L’IDEOLOGIA DEL GENDER MITI E REALTÀ La frattura Scienza & Vita Firenze Via dell’Anguillara, 25 – 50122 Firenze www.scienzaevitafirenze.it [email protected] L’IDEOLOGIA DEL GENDER MITI E REALTÀ Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, registrata o trasmessa, in qualsiasi modo e con qualsiasi mezza, salvo il preventivo consenso dell’Associazione Scienza & Vita Firenze 2 INDICE Presentazione Dr. Marcello Masotti Relazioni pag. Il sesso come dato biologico e le teorie del gender Dr.ssa Chiara Bencini Famiglia o famiglie – sesso o genere Il punto di vista del teologo Padre Maurizio Faggioni Demitizziamo i miti – La risposta a 10 miti diffusi dall’ideologia del “gender” Dr.Daniele Mugnaini 3 1 17 34 PRESENTAZIONE Dr Marcello Masotti Presidente Scienza &Vita Firenze A distanza di cinque anni dalla pubblicazione degli Atti del Convegno “l’ideologia del gender maschio e femmina, natura e cultura”, Scienza &Vita Firenze torna ancora su questo tema. In mezzo alla crisi antropologica, morale ed educativa che attanaglia l’Occidente, ci sono stati negli ultimi tempi nel nostro paese, due eventi di gravità dirompente connessi al gender e all’omosessualità: il disegno di legge Scalfarotto che, sotto le vesti della lotta alla omofobia, in realtà mette in discussione le libertà di religione e di parola, di cui agli artt. 19 e 21 della Costituzione, e il tentativo di diffusione nelle scuole dei libretti dell'Unar che dietro l’educazione contro le discriminazioni omofobe, in realtà mira a sovvertire consolidate tradizioni di vita e di civiltà e a portare tra i giovani l’ideologia che il sesso è questione non di natura ma di cultura e che è, pertanto, intercambiabile. Questi fatti, insieme alle martellanti direttive europee di carattere radicale/laicista, ai pronunciamenti delle Corti di giustizia europee, alle sentenze cosiddette “creative” degli organismi della Magistratura italiana e anche a pronunciamenti della Corte Costituzionale assunti contro leggi approvate dal parlamento e confermate dagli elettori col 75% dei voti, come nel caso della fecondazione 4 eterologa, inducono molti a pensare che nel nostro paese si ponga anche una “questione democratica” che mette in discussione la volontà popolare e i fondamentali diritti e libertà. In recenti interventi del Cardinal Bagnasco e dello stesso Papa Francesco sono risuonate queste preoccupazioni, quando hanno parlato di “ideologia”e di “pensiero unico” cioè di alcuni tipici connotati delle dittature che hanno travagliato il novecento. Il Presidente della Cei nella prolusione ai lavori dell’Assemblea del 24 marzo 2014 ha testualmente affermato: “le ideologie deformano la comprensione che la ragione e il cuore hanno della realtà, facendo di un’idea particolare un assoluto... se in decenni passati si poteva parlare di tramonto delle ideologie, oggi dobbiamo riconoscerne il ritorno, magari sotto vesti diverse, ma con la medesima logica e arroganza”... “É la lettura ideologica del “genere” - una vera dittatura - che vuole appiattire le diversità, omologare tutto fino a trattare l’identità di uomo e donna come pure astrazioni”. Papa Francesco nell’udienza all’ufficio per l’infanzia del 12 Aprile 2014: “con i bambini e i giovani non si può sperimentare ... Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del “pensiero unico”. “Se l’occidente vuole corrompere l’umanesimo, sarà l’umanesimo che si allontanerà dall’occidente e troverà, come già succede, altri lidi meno ideologici e più sensati”, 5 aggiunge il cardinal Bagnasco. Per la rinascita morale e spirituale fa appello alle antiche virtù, all’impegno nei doveri quotidiani, al senso profondo della famiglia, alle solidarietà nelle relazioni. Ma a fronte del tentativo di fare della scuola dei “campi di rieducazione e di indottrinamento”, il Cardinale rivolge un appello alla mobilitazione: “i figli non sono materiale da esperimento in mano di nessuno, neppure di tecnici o di cosiddetti esperti. I genitori non si facciano intimidire, hanno il diritto di reagire con determinazione e chiarezza: non c'è autorità che tenga”. La stessa mobilitazione è necessaria anche fuori della scuola, perché valori fondanti della nostra civiltà umana e cristiana non siano affossati. Il confronto e la mobilitazione richiedono coraggio ma anche chiarezza di idee. Da tale esigenza questa nostra “fatica”, un libretto compilato con l’apporto di competenze di livello biologico, psicologico e teologico, con l’intento pratico di fornire a chi si trova a confrontarsi e a dibattere nella scuola o nella società sui temi del “gender” degli argomenti, vorremmo chiamarli di “verità”, per fare un po’ di chiarezza contro le manipolazioni imperanti dei fatti e delle idee. 6 Il sesso come dato biologico e le teorie del gender Dott.ssa Chiara Bencini PhD in Fisiologia, Docente Volendo riassumere sinteticamente il concetto chiave dell’ideologia del gender possiamo affermare che secondo questa concezione il sesso di un individuo non è costitutivo della persona ma risulta dall’insieme dei condizionamenti e degli stereotipi di natura sociale, culturale ed educativa che attribuiscono un ruolo sociale alla persona, determinandone il suo sviluppo in senso maschile o femminile. Sebbene sia indiscutibile che la vita degli uomini e delle donne sia stata, e sia tuttora in alcuni casi, condizionata da rigidi ruoli sociali stabiliti a livello culturale, diversi a seconda della società di appartenenza, non si può però prescindere dal fatto che ogni essere umano sia fin dal momento del concepimento connotato in senso maschile e femminile. Questa differenziazione sessuale si può ritrovare anche negli animali e nelle piante ed è connessa con una specializzazione per la riproduzione e il perpetuarsi della specie. 71 La determinazione del sesso nella specie umana: come i fattori biologici sono reinterpretati alla luce delle gender theories. Si parla di sesso genetico quando ci si riferisce al corredo cromosomico di un individuo: nella specie umana i cromosomi sono 46, due dei quali, detti appunto cromosomi sessuali, contraddistinguono il maschio, XY, e la femmina, XX. Il sesso genetico è stabilito al momento della fecondazione, cioè quando lo spermatozoo incontra l’ovulo nelle tube. Ogni individuo è perciò caratterizzato da un ben preciso sesso genetico. A seconda che il sesso genetico sia XX oppure XY si svilupperanno gonadi diverse, ossia l’apparato riproduttivo femminile (ovaie, tube ,utero, vagina) o maschile (testicoli, vescichette seminali, prostata), al quale si fa riferimento per stabilire il sesso gonadico. I due apparati riproduttivi maschile e femminile producono a loro volta ormoni diversi che indirizzano l’aspetto esteriore dell’individuo in senso maschile o femminile controllando lo sviluppo dei genitali esterni e dei caratteri sessuali secondari (peli e barba, voce acuta o profonda, sviluppo delle mammelle, etc.). Si parla in questo caso di sesso fenotipico, cioè quello che è visibile dall’esterno. Da tutti questi eventi dipende lo sviluppo del sesso psichico, ossia il “sentirsi” e riconoscersi maschio o femmina (oggi indicato anche come identità di genere) e l’adottare ruoli e 2 comportamenti tipici di un sesso i quali sono, in parte, anche stabiliti a livello sociale e culturale. Numerosi sono i geni implicati nella determinazione del sesso tra cui SRY che si trova sul cromosoma Y, SOX9 sul cromosoma 17, WT1 sul cromosoma 11 e altri ancora. Il cromosoma Y contiene geni e famiglie di geni che svolgono un ruolo critico nei processi di determinazione del sesso, differenziamento dei testicoli e maturazione degli spermatozoi. Come per altre malattie genetiche può accadere che questi geni siano difettosi o vengano a mancare per rotture cromosomiche o siano in più se ci sono traslocazioni (frammenti di cromosomi che si fondono con cromosomi diversi). In questi casi si verificano diverse sindromi in cui ci sono discrepanze tra il sesso genetico, sesso gonadico e sesso fenotipico. Ad esempio nella sindrome di Swyers il gene SRY sul cromosoma Y non funziona o è del tutto assente e nei vari sottotipi della malattia sono presenti anche altri difetti genetici: abbiamo perciò generalmente un individuo con sesso genetico XY ma genitali interni ed esterni di tipo femminile. Gli organi riproduttivi sono poco sviluppati e sono soggetti ad un aumento del rischio di tumori; mutazioni del gene SOX9 in individui XY portano all’espressione di genitali femminili e organi riproduttivi femminili poco sviluppati; alcune mutazioni del gene WT1 fanno sì che individui XY sviluppino genitali esterni femminili normali, gonadi appena abbozzate e nefropatia che evolve in insufficienza renale nell’adolescenza. 3 La corretta differenziazione degli apparati riproduttivi dipende anche dalla adeguata secrezione e dal funzionamento degli ormoni, in particolare gli androgeni, tra cui testosterone e diidrotestosterone che, se nel periodo della gestazione non vengono prodotti o non riescono a funzionare, totalmente o parzialmente, non potranno sviluppare nel feto le strutture riproduttive maschili. Alla nascita avremo quindi la presentazione di un aspetto femminile o con vari gradi di ambiguità dei genitali, pur essendo presente un corredo cromosomico XY (sindrome da insensibilità agli androgeni). Tutti i soggetti affetti dalle malattie ricordate (solo alcune delle possibili patologie che si possono sviluppare data la complessità dei meccanismi biologici preposti alla determinazione del sesso) sono in ogni caso sterili e durante la loro vita dovranno affrontare, oltre a questo problema, anche tutte le difficoltà psicologiche connesse con sviluppo incompleto o ambiguità dei genitali che condizioneranno le loro relazioni e potranno compromettere anche l’accettazione di sé. In molte di queste patologie esiste poi un aumentato rischio di sviluppare tumori all’apparato riproduttivo e problemi renali. La medicina tratta questi casi come patologie, tutte inserite nell’elenco delle malattie rare, e oggi c’è la consapevolezza che è importante prendersi cura anche della dimensione psicologica del soggetto, tenendo conto del diritto dei pazienti a dare un senso alla propria condizione e ad accettarla senza ingenerare ulteriore malessere, così come è necessario supporto ai genitori in modo che anch’essi accettino la malattia e agiscano con le migliori strategie educative. Particolarmente importanti sono risultati a tal fine 4 i gruppi di auto-aiuto che permettono di rompere l’isolamento e ottenere incoraggiamento da persone che vivono gli stessi problemi oltre che da personale qualificato. Il possibile verificarsi di queste patologie rare è stato reinterpretato dall’ideologia del gender come la prova che il sesso non è univocamente determinato: esisterebbe cioè una gamma di possibilità di condizioni sessuali diverse o sfumate, non ben distinguibili, e che richiedono una scelta da parte dell’individuo che deve decidere a quale sesso appartenere. Tra tutte queste condizioni il maschio e la femmina rappresentano solo le due possibilità estreme. Questi eventi non sono più espressione quindi di un’anomalia nello sviluppo (connessa tra l’altro a maggior rischio di tumori e altre patologie) ma eventi normali. La presenza di un apparato riproduttivo e il relativo quadro ormonale non influenza solo l‘esercizio della sessualità e la riproduzione ma è connessa con ogni aspetto della vita di una persona. L’assetto ormonale influenza infatti moltissime altre funzioni biologiche quali lo sviluppo e il funzionamento del sistema nervoso, lo sviluppo del sistema muscolare, la suscettibilità alle malattie, la risposta alle terapie farmacologiche, l’aspettativa di vita. Anche il cervello, ad esempio, è sessualmente dimorfo sia da un punto di vista anatomico che funzionale. Il cervello maschile è più grande di quello femminile (già questo è sufficiente per capire le conseguenze che ne possono derivare se qualcuno volesse usare queste informazioni per giustificare presunte teorie o comunque presunte decisioni o scelte politiche), gli uomini hanno un maggior numero di cellule nervose mentre le donne hanno maggior numero di fibre nervose che connettono i due emisferi. Gli uomini 5 utilizzano un maggior numero di cellule all'interno di ogni singolo emisfero per svolgere una funzione, le donne invece per la stessa funzione preferiscono un maggiore scambio di informazioni tra i due emisferi. Semplificando al massimo, mentre gli uomini lateralizzano le funzioni, cioè usano un emisfero alla volta per risolvere un determinato compito, le donne preferiscono usarli tutti e due. Gli uomini sono superiori, in media, nei compiti di tipo logicomatematico e di orientamento spaziale, le donne invece mostrano maggiori capacità rispetto ai maschi nello svolgimento di compiti linguistici e verbali. Anche i dati epidemiologici mostrano che l’incidenza delle malattie dipende dal sesso: oltre alle malattie proprie dei diversi apparati riproduttivi, che sono tipiche di ciascun sesso, anche i tumori mostrano un’incidenza maggiore nel sesso maschile e rappresentano la prima causa di morte per gli uomini. Le malattie cardiovascolari invece colpiscono maggiormente il sesso femminile e ne sono la prima causa di mortalità. Le malattie autoimmuni sono molto più frequenti nel sesso femminile, cos’è come l’osteoporosi che vede una maggioranza di pazienti di sesso femminile. Queste differenze si riscontrano già in età pediatrica: fin da bambini c’è una diversa predisposizione alle malattie, con i maschi che sono più sensibili alle malattie di tipo respiratorio e le femmine che hanno una maggiore incidenza di malattie tipo la celiachia, l’insulino-resistenza oppure soffrono, in modo statisticamente diverso dai maschi, degli effetti avversi connessi alla vaccinazione antimorbillosa. È ormai appurato che sia fattori biologici sia fattori di tipo sociale contribuiscono a creare questa differenza. 6 L’utilizzo di farmaci nella terapia delle malattie diventa sempre più una questione legata non solo al sesso ma ai gruppi etnici di appartenenza: non tutti i farmaci possono essere usati con procedure standard nei vari gruppi della popolazione. Se infatti le donne rispondono diversamente alle terapie e sono quelle che con maggior frequenza sperimentano effetti collaterali anche i diversi gruppi etnici mostrano risposte e reazioni avverse ai farmaci tipiche di ciascuna popolazione. Questa brevissima esposizione ha lo scopo di mostrare come dati oggettivi siano tutti correlati alla differenza tra gli individui che non può essere eliminata anche se possiamo riconoscere, anzi dobbiamo riconoscere se vogliamo intraprendere azioni efficaci, le varie dimensioni, biologiche, culturali, sociali, ambientali, che concorrono a determinarla. Si vuole altresì ricordare come i dati oggettivi di natura biologica o medica siano stati spesso utilizzati in modo strumentale come fondamento scientifico di varie teorie come la superiorità dell’uomo sulla donna, il razzismo, l’eugenetica, la discriminazione dei malati mentali, l’aborto entro i novanta giorni di vita e così via. Identità di genere e orientamento sessuale: reinterpretazioni sulla base della teoria del gender e delle pressioni delle lobbies gay. Con identità di genere (o sesso psichico) ci si riferisce a come una persona si percepisce e si riconosce nel suo essere uomo o donna in accordo alla sua costituzione fisica. L’identità di genere porta con sè l’attribuzione di un ruolo da esercitare nella società che è diverso in base alle usanze, 7 ai costumi, alla cultura, a cui sono legati aspetti minori (ma non privi di una loro importanza) come ad esempio il modo di vestirsi o il taglio dei capelli, e conseguenze più importanti quali l’accesso all’istruzione a seconda del sesso dell’individuo o la possibilità o meno di svolgere determinate professioni. Nel disturbo dell’identità di genere la persona non si riconosce nel proprio sesso e desidera appartenere al sesso opposto, arrivando perfino talvolta a richiedere l’intervento chirurgico per cambiare sesso con un conseguente riconoscimento sul piano giuridico, e quindi sociale, del sesso acquisito. Nonostante sia indiscutibile che ci sia una forte valenza culturale nell’assegnazione dei ruoli di genere e che le donne siano state in passato, e siano tuttora in alcune culture, fortemente discriminate e impedite nell’accesso all’istruzione, al mondo del lavoro e, talvolta, ai servizi sanitari, è altrettanto indiscutibile che la non accettazione del proprio genere deriva da difficoltà nello sviluppo del sé, nell’identificazione di se stessi, nella relazione affettiva ed educativa con i genitori, tutte problematiche che sono fonte di grande sofferenza in primis per chi ne è affetto e poi anche per gli altri. Vari fattori cooperano ad una corretta identificazione di se stessi e comprendono variabili biologiche (genetiche e ormonali), sociali, culturali, relazionali. L’orientamento sessuale si riferisce invece alla scelta della persona con cui avere contatto sessuale. Durante lo sviluppo una componente affettiva, emotiva e relazionale carente, distorta, altalenante, assente, o l’assenza 8 di contatto o sintonia psico-emozionale con i genitori può esser causa di problemi nella vita sessuale adulta e condurre a difficoltà nell’individuazione sessuale del proprio partner. Oggi però non si riconosce più questa come una difficoltà o un problema e non si ammette nemmeno l’idea che una persona possa voler essere curata o provi disagio per questa sua condizione: l’idea dominante è che il disagio e la sofferenza derivino non da un problema della persona ma dai condizionamenti e dallo stigma sociale che non permette di vivere questa condizione come la normalità. Fondamentale riguardo alla diffusione di questo modo di pensare è stato il lavoro del dr. Kinsey dagli anni ’50 in poi, il quale nel suo rapporto Kinsey riportava, tra l’altro, come almeno il 37% della popolazione maschile e il 13% di quella femminile americana da lui considerata avesse avuto qualche esperienza omosessuale tra la pubertà e la vecchiaia: “se l'omosessualità persiste su così vasta scala nonostante la riprovazione pubblica e la severità delle sanzioni che nel corso dei secoli la civiltà angloamericana ha posto su di essa, si ha motivo di ritenere che tale attività comparirebbe con assai maggior frequenza nelle storie personali se non esistessero impedimenti sociali”. Il rapporto Kinsey è stato uno dei lavori che ha contribuito a derubricare il comportamento omosessuale come un disturbo dell’orientamento sessuale (e di conseguenza anche i disturbi dell’identità di genere) dal DSM, ossia il Manuale di Diagnostica e Statistica approntato e rivisto periodicamente dalla American Psychiatric Association, nel quale sono stabiliti i criteri guida per la classificazione e la diagnosi delle malattie mentali. Questi criteri sono elaborati in base alla revisione delle terapie più soddisfacenti e sulle 9 nuove acquisizioni della ricerca scientifica riguardo le arie patologie ma anche sulla loro frequenza nella popolazione generale. Dato che il confine fra salute e malattia mentale talvolta è molto sottile e che la malattia mentale si valuta attraverso i comportamenti, in quanto non esistono molto spesso criteri oggettivamente misurabili come gli esami clinici per stabilire la presenza o meno di una malattia, il ritrovare con una frequenza in aumento un comportamento prima considerato anomalo nella popolazione viene considerato un criterio per affermare che il comportamento in questione non è più patologico ma normale. Su queste basi un comportamento omosessuale egosintonico, ossia vissuto senza problemi da parte del soggetto, non viene più considerato patologico: nel 1973 nel DSM l’omosessualità non è più indicata come malattia da trattare e viene introdotto il termine omofobia. L’omosessualità egodistonica, cioè quella avvertita come un problema dal soggetto stesso, viene dichiarata nel 1987 come dovuta alla stigmatizzazione sociale di questo comportamento. Nel 1990 questa decisone dell’American Psychiatric Association viene condivisa anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Siamo quindi di fronte ad un cambiamento di prospettiva dovuto ad un ampliamento delle conoscenze scientifiche in materia? La medicina non è cambiata e ciò che era patologico è ancora considerato come tale: in realtà queste modificazione introdotte nel DSM sono il frutto del recepimento della teoria del gender e delle forti pressioni esercitate dalle varie 10 lobbies gay americane e anche di altri paesi, specialmente anglosassoni. Le lobbies, o gruppi d’interesse o di pressione, nascono come organizzazioni che svolgono attività di sostegno agli interessi di un gruppo industriale, di un cartello di aziende o di società economiche e si sono estese poi alle associazioni di gruppi che vogliono vedere tutelati i loro interessi, oltre che economici, anche culturali e sociali. Le lobbies hanno un ruolo determinante nelle dinamiche politiche, economiche e sociali degli Stati Uniti e adesso anche nella comunità internazionale. Il lavoro delle lobbies è organizzato da studi legali, agenzie di pubbliche relazioni, agenzie di comunicazione e pubblicitarie, da associazioni industriali, da studi specializzati in ricerche ed analisi di mercato, e riguarda la raccolta di dati e statistiche, la loro interpretazione, la creazione di dossier, la creazione di informazioni, di rapporti sull’iter e l’applicazione delle leggi, attività informative e formative, la raccolta di fondi per campagne elettorali, etc. Questo dispiegamento di forze consente di indirizzare l’opinione pubblica e influenzare il consenso elettorale, favorendo l’elezione di politici favorevoli alla causa sponsorizzata. Il denaro con cui le lobbies finanziano la loro attività proviene da donazioni, talvolta anche cospicue, di gruppi industriali, società e banche, che ritengono così di avere uno strumento per tutelare i loro interessi di profitto. Tra le lobbies gay più attive possiamo ricordare ad esempio la Gay Rights National Lobby a Washington D.C: la National Gay and Lesbian Task Force da essa promossa è 11 stata una delle prime organizzazioni che si è occupata di esercitare pressioni sui legislatori per l’affermazione dei diritti degli omosessuali. Informazioni sulla sua attività possono essere reperite visitando il sito internet dove sono spiegate le modalità con cui operano queste organizzazioni e i fini che si prefiggono. Le lobbies gay ricevono finanziamenti da importanti fondazioni, ad esempio la George Soros Foundation (www.opensocietyfoundations.org) del finanziere Goerge Soros, la rivista pornografica Playboy (attraverso la Playboy Foundation), la fondazione della casa automobilistica Ford, la fondazione di Ted Turner, proprietario della Cnn (www.unfoundation.org), la Rockefeller Foundation, e da gruppi industriali quali Kodak, Hewlett-Packard, American Airlines, Apple, AT&T, BP, Chevron, Citigroup, Credit Suisse First Boston, Daimler Chrysler, Dell, Deutsche Bank, Ernst & Young, Estee Lauder, Intel, Ibm, J.P. Morgan Chase & Co, Johnson & Johnson, Levi Strauss & Co, Merril Lynch, MetLife, Microsoft, Nike, Pepsico, Toyota, Ubs, Xerox, che compaiono tra i finanziatori della Human Rights Campaign (http://www.hrc.org) o di varie lobbies insieme a molte personalità del mondo dello spettacolo. Perchè tanta partecipazione? Alla pari di qualsiasi altra campagna pubblicitaria se il fenomeno gay diventa una moda, le aziende avranno un ritorno economico in base a quanto hanno investito in essa. Si può supporre infatti che, in un’epoca come la nostra, caratterizzata dalla perdita di punti di riferimento e di valori, con un minor controllo sociale sui costumi sessuali, gli individui più deboli e con una personalità meno strutturata siano con maggior probabilità le vittime di una campagna disinformativa e 12 mediatica di questo tipo in cui tanto denaro viene investito. C’è da prevedere quindi, senza pensare a malattie organiche o mentali tout court, che il fenomeno dell’omosessualità aumenti, proprio a causa del bombardamento di film, articoli, interviste, pubblicità, e non ultime delle campagne scolastiche, volte a radicare un’ideologia nella testa delle persone. Ideologia della quale saranno prede più facili proprio i giovani, la cui personalità è in formazione e che, nella difficoltà naturale di costruire se stessi e il rapporto con l’altro, possono facilmente provare smarrimento e confusione. Tutto ciò a livello politico fornirà un’arma in più per scardinare l’ordine costituito, per avere menti meno libere e più fragili e, quindi, più facilmente governabili e manipolabili dai mezzi di comunicazione. Da quanto ho cercato sinteticamente di esporre appare chiaro che è in atto una grande operazione di propaganda con grandi investimenti di capitali per far sì che la teoria del gender sia diffusa capillarmente per far cambiare alle persone il modo di pensare: sicuramente i deboli e chi ha meno risorse sono più a rischio. Lo stravolgimento delle normali categorie di pensiero porterà sicuramente grandi sofferenze e infelicità a chi ne sarà vittima, con l’aggravante che si rischia di non poter più nemmeno soccorrere queste persone con le terapie mediche e psicologiche necessarie. Vari tentativi sono stati fatti per confermare che il sesso di una persona è questione di scelta come vuole la teoria del gender ma tutti sono falliti; tra tutti ne possiamo ricordare uno, molto noto anche al grande pubblico ed esemplificativo 13 dei danni che la teoria del gender può causare: il caso del dr. Money e del gemello che perse il pene. Questo caso si riferisce ad una coppia di gemelli maschi, i quali furono sottoposti a circoncisione. Durante l’intervento, per un errore chirurgico, uno di essi subì la resezione totale del pene. I genitori disperati si rivolsero ad uno specialista, il dottor John Money, per sapere come comportarsi. Il dottor Money, convinto assertore dell’ideologia del gender, consigliò di allevare il gemello con il pene reciso come se fosse stato una femmina. Il fatto successe nel 1963 e nel 1975, quando il paziente aveva 12 anni, il dottor Money pubblicò un articolo raccontando che lei, cioè il gemello amputato, era cresciuto come una femmina normale, confermando così la sua previsione che, educandola come una ragazza, si sarebbero annullati gli effetti mascolinizzanti dei geni maschili e degli ormoni androgeni perinatali. L’altro gemello, allevato come un maschio, fungeva da controllo. Dato l’interesse e la descrizione che ne fu data da Money, questo caso fu citato ampiamente dai mass-media, dai libri di psicologia, dalle riviste specializzate, sempre con la conclusione che l’identità sessuale e il comportamento sessuale erano esclusivamente frutto dell'educazione. Altri due studiosi nel 1997, più di venti anni dopo, hanno pubblicato uno studio a lungo termine su questo soggetto, il quale, come essi riportano nel loro lavoro, pur avendo dei genitali femminili (ricostruiti con la chirurgia plastica) ed essendo stato sempre considerato una femmina di nome Joan, ebbe uno sviluppo sostanzialmente maschile: era cioè John. Fin dalla più tenera età Joan/John si era sempre comportata in modo maschile, preferiva le attività e i giochi da maschio e mostrava scarso 14 interesse per le bambole, il cucito e altre attività femminili tradizionali. Quando ebbe quattro anni voleva imitare il padre che si faceva la barba e non sua madre che si metteva il rossetto e rifiutò di truccarsi quando fu più grande. Joan/John, da bambina si sentiva molto diversa, e fin dalla seconda elementare pensava di essere un maschio. Joan si ribellava alla terapia a base di estrogeni cui fu sottoposta fin dall’età di dodici anni per femminilizzare il suo corpo e all’età di quattordici anni decise di vivere come un maschio. Il padre, allora, raccontò la verità e qualcosa scattò dentro John/Joan che affermò: “Per la prima volta capii chi ero”. John richiese un trattamento a base di androgeni, una mastectomia e una falloplastica: diventò un bel giovane, si sposò a venticinque anni e adottò i figli di sua moglie, dato che l'ablazione del pene aveva definitivamente compromesso la sua capacità di generare figli. Nonostante tutti i suoi tentativi di rifarsi una vita, John non si ristabilì mai completamente dal trauma che aveva subito e per risparmiare ad altri le sue sofferenze nel 2000 scrisse la sua biografia. Il 4 maggio del 2004 John si è suicidato. Bibliografia e sitografia Oltre ai siti inseriti nel testo si segnala come materiale utile alla consultazione: http://www.aboutkidshealth.ca/EN/HOWTHEBODYWOR KS/SEXDEVELOPMENTANOVERVI EW/Pages/default.aspx 15 Sito con animazione per capire come si sviluppa l’apparato sessuale durante la gestazione APA Official Actions (2000) Position Statement on Therapies Focused on Attempts to Change Sexual Orientation (Reparative or Conversion Therapies) http://media.mlive.com/news/detroit_impact/other/APA_pos ition_conversion%20therapy.pdf www.orpha.net malattie rare sito del Ministero della Salute per le Report of the American Psycological Association task Force on Appropriate Terapuetic responses to sexual orientation (2009) https://www.apa.org/pi/lgbt/resources/therapeuticresponse.pdf 16 Famiglia o famiglie – sesso o genere Il punto di vista del teologo Padre Maurizio Faggioni Medico, teologo, membro Pontificia Accademia Vita Il mio apporto è di natura antropologica, presuppone i molteplici aspetti e apporti della sociologia, della psicologia, della medicina e si colloca in sintonia e continuità con quello che è stato finora detto. Vorrei partire dall’idea della famiglia nella sua varietà e da come la famiglia è messa in discussione oggi. Fino a qualche tempo fa parlare di famiglia del Mulino Bianco era oggetto di scherno. La famiglia Mulino Bianco è la famiglia tradizionale: babbo, mamma figliolo, una famiglia tipica, tutti felici, tutti contenti, mangiano biscotti del Mulino bianco. Oggi – lo sappiamo dalle notizie di cronaca – neppure la Barilla può dire che le piace la famiglia del Mulino bianco perché la famiglia del Mulino Bianco potrebbe essere formata anche da due babbi o due mamme e un figlio o, anzi, da genitore 1 e genitore 2, figliolo adottato e chi più ne ha più ne metta. È un po’ strano che le famiglie 17 alternative desiderino essere assimilate alla famiglia più vieta, più tradizionale, più consumistica, detto con ironia, come la famiglia del Mulino Bianco che sarebbe la famiglia falso-perfetta dove tutti hanno le loro regole, i loro ruoli. Questa una delle forti contraddizioni del nostro tempo. La nozione di “natura” è complessa, ma la vogliamo assumere nel senso più semplice per indicare la realtà concreta delle cose, quello che si intuisce stare nel cuore delle cose. Esiste, in questo senso, un rapporto molto stretto fra diritti e verità, fra diritti e natura. I diritti hanno senso soltanto se sono abbinati alla verità: io, infatti, ho diritto di fare qualcosa se ci sono in me le condizioni per fare quella cosa e, pertanto, ho diritto di sposarmi se posso esser sposo. Il diritto consiste nella facoltà di poter esprimere una realtà che io nativamente possiedo. Se uno non può esser sposo non può sposarsi, perché il matrimonio non sta in piedi, mancano le strutture fondamentali sul piano psico-fisico per esser sposi: ecco il punto, aver avulso, staccato i diritti dalla logica delle cose. Forse la categoria di natura oggi, come giustamente dice la prof.ssa Ricci Sindoni, è un po’ usurata, ma per quanto usurata non possiamo farne a meno. ma diciamo qual è la logica delle cose e qual è la logica del diritti? Ora, come si accennava prima, c’è una struttura nella storia dell’uomo che - come dice Levi Strauss, autore 18 fondamentale in questo campo di studi della antropologia culturale - è “misteriosamente necessaria”, una struttura che è legata ai rapporti di trasmissione della vita e anche dei beni esistenziali: è il nucleo familiare, nel quale i due sessi, maschile e femminile, interagiscono in un modo stabile e nei modi vari, e ciò accade intorno a queste due realtà: trasmissione dei beni e trasmissione della vita. Sembra una cosa da niente, ma è un fatto che nella esperienza antropologica-culturale, la dualità, la differenza delle persone che stanno al centro e a fondamento della famiglia, sta nella logica interna delle cose. Potremmo anche forse immaginare di creare - non voglio scandalizzare nessuno, ma mi si permetta una ipotesi strutture diverse e nuove per le coppie omosessuali, ma quello che a noi sembra un po’ strano è di applicare a queste coppie la categoria di famiglia, una categoria così ben connotata nella storia dell’umanità, intorno alla quale si è articolata ogni struttura sociale più complessa e che è di importanza capitale per la stabilità emotiva delle persone e per la generazione e custodia della vita. È davvero strano prendere questa struttura famigliare tradizionale e il nome che la indica per applicarla a realtà del tutto diverse. La mia opinione riguardo alle unioni irregolari o comunque non tradizionali è che non possiamo accomunare sotto 19 un’unica denominazione (DICO, per esempio) strutture umane radicalmente diverse. Una unione di fatto fra un uomo e una donna connotata di provvisorietà e instabilità si trova, però, sulla linea della famiglia. Si tratta di forme di convivenza non compiutamente coniugali e imperfette, ma che esprimono una forma di relazione interumana che si trova sulla linea della famiglia. Non ha senso, non è giusto, non è nella logica delle cose, accumunare sotto un’unica categoria giuridica una unione tra un uomo e una donna, quantunque instabile e imperfetta, e una unione tra due uomini. L’analogia con la struttura familiare può reggere con una unione che sia imperfetta se confrontata con l’unione coniugale. L’amore coniugale per sua definizione è un amore totale, totalizzante, esclusivo. La totalità è attraversata anche dal tempo perché la totalità che dura un istante non è una totalità. Se ti amo intensamente e totalmente per un istante, manca però la totalità del tempo, cioè manca quella categoria fondamentale della vita umana che è l’essere-nel-tempo. La totalità nel tempo, che noi chiamiamo la stabilità del rapporto, fa parte della coniugalità. Alcune forme di convivenza fra uomo e donna sono imperfette sotto alcuni aspetti e soprattutto quello della perennità del vincolo, ma presentano alcuni caratteri tipici del rapporto coniugale: queste realtà imperfette dal punto di 20 vista dell’amore coniugale, restano però nella logica naturale, la logica naturale della famiglia. Quello che mi sembra che sia difforme dalla logica e dalla sostanza della famiglia, sono quelle realtà di comunione interpersonale - le voglio chiamare nel modo più nobile possibile -, nelle quali però manca la dualità sessuale, nelle quali c’è una chiusura essenziale alla trasmissione della vita, nelle quali manca la caratteristica fondamentale della coniugalità che è l’apertura a chi è diverso da me. Cosa significa fare comunione con qualcuno? Significa uscire da se stessi ed entrare in contatto, in relazione profonda, con qualcuno che non è me, perché nessuno fa comunione con se stesso. L’amicizia è una forma di comunione bellissima e non per niente Charles Foucault, il grande teorico della sessualità e della costruzione dei ruoli, ci dice che la stessa omosessualità per molto tempo, almeno fino al settecento, si è nascosta nelle sue forme più discrete sotto il velo dell’amicizia fra uomini. È possibile immaginare persone che sono legate da amicizia, perché io amo una persona e mi apro ad un’altra persona di cui io sono amico per avere una comunione autentica; questa differenza e questa dialettica io-tu è sufficiente. Noi siamo due persone diverse, diverse anche se dello stesso sesso e stringiamo un patto di amicizia. Ma se io in questa relazione coinvolgessi la mia dimensione 21 sessuale, affettiva, erotica, genitale, se coinvolgessi il desiderio, la volontà di interazione, di possesso e di dono, a questo punto l’ altro da me non può essere un altro uomo, perché altro da me in una relazione che coinvolge la sessualità non può essere che una donna, l’altro-da-me sessuale. La comunione è possibile soltanto quando io mi apro all’altro. Tra amici non è rilevante che la persona amica sia uomo o donna perché nell’amicizia io non coinvolgo la totalità della mia realtà sessuale e non mi lego con un patto totalizzante ed esclusivo: posso avere molti amici perché l’amicizia non è un amore che tende all’esclusiva, al possesso. L’esclusività fa parte della realtà coniugale, fondamento della famiglia. Quando io metto in gioco la mia sessualità l’altro da me può essere soltanto una donna, perché altro da me sessualmente è solo la donna. Parlando di uomo e di donna, alcuni arrivano a dire che essere uomo ed essere donna è una realtà umana del tutto indipendente dalle sue connotazioni fisiche. Possiamo dire che la realtà biologica è insignificante? Si dice nella teoria del genere che la realtà biologica non è importante, ma questo dipende da un modo di pensare il corpo certamente un po’ singolare. La antropologia moderna non è dicotomica, ma tende a essere molto unitaria: io non possiedo un corpo. Io non uso il mio corpo come uno 22 strumento per lavorare o come uno strumento dell’interazione sessuale, ma io sono il mio corpo. Io sono un essere corporeo, la mia corporeità maschile, il mio sesso maschile fonda e riflette il mio genere maschile, il mio corpo non è altro che l’incarnazione del mio modo diverso di essere rispetto alla donna. Non esistono esseri umani neutri, esistono esseri umani nella modalità maschile o nella modalità femminile di esistenza: il corpo riflette la dualità dei modi di essere di una persona. Una relazione di piena comunione è una relazione nella quale io mi apro a chi non è me, al non –me. Nella omosessualità manca questa apertura radicale al nonsé. Non voglio fare psicologia né ricordare le classiche interpretazioni psicologiche che spiegavano l’omosessualità a partire dal narcisismo. Qui non voglio impegnarmi fuori dal mio campo o scegliere una delle tante interpretazioni delle diverse scuole. Qui voglio soltanto affermare che l’amore è sempre uscire da se stessi per incontrare chi io non sono. Quando l’amore è un amore totalizzante e mi coinvolge in tutte le mie dimensioni di essere umano, anima e corpo, coinvolge le emozioni, lo spirito, la nostra realtà profonda, allora questo amore può darsi solo con l’alterità: uomo e donna, donna e uomo. 23 Il Teologo sa che alla fine di ogni amore umano autentico si coglie in filigrana l’immagine di Dio perché solo Dio è il “totalmente Altro”. Questo non occorre saperlo esplicitamente, perché questa apertura alla Trascendenza è insita in ogni amore autentico anche se i coniugi non ne hanno percezione. L’amore autentico è capacità di andare oltre se stessi, è capacità di trascendenza e la coppia nasce proprio da questo esodo da se stessi per incontrare l’altro. Il dinamismo auto trascendente dell’amore non si arresta alla coppia, ma porta la coppia a fare esodo da se stessa e ad aprirsi a quella realtà “altra” che è il figlio. La coppia coniugale si trascende nel figlio che è il “noi” fatto carne. Il figlio è la coppia che esce da se stessa e da se stessa trae la forza di donare vita. Il figlio è così noi e non-noi, viene da noi ma non ci appartiene, appartiene a se stesso. La sterilità della coppia omosessuale non è, quindi, soltanto un fatto biologico ma è il riflesso di una alterità assente, è il riflesso di un dinamismo di apertura all’alterità che non giunge alla sua pienezza, ma si arresta nel cercare la comunione con l’ipseità, con l’uguale a sé. Nei Paesi dove è possibile il “matrimonio omosessuale” - accettiamo di chiamarlo così - ci si chiede perché una coppia omosessuale non può adottare mentre un’altra coppia eterosessuale, ma sterile, può farlo. Una coppia omosessuale è biologicamente 24 sterile come può esserlo una coppia eterosessuale per qualche problema clinico. La risposta è che non è un fatto di biologia. Una coppia eterosessuale che per un accidente biologico, un problema uterino per esempio, non può generare, è però una coppia che vive una dinamica coniugale in senso pieno: la relazione di un uomo e di una donna uniti in un matrimonio è una relazione di per sé aperta alla vita, perché è aperta all’altro, al figlio. Nella coppia omosessuale, invece, questa alterità fondamentale manca e la infecondità è quindi il segno di una incompiutezza della relazione. Può una coppia che di per sé non sarebbe feconda personalmente, accogliere un figlio come può farlo una coppia di per sé feconda? Un grave problema anche per la Comunità cristiana è come comprendere le relazioni di tipo omosessuale, soprattutto quando fra i due c’è uno sforzo sincero di vicinanza, di comunione. Non dimentichiamo che una persona radicalmente omosessuale che sia cioè non modificabile nel suo orientamento ha bisogno come tutti di affetto e di sostegno. Non possiamo dire ai ragazzi omosessuali, come qualche prete superficiale: “Io sono prete e non devo andare con le donne, tu sei omosessuale e non devi andare con gli uomini; é uguale, facciamo un sacrificio tutti e due”. 25 Le cose non stanno così. C’è una bella differenza fra chi ha scelto, per grazia di Dio, il sacrificio del celibato e chi si trova addosso la croce di una sessualità che viene ritenuta per la morale cattolica “disordinata” o - se vogliamo usare una espressione meno dura - non conforme alla pienezza di senso della sessualità umana. La relazione omosessuale per quanto possa manifestarsi pulita, trasparente, a volte necessaria per sostenere due persone, però manca della pienezza che è possibile soltanto nella relazione eterosessuale, per quella complementarietà che è psichica , che è fisica, che è scritta nella realtà delle cose. Il Catechismo della Chiesa cattolica, ad un certo punto, parlando dei ragazzi e delle ragazze omosessuali, indica l’aiuto della preghiera, il consiglio spirituale, un’amicizia disinteressata (il latino dice “amicitia gratuita”). È un tocco di grande sensibilità che cerca di superare impostazioni di tipo omofobo. Si chiede, onestamente, il Magistero cattolico, di fronte ad un ragazzo che non riesce ad amare in modo diverso, che si sente condannato alla solitudine per questo e che ha bisogno come tutti di essere amato, di donare amore, di essere sostenuto, di essere visitato se si ammala, di poter costruire la sua vita: che cosa possiamo prospettarli? Questa è una domanda seria. 26 Purtroppo questa domanda seria si sta ponendo in un modo molto ideologico. Per rispondere a delle questioni serie come questa, diciamo che noi abbiamo oggi una sensibilità nuova verso l’omosessualità come verso la sessualità in generale. È un portato della nostra cultura. Il Magistero cattolico si è molto aggiornato in questo campo tenendo conto dei valori della persona, non soltanto del valore della procreazione, ma prendendo in giusta considerazione la persona, la relazione, l’amore, la comunione. Quando leggiamo la sessualità nella luce della persona, noi ci chiediamo come è possibile che persone che hanno una sessualità alternativa o minoritaria o diversa, possano trovare una possibilità di soddisfazione e di sostegno reciproco. La risposta che offre il Catechismo è chiara. La persona omosessuale, come tutti, ha bisogno di amore e di sostegno, ma questo amore e questo sostegno non possono essere una analogia, una replica della realtà eterosessuale del matrimonio. L’omosessuale è chiamato a trovare il suo modo di essere nel rispetto della verità delle cose e molte volte egli si trova a vivere la sua affettività e la sua sessualità come sotto il peso della croce. L’asprezza della polemica e la durezza del dibattito pubblico spesso ideologizzato e privo di sfumature porta in alcune 27 occasioni i Pastori a fare affermazioni che non esprimono fedelmente la vera sensibilità dei Pastori stessi, quasi obbligando la Chiesa a un volto arcigno e impenetrabile che non è il volto autentico della Chiesa. Abbiamo ascoltato le parole delicate di Papa Francesco su questo. Esse non sono uno sdoganamento dell’omosessualità, ma semplicemente l’affermazione assolutamente vera - che, se un ragazzo omosessuale cerca Dio sinceramente, neppure il Papa può giudicarlo. Noi ci domandiamo, da Teologi: questa ricerca di Dio dove lo porta? A quali scelte di vita lo porta? Sul piano della pastoralità, comprendiamo che per motivi che a noi sfuggono ancora, alcune persone non riescono a vivere la realtà matrimoniale. Motivi genetici? Motivi educativi? Situazioni ambientali? Non lo sappiamo, non sta a noi dirlo. Però alcune persone sono radicalmente, quasi strutturalmente, direi, omosessuali. Noi proponiamo a loro come a tutti un cammino che deve però rispettare la verità. Non possono essere dati diritti avulsi dalla oggettività delle cose secondo quella sfasatura che si è creata fra verità, cose, natura e diritti. Credo che la posizione cristiana debba tenere ferma la realtà famiglia, la famiglia composta nella dualità dei sessi, aperta alla vita e - come Paolo VI diceva - “cellula di una nuova 28 civiltà dell’amore”. Oggi la famiglia non è più la cellula della società, la società va per conto suo, purtroppo, non si prende cura della famiglia naturale e sbaglia. La famiglia è veramente “cellula di una nuova civiltà dell’amore” e se c’è qualcosa che può cambiare il mondo essa viene dalle relazioni di persone, da relazioni coniugali, parentali, filiali. Ecco quello che noi crediamo, come cattolici: che la realtà familiare debba essere tutelata, nella sua originaria realtà, come scaturente dalla struttura dell’uomo, dalla struttura dell’uomo nella sua unità di anima e di corpo, di interiorità e di esteriorità, in cui il corpo rivela chi ciascuno è come incarnazione della persona. La diversità dei corpi sessuati riflette e incarna, quindi, la diversità radicale di uomini e di donne e su questa realtà si fondano anche i diritti delle persone. Questo non significa che non debbano essere tutelati i “diritti legittimi” delle persone omosessuali e non si debba lottare per eliminare ogni discriminazione fra persone. Il Magistero parla di “diritti legittimi”, perché alcune volte si accampano “diritti illegittimi”, cioè infondati. Un essenziale “diritto legittimo”, fondato sulla dignità della persona, è il diritto ad essere rispettato, reprimendo atteggiamenti improntati alla omofobia. Ma se per opporsi alla omofobia si approverà una legge contro la libertà di opinione, quello che 29 stiamo dicendo oggi non sarà più possibile dirlo. Perché una persona non può dire - come aveva fatto il signor Barilla che nel Mulino Bianco ci metterebbe soltanto la famiglia tradizionale? Se sarà proibito dirlo, allora si sarà creata una nuova Inquisizione e avremo gente che starà lì - come una volta l’Inquisizione - a guardare tutto quello che si dice e si scrive e si pensa stabilendo se è omofobo o no, facendo il processo alle intenzioni. La famiglia nucleare cioè quel nucleo antropologico fondamentale che noi chiamiamo famiglia non è paragonabile ad altre realtà umane. Alcune strutture, però, si avvicinano di più al modello famigliare, come quella dell’uomo e della donna che chiedono un matrimonio con meno doveri, di più facile scioglimento e non essenzialmente indissolubile come quello civile che, di per sé, va avanti come contratto finché la gente non decide diversamente. Per convivenze di questo tipo può essere ragionevole riconoscere diritti e doveri, dare una qualche regola in vista del ben comune e degli eventuali figli, ma che dire per convivenze che non sono avvicinabili alla struttura familiare naturale? Il Magistero parla diritto alla dignità, diritto al lavoro, diritto all’abitazione. Può accadere in qualche Paese che un ragazzo o una ragazza, soltanto perché è gay o lesbica, non possano 30 lavorare come gli altri. Pensiamo al lavoro del guidatore di autobus: a chi guida l’autobus chiediamo cosa fa nella sua vita privata? Certamente non apprezziamo a volte certi atteggiamenti, ma cosa c’entra questo con il diritto al lavoro? Oppure pensiamo al diritto di ricevere informazioni sanitarie. Ci può essere il caso di un ragazzo con l’AIDS che chiede che le informazioni sulla sua salute siano date soltanto al suo compagno e non a suo fratello o a sua sorella che l’hanno buttato fuori casa a calci a sei anni. In Italia queste situazioni ed altre legate al patrimonio o all’ambito testamentario sono già regolate dalle leggi in modo equo. Si può forse, con uno specifico quadro di sintesi, metterli insieme e integrarli con nuove previsioni di legge, ma pensare di fare un diritto di famiglia per chi famiglia non è, questo - a nostro avviso - può creare soltanto confusione. La mia posizione è di accettare senza scandalo che i diritti fondati sulla realtà delle cose siano veramente difesi e, in particolare, che ognuno abbia il diritto di non essere perseguitato, offeso, malmenato, soltanto perché ha una tendenza strutturata con la sua persona. Sempre rimanendo nei limiti del decoro, del rispetto dell’altro tutto questo fa parte di un convivere civile. Quello che ci sembra non accettabile è di equiparare la distinzione sessuale e la famiglia che su questa distinzione è fondata a realtà diverse. 31 Il nostro atteggiamento non vorrebbe essere né di condanna né di esclusione, ma di rispetto della realtà. Sappiamo che le rivendicazioni degli omosessuali sono venute a convergere con le rivendicazioni delle donne e che l’ideologia del gender che riconduce la differenza dei sessi a pura costruzione cultuale sganciandola dalla natura serve da sottofondo ideologico comune. Nella società attuale si registra ancora la subordinazione della donna, la sua mancanza di diritti in molti luoghi e il fatto di legare la donna alla maternità e di impedire alla donna di svilupparsi al di là della sua vocazione di esser madre. Tutte cose verissime, ma ancora una volta, come nel caso dei diritti degli omosessuali, non c’è bisogno di scardinare la famiglia e di negare il ruolo della donna sposa-madre per permettere alla donna di essere se stessa. Ci sono dei problemi che non possiamo nascondere, per esempio quello dell’emancipazione della donna che, nella Chiesa, è ancora in alto mare e che nella società è ancora in gran parte incompiuta. Ci sono - è evidente - problemi, ma non li risolviamo negando la realtà familiare. È vero che la famiglia, nelle sue strutture patriarcali, era il luogo dove il dominio dell’uomo si affermava, è vero che la famiglia era il luogo della subordinazione e della asimmetria tra maschi e femmine, ma noi chiediamo di cambiare il modello familiare 32 non di distruggerlo. Se il modello familiare non risponde alla dignità della donna, questo modello deve essere modificato. Questo vale anche per la Chiesa. Alcuni problemi sono veri, accogliamoli nel dibattito della società civile! Alcuni problemi emergenti sono veri e inquietano anche noi, ma le risposte che sono date a volte sono tali che invece che risolvere i problemi ne fanno di nuovi, distruggono ciò che esiste e soprattutto negano la realtà scritta nel cuore e nella carne delle persone. 33 Demitizziamo i miti La risposta a 10 miti diffusi dall’ideologia del “gender” Dr. Daniele Mugnaini Psicologo dello sviluppo e dell’educazione Mito n° 1 – Se per gender (o genere) si vuol alludere alla femminilità o alla mascolinità intesa come l’insieme di quegli atteggiamenti, comportamenti, gusti, desideri, interessi, modi di fare più frequenti e tipici tra le femmine oppure tra i maschi, il sesso e il gender di una persona sono due cose così diverse che possono tranquillamente differire l’uno dall’altro. Una persona può trovarsi ad avere un corpo maschile e una sostanziale femminilità psicologica (identità di genere femminile), così come può trovarsi ad avere un corpo femminile e una sostanziale mascolinità (identità di genere maschile). Nella realtà, il “sentirsi maschio o femmina” riguarda prima di tutto (e non può prescindere da) il proprio sesso biologico. Nasce dal sesso biologico. Nel momento in cui questo meccanismo motivante di appartenenza al gruppo di chi è “fisicamente come me” non funziona, è ragionevole pensare a un’interferenza di un meccanismo psicosociale disturbante (ad es. difficoltà o repulsione a identificarsi col genitore dello stesso sesso, o coi compagni dello stesso sesso, ecc.). Questi meccanismi non sono né semplici né certamente chiari alla psicologia. Con la diffusione delle teorie del genere, si rischia di diffondere in molti bambini e adolescenti una grande 34 confusione, una paura e il “lutto di essere irrimediabilmente destinati a essere e restare un non-appartenente-al-gruppodel-proprio-sesso”, scatenando sintomatologie ansiosodepressive. Il bambino maschio che sentisse gusti (es. fare giochi di ruolo), desideri (es. di sintonizzarsi emotivamente) o interessi (es. a stare con le bambine), che chiameremo “atipici”, dovrebbe piuttosto essere aiutato a sentirsi maschio senza essere frustrato o preoccupato da stereotipi rigidi sulla mascolinità, e non a doversi rassegnare “a non poter essere maschio”. Mito n° 2 - Secondo alcune delle “teorie sul gender”, il genere sarebbe determinato da una sana predisposizione genetica o comunque costituzionale, che il bambino andrebbe scoprendo, spesso nell’infanzia, a prescindere dal proprio sesso biologico. Secondo tali teorie, il bambino1 e l’adolescente che sentissero gusti (es. fare giochi di ruolo), desideri (es. di sintonizzarsi emotivamente) o interessi (es. a stare con le bambine), che chiameremo gender-atipici, dovrebbero chiedersi se hanno una “vocazione naturale ad essere/sentirsi femmina”. Non esiste prova dell’esistenza di una “vocazione naturale e sana a un’identità di genere difforme dal proprio sesso biologico”, né esiste una teoria scientificamente accreditata che ne spieghi il dinamismo bio-psicologico. La ricerca scientifica relativa a questi processi si è infatti bloccata a causa delle spinte ideologiche dei sostenitori delle teorie sul gender. 1 In più occasioni si farà l’esempio del bambino che si sente femmina. Si intenda anche la bambina che si sente maschio. 35 Secondo alcune “teorie del gender” un uomo potrebbe essere naturalmente chiamato a sentirsi donna quale espressione di una sana atipicità, potenzialmente felice (e lo stesso vale per la donna che si sente maschio). Ma il fatto è che la disarmonia percepita tra sesso biologico e identità di genere procura sempre sofferenza. Per definizione infatti tale condizione è chiamata una disforia. E’ quindi più ragionevole pensare che il “sentirsi di genere diverso dal proprio sesso” appartenga a quell’insieme di fenomeni conosciuti nei bambini come negli adulti, e categorizzati come dispercezione affettivamente connotata (es. dismorfofobia). Inoltre alcune espressioni “atipiche” (es. “voglio indossare la gonna e tutti i gioielli della mamma; voglio diventare una mamma e non un papà”) paiono più la conseguenza che l’origine di meccanismi di ipertrofica identificazione (col gruppo di sesso opposto) e/o di dis-identificazione (dal gruppo del proprio sesso). E’ auspicabile che, prima che tale disintegrazione (sesso/genere) procuri un forte disagio, un intervento psicologico riporti lo sviluppo sui binari naturali. Esistono tra l’altro trattamenti promettenti. Si rischia di sottovalutare la natura del disagio psichico profondo di chi si identifica con identità di genere discordante dal proprio sesso biologico, incrementandolo: potrebbero aumentare anche i suicidi. Mito n° 3 - Rispettare il bambino che ha modi di fare e gusti nel vestirsi tipici delle femmine significa incoraggiarlo a intrattenersi in queste preferenze perché poi possa accettare di essere destinato ad avere un gender 36 femminile in un corpo maschile. Secondo le teorie sul gender, il disagio di quei bambini, di quegli adolescenti e adulti che sentissero una dolorosa dissociazione fra corpo e gender, si risolverebbe al meglio modificando quanto più possibile il corpo in direzione del gender (es. interventi ormonali e operazione chirurgica di tipo transessuale). Non ha senso continuare nella ricerca scientifica di trattamenti psicologici che vadano nella direzione dell’armonia sesso-gender. I trattamenti psicologici multimodali delle disforie di genere nel bambino (di cui si conoscono i risultati positivi) suggeriscono piuttosto di non indulgere (anche se il tutto va fatto con grande delicatezza ed elasticità) nell’incoraggiare il bambino a intrattenersi in modi di fare e di vestire più tipici delle femmine. D’altra parte, un’operazione chirurgica e un intervento farmacologico importante in direzione transessuale portano con sé rischi oggettivi di complicazione e sofferenza psichiatrica e fisica. C’è oggi il rischio che interventi psicologici promettenti siano frenati per motivi ideologici, che favoriscono piuttosto pratiche discutibili quali l’intervento chirurgico in senso transessuale (magari dopo un preventivo ritardo farmacologico della pubertà). Mito n° 4 - Altre ideologie sul gender affermerebbero, in direzione totalmente contraria alle precedenti, che non esiste alcuna vocazione a un certo tipo di identità di gender (o genere), ma che il gender dovrebbe essere sentito e/o scelto in ogni fase della vita (o della giornata) secondo i desideri del momento e senza farne un’identità 37 continuativa nel tempo, ma piuttosto fluida e creativa. In tale ottica “essere maschio” o “essere femmina” avrebbe connotati solo culturali, transitori e relativi: non esisterebbe un’essenza di genere o un’identità sessuata che ogni persona sarebbe chiamata a riconoscere e sviluppare in modo originale. Discorso analogo lo si potrebbe fare per l’orientamento sessuale: sperimentare attrazione e interazioni sessuali in direzione omo- o etero- dovrebbe essere determinato dalla voglia del momento, della circostanza o del periodo che la persona sta vivendo. Non esiste dato scientifico o teoria accreditata che sostenga l’auspicabilità psicologica di un rapporto fluido con la propria identità di genere o con il proprio orientamento sessuale, di contro alla naturale ricerca di una propria identità costante nel tempo e sempre meglio integrata (dove l’integrazione riguarda le varie parti di sé, le varie motivazioni, i vari ambiti di vita, ma anche le relazioni affettive e sociali). E’ pur vero che la costruzione di un’identità matura maschile o femminile (e di una “vita di fantasie e esperienze eterosessuali”) è un processo evolutivo che ha a che fare con la cultura di appartenenza. E’ vero che in un certo senso Uomo e Donna lo si diventa, grazie alle influenze culturali, familiari e sociali, grazie a come queste si incontrano con le proprie caratteristiche psicologiche, e infine grazie anche alle scelte che la persona fa in ordine a queste esperienze (quali accogliamo e abbracciamo? quali rigettiamo? quali alimentiamo? quali culture o influenze studiamo, analizziamo o proviamo?). Facciamo un esempio: il bambino fa esperienza diretta e indiretta di cosa il padre, la 38 madre, ciascun fratello, insegnante e amico pensano voglia dire “essere maschio o femmina” e da queste esperienze e convinzioni viene influenzato in gran parte a livello inconscio (anche ad abbracciarne alcune e a rifiutarne altre). Poi vengono le fantasie, le attrazioni romantiche ed erotiche, le reazioni fisiologiche omo- e etero-sessuali. Poi le influenze provenienti da TV, film e pubblicità, dai chiacchiericci del gruppo di amici, ecc. Il bambino poi ci pensa, ci riflette, con maggiore o minore senso critico, e si convince e decide che questo o quest’altro non gli torna, che questa cosa sta così o cosà, che intraprenderà certe strade, che la sua natura è questa o quella (…deciderà se si impegnerà a diventare muscoloso, se farà il possibile per oggettificare una donna, se prenderà il Viagra senza averne particolare bisogno...; deciderà se intrattenere e coltivare fantasie e relazioni omosessuali o eterosessuali), ecc. In culture in cui le espressioni di femminilità o mascolinità (o anche le tipologie di orientamento sessuale) sono molteplici, il bambino va identificandosi, mentre cresce, con una delle categorie che la cultura gli offre, secondo un importante e inconscio “bilancio” (tra conformità e difformità) relativo alla percezione delle proprie caratteristiche (interessi, gusti, predisposizioni comportamentali) in relazione a quelle culturalmente tipiche di uno o di un altro tipo di gruppo presente in quella cultura. Ne consegue che bisognerebbe riflettere su quale cultura psicologicamente favorevole sia da diffondere. Probabilmente una cultura in cui il maschile e il femminile siano definiti, ma in modo ampio, complesso e flessibile, così da rendere possibile a tutti un’identificazione col genere conforme col proprio sesso (es. “posso sentirmi 39 maschio/virile anche se mi piace più l’arte e la riflessione e meno il gioco del calcio, la lotta o la competizione aggressiva…”). E’ certo deprecabile che l’uomo nella storia abbia preteso una posizione di maggiore valore e potere rispetto alla donna, ma questo non significa che la prevalenza del genere maschile o femminile in alcuni lavori o che certe caratteristiche “atipiche” comuni nelle varie culture (e molte anche nel mondo animale dei mammiferi) non trovino una spiegazione in predisposizioni genetiche e in una sorta di “vocazione” a realizzare tali proprie predisposizioni. Le teorie di Baron-Cohen, scientificamente supportate, parlano del femminile come “prevalentemente empatizzante” e del maschile come “prevalentemente sistematizzante” (conoscitore delle leggi che regolano il mondo fisico, sociale, ecc.). Realizzare questa vocazione a un’identità “sessuata” dovrà conciliarsi con la vocazione all’amore e non alla prepotenza, anche dei maschi sulle femmine. La diffusione delle teorie sul gender rischia di depotenziare la ricerca sana di un’identità sessuata (conforme al proprio sesso biologico), promuovendo una diffusa immaturità in ordine alla propria personalità, alle proprie funzioni sessospecifiche, in particolare alla funzione di partner (sul piano fisico, psicologico, sessuale, esistenziale) e alla funzione paterna o materna, fondamentali per lo sviluppo sano delle nuove generazioni e per il futuro dell’umanità. Mito n° 5 - Esisterebbe per alcuni un orientamento omosessuale o bisessuale, geneticamente prestabilito, o comunque tanto maturo e psicologicamente sano quanto l’orientamento eterosessuale. Tale orientamento atipico 40 dovrebbe essere semplicemente accettato come buono e immodificabile. L’eterosessualità è il dato psicofisico e psicosociale per eccellenza nella natura degli animali e dell’uomo, che fonda lo sviluppo della specie. L’omosessualità invece non è un fenomeno né un costrutto univoco. Potremmo infatti chiederci quanti pensieri, fantasie, reazioni fisiologiche o esperienze in quel senso si dovrebbero fare per ritenersi tali o bisessuali. O per “chiedersi” se lo si è. Prendiamo in considerazione coloro che si sentono omosessuali o bisessuali. Nel momento in cui non funziona il meccanismo motivante che è l’attrazione al gruppo che è “fisicamente diverso da me per sesso” ed è simile per età, è ragionevole pensare all’interferenza di elementi psicodinamici disturbanti (ad es. difficoltà o repulsione a sperimentare e coltivare nella fantasia l’attrazione eterosessuale così come la si è cominciata a sperimentare indirettamente o direttamente, o spinta a “erotizzare” la simpatia o la spinta identificante nei confronti delle persone dello stesso sesso). Per le teorie sul gender, un uomo sarebbe naturalmente chiamato a orientarsi sessualmente in direzione omo-, quale espressione di diversità altrettanto sana e potenzialmente felice; ma non esiste prova dell’esistenza di una “predisposizione costituzionale che sia naturale e assieme sana all’omo- o bi-sessualità”, né esiste una teoria scientificamente accreditata che ne spieghi l’origine biopsicologica. Esiste piuttosto un insieme di fenomeni conosciuti nei bambini come negli adulti, che 41 categorizziamo come erotizzazione non ordinata (es. attrazione pedofila, incestuosa, o parafiliaca). Anche se i meccanismi psicosociali non sono ancora stati chiariti, esiste un ruolo anche della propria storia personale e della cultura in cui si cresce. Infatti, da una parte, in culture in cui le espressioni di orientamento sessuale sono molteplici, il bambino crescendo andrà identificandosi con una delle categorie che la cultura gli offre; ancora, in culture in cui le espressioni di omosessualità sono ritenute più normali, il tasso di persone che si ritengono omosessuali è assai maggiore. Infine, esiste un ruolo anche degli eventi psicosociali sperimentati dalla persona: esistono infatti forme di omosessualità reattive ad abusi e maltrattamenti, così come relazioni negative con uno dei due genitori può essere correlato a certa omosessualità. E’ quindi ragionevole cercare di promuovere una cultura in cui l’eterosessualità è definita come il fine di un processo evolutivo-maturativo (es. una conquista complessa e flessibile) supportato da esperienze psicosociali adattive. In tale processo i momenti di confusione sono normali: sperimentare attrazioni omosessuali non dovrebbe essere vissuto come catastrofico (es. “posso oggi sentirmi attratto in direzione omo- come parte di un mio processo evolutivo che ha il suo fine nell’eterosessualità”). Un adolescente che sta sperimentando piacevolmente (anche con eccitazione) una fantasia, un desiderio o un contatto omosessuale non si dovrebbe tanto chiedere se lui “è” un omosessuale nascosto e incompreso (così come l’adolescente che faccia autoerotismo non è invitato a chiedersi se “è” un «autosessuale» nascosto e incompreso), ma si dovrebbe piuttosto vivere come in ricerca e in maturazione verso la 42 sua vocazione psicologica eterosessuale. Si rischia altrimenti di diffondere in molti bambini e adolescenti una grande confusione, una paura e il “lutto di essere irrimediabilmente destinati a non-essere-eterosessuale”, scatenando sintomatologie ansioso-depressive. Aumentare la possibilità che un adolescente si sperimenti in direzione omo- e si ritenga omosessuale o bisessuale (con l’aumento del numero di adolescenti e adulti che si identificano come omosessuali o bisessuali) aumenta il rischio di un certo malessere. La correlazione naturale al benessere psicologico della persona che si ritiene omosessuale è confutata dalla ricerca che ad oggi suggerisce che l’elevazione del tasso di suicidio nella popolazione di persone che si identificano come omosessuali rispetto alle persone che si definiscono eterosessuali non sia da attribuire solamente al giudizio negativo che una società e una cultura possono avere nei confronti dell’omosessualità. Si rischia di ignorare la promettente esperienza clinica che aiuta le persone che desiderano sperimentare un orientamento sessuale maggiormente eterosessuale. Mito n° 6 - L’orientamento sessuale non avrebbe a che fare con la questione sull’identità di genere. L’influenza genetica sullo sviluppo di interessi/comportamenti gender-atipici è correlata all’influenza genetica sullo sviluppo dell’omosessualità. La presenza di molti interessi/comportamenti gender-atipici è più frequente nell’infanzia delle persone che poi si definiranno bisessuali e ancor più in quelle che si definiranno omosessuali. Si rischia di utilizzare un 43 linguaggio che fa più confusione che chiarezza rispetto alla realtà delle cose, facilitando la manipolazione culturale e mentale da parte dei sostenitori delle teorie sul gender. Mito n° 7 –Secondo i sostenitori delle teorie sul gender esisterebbe una diffusa forma di repulsione e di disprezzo profondo (dalle radici psicologiche o derivanti dalla propria religione) nei confronti delle persone che manifestano (magari solo apparentemente) di non aderire perfettamente (in atteggiamenti, gusti, fantasie, desideri e comportamenti di tipo sessuale) all’idea di “vero maschio” o “vera femmina”, tale da sollecitare forme di aggressività “simil-razzista”, verbale o fisica, diretta o indiretta. Si tratterebbe di omofobia. Non esiste un costrutto chiaro di omofobia. In ambito psicoanalitico può comparire il termine con accezione di avversione che si proverebbe per una parte di sé indesiderata e vissuta come pericolosa e minacciante la propria immagine di sé, parte di sé e avversione che verrebbero poi “proiettate” su altre persone. In ambito cognitivista si parla invece di pregiudizio, di stereotipi, o di dinamiche di gruppo per le quali le caratteristiche di appartenenza sarebbero rigidamente definite e difese anche in modo aggressivo, in funzione di un rassicurante ma immaturo senso di appartenenza a un gruppo. Il problema psicosociale e adattivo di questi meccanismi (proiezione, pregiudizio, stereotipo, aggressività verso l’out-group) non riguarda qualsiasi tipo di giudizio o stereotipo, ma solo “i giudizi sul valore intrinseco della persona” (es. razziali). In altre parole, il problema nasce solo quando l’identificazione col gruppo è 44 investita di valore esistenziale per cui “si sente o si ritiene che avere o non avere certe caratteristiche di un gruppo abbia a che fare con quanto la persona vale e con quanti diritti abbia”. Solitamente questi meccanismi possono trovare origine da dinamiche che hanno a che fare con le relazioni affettive di riferimento e/o con esperienze psicosociali o culturali di tipo estremo (es. nazionalismi spinti che abbracciano l’uso della violenza). La sensibilità comune e la visione biblica e moderna che il cristianesimo ha nei confronti dell’omosessualità (tendenza disordinata, soggetta a potenti spinte psicobiologiche e culturali che attenuerebbero la colpa, a cui dover resistere con tutta la motivazione e la forza di cui uno dispone), o i meccanismi psicologicamente diffusi riguardo la “repulsione” per l’omosessualità (es. “mi fa effetto pensarci o pensarti così…”) non hanno a che fare con il valore intrinseco della persona. Nell’antropologia cattolica la tentazione, le cadute e i disordini nell’ambito del rapporto con la sessualità (in senso sia omo- che etero-), ma anche col cibo, coi soldi, con l’immagine di sé e con gli altri, connotano la vita di tutti e il cristiano è chiamato ad avere altissima stima per ogni persona, per la quale Cristo è morto e risorto. La sensibilità comune, pur rispettando le persone che nella loro libertà non hanno potuto, saputo o voluto intraprendere percorsi diversi dall’identificarsi come LGTB, non gradisce che i loro comportamenti omosessuali vengano esibiti alle nuove generazioni, né che culturalmente passi l’idea che il transessualismo e l’omosessualità siano varianti normali e sane, né che si creda che i bambini non abbiano bisogno di una mamma femmina e di un babbo maschio (dove cioè la funzione paterna sia chiaramente associata al maschile 45 psico-biologico e la funzione materna sia associata al femminile psico-biologico). La mancanza di un attento, delicato e coerente accompagnamento alla costruzione di un’identità sessuale armonica col proprio sesso biologico e di un orientamento eterosessuale non favoriscono la maturazione dell’identità di genere e il raggiungimento di una matura etero-sessualità nelle nuove generazioni, ma le indeboliscono. Mito n° 8 – Il bullismo (che si chiamerebbe omofobico) in cui si dà di “frocio e finocchio”, si ridurrebbe non appena i bambini, gli adolescenti e i loro adulti di riferimento comprendessero che l’omosessualità, la bisessualità e l’identità di genere difforme dal proprio sesso biologico sono espressioni naturali e altrettanto mature del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere. L’egoismo e l’aggressività diffusi (che determinano bullismo nei confronti delle persone con obesità, disabilità, difetto estetico, ecc. così come il bullismo contro adolescenti effeminati), insicurezze psicologiche significative e deprecabili estremismi culturali sono le cause delle forme di aggressività e delle condotte violente e vessatorie, che se si vuole potremmo chiamare “omofobiche”, e che vanno severamente stigmatizzate. Espressioni quali “sei contro-natura”, “malato”, “disgraziato”, “sfigato”, “fai schifo”, che vengono utilizzate da persone insensibili e aggressive (forse anche insicure e psicologicamente deboli, o permeate di una ideologia “razzista”), non si ridurranno in modo significativo nel momento in cui ci sarà una cultura che afferma ufficialmente 46 quanto l’effeminatezza e l’omosessualità sono naturali, sane e apprezzabili. Né si annullerà la sofferenza di queste persone. Nella culturalmente avanzata San Francisco c’è un’emergenza relativa ai numerosi tentati suicidi dei giovanissimi che si identificano come LGBT. D’altra parte nessuno si sogna di intraprendere azioni antibullismo diffondendo una visione delle cose secondo cui, ad esempio, l’obesità o la disabilità sarebbero varianti sane. Il messaggio da diffondere è che ogni persona vale in egual misura, è bella e amabile allo stesso modo, e gode di tutti i medesimi diritti. La soluzione va cercata in una scuola e in una cultura che sappia efficacemente aiutare i bambini e gli adolescenti a riconoscere la dignità intrinseca di ogni persona (a prescindere dall’aspetto esteriore, dalla soddisfazione o meno di standard estetici, dallo status sociale di appartenenza, dalle scelte fatte e dalla presenza di malattie es. diabete-, difetti –es. miopia-, disturbi psicologici o caratteristiche disfunzionali –es. dislessia-, ecc.). Accogliendo le teorie sul gender si sbaglia completamente il tiro nella lotta alla prepotenza e all’antisocialità. In particolare, le teorie sul gender attaccano il ruolo della tradizione e della religione (anche cattolica), che favorirebbero una lettura dell’omosessualità come disordine psichico e spirituale, ma sottovalutano il ruolo che queste hanno nel promuovere la prosocialità, la giustizia, la pace e l’amore. Relativamente all’educazione sessuale e all’abbattimento degli stereotipi di genere, l’urgenza educativa non è la normalizzazione dell’omosessualità o del transessualismo, ma è un’altra, molto più subdola e diffusa, e riguarda 47 l’ipersessualizzazione precoce: la concentrazione sul corpo femminile magro o comunque sexy, e sulla prestazione sessuale sganciata dal rapporto affettivo impegnato e responsabile sta portando rilevanti problemi sociali (es. mancanza di rispetto per le donne, fino al femminicidio) e piscologici (da sintomatologie ansioso-depressive alla dismorfofobia, da sintomi dissociativi alle dipendenze e al disturbo alimentare). Anche in questo caso si ha una “deumanizzazione”: tu, ragazza, sei un oggetto, e se non hai quelle caratteristiche da copertina di rivista “sei meno donna, sei sfigata, contro-natura e non hai diritti, fai schifo”. Concludendo, bisogna trovare una risposta efficace e ragionevole a ogni forma di bullismo e alla “subdola violenza di una cultura ipersessualizzata e relativista”. NO AL BULLISMO, di ogni tipo! NO ALL’IPERSESSUALIZZAZIONE PRECOCE! NO ALL’OGGETTIFICAZIONE DELLE BAMBINE, DELLE ADOLESCENTI E DELLE DONNE! Grande è la sofferenza di molte persone (in particolare di bambini e adolescenti) causata dall’insensibilità e dall’aggressività con cui altri reagiscono a certe loro caratteristiche gender-atipiche, transgender, o connotabili come omosessuali. Ma grande è anche la sofferenza di chi dovrebbe, secondo le teorie sul gender, “scoprirsi e accettarsi” omosessuale o di identità di genere non conforme al proprio sesso, o di chi comunque dovrebbe considerarsi brutto quando si confronta con gli stretti e diffusi standard estetici passati dai media di intrattenimento. Lo si ridica: 48 -E’ nocivo ogni comportamento che sia diffamante-oaggressivo nei confronti loro ma anche nei confronti di ogni cultura contraria alle teorie sul gender (a partire da azioni come il chiacchiericcio, commenti denigratori, offese sarcastiche, stigmatizzazioni che identifichino la persona con tale caratteristica al fine di offendere, discriminare, ecc.). -Questo tipo di comportamento è molto nocivo in età evolutiva, in quanto difficilmente gestibile dal bambino e dall’adolescente, che per crescere sereno ha bisogno di un gruppo sociale solidale e un aiuto al consolidamento di un’immagine positiva di sé. -E’ ancor più nocivo quando la persona viene messa in contesti in cui questo è l’atteggiamento diffuso, costante e/o subdolo, senza poterne parlare serenamente con gli adulti di riferimento. -Finalmente, è particolarmente nocivo quando questo atteggiamento viene giustificato con ragioni valoriali, morali o scientifiche (da una parte la caratteristica sarebbe socialmente «riprovevole», motivo di «diminuzione di umanità»; dall’altra, lo sarebbero il desiderio e la speranza di poter maturare un diverso orientamento sessuale). Sono quindi da lodare e incoraggiare quelle azioni che scoraggiano o condannano questo tipo di comportamenti aggressivi e sensibilizzano la società a percepire e valorizzare pienamente ogni persona, appunto in quanto persona e a prescindere da qualunque caratteristica fisica o di personalità. Infine è urgente trovare aiuti efficaci per le persone con atipicità negli ambiti: identità di genere (vd. Disforie di genere precoci e severe) e Pulsioni/Fantasie/Reazioni 49 fisiologiche / Motivazioni (PIRM) relative all’orientamento sessuale (es. omosessuali a esordio nel bambino prepubere). Ci sono condizionamenti (bio)psicologici molto molto potenti nel determinare tali atipicità. Tali atipicità sono resistenti a scomparire e a far spazio ad espressioni più tipiche (identità di genere conforme al proprio sesso biologico e eterosessualità). Ciò rende questi fenomeni di interesse psicologico e non solo morale: in altri termini, le cause delle scelte considerate disordinate nell’ambito morale non sono da ricercare solo e fondamentalmente nella responsabilità del soggetto, quanto in predisposizioni psicofisiche e nei condizionamenti psicosociali (che hanno causato e contribuiscono al mantenimento di tali comportamenti). Ciò non significa che l’atto più importante al fine di un riordinamento morale (e comportamentale) non possa o non debba nascere dalla libertà personale, dopo essere stata adeguatamente educata (e, secondo l’antropologia cattolica, “salvata”). Mito n° 9 - I figli di persone e coppie omosessuali hanno le medesime opportunità di crescere tanto sani quanto i figli di coppie eterosessuali. Nella letteratura ci sono diversi studi sulla salute mentale dei figli di coppie omosessuali (lesbiche nella maggioranza quasi assoluta degli studi). Ma moltissimi studi non sono solidi sul piano metodologico. Come minimo, accogliendo le teorie sul gender, si rischia di mettere in condizione tanti bambini di crescere senza una chiara percezione e cognizione (socialmente condivisa) di chi sia (e perché) la mamma e il papà, con conseguenze sul 50 loro sano sviluppo psicologico. Stiamo parlando di rischio di disagio, simile a quello diffuso nei figli di genitori separati: insicurezze (in area identità di genere e orientamento sessuale; e di intimità e impegno nella vita di coppia), sintomatologia depressiva (come il sentirsi meno soddisfatti della vita) e difficoltà future nelle relazioni affettive di coppia. Inoltre tali bambini saranno ovviamente “acculturati in direzione delle teorie sul gender”, con le conseguenze descritte in questo mio intervento. In più si diffonderebbe uno sguardo alla genitorialità come qualcosa di sempre più sganciato dalla generazione biologica e fisiologica, aumentando i rischi di una deriva nella direzione consumistica e manipolatoria delle “nuove vite” (vd. la fecondazione eterologa, gli uteri in affitto, ecc.). Purtroppo le derive di tale impostazione culturale vanno oltre: pare infatti che non si voglia soltanto mettere in discussione l’utilità di avere una madre femmina e un padre maschio ma perfino di avere una funzione materna e una paterna. Infatti, piuttosto che optare per la possibilità di scrivere nei documenti un nome maschile nello spazio dedicato alle madri (o un nome femminile nello spazio del padre), qualcuno ha optato per eliminare la parole “madre” e “padre”, mettendo in discussione la realtà indiscussa fino ad oggi (come l’idea che “l’erba sia verde”) e, sul piano psicologico, mettendo in discussione la necessità di due funzioni diverse, alleate e complementari: quella maschilepaterna e quella femminile-materna. Si rischia di ignorare l’ingente letteratura scientifica e clinica che sostiene l’utilità della figura femminile-materna e della figura maschile-paterna per la crescita psicologica del bambino. 51 Oggi invece è un’urgenza psico-sociale rivalorizzare la famiglia quale elemento di qualità di vita per l’adulto come per il bambino, e rivalorizzare le funzioni materna e paterna, come importanti per lo sviluppo sano della persona. Ecco allora la grande urgenza socioculturale: la difesa della famiglia come luogo di affetto e cura stabile dei figli! La piaga di coppie instabili e conflittuali, nonché di genitori immaturi che hanno fatica a “fare i padri” o a “fare le madri”, ha infatti conseguenze importanti sul disagio psicologico e relazionale delle future generazioni. Mito n° 10 - Non ci sarebbe, da parte dei fautori di queste teorie sul gender, l’intenzione di limitare la libertà di opinione, parola o manifestazione; l’educazione e la legislazione contro l’omofobia e il bullismo omofobico non impedirebbero alcuna libertà fondamentale. Piuttosto sostenere l’eteronormatività della civiltà umana sarebbe un pregiudizio derivante da visioni ideologiche irragionevoli. Manifestazioni che affermano i dati di fatto sopra descritti e visioni dell’uomo e della natura che vantano molti più secoli, molta più fecondità culturale, sociale e umana delle teorie del gender, vengono definite “omofobe”. Stando ai fautori delle teorie sul gender, a questi manifestanti non si dovrebbe dar spazi o possibilità di manifestare o diffondere il proprio pensiero. Lo studente, il genitore o l’uomo di cultura che a scuola non si trova a suo agio con le teorie sul gender dovrebbe, secondo loro, ravvedersi e “convertirsi”. Ma questo è impedimento alla libertà di opinione e manifestazione! Il mandato dell’UNAR di vigilare su tutte le azioni che potrebbero colludere col cosiddetto atteggiamento 52 omofobico e di promuovere un atteggiamento permeato delle “teorie sul gender” assomiglia a un vero e proprio “piano di rieducazione statale” (che ricorda quello dei sistemi totalitari) a cui si intende sottoporre un paese, senza che questo ne abbia ben chiaro il perché e, soprattutto, abbia avuto modo di analizzarlo e sceglierlo liberamente. Analogamente, tali azioni di “sensibilizzazione culturale” sono utilizzate da altre correnti culturali che rischiano in modo analogo di decostruire l’inconscio collettivo e i concetti di: natura, legge naturale e legge morale, con conseguenze gravi sulla motivazione alla prosocialità appassionata, responsabile e affidabile, e con gravi conseguenze a lungo termine sulla salute delle persone e delle società. Stiamo parlando delle correnti culturali secondo cui la sessualità è ben vissuta fondamentalmente quando è protetta dal rischio delle malattie a trasmissione sessuale e dalla gravidanza precoce, irresponsabile o indesiderata. Di fatto i programmi educativi (a scuola o nei consultori) inspirati a questa impostazione culturale colludono con l’odierna ipersessualizzazione e la precocizzazione dell’esperienza erotica, dove la vita sessuale è di fatto disimpegnata e disintegrata dagli aspetti affettivi, esistenziali e morali. Si rischia in nome di una pseudoscienza, quella di una ricerca psicologica affettata e ideologizzata, di supportare teorie che sradicano nel profondo l’essenza umana e il collante psicologico, sociale, morale, esistenziale e spirituale-religioso. E’ urgente maturare nuove forme rispettose, delicate ed efficaci che, come avviene per tante «dipendenze», compulsioni e altre tendenze (nel percepire, desiderare, agire) molto difficili da modificare, siano capaci di supportare il bambino, 53 l’adolescente o l’adulto che si trovi a vivere con difficoltà la sfida di integrare le proprie caratteristiche gender-atipiche, risolvere identificazioni e disidentificazioni disfunzionali relativi al gender, superare fasi omosessuali, cercare e sperimentare esperienze dal valore terapeutico. Non si tratta di intendere l’identità di genere difforme dal proprio sesso o l’omosessualità come malattie con connotati fisiologici o psichiatrici, quanto piuttosto ritenerle forme di immaturità e, in ultima analisi, tendenze psicologicamente, socialmente e/o spiritualmente immature, da superare (come si fa per i rapporti disordinati con gli altri, con la propria immagine di sé, ecc.). Quindi le azioni che perseguono un supporto psicologico alla maturazione di una psicologia più integrata e funzionale a volte fanno parte di percorsi preventivi o interventi strutturati (similmente a interventi sul bullismo, che non si possono chiamare “curativi”), altre volte fanno parte di una vera e propria psicoterapia (che è indicata non solo per “curare malattie” ma soprattutto per “fornire chiavi utili a superare empasse e disagi psicologici permanenti”). Non è vero che le psicoterapie che hanno questo fine e lo fanno con delicatezza possono essere nocive (come invece si sente dire da molti, a causa della manipolazione mistificatoria dei dati scientifici). Anche se tutto può essere usato male: gli antidepressivi possono essere pericolosi in termini di facilitazione di ideazione suicidaria, se dati in modo inappropriato. 54 Gli atti di Scienza & Vita Firenze sono distribuiti gratuitamente Finito di stampare nel mese di giugno 2014 presso la Tipografia “Il Pappagallo” 55