L’IDEOLOGIA DEL GENDER
MITI E REALTÀ
La frattura
Scienza & Vita Firenze
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L’IDEOLOGIA DEL GENDER
MITI E REALTÀ
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registrata o trasmessa, in qualsiasi modo e con qualsiasi mezza, salvo il preventivo
consenso dell’Associazione Scienza & Vita Firenze
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INDICE
Presentazione
Dr. Marcello Masotti
Relazioni
pag.
Il sesso come dato biologico e le teorie del gender
Dr.ssa Chiara Bencini
Famiglia o famiglie – sesso o genere
Il punto di vista del teologo
Padre Maurizio Faggioni
Demitizziamo i miti – La risposta a 10 miti diffusi
dall’ideologia del “gender”
Dr.Daniele Mugnaini
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1
17
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PRESENTAZIONE
Dr Marcello Masotti
Presidente Scienza &Vita Firenze
A distanza di cinque anni dalla pubblicazione degli Atti del
Convegno “l’ideologia del gender maschio e femmina,
natura e cultura”, Scienza &Vita Firenze torna ancora su
questo tema.
In mezzo alla crisi antropologica, morale ed educativa che
attanaglia l’Occidente, ci sono stati negli ultimi tempi nel
nostro paese, due eventi di gravità dirompente connessi al
gender e all’omosessualità: il disegno di legge Scalfarotto
che, sotto le vesti della lotta alla omofobia, in realtà mette in
discussione le libertà di religione e di parola, di cui agli artt.
19 e 21 della Costituzione, e il tentativo di diffusione nelle
scuole dei libretti dell'Unar che dietro l’educazione contro le
discriminazioni omofobe, in realtà mira a sovvertire
consolidate tradizioni di vita e di civiltà e a portare tra i
giovani l’ideologia che il sesso è questione non di natura ma
di cultura e che è, pertanto, intercambiabile.
Questi fatti, insieme alle martellanti direttive europee di
carattere radicale/laicista, ai pronunciamenti delle Corti di
giustizia europee, alle sentenze cosiddette “creative” degli
organismi della Magistratura italiana e anche a
pronunciamenti della Corte Costituzionale assunti contro
leggi approvate dal parlamento e confermate dagli elettori
col 75% dei voti, come nel caso della fecondazione
4
eterologa, inducono molti a pensare che nel nostro paese si
ponga anche una “questione democratica” che mette in
discussione la volontà popolare e i fondamentali diritti e
libertà.
In recenti interventi del Cardinal Bagnasco e dello stesso
Papa Francesco sono risuonate queste preoccupazioni,
quando hanno parlato di “ideologia”e di “pensiero unico”
cioè di alcuni tipici connotati delle dittature che hanno
travagliato il novecento.
Il Presidente della Cei nella prolusione ai lavori
dell’Assemblea del 24 marzo 2014 ha testualmente
affermato: “le ideologie deformano la comprensione che la
ragione e il cuore hanno della realtà, facendo di un’idea
particolare un assoluto... se in decenni passati si poteva
parlare di tramonto delle ideologie, oggi dobbiamo
riconoscerne il ritorno, magari sotto vesti diverse, ma con la
medesima logica e arroganza”... “É la lettura ideologica
del “genere” - una vera dittatura - che vuole appiattire le
diversità, omologare tutto fino a trattare l’identità di uomo e
donna come pure astrazioni”.
Papa Francesco nell’udienza all’ufficio per l’infanzia del 12
Aprile 2014: “con i bambini e i giovani non si può
sperimentare ... Gli orrori della manipolazione educativa
che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del
secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità
sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità,
spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada
dittatoriale del “pensiero unico”.
“Se l’occidente vuole corrompere l’umanesimo, sarà
l’umanesimo che si allontanerà dall’occidente e troverà,
come già succede, altri lidi meno ideologici e più sensati”,
5
aggiunge il cardinal Bagnasco. Per la rinascita morale e
spirituale fa appello alle antiche virtù, all’impegno nei
doveri quotidiani, al senso profondo della famiglia, alle
solidarietà nelle relazioni. Ma a fronte del tentativo di fare
della scuola dei “campi di rieducazione e di
indottrinamento”, il Cardinale rivolge un appello alla
mobilitazione: “i figli non sono materiale da esperimento in
mano di nessuno, neppure di tecnici o di cosiddetti esperti. I
genitori non si facciano intimidire, hanno il diritto di
reagire con determinazione e chiarezza: non c'è autorità che
tenga”. La stessa mobilitazione è necessaria anche fuori
della scuola, perché valori fondanti della nostra civiltà
umana e cristiana non siano affossati. Il confronto e la
mobilitazione richiedono coraggio ma anche chiarezza di
idee.
Da tale esigenza questa nostra “fatica”, un libretto compilato
con l’apporto di competenze di livello biologico, psicologico
e teologico, con l’intento pratico di fornire a chi si trova a
confrontarsi e a dibattere nella scuola o nella società sui temi
del “gender” degli argomenti, vorremmo chiamarli di
“verità”, per fare un po’ di chiarezza contro le manipolazioni
imperanti dei fatti e delle idee.
6
Il sesso come dato biologico
e le teorie del gender
Dott.ssa Chiara Bencini
PhD in Fisiologia, Docente
Volendo riassumere sinteticamente il concetto chiave
dell’ideologia del gender possiamo affermare che secondo
questa concezione il sesso di un individuo non è costitutivo
della persona ma risulta dall’insieme dei condizionamenti e
degli stereotipi di natura sociale, culturale ed educativa che
attribuiscono un ruolo sociale alla persona, determinandone
il suo sviluppo in senso maschile o femminile.
Sebbene sia indiscutibile che la vita degli uomini e delle
donne sia stata, e sia tuttora in alcuni casi, condizionata da
rigidi ruoli sociali stabiliti a livello culturale, diversi a
seconda della società di appartenenza, non si può però
prescindere dal fatto che ogni essere umano sia fin dal
momento del concepimento connotato in senso maschile e
femminile.
Questa differenziazione sessuale si può ritrovare anche negli
animali e nelle piante ed è connessa con una
specializzazione per la riproduzione e il perpetuarsi della
specie.
71
La determinazione del sesso nella specie umana: come i
fattori biologici sono reinterpretati alla luce delle gender
theories.
Si parla di sesso genetico quando ci si riferisce al corredo
cromosomico di un individuo: nella specie umana i
cromosomi sono 46, due dei quali, detti appunto cromosomi
sessuali, contraddistinguono il maschio, XY, e la femmina,
XX.
Il sesso genetico è stabilito al momento della fecondazione,
cioè quando lo spermatozoo incontra l’ovulo nelle tube.
Ogni individuo è perciò caratterizzato da un ben preciso
sesso genetico.
A seconda che il sesso genetico sia XX oppure XY si
svilupperanno gonadi diverse, ossia l’apparato riproduttivo
femminile (ovaie, tube ,utero, vagina) o maschile (testicoli,
vescichette seminali, prostata), al quale si fa riferimento per
stabilire il sesso gonadico.
I due apparati riproduttivi maschile e femminile producono
a loro volta ormoni diversi che indirizzano l’aspetto
esteriore dell’individuo in senso maschile o femminile
controllando lo sviluppo dei genitali esterni e dei caratteri
sessuali secondari (peli e barba, voce acuta o profonda,
sviluppo delle mammelle, etc.). Si parla in questo caso di
sesso fenotipico, cioè quello che è visibile dall’esterno.
Da tutti questi eventi dipende lo sviluppo del sesso psichico,
ossia il “sentirsi” e riconoscersi maschio o femmina (oggi
indicato anche come identità di genere) e l’adottare ruoli e
2
comportamenti tipici di un sesso i quali sono, in parte, anche
stabiliti a livello sociale e culturale.
Numerosi sono i geni implicati nella determinazione del
sesso tra cui SRY che si trova sul cromosoma Y, SOX9 sul
cromosoma 17, WT1 sul cromosoma 11 e altri ancora. Il
cromosoma Y contiene geni e famiglie di geni che svolgono
un ruolo critico nei processi di determinazione del sesso,
differenziamento dei testicoli e maturazione degli
spermatozoi.
Come per altre malattie genetiche può accadere che questi
geni siano difettosi o vengano a mancare per rotture
cromosomiche o siano in più se ci sono traslocazioni
(frammenti di cromosomi che si fondono con cromosomi
diversi). In questi casi si verificano diverse sindromi in cui
ci sono discrepanze tra il sesso genetico, sesso gonadico e
sesso fenotipico.
Ad esempio nella sindrome di Swyers il gene SRY sul
cromosoma Y non funziona o è del tutto assente e nei vari
sottotipi della malattia sono presenti anche altri difetti
genetici: abbiamo perciò generalmente un individuo con
sesso genetico XY ma genitali interni ed esterni di tipo
femminile.
Gli organi riproduttivi sono poco sviluppati e sono soggetti
ad un aumento del rischio di tumori; mutazioni del gene
SOX9 in individui XY portano all’espressione di genitali
femminili e organi riproduttivi femminili poco sviluppati;
alcune mutazioni del gene WT1 fanno sì che individui XY
sviluppino genitali esterni femminili normali, gonadi appena
abbozzate e nefropatia che evolve in insufficienza renale
nell’adolescenza.
3
La corretta differenziazione degli apparati riproduttivi
dipende anche dalla adeguata secrezione e dal
funzionamento degli ormoni, in particolare gli androgeni, tra
cui testosterone e diidrotestosterone che, se nel periodo della
gestazione non vengono prodotti o non riescono a
funzionare, totalmente o parzialmente, non potranno
sviluppare nel feto le strutture riproduttive maschili. Alla
nascita avremo quindi la presentazione di un aspetto
femminile o con vari gradi di ambiguità dei genitali, pur
essendo presente un corredo cromosomico XY (sindrome da
insensibilità agli androgeni).
Tutti i soggetti affetti dalle malattie ricordate (solo alcune
delle possibili patologie che si possono sviluppare data la
complessità dei meccanismi biologici preposti alla
determinazione del sesso) sono in ogni caso sterili e durante
la loro vita dovranno affrontare, oltre a questo problema,
anche tutte le difficoltà psicologiche connesse con sviluppo
incompleto o ambiguità dei genitali che condizioneranno le
loro relazioni e potranno compromettere anche
l’accettazione di sé. In molte di queste patologie esiste poi
un aumentato rischio di sviluppare tumori all’apparato
riproduttivo e problemi renali.
La medicina tratta questi casi come patologie, tutte inserite
nell’elenco delle malattie rare, e oggi c’è la consapevolezza
che è importante prendersi cura anche della dimensione
psicologica del soggetto, tenendo conto del diritto dei
pazienti a dare un senso alla propria condizione e ad
accettarla senza ingenerare ulteriore malessere, così come è
necessario supporto ai genitori in modo che anch’essi
accettino la malattia e agiscano con le migliori strategie
educative. Particolarmente importanti sono risultati a tal fine
4
i gruppi di auto-aiuto che permettono di rompere
l’isolamento e ottenere incoraggiamento da persone che
vivono gli stessi problemi oltre che da personale qualificato.
Il possibile verificarsi di queste patologie rare è stato
reinterpretato dall’ideologia del gender come la prova che il
sesso non è univocamente determinato: esisterebbe cioè una
gamma di possibilità di condizioni sessuali diverse o
sfumate, non ben distinguibili, e che richiedono una scelta
da parte dell’individuo che deve decidere a quale sesso
appartenere. Tra tutte queste condizioni il maschio e la
femmina rappresentano solo le due possibilità estreme.
Questi eventi non sono più espressione quindi di
un’anomalia nello sviluppo (connessa tra l’altro a maggior
rischio di tumori e altre patologie) ma eventi normali.
La presenza di un apparato riproduttivo e il relativo quadro
ormonale non influenza solo l‘esercizio della sessualità e la
riproduzione ma è connessa con ogni aspetto della vita di
una persona. L’assetto ormonale influenza infatti moltissime
altre funzioni biologiche quali lo sviluppo e il
funzionamento del sistema nervoso, lo sviluppo del sistema
muscolare, la suscettibilità alle malattie, la risposta alle
terapie farmacologiche, l’aspettativa di vita.
Anche il cervello, ad esempio, è sessualmente dimorfo sia
da un punto di vista anatomico che funzionale. Il cervello
maschile è più grande di quello femminile (già questo è
sufficiente per capire le conseguenze che ne possono
derivare se qualcuno volesse usare queste informazioni per
giustificare presunte teorie o comunque presunte decisioni o
scelte politiche), gli uomini hanno un maggior numero di
cellule nervose mentre le donne hanno maggior numero di
fibre nervose che connettono i due emisferi. Gli uomini
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utilizzano un maggior numero di cellule all'interno di ogni
singolo emisfero per svolgere una funzione, le donne invece
per la stessa funzione preferiscono un maggiore scambio di
informazioni tra i due emisferi. Semplificando al massimo,
mentre gli uomini lateralizzano le funzioni, cioè usano un
emisfero alla volta per risolvere un determinato compito, le
donne preferiscono usarli tutti e due. Gli uomini sono
superiori, in media, nei compiti di tipo logicomatematico e
di orientamento spaziale, le donne invece mostrano
maggiori capacità rispetto ai maschi nello svolgimento di
compiti linguistici e verbali.
Anche i dati epidemiologici mostrano che l’incidenza delle
malattie dipende dal sesso: oltre alle malattie proprie dei
diversi apparati riproduttivi, che sono tipiche di ciascun
sesso, anche i tumori mostrano un’incidenza maggiore nel
sesso maschile e rappresentano la prima causa di morte per
gli uomini. Le malattie cardiovascolari invece colpiscono
maggiormente il sesso femminile e ne sono la prima causa
di mortalità. Le malattie autoimmuni sono molto più
frequenti nel sesso femminile, cos’è come l’osteoporosi che
vede una maggioranza di pazienti di sesso femminile.
Queste differenze si riscontrano già in età pediatrica: fin da
bambini c’è una diversa predisposizione alle malattie, con i
maschi che sono più sensibili alle malattie di tipo
respiratorio e le femmine che hanno una maggiore incidenza
di malattie tipo la celiachia, l’insulino-resistenza oppure
soffrono, in modo statisticamente diverso dai maschi, degli
effetti avversi connessi alla vaccinazione antimorbillosa. È
ormai appurato che sia fattori biologici sia fattori di tipo
sociale contribuiscono a creare questa differenza.
6
L’utilizzo di farmaci nella terapia delle malattie diventa
sempre più una questione legata non solo al sesso ma ai
gruppi etnici di appartenenza: non tutti i farmaci possono
essere usati con procedure standard nei vari gruppi della
popolazione. Se infatti le donne rispondono diversamente
alle terapie e sono quelle che con maggior frequenza
sperimentano effetti collaterali anche i diversi gruppi etnici
mostrano risposte e reazioni avverse ai farmaci tipiche di
ciascuna popolazione.
Questa brevissima esposizione ha lo scopo di mostrare come
dati oggettivi siano tutti correlati alla differenza tra gli
individui che non può essere eliminata anche se possiamo
riconoscere, anzi dobbiamo riconoscere se vogliamo
intraprendere azioni efficaci, le varie dimensioni,
biologiche, culturali, sociali, ambientali, che concorrono a
determinarla. Si vuole altresì ricordare come i dati oggettivi
di natura biologica o medica siano stati spesso utilizzati in
modo strumentale come fondamento scientifico di varie
teorie come la superiorità dell’uomo sulla donna, il
razzismo, l’eugenetica, la discriminazione dei malati
mentali, l’aborto entro i novanta giorni di vita e così via.
Identità di genere e orientamento sessuale:
reinterpretazioni sulla base della teoria del gender e
delle pressioni delle lobbies gay.
Con identità di genere (o sesso psichico) ci si riferisce a
come una persona si percepisce e si riconosce nel suo essere
uomo o donna in accordo alla sua costituzione fisica.
L’identità di genere porta con sè l’attribuzione di un ruolo
da esercitare nella società che è diverso in base alle usanze,
7
ai costumi, alla cultura, a cui sono legati aspetti minori (ma
non privi di una loro importanza) come ad esempio il modo
di vestirsi o il taglio dei capelli, e conseguenze più
importanti quali l’accesso all’istruzione a seconda del sesso
dell’individuo o la possibilità o meno di svolgere
determinate professioni.
Nel disturbo dell’identità di genere la persona non si
riconosce nel proprio sesso e desidera appartenere al sesso
opposto, arrivando perfino talvolta a richiedere l’intervento
chirurgico per cambiare sesso con un conseguente
riconoscimento sul piano giuridico, e quindi sociale, del
sesso acquisito.
Nonostante sia indiscutibile che ci sia una forte valenza
culturale nell’assegnazione dei ruoli di genere e che le
donne siano state in passato, e siano tuttora in alcune
culture, fortemente discriminate e impedite nell’accesso
all’istruzione, al mondo del lavoro e, talvolta, ai servizi
sanitari, è altrettanto indiscutibile che la non accettazione
del proprio genere deriva da difficoltà nello sviluppo del sé,
nell’identificazione di se stessi, nella relazione affettiva ed
educativa con i genitori, tutte problematiche che sono fonte
di grande sofferenza in primis per chi ne è affetto e poi
anche per gli altri.
Vari fattori cooperano ad una corretta identificazione di se
stessi e comprendono variabili biologiche (genetiche e
ormonali), sociali, culturali, relazionali.
L’orientamento sessuale si riferisce invece alla scelta della
persona con cui avere contatto sessuale.
Durante lo sviluppo una componente affettiva, emotiva e
relazionale carente, distorta, altalenante, assente, o l’assenza
8
di contatto o sintonia psico-emozionale con i genitori può
esser causa di problemi nella vita sessuale adulta e condurre
a difficoltà nell’individuazione sessuale del proprio partner.
Oggi però non si riconosce più questa come una difficoltà o
un problema e non si ammette nemmeno l’idea che una
persona possa voler essere curata o provi disagio per questa
sua condizione: l’idea dominante è che il disagio e la
sofferenza derivino non da un problema della persona ma
dai condizionamenti e dallo stigma sociale che non permette
di vivere questa condizione come la normalità.
Fondamentale riguardo alla diffusione di questo modo di
pensare è stato il lavoro del dr. Kinsey dagli anni ’50 in poi,
il quale nel suo rapporto Kinsey riportava, tra l’altro, come
almeno il 37% della popolazione maschile e il 13% di quella
femminile americana da lui considerata avesse avuto
qualche esperienza omosessuale tra la pubertà e la
vecchiaia: “se l'omosessualità persiste su così vasta scala
nonostante la riprovazione pubblica e la severità delle
sanzioni che nel corso dei secoli la civiltà angloamericana
ha posto su di essa, si ha motivo di ritenere che tale attività
comparirebbe con assai maggior frequenza nelle storie
personali se non esistessero impedimenti sociali”.
Il rapporto Kinsey è stato uno dei lavori che ha contribuito a
derubricare il comportamento omosessuale come un
disturbo dell’orientamento sessuale (e di conseguenza anche
i disturbi dell’identità di genere) dal DSM, ossia il Manuale
di Diagnostica e Statistica approntato e rivisto
periodicamente dalla American Psychiatric Association, nel
quale sono stabiliti i criteri guida per la classificazione e la
diagnosi delle malattie mentali. Questi criteri sono elaborati
in base alla revisione delle terapie più soddisfacenti e sulle
9
nuove acquisizioni della ricerca scientifica riguardo le arie
patologie ma anche sulla loro frequenza nella popolazione
generale.
Dato che il confine fra salute e malattia mentale talvolta è
molto sottile e che la malattia mentale si valuta attraverso i
comportamenti, in quanto non esistono molto spesso criteri
oggettivamente misurabili come gli esami clinici per
stabilire la presenza o meno di una malattia, il ritrovare con
una frequenza in aumento un comportamento prima
considerato anomalo nella popolazione viene considerato un
criterio per affermare che il comportamento in questione
non è più patologico ma normale.
Su queste basi un comportamento omosessuale
egosintonico, ossia vissuto senza problemi da parte del
soggetto, non viene più considerato patologico: nel 1973 nel
DSM l’omosessualità non è più indicata come malattia da
trattare e viene introdotto il termine omofobia.
L’omosessualità egodistonica, cioè quella avvertita come un
problema dal soggetto stesso, viene dichiarata nel 1987
come dovuta alla stigmatizzazione sociale di questo
comportamento. Nel 1990 questa decisone dell’American
Psychiatric
Association
viene
condivisa
anche
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Siamo quindi di fronte ad un cambiamento di prospettiva
dovuto ad un ampliamento delle conoscenze scientifiche in
materia?
La medicina non è cambiata e ciò che era patologico è
ancora considerato come tale: in realtà queste modificazione
introdotte nel DSM sono il frutto del recepimento della
teoria del gender e delle forti pressioni esercitate dalle varie
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lobbies gay americane e anche di altri paesi, specialmente
anglosassoni.
Le lobbies, o gruppi d’interesse o di pressione, nascono
come organizzazioni che svolgono attività di sostegno agli
interessi di un gruppo industriale, di un cartello di aziende o
di società economiche e si sono estese poi alle associazioni
di gruppi che vogliono vedere tutelati i loro interessi, oltre
che economici, anche culturali e sociali. Le lobbies hanno
un ruolo determinante nelle dinamiche politiche,
economiche e sociali degli Stati Uniti e adesso anche nella
comunità internazionale.
Il lavoro delle lobbies è organizzato da studi legali, agenzie
di pubbliche relazioni, agenzie di comunicazione e
pubblicitarie, da associazioni industriali, da studi
specializzati in ricerche ed analisi di mercato, e riguarda la
raccolta di dati e statistiche, la loro interpretazione, la
creazione di dossier, la creazione di informazioni, di
rapporti sull’iter e l’applicazione delle leggi, attività
informative e formative, la raccolta di fondi per campagne
elettorali, etc.
Questo dispiegamento di forze consente di indirizzare
l’opinione pubblica e influenzare il consenso elettorale,
favorendo l’elezione di politici favorevoli alla causa
sponsorizzata.
Il denaro con cui le lobbies finanziano la loro attività
proviene da donazioni, talvolta anche cospicue, di gruppi
industriali, società e banche, che ritengono così di avere uno
strumento per tutelare i loro interessi di profitto.
Tra le lobbies gay più attive possiamo ricordare ad esempio
la Gay Rights National Lobby a Washington D.C: la
National Gay and Lesbian Task Force da essa promossa è
11
stata una delle prime organizzazioni che si è occupata di
esercitare pressioni sui legislatori per l’affermazione dei
diritti degli omosessuali. Informazioni sulla sua attività
possono essere reperite visitando il sito internet dove sono
spiegate le modalità con cui operano queste organizzazioni e
i fini che si prefiggono.
Le lobbies gay ricevono finanziamenti da importanti
fondazioni, ad esempio la George Soros Foundation
(www.opensocietyfoundations.org) del finanziere Goerge
Soros, la rivista pornografica Playboy (attraverso la Playboy
Foundation), la fondazione della casa automobilistica Ford,
la fondazione di Ted Turner, proprietario della Cnn
(www.unfoundation.org), la Rockefeller Foundation, e da
gruppi industriali quali Kodak, Hewlett-Packard, American
Airlines, Apple, AT&T, BP, Chevron, Citigroup, Credit
Suisse First Boston, Daimler Chrysler, Dell, Deutsche Bank,
Ernst & Young, Estee Lauder, Intel, Ibm, J.P. Morgan
Chase & Co, Johnson & Johnson, Levi Strauss & Co, Merril
Lynch, MetLife, Microsoft, Nike, Pepsico, Toyota, Ubs,
Xerox, che compaiono tra i finanziatori della Human Rights
Campaign (http://www.hrc.org) o di varie lobbies insieme a
molte personalità del mondo dello spettacolo.
Perchè tanta partecipazione? Alla pari di qualsiasi altra
campagna pubblicitaria se il fenomeno gay diventa una
moda, le aziende avranno un ritorno economico in base a
quanto hanno investito in essa. Si può supporre infatti che,
in un’epoca come la nostra, caratterizzata dalla perdita di
punti di riferimento e di valori, con un minor controllo
sociale sui costumi sessuali, gli individui più deboli e con
una personalità meno strutturata siano con maggior
probabilità le vittime di una campagna disinformativa e
12
mediatica di questo tipo in cui tanto denaro viene investito.
C’è da prevedere quindi, senza pensare a malattie organiche
o mentali tout court, che il fenomeno dell’omosessualità
aumenti, proprio a causa del bombardamento di film,
articoli, interviste, pubblicità, e non ultime delle campagne
scolastiche, volte a radicare un’ideologia nella testa delle
persone. Ideologia della quale saranno prede più facili
proprio i giovani, la cui personalità è in formazione e che,
nella difficoltà naturale di costruire se stessi e il rapporto
con l’altro, possono facilmente provare smarrimento e
confusione.
Tutto ciò a livello politico fornirà un’arma in più per
scardinare l’ordine costituito, per avere menti meno libere e
più fragili e, quindi, più facilmente governabili e
manipolabili dai mezzi di comunicazione.
Da quanto ho cercato sinteticamente di esporre appare
chiaro che è in atto una grande operazione di propaganda
con grandi investimenti di capitali per far sì che la teoria del
gender sia diffusa capillarmente per far cambiare alle
persone il modo di pensare: sicuramente i deboli e chi ha
meno risorse sono più a rischio. Lo stravolgimento delle
normali categorie di pensiero porterà sicuramente grandi
sofferenze e infelicità a chi ne sarà vittima, con l’aggravante
che si rischia di non poter più nemmeno soccorrere queste
persone con le terapie mediche e psicologiche necessarie.
Vari tentativi sono stati fatti per confermare che il sesso di
una persona è questione di scelta come vuole la teoria del
gender ma tutti sono falliti; tra tutti ne possiamo ricordare
uno, molto noto anche al grande pubblico ed esemplificativo
13
dei danni che la teoria del gender può causare: il caso del dr.
Money e del gemello che perse il pene.
Questo caso si riferisce ad una coppia di gemelli maschi, i
quali furono sottoposti a circoncisione.
Durante l’intervento, per un errore chirurgico, uno di essi
subì la resezione totale del pene. I genitori disperati si
rivolsero ad uno specialista, il dottor John Money, per
sapere come comportarsi. Il dottor Money, convinto
assertore dell’ideologia del gender, consigliò di allevare il
gemello con il pene reciso come se fosse stato una femmina.
Il fatto successe nel 1963 e nel 1975, quando il paziente
aveva 12 anni, il dottor Money pubblicò un articolo
raccontando che lei, cioè il gemello amputato, era cresciuto
come una femmina normale, confermando così la sua
previsione che, educandola come una ragazza, si sarebbero
annullati gli effetti mascolinizzanti dei geni maschili e degli
ormoni androgeni perinatali. L’altro gemello, allevato come
un maschio, fungeva da controllo. Dato l’interesse e la
descrizione che ne fu data da Money, questo caso fu citato
ampiamente dai mass-media, dai libri di psicologia, dalle
riviste specializzate, sempre con la conclusione che
l’identità sessuale e il comportamento sessuale erano
esclusivamente frutto dell'educazione. Altri due studiosi nel
1997, più di venti anni dopo, hanno pubblicato uno studio a
lungo termine su questo soggetto, il quale, come essi
riportano nel loro lavoro, pur avendo dei genitali femminili
(ricostruiti con la chirurgia plastica) ed essendo stato sempre
considerato una femmina di nome Joan, ebbe uno sviluppo
sostanzialmente maschile: era cioè John. Fin dalla più tenera
età Joan/John si era sempre comportata in modo maschile,
preferiva le attività e i giochi da maschio e mostrava scarso
14
interesse per le bambole, il cucito e altre attività femminili
tradizionali. Quando ebbe quattro anni voleva imitare il
padre che si faceva la barba e non sua madre che si metteva
il rossetto e rifiutò di truccarsi quando fu più grande.
Joan/John, da bambina si sentiva molto diversa, e fin dalla
seconda elementare pensava di essere un maschio. Joan si
ribellava alla terapia a base di estrogeni cui fu sottoposta fin
dall’età di dodici anni per femminilizzare il suo corpo e
all’età di quattordici anni decise di vivere come un maschio.
Il padre, allora, raccontò la verità e qualcosa scattò dentro
John/Joan che affermò: “Per la prima volta capii chi ero”.
John richiese un trattamento a base di androgeni, una
mastectomia e una falloplastica: diventò un bel giovane, si
sposò a venticinque anni e adottò i figli di sua moglie, dato
che l'ablazione del pene aveva definitivamente
compromesso la sua capacità di generare figli.
Nonostante tutti i suoi tentativi di rifarsi una vita, John non
si ristabilì mai completamente dal trauma che aveva subito e
per risparmiare ad altri le sue sofferenze nel 2000 scrisse la
sua biografia. Il 4 maggio del 2004 John si è suicidato.
Bibliografia e sitografia
Oltre ai siti inseriti nel testo si segnala come materiale utile
alla
consultazione:
http://www.aboutkidshealth.ca/EN/HOWTHEBODYWOR
KS/SEXDEVELOPMENTANOVERVI
EW/Pages/default.aspx
15
Sito con animazione per capire come si sviluppa l’apparato
sessuale durante la gestazione
APA Official Actions (2000) Position Statement on
Therapies Focused on Attempts to Change Sexual
Orientation (Reparative or Conversion Therapies)
http://media.mlive.com/news/detroit_impact/other/APA_pos
ition_conversion%20therapy.pdf
www.orpha.net
malattie rare
sito del Ministero della Salute per le
Report of the American Psycological Association task Force
on Appropriate Terapuetic responses to sexual orientation
(2009)
https://www.apa.org/pi/lgbt/resources/therapeuticresponse.pdf
16
Famiglia o famiglie – sesso o genere
Il punto di vista del teologo
Padre Maurizio Faggioni
Medico, teologo, membro Pontificia Accademia Vita
Il mio apporto è di natura antropologica, presuppone i
molteplici aspetti e apporti della sociologia, della psicologia,
della medicina e si colloca in sintonia e continuità con quello
che è stato finora detto.
Vorrei partire dall’idea della famiglia nella sua varietà e da
come la famiglia è messa in discussione oggi. Fino a qualche
tempo fa parlare di famiglia del Mulino Bianco era oggetto
di scherno. La famiglia Mulino Bianco è la famiglia
tradizionale: babbo, mamma figliolo, una famiglia tipica,
tutti felici, tutti contenti, mangiano biscotti del Mulino
bianco. Oggi – lo sappiamo dalle notizie di cronaca –
neppure la Barilla può dire che le piace la famiglia del
Mulino bianco perché la famiglia del Mulino Bianco
potrebbe essere formata anche da due babbi o due mamme e
un figlio o, anzi, da genitore 1 e genitore 2, figliolo adottato
e chi più ne ha più ne metta. È un po’ strano che le famiglie
17
alternative desiderino essere assimilate alla famiglia più
vieta, più tradizionale, più consumistica, detto con ironia,
come la famiglia del Mulino Bianco che sarebbe la famiglia
falso-perfetta dove tutti hanno le loro regole, i loro ruoli.
Questa una delle forti contraddizioni del nostro tempo.
La nozione di “natura” è complessa, ma la vogliamo
assumere nel senso più semplice per indicare la realtà
concreta delle cose, quello che si intuisce stare nel cuore
delle cose. Esiste, in questo senso, un rapporto molto stretto
fra diritti e verità, fra diritti e natura. I diritti hanno senso
soltanto se sono abbinati alla verità: io, infatti, ho diritto di
fare qualcosa se ci sono in me le condizioni per fare quella
cosa e, pertanto, ho diritto di sposarmi se posso esser sposo.
Il diritto consiste nella facoltà di poter esprimere una realtà
che io nativamente possiedo. Se uno non può esser sposo
non può sposarsi, perché il matrimonio non sta in piedi,
mancano le strutture fondamentali sul piano psico-fisico per
esser sposi: ecco il punto, aver avulso, staccato i diritti dalla
logica delle cose. Forse la categoria di natura oggi, come
giustamente dice la prof.ssa Ricci Sindoni, è un po’ usurata,
ma per quanto usurata non possiamo farne a meno. ma
diciamo qual è la logica delle cose e qual è la logica del
diritti? Ora, come si accennava prima, c’è una struttura nella
storia dell’uomo che - come dice Levi Strauss, autore
18
fondamentale in questo campo di studi della antropologia
culturale - è “misteriosamente necessaria”, una struttura che
è legata ai rapporti di trasmissione della vita e anche dei beni
esistenziali: è il nucleo familiare, nel quale i due sessi,
maschile e femminile, interagiscono in un modo stabile e nei
modi vari, e ciò accade intorno a queste due realtà:
trasmissione dei beni e trasmissione della vita. Sembra una
cosa da niente, ma è un fatto che nella esperienza
antropologica-culturale, la dualità, la differenza delle
persone che stanno al centro e a fondamento della famiglia,
sta nella logica interna delle cose.
Potremmo anche forse immaginare di creare - non voglio
scandalizzare nessuno, ma mi si permetta una ipotesi strutture diverse e nuove per le coppie omosessuali, ma
quello che a noi sembra un po’ strano è di applicare a queste
coppie la categoria di famiglia, una categoria così ben
connotata nella storia dell’umanità, intorno alla quale si è
articolata ogni struttura sociale più complessa e che è di
importanza capitale per la stabilità emotiva delle persone e
per la generazione e custodia della vita. È davvero strano
prendere questa struttura famigliare tradizionale e il nome
che la indica per applicarla a realtà del tutto diverse.
La mia opinione riguardo alle unioni irregolari o comunque
non tradizionali è che non possiamo accomunare sotto
19
un’unica denominazione (DICO, per esempio) strutture
umane radicalmente diverse. Una unione di fatto fra un
uomo e una donna connotata di provvisorietà e instabilità si
trova, però, sulla linea della famiglia. Si tratta di forme di
convivenza non compiutamente coniugali e imperfette, ma
che esprimono una forma di relazione interumana che si
trova sulla linea della famiglia. Non ha senso, non è giusto,
non è nella logica delle cose, accumunare sotto un’unica
categoria giuridica una unione tra un uomo e una donna,
quantunque instabile e imperfetta, e una unione tra due
uomini. L’analogia con la struttura familiare può reggere
con una unione che sia imperfetta se confrontata con
l’unione coniugale. L’amore coniugale per sua definizione è
un amore totale, totalizzante, esclusivo. La totalità è
attraversata anche dal tempo perché la totalità che dura un
istante non è una totalità. Se ti amo intensamente e
totalmente per un istante, manca però la totalità del tempo,
cioè manca quella categoria fondamentale della vita umana
che è l’essere-nel-tempo. La totalità nel tempo, che noi
chiamiamo la stabilità del rapporto, fa parte della
coniugalità. Alcune forme di convivenza fra uomo e donna
sono imperfette sotto alcuni aspetti e soprattutto quello della
perennità del vincolo, ma presentano alcuni caratteri tipici
del rapporto coniugale: queste realtà imperfette dal punto di
20
vista dell’amore coniugale, restano però nella logica
naturale, la logica naturale della famiglia.
Quello che mi sembra che sia difforme dalla logica e dalla
sostanza della famiglia, sono quelle realtà di comunione
interpersonale - le voglio chiamare nel modo più nobile
possibile -, nelle quali però manca la dualità sessuale, nelle
quali c’è una chiusura essenziale alla trasmissione della vita,
nelle quali manca la caratteristica fondamentale della
coniugalità che è l’apertura a chi è diverso da me. Cosa
significa fare comunione con qualcuno? Significa uscire da
se stessi ed entrare in contatto, in relazione profonda, con
qualcuno che non è me, perché nessuno fa comunione con se
stesso. L’amicizia è una forma di comunione bellissima e
non per niente Charles Foucault, il grande teorico della
sessualità e della costruzione dei ruoli, ci dice che la stessa
omosessualità per molto tempo, almeno fino al settecento, si
è nascosta nelle sue forme più discrete sotto il velo
dell’amicizia fra uomini. È possibile immaginare persone
che sono legate da amicizia, perché io amo una persona e mi
apro ad un’altra persona di cui io sono amico per avere una
comunione autentica; questa differenza e questa dialettica
io-tu è sufficiente. Noi siamo due persone diverse, diverse
anche se dello stesso sesso e stringiamo un patto di amicizia.
Ma se io in questa relazione coinvolgessi la mia dimensione
21
sessuale, affettiva, erotica, genitale, se coinvolgessi il
desiderio, la volontà di interazione, di possesso e di dono, a
questo punto l’ altro da me non può essere un altro uomo,
perché altro da me in una relazione che coinvolge la
sessualità non può essere che una donna, l’altro-da-me
sessuale. La comunione è possibile soltanto quando io mi
apro all’altro. Tra amici non è rilevante che la persona amica
sia uomo o donna perché nell’amicizia io non coinvolgo la
totalità della mia realtà sessuale e non mi lego con un patto
totalizzante ed esclusivo: posso avere molti amici perché
l’amicizia non è un amore che tende all’esclusiva, al
possesso. L’esclusività fa parte della realtà coniugale,
fondamento della famiglia. Quando io metto in gioco la mia
sessualità l’altro da me può essere soltanto una donna,
perché altro da me sessualmente è solo la donna.
Parlando di uomo e di donna, alcuni arrivano a dire che
essere uomo ed essere donna è una realtà umana del tutto
indipendente dalle sue connotazioni fisiche. Possiamo dire
che la realtà biologica è insignificante? Si dice nella teoria
del genere che la realtà biologica non è importante, ma
questo dipende da un modo di pensare il corpo certamente
un po’ singolare. La antropologia moderna non è
dicotomica, ma tende a essere molto unitaria: io non
possiedo un corpo. Io non uso il mio corpo come uno
22
strumento per lavorare o come uno strumento
dell’interazione sessuale, ma io sono il mio corpo. Io sono
un essere corporeo, la mia corporeità maschile, il mio sesso
maschile fonda e riflette il mio genere maschile, il mio corpo
non è altro che l’incarnazione del mio modo diverso di
essere rispetto alla donna. Non esistono esseri umani neutri,
esistono esseri umani nella modalità maschile o nella
modalità femminile di esistenza: il corpo riflette la dualità
dei modi di essere di una persona. Una relazione di piena
comunione è una relazione nella quale io mi apro a chi non è
me, al non –me.
Nella omosessualità manca questa apertura radicale al nonsé. Non voglio fare psicologia né ricordare le classiche
interpretazioni psicologiche che spiegavano l’omosessualità
a partire dal narcisismo. Qui non voglio impegnarmi fuori
dal mio campo o scegliere una delle tante interpretazioni
delle diverse scuole. Qui voglio soltanto affermare che
l’amore è sempre uscire da se stessi per incontrare chi io non
sono. Quando l’amore è un amore totalizzante e mi
coinvolge in tutte le mie dimensioni di essere umano, anima
e corpo, coinvolge le emozioni, lo spirito, la nostra realtà
profonda, allora questo amore può darsi solo con l’alterità:
uomo e donna, donna e uomo.
23
Il Teologo sa che alla fine di ogni amore umano
autentico si coglie in filigrana l’immagine di Dio perché solo
Dio è il “totalmente Altro”. Questo non occorre saperlo
esplicitamente, perché questa apertura alla Trascendenza è
insita in ogni amore autentico anche se i coniugi non ne
hanno percezione. L’amore autentico è capacità di andare
oltre se stessi, è capacità di trascendenza e la coppia nasce
proprio da questo esodo da se stessi per incontrare l’altro. Il
dinamismo auto trascendente dell’amore non si arresta alla
coppia, ma porta la coppia a fare esodo da se stessa e ad
aprirsi a quella realtà “altra” che è il figlio. La coppia
coniugale si trascende nel figlio che è il “noi” fatto carne. Il
figlio è la coppia che esce da se stessa e da se stessa trae la
forza di donare vita. Il figlio è così noi e non-noi, viene da
noi ma non ci appartiene, appartiene a se stesso.
La sterilità della coppia omosessuale non è, quindi,
soltanto un fatto biologico ma è il riflesso di una alterità
assente, è il riflesso di un dinamismo di apertura all’alterità
che non giunge alla sua pienezza, ma si arresta nel cercare la
comunione con l’ipseità, con l’uguale a sé. Nei Paesi dove è
possibile il “matrimonio omosessuale” - accettiamo di
chiamarlo così - ci si chiede perché una coppia omosessuale
non può adottare mentre un’altra coppia eterosessuale, ma
sterile, può farlo. Una coppia omosessuale è biologicamente
24
sterile come può esserlo una coppia eterosessuale per
qualche problema clinico. La risposta è che non è un fatto di
biologia. Una coppia eterosessuale che per un accidente
biologico, un problema uterino per esempio, non può
generare, è però una coppia che vive una dinamica coniugale
in senso pieno: la relazione di un uomo e di una donna uniti
in un matrimonio è una relazione di per sé aperta alla vita,
perché è aperta all’altro, al figlio. Nella coppia omosessuale,
invece, questa alterità fondamentale manca e la infecondità è
quindi il segno di una incompiutezza della relazione. Può
una coppia che di per sé non sarebbe feconda personalmente,
accogliere un figlio come può farlo una coppia di per sé
feconda?
Un grave problema anche per la Comunità cristiana è
come comprendere le relazioni di tipo omosessuale,
soprattutto quando fra i due c’è uno sforzo sincero di
vicinanza, di comunione. Non dimentichiamo che una
persona radicalmente omosessuale che sia cioè non
modificabile nel suo orientamento ha bisogno come tutti di
affetto e di sostegno. Non possiamo dire ai ragazzi
omosessuali, come qualche prete superficiale: “Io sono prete
e non devo andare con le donne, tu sei omosessuale e non
devi andare con gli uomini; é uguale, facciamo un sacrificio
tutti e due”.
25
Le cose non stanno così. C’è una bella differenza fra chi ha
scelto, per grazia di Dio, il sacrificio del celibato e chi si
trova addosso la croce di una sessualità che viene ritenuta
per la morale cattolica “disordinata” o - se vogliamo usare
una espressione meno dura - non conforme alla pienezza di
senso della sessualità umana.
La relazione omosessuale per quanto possa manifestarsi
pulita, trasparente, a volte necessaria per sostenere due
persone, però manca della pienezza che è possibile soltanto
nella relazione eterosessuale, per quella complementarietà
che è psichica , che è fisica, che è scritta nella realtà delle
cose.
Il Catechismo della Chiesa cattolica, ad un certo punto,
parlando dei ragazzi e delle ragazze omosessuali, indica
l’aiuto della preghiera, il consiglio spirituale, un’amicizia
disinteressata (il latino dice “amicitia gratuita”). È un tocco
di grande sensibilità che cerca di superare impostazioni di
tipo omofobo. Si chiede, onestamente, il Magistero cattolico,
di fronte ad un ragazzo che non riesce ad amare in modo
diverso, che si sente condannato alla solitudine per questo e
che ha bisogno come tutti di essere amato, di donare amore,
di essere sostenuto, di essere visitato se si ammala, di poter
costruire la sua vita: che cosa possiamo prospettarli? Questa
è una domanda seria.
26
Purtroppo questa domanda seria si sta ponendo in un
modo molto ideologico. Per rispondere a delle questioni
serie come questa, diciamo che noi abbiamo oggi una
sensibilità nuova verso l’omosessualità come verso la
sessualità in generale. È un portato della nostra cultura. Il
Magistero cattolico si è molto aggiornato in questo campo
tenendo conto dei valori della persona, non soltanto del
valore della procreazione, ma prendendo in giusta
considerazione la persona, la relazione, l’amore, la
comunione. Quando leggiamo la sessualità nella luce della
persona, noi ci chiediamo come è possibile che persone che
hanno una sessualità alternativa o minoritaria o diversa,
possano trovare una possibilità di soddisfazione e di
sostegno reciproco.
La risposta che offre il Catechismo è chiara. La persona
omosessuale, come tutti, ha bisogno di amore e di sostegno,
ma questo amore e questo sostegno non possono essere una
analogia, una replica della realtà eterosessuale del
matrimonio. L’omosessuale è chiamato a trovare il suo
modo di essere nel rispetto della verità delle cose e molte
volte egli si trova a vivere la sua affettività e la sua sessualità
come sotto il peso della croce.
L’asprezza della polemica e la durezza del dibattito pubblico
spesso ideologizzato e privo di sfumature porta in alcune
27
occasioni i Pastori a fare affermazioni che non esprimono
fedelmente la vera sensibilità dei Pastori stessi, quasi
obbligando la Chiesa a un volto arcigno e impenetrabile che
non è il volto autentico della Chiesa.
Abbiamo ascoltato le parole delicate di Papa Francesco su
questo.
Esse
non
sono
uno
sdoganamento
dell’omosessualità, ma semplicemente l’affermazione assolutamente vera - che, se un ragazzo omosessuale cerca
Dio sinceramente, neppure il Papa può giudicarlo. Noi ci
domandiamo, da Teologi: questa ricerca di Dio dove lo
porta? A quali scelte di vita lo porta?
Sul piano della pastoralità, comprendiamo che per motivi
che a noi sfuggono ancora, alcune persone non riescono a
vivere la realtà matrimoniale. Motivi genetici? Motivi
educativi? Situazioni ambientali? Non lo sappiamo, non sta
a noi dirlo. Però alcune persone sono radicalmente, quasi
strutturalmente, direi, omosessuali. Noi proponiamo a loro
come a tutti un cammino che deve però rispettare la verità.
Non possono essere dati diritti avulsi dalla oggettività delle
cose secondo quella sfasatura che si è creata fra verità, cose,
natura e diritti.
Credo che la posizione cristiana debba tenere ferma la realtà
famiglia, la famiglia composta nella dualità dei sessi, aperta
alla vita e - come Paolo VI diceva - “cellula di una nuova
28
civiltà dell’amore”. Oggi la famiglia non è più la cellula
della società, la società va per conto suo, purtroppo, non si
prende cura della famiglia naturale e sbaglia. La famiglia è
veramente “cellula di una nuova civiltà dell’amore” e se c’è
qualcosa che può cambiare il mondo essa viene dalle
relazioni di persone, da relazioni coniugali, parentali, filiali.
Ecco quello che noi crediamo, come cattolici: che la realtà
familiare debba essere tutelata, nella sua originaria realtà,
come scaturente dalla struttura dell’uomo, dalla struttura
dell’uomo nella sua unità di anima e di corpo, di interiorità e
di esteriorità, in cui il corpo rivela chi ciascuno è come
incarnazione della persona. La diversità dei corpi sessuati
riflette e incarna, quindi, la diversità radicale di uomini e di
donne e su questa realtà si fondano anche i diritti delle
persone.
Questo non significa che non debbano essere tutelati i
“diritti legittimi” delle persone omosessuali e non si debba
lottare per eliminare ogni discriminazione fra persone. Il
Magistero parla di “diritti legittimi”, perché alcune volte si
accampano “diritti illegittimi”, cioè infondati. Un essenziale
“diritto legittimo”, fondato sulla dignità della persona, è il
diritto ad essere rispettato, reprimendo atteggiamenti
improntati alla omofobia. Ma se per opporsi alla omofobia si
approverà una legge contro la libertà di opinione, quello che
29
stiamo dicendo oggi non sarà più possibile dirlo. Perché una
persona non può dire - come aveva fatto il signor Barilla che nel Mulino Bianco ci metterebbe soltanto la famiglia
tradizionale? Se sarà proibito dirlo, allora si sarà creata una
nuova Inquisizione e avremo gente che starà lì - come una
volta l’Inquisizione - a guardare tutto quello che si dice e si
scrive e si pensa stabilendo se è omofobo o no, facendo il
processo alle intenzioni.
La famiglia nucleare cioè quel nucleo antropologico
fondamentale che noi chiamiamo famiglia non è
paragonabile ad altre realtà umane. Alcune strutture, però, si
avvicinano di più al modello famigliare, come quella
dell’uomo e della donna che chiedono un matrimonio con
meno doveri, di più facile scioglimento e non
essenzialmente indissolubile come quello civile che, di per
sé, va avanti come contratto finché la gente non decide
diversamente. Per convivenze di questo tipo può essere
ragionevole riconoscere diritti e doveri, dare una qualche
regola in vista del ben comune e degli eventuali figli, ma che
dire per convivenze che non sono avvicinabili alla struttura
familiare naturale?
Il Magistero parla diritto alla dignità, diritto al lavoro, diritto
all’abitazione. Può accadere in qualche Paese che un ragazzo
o una ragazza, soltanto perché è gay o lesbica, non possano
30
lavorare come gli altri. Pensiamo al lavoro del guidatore di
autobus: a chi guida l’autobus chiediamo cosa fa nella sua
vita privata? Certamente non apprezziamo a volte certi
atteggiamenti, ma cosa c’entra questo con il diritto al
lavoro? Oppure pensiamo al diritto di ricevere informazioni
sanitarie. Ci può essere il caso di un ragazzo con l’AIDS che
chiede che le informazioni sulla sua salute siano date
soltanto al suo compagno e non a suo fratello o a sua sorella
che l’hanno buttato fuori casa a calci a sei anni. In Italia
queste situazioni ed altre legate al patrimonio o all’ambito
testamentario sono già regolate dalle leggi in modo equo. Si
può forse, con uno specifico quadro di sintesi, metterli
insieme e integrarli con nuove previsioni di legge, ma
pensare di fare un diritto di famiglia per chi famiglia non è,
questo - a nostro avviso - può creare soltanto confusione.
La mia posizione è di accettare senza scandalo che i
diritti fondati sulla realtà delle cose siano veramente difesi e,
in particolare, che ognuno abbia il diritto di non essere
perseguitato, offeso, malmenato, soltanto perché ha una
tendenza strutturata con la sua persona. Sempre rimanendo
nei limiti del decoro, del rispetto dell’altro tutto questo fa
parte di un convivere civile. Quello che ci sembra non
accettabile è di equiparare la distinzione sessuale e la
famiglia che su questa distinzione è fondata a realtà diverse.
31
Il nostro atteggiamento non vorrebbe essere né di condanna
né di esclusione, ma di rispetto della realtà.
Sappiamo che le rivendicazioni degli omosessuali
sono venute a convergere con le rivendicazioni delle donne e
che l’ideologia del gender che riconduce la differenza dei
sessi a pura costruzione cultuale sganciandola dalla natura
serve da sottofondo ideologico comune. Nella società attuale
si registra ancora la subordinazione della donna, la sua
mancanza di diritti in molti luoghi e il fatto di legare la
donna alla maternità e di impedire alla donna di svilupparsi
al di là della sua vocazione di esser madre. Tutte cose
verissime, ma ancora una volta, come nel caso dei diritti
degli omosessuali, non c’è bisogno di scardinare la famiglia
e di negare il ruolo della donna sposa-madre per permettere
alla donna di essere se stessa. Ci sono dei problemi che non
possiamo
nascondere,
per
esempio
quello
dell’emancipazione della donna che, nella Chiesa, è ancora
in alto mare e che nella società è ancora in gran parte
incompiuta. Ci sono - è evidente - problemi, ma non li
risolviamo negando la realtà familiare. È vero che la
famiglia, nelle sue strutture patriarcali, era il luogo dove il
dominio dell’uomo si affermava, è vero che la famiglia era il
luogo della subordinazione e della asimmetria tra maschi e
femmine, ma noi chiediamo di cambiare il modello familiare
32
non di distruggerlo. Se il modello familiare non risponde alla
dignità della donna, questo modello deve essere modificato.
Questo vale anche per la Chiesa. Alcuni problemi sono veri,
accogliamoli nel dibattito della società civile! Alcuni
problemi emergenti sono veri e inquietano anche noi, ma le
risposte che sono date a volte sono tali che invece che
risolvere i problemi ne fanno di nuovi, distruggono ciò che
esiste e soprattutto negano la realtà scritta nel cuore e nella
carne delle persone.
33
Demitizziamo i miti
La risposta a 10 miti diffusi
dall’ideologia del “gender”
Dr. Daniele Mugnaini
Psicologo dello sviluppo e dell’educazione
Mito n° 1 – Se per gender (o genere) si vuol alludere alla
femminilità o alla mascolinità intesa come l’insieme di
quegli atteggiamenti, comportamenti, gusti, desideri,
interessi, modi di fare più frequenti e tipici tra le femmine
oppure tra i maschi, il sesso e il gender di una persona
sono due cose così diverse che possono tranquillamente
differire l’uno dall’altro. Una persona può trovarsi ad
avere un corpo maschile e una sostanziale femminilità
psicologica (identità di genere femminile), così come può
trovarsi ad avere un corpo femminile e una sostanziale
mascolinità (identità di genere maschile).
Nella realtà, il “sentirsi maschio o femmina” riguarda prima
di tutto (e non può prescindere da) il proprio sesso biologico.
Nasce dal sesso biologico. Nel momento in cui questo
meccanismo motivante di appartenenza al gruppo di chi è
“fisicamente come me” non funziona, è ragionevole pensare
a un’interferenza di un meccanismo psicosociale disturbante
(ad es. difficoltà o repulsione a identificarsi col genitore
dello stesso sesso, o coi compagni dello stesso sesso, ecc.).
Questi meccanismi non sono né semplici né certamente
chiari alla psicologia.
Con la diffusione delle teorie del genere, si rischia di
diffondere in molti bambini e adolescenti una grande
34
confusione, una paura e il “lutto di essere irrimediabilmente
destinati a essere e restare un non-appartenente-al-gruppodel-proprio-sesso”, scatenando sintomatologie ansiosodepressive. Il bambino maschio che sentisse gusti (es. fare
giochi di ruolo), desideri (es. di sintonizzarsi emotivamente)
o interessi (es. a stare con le bambine), che chiameremo
“atipici”, dovrebbe piuttosto essere aiutato a sentirsi maschio
senza essere frustrato o preoccupato da stereotipi rigidi sulla
mascolinità, e non a doversi rassegnare “a non poter essere
maschio”.
Mito n° 2 - Secondo alcune delle “teorie sul gender”, il
genere sarebbe determinato da una sana predisposizione
genetica o comunque costituzionale, che il bambino
andrebbe scoprendo, spesso nell’infanzia, a prescindere
dal proprio sesso biologico. Secondo tali teorie, il bambino1
e l’adolescente che sentissero gusti (es. fare giochi di
ruolo), desideri (es. di sintonizzarsi emotivamente) o
interessi (es. a stare con le bambine), che chiameremo
gender-atipici, dovrebbero chiedersi se hanno una
“vocazione naturale ad essere/sentirsi femmina”.
Non esiste prova dell’esistenza di una “vocazione naturale e
sana a un’identità di genere difforme dal proprio sesso
biologico”, né esiste una teoria scientificamente accreditata
che ne spieghi il dinamismo bio-psicologico. La ricerca
scientifica relativa a questi processi si è infatti bloccata a
causa delle spinte ideologiche dei sostenitori delle teorie sul
gender.
1 In più occasioni si farà l’esempio del bambino che si sente femmina. Si intenda
anche la bambina che si sente maschio.
35
Secondo alcune “teorie del gender” un uomo potrebbe essere
naturalmente chiamato a sentirsi donna quale espressione di
una sana atipicità, potenzialmente felice (e lo stesso vale per
la donna che si sente maschio). Ma il fatto è che la
disarmonia percepita tra sesso biologico e identità di genere
procura sempre sofferenza. Per definizione infatti tale
condizione è chiamata una disforia. E’ quindi più
ragionevole pensare che il “sentirsi di genere diverso dal
proprio sesso” appartenga a quell’insieme di fenomeni
conosciuti nei bambini come negli adulti, e categorizzati
come dispercezione affettivamente connotata (es.
dismorfofobia).
Inoltre alcune espressioni “atipiche” (es. “voglio indossare la
gonna e tutti i gioielli della mamma; voglio diventare una
mamma e non un papà”) paiono più la conseguenza che
l’origine di meccanismi di ipertrofica identificazione (col
gruppo di sesso opposto) e/o di dis-identificazione (dal
gruppo del proprio sesso).
E’ auspicabile che, prima che tale disintegrazione
(sesso/genere) procuri un forte disagio, un intervento
psicologico riporti lo sviluppo sui binari naturali. Esistono
tra l’altro trattamenti promettenti.
Si rischia di sottovalutare la natura del disagio psichico
profondo di chi si identifica con identità di genere
discordante dal proprio sesso biologico, incrementandolo:
potrebbero aumentare anche i suicidi.
Mito n° 3 - Rispettare il bambino che ha modi di fare e
gusti nel vestirsi tipici delle femmine significa
incoraggiarlo a intrattenersi in queste preferenze perché
poi possa accettare di essere destinato ad avere un gender
36
femminile in un corpo maschile. Secondo le teorie sul
gender, il disagio di quei bambini, di quegli adolescenti e
adulti che sentissero una dolorosa dissociazione fra corpo
e gender, si risolverebbe al meglio modificando quanto più
possibile il corpo in direzione del gender (es. interventi
ormonali e operazione chirurgica di tipo transessuale).
Non ha senso continuare nella ricerca scientifica di
trattamenti psicologici che vadano nella direzione
dell’armonia sesso-gender.
I trattamenti psicologici multimodali delle disforie di genere
nel bambino (di cui si conoscono i risultati positivi)
suggeriscono piuttosto di non indulgere (anche se il tutto va
fatto con grande delicatezza ed elasticità) nell’incoraggiare il
bambino a intrattenersi in modi di fare e di vestire più tipici
delle femmine. D’altra parte, un’operazione chirurgica e un
intervento farmacologico importante in direzione
transessuale portano con sé rischi oggettivi di complicazione
e sofferenza psichiatrica e fisica.
C’è oggi il rischio che interventi psicologici promettenti
siano frenati per motivi ideologici, che favoriscono piuttosto
pratiche discutibili quali l’intervento chirurgico in senso
transessuale (magari dopo un preventivo ritardo
farmacologico della pubertà).
Mito n° 4 - Altre ideologie sul gender affermerebbero, in
direzione totalmente contraria alle precedenti, che non
esiste alcuna vocazione a un certo tipo di identità di gender
(o genere), ma che il gender dovrebbe essere sentito e/o
scelto in ogni fase della vita (o della giornata) secondo i
desideri del momento e senza farne un’identità
37
continuativa nel tempo, ma piuttosto fluida e creativa. In
tale ottica “essere maschio” o “essere femmina” avrebbe
connotati solo culturali, transitori e relativi: non
esisterebbe un’essenza di genere o un’identità sessuata che
ogni persona sarebbe chiamata a riconoscere e sviluppare
in modo originale. Discorso analogo lo si potrebbe fare per
l’orientamento sessuale: sperimentare attrazione e
interazioni sessuali in direzione omo- o etero- dovrebbe
essere determinato dalla voglia del momento, della
circostanza o del periodo che la persona sta vivendo.
Non esiste dato scientifico o teoria accreditata che sostenga
l’auspicabilità psicologica di un rapporto fluido con la
propria identità di genere o con il proprio orientamento
sessuale, di contro alla naturale ricerca di una propria
identità costante nel tempo e sempre meglio integrata (dove
l’integrazione riguarda le varie parti di sé, le varie
motivazioni, i vari ambiti di vita, ma anche le relazioni
affettive e sociali).
E’ pur vero che la costruzione di un’identità matura
maschile o femminile (e di una “vita di fantasie e esperienze
eterosessuali”) è un processo evolutivo che ha a che fare con
la cultura di appartenenza. E’ vero che in un certo senso
Uomo e Donna lo si diventa, grazie alle influenze culturali,
familiari e sociali, grazie a come queste si incontrano con le
proprie caratteristiche psicologiche, e infine grazie anche
alle scelte che la persona fa in ordine a queste esperienze
(quali accogliamo e abbracciamo? quali rigettiamo? quali
alimentiamo? quali culture o influenze studiamo,
analizziamo o proviamo?). Facciamo un esempio: il
bambino fa esperienza diretta e indiretta di cosa il padre, la
38
madre, ciascun fratello, insegnante e amico pensano voglia
dire “essere maschio o femmina” e da queste esperienze e
convinzioni viene influenzato in gran parte a livello
inconscio (anche ad abbracciarne alcune e a rifiutarne altre).
Poi vengono le fantasie, le attrazioni romantiche ed erotiche,
le reazioni fisiologiche omo- e etero-sessuali. Poi le
influenze provenienti da TV, film e pubblicità, dai
chiacchiericci del gruppo di amici, ecc. Il bambino poi ci
pensa, ci riflette, con maggiore o minore senso critico, e si
convince e decide che questo o quest’altro non gli torna, che
questa cosa sta così o cosà, che intraprenderà certe strade,
che la sua natura è questa o quella (…deciderà se si
impegnerà a diventare muscoloso, se farà il possibile per
oggettificare una donna, se prenderà il Viagra senza averne
particolare bisogno...; deciderà se intrattenere e coltivare
fantasie e relazioni omosessuali o eterosessuali), ecc.
In culture in cui le espressioni di femminilità o mascolinità
(o anche le tipologie di orientamento sessuale) sono
molteplici, il bambino va identificandosi, mentre cresce, con
una delle categorie che la cultura gli offre, secondo un
importante e inconscio “bilancio” (tra conformità e
difformità) relativo alla percezione delle proprie
caratteristiche
(interessi,
gusti,
predisposizioni
comportamentali) in relazione a quelle culturalmente tipiche
di uno o di un altro tipo di gruppo presente in quella cultura.
Ne consegue che bisognerebbe riflettere su quale cultura
psicologicamente
favorevole
sia
da
diffondere.
Probabilmente una cultura in cui il maschile e il femminile
siano definiti, ma in modo ampio, complesso e flessibile,
così da rendere possibile a tutti un’identificazione col genere
conforme col proprio sesso (es. “posso sentirmi
39
maschio/virile anche se mi piace più l’arte e la riflessione e
meno il gioco del calcio, la lotta o la competizione
aggressiva…”).
E’ certo deprecabile che l’uomo nella storia abbia preteso
una posizione di maggiore valore e potere rispetto alla
donna, ma questo non significa che la prevalenza del genere
maschile o femminile in alcuni lavori o che certe
caratteristiche “atipiche” comuni nelle varie culture (e molte
anche nel mondo animale dei mammiferi) non trovino una
spiegazione in predisposizioni genetiche e in una sorta di
“vocazione” a realizzare tali proprie predisposizioni. Le
teorie di Baron-Cohen, scientificamente supportate, parlano
del femminile come “prevalentemente empatizzante” e del
maschile
come
“prevalentemente
sistematizzante”
(conoscitore delle leggi che regolano il mondo fisico,
sociale, ecc.). Realizzare questa vocazione a un’identità
“sessuata” dovrà conciliarsi con la vocazione all’amore e
non alla prepotenza, anche dei maschi sulle femmine. La
diffusione delle teorie sul gender rischia di depotenziare la
ricerca sana di un’identità sessuata (conforme al proprio
sesso biologico), promuovendo una diffusa immaturità in
ordine alla propria personalità, alle proprie funzioni sessospecifiche, in particolare alla funzione di partner (sul piano
fisico, psicologico, sessuale, esistenziale) e alla funzione
paterna o materna, fondamentali per lo sviluppo sano delle
nuove generazioni e per il futuro dell’umanità.
Mito n° 5 - Esisterebbe per alcuni un orientamento
omosessuale o bisessuale, geneticamente prestabilito, o
comunque tanto maturo e psicologicamente sano quanto
l’orientamento eterosessuale. Tale orientamento atipico
40
dovrebbe essere semplicemente accettato come buono e
immodificabile.
L’eterosessualità è il dato psicofisico e psicosociale per
eccellenza nella natura degli animali e dell’uomo, che fonda
lo sviluppo della specie.
L’omosessualità invece non è un fenomeno né un costrutto
univoco. Potremmo infatti chiederci quanti pensieri,
fantasie, reazioni fisiologiche o esperienze in quel senso si
dovrebbero fare per ritenersi tali o bisessuali. O per
“chiedersi” se lo si è.
Prendiamo in considerazione coloro che si sentono
omosessuali o bisessuali. Nel momento in cui non funziona
il meccanismo motivante che è l’attrazione al gruppo che è
“fisicamente diverso da me per sesso” ed è simile per età, è
ragionevole
pensare
all’interferenza
di
elementi
psicodinamici disturbanti (ad es. difficoltà o repulsione a
sperimentare e coltivare nella fantasia l’attrazione
eterosessuale così come la si è cominciata a sperimentare
indirettamente o direttamente, o spinta a “erotizzare” la
simpatia o la spinta identificante nei confronti delle persone
dello stesso sesso). Per le teorie sul gender, un uomo sarebbe
naturalmente chiamato a orientarsi sessualmente in direzione
omo-, quale espressione di diversità altrettanto sana e
potenzialmente felice; ma non esiste prova dell’esistenza di
una “predisposizione costituzionale che sia naturale e
assieme sana all’omo- o bi-sessualità”, né esiste una teoria
scientificamente accreditata che ne spieghi l’origine biopsicologica. Esiste piuttosto un insieme di fenomeni
conosciuti nei bambini come negli adulti, che
41
categorizziamo come erotizzazione non ordinata (es.
attrazione pedofila, incestuosa, o parafiliaca).
Anche se i meccanismi psicosociali non sono ancora stati
chiariti, esiste un ruolo anche della propria storia personale e
della cultura in cui si cresce. Infatti, da una parte, in culture
in cui le espressioni di orientamento sessuale sono
molteplici, il bambino crescendo andrà identificandosi con
una delle categorie che la cultura gli offre; ancora, in culture
in cui le espressioni di omosessualità sono ritenute più
normali, il tasso di persone che si ritengono omosessuali è
assai maggiore. Infine, esiste un ruolo anche degli eventi
psicosociali sperimentati dalla persona: esistono infatti
forme di omosessualità reattive ad abusi e maltrattamenti,
così come relazioni negative con uno dei due genitori può
essere correlato a certa omosessualità.
E’ quindi ragionevole cercare di promuovere una cultura in
cui l’eterosessualità è definita come il fine di un processo
evolutivo-maturativo (es. una conquista complessa e
flessibile) supportato da esperienze psicosociali adattive. In
tale processo i momenti di confusione sono normali:
sperimentare attrazioni omosessuali non dovrebbe essere
vissuto come catastrofico (es. “posso oggi sentirmi attratto
in direzione omo- come parte di un mio processo evolutivo
che ha il suo fine nell’eterosessualità”). Un adolescente che
sta sperimentando piacevolmente (anche con eccitazione)
una fantasia, un desiderio o un contatto omosessuale non si
dovrebbe tanto chiedere se lui “è” un omosessuale nascosto
e incompreso (così come l’adolescente che faccia
autoerotismo non è invitato a chiedersi se “è” un
«autosessuale» nascosto e incompreso), ma si dovrebbe
piuttosto vivere come in ricerca e in maturazione verso la
42
sua vocazione psicologica eterosessuale. Si rischia altrimenti
di diffondere in molti bambini e adolescenti una grande
confusione, una paura e il “lutto di essere irrimediabilmente
destinati
a
non-essere-eterosessuale”,
scatenando
sintomatologie ansioso-depressive. Aumentare la possibilità
che un adolescente si sperimenti in direzione omo- e si
ritenga omosessuale o bisessuale (con l’aumento del numero
di adolescenti e adulti che si identificano come omosessuali
o bisessuali) aumenta il rischio di un certo malessere.
La correlazione naturale al benessere psicologico della
persona che si ritiene omosessuale è confutata dalla ricerca
che ad oggi suggerisce che l’elevazione del tasso di suicidio
nella popolazione di persone che si identificano come
omosessuali rispetto alle persone che si definiscono
eterosessuali non sia da attribuire solamente al giudizio
negativo che una società e una cultura possono avere nei
confronti dell’omosessualità. Si rischia di ignorare la
promettente esperienza clinica che aiuta le persone che
desiderano sperimentare un orientamento sessuale
maggiormente eterosessuale.
Mito n° 6 - L’orientamento sessuale non avrebbe a che fare
con la questione sull’identità di genere.
L’influenza
genetica
sullo
sviluppo
di
interessi/comportamenti
gender-atipici
è
correlata
all’influenza genetica sullo sviluppo dell’omosessualità. La
presenza di molti interessi/comportamenti gender-atipici è
più frequente nell’infanzia delle persone che poi si
definiranno bisessuali e ancor più in quelle che si
definiranno omosessuali. Si rischia di utilizzare un
43
linguaggio che fa più confusione che chiarezza rispetto alla
realtà delle cose, facilitando la manipolazione culturale e
mentale da parte dei sostenitori delle teorie sul gender.
Mito n° 7 –Secondo i sostenitori delle teorie sul gender
esisterebbe una diffusa forma di repulsione e di disprezzo
profondo (dalle radici psicologiche o derivanti dalla
propria religione) nei confronti delle persone che
manifestano (magari solo apparentemente) di non aderire
perfettamente (in atteggiamenti, gusti, fantasie, desideri e
comportamenti di tipo sessuale) all’idea di “vero maschio”
o “vera femmina”, tale da sollecitare forme di aggressività
“simil-razzista”, verbale o fisica, diretta o indiretta. Si
tratterebbe di omofobia.
Non esiste un costrutto chiaro di omofobia. In ambito
psicoanalitico può comparire il termine con accezione di
avversione che si proverebbe per una parte di sé indesiderata
e vissuta come pericolosa e minacciante la propria immagine
di sé, parte di sé e avversione che verrebbero poi “proiettate”
su altre persone. In ambito cognitivista si parla invece di
pregiudizio, di stereotipi, o di dinamiche di gruppo per le
quali le caratteristiche di appartenenza sarebbero
rigidamente definite e difese anche in modo aggressivo, in
funzione di un rassicurante ma immaturo senso di
appartenenza a un gruppo. Il problema psicosociale e
adattivo di questi meccanismi (proiezione, pregiudizio,
stereotipo, aggressività verso l’out-group) non riguarda
qualsiasi tipo di giudizio o stereotipo, ma solo “i giudizi sul
valore intrinseco della persona” (es. razziali). In altre parole,
il problema nasce solo quando l’identificazione col gruppo è
44
investita di valore esistenziale per cui “si sente o si ritiene
che avere o non avere certe caratteristiche di un gruppo
abbia a che fare con quanto la persona vale e con quanti
diritti abbia”. Solitamente questi meccanismi possono
trovare origine da dinamiche che hanno a che fare con le
relazioni affettive di riferimento e/o con esperienze
psicosociali o culturali di tipo estremo (es. nazionalismi
spinti che abbracciano l’uso della violenza). La sensibilità
comune e la visione biblica e moderna che il cristianesimo
ha nei confronti dell’omosessualità (tendenza disordinata,
soggetta a potenti spinte psicobiologiche e culturali che
attenuerebbero la colpa, a cui dover resistere con tutta la
motivazione e la forza di cui uno dispone), o i meccanismi
psicologicamente diffusi riguardo la “repulsione” per
l’omosessualità (es. “mi fa effetto pensarci o pensarti
così…”) non hanno a che fare con il valore intrinseco della
persona. Nell’antropologia cattolica la tentazione, le cadute
e i disordini nell’ambito del rapporto con la sessualità (in
senso sia omo- che etero-), ma anche col cibo, coi soldi, con
l’immagine di sé e con gli altri, connotano la vita di tutti e il
cristiano è chiamato ad avere altissima stima per ogni
persona, per la quale Cristo è morto e risorto. La sensibilità
comune, pur rispettando le persone che nella loro libertà non
hanno potuto, saputo o voluto intraprendere percorsi diversi
dall’identificarsi come LGTB, non gradisce che i loro
comportamenti omosessuali vengano esibiti alle nuove
generazioni, né che culturalmente passi l’idea che il
transessualismo e l’omosessualità siano varianti normali e
sane, né che si creda che i bambini non abbiano bisogno di
una mamma femmina e di un babbo maschio (dove cioè la
funzione paterna sia chiaramente associata al maschile
45
psico-biologico e la funzione materna sia associata al
femminile psico-biologico).
La mancanza di un attento, delicato e coerente
accompagnamento alla costruzione di un’identità sessuale
armonica col proprio sesso biologico e di un orientamento
eterosessuale non favoriscono la maturazione dell’identità di
genere e il raggiungimento di una matura etero-sessualità
nelle nuove generazioni, ma le indeboliscono.
Mito n° 8 – Il bullismo (che si chiamerebbe omofobico) in
cui si dà di “frocio e finocchio”, si ridurrebbe non appena i
bambini, gli adolescenti e i loro adulti di riferimento
comprendessero che l’omosessualità, la bisessualità e
l’identità di genere difforme dal proprio sesso biologico
sono espressioni naturali e altrettanto mature del proprio
orientamento sessuale o della propria identità di genere.
L’egoismo e l’aggressività diffusi (che determinano
bullismo nei confronti delle persone con obesità, disabilità,
difetto estetico, ecc. così come il bullismo contro adolescenti
effeminati), insicurezze psicologiche significative e
deprecabili estremismi culturali sono le cause delle forme di
aggressività e delle condotte violente e vessatorie, che se si
vuole potremmo chiamare “omofobiche”, e che vanno
severamente stigmatizzate.
Espressioni
quali
“sei
contro-natura”,
“malato”,
“disgraziato”, “sfigato”, “fai schifo”, che vengono utilizzate
da persone insensibili e aggressive (forse anche insicure e
psicologicamente deboli, o permeate di una ideologia
“razzista”), non si ridurranno in modo significativo nel
momento in cui ci sarà una cultura che afferma ufficialmente
46
quanto l’effeminatezza e l’omosessualità sono naturali, sane
e apprezzabili. Né si annullerà la sofferenza di queste
persone. Nella culturalmente avanzata San Francisco c’è
un’emergenza relativa ai numerosi tentati suicidi dei
giovanissimi che si identificano come LGBT.
D’altra parte nessuno si sogna di intraprendere azioni antibullismo diffondendo una visione delle cose secondo cui, ad
esempio, l’obesità o la disabilità sarebbero varianti sane. Il
messaggio da diffondere è che ogni persona vale in egual
misura, è bella e amabile allo stesso modo, e gode di tutti i
medesimi diritti.
La soluzione va cercata in una scuola e in una cultura che
sappia efficacemente aiutare i bambini e gli adolescenti a
riconoscere la dignità intrinseca di ogni persona (a
prescindere dall’aspetto esteriore, dalla soddisfazione o
meno di standard estetici, dallo status sociale di
appartenenza, dalle scelte fatte e dalla presenza di malattie es. diabete-, difetti –es. miopia-, disturbi psicologici o
caratteristiche disfunzionali –es. dislessia-, ecc.).
Accogliendo le teorie sul gender si sbaglia completamente il
tiro nella lotta alla prepotenza e all’antisocialità. In
particolare, le teorie sul gender attaccano il ruolo della
tradizione e della religione (anche cattolica), che
favorirebbero una lettura dell’omosessualità come disordine
psichico e spirituale, ma sottovalutano il ruolo che queste
hanno nel promuovere la prosocialità, la giustizia, la pace e
l’amore.
Relativamente all’educazione sessuale e all’abbattimento
degli stereotipi di genere, l’urgenza educativa non è la
normalizzazione dell’omosessualità o del transessualismo,
ma è un’altra, molto più subdola e diffusa, e riguarda
47
l’ipersessualizzazione precoce: la concentrazione sul corpo
femminile magro o comunque sexy, e sulla prestazione
sessuale sganciata dal rapporto affettivo impegnato e
responsabile sta portando rilevanti problemi sociali (es.
mancanza di rispetto per le donne, fino al femminicidio) e
piscologici (da sintomatologie ansioso-depressive alla
dismorfofobia, da sintomi dissociativi alle dipendenze e al
disturbo alimentare). Anche in questo caso si ha una
“deumanizzazione”: tu, ragazza, sei un oggetto, e se non hai
quelle caratteristiche da copertina di rivista “sei meno
donna, sei sfigata, contro-natura e non hai diritti, fai schifo”.
Concludendo, bisogna trovare una risposta efficace e
ragionevole a ogni forma di bullismo e alla “subdola
violenza di una cultura ipersessualizzata e relativista”.
NO AL BULLISMO, di ogni tipo!
NO ALL’IPERSESSUALIZZAZIONE PRECOCE!
NO ALL’OGGETTIFICAZIONE DELLE BAMBINE,
DELLE ADOLESCENTI E DELLE DONNE!
Grande è la sofferenza di molte persone (in particolare di
bambini e adolescenti) causata dall’insensibilità e
dall’aggressività con cui altri reagiscono a certe loro
caratteristiche gender-atipiche, transgender, o connotabili
come omosessuali. Ma grande è anche la sofferenza di chi
dovrebbe, secondo le teorie sul gender, “scoprirsi e
accettarsi” omosessuale o di identità di genere non conforme
al proprio sesso, o di chi comunque dovrebbe considerarsi
brutto quando si confronta con gli stretti e diffusi standard
estetici passati dai media di intrattenimento.
Lo si ridica:
48
-E’ nocivo ogni comportamento che sia diffamante-oaggressivo nei confronti loro ma anche nei confronti di ogni
cultura contraria alle teorie sul gender (a partire da azioni
come il chiacchiericcio, commenti denigratori, offese
sarcastiche, stigmatizzazioni che identifichino la persona
con tale caratteristica al fine di offendere, discriminare,
ecc.).
-Questo tipo di comportamento è molto nocivo in età
evolutiva, in quanto difficilmente gestibile dal bambino e
dall’adolescente, che per crescere sereno ha bisogno di un
gruppo sociale solidale e un aiuto al consolidamento di
un’immagine positiva di sé.
-E’ ancor più nocivo quando la persona viene messa in
contesti in cui questo è l’atteggiamento diffuso, costante e/o
subdolo, senza poterne parlare serenamente con gli adulti di
riferimento.
-Finalmente, è particolarmente nocivo quando questo
atteggiamento viene giustificato con ragioni valoriali, morali
o scientifiche (da una parte la caratteristica sarebbe
socialmente «riprovevole», motivo di «diminuzione di
umanità»; dall’altra, lo sarebbero il desiderio e la speranza di
poter maturare un diverso orientamento sessuale).
Sono quindi da lodare e incoraggiare quelle azioni che
scoraggiano o condannano questo tipo di comportamenti
aggressivi e sensibilizzano la società a percepire e
valorizzare pienamente ogni persona, appunto in quanto
persona e a prescindere da qualunque caratteristica fisica o
di personalità.
Infine è urgente trovare aiuti efficaci per le persone con
atipicità negli ambiti: identità di genere (vd. Disforie di
genere precoci e severe) e Pulsioni/Fantasie/Reazioni
49
fisiologiche / Motivazioni (PIRM) relative all’orientamento
sessuale (es. omosessuali a esordio nel bambino prepubere).
Ci sono condizionamenti (bio)psicologici molto molto
potenti nel determinare tali atipicità. Tali atipicità sono
resistenti a scomparire e a far spazio ad espressioni più
tipiche (identità di genere conforme al proprio sesso
biologico e eterosessualità).
Ciò rende questi fenomeni di interesse psicologico e non
solo morale: in altri termini, le cause delle scelte considerate
disordinate nell’ambito morale non sono da ricercare solo e
fondamentalmente nella responsabilità del soggetto, quanto
in predisposizioni psicofisiche e nei condizionamenti
psicosociali (che hanno causato e contribuiscono al
mantenimento di tali comportamenti). Ciò non significa che
l’atto più importante al fine di un riordinamento morale (e
comportamentale) non possa o non debba nascere dalla
libertà personale, dopo essere stata adeguatamente educata
(e, secondo l’antropologia cattolica, “salvata”).
Mito n° 9 - I figli di persone e coppie omosessuali hanno le
medesime opportunità di crescere tanto sani quanto i figli
di coppie eterosessuali.
Nella letteratura ci sono diversi studi sulla salute mentale dei
figli di coppie omosessuali (lesbiche nella maggioranza
quasi assoluta degli studi). Ma moltissimi studi non sono
solidi sul piano metodologico.
Come minimo, accogliendo le teorie sul gender, si rischia di
mettere in condizione tanti bambini di crescere senza una
chiara percezione e cognizione (socialmente condivisa) di
chi sia (e perché) la mamma e il papà, con conseguenze sul
50
loro sano sviluppo psicologico. Stiamo parlando di rischio di
disagio, simile a quello diffuso nei figli di genitori separati:
insicurezze (in area identità di genere e orientamento
sessuale; e di intimità e impegno nella vita di coppia),
sintomatologia depressiva (come il sentirsi meno soddisfatti
della vita) e difficoltà future nelle relazioni affettive di
coppia. Inoltre tali bambini saranno ovviamente “acculturati
in direzione delle teorie sul gender”, con le conseguenze
descritte in questo mio intervento. In più si diffonderebbe
uno sguardo alla genitorialità come qualcosa di sempre più
sganciato dalla generazione biologica e fisiologica,
aumentando i rischi di una deriva nella direzione
consumistica e manipolatoria delle “nuove vite” (vd. la
fecondazione eterologa, gli uteri in affitto, ecc.).
Purtroppo le derive di tale impostazione culturale vanno
oltre: pare infatti che non si voglia soltanto mettere in
discussione l’utilità di avere una madre femmina e un padre
maschio ma perfino di avere una funzione materna e una
paterna. Infatti, piuttosto che optare per la possibilità di
scrivere nei documenti un nome maschile nello spazio
dedicato alle madri (o un nome femminile nello spazio del
padre), qualcuno ha optato per eliminare la parole “madre” e
“padre”, mettendo in discussione la realtà indiscussa fino ad
oggi (come l’idea che “l’erba sia verde”) e, sul piano
psicologico, mettendo in discussione la necessità di due
funzioni diverse, alleate e complementari: quella maschilepaterna e quella femminile-materna.
Si rischia di ignorare l’ingente letteratura scientifica e clinica
che sostiene l’utilità della figura femminile-materna e della
figura maschile-paterna per la crescita psicologica del
bambino.
51
Oggi invece è un’urgenza psico-sociale rivalorizzare la
famiglia quale elemento di qualità di vita per l’adulto come
per il bambino, e rivalorizzare le funzioni materna e paterna,
come importanti per lo sviluppo sano della persona. Ecco
allora la grande urgenza socioculturale: la difesa della
famiglia come luogo di affetto e cura stabile dei figli! La
piaga di coppie instabili e conflittuali, nonché di genitori
immaturi che hanno fatica a “fare i padri” o a “fare le
madri”, ha infatti conseguenze importanti sul disagio
psicologico e relazionale delle future generazioni.
Mito n° 10 - Non ci sarebbe, da parte dei fautori di queste
teorie sul gender, l’intenzione di limitare la libertà di
opinione, parola o manifestazione; l’educazione e la
legislazione contro l’omofobia e il bullismo omofobico non
impedirebbero alcuna libertà fondamentale. Piuttosto
sostenere l’eteronormatività della civiltà umana sarebbe un
pregiudizio derivante da visioni ideologiche irragionevoli.
Manifestazioni che affermano i dati di fatto sopra descritti e
visioni dell’uomo e della natura che vantano molti più
secoli, molta più fecondità culturale, sociale e umana delle
teorie del gender, vengono definite “omofobe”. Stando ai
fautori delle teorie sul gender, a questi manifestanti non si
dovrebbe dar spazi o possibilità di manifestare o diffondere
il proprio pensiero. Lo studente, il genitore o l’uomo di
cultura che a scuola non si trova a suo agio con le teorie sul
gender dovrebbe, secondo loro, ravvedersi e “convertirsi”.
Ma questo è impedimento alla libertà di opinione e
manifestazione! Il mandato dell’UNAR di vigilare su tutte le
azioni che potrebbero colludere col cosiddetto atteggiamento
52
omofobico e di promuovere un atteggiamento permeato
delle “teorie sul gender” assomiglia a un vero e proprio
“piano di rieducazione statale” (che ricorda quello dei
sistemi totalitari) a cui si intende sottoporre un paese, senza
che questo ne abbia ben chiaro il perché e, soprattutto,
abbia avuto modo di analizzarlo e sceglierlo liberamente.
Analogamente, tali azioni di “sensibilizzazione culturale”
sono utilizzate da altre correnti culturali che rischiano in
modo analogo di decostruire l’inconscio collettivo e i
concetti di: natura, legge naturale e legge morale, con
conseguenze gravi sulla motivazione alla prosocialità
appassionata, responsabile e affidabile, e con gravi
conseguenze a lungo termine sulla salute delle persone e
delle società. Stiamo parlando delle correnti culturali
secondo cui la sessualità è ben vissuta fondamentalmente
quando è protetta dal rischio delle malattie a trasmissione
sessuale e dalla gravidanza precoce, irresponsabile o
indesiderata. Di fatto i programmi educativi (a scuola o nei
consultori) inspirati a questa impostazione culturale
colludono con l’odierna ipersessualizzazione e la
precocizzazione dell’esperienza erotica, dove la vita sessuale
è di fatto disimpegnata e disintegrata dagli aspetti affettivi,
esistenziali e morali. Si rischia in nome di una pseudoscienza, quella di una ricerca psicologica affettata e
ideologizzata, di supportare teorie che sradicano nel
profondo l’essenza umana e il collante psicologico, sociale,
morale, esistenziale e spirituale-religioso. E’ urgente
maturare nuove forme rispettose, delicate ed efficaci che,
come avviene per tante «dipendenze», compulsioni e altre
tendenze (nel percepire, desiderare, agire) molto difficili da
modificare, siano capaci di supportare il bambino,
53
l’adolescente o l’adulto che si trovi a vivere con difficoltà la
sfida di integrare le proprie caratteristiche gender-atipiche,
risolvere identificazioni e disidentificazioni disfunzionali
relativi al gender, superare fasi omosessuali, cercare e
sperimentare esperienze dal valore terapeutico. Non si tratta
di intendere l’identità di genere difforme dal proprio sesso o
l’omosessualità come malattie con connotati fisiologici o
psichiatrici, quanto piuttosto ritenerle forme di immaturità e,
in ultima analisi, tendenze psicologicamente, socialmente
e/o spiritualmente immature, da superare (come si fa per i
rapporti disordinati con gli altri, con la propria immagine di
sé, ecc.). Quindi le azioni che perseguono un supporto
psicologico alla maturazione di una psicologia più integrata
e funzionale a volte fanno parte di percorsi preventivi o
interventi strutturati (similmente a interventi sul bullismo,
che non si possono chiamare “curativi”), altre volte fanno
parte di una vera e propria psicoterapia (che è indicata non
solo per “curare malattie” ma soprattutto per “fornire chiavi
utili a superare empasse e disagi psicologici permanenti”).
Non è vero che le psicoterapie che hanno questo fine e lo
fanno con delicatezza possono essere nocive (come invece si
sente dire da molti, a causa della manipolazione
mistificatoria dei dati scientifici). Anche se tutto può essere
usato male: gli antidepressivi possono essere pericolosi in
termini di facilitazione di ideazione suicidaria, se dati in
modo inappropriato.
54
Gli atti di Scienza & Vita Firenze sono distribuiti gratuitamente
Finito di stampare
nel mese di giugno 2014
presso la Tipografia “Il Pappagallo”
55
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l`ideologia del gender miti e realtà