suoi sacerdoti, approvata dal Re di Francia nel 1713. In essa i “sulpiziani” vennero riconosciuti come compagnia di «sacerdoti secolari donati a Nostro Signore per servire il suo clero»; essi non pronunciavano voti, ma solo la promessa solenne di perseverare nell’istituto e di non accettare benefici ecclesiastici. Oggi la Compagnia, approvata definitivamente La facciata della chiesa di Saint-Suplice dalla Santa Sede nel 1931, opera ancora nelmorti per delle difficoltà l’attività per cui fu costifinanziarie, che culminatuita, essendo, nel fratrono tra il 1678 e il 1718, tempo, divenuta una Socon la momentanea cietà clericale di diritto chiusura del cantiere. apostolico riconosciuta e presente in molti Paesi, La facciata come il Canada, il Sud America, gli Stati Uniti Nel 1732, al momento di d’America, l’Africa Cenristrutturare la facciata, trale e il Sud-est asiatico. venne indetto un concorso per cambiare lo stile La Chiesa greco-romano originario. Lo vinse Giovanni Saint-Sulpice è situata nel Niccolò Servandoni con VI arrondissement, sulla un progetto ispirato alrive gauche. E’ dedicata a l’antichità classica, che San Sulpizio, vescovo creò un notevole contrafranco e capo della Diosto tra questa parte della cesi di Brouges, vissuto chiesa e il resto dell’edinel VII sec. La struttura ficio. Egli optò per un fu progettata dagli archidoppio colonnato ionico tetti Christophe Gamard, in stile neoclassico, noLouis Le Vau e Daniel Gitnostante la presenza deltard, che decisero di erila due torri laterali più gere un edificio sacro aderenti, invece, ad un dallo stile austero sul modello gotico. Negli luogo in cui sorgeva una anni successivi vennero chiesa più antica risaleneffettuate diverse modite al XIII sec., dipendenfiche, il cui risultato finate dalla vicina abbazia le differì in parte dal St-Germain-des-Prés, afprogetto di Servandoni. finché servisse da parLa torre sud, risalente al rocchia ai contadini che 1749 opera dell’architetabitavano quelle terre. to Maclaurin non fu portata a termine, mentre Più volte rimaneggiata, nel 1777 l’architetto Chalil suo impianto attuale è grin si occupò della realizzazione della torre nord e del restauro della facciata, cui apportò ulteriori cambiamenti. Il frontone monumentale, tra l’altro, vene eliminato, i lucernari rinascimentali, destinati a coprire i campanili, furono sostituiti da balaustrate. Le torri restarono asimmetriche e non si integrano perfettamente: quella sud è, infatti, più alta ed ornata rispetto all’altra, rimasta incompiuta. Importante è l’interno della chiesa con i suoi 110 metri di lunghezza, 56 di larghezza e 33 di altezza, adornato con opere di artisti francesi famosi come le acquasantiere di Jean Baptiste Pigalle e due affreschi di Eugène Delacroix nella Chapelle des Anges raffiguranti “Giacobbe che lotta con l’angelo” ed “Eliodoro scacciato dal tempio”. L’organo Sopra l’ingresso, dietro un buffet Louis XVI, troneggia il magnifico organo a canne distribuito su sette piani, costruito da François Henri Clicquot tra il 1776 e il 1781, su progetto di Jean François Chalgrin, notevolmente ampliato e messo a punto nel meccanismo da Aristide Cavaillé Coll nel secolo successivo. L’altezza, dal piano della cantoria alla volta, raggiunge i 18 metri. Il meccanismo occupa quattro L’organo di Saint-Suplice piani, mentre le canne gli altri tre. Inaugurato il 29 aprile 1863, questo strumento, per le sue straordinarie caratteristiche, è stato utilizzato per nuregistrazioni merose musicali ed ancora oggi è possibile apprezzarne le armonie che scaturiscono dalle 6.700 canne di cui è composto. La meridiana citata nel “Codice da Vinci” Su richiesta del curato, nel XVIII secolo sulla parte nord del transetto venne collocata una meridiana con lo gnomone a forma di obelisco, dal quale parte una barra d’ottone di rilevamento che percorre tutta la navata centrale della chiesa. Questo strumento di misurazione astronomica aveva lo scopo di stabilire con precisione la data di Pasqua coincidente con l’equinozio di primavera, osservando il punto toccato dai raggi del sole sulla linea metallica nel pavimento. I raggi vengono indirizzati direttamente da una lente posta nella vetrata del transetto sud dell’edificio, quando il sole è allo zenit. La meridiana, insieme alla chiesa, è anche citata nel romanzo di Dan Brown, “Il Codice da Vinci”, che erroneamente fa passare il meridiano di Parigi attraverso lo gnomone ad l’obelisco. In realtà il vero antico meridiano zero (o meridiano di Parigi) si trova a cento metri ad est della chiesa e passa per l’Osservatorio di Parigi lì collocato dal 1718. Livio Magnarapa Il Manon Giornale dei Grandi Eventi 11 Schiacciato tra i due grandi musicisti europei Massenet fra Verdi e Wagner «I suoi colleghi non gli perdonarono quella capacità di piacere che è propriamente un dono.... Un tale successo fece sì che per un certo periodo andasse di moda copiare le manie melodiche di Massenet, poi improvvisamente gli stessi che lo avevano così tranquillamente saccheggiato lo trattarono duramente». Il passo, tratto dal “Signor Croche antidilettante” vecento, nella Francia di Debussy. Ha saputo destreggiarsi fra i due grandi colossi del teatro europeo dai quali era pressoché impossibile prescindere, Wagner e Verdi. Conobbe entrambi ed entrambi lasciarono su di lui una forte impressione. L’incontro con Wagner Al 1861 risale l’incontro fra il giovane musicista Verdi, Wagner e Massenet in una litografia caricaturale di Debussy, coglie lucidamente quello che fu il destino di Jules Massenet, all’epoca certamente uno dei compositori più amati e nello stesso tempo più discussi del teatro francese. Una cinquantina di lavori teatrali fra opere, operette, oratori e musiche di scena, un’ampia produzione di musica sinfonica, cameristica e vocale, Massenet è stato fra i grandi protagonisti della cultura francese del secondo Ottocento. Ha contribuito ad “europeizzare” il teatro del suo Paese che proprio in quegli anni invase i palcoscenici italiani facendo una concorrenza spietata ai nostri musicisti. Ha mosso i primi passi come successore di Gounod e ha chiuso la carriera, nei primi anni del No- francese e Wagner: «Abitavo in una piccola camera accanto alla sua nel castello di Plessis-Trevise del celebre tenore Gustave Roger», ha raccontato nelle sue “Memorie”. «Roger conosceva il tedesco e si era candidato a curare la traduzione francese del “Tannhäuser”. Richard Wagner lo aveva raggiunto per curare l’accordo fra le parole francesi e la musica. Ricordo ancora la sua possente interpretazione quando suonava al piano i frammenti del suo capolavoro...». Massenet fu conquistato dalla personalità del tedesco e certamente alcune soluzioni armoniche da lui adottate derivarono da Wagner: «Sotto l’influenza di Wagner – ha scritto Gérard Condé analizzando l’opera Cleopatra - Massenet aveva più o meno del tutto bandito le cadenze perfette a partire da “Werther”, preferendo loro il più spesso possibile cadenze interrotte che respingono inopinatamente la musica in una direzione nuova nel momento in cui si crede che essa stia per fermarsi». La sottile invidia di Verdi Nel 1879 Le roi de Lahore raggiunse la Scala. Recatosi a Mila-no, il musicista francese fu oggetto di calorosi festeggiamenti che l’austero Ver-di stigmatizzò in una lettera da Genova alla Con-tessa Massenet in un disegno Maffei: «...tutto questo moestrema affabilità. La Massenet e Verdi si invimento, questo fracasso per conversazione si protrascontrarono qualche anno un’opera, tutte queste lodi o se per una trentina di midopo, nel novembre adulazioni, mi fanno ripennuti e lasciò una profon1894, quando l’artista sare al passato (si sa che i da impressione sull’arfrancese, nuovamente in vecchi lodano sempre i loro tista francese: «Passai in Italia, passò da Genova e tempi) quando Noi senza résua compagnia alcuni rese omaggio al suo più clame, senza qua-si conosceistanti di un fascino indevecchio collega a Palazre persona presentavamo il finibile, parlando con la zo del Principe. nostro muso al pubblico e se Dopo aver attraversato più deliziosa semplicità ci applaudiva si diceva o una vasta anticamera e nella sua camera, poi sulla non si diceva “grazie”. Se ci un salone affacciato su terrazza da dove si domifischiava: “Arrivederci un’ampia terrazza, Masnava il porto di Genova e un’altra volta”. Non so se senet entrò nello studio il mare. Ebbi l’illusione questo era più bello, ma era di Verdi che sedeva al che fosse lui stesso un Docertamente più degno...». suo tavolo di lavoro. ria che mi mostrasse con Erano, del resto, quegli L’anziano compositore di orgoglio la sua flotta vittoanni, contrassegnati da Busseto si alzò, gli andò riosa». un particolare interesse incontro e lo trattò con Francesca oranges da parte dei nostri teatri e del nostro pubblico per la produzione d’oltralpe. A ciò non erano estranei il silenzio cui si era condannato proprio Verdi dopo Aida e il disagio con cui si muovevano i giovani autori italiani, schiacciati dal mito di Wagner, preoccupati dalla concorrenza francese, culturalmente chiusi fra un romanticismo al tramonto, una scapigliatura vitale solo nella critica “in negativo” e un verismo ancora all’orizzonte. Incontro di Massenet con Siegfried Wagner, figlio del compositore Richard Il francobollo che cercavi adesso è di casa. 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Gli anni dell’adolescenza furono tormentati da un’insofferenza alla disciplina familiare e dai disagi economici e che costrinsero il giovane Jules a sottrarre tempo agli studi per dedicarsi a piccoli lavori. Nonostante questo si distinse fra i compagni, fino a vincere nel 1863 il prestigioso “Prix de Rome” con la cantata David Rizzio, che gli valse un lungo ed importante soggiorno a Roma. Tornato a Parigi si misurò con diversi generi senza attirare troppa attenzione, il riscatto venne nel 1873 con il dramma sacro Marie Magdalene a cui seguirono altri successi che resero più salda la sua fama. Nel 1878 fu chiamato a succedere a Bazin nella classe di composizione al Conservatorio e ottenne la mente all’insegnamento e alla composizione consolidando la sua fama fino ad ottenere con Ma- non il riconoscimento e la piena affermazione. La sua umiltà lo spinse a non cimentarsi nel canto di ampi affreschi musicali. Ai toni grandiosi preferiva le sfumature, riconobbe i propri limiti e li rispettò, non permise mai all’ambizione di prendere il sopravvento. Timoroso delle critiche cercò sempre di accattivarsi le simpatie e il consenso del pubblico scegliendo toni amabili e misurati e privilegiò una musica piacevole, incline al sentimentalismo e attenta al gusto dell’epoca senza però sacrificare la tecnica sempre ricca ed evoluta. La sua arte è stata definita “femminile” perché proprio la donna nel suo teatro trova un’espressione e un carattere di rilievo. Le donne di Massenet rappresentano il dualismo tra la purezza e la carnalità, tra il misticismo e la corruzione terrena, eroine decadenti di cui esalta con discrezione la bellezza, la sensualità, la giovinezza, Salomè, Maria Maddalena, Eva, Esclarmonde, Thaïs, Arianna e persino l’animo femminile che emerge dalle spoglie maschili del Werther. Anatole France in seguito alla prima rappresentazione della Thaïs così si congratulò con l’autore: «Caro Maestro lei ha innalzato al più alto livello consentito a un’eroina del melodramma la mia povera Thais. E’ la mia gloria più dolce. Sono in una vera estasi». Universi magici e simbolici, storici e leggendari, cavallereschi e mistici che nel gusto sobrio del suo linguaggio e delle sue melodie ripetute gli permisero di essere amato come pochi altri artisti. Morì a Parigi il 13 agosto 1912. Lun. San. A Milano dieci anni dopo il debutto parigino Manon arriva in Italia I n Italia la Manon di Massenet arrivò quasi dieci anni dopo il debutto, il 19 ottobre 1893 al Teatro Carcano di Milano, lo stesso anno, dunque, della prima assoluta dell’opera omonima pucciniana (Teatro Regio di Torino, 1° febbraio). Sonzogno (ormai subentrato a Ricordi nella rappresentanza di Massenet in Italia) affidò la messa in scena a Ruggero Leoncavallo. Dirigeva Rodolfo Ferrari, nei ruoli principali Lison Frandin e Edoardo Castellano. Il 20 ottobre ne scrisse Giovanni Battista Nappi sulla Perseveranza: «la Manon non risponde forse totalmente all’indole italiana; tuttavia ha titoli per sostenersi brillantemente sulle nostre scene e in ispecie in ambienti intimi e aristocratici... L’ottimo indirizzo del canto declamato per meglio assecondare l’espressione delle passioni, il richiamo frequente dei temi dominanti - i quali non si svolgono però nè si snodano frammentandosi, ricollegandosi, sovrapponendosi l’uno all’altro, come avviene dei leitmotivs wagneriani... il delicato, nobile linguaggio melodico, per quanto a periodi corti, la forbitezza delle linee armoniche, l’eleganza peregrina dei dettagli istrumentali degni di un artista sapien- te, l’intuizione sentita della scena, la varietà geniale dei coloriti, l’esattezza dello stile musicale proprio dell’epoca e dell’ambiente, questo ricco patrimonio fanno della Manon una magnifica opera d’arte...». Al Tetra dell’Opera di Roma questo titolo ha debuttato il 21 aprile 1894 con sei rappresentazioni affidate alla bacchetta del maestro Giovanni Zuccani. Interpreti: Ernestina Bendazzi Secchi (Manon), Antonio Salotti (De Grieux) e Michele Wigley (Lescaut). Da allora l’opera da allora è andata in scena al Tetra Costanzi altre 19 volte con interpreti di grande rilievo: per Manon Rosina Storchio, Pia Tassinari, Mafalda Favero, Raina Kabaivanska; Come De Grieux Tito Schipa, Giacomo Lauri Volpi, Beniamino Gigli, Bruno Landi, Ferruccio Tagliavini, Giuseppe Di Stefano; nel ruolo di Lescaut Giuseppe De Luca ed Emilio Ghirardini. L’ultima messa in scena risale al 2 marzo 1984 con sette repliche dirette da Michail Tabachnick, la regia di Alberto Fassini e le scene di Pierluigi Samaritani. A dividersi il ruolo della protagonista Diana Soviero e Floriana Sovilla. Alberto Cupido e Carlo Tuand sono stati De Grieux, mentre Carlo Deideri ha cantato come Lescaut. Manon 14 Il Giornale dei Grandi Eventi L’ultima Manon: dalla tradizione alla dodecafonia L’eclettismo di Hans Werner Henze in Boulevard Solitude D imostra la ferrea volontà di inserirsi nel solco di una tradizione consolidata Hans Werner Henze quando, all’inizio degli anni cinquanta, sceglie di rivolgersi alla vicenda di Manon Lescaut (tratta dal romanzo dell’abate Prévost) per la sua seconda fatica in campo teatrale. Una decisione singolare, considerando il gusto contemporaneo per le vicende astratte e per una poetica in evidente contrasto con il passato, e coraggiosa, visto che gli illustri precedenti portano le firme di Auber, Puccini e Massenet. Appare, comunque, evidente che Boulevard Solitude, il cui titolo è chiaramente ispirato al Sunset Boulevard di Billy Wilder, rifugge qualsiasi sterile tentazione passatista. Il contatto stabilito con l’universo filmico dimostra la chiara volontà di attualizzare l’estetica operistica, scacciando i fantasmi che ne profetizzavano un’imminente conclusione, ponendosi quale punto di partenza per la costruzione di un teatro veramente moderno. Nelle pieghe di una drammaturgia volutamente frammentaria (in tal senso fondamentale appare la lezione di Puccini), articolata in sette quadri separati da interludi strumentali (il libretto è opera di Grete Weil), Henze modella una vicenda di forte attualità, percorsa da un’atmosfera luttuosa e decadente che richiama la pellicola di Wilder. Come nei film di Resnais o di Antonioni, i personaggi sfuggono inafferrabili, incapaci di comunicare. Il quadro iniziale è un esempio lampante della volontà che anima il compositore, della sua capacità di estrarre l’essenziale dalla vicenda, improntando la propria poetica ad una logica asciutta e stringente. Manon vede Armand Des Grieux nell’atrio della stazione di una città impreci- Il Teatro Opernhaus di Hannover sata, subito dopo la seconda guerra mondiale. Lei deve seguire il fratello in un collegio a Losanna, mentre lui ha appena accompagnato un amico in partenza. Pur svolgendosi in un luogo affollato, l’incontro avviene in un’atmosfera estremamente desolata. Quello che accomuna i due amanti è la propria condizione solitaria, immediatamente dichiarata, e la propria tendenza ad abbandonarsi ai sogni. Lo studente Armand, il quale ricopre un ruolo maggiore rispetto alle versioni di Massenet e di Puccini, si attarda in un soliloquio dove lamenta la crudeltà delle grandi metropoli, crogiolo di illusioni nel quale l’uomo è destinato a precipitare; in quest’ottica basta lo sguardo di una ragazza per far presagire un mon- do di promesse, destinato ad infrangersi contro la realtà. La donna sceglie inevitabilmente la ricchezza, mentre il povero studente non può far altro che proseguire la propria esistenza solitaria. L’assonanza con il teatro espressionista di Georg Kaiser è evidente: nel dramma Dal mattino a mezzanotte il protagonista è un cassiere pronto a rubare per il fugace balenare di una veste femminile, sacrificando la propria esistenza sull’altare di un’ebbrezza vitalistica tanto effimera quanto illusoria. Ci troviamo in uno scenario dominato dal dio denaro, e non a caso i novelli amanti di Henze, alla fine del primo quadro, si dichiarano smarriti nei propri sogni, alla ricerca di un’impossibile evasione dall’orrore della quoti- dianità (evasione che Armand cerca nei paradisi artificiali della droga). All’inizio dell’opera, dopo una breve introduzione affidata alle percussioni, i due protagonisti dialogano fra loro, ma è come se parlassero a sé stessi, mentre la musica, depurata da qualsiasi tentazione romantica legata alle convenzioni della seduzione, dipinge un’atmosfera sospesa e straniante, nella quale si cela il dramma. La partitura prosegue con grande eclettismo, quasi che Henze volesse riprendere le fila dell’intera storia della musica, rimodellandone i frammenti e tessendo il proprio particolare percorso creativo. In Boulevard Solitude convivono stilemi apparentemente inconciliabili, dalla tonalità all’atonalismo, dagli spunti melodici dal sapore pucciniano alla dodecafonia, dalle forme della musica popolare al jazz. Infine, occorre ricordare l’uso del coro, il quale introduce nella vicenda un sapore da tragedia greca e della danza, la cui concretezza corporea inserisce nel dramma una nota del tutto peculiare. Dal punto di vista formale, l’opera non è esente da certe atmosfere vicine al Wozzeck ed alla Lulu di Alban Berg, salvo poi notare come in Henze il gesto espressionista sia sovente trattenuto, tanto interiorizzato da risultare terribile come il grido muto del celebre quadro di Munch. Il finale è agghiacciante nel suo immobilismo, con Armand solo davanti alla prigione nella quale è rinchiusa Manon e la neve che cade lenta sul selciato. Le voci dei collegiali che attraversano la piazza cantando risultano terribili quanto quelle dei bambini alla fine del già citato Wozzeck. L’immagine della modernità, con le sue contraddizioni ed il suo pluristilismo, tanto complessa da risultare irriducibile ad un unico punto di vista, è tutta qui. Dobbiamo essere grati ad Henze per la sua ansia febbrile di comunicare, per la sua fiducia nelle possibilità del teatro musicale in un’epoca che sembrava decretarne il tramonto, per il suo impegno sociale e per la coerenza morale sempre dimostrata. La sua opera si staglia solitaria come una montagna, straordinaria in quanto totalmente libera da condizionamenti, sempre animata da un anelito verso la libertà che costituisce un luminoso esempio per le generazioni future. Riccardo Cenci Il compositore Hans Werner Henze H ans Werner Henze è nato, in Germania, a Gütersloh, il primo luglio del 1926. Iniziò gli studi presso la scuola di musica di Braunschweig nel 1942, ma dovette interromperli nel 1944 quando fu richiamato dall’esercito per partecipare alla Seconda guerra Mondiale. La fine della guerra lo vede prigioniero degli inglesi. Henze diviene in breve uno degli interpreti più sensibili di una realtà devastata dal conflitto mondiale. Con il Kammerkonzert op. 1 inizia la sua ascesa artistica. Con Boulevard Solitude del 1952 esplode il suo talento teatrale. Fra le sue opere più note ricordiamo Re Cervo (König Hirsch) del 1956 tratto dall’omonima fiaba di Carlo Gozzi, Il Principe di Homburg del 1958 (rielaborata poi nel 1991) dal dramma del poeta settecentesco tedesco Heinrich von Kleist ed Elegia per giovani amanti. Nel 1953 si trasferisce a Marino, dove ha trascorso gran parte della sua vita, dimostrando un amore sviscerato per l’Italia. Nel 1976 fonda il Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano, deputato in particolare alla diffusione della musica contemporanea, progetto al quale gli artisti partecipano di norma a titolo gratuito, per il semplice piacere di far musica. Fra i suoi ultimi lavori ricordiamo Phaedra, andata in scena nel 2007 e Immolazione, commissionata dall’Accademia di S.Cecilia e presentata in prima esecuzione assoluta all’Auditorium Parco della Musica nel gennaio 2010. Il Giornale dei Grandi Eventi Dal mondo della musica 15 Dal 21 luglio al 22 agosto il Festival di Bregenz Una Aida spettacolare sul lago di Costanza S pettacolare, monumentale, grandiosa, questi gli aggettivi più usati dalla critica nel recensire l’Aida di Verdi allestita l’estate scorsa sul lago di Costanza al Festival di Bregenz, e presentata in replica nel 2010, secondo una consuetudine che vede alternarsi con cadenza biennale titoli di forte richiamo per lo spettatore, scelti nell’ambito del grande repertorio. Se l’opera è nata per stupire, non si può negare che gli organizzatori del festival austriaco perseguano con dedizione l’obiettivo del meraviglioso, in un tripudio di idee che richiama l’estetica barocca. Il teatro musicale diviene in tal modo un grande show che potrà non soddisfare pienamente i puristi, ma nei confronti del quale il pubblico si dimostra entusiasta. Un vero tripudio non solo per gli occhi con il grande palcoscenico sul lago che non può certo lasciare indifferenti, ma anche per le orecchie, considerando l’eccellente sistema di amplificazione in uso, sorprendente per uno spettacolo all’aperto. La programmazione dell’adiacente Festival Opera House prosegue invece all’insegna della modernità, presentando The passenger del compositore polacco Mieczyslaw Weinberg, un lavoro sull’olocausto scritto nel 1968. Il collegamento con Aida è evidente: in entrambi i casi l’attenzione è puntata sull’idea dell’esilio, tematica di grande attualità che costituisce il filo conduttore fra passato e presente. Lodevole l’impegno del direttore artistico David Puntney il quale, dopo aver intrapreso una politica di valorizzazione del repertorio contemporaneo - si pensi a Masquerade di Nielsen, oppure a Re Ruggero di Szymanowski - dal prossimo anno programmerà esclusivamente lavori commissionati appositamente per il Festival (si comincia nel 2011 con Miss Fortune/Achterbahn dell’inglese Judith Weir, per proseguire poi con Solaris del compositore tedesco Detlev Glanert, e successivamente con Tales from the Vienna Woods, di HK Gruber, una delle figure più enigmatiche dell’attuale panorama musicale austriaco). L’edizione 2010 del Festival, che si svolgerà dal 21 luglio al 22 agosto prossimi, offre inoltre un’ampia programmazione sinfonica – diffusa in diretta anche dagli altoparlanti sul lungolago - che vedrà la presenza di importanti direttori quali Vladimir Fedoseyev e Dmitri Jurowski, insieme a numerosi eventi collaterali, tutti di grande interesse. Un’occasione importante per gli amanti della cultura, un’opportunità per visitare una regione dell’Austria Felix forse meno frequentata dai turisti, comunque splendida dal punto di vista paesaggistico. Riccardo Cenci Al Teatro Verdi di Salerno ne L’Elisir d’Amore La morte di un grande interprete del repertorio italiano Con Internet e Facebook tutto esaurito per il debutto del finalista di “Amici” Giuseppe Taddei, baritono leggendario D al programma “Amici” di Maria De Filippi al palco del Tetra Verdi di Salerno ne L’elisir d’Amore di Donizetti per la regia di Michele Mirabella, terza opera in cartellone. E’ stato un successo l’esordio l’8 giugno scorso nel ruolo di Nemorino del giovane tenore di Sassuolo Matteo Macchioni, già finalista della trasmissione televisiva e poi scritturato in un ruolo da protagonista per la sua prima Opera Lirica in un teatro nazionale. Il giovane ha cantato come secondo cast dell’opera già andata in scena lo scorso 26 maggio con protagonista il tenore Celso Albelo. «Una voce fresca ed accattivante», l’ha definita Daniel Oren sul podio nell’allestimento salernitano. «I giovani non conoscono l’Opera, Matteo con la sua popolarità, il suo talento e la sua presenza scenica fa da cassa di risonanza attirando l’attenzione di un nuovo pubblico alla scoperta di una forma d’arte riservata finora prevalentemente ad un pubblico adulto». Un esordio ed un evento fuori dagli schemi dell’abituale promozione di un’Opera Lirica. Attraverso Internet, Facebook ed il sito del giovane tenore, infatti, le prevendite hanno toccato il “tutto esaurito” già un mese prima della serata. Questo grazie anche ad una promozione diretta ad un pubblico giovane. Difatti, studenti e ragazzi fino a 30 anni hanno acquistato un biglietto al costo di 20 euro. «Il prezzo di una serata in pizzeria – ha aggiunto Oren - ma spesi per conoscere le grandi Opere Italiane». L. Di Die. I l 26 giugno avrebbe compiuto 94 anni il baritono Giuseppe Taddei, scomparso il 2 giugno scorso nella sua casa romana sulle pendici di Monte Mario. Nato nel 1916 a Genova, a due passi dalla casa di Nicolò Paganini, già a 10 anni dimostrò la sua naturale inclinazione al canto. A 18 anni partecipò e vinse un concorso per voci liriche bandito dal Tetra dell’Opera di Roma. Tullio Serafin, all’epoca direttore artistico del Teatro, lo fece immediatamente debuttare al Costanzi nel ruolo dell’Araldo nel Lohengrin di Richard Wagner, diretto da Arturo Toscanini. Da allora la sua carriera fu rapida e brillante, fino a diventare uno dei più grandi baritoni del ‘900. Con lo scoppio della guerra Taddei, partendo per il fronte dei Balcani, dovette interrompere l’attività. Nel 1943 i tedeschi presero prigioniero tutto il suo reparto e lo trasferirono in un campo di concentramento. E proprio nelle baracche di un lager, mentre intratteneva i suoi commilitoni, fu notato da alcuni tedeschi melomani. Questo fece sì che ottenne un trattamento migliore e cominciò a girare i vari campi per cantare per i prigionieri d’ogni nazionalità fino a quando, alla fine della Guerra, entrò nella squadra d’artisti che lo “Special Service” americano utilizzava per spettacoli destinati alle truppe alleate. Capitò così a Salisburgo, dove conobbe von Karajan, il quale lo cooptò immediatamente e con il quale iniziò una lunga e proficua collaborazione, cominciando a cantare nei maggiori teatri del mondo e lavorando con tutti i più grandi cantanti e direttori d’orchestra, da Serafin a von Karajan, fino a Zubin Mehta e Claudio Abbado, con il quale eseguì nel 1991 a Vienna un memorabile Simon Boccanegra all’età di 75 anni. Con la sua voce di rara bellezza timbrica ed anche con la grande fantasia interpretativa, divenne celeberrimo interprete in particolare di ruoli del repertorio italiano (Verdi, Rossini, Puccini e Donizetti), ma anche di personaggi mozartiani e wagneriani. E’ stato uno dei più grandi interpreti del ruolo di Falstaff, ma anche di Scarpia, Tonio, Gianni Schicchi e Gérard. Nel 1992, a 76 anni, ha inciso diretto da James Levine la Manon Lescaut di Puccini cantando il ruolo di Geronte di Ravoir. L. Di Die. FANALCOMUNICAZIONE I L F U T U R O N O N È P I Ù Q U E L L O D I U N A V O LT A . Ogni giorno Acea si impegna e lavora per gestire in modo sostenibile le risorse naturali e l’energia, valorizzandone l’impiego, prestando particolare attenzione alla riduzione degli sprechi e incrementando il ricorso alle fonti rinnovabili. Perché l’uso razionale dell’energia, il risparmio energetico, il rispetto per il territorio e la tutela dell’ambiente sono le primissime cose che migliorano la qualità della vita. Perché il nostro futuro inizia da qui, ora.