KARUNA CORPORATION GUIDA PRATICA ALLA COMPRENSIONE DELLE PROCEDURE NELL’ASILO NIDO (QUELLO CHE FORSE NON SI PENSA DURANTE LA PRATICA EDUCATIVA, E CHE ALLORA NON E’ PIU EDUCATIVA, E FORSE NON E’ NEMMENO PIU’ PRATICA.) Se consideriamo il compito dell’educatore nel senso ordinario, vale a dire solo un’occupazione nella società, l’educatore non è altro che un educatore comune; oppure, in un contesto più vasto potremmo dire che, se nascere nel mondo non è altro che apparire sulla scena come un altro membro della società, il significato della vita si ferma qui. Ma se possiamo considerare la nostra vita e ogni cosa da una prospettiva più elevata, come quella dell’essere, allora cambierà inevitabilmente anche il significato delle nostre attività quotidiane. INTRODUZIONE Per certi versi il lavoro di educatore al Nido può essere visto ancora oggi come un lavoro umile, ma in verità sarebbe il più nobile dei mestieri poiché chi lavora con i bambini lavora con la natura umana al suo inizio di vita, lì dove sono le nostre radici e la conoscenza delle origini. L’emergenza educativa dovuta all’assenza prolungata dei genitori nel tempo si è andata coniugando con l’esigenza e il desiderio di inserire il proprio figlio in un contesto educativo che abbia i connotati della qualità. In tale contesto il ruolo dell’educatore è quello di organizzare, proporre e facilitare delle esperienze che altrimenti rimarrebbero solo latenti, cioè potenziali. La riflessione intorno alle esperienze dei bambini dovrà pertanto fondarsi sulle premesse dell’attività mentale e fisica di ogni singolo bambino attraverso modalità che non lascino nulla al caso, esaminando anche tutto ciò che possa avere qualche ulteriore attinenza o riferimento con le pratiche educative, intendendo con ciò l’esame di pratiche o discipline alternative come lo Yoga, la musica o qualunque altra forma di espressione attiva o “passiva”, che possa avere attinenza riguardo il raggiungimento di obiettivi o la realizzazione di un progetto. 1 Tutto ciò dovrà indurre le educatrici a valutare attentamente, di volta in volta, il tipo di scelte operate con i bambini, ognuno dei quali è parte di un gruppo sociale che però necessita di cure individuali per riuscire a costruirsi la propria peculiare individualità. Per motivi diversi ognuno di loro può avere bisogno di un trattamento diverso. Allora va bene l’istituzione di rituali collettivi, ma non va più bene quando un bisogno, come può essere quello del ciuccio, è trattato allo stesso modo per tutti. Il Progetto educativo del Nido si occupa perciò di offrire, osservare e valutare le varie circostanze, fatte di momenti, in cui si compongono le varie fasi di un servizio, inducendo ed orientando le azioni del bambino in modo significativo anche attraverso il coinvolgimento e la partecipazione delle famiglie in un rapporto di costante sinergia tesa allo sviluppo psico-fisico, cognitivo (cioè “conoscitivo”) e relazionale di ogni bambino. E’ stato scritto infatti che “Il Progetto educativo è un insieme strutturale di interventi e offerte ludico-pedagogiche al cui interno si trovano regole piuttosto precise riguardo i tempi e i modi di portarli avanti in base all’età dei bambini”. Poiché ogni educatore ha ricevuto a sua volta un certo tipo di educazione formale, dovrà evitare di trasmettere la propria conoscenza delle cose, in quanto questa è già stata condizionata. La personalità precaria del bambino infatti, non può rischiare di costruirsi sui modelli mentali (modello = riferimento comportamentale) che gli stessi educatori a loro volta hanno subito e forse ancora subiscono. Un progetto infatti, non può che contrapporsi agli automatismi. Per conseguire gli obiettivi del Progetto educativo si dovranno mettere in atto strategie per accompagnare genitori e bambini all’interno dei ritmi del Nido a partire dall’ambientamento iniziale per poi verificarne la validità rispetto a quanto ci si era proposti. Ma quali sono questi obiettivi? Ci sono due tipi di obiettivi: quelli generali, che riguardano la realizzazione delle fasi del Progetto educativo soprattutto per quel che riguarda la funzione di cura, custodia e accrescimento del singolo bambino in unione con la famiglia, e quelli specifici che riguardano l’intenzionalità strettamente educativa posta in opera dall’educatore affinché ogni singolo bambino tragga tutti i benefici possibili dalla complessità delle offerte di gioco-attività, interazione sociale e routine. Per poter svolgere questo tipo di lavoro abbiamo bisogno di predisporre spazi ad hoc in cui il bambino ne possa da subito beneficiare in termini di contenuti, nel senso che lo spazio organizzato esprime una precisa intenzione che gli educatori hanno e che i bambini riconoscono come appropriato per fare ciò che di meglio e più intelligente possono fare. La disposizione di angoli, mobili e giochi definiscono uno spazio che può essere adatto o inadatto a svolgere una funzione, che nel nostro caso è ludico-educativa. L’organizzazione dello spazio già definisce l’intenzionalità di un Progetto educativo nelle sue diverse fasi e aspetti. 2 Costruire esperienze significa riconoscere e poi utilizzare le caratteristiche personali di ogni singolo bambino in un preciso contesto spaziale e sociale, conoscendo cosa questo contesto gli può offrire e verso cosa tende. Modificare uno spazio attraverso gli elementi che lo compongono significa anche e soprattutto che andiamo a modificarne i contenuti (vedi Progetto educativo), gli stessi che nel corso dell’anno andranno messi in discussione attraverso una verifica delle intenzioni progettuali e la risposta che i bambini danno a queste intenzioni. L’idea della trasformazione di uno spazio dovrà pertanto essere valutata sulla base di nuove prospettive di significati, di nuovi obiettivi e delle finalità verso cui tendono. Ci rifacciamo quindi a quel “lavoro per progetti” che, come un’indagine sui bisogni sopraggiunti in base a richieste non formalizzate dai bambini, interviene per contribuire alle evoluzioni delle loro esperienze. Per l’ambientamento iniziale di Settembre, per esempio, ci si dovrà preoccupare – cioè occupare da prima – di creare spazi di facile fruizione e di facile riconoscimento per evitare di disorientare i bambini e accrescere invece, il loro interesse e la loro innata curiosità. Finito l’ambientamento sarà possibile organizzare strategie affinché ad ogni bambino sia consentito sentirsi parte attiva dello spazio, sviluppando un sempre più preciso senso di sé, cioè un’identità propria, ad esempio attraverso il riconoscimento dell’armadietto personale in cui trovare le proprie scarpine e calzetti, il proprio bavaglino da indossare e il proprio ciuccio. Ma anche la canzoncina del “buon giorno” in cui sono chiamati per nome ad uno ad uno è un pratico espediente educativo di identificazione di sé. Una volta verificato il grado di autonomia e identità rispetto questi ed altri rituali, ci sarà dato di osservare verso quali nuove tappe di sviluppo ogni bambino tende, cioè verso quali nuovi interessi si sente portato; e questo è possibile grazie ad una diversificazione di offerte e al grado di interesse che per queste i bambini dimostrano. Potrà cosi accadere di osservare uno spostamento degli interessi verso nuove mete, verso nuove “zone di sviluppo prossimale” ( Vigotskiy) e aiutarlo così a “transitare” in direzione di una nuova tappa di sviluppo. Espressioni come “attività esplorative” e parole come “scoperta” saranno le chiavi di lettura di un buon Progetto educativo il cui “farsi” sarà sviluppato, oltre che dalle prassi di routine, da una feconda osservazione delle pratiche e dal pensiero forte di un “lavoro per progetti”. Questo tipo di lavoro verrà esaminato più avanti. IL PROGETTO EDUCATIVO: Il Progetto educativo generale deve prevedere le diverse fasi di realizzazione nonché lo stile di questa realizzazione cioè la metodologia di intervento nel contesto educativo. 3 I contenuti fondamentali del Progetto educativo riguardano: la relazione attiva con le famiglie, i percorsi educativi, le modalità necessarie per realizzarli, gli obiettivi, l’osservazione dei processi educativi (le proposte delle educatrici e le risposte dei bambini), la documentazione dei processi educativi, la valutazione delle proposte in base alle risposte dei bambini e dei processi innescati. Ci si domanderà pertanto, documentandolo, se il Progetto educativo, nei suoi diversi aspetti di ambientamento, obiettivi e processi, è stato realizzato come s’era pensato e quali eventuali aspetti di novità sono subentrati, nonché i punti di forza e di debolezza di ciò che era stato progettato, anche in considerazione degli inevitabili cambiamenti dei bambini nei diversi archi temporali in cui mutano le esigenze dei piccoli. Il Progetto deve tenere conto che l’azione educativa è finalizzata alla costruzione dell’identità, dell’autonomia e delle competenze dei bambini. L’educatore pertanto dovrebbe essere a conoscenza di come si costruisce e di cosa significa nel bambino un’identità, un’autonomia e una diversificazione di competenze in base alla fascia di età. Ciò non sarebbe mai possibile senza la conoscenza delle FASI DELLO SVILUPPO EVOLUTIVO: Prima del compimento dell’anno il bambino che non cammina passa molto tempo seduto esplorando l’ambiente che lo circonda senza poter riconoscere qualcosa in particolare che non siano certe atmosfere, certi suoni o gli occhi della mamma. Se prova il desiderio di raggiungere un oggetto tenterà di “gattonare” fino a raggiungerlo; oppure riuscirà a procurarsi il giocattolo che è sistemato sulla coperta, non afferrando il giocattolo stesso, troppo lontano, ma tirando a sé la coperta fino a raggiungerlo. Fino ai 18 mesi l’intelligenza del bambino risiede nel corpo, col quale si identifica in maniera diffusa, finché il “disegno” tracciato nel suo schema evolutivo (DNA ecc.) lo delinea in maniera più incisiva e definitiva. La sua vera identità si costruisce giorno per giorno; per questo motivo all’adulto viene chiesto di non interferire con anticipazioni e interventi arbitrari di alcun genere; la sola vera comunicazione sarà non verbale, fatta di piccoli gesti ed espressioni del viso, uno scambio comunicativo senza parole poiché queste non sono così influenti come si potrebbe credere. E’ questa la fase in cui gli affetti e le funzioni intellettuali ancora non si distinguono, e in cui il suo bisogno di esplorare può trovare soddisfazione in quel “cestino dei tesori” in cui il mondo degli oggetti di uso quotidiano gli si presenta sottoforma di gioco. Lasciare un bambino libero di esplorare, ci auguriamo, costituisce il presupposto affinché possa continuare una libera esplorazione per il resto della vita. Le opportunità che offre il cestino dei tesori, aiutano il bambino molto piccolo a non sentirsi frustrato nell’impossibilità di muoversi nello spazio, nell’impulso all’esplorazione che viene soddisfatto dall’incontro con oggetti di vario ordine, il criterio per la scelta dei quali è fondato sulla 4 stimolazione sensoriale (vista, udito, tatto, gusto, odorato e percezione della forma). Questi oggetti, che dovranno avere i requisiti di sicurezza e pulizia, potranno essere: pigne, conchiglie, zucche secche, castagne, pietra pomice, tappi grandi di sughero, spugnette, spazzolino per le unghie, pennelli per il viso, cilindretti, bigodini, anelli per le tende, portatovagliolo, ciotoline in bambù, spatole, cucchiaini, frusta da cucina, coperchietti in metallo stondati (confezioni di succo di frutta o pomodoro), formine per dolci, spremi agrumi, scovolino, fischietto, triangolo musicale, colino del tè, bicchierino di metallo, infusore per il tè, borsellino in pelle, pallina ‘magica’ in gomma piena, piumino per cipria, pezzi di tubo di gomma, palla da tennis, palla da golf… Compiuto l’anno di vita, il bambino generalmente è autonomamente deambulante e può esplorare lo spazio. Il gruppo dei bambini con cui condivide lo spazio può facilmente confonderlo fino a fargli perdere momentaneamente la sua precaria identità provocando una reazione a catena di pianto in quanto l’uno si distingue a malapena dall’altro. In questo periodo però si sviluppano in ogni diverso bambino i segni di una precisa intenzionalità che corrispondono già in un tipo di carattere. Il gioco del cestino dei tesori si è trasformato nella scoperta dell’utilizzo di alcuni di quegli stessi oggetti, che ora saranno contenuti in diverse sacche di stoffa poste ad altezza di bambino, e contrassegnate da un’etichetta che ne evidenzia il contenuto. Il gioco euristico (eurisko= scoprire) comprende pochi bambini alla volta che troveranno sul tappetone di uno “spazio protetto” una varietà di oggetti, come quelli sopra citati, che abbiano una valenza funzionale che il bambino appunto, scopre. Si selezioneranno 5 o 6 sacche per permettere buone combinazioni di oggetti, ma senza esagerare; gli oggetti saranno disposti in mucchietti separati tra loro, in modo da far scegliere ai bambini da soli senza essere indirizzati. L’educatrice, “ancora emotiva”, avrà solo il compito di riorganizzare periodicamente gli oggetti sparsi in giro dai bambini fino al riordino finale in cui si tenterà di coinvolgere gli stessi bambini. Per sperare in questo, l’educatrice dovrà assolutamente evitare frasi banali come “Chi mi aiuta?” che vanificano la sua autorevolezza in quanto c’è sempre il rischio che i bambini non vogliano affatto aiutarla. Sarà invece meglio una frase indiretta e neutrale del tipo “Guarda lì, quel tappo…” Ma l’importanza del fare riordinare i bambini deve essere prima di tutto sinceramente e fortemente sentita dalla stessa educatrice come un valore pedagogico, altrimenti l’insuccesso è sicuro. Il riordino da parte dei bambini, oltre ad essere un esercizio di cura dell’ambiente, li accompagna verso l’esperienza diretta di ciò che la matematica definisce “insiemi”, l’unione e la divisione concettuale di elementi qualitativamente e quantitativamente uguali o diversi. E’ da tenere presente che tra gli oggetti e i giochi che il bambino di questa età incontra al Nido vi sono i libretti illustrati con una singola figura, un singolo oggetto che sia più facilmente distinguibile anche se non riconoscibile, in quanto nulla ancora è entrato oggettivamente nel campo della sua percezione ancora tutta in evoluzione, cioè nulla è ancora da lui conosciuto. 5 Diversamente, dopo il secondo anno, il bambino ha bisogno che alle figure o immagini siano associate delle storie, poiché in questo periodo dalla semplice esplorazione si viene introdotti nel campo delle “conquiste” personali. Attraverso l’interazione con i coetanei e gli adulti, il bambino per riflesso e/o compensazione sviluppa una propria immagine di sé; può essere questo infatti il momento per iniziare certe verifiche personali che, come impulso verso l’autonomia, hanno bisogno di essere convalidate anche da atteggiamenti di ribellione e da certi “no!” che se non compresi rischiano di trasformarsi in stati d’animo perennemente negativi. Per queste e per altre ragioni i tipi di storie illustrate che si raccontano ai bambini di questa età dovranno necessariamente avere delle valenze formativo-pedagogiche che corrispondono a vere forme educative, nel senso che la loro funzione è di riflettere tutti quegli stati d’animo che nel bambino stanno emergendo, e a cui si dovranno dare risposte significative. Come si potrà facilmente notare si renderanno più accessibili alla comprensione dei bambini storie fantastiche che hanno come protagonisti degli animali, per la ragione che a questa età gli animali riflettono in modo adeguato la loro evoluzione filogenetica (evoluzione degli stadi di sviluppo della specie umana) che è così giunta al livello naturale-animale e va evolvendosi verso quello umano nel senso più pieno dell’espressione. La vita del bambino cioè, passa prima da una fase che è pura natura, simile ad un animaletto guidato esclusivamente dagli istinti. Quelli lui riconosce, personificati dagli animali. Nella fase terminale di questo sviluppo si potrà notare ancora come il bambino riesca a seguire lo svolgersi di una storia pur avendo a sua disposizione poche comprensibili parole. E’ infatti il fascino emanato da ciò che nella storia gli corrisponde ad esercitare tanto potere su di lui: il cavallo, la volpe, il bambino che trova le soluzioni, la principessa, ma anche l’orco e il lupo, che dovranno essere selezionati solo a necessità, e non gratuitamente. Anche se infatti è innegabile che nell’animo di ogni essere umano, e per cui anche nel bambino in evoluzione, si nasconde un istinto malvagio, o quantomeno ambiguo, evocarlo senza motivo non ha finalità educative ma induttive. Ciò che ancora è sconosciuto, come certi sentimenti e certe paure, non si addice ad un bambino piccolo che indugia sulla strada di un’evoluzione che deve essere attentamente calibrata. Poiché il bambino piccolo si esercita nel mondo, che a lui è ancora completamente sconosciuto, avrà bisogno di sentirsi raccontare storie il cui decorso non prevede grandi accidenti ed emozioni palesemente contrastanti. Egli infatti è tutto proteso all’imitazione e al gioco simbolico che ancora riguardano, e devono riguardare, il mondo conosciuto della propria famiglia o di ciò che più facilmente riesce a “digerire”, nel senso di assimilare ed apprendere, e non gli stati problematici o conflittuali. Il pensiero e i sentimenti del bambino che frequenta un Nido sono semplici ed elementari, assimilano cioè pochissimi elementi alla volta. E’ l’ansia da prestazione dell’adulto che vuole precorrere i tempi, il vero problema. E’ l’adulto stesso, il più delle volte problematico, che vorrebbe vedere nel bambino ciò che lui stesso non riesce ad essere e a fare. 6 Attraverso le forme spontanee del gioco il bambino si alleggerisce dalle emozioni negative che lo investono, poiché nel gioco ritrova i suoi significati più appropriati. Ed è attraverso l’esplorazione e l’immaginazione che il bambino è aiutato ad organizzare le varie situazioni della vita, nell’imitare qualcuno o qualcosa, proprio come lo ritroviamo nel suo gioco simbolico e nelle vicende delle favole. Poiché in tutti questi processi il bambino contemporaneamente al piacere del gioco sta anche controllando la sua realtà facilmente deformabile, sarà proprio inutile immettere gratuitamente nel suo campo percettivo quel “lupo” che da sempre interviene per mettere scompiglio ma che solo più tardi acquisterà un significato creativo per il bambino. Lo vediamo infatti più tardi, quando superati i tre anni il bambino è praticamente padrone del suo corpo e del linguaggio, grazie al quale potrà assegnare un valore alle immagini che gli si fanno incontro condividendole con i coetanei ai quali avrà il piacere di presentare un gioco o un oggetto come fossero una parte di se stesso, ma anche il gusto macabro di presentarsi, magari nel travestimento, come un mostro, andando a compensare l’immagine che si è costruito di se stesso. Questo ulteriore sviluppo dell’identità, che solo ora può anche essere giocosamente trasformata nel suo lato peggiore, lo accompagnerà a nuove forme di apprendimento e con esso al riconoscimento delle differenze. UNA METODOLOGIA: LAVORARE PER PROGETTI Il lavoro per progetti è un metodo di lavoro e di intervento educativo controllato e non direttivo, il cui procedimento è un’indagine sui bisogni e le richieste non formalizzate dai bambini ma rilevate dall’occhio attento delle educatrici: qualcosa nella sezione, in un gruppo di bambini, o in un singolo bambino sta prendendo forma, come un bisogno o un’idea non espressa; l’intenzione non riconosciuta del bambino o dei bambini può essere riconosciuta dalle educatrici che allora impronteranno un progetto. Potrà trattarsi di un miglioramento degli spazi perchè col tempo si sviluppano nuove esigenze, o potrà essere l’ampliamento dell’offerta ludica perchè certi giochi non suscitano più interesse, ma anche l’uso improprio di un certo gioco o giocattolo ci può suggerire che quel bambino o quei bambini stanno cercando di fare qualcos’altro; oppure si vuole suscitare un certo interesse per un’area tematica ancora sconosciuta ai bambini perchè le educatrici hanno intercettato la possibilità da parte degli stessi bambini di sviluppare certe capacità o abilità (per es. riguardo la modalità di modificare aspetti delle routine, ma anche quella di elaborare una fiaba). Allora è il momento di progettare un intervento, il più dettagliato possibile, suddiviso in fasi temporali, basato su specifici obiettivi e corredato dal materiale occorrente che verrà utilizzato nelle varie fasi, per indurre un certo gruppo di bambini a fare un’esperienza significativa. 7 Ma cosa significa “esperienza significativa”? – Significa accompagnare il bambino verso la sua prossima tappa evolutiva (“zona di sviluppo prossimale”) grazie alla comprensione delle esperienze fatte, col corpo e la mente, che gli avranno permesso di procedere ulteriormente; è significativo cioè tutto ciò che è inerente all’ “accrescimento” ; ma significativo è anche fornire ad ogni singolo bambino occasioni di apprendimento, di sviluppo di abilità specifiche e comprensione di fenomeni che, in base all’età, possano accrescerlo soddisfacendolo positivamente, cioè riempiendo la sua misura di soddisfazione personale (autostima) in modo da renderlo sufficientemente autonomo. Gli obiettivi che un tale procedimento vuole conseguire sono molto spesso già dichiarati nel Progetto educativo generale e riguardano il più delle volte le competenze cognitive, creative e socio-affettive, procedendo dall’iniziale conoscenza dell’ambiente (non è forse l’ambientamento un progetto?), in cui lo sviluppo e il consolidamento di relazioni affettive possa andare oltre i soli genitori; e poi lo sviluppo delle proprie capacità percettive, il riconoscimento delle fasi temporali del Nido (routine), lo sviluppo espressivo-creativo-comunicativo, e non ultimo l’autonomia a tavola e al bagno. Durante questi processi le educatrici dovranno tendere ad individuare le possibili difficoltà o problematiche legate soprattutto al processo di crescita e benessere dei bambini. Le strutture d’intervento del lavorare per progetti vengono costruite gradualmente in funzione dell’obiettivo da raggiungere, avviando una riflessione professionale sulle strategie e su gli stili da adottare, nonché una verifica in cui sia possibile osservare l’evolversi del contesto, rilevando se, come e quando ogni bambino apporti il suo contributo all’evolversi dell’esperienza e delle competenze che vengono acquisite. Saper abbandonare l’idea di programmare anticipatamente un intervento che presume di prevedere un percorso e il suo risultato finale, significa assumere un atteggiamento di ricerca in cui la progettualità si auto-costruisce. L’osservazione dell’attività spontanea dei bambini ad esempio, ci consente di individuare delle “costanti” nei loro atteggiamenti e nelle operazioni che compiono, in modo da tradurle in progetti finalizzati e nella valutazione dei risultati raggiunti, coadiuvata dalla documentazione necessaria a comunicare l’esperienza portata avanti dai bambini e le modalità di attuazione. Sarà quindi necessario definire per iscritto il perchè dell’intervento (motivazione), il numero dei bambini coinvolti, in cosa consiste, cosa era stato osservato e in che circostanza (contesto), quale obiettivo si vuole raggiungere e cosa si decide di fare (programmazione del percorso educativo e le modalità organizzative necessaria per realizzarlo) e in quanto tempo, trascorso il quale si farà una valutazione del risultato raggiunto o del mancato risultato. 8 RACCONTARE STORIE (LE FIABE): Sarà bene che nel raccontare una storia o una fiaba il gruppo di bambini non sia eccessivo, e comunque sia collocato in uno spazio apposito come una specifica stanza o uno specifico angolo della sezione. Altra cosa importantissima, come s’è visto, sarà la scelta di ciò che, secondo l’età e gli interessi del gruppo di bambini, verrà raccontato. I bambini dovrebbero anche avere modo di intervenire esprimendo i propri apprezzamenti e le proprie reazioni rispetto ciò che ascoltano. Questo permetterà all’educatrice di annotare i commenti dei bambini in modo da prolungare l’assunto con altre e nuove proposte così come è in uso nel “lavoro per progetti. La scelta di un numero limitato di bambini permetterebbe proprio questo tipo di interazione, mentre il grande gruppo si troverebbe costretto al silenzio per poter ascoltare. E’ sconsigliabile leggere di seguito una seconda favola ai bambini, perchè impedirebbe loro di elaborare le proprie sensazioni, ancora vaghe, e sentire che la prima storia raccontata potrebbe avere qualcosa di importante che andrebbe persa se non gli viene ripetuta. Ed è proprio questo il motivo che induce i bambini a richiedere il bis di una storia, specie quando questa ha una trama troppo articolata che va analizzata il più possibile con i pochi strumenti che i bambini hanno a disposizione. Raccontando una storia si apre una porta misteriosa, e pertanto l’adulto dovrà sceglierla con cura senza sentire il bisogno di dare troppe spiegazioni ai bambini che intuendone direttamente il senso, potranno elaborarla non intellettualmente ma simbolicamente.La “strada per uscire dal bosco” ad esempio, può direttamente arrivare al bambino in tutto il suo significato simbolico di “sforzo emotivo di trovare se stessi e diventare più autonomi nel conoscere il mondo” o di “trovare la via di uscita da una situazione difficile”. E’ raro trovare in un adulto, fosse anche un educatore, la voglia di conoscere il significato simbolico delle immagini della fantasia. Per lo più ci si accontenta di subirne la fascinazione e la conoscenza a priori del lieto fine. Le fiabe, se intese come indicazioni comportamentali, raccontano del male, di ciò che è sbagliato e rende “stregati”, e la cura da apportare attraverso il giusto comportamento. Nella fiaba come nel sogno si deve compiere una certa impresa per ristabilire un equilibrio che è andato perduto e che provoca una reazione benefica e vivificante, raggiungendo, col lieto fine, una pace interiore col mondo. Una stessa fiaba potrà far scoprire al bambino aspetti sempre nuovi via via che cresce, e sarà solo lui ad intuire quali significati hanno importanza in un dato momento. Molte fiabe contengono certi simbolismi di natura sessuale che fortunatamente rimangono al livello preconscio nella mentalità del bambino. Dice Bettelheim: “Cappuccetto Rosso deve essere estratta dallo stomaco del lupo come un taglio cesareo; viene così suggerita l’idea della gestazione e del parto. Con esse, sono evocati nell’inconscio del bambino riferimenti a una relazione sessuale. 9 Come fa un feto a entrare nel ventre materno? si chiede il bambino, e decide che può essere successo soltanto perchè la madre ha inghiottito qualcosa, come ha fatto il lupo”. Secondo Bettelheim, il lupo, che ha i più diversi significati, in questa favola è l’incarnazione della malvagità sottoforma di seduttore e altri connotati edipici che qui non approfondiamo. Poiché il bambino non è in grado di comprendere le trasformazioni interiori, gli espedienti delle fiabe, sottoforma di personaggi costretti a subire incantesimi e sortilegi fino ad essere trasformati in animali (draghi, serpenti, rane ecc.), sono necessari per intendere la sostituzione di una cosa con un’altra, per esempio la madre buona e la matrigna cattiva. Ascoltando una storia il bambino può intuire le connessioni tra gli elementi e imparare a credere che certe trasformazioni siano possibili. Le fiabe trattano di processi interiori esteriorizzati nei personaggi, e di problemi emotivi attinenti al processo di crescita facendo sì che il bambino, a mano a mano che cresce, sia all’altezza di affrontarli. La paura del buio, ad esempio, può rappresentare la paura dell’indistinto, lo stato d’animo del completo disorientamento provocato dall’insicurezza circa lo stare insieme o meno dei genitori, l’insicurezza del durare, la paura di avere sbagliato o dell’essersi comportato “male” e pertanto non sentirà più la protezione dei genitori da cui invece dovrà dipendere. La fiaba narra di quel ‘bene’ e di quel ‘male’ che il bambino piccolo ancora non conosce, al punto da confondere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. La fiaba restituisce l’ordine ricreandolo nei ruoli e nei comportamenti dei personaggi che si armonizzano con la mente del bambino perchè parlano il linguaggio dei simboli. La problematica della fiaba trova la sua soluzione attraversando paure, speranze, desideri e avversioni che vanno a intrecciarsi con i primi pensieri del bambino. Per questo motivo non c’è fretta di presentargli una realtà problematica che ancora non sarebbe in grado di gestire. Lo vediamo dal grado di tensione e agitazione che vivono i bambini quando la situazione familiare non corrisponde ai loro bisogni di sicurezza ontologica (ciò che li fa sentire “esistenti”). Le educatrici dovrebbero tenere presente il sistema simbolico dei bambini corrispondente all’età e quindi al grado di comprensione di un assunto. Molte volte le fiabe possono addirittura creare nel bambino un senso di frustrazione per il fatto di non averla capita, ragione per cui gli è impossibile beneficiare del valore del suo contenuto. Oltre al fatto che non si dovrebbe leggere una fiaba qualunque solo per passare mezz’ora, si deve tenere presente il motivo per cui si racconta, cioè i suoi obiettivi: - è per la memorizzazione? – è per il confronto sociale tra coetanei? – è per un’elaborazione cognitiva? – è per il riconoscimento degli elementi che la costituiscono? – è per un’elaborazione espressiva con i colori? e il contesto entro cui si svolge la narrazione: - è prima di pranzo? – è prima di andare a dormire? – è durante la mattinata? Ogni contesto, se ben osservato e valutato, può diventare un mezzo per lo sviluppo di particolari progetti. La fiaba certamente lo è, ma quando è troppo articolata, come quasi sempre avviene, può 10 complicare il percorso progettuale che non lo necessita. Una storiella semplice, come vedremo, è meglio, e può essere un buon veicolo per portare avanti in progetto che, seppur senza intenzioni direttive, vuole suscitare un certo interesse nel quale possano convergere diverse aree tematiche da cui far ripartire nuove possibilità di sviluppo. Un esempio: “Due amici, il gatto Gino e l’orsetto Lollo ( o due animali uguali con caratteristiche diverse), stanno sempre insieme: giocano con la palla o a nascondino, ma anche con le costruzioni; a volte hanno anche litigato, però poi fanno la pace e vanno a riposare insieme, pranzano insieme e la sera, dopo aver giocato tutto il giorno, tornano a casa dalle mamme che hanno preparato la cena (similitudine con la vita dei bambini). Un giorno decidono di costruire un aquilone; vanno poi in cima alla montagna, in alto (contrario di ‘basso’) dove c’è vento, così che l’aquilone si muove forte come se volesse volare. Quando Gino (chi è dei due?) chiede a Lollo di lasciargli prendere l’aquilone, questo, prima di essere afferrato vola via trascinato dal vento; ora vola in alto tra le nuvole, sempre più lentamente però, ma sempre più in alto. Quando arriva la sera l’aquilone è ancora lì; i due amici sono rimasti sempre a guardarlo. Sembra proprio che ora si sia fermato a parlare con la luna…” Sarà possibile che i bambini vogliano sentirsela ripetere, o che uno di loro la voglia raccontare, o che sia l’educatrice a chiedere se qualcuno la vuole raccontare agli altri. – In ogni caso ci sono molte implicazioni: da quelle relative alla memoria a quelle sociali o emozionali. L’educatrice scomporrà, per analizzarli con i bambini, tutti gli elementi che costituiscono la storia. Domanderà: “Chi è Gino? E Chi è Lollo? – Cosa fanno insieme? – Cosa costruiscono? – Dove vanno poi? – Perché l’aquilone vola via? – Dove va? – Cosa c’è in cielo? - Con chi sembra che parli?” L’attività immaginativa del bambino potrà essere il veicolo per quella cognitiva che si tradurrà nella capacità di mettere in ordine temporale la successione degli eventi e le loro differenze (giorno/notte) sviluppando l’area linguistica, e potrà anche svilupparsi in forma grafica, creando nuovi contesti progettuali (come dei LINK) che l’educatrice potrà valutare (giocare a palla, costruire un aquilone, andare sulla montagna, contrapposta all’idea di ‘pianura’, - approfondire la conoscenza degli animali, ecc.); ma anche ciò che riguarda la meteorologia (com’è il cielo oggi? Cosa c’è? – Come ci si veste?) che può dare lo spunto per un pannello meteorologico in cui applicare giornalmente l’immagine grafica (sole, nuvole, pioggia) preparata che corrisponde a ciò che si vede dalla finestra. La stessa cosa si potrà fare con la storia di Cippo l’uccellino: STORIA DI CIPPO L’UCCELLINO Quando il sole è nel cielo e la luce illumina la campagna, Cippo si sveglia e comincia la giornata cinguettando; quando ha fatto colazione con le briciole di pane che trova sul terrazzo del signor Gianni, vola in alto sugli alberi e cerca i suoi amici. Dopo aver giocato con loro gli viene fame e cerca le mele rosse e le pere verdi che sono appese sugli alberi, e quando ha mangiato a sufficienza continua a volare e giocare fino a quando è sera e spunta la luna in cielo. Ora è buio, non si può più giocare, si ritira nella sua casetta sull’albero e… buona notte! 11 L’educatrice avrà raccontato la storiella lentamente con voce chiara; sarà bene che abbia preparato delle schede che illustrano le fasi principali della giornata dell’uccellino da mostrare ai bambini durante la narrazione. Le finalità di questa operazione, oltre al piacere dell’intrattenimento e della condivisione, possono riferirsi alla verifica di alcune competenze (memoria, percezione spaziale e temporale, linguistica, ecc.) con domande del tipo: - Cosa c’è nel cielo, la mattina, quando Cippo si sveglia? - Cosa mangia Cippo? - Chi cerca per giocare? - Fino a quando gioca? - Cosa fa quando è buio? L’educatrice potrà anche invitare i bambini ad esprimere le preferenze rispetto alle immagini e quindi ai vari momenti della giornata. In un secondo momento si potrà sollecitare i bambini ad imitare l’educatrice stessa raccontando la storiella, utilizzando le schede illustrate così da coinvolgere emotivamente il gruppo di bambini che potrà interagire con ricchezza di immagini ed espressioni personali sollecitando il potenziamento delle capacità di espressione linguistica e la capacità di ricostruire la successione degli avvenimenti. Storie come queste possono sembrare troppo limitate e semplici agli occhi di zelanti educatrici, ma sono invece sufficientemente lineari per evitare che, come è capitato, i bambini restino frustrati per il fatto di non capire la complessità di certi contenuti. L’ALBERO DI NATALE: BASI CULTURALI E “DIDATTICHE” Comunemente nel mese di Dicembre ci si appresta a festeggiare il Natale, la tradizionale ricorrenza della presunta nascita di Gesù, che è il mito, più o meno riconosciuto, del popolo cristiano. Altri popoli, e sono tanti, con altre religioni, non riconoscono né Gesù come loro rappresentante “spirituale”, né il suo natale, cioè la sua nascita. In effetti è risaputo che la nascita di Gesù, censita dai romani, non corrisponde affatto al 25 Dicembre, che invece corrisponde all’antica celebrazione pagana (cioè dei non credenti in un solo dio) del solstizio d’Inverno, quando la notte più lunga e più buia dell’anno simboleggiava anche l’inizio del ritorno alla luce, quella luce che in seguito è stata attribuita all’avvento di Gesù Cristo. Si tratta di un culto del Nord Europa dove l’Inverno pare non finisca mai. E’ solo nel XVIII secolo (1.700) che venne inaugurata la festa celebrativa più o meno così come noi la conosciamo. Non a caso l’albero è un abete, quello tipico delle foreste del Nord Europa. Ma l’albero è da sempre e in tutti i luoghi anche e principalmente il simbolo della vita, come lo vediamo rappresentato già nel mito dell’Eden, dove la mela rappresenta il passaggio dall’incoscienza alla conoscenza (come 12 accade anche a Biancaneve che con la mela “avvelenata” passa dallo stato infantile a quello della giovinezza e dei desideri). Anche il Buddha si risveglia e ottiene l’illuminazione proprio sotto un grande e antico albero. L’albero cioè rappresenta simbolicamente la trasformazione dell’uomo che da solamente naturale si fa spirituale. Questi miti non sono stati inventati dall’uomo, come un film, ma si sono presentati alla mente dell’uomo dell’antichità come qualcosa di compiuto, come una rivelazione naturale o come un istinto che proviene dalla parte più profonda dell’essere. Il fatto che l’albero di Natale sia così addobbato richiama alla mente “l’albero della cuccagna”, pieno di abbondanza di tutti i tipi, un’abbondanza però che essendo soprattutto di natura spirituale viene rappresentata con “doni” che sembrano venire dal cielo, con “pomi”, cioè mele, rosse e cariche di vita ma anche dorate, cioè preziose, provenienti dalle regioni dell’anima, testimoniate anche dalle luci che riflettono, come un ricordo antico e profondo di cose perdute. Tutto ci racconta di un “nutrimento spirituale” che deve essere celebrato da chi non se ne nutre più. Allora ecco che con l’approvazione “dall’alto” si dà l’avvio a questo stordimento “festoso” che però non nutre e non soddisfa più nessuno, ma che si accetta perchè s’è sempre fatto. Ma i bambini no, non hanno bisogno di questo stordimento; i bambini ancora si nutrono a quella fonte che per tanti si è seccata. Non c’è bisogno al Nido di proseguire l’opera di suggestione che si compie a casa, altrimenti sarebbe inutile lo statuto degli Asili Nido che chiede di fornire al bambino un’autonomia che si sviluppa a partire dal lavoro e-ducativo cioè quel lavoro di ex-ducere – “condurre fuori”, esternare qualcosa che evidentemente è dentro, è già in loro. Si tratta infatti di “realizzare” quel “progetto” di vita che, come un puzzle invisibile è già dentro ogni bambino, quel “disegno” tracciato nello schema evolutivo personale che permetterà ad ognuno di loro di evolversi secondo natura e non secondo le superstizioni, i pregiudizi e le credenze. L’e-ducatrice, in quanto “conduttrice” di valori che devono “prendere forma”, non può presentare ai bambini qualcosa di pre-confezionato e condizionato da una sola cultura, specie in un momento come quello che stiamo vivendo, con una vastità di popoli provenienti da tutto il mondo e con culture completamente diverse le une dalle altre. Cosa allora una “conduttrice” potrà condurre senza cadere in una cultura escludendo così le altre? Se è vero che il Natale è l’allegoria della nascita dell’unico dio e dell’unica verità che vale per tutti, come possiamo lasciare emergere il senso di una sola cultura dimenticando le altre? Durante l’ambientamento non ci sono modalità che valgono per uno e non per l’altro bambino, non ci sono differenze in base alla cultura, e perchè allora dovremmo crearle noi? Le finalità e gli obiettivi del Progetto educativo sono orientate ad accogliere e valorizzare le differenze attraverso uno stile relazionale che non conosce i confini geografici e culturali. E’ proprio la presenza di altre culture che dovrebbe allargare i nostri confini mentali e creare le premesse per un ampliamento delle coscienze in direzione di una verità planetaria e non settaria. Ciò che va “condotto fuori” da ogni bambino è qualcosa di “puro”, di inedito e di nuovo, qualcosa di incondizionato che dobbiamo riconoscere come unico nella sua peculiarità. 13 Il lavoro che può essere portato avanti con i bambini durante il periodo che precede il Natale deve necessariamente tenere conto dell’ingenuità culturale degli adulti, ma non può divenire veicolo di quelle intenzioni e aspettative che durante il resto dell’anno si vuole evitare per lasciare liberi i bambini di elaborare il loro mondo a partire da una base neutrale e non culturalmente condizionata, faziosa e di parte. “Natale” è solo una parola per i bambini; se questa parola evoca fanatismi ed eccitazione in vista di Babbo Natale, dei regali o quant’altro, questo non è un problema che debba entrare in un Asilo Nido che abbia realmente compreso la lezione pedagogica della modernità. Pertanto si dice che l’ingenuità culturale degli adulti, intesi però come famiglia e non come educatori, potrà anche essere in parte soddisfatta, senza però che le reali ragioni del Nido vengano per questo snaturate. Si avrà pertanto cura di portare avanti progetti con i bambini che abbiano anche richiami con la festa dell’albero dai cui rami sbocciano degli oggetti pensati (dai bambini) per i genitori. Come sempre si avrà cura di portare avanti le ragioni del Progetto educativo che non ha a che vedere con le diversità di etnie e religioni ma con un terreno comune a tutti i bambini approfondendo le tematiche inerenti all’età e alle competenze del singolo. L’idea progettuale di un “albero della cuccagna”, un ramo cercato dai bambini esplorando il giardino, può essere un approccio iniziale ad un progetto basato sulla trasformazione della natura e alle risposte che a tale trasformazione i bambini danno, senza intermediari ma in piena autonomia. OSSERVAZIONE E DOCUMENTAZIONE: Ciò che deve essere osservato è lo svolgersi degli aspetti fondamentali del Progetto educativo e gli specifici processi in cui sono coinvolti i bambini, individuando senza nessuna interpretazione lo svolgersi dei fenomeni nel loro farsi, ed eventualmente stabilire come intervenire. L’osservazione (vedi allegato “A”) deve essere pura e senza interpretazioni personali perchè queste, comunque, distorcono la realtà. Deve essere una “registrazione” di ciò che accade, rilevando dati oggettivi che possano permettere una verifica. In passato si istituivano cartelle in cui venivano rilevate delle osservazioni specifiche riguardo il comportamento sociale, il livello di acquisizione del linguaggio, la motricità ecc. Le schede avevano incolonnate tutte le possibilità a cui si rispondeva con un “si” o con un “no” rispetto le capacità del singolo bambino. Per esempio si chiedeva se il bambino sapeva usare la forchetta, o se sapeva orientarsi nello spazio, o utilizzava i giochi in maniera corretta o se partecipava o meno alle attività proposte. Oggi forse potrebbe sembrare un questionario diagnostico, ma permetteva, a chi non è in grado di cogliere i fatti importanti che riguardano un bambino, di fornire indizi anche molto importanti che potrebbero passare “inosservati”. 14 Quasi anticipando il lavoro di riflessione che si compie con il Diario delle educatrici, attraverso l’osservazione ci si domanderà quali strategie si devono mettere in atto per superare certe difficoltà o per aiutare quel certo bambino a superarle. Osservando una certa situazione o un certo comportamento potremmo portare avanti un certo tipo di intervento o riflessione che andrà poi scritta nel Diario accompagnata dagli eventuali risultati. Sarebbe bene anche stabilire chi o cosa si ha intenzione di osservare e perchè, il contesto entro il quale si osserverà e in quale momento. Osservare per esempio qualcosa che generalmente passa “inosservato”, come le routine apre nuove prospettive di conoscenza dei bambini; anche il momento del pranzo è un veicolo di informazioni. L’osservazione precede la raccolta scritta del Diario in cui vengono appuntati momenti particolari che acquistano un significato per la storia del bambino e diventa una riflessione sulla pratica educativa portata avanti dalle educatrici che devono essere capaci di cogliere i fatti. Nel Diario vengono descritte le modalità dell’intervento educativo, le problematiche affrontate e i risultati degli interventi. Molto spesso però, nel Diario delle educatrici troviamo scritto ciò che i bambini hanno fatto, quasi un elenco delle meraviglie che i bambini compiono in virtù delle proposte delle educatrici che si sentono perciò gratificate. Ma l’intenzionalità delle educatrici non può esaurirsi nel descrivere “quanto” i bambini “si sono incuriositi” o cosa hanno trovato in giardino o di fronte al colore rosso. Si dovrebbe prendere nota di come i bambini reagiscono e se nascono dei problemi. Ma neanche va bene che il bambino sia visto e riconosciuto come un fenomeno problematico solo perchè una educatrice non è in grado di sostenerlo o contenerlo, ma ci domanderemo: “Cosa vogliamo raccontare del Progetto educativo che è il contenitore da cui tutto viene emanato?” E poi, pensando al modo di documentarlo ci dobbiamo chiedere “Come lo racconto?” – “A chi?”. Non si tratta di portare avanti un’azione educativa per documentarla, ma si porta avanti un’azione educativa che verrà documentata. 15 ALLEGATO “A” OSSERVAZIONE - ASILO NIDO Le Farfalle I bambini osservati appartengono alla sezione Medi, sono diciassette, con tre educatrici fisse e una mobile. L’andamento della giornata ha compreso i seguenti momenti: l’accoglienza (Medi e Grandi nella sezione Medi fino alle ore 8,30 c.), la colazione (frutta), attività varie, il cambio, il riposo, il ricongiungimento. ACCOGLIENZA (DESCRIZIONE): All’apertura delle 7,30 sono presenti due educatrici, Gaetana e Francesca (i nomi possono essere tutti inventati); alle ore 7,50 ci sono già due bambine. Entrano due genitori con la bimba Caterina, e dopo i saluti e le comunicazioni usuali, la affidano all’educatrice Francesca che, registrata sull’apposito notes la presenza della piccola, la invita sul tappeto insieme alle altre due bambine che stanno giocando con le costruzioni accanto all’educatrice Gaetana. Dopo qualche minuto arriva Nicolò; la mamma lo saluta, il bimbo entra tranquillo accolto da Gaetana. I bimbi seduti insieme alle educatrici sul tappeto giocano con costruzioni e macchinine; Nicolò lancia una piccola palla morbida e la rincorre, ma sopraggiunge una bimba più grande e se la prende. Ora arriva Andrea con la nonna che lo spoglia aggiungendo rivolta a Gaetana “Oggi pare che non faccia storie”; nel frattempo il piccolo si avvia velocemente verso la sezione dei Grandi per cui la nonna lo rincorre ridendo e, una volta “riacciuffato”, gli spiega: “Andiamo a mettere le scarpe a posto”, e aggiunge “ Ci sono le scarpette tue e quelle degli altri bimbi”. Mentre Andrea entra, Nicolò veloce passa attraverso il cancelletto, la nonna di Andrea gli dice con un sorriso: “Dove vai tu?” Interviene Francesca a riportarlo in sezione. Andrea raggiunge gli altri sul tappeto, sul quale tutti e cinque i bambini presenti giocano tranquilli ( sono le 8,15 ) emettendo qualche suono ( i più piccoli ) o interagendo verbalmente con le educatrici ( le due bambine più grandi ). L’educatrice Francesca prende un cestino con dei libri e li mette su un tavolino dove, nel frattempo, si sono dirette due bambine e, dopo aver aiutato una delle due a sedersi meglio ( girando la sedia ‘cubetto’ dalla parte più alta ), va ad accogliere Aurora che nel frattempo è arrivata portando un palloncino a forma di fiore. L’educatrice Gaetana le si avvicina, e dopo averle chiesto “cos’hai portato?” le propone di mettere il palloncino sul filo blu attaccato alla parete. Nel frattempo arriva l’educatrice Elisa e la collega Francesca si reca con i bambini grandi nella propria sezione, accogliendo, cammin facendo, gli altri tre bimbi appena arrivati. Arrivano Sara e Andrea (gemellini), il papà “spoglia” prima Sara e la affida ad Elisa, poi sempre con calma “prepara” il fratellino, lo saluta e va via. L’arrivo di Valentina, accompagnata dal papà è sereno. Intanto due bimbi piccoli si avvicinano al tunnel di gomma giallo e dopo essersi nascosti all’interno, uno esce e sorride all’altro. I bimbi si muovono nello spazio tranquillamente. Valerio arriva col papà, piange; il papà dice: “Oggi è così, ha detto ‘Nido oggi no’!...” Gaetana stabilisce col papà di affacciarsi alla finestra, e con Valerio in braccio (che ha smesso di piangere quasi subito) aspettano il passaggio del papà il quale si sofferma per risalutare il figlio che ora appare sereno. L’educatrice Gaetana torna sul tappeto e comincia a cantare una canzoncina mentre i bimbi le si fanno intorno. Gli arrivi in contemporanea di Luca e di Leonardo si svolgono regolarmente; lo stesso dicasi di Nicolò C. Tutti i 13 bambini presenti alle 8,55 sono disposti liberamente nello spazio con maggior concentrazione nei due tappeti centrali su cui stazionano, in attesa di altri arrivi, le educatrici Gaetana e Francesca. Poco prima delle ore 9.00 arriva l’educatrice Cristina, che sorridendo ai bambini presenti occupa il tappeto su cui era seduta Elisa, la quale si allontana dalla sezione con un bambino per rientrare subito dopo. Intanto entra Samuele che dopo un abbraccio scambiato con l’educatrice Elisa si avvia verso il tappeto dove l’educatrice Cristina sta leggendo un libretto ai bambini. 16 Anche Cristian e Ginevra entrano senza la minima difficoltà. La mamma del primo, dalla finestra si affaccia uscendo per rivedere il figlio, e vedendolo seduto in terra vicino ad altri bambini accenna un sorriso e si allontana. Le educatrici di tanto in tanto si scambiano qualche informazione circa i bambini. In questo momento il tunnel è “assaltato” da quattro bambini che in piedi battono con le mani sul tetto tondeggiante dello stesso per poi scivolare lungo i fianchi di morbida gommapiuma. Cristian, il più piccolo, gattona in ginocchio tentando con le mani di spingere in avanti una sedia ‘cubetto’ alla quale dopo poco si appoggia per tirarsi su in piedi, resiste qualche secondo e poi si siede in terra. Passa una bimba e gliela porta via. Cristian gattona altrove. Alle 9,20 arriva Greta, una bambina in ambientamento da circa una settimana; si stacca dalla mamma che la affida a Gaetana, la quale la abbraccia e bacia e poi la mette giù. La bimba va a prendere subito dei birilli colorati, li mette sul tavolino vicino a Gaetana poi si avvia sul tappetone vicino alla sopraggiunta educatrice Tania che le parla a voce bassa. Dopo una breve esplorazione torna da Gaetana che la accoglie a braccia aperte, al che Greta appare subito sorridente e si mette in braccio all’educatrice che seduta sul tappeto canta “il cocomero”. Due bambini giocano in piedi al pannello delle catenelle e serrature, poi guardando verso il cancelletto osservano l’arrivo di (un altro) Nicolò. Alle ore 9,30 sono presenti 17 bambini e 4 educatrici; vengono riposti i giochi dalle educatrici che, a piccoli gruppi, invitano i bambini a recarsi nella zona pranzo per la frutta. ACCOGLIENZA (VALUTAZIONE): Come da descrizione il clima durante tutta l’accoglienza è sereno e tranquillo. Si notano attenzioni da parte di una nonna che rimanda al nipote la dimensione collettiva del Nido, e si nota un buon uso delle seggioline a ‘cubetto’. A buon fine vanno anche alcuni piccoli interventi che riguardano il bisogno dei genitori di essere rassicurati circa il benessere dei figli. L’ultimo ambientamento (Greta), dovuto al ritiro di una bambina il mese scorso, è stato portato avanti serenamente. Ora la nuova bambina gioca autonomamente anche se a tratti torna a fare rifornimento affettivo da Gaetana che è l’educatrice di riferimento. Una nota nuova è la presenza di una bella tenda alla finestra della sezione. COLAZIONE ( DESRIZIONE ): Ore 9,40: Tutti i bimbi Medi, raggiunta la zona pranzo, si dispongono a 6 a 6 nei tre tavolini attorno ai quali trovano posto anche le educatrici che, preso il piattino con le banane già tagliate a rondelle, lo fanno circolare da bambino a bambino; dopo di che i bambini devono l’acqua dai bicchierini già predisposti all’interno di un vassoietto di metallo insieme alla brocchetta. Dopo circa dieci minuti, sempre a piccoli gruppi i bambini tornano in sezione dove cominciano i giochi e le attività COLAZIONE ( VALUTAZIONE ): La disposizione dei bambini intorno ai tavoli avviene in modo ordinato e abbastanza silenzioso. Il materiale dei bicchieri e della brocca è tutto in vetro come di consueto. Positivo è anche il modo di rientrare in sezione, di tre gruppetti, quelli dei rispettivi tre tavolini. LE ATTIVITA’ ( DESCRIZIONE ): Ore 10.00 circa: Anche stavolta i bambini silenziosamente si dirigono verso la sezione orientandosi sui tappetoni dove si sono sedute le due educatrici Gaetana e Cristina. I bimbi sono dieci, infatti gli altri sette sono andati nella zona sonno a giocare. L’educatrice Cristina interviene relativamente ad 17 un litigio tra due bambini a causa di un giocattolo conteso. Due berretti in lana, passando di mano in mano vengono indossati dai bambini, più o meno agevolmente in relazione all’età. Alcuni sorridono durante il tentativo di infilarseli in testa e provano e riprovano. Intanto Gaetana, dopo aver allestito nella zona pranzo una sabbiera contenente pasta, lascia il cancelletto aperto per consentire il passaggio dei bambini che attratti dalla novità escono quasi tutti. L’educatrice interviene dicendo ad alcuni di loro ( 5 ) “noi ci andiamo dopo”, e richiuso il cancelletto pone al centro del tappeto un cesto con pentolini, catenelle e materiali vari. I bambini “pescano” dal cesto, guardano interessati gli oggetti, li battono sul tappeto, li agitano per sentire il rumore, li maneggiano, si portano al collo le catenelle in plastica, li dispongono a mucchietti ecc. Ginevra trova un mazzo di chiavi e avvicinatasi al cancelletto prima sbircia attraverso le doghe gli amici intorno alla sabbiera, poi con le chiavi tenta di aprire il cancelletto. Dopo un po’ alcuni bimbi, sotto la guida dell’educatrice, passano dalla sabbiera alla sezione e viceversa. Nel frattempo accanto alla sabbiera è stato allestito un tavolino dove alcuni bimbi in piedi giocano con degli animali di gomma provando a metterli dentro un contenitore blu. All’interno della sezione l’educatrice Cristina passa con il cestino raccogliendo i materiali che i bambini lasciano cadere dalle loro manine direttamente dentro il cestino che viene così riposto. Poi prende un libro e circondata da cinque bambini si siede su un tappeto; uno di loro si stacca e va a infilarsi nella tana raggiunto poco dopo da un altro bambino. Una bambina si alza per andare a maneggiare il pannello delle serrature e chiavistelli posto lì vicino. Intanto rientra qualcuno dalla sabbiera e si unisce al gruppo dei “lettori” che di tanto in tanto cercano di accaparrarsi il libro degli animali (oggetto di contesa). – Dalla zona pranzo giunge improvviso un pianto accorato: una bambina ha battuto incidentalmente la fronte al tavolino di legno. Viene prontamente soccorsa e consolata, le viene applicato del ghiaccio, e poi la pomata ARNICA. Dopo poco la bambina torna tranquilla ai suoi giochi. Alle 10,45 circa, i due sottogruppi si ricongiungono mentre il terzo gruppo formato da 6 bambini si trova nella zona sonno dove l’educatrice Tania sta giocando con un foulard, nascondendo di volta in volta il viso dei bambini per poi svelarlo sorprendendo gli altri. Nella suddetta stanza ci sono anche dei libri, le costruzioni e le sacche del gioco euristico. LE ATTIVITA’ ( VALUTAZIONE ): Anche questa parte della mattinata viene vissuta con entusiasmo da parte di tutti. Ci si pone il dubbio circa l’idea di “rispolverare” le modalità di utilizzo del cestino dei tesori. Con le educatrici ci si sofferma sull’opportunità di informare telefonicamente la mamma della bimba che ha battuto la fronte per “prepararla” quando arriverà nel pomeriggio alla vista del “bernoccolo”. Di fatto, questo tipo di accortezza rientra nelle ordinarie modalità del servizio. IL PRANZO ( DESCRIZIONE ): Finite le attività, come di consueto, i bambini si recano al bagno in piccoli gruppi per lavare le manine o essere, all’occorrenza, cambiati. Come per il momento della frutta ogni bambino riprende il proprio posto, e difatti si ritrovano tutti seduti quando arriva il carrello con le scodelline per la pasta e fagioli; mangiano quasi tutti con il cucchiaino, qualcuno si aiuta con le manine. In ogni tavola trovano posto i vassoietti con i bicchierini d’acqua, che i più tengono davanti a sé mentre qualcuno lateralmente. Le educatrici servono lo sformato di patate e verdure. I bimbi che hanno finito tornano in sezione; altri si attardano rimanendo con un’educatrice. Anche in questa occasione, come per la mattina, i bimbi vengono divisi in tre sottogruppi alternandosi nella zona sonno. Si gioca prima con le palline che vengono rincorse da alcuni; poi si ascolta un po’ di musica, precisamente canzoncine che i bambini mimano stando in piedi sotto alla mensola dell’apparecchio CD, cioè in direzione della fonte sonora. 18 IL PRANZO ( VALUTAZIONE ): Anche il pranzo si svolge con regolarità. La divisione in sottogruppi consente una migliore gestione e assicura un clima di maggiore serenità. CAMBIO ( DESCRIZIONE ): Intorno alle 11,40 mentre i due sottogruppi rientrati in sezione giocano liberamente, inizia contestualmente il momento del cambio che si svolge nella zona apposita all’interno della sezione per i cambi “leggeri”, e nel bagno dei grandi per gli altri. CAMBIO ( VALUTAZIONE ): Il momento del cambio avviene con cura e precisione. RIPOSO ( DESCRIZIONE ): Subito dopo le ore 12.00 i bambini raggiungono la zona sonno che nel frattempo è stata approntata con lettini a cassetto e materassini; all’interno trovano posto circa dieci bambini; per gli altri viene allestita la zona limitrofa alla precedente. Così, in penombra, i bambini si addormentano alla presenza di due educatrici. RIPOSO ( VALUTAZIONE ): I bambini si recano volentieri nel luogo del riposo e non hanno difficoltà ad addormentarsi. RICONGIUNGIMENTO ( DESCRIZIONE ): L’unico ricongiungimento entro le ore 14.00 è quello di Greta. Quando suona il citofono la bambina ripete più volte “è mamma…”, segue l’educatrice verso l’apposito armadietto per il cambio delle scarpette e, dopo aver anche indossato il cappottino, esce in giardino, si avvia verso la casetta di plastica, entra e si affaccia dalla finestrella dalla quale vede arrivare la mamma. Questa si informa presso l’educatrice sulla mattinata trascorsa dalla figlia al Nido. A partire dalle 14,10 alcuni bambini si svegliano e trovano ad aspettarli due educatrici. A gruppetti giocano liberamente fino a quando la sezione è al completo. Dopodiché parte una musichetta che i bambini certamente conoscono perchè si muovono, a modo loro, seguendone il ritmo. Alle 15,30 circa, con le modalità già descritte, i bambini fanno la merenda (pane sciapo di Blera tagliato a fettine fine e marmellata). Vengono distribuite le fettine e improvvisamente cala il silenzio. Dopo la merenda e dopo essere stati puliti i bambini vengono divisi negli spazi in attesa dell’uscita che avviene prima delle 16,30. Quando entrano i parenti quasi tutti i bambini sono intenti a giocare con costruzioni di vario genere. All’improvviso Nicolò comincia a piangere. Ma subito dopo viene consolato dalla stessa mamma che s’è fatta strada tra le persone. RICONGIUNGIMENTO ( VALUTAZIONE ): Interessante la disinvoltura che Greta dimostra dopo poco tempo dall’inizio dell’ambientamento. La bambina in giardino, pur intuendo l’entrata in scena della mamma si compiace di nascondersi nella casetta posta sotto la palma per uscire allo scoperto subito dopo. 19 Si fa evidente che i bambini apprezzano molto la merenda; subito dopo aver bevuto volentieri l’acqua alcuni di loro, tra i più grandi, battono allegramente le mani sul tavolo. Insolitamente, all’apertura (anticipata per richiesta e comodità), tra i genitori e i nonni ne sono arrivati molti tutti insieme, intonando entusiastici auguri natalizi. Presumibilmente, a causa di questo momento di “confusione” Nicolò, non individuando subito il volto della mamma fra tutti i genitori, si mostra smarrito e non trattiene il pianto. RESOCONTO DELL’ INCONTRO PARTECIPATO TRA LE PARTI: Come di consueto, al fine di ottimizzare i tempi, le educatrici partecipano all’incontro con entrambi i coordinatori suddivise un due sottogruppi. Dopo la lettura delle osservazioni si analizzano le tematiche educative scaturite dalle stesse: Relativamente all’accoglienza riteniamo opportuno soffermarci sulla frase della nonna di Andrea “Ci sono le scarpette tue e degli altri bimbi…”, attraverso la quale emerge la dimensione collettiva del Nido, ossia l’esistenza degli “altri” che aiuta il bambino a superare, gradualmente, il suo senso di onnipotenza e facilita il passaggio dal principio del piacere (da cui il bambino è “governato”) a quello di realtà (con il quale, prima o poi, bisogna fare i conti). La sedia polifunzionale a “cubetto” ed il gesto apparentemente scontato dell’educatrice Francesca, ci consentono di parlare del ruolo di ‘facilitatore’ dell’adulto (come insegna la Montessori) attento ai bisogni dei bambini, ma soprattutto di ‘anticipatore’ degli stessi. Ciò permette di offrire ai bambini uno spazio pensato, pianificato ed organizzato nei minimi particolari, tale da soddisfare il bisogno di esplorazione a garanzia del loro benessere generale. Anche i gesti calmi del papà dei gemellino Sara e Andrea ci offre lo spunto per approfondire la tematica dell’individualità dei gemelli che non vanno assimilati come fossero un tutt’uno, ma come portatori di personalità distinte, con tutto ciò che ne consegue al livello di desideri, emozioni, pensieri ecc. Pertanto sarà cura delle educatrici offrire loro opportunità relazionali differenziate pur nell’ambito di una stessa sezione (per esempio organizzare giochi in due distinti sottogruppi). Rispetto all’episodio del papà di Valerio, si pone l’accento sull’importanza di concordare e condividere con i genitori strategie educative adeguate alle necessità dei bambini. Ciò crea un’alleanza psicologica fra educatrice e genitori alimentando un più profondo senso di fiducia. Facendo riferimento al momento delle attività si è parlato dei piccoli incidenti che fatalmente possono accadere durante la permanenza dei bambini al Nido, della necessità di mantenere la calma, di intervenire tempestivamente e dell’opportunità di comunicare telefonicamente ai genitori dell’accaduto al fine di spiegare, quali dirette testimoni, la dinamica dei fatti. Ciò dà la possibilità al genitore di avere notizie e chiarimenti di “prima mano” e in tempo reale per decidere il da farsi. Si specifica inoltre, l’importanza e la peculiarità del famoso “cestino dei tesori”, nonché l’opportunità di differenziare quello contenente materiali non strutturati di vario genere offerto da un’educatrice. Il cestino dei tesori infatti, è diretto ad una fascia di bambini più piccoli in grado di stare seduti ma non ancora di camminare. E’ proprio questo che determina le modalità di fruizione dello stesso cestino; mentre ai bambini della sezione Medi può essere offerta la “scatola dei Tesori”. Tra gli appunti dei Diari si legge inoltre, dell’introduzione di un piccolo libro cartonato raffigurante oggetti relativi al pasto: piatto, posate, bavaglino, ecc. Tale libro, guardato nel momento che precede il pasto, sembra essere “atteso” dai bambini (“Ora lo aspettano”, dice un’educatrice) e aver assunto valenza di ‘rituale di passaggio’. 20 IL BAMBINO CHE MORDE: Perché si comunica con i denti? – Cosa si vuole comunicare? Spesso si dice che è una forma di relazione affettiva che richiama l’ormai perduto senso che la bocca aveva durante l’allattamento. E’ comunque certo che per il bambino si tratta di una forma diretta di conoscenza delle cose esterne. Con la bocca ci si nutre e si comunica, ma è anche la sede dei denti che spuntano e provocano dolore, così come doloroso è stato abbandonare il seno materno. A chi morde verrebbe da chiedergli (e si dovrebbe chiedere alla mamma) se ha ricevuto il latte direttamente dalla mamma o se il seno gli è stato tolto troppo presto o troppo tardi, e in questo caso potremmo anche supporre che il suo piacere è stato interrotto o prolungato, e lo cerca in tutto ciò che è umano, vivo, gonfio e morbido. E’ il “principio del piacere” che con caparbio desiderio cerca ancora soddisfazione. Potrebbe però anche trattarsi di una reazione alla paura, una difesa momentanea che pertanto non va stigmatizzata per non dare l’avvio ad un ruolo (quello del morsicatore) che rischierebbe di consolidarsi a causa del pregiudizio degli adulti. Si dovrà invece avere cura di riconoscere le circostanze, per esempio osservare se viene morso sempre lo stesso bambino oppure se si rivolge indistintamente a tutti, o solo a chi gli toglie il gioco, ecc. Osservare se nel momento cruciale si tratta solo di attacco o di difesa. L’educatrice si dovrebbe anche domandare se quel bambino subisce un atteggiamento autoritario da parte degli adulti, o se lo spazio al Nido è sufficientemente adeguato ai suoi bisogni, se è cioè accogliente e stimolante. Uno spazio male organizzato può creare conflitti tra bambini; oppure i conflitti che il bambino percepisce nell’aria sono quelli dei genitori a casa o delle stesse educatrici al Nido. Per imparare a relazionarsi i bambini hanno certamente bisogno di scambi, che a volte si traducono in piccoli conflitti. L’educatore non dovrà necessariamente intervenire, specie se l’eventuale litigio si è appena manifestato e non si prevedono reali incidenti. L’intervento troppo tempestivo dell’educatore può bloccare un’azione pulsionale che il bambino deve poter avere modo di sentire e il tempo di conoscere realizzandola in piena libertà. C’è anche la possibilità che un bambino morda perchè a casa tutto gli è consentito, o perchè il papà che resta fuori casa molto tempo si senta per questo un po’ in colpa e allora dà libero sfogo a giochi fisici in cui sembra che si mordano a vicenda come fanno i felini. A volte può essere molto utile mettere a confronto il morsicatore e il morsicato in uno spazio protetto in cui possano giocare, anche con i genitori presenti se è necessario, poiché a volte il numero di bambini elevato può agitare alcuni di loro, specie se hanno problemi di identità, cioè rischio di spersonalizzazione. Quando infatti è a rischio la sua stabilità ontologica, il bambino è incerto e disorientato, e può reagire in modi imprevisti. Questo è il momento in cui ha più bisogno di essere contenuto dall’adulto. 21 LE ATTIVITA’: Le attività riguardano i diversi contesti di esperienza: psicomotorie, grafico-pittoriche, di manipolazione, assunzione di ruoli, di narrazione ecc. Fare delle attività in cui c’è bisogno di spiegare troppe cose non serve a niente. Le educatrici non dovrebbero mai sostituirsi ai bambini creando, per esempio, cartelloni complicati di cui i bambini non possono beneficiare come un’esperienza propria. E’ anche sbagliato appendere troppo in alto i “lavoretti” dei bambini, perchè per loro è come se sparissero, insieme alla loro improbabile esperienza. Il ruolo dell’educatore è quello di mantenere e sostenere il piacere del bambino (e non il proprio) nelle attività che lo accompagnano verso le diverse esperienze, abilità e i diversi apprendimenti. E’ pertanto necessario proteggere il bambino da quelle condizioni che potrebbero inibirlo e frustrarlo. Se facciamo richieste inappropriate, più grandi di lui, rendiamo il bambino insicuro e goffo. Se durante un’attività qualcuno dei bambini non vuole partecipare come invece sembrava inizialmente, bisognerà capire perchè senza necessariamente prenderlo in braccio, perchè tale “coccola” in futuro potrebbe continuare a sostituirsi alle attività. La verifica sull’atteggiamento passivo del bambino va fatta ripresentandogli a distanza di tempo la stessa attività un po’ “mascherata diversamente”. Nell’attività di “travasi di pasta” non c’è da stupirsi se qualche bambino avrà la tendenza a mettersela in bocca, visto che poi gliela facciamo trovare nel piatto a pranzo. Ed è inutile cercare di spiegare al bambino qual è la differenza, perchè comunque sarebbe una sterile spiegazione che non lo convincerebbe mai. Si tenterà invece di mettere a disposizione del gioco un tipo di pasta alternativo al menù, una pasta che per la difficoltà a masticare non si mangia al Nido, come le “rotelline” o le “farfalle” che nel caso nostro sarebbero molto coerenti e credibili… Per i più grandi dei Grandi che conoscono ormai bene il Lego e i suoi colori, si potrebbe improntare un progettino che prevede l’utilizzo di pezzetti di carta velina colorata da loro stessi strappati e poi incollati con lo stick su cartoncini colorati, fino a formare un fitto mosaico. Per rinforzare il senso di questi lavori potremmo svilupparne la conoscenza cromatica attraverso le rime di una filastrocca: “Noi siamo il rosso e il giallo – facciamo insieme un ballo e per combinazione – viene fuori l’arancione. Noi siamo il giallo e il blu –e non balliamo più – abbiam tanto ballato che il verde abbiam formato. Noi siamo il blu e il rosso – giriamo a più non posso – uniti nell’affetto formiamo un bel violetto. Noi siamo blu, rosso e giallo – e dalla nostra unione viene fuori un bel marrone”. Le canzoncine usate dalle educatrici, dovrebbero poter essere mimiche e gestuali per stimolare il bambino all’imitazione. Le parole da sole non hanno senso per lui, o quasi; sono parte del ‘motivetto’ musicale ma non sono propedeutiche; per esserlo hanno bisogno di riferimenti spaziali, cioè corporei (in quanto il corpo si muove – inevitabilmente – nello spazio). 22 DOMANDE – STIMOLO NEL COLLOQUIO PRELIMINARE CON I GENITORI: Per prima cosa prendere appunti su nome e cognome di tutti in famiglia e i numeri telefonici. Poi: - Principali abitudini del bambino. - I giochi preferiti. - Cosa mangia e cosa non mangia – in che orario (dovrà abituarsi e attenersi a quello del Nido). - Eventuali intolleranze alimentari. - Abitudini del sonno (a che ora?; è cullato? Porta con sé un oggetto? Il ciuccio? Ecc.) - Ha già frequentato il Nido? (se non è troppo piccolo). Com’è stata l’esperienza? - Come si relaziona con gli altri bambini? E con gli adulti? - Aspetti del carattere del bambino. -Il tempo dell’attesa del piccolo (stati d’animo ecc.) e l’esperienza della gravidanza ecc. - Cosa vi aspettate da questa nuova esperienza? - Raccontare e definire i modi e i tempi dell’ambientamento (che si dovranno ben conoscere). - Raccontare come si svolge la giornata al Nido (dando modo al genitore di capire). - Raccontare gli obiettivi del servizio* * (questo degli obiettivi è un discorso a parte. Tutti i nostri libri ne parlano e anche questa dispensa. Gli obiettivi comunque sono quelli del Progetto educativo. Se un’educatrice non li conosce è meglio che cambia mestiere. (Comunque lo scrivente è sempre a disposizione per rivedere l’argomento). - Definire l’occorrente necessario per il permanere del bambino al Nido (cambio, lenzuola, ecc.) E’ fondamentale che le informazioni apprese non restino lettera morta. L’educatrice non dovrà accontentarsi di aver fatto questo colloquio solo perchè va fatto e poi, con un sospiro di sollievo, dimenticarsene. Le informazioni prese sono già parte del lavoro di conoscenza del bambino grazie alla quale ci si potrà permettere di fare pronostici e programmare un intervento, almeno quello iniziale, il più delicato. Per le modalità di relazione-intervento con i genitori, e vista la delicatezza dell’assunto si rimanda a “L’autonomia progettata”, da pag.32 a pag.35. 23 REGOLE GENERALI: - E’ strategia il saper cogliere simultaneamente tutti gli aspetti esistenti, quindi quelli presenti e quelli potenziali (le cose che potrebbero accadere se…), e cioè avvantaggiarsi: quindi preparare gli interventi (transizioni, giochi, attività, routine), predisponendo delle situazioni che facilitino il lavoro. La strategia impedisce di farci trovare impreparati, e pertanto l’insorgere del disordine deve essere prevenuto “pensando prima”, creare le condizioni per evitare la confusione nel transito dei bambini dalla sezione alla mensa e viceversa; nel farli mettere seduti senza che debbano attendere il pasto evitando così l’inquietudine dei bambini. Le transizioni devono essere riconosciute dai bambini e accettate come un gioco, orientandoli in procedure riconoscibili e piacevoli. Ogni spazio dovrà essere lasciato in ordine, sgombro da tracce di attività precedenti in modo che ogni esperienza risulti perfettamente compiuta. Ogni ambiente esercita una diretta influenza sul comportamento dei bambini e pertanto l’organizzazione e gli spazi all’interno del Nido hanno un valore e un significato di intenzionalità educativa che l’educatore deve conoscere e apprezzare per consentire ai bambini di organizzare le proprie esperienze e conoscenze. - Si dovrà prestare particolare attenzione nell’assegnare un posto ad ogni cosa, valutandone di volta in volta il grado di funzionalità. - Non si può chiedere a un bambino che piange di sedersi, né lo si prende inutilmente in braccio (ha sonno?) - Nelle transizioni i bambini saranno radunati per gruppetti e accompagnati da un’educatrice che li precede. Mai tutti insieme. - I lettini verranno sistemati mentre i bambini pranzano. - All’accoglienza della mattina è giusto che il genitore si faccia carico della separazione già prima di entrare al Nido, senza tenerli in braccio – se possono camminare – e senza scavalcare il cancelletto. L’educatrice dovrà spiegare e rifiutarsi di accoglierlo al di sopra del cancelletto, ma abbassarsi al suo livello. - Senza delega del genitore nessuno ritira un bambino, e resta fuori della struttura. - E’ assolutamente inutile cercare di convincere un bambino a compiere un’azione servendoci delle parole, per quanto persuasive, ma bisogna accompagnarlo a rispettare certe regole facendogli sentire che lo comprendiamo. Frasi del tipo: “Non puoi fare come vuoi tu”, accompagnate da un moto di stizza irrigidiscono il bambino che imparerà a mancarci di rispetto. Un atteggiamento persuasivo deve essere accompagnato da complicità, da una spiegazione indirizzata da un linguaggio ludico e fantastico. - Consolare un bambino può creare dipendenza se questo può rappresentare per il bambino una facile vittoria sulla debolezza di un’educatrice che non sa cosa altro fare. Solo nel reale 24 bisogno di affettività o sicurezza è consigliabile scegliere di prenderlo in braccio; con un’azione attiva, e non passiva. - Ad un bambino che piange non va detto che “mamma è andata al lavoro”, perché questo non significa niente per lui. Il “lavoro” potrebbe anche essere qualcosa che non gliela restituisce più, a meno che la mamma non usi dire la stessa cosa. - Quando una mamma afferma che il suo bambino non mangia “questo” o “quello” è probabile che il bambino continuerà a non mangiarlo. Un educatore non può accontentarsi di una tale banalizzazione e lasciare subito la presa smettendo di sentirsene responsabile. Si deve tenere conto, e questo va detto, che ogni bambino ha i suoi tempi, e non è affatto un fenomeno compiuto ma appena iniziato, e l’adulto non deve rassegnarsi ma capirne le ragioni. Le educatrici non devono emettere giudizi, ma cercare soluzioni ai problemi. E questo vale per tutte le azioni e le mansioni che tendono a realizzare appieno il Progetto educativo. - Si deve evitare di restare sedute specie in presenza dei genitori. - All’esterno si avrà cura di organizzare comunque interventi in linea con il Progetto educativo, evitando di lasciarsi andare alla de-responsabilizzazione (v. “Autonomia progettata, pag.41-42) - Ogni responsabilità ricadrà su chi avrà omesso di prendersela. - I fatti personali dovranno restare fuori del cancello. Tutto ciò scritto è solo una puntualizzazione su aspetti che si ripresentano nel tempo; è una breve guida che non elude la necessità di approfondire i temi qui non trattati. Quanto scritto non deve rimanere solo teoria. Non ci si potrà accontentare solo di provare soddisfazione per quegli argomenti facilmente compresi; non ci si dovrà accontentare di aver capito solo qualcosa, ma tutto. Solo attraverso l’approfondimento di quanto qui scritto si potrà capire realmente. Tutto potrà essere discusso ma mai ignorato. Si avrà quindi l’obbligo di soddisfare tutto ciò qui contenuto, intendendolo come traccia del lavoro di cui ci si è presi incarico. © Karuna s.r.l. 2013 – Proprietà riservata www.lefarfalle.it 25 26