■ L’analisi
Evoluzione del collocamento
e mercato del lavoro in agricoltura
Massimiliano D’Alessio*
Premessa
Il lavoro dipendente in agricoltura costituisce una quota importante delle opportunità occupazionali fornite dal sistema economico del nostro Paese, sia in termini quantitativi che qualitativi. D’altronde il lavoro agricolo, diversamente da una
convinzione comune, non può essere semplicisticamente ridotto a lavoro saltuario
o tantomeno precario, ricordando la significativa diffusione di rapporti di lavoro a
tempo indeterminato e di altre forme che, sebbene inquadrate contrattualmente nell’ambito del tempo determinato, possono essere considerate, a pieno diritto, stabili e strutturali1.
Parallelamente i processi di trasformazione che riguardano il settore, chiaramente evidenziabili attraverso l’analisi dei risultati del 6° Censimento generale dell’agricoltura, determinano un radicale cambiamento anche in quelli che sono i meccanismi di funzionamento del mercato del lavoro agricolo con particolare riguardo
ai profili professionali richiesti dalle imprese del settore. Nell’agricoltura italiana, infatti, emerge la necessità di implementare nuovi modelli organizzativi per permettere alle imprese di affrontare le sfide del futuro: le occasioni offerte dalle nuove forme di attività agricole multifunzionali, il rafforzarsi del rapporto tra agricoltura e
territorio, il disaccoppiamento della politica agricola, l’evoluzione della filiera agroalimentare2.
Storicamente il settore agricolo in Italia è stato da sempre oggetto di specifici
accorgimenti normativi per il governo del mercato del lavoro. Il principale strumento messo in campo dal Legislatore ha riguardato l’implementazione del collocamento pubblico per l’avviamento al lavoro. Recentemente con il passaggio da
*
Fondazione Metes.
Confagricoltura, Il lavoro «vero» in agricoltura, Confagricoltura, Roma, 2009 (disponibile sul sito
(http://www.confagricoltura.it/ita/comunicazioni_produzione-editoriale/studi-e-ricerche/il-lavoro-vero-in-agricoltura.php).
2 Giovannini E., Il volto dell’agricoltura tra complessità e cambiamento, Rivista Agriregionieuropa, n. 31,
dicembre 2012, (disponibile sul sito http://agriregionieuropa.univpm.it/dettart.php?id_articolo=988).
1
a
e
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12/2012 Mercato del lavoro e agricoltura
a
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14
un assetto vincolistico e rigido verso la liberalizzazione si è registrato un crescente processo di affievolimento del ruolo dell’intervento statale per il governo del mercato del lavoro. Le norme sul collocamento ordinario sono state, infatti, oggetto
in questi ultimi anni di profonde innovazioni.
Con il d.lgs. n. 469 del 23.12.1997, le funzioni e i compiti relativi al collocamento e alle politiche attive del lavoro (collocamento ordinario, agricolo, spettacolo, obbligatorio, liste di mobilità) sono state conferite alle Regioni ed alle Province. Con lo stesso provvedimento normativo è stato, inoltre, previsto l’ingresso
dei privati (società, cooperative, associazioni e fondazioni…) nell’attività di mediazione tra domanda ed offerta di lavoro.
D’altronde il collocamento pubblico dell’avviamento al lavoro ha rappresentato
storicamente una delle grandi battaglie del movimento sindacale in agricoltura. La
richiesta di un ruolo attivo dello Stato nasceva, infatti, dalla richiesta delle organizzazioni sindacali di garantire il rispetto delle norme non discriminatorie nell’ottica
della difesa generale degli interessi collettivi. Queste lotte hanno caratterizzato tutto il secolo scorso permettendo la conquista di importanti provvedimenti normativi (legge 246 del 1949, legge n. 83 del 1970) che hanno fornito un fondamentale
contributo alla guerra al «mercato di piazza» che caratterizzava ampie aree agricole
del Paese.
In questo contesto il presente lavoro si pone un duplice obiettivo. Il primo riguarda
l’analisi delle specifiche criticità che riguardano il lavoro agricolo (paragrafo 1) approfondendo in particolare le evoluzioni che negli anni hanno riguardato la domanda
di lavoro formulata delle imprese in termini di specifici fabbisogni professionali (paragrafo 2). Il secondo obiettivo riguarda la ricostruzione delle evoluzioni normative che
in Italia hanno riguardato sia la normativa nazionale in materia sul collocamento agricolo (paragrafo 3) sia gli orientamenti adottati da alcune regioni che si segnalano per
la significativa presenza di lavoratori impegnati nel settore agricolo.
1. Le criticità e i caratteri del lavoro agricolo
1.1 La natura dei rapporti di lavoro e trend occupazionale
In Italia, secondo le stime di contabilità nazionale dell’Istat relative al 2011, il
settore dell’agricoltura conta 955,1 mila occupati, che costituiscono il 3,9% dell’occupazione totale (tab. 1). Gli occupati in agricoltura sono composti per il 54,3%
da dipendenti, mentre nel resto dell’economia questa quota sale al 76,8%. La quantità di lavoro utilizzata in agricoltura, espressa in unità di lavoro a tempo pieno (Ula),
è di un milione e 228,3 mila unità. Il rapporto fra unità di lavoro a tempo pieno
e occupati è pari a 1,28 mentre nel resto dell’economia è pari all’unità.
Questi dati evidenziano due importanti peculiarità del mercato del lavoro agricoche in particolare riguardano:
– la forte componente di lavoro indipendente, dovuta alla prevalenza della mano d’opera familiare e delle piccole aziende a conduzione diretta;
– la frammentarietà dei rapporti di lavoro, visto che un rapporto Ula/occupati superiore a 1 indica una consistente presenza di posizioni lavorative instabili.
lo3
Tabella 1 - Occupati dipendenti, indipendenti e totali in Agricoltura,
silvicoltura e pesca (in migliaia)
Anno
1970
1975
1980
1985
1990
1995
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
Dipendenti
1461,9
1282,8
1079,6
851,2
786,7
622,9
536,4
547
536,8
468,4
492,8
528,5
549,1
543,3
532,4
510,6
518,6
518,9
Agricoltura, silvicoltura e pesca
Indipendenti
2546,3
1993,5
1777
1317,6
903,2
693,3
566,5
563,2
542,7
540,9
529,7
490
489,6
470,6
459,3
450,4
455,9
436,2
Totale
4008,2
3276,3
2856,6
2168,8
1689,9
1316,2
1102,9
1110,2
1079,5
1009,3
1022,5
1018,5
1038,7
1013,9
991,7
961,0
974,5
955,1
Fonte: Istat, Conti economici nazionali 1970-2011.
3 Cnel, Rapporto sul Mercato del Lavoro 2003, Cnel, Roma, luglio 2004 (disponibile al sito
http://www.cnel.it/53?shadow_documenti=10618).
L’analisi
La quota dell’occupazione agricola sul totale dell’economia è caduta, nell’ultimo
decennio, a ritmi molto più blandi di quanto è accaduto nei precedenti anni. Ciò a
testimonianza dell’avanzato processo di riorganizzazione, che caratterizza questo settore dal secondo dopoguerra.
a
e
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12/2012 Mercato del lavoro e agricoltura
1.2 Problemi di ricambio generazionale
a
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16
L’indagine Forze Lavoro dell’Istat segnala che circa 5,9% degli occupati nel settore primario ha una età che supera i 65 anni di età (tab. 2). Per gli indipendenti impegnati in agricoltura questo dato si eleva al 10,6%. Secondo le statistiche, quindi,
per un’azienda su 10 si avvicina il momento del «passaggio generazionale». Si pone,
quindi, un problema di ricambio che in assenza di persone (familiari o meno) disposte
a subentrare nella gestione dell’azienda può voler significare la cessazione e l’abbandono dell’attività.
Tabella 2 - Occupati in agricoltura per classe d’età (2010)
Classi di età
15-24 anni
25-34
35-44
45-54
55-64
Totale 15-64
65 e oltre
TOTALE
Dipendenti
5,8%
21,8%
30,1%
28,4%
13,1%
99,3%
0,7%
100,0%
Agricoltura
Indipendenti
3,1%
12,4%
23,4%
29,4%
21,0%
89,4%
10,6%
100,0%
Totale
4,4%
16,9%
26,6%
29,0%
17,2%
94,1%
5,9%
100,0%
Fonte: Ns. elaborazione su Rilevazione sulle forze di lavoro, Istat.
I dati dell’indagine Forze Lavoro dell’Istat evidenziano inoltre la quota piuttosto limitata di occupati con età inferiore a 35 anni (21,3%). Ciò conferma i problemi di turnover generazionale nella forza lavoro che caratterizzano il settore agricolo italiano.
1.3 Ricorso a lavoratori migranti
Secondo le rilevazioni dell’Osservatorio sulle aziende e gli operai agricoli dell’Inps
nel 2011 erano circa 126 mila i lavoratori migranti impegnati nel settore agricolo italiano pari al 12,4% del totale della forza lavoro attiva in agricoltura4. La Figura 1 evidenzia la crescita registrata negli ultimi anni nella numerosità dei lavoratori migranti impegnati nel settore agricolo italiano.
4 Si tratta di lavoratori provenienti prevalentemente da Bangladesh, Marocco, India, Albania, Pakistan,
Malawi, Tunisia, Sri Lanka, ex-Jugoslavia. A questi bisogna aggiungere un numero altrettanto rilevante di lavoratori provenienti da Paesi neo-comunitari (in particolare Romania e Polonia) (Confagricoltura, 2009).
Fonte: Ns. elaborazioni su dati Inps, 2013.
La tabella 3 permette di fare delle considerazioni in merito ad alcune caratteristiche del lavoro migrante in agricoltura in Italia anche attraverso un confronto con le
peculiarità che in generale si rilevano nell’ambito del mercato del lavoro agricolo italiano. Le principali osservazioni che è possibile formulare riguardano:
– la netta prevalenza di soggetti di sesso maschile tra lavoratori migranti impegnati
nel settore agricolo italiano (80,0%). Questo dato si mostra con maggiore forza se
lo si paragona alla composizione di genere che caratterizza il totale dei lavoratori
impegnati in Italia nel settore primario (+18,2%);
– la predominanza di addetti sotto i 39 anni (62,2%) che caratterizza la popolazione dei lavoratori migranti impegnati nel settore agricolo italiano in controtendenza
rispetto ai valori che caratterizzano la forza lavoro complessivamente attiva in agricoltura in cui si registra una prevalenza degli over 40 (53,6%);
– un elevato grado precarietà nei rapporti di lavoro testimoniato da una netta prevalenza di lavoratori che svolgono un numero di giornate inferiore a 100 nel corso dell’anno. Si può, in particolare, osservare la maggiore incidenza tra i migranti dei lavoratori impegnati per meno di 50 giornate all’anno (+4,1%). D’altro canto
si registra tra i migranti una maggiore incidenza dei lavoratori con più di 150 giornate all’anno (+2,8%) a testimonianza dei processi di stabilizzazione che gradualmente coinvolgono in Italia anche i lavoratori migranti;
– questo processo di stabilizzazione dei rapporti di lavoro non è viceversa confermato
considerando i dati relativi alla numerosità dei lavoratori migranti titolari di un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Si rileva, infatti, una netta prevalenza degli operai a tempo determinato (88,2%) su quelli a tempo indeterminato (13,9%).
L’analisi
Figura 1 - Evoluzione della numerosità dei lavoratori migranti
in agricoltura nel periodo 2000-2011
a
e
17
12/2012 Mercato del lavoro e agricoltura
Tabella 3 - I caratteri del lavoro migrante agricolo in Italia (2011)
a
e
18
Lavoratori migranti
in agricoltura
Totale lavoratori
in agricoltura
Diff. % tra
migranti e
tot. agricolt.
Sesso
Maschi
Femmine
101.100
25.307
80,0%
20,0%
630.946
390.074
61,8%
38,2%
18,2%
-18,2%
Classi di età
fino a 19
da 20 a 29
da 30 a 39
da 40 a 49
da 50 a 59
da 60 a 64
65 ed oltre
2.781
32.633
43.192
32.681
13.376
1.440
304
2,2%
25,8%
34,2%
25,9%
10,6%
1,1%
0,2%
26.351
203.826
243.195
277.977
204.483
41.014
24.174
2,6%
20,0%
23,8%
27,2%
20,0%
4,0%
2,4%
-0,4%
5,9%
10,4%
-1,4%
-9,4%
-2,9%
-2,1%
Giornate
lavorate
fino a 50 gg
da 51 a 100 gg
da 101 a 150 gg
oltre 150 gg
42.143
22.045
21.443
40.776
33,3%
17,4%
17,0%
32,3%
298.551
188.513
233.508
300.448
29,2%
18,5%
22,9%
29,4%
4,1%
-1,0%
-5,9%
2,8%
Categoria
OTD
OTI
111.443
17.622
88,2%
13,9%
894.613
126.407
87,6%
12,4%
0,5%
1,6%
Totale
126.407 100,00%
1.021.020 100,00%
Fonte: Ns. elaborazioni su dati Inps, 2012.
La tabella 4 permette di analizzare la distribuzione a livello territoriale dei lavoratori migranti impegnati nell’agricoltura italiana. La Regione con la maggiore numerosità di lavoratori migranti in agricoltura è l’Emila Romagna con circa
20,3 mila lavoratori. Seguono la Sicilia che occupa circa 13 mila lavoratori migranti
e la Lombardia con circa 11 mila occupati agricoli extracomunitari. In Toscana e
in Veneto i lavoratori migranti in agricoltura sono invece circa 10 mila. Le Regioni
con la minore numerosità di lavoratori migranti sono infine il Molise, la Sardegna e la Valle d’Aosta che occupano ciascuna meno di 600 lavoratori.
Le Regione con la maggiore incidenza di lavoratori migranti in agricoltura sono la Liguria (39,6% del totale), il Piemonte (27,2% del totale), l’Umbria e la
Lombardia (26,7% del totale). Quelle con la minore incidenza sono invece la
Sardegna (2,2% del totale), la Calabria (3,0% del totale), la Puglia (5,3% del
totale).
Tabella 4 - Distribuzione territoriale dei lavoratori migranti agricoli
nelle Regioni italiane (2011)
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino Alto Adige
Veneto
Friuli Venezia Giulia
Liguria
Emilia Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale
8.843
386
13.062
3.019
10.437
1.799
2.229
20.352
10.858
3.478
3.474
9.516
3.960
536
6.534
9.308
2.145
4.103
11.871
497
126.407
7,0%
0,3%
10,3%
2,4%
8,3%
1,4%
1,8%
16,1%
8,6%
2,8%
2,7%
7,5%
3,1%
0,4%
5,2%
7,4%
1,7%
3,2%
9,4%
0,4%
100,0%
Totale lavoratori
in agricoltura
32.485
2.245
48.947
48.090
53.090
11.547
5.630
88.957
53.788
13.003
14.320
37.404
16.188
4.604
79.902
175.329
27.121
134.697
151.423
22.250
1.021.020
3,2%
0,2%
4,8%
4,7%
5,2%
1,1%
0,6%
8,7%
5,3%
1,3%
1,4%
3,7%
1,6%
0,5%
7,8%
17,2%
2,7%
13,2%
14,8%
2,2%
100,0%
Incidenza % dei
migranti sul tot.
lavoratori agric.
27,2%
17,2%
26,7%
6,3%
19,7%
15,6%
39,6%
22,9%
20,2%
26,7%
24,3%
25,4%
24,5%
11,6%
8,2%
5,3%
7,9%
3,0%
7,8%
2,2%
12,4%
Fonte: Ns. elaborazioni su dati Inps, 2012.
1.4 Emersione delle forme di lavoro nero e grigio
Secondo le stime fornite dall’Istat, in agricoltura si rileva un tasso di irregolari superiore a quello calcolato per i rimanenti comparti. Nel 2011, infatti, gli occupati non
regolari in agricoltura sono 354,2 mila, pari al 37,1% dell’occupazione totale del settore, mentre per le rimanenti attività economiche (Industria, Industria in senso
stretto, Costruzioni, Servizi) si stima un tasso d’irregolarità pari al 10,5%. In termini di unità di lavoro, cioè di input di lavoro calcolato secondo gli orari contrattuali
standard, la stima è di 305,2 mila unità, pari al 24,8% del totale, contro il 12,2% registrato nei rimanenti settori. Da queste prime evidenze si evince che il fenomeno del
sommerso in agricoltura è di proporzioni molto consistenti e ben al di sopra del tasso di irregolarità complessivo registrato per tutta l’economia (ed è tra i più alti a livello europeo).
L’analisi
Lavoratori migranti
in agricoltura
a
e
19
12/2012 Mercato del lavoro e agricoltura
Tabella 5 - Tassi di irregolarità delle unità di lavoro in agricoltura, silvicoltura
e pesca, per ripartizione: 2001-2009
a
e
20
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Mezzogiorno
Totale Italia
Fonte: Istat.
2001
15,4
17,1
20,0
25,0
20,9
2002
15,9
16,7
20,2
25,4
21,0
2003
14,4
14,2
17,0
22,0
18,3
2004
16,9
15,5
19,5
23,3
19,9
2005
19,0
18,1
21,8
25,3
22,2
2007
23,4
22,9
23,1
25,3
24,2
2008
24,8
24,7
21,8
25,0
24,5
2009
26,0
25,4
21,8
24,4
24,5
1.5 Bassi livelli di formazione agraria dei capi azienda
L’Italia è tra gli Stati membri con i più bassi livelli di formazione agraria dei capi
azienda. La tabella 6 riporta i dati relativi al grado di formazione professionale agraria dei capi azienda in Italia e in Europa. I dati forniti da Eurostat per l’anno 2005
mostrano che l’88,8% dei capi di azienda possiede una formazione esclusivamente
pratica ed il restante 11,2% una formazione agraria elementare (8,2%) o completa
(3,1%) (tab. 6). Questi dati evidenziano una disparità rispetto a quanto registrato per
UE27 dove il 20% dei capi azienda possiede una formazione agraria elementare o
completa.
Tabella 6 - Grado di formazione professionale agraria dei capi azienda in Italia
e in Europa (2005)
Italia
EU27
Esperienza agraria Formazione agraria Formazione agraria Formazione agraria
esclusivamente pratica
completa
elementare
elementare e completa
n.
%
n.
%
n.
%
n.
%
imprenditori
imprenditori
imprenditori
imprenditori
1.534.520 88,8%
53.110 3,1%
140.900 8,2%
194.010
11,2%
11.590.400 80,0%
1.236.070 8,5%
1.655.570 11,4%
2.891.640 20,0%
Fonte: Ns. elaborazione su dati Eurostat, 2005.
1.6 Salute e sicurezza sul lavoro
Il fenomeno infortunistico nel settore agro-forestale in Italia presenta una rilevanza significativa sia in termini assoluti, sia rispetto al settore dell’industria ed a
quello dei servizi, specialmente considerando il numero di infortuni occorsi per
numero di occupati. Secondo i dati ufficiali nel triennio 2007-2011 si è registrata una media di circa 52,2 mila incidenti annui nel settore agricolo-forestale, di
cui circa 115 mortali. Tra questi dati, poi, risulta essere rilevante ed in aumento
la percentuale di infortuni occorsi ai lavoratori stranieri impiegati nel settore agro-
forestale5 . Nel 2011 sono stati 5.824 gli infortuni occorsi a lavoratori stranieri impegnati in agricoltura con 14 casi mortali. La tabella 7 evidenzia, infine, un aumento delle malattie professionali. Questo fenomeno sarebbe, in particolare, dovuto all’aumento delle patologie dovute all’esposizione ad agenti chimici registrato
negli ultimi anni.
2011
46.963
55,3
107
0,135
7.971
2. La domanda di lavoro delle imprese agricole attraverso l’indagine Excelsior
L’elaborazione dei dati forniti dalle indagini Excelsior6 permette di indagare i caratteri e le evoluzione che nello specifico interessano la domanda di lavoro nel settore agricolo italiano. L’indagine in particolare fornisce informazioni utili ad analizzare sia sul piano quantitativo che su quello qualitativo i caratteri delle previsioni di
assunzioni di dipendenti stabili e di dipendenti stagionali dichiarate dalla imprese agricole italiane.
2.1 Assunzioni di dipendenti stabili
Il primo elemento da segnalare riguarda la ridotta incidenza delle imprese agricole che nel 2012 manifestavano l’intenzione di effettuare assunzioni di dipendenti stabili (3,8% del totale delle imprese con nuove assunzioni). Viceversa appare netta la
prevalenza delle aziende agricole che intendevano assumere personale saltuario e/o stagionale (89,2% del totale delle imprese con nuove assunzioni). La percentuale di imprese che nel 2012 intendevano assumere lavoratori stabili manifesta valori differenziati considerando le specializzazioni produttive. Ad esempio, le imprese della
5
Inail, Rapporto annuale 2011, Inail, luglio 2012.
Unioncamere - Ministero del Lavoro, Settore agricolo. Sistema informativo Excelsior. I fabbisogni professionali e formativi per il 2012, Unioncamere, Roma, 2012 (disponibile sul sito http://excelsior.unioncamere.net).
6
L’analisi
Tabella 7 - Infortuni avvenuti negli anni 2007-2011 nel settore agricolo
2007
2008
2009
2010
Infortuni in complesso
57.252
53.888
52.687
50.215
di cui indice di incidenza
62,0
61,6
62,1
57,9
Casi mortali
104
126
128
112
di cui indice di incidenza
0,113
0,145
0,151
0,129
Malattie professionali
1.650
1.832
3.926
6.389
Fonte: Inail, 2012.
a
e
21
12/2012 Mercato del lavoro e agricoltura
a
e
22
silvicoltura si attestano su valori superiori al 7%, a fronte del 3% di chi svolge attività miste agricole e zootecniche. L’incidenza delle imprese che nel 2012 intendevano assumere lavoratori stabili appare diversificata anche livello territoriale. Nell’Italia centrale, infatti, la percentuale sale al 7,5%, mentre si riduce al 2% nel
Mezzogiorno, più orientato al lavoro stagionale anche in considerazione del diverso
mix produttivo. Un terzo delle imprese (33,8%) manifestano invece l’intenzione di
fare ricorso a contoterzisti (fenomeno più diffuso nel Centro-Nord che nel Mezzogiorno), mentre quattro quinti delle stesse (80,9%) intendono usufruire di consulenti
esterni.
Secondo l’indagine Excelsior 2012 la maggioranza delle imprese (60%) non valuta necessario, infatti, un ulteriore ricorso a dipendenti fissi in quanto ritiene che il
personale stagionale e/o saltuario sia in grado di sopperire completamente ai fabbisogni occupazionali. Parallelamente sono le imprese con fatturato in aumento, esportatrici e che hanno sviluppato nuovi prodotti/servizi nel corso del 2011 ad essere maggiormente interessate ad assumere personale stabile.
L’analisi del flusso di assunzioni di lavoratori stabili previsto per il 2012 fornisce
ulteriori informazioni. Innanzitutto secondo le previsioni di assunzione di dipendenti
fissi per il 2012 si evidenzia che saranno 9.200 le unità lavorative che saranno inserite nelle imprese agricole con contratti a tempo indeterminato. L’83% dei nuovi lavoratori stabili dovrebbe, in particolare, essere assunto da aziende con meno di 10 dipendenti. Sul piano delle specializzazioni produttive, la maggior parte dei nuovi assunti
stabili (7.000 unità, tre quarti del totale) dovrebbe trovare posto nelle aziende specializzate nelle coltivazioni agricole. Molto più contenute sono invece le nuove assunzioni di dipendenti stabili per aziende con specializzazione zootecnica (800 unità; 9%) e per quelle con servizi connessi all’agricoltura (700; 8%). Sul piano
territoriale, circa il 40% delle assunzioni di personale stabile programmato per il 2012
e previsto nel Mezzogiorno (3.600 unità). Un altro quarto (2.300 unità) dovrebbe avvenire nell’Italia centrale, mentre nel Nord Ovest e nel Nord Est sono previste
1.600-1.700 assunzioni.
L’indagine Excelsior 2012 permette, inoltre, una analisi dei saldi occupazionali considerando i dati relativi alle previsioni di uscita per il 2012. Per il 2012, in particolare, si registra un saldo occupazionale di lavoratori stabili (entrate meno uscite) negativo per un centinaio di unità. I saldi maggiormente negativi si riscontrano nella
silvicoltura (-2,1%), nelle attività miste agricole e zootecniche (-1,2%), nelle imprese con attività di noleggio di macchine agricole (-2%), in quelle con «altre» attività
secondarie (-1,4%) e senza attività secondarie (-1,3%). A livello territoriale i saldi occupazionali sono particolarmente negativi per le aziende del Nord Ovest (-1,1%). I
saldi occupazionali dei dipendenti stabili appaiono viceversa particolarmente positivi (+2,7%) per le imprese con attività di trasformazione/confezionamento dei pro-
Figura 2 - Saldi occupazionali di lavoratori stabili previsti nelle imprese agricole
con e senza attività secondarie - Anni 2006-2012 (valori percentuali)
L’analisi
dotti. Le restanti «categorie» presentano valori del saldo occupazionale moderatamente
positivi o prossimi allo zero.
Particolarmente significativo appare, inoltre, il divario tra l’andamento occupazione
delle imprese con attività secondarie e/o dedite ad attività innovative o emergenti e
quello delle imprese «tradizionali», che svolgono cioè esclusivamente l’attività agricola.
Infatti, il numero di entrate di dipendenti stabili previsto per le imprese «multifunzionali» è, nel 2012, pari a 5.800 unità (circa due terzi del totale), mentre per quelle senza attività secondarie non si superano le 3.400 unità.
Le maggiori prospettive occupazionali offerte dalle imprese «multifunzionali»
rappresentano ormai un carattere consolidato nel sistema agricolo nazionale. Negli
ultimi anni, infatti, pur con le eccezioni del 2008 e del 2011, le imprese con attività diversificate sono sempre riuscite a prevedere saldi occupazionali migliori delle imprese «strettamente agricole».
a
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23
Fonte: Unioncamere, 2012.
2.2 Assunzioni di dipendenti di lavoratori stagionali e saltuari
I lavoratori stagionali e saltuari rappresentano la componente largamente maggioritaria del lavoro agricolo in Italia. L’indagine Excelsior prevede in particolare che
nel 2012 il ricorso a queste figure avrebbe raggiunto le 543mila unità, corrispondenti
a circa 361mila unità lavorative standard (Uls)7. Come si osserva dalla figura 3 il ricorso al lavoro stagionale ed avventizio manifesta negli anni un trend crescente evidenziando in particolare un aumento del 19% rispetto al 2005. Questo incremento
7 L’unità lavorativa standard (Uls) è data dal rapporto tra il numero delle giornate complessive previste per i lavoratori stagionali e il numero delle giornate lavorative standard (posto convenzionalmente
uguale a 150 nell’arco dell’annata agraria).
12/2012 Mercato del lavoro e agricoltura
è accompagnato da un progressivo aumento del numero di giornate per cui le imprese
prevedono che questi lavoratori vengano mediamente impiegati. Il numero medio di
giornate di lavoro previste pro capite è, infatti, passato da una media di 80 tra il 2001
e il 2003 a 94 nel 2012. Il maggior numero di giornate di lavoro pro capite è in particolare previsto nelle produzioni zootecniche, nella silvicoltura e nel florovivaismo e
coltivazioni di serra, attività caratterizzate da una maggiore continuità produttiva. Il
numero di giornate medie previste di impiego aumenta inoltre al crescere della dimensione di impresa. Sul piano territoriale si evidenzia che nel Nord Est il numero
di giornate previste di impiego per ciascun lavoratore stagionale (81 giornate) è inferiore al valore medio nazionale (94 giornate).
Figura 3 - Assunzioni stagionali previste dalle imprese (2005-2012)
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Fonte: Unioncamere.
Per i lavoratori stagionali l’impiego di immigrati, a differenza di quanto avviene
per i lavoratori stabili, viene giustificato come una misura di adattamento alla mancanza di lavoratori locali. Questo risultato può essere evidenziato considerando l’ampio intervallo esistente tra l’ipotesi minima di assunzioni di immigrati (26% del totale) e quella massima (44%).
2.3 Analisi qualitativa del mercato del lavoro agricolo
L’indagine Excelsior 2012 permette di identificare in termini di professioni, di qualifiche richieste, di livello di formazione, di esperienza e di tipologie contrattuali le caratteristiche richieste per l’assunzione permettendo di svolgere una analisi dettagliata dell’evoluzione del mercato del lavoro anche sul piano qualitativo.
8
Sulla base della classificazione Istat 2011.
L’analisi
In merito alle professioni si ravvisa una significativa differenza tra assunzioni stabili e stagionali. Tra le prime, dal punto di vista dei gruppi professionali8, si evidenzia una maggiore richiesta di figure tecniche e commerciali (26,5% del totale
nel 2012), profili molto rari nella domanda che riguarda i lavoratori stagionali (2%
del totale) dove invece l’incidenza delle richiesta di personale non qualificato raggiunge il 39,5%, contro il solo 7,3% delle assunzioni stabili. Abbastanza simile nei
due insiemi si manifesta, invece, sia la domanda di «operai ed agricoltori specializzati» (52,3% tra gli «stabili», 45,6% tra gli stagionali) sia quella di conduttori
di impianti e macchinari agricoli (13,9% tra gli «stabili», 12,8% tra gli stagionali). Il flusso di assunzioni stabili previste per il 2012 si manifesta, quindi, con un
profilo molto orientato alla qualità professionale e ben differenziato rispetto a quello riguardante il lavoro stagionale che viceversa appare più orientato alle mansioni operative e «manuali».
Considerando nel dettaglio i dati relativi alle singole figure professionali si evidenzia che tra i lavoratori «stabili», la figura maggiormente richiesta risulta essere
quella dell’addetto alle coltivazioni agricole miste o non specificate (1.500 assunzioni di dipendenti stabili), seguita dal vivaista e dal cameriere nelle imprese agrituristiche (500 unità in entrambi i casi), dal conduttore di macchinari agricoli per
taglio e raccolta e dal viticoltore (400 ciascuna figura). Tra i lavoratori stagionali ed
avventizi emerge, invece, una marcata prevalenza della richiesta di operatori agricoli generici addetti alla raccolta (190mila unità; 35% delle previsioni complessive di assunzione di lavoratori stagionali). Nell’ambito di questo gruppo consistente appare, in particolare, la richiesta di coglitori di frutti e ortaggi (86mila unità),
di raccoglitori a mano di prodotti agricoli (50mila unità), di addetti alla raccolta
delle olive e di addetti alla raccolta dell’uva (28mila unità e 26,8 mila unità ciascuno). Nel gruppo degli operai specializzati addetti alle coltivazioni e agli allevamenti si segnala la richiesta di potatori (41mila unità), di addetti alle coltivazioni
agricole miste o non specificate (39mila unità), di viticoltori (29mila unità), di orticoltori (18mila unità), di vendemmiatori (15mila unità), di conduttori di macchine per la raccolta di prodotti agricoli, di vivaisti (13mila unità), di conducenti
di trattore agricolo (12mila unità), di olivicoltori (9mila unità) e di mungitori (8mila unità).
Come si può osservare dalla tabella 9 il livello di formazione prevalentemente richiesto per l’assunzione è quello del completamento della scuola dell’obbligo sia per
il personale stabile (61,7%) sia per quello stagionale ed avventizio (83%). Il possesso di una laurea o di un diploma è invece prevalentemente richiesto per le assunzioni di personale stabile. Al riguardo è interessante evidenziare la crescita nella domanda
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di laureati e diplomati che riguarda il settore agricolo che, in particolare, tra le assunzioni stabili, è passata, infatti, dal 16% circa del 2004 al 28% del 2012. La quota di assunzioni stabili per cui viene richiesta una qualifica professionale è invece pari all’11%. Per le assunzioni di lavoratori stagionali ed avventizi la qualifica
professionale è invece richiesta nell’8,6% dei casi. La domanda di lavoratori in possesso di una qualifica professionale presenta comunque ampie oscillazioni di anno in
anno. La richiesta di questo requisito appare probabilmente connessa alla maggiore
o minore disponibilità di persone in uscita dai corsi attivati dalle Regioni dove l’impresa stessa si trova ad operare.
Tabella 8 - Assunzioni di dipendenti stabili e stagionali – Professioni (2012)
Professioni tecniche
Impiegati e professioni commerciali
Operai e agricoltori specializzati
Conduttori impianti e macchine
Personale non qualificato
Fonte: Unioncamere, 2012.
Assunzioni di dipendenti
stabili
6,8%
19,7%
52,3%
13,9%
7,3%
Assunzioni di dipendenti
stagionali
0,0%
2,1%
45,6%
12,8%
39,5%
Il requisito del possesso di una adeguata esperienza appare importante in circa metà delle assunzioni sia di lavoratori stabili (50,6%) sia di quelli stagionali e avventizi (51,7%) previste per il 2012. L’esperienza appare requisito fondamentale per l’assunzione del personale dedito a particolari tipologie di professioni (conduttore di
macchinari agricoli per taglio e raccolta, cantiniere, cameriere, ecc.), in cui l’esperienza dovrebbe garantire maggiore qualità nei processi di lavorazione o nei servizi
offerti.
Considerando, infine, le tipologie contrattuali tra le assunzioni stabili si segnala
un prevalente ricorso, secondo le previsioni occupazionali delle imprese agricole per
il 2012, ai contratti a tempo determinato (62% del totale delle assunzioni). Si segnala
che una parte delle assunzioni «a termine» (7%) sono previste nell’ottica di un periodo
di prova per nuovo personale da inserire poi stabilmente, assumendo quindi in realtà un certo carattere di ingresso «permanente». La quota delle assunzioni stabili che
prevedono la sottoscrizione di contratti a tempo indeterminato è pari invece al 37%
del totale.
Tabella 9 - Assunzioni di dipendenti stabili e stagionali – Livello di formazione,
qualifica professionale, esperienza (2012)
Assunzioni di dipendenti
stabili
Laurea o diploma di scuola media superiore
27,5%
Istruzione e qualifica professionale
10,7%
Scuola dell’obbligo
61,7%
Possesso di esperienza
50,6%
Fonte: Unioncamere, 2012.
Assunzioni di dipendenti
stagionali
8,4%
8,6%
83,0%
51,7%
Il «collocamento» consiste nell’attività di mediazione fra domanda ed offerta di lavoro. Questa attività è stata storicamente oggetto di differenti approcci regolativi. Nel
periodo liberale «pre-corporativo il collocamento era svolto da soggetti pubblici operanti a livello statale e locale, da agenzie private e da associazioni sindacali. Nel periodo fascista «corporativo» viene introdotto un monopolio pubblico del collocamento
con conseguente divieto di mediazione privata anche senza fini di lucro. Nell’epoca
repubblicana si susseguono diversi interventi legislativi finalizzati a introdurre sostanziali modifiche al sistema del collocamento.
Negli anni ’40 con l’adozione della legge 264/19499 (Legge Fanfani) viene adottato un modello «vincolistico-statuale». Si tratta, in particolare, di un sistema fortemente burocratico e accentrato a livello ministeriale. La Legge Fanfani prevedeva, infatti, che il collocamento fosse svolto in regime di monopolio da parte dello Stato
(natura pubblica dell’attività). Le funzioni erano svolte esclusivamente dagli uffici periferici del Ministero del lavoro senza coinvolgimento degli enti locali (natura accentrata). La Legge Fanfani prevedeva, infine, che – salvo poche eccezioni – ogni lavoratore fosse assunto obbligatoriamente (natura vincolistica) tramite l’ufficio di
collocamento. Il collocamento si configurava inoltre come una attività di mediazione di natura impersonale perché finalizzata esclusivamente alla soddisfazione delle cosiddette «richieste numeriche» formulate dalle imprese. La Legge Fanfani prevedeva
infine sanzioni penali per chiunque esercitasse la mediazione in violazione delle disposizioni di legge (art. 27, comma 1), vietava l’esercizio della mediazione privata e imponeva ai datori di lavoro di assumere solo i lavoratori iscritti nelle liste di collocamento (art.11, comma 2).
9 Legge 29 aprile 1949, n. 264 «Provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza dei
lavoratori involontariamente disoccupati» (Gu n.125 del 1-6-1949 - Suppl. Ordinario).
L’analisi
3. La disciplina del collocamento in Italia: una breve ricostruzione storica
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Con l’entrata in vigore dello legge 300/197010 (Statuto dei lavoratori) viene previsto un temporaneo rafforzamento del «controllo sindacale» sulle assunzioni. Gli artt.
33 e 34 rendono infatti obbligatorie le commissioni locali a partecipazione sindacale. Queste commissioni sostituiscono gli uffici del collocamento nelle funzioni di compilazione delle graduatorie e di concessione dei nulla-osta per le chiamate nominative. Con lo Statuto dei lavoratori viene, inoltre, introdotto l’obbligo del nulla-osta
anche per i passaggi diretti da un’azienda ad un’altra ed una norma di limitazione delle richieste nominative che divengono ammissibili solo per i componenti del nucleo
familiare del datore di lavoro, per i lavoratori di concetto e per gli appartenenti a categorie di prestatori di lavoro altamente specializzati.
Fra gli anni ’80 e i primi anni ’90 viene introdotto il modello «flessibile». La legge 56/198711 propone l’adozione di un approccio decentrato attraverso una maggiore
integrazione fra Stato e Regione, la riorganizzazione della Commissione regionale e
l’istituzione dell’Agenzia regionale per l’impiego. Successivamente con la legge
223/199112 viene introdotto – con carattere di quasi generalità – l’obbligo di chiamata nominativa salvo nulla osta dell’ufficio di collocamento, con il limite della cosiddetta riserva per le fasce deboli.
Gli ultimi anni si caratterizzano per l’adozione di un modello «aperto e decentrato». Con l’adozione della legge 608/199613 viene infatti decretata la generalizzazione della regola dell’assunzione diretta, con comunicazione successiva all’ufficio di collocamento. La chiamata numerica viene quindi relegata ad una funzione di assoluta
marginalità (art. 9- bis). La conseguenza di questo nuovo approccio è la destabilizzazione dell’intera struttura organizzativa del collocamento che tende ad assumere una
funzione meramente certificatoria. Successivamente la legge 196/199714 (pacchetto Treu) infligge un altro duro «colpo» al sistema vincolistico-statuale introducendo,
per la prima volta, la possibilità di istituire le «agenzie private di fornitura di lavoro
temporaneo» e le «agenzie di mediazione» finalizzate allo svolgimento dell’attività di
mediazione di manodopera.
10
Legge 20 maggio 1970, n. 300 «Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento» (Gu n. 131 del 275-1970).
11 Legge 28 febbraio 1987, n. 56 «Norme sull’organizzazione del mercato del lavoro» (Gu n. 51 del 33-1987 - Suppl. Ordinario).
12 Legge 23 luglio 1991, n. 223 «Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro» (Gu n. 175 del 27-7-1991 - Suppl. Ordinario n. 43).
13 Legge 28 novembre 1996, n. 608 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, recante disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale» (Gu n. 281 del 30-11-1996 - Suppl. Ordinario n. 209).
14 Legge 24 giugno 1997, n. 196 «Norme in materia di promozione dell’occupazione» (Gu n. 154 del
4-7-1997 - Suppl. Ordinario n. 136).
15 Sentenza della Corte (Sesta Sezione) dell’11 dicembre 1997 - Job Centre coop. arl. - Domanda di
pronuncia pregiudiziale: Corte d’appello di Milano - Italia. - Libera prestazione dei servizi - Attività di
collocamento dei lavoratori - Esclusione delle imprese private - Esercizio dei pubblici poteri. - Causa
C-55/96.
16 Legge Costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione» (Gu n. 248 del 24-10-2001).
17 Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276 «Attuazione delle deleghe in materia di occupazione
e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30» (Gu n. 235 del 9-10-2003 - Suppl. Ordinario n. 159).
18 Legge 28 giugno 2012, n. 92 «Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita» (Gu n. 153 del 3-7-2012 - Suppl. Ordinario n. 136).
L’analisi
Nel contempo, la sentenza Job Centre II15 della Corte di Giustizia delle Comunità europee, introducendo l’incompatibilità del monopolio pubblico del collocamento con i principi comunitari in materia di libera concorrenza, promuove, di fatto, una ulteriore accelerazione al processo di riforma.
Con l’approvazione della riforma costituzionale16 le funzioni e i compiti in materia di collocamento, dei servizi per l’impiego e di politiche attive del lavoro che
attraverso il cosiddetto federalismo amministrativo erano semplicemente «delegate» alle Regioni vengono incluse – secondo la più diffusa interpretazione del nuovo testo dell’art. 117 della Costituzione – nella potestà legislativa concorrente delle Regioni. Ne consegue che, salvo il rispetto dei «principi fondamentali» contenuti
nelle leggi statali, le Regioni possono diversificare, con loro leggi, i regimi di collocamento, i servizi per l’impiego ed attuare politiche attive del lavoro tra di loro
«competitive».
In seguito è intervenuto il d.lgs. 276/200317 che ha attuato le deleghe in materia
di occupazione e mercato del lavoro di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30 (Legge
Biagi). La nuova disciplina ha modificato nuovamente il sistema del collocamento,
al quale partecipano adesso a pieno titolo anche i privati. In seguito alla riforma del
sistema del collocamento, qualsiasi datore di lavoro può procedere all’assunzione diretta di un lavoratore e ha unicamente l’obbligo di effettuare una comunicazione dell’avvenuta assunzione al servizio per l’impiego competente, comunicazione che deve contenere una serie di informazioni, quali i dati anagrafici del lavoratore, la data
di assunzione, la tipologia contrattuale, la qualifica professionale e il trattamento economico e normativo.
Recentemente l’approvazione della legge 92/201218 (Riforma Fornero) propone
diverse novità in materia di servizi per l’impiego (livelli essenziali delle prestazioni, procedure uniformi in materia di accertamento dello stato di disoccupazione, integrazione tra sistemi informativi in favore dell’occupazione e monitoraggio dei servizi erogati) e politiche attive del lavoro che secondo le intenzioni del legislatore sarebbero
finalizzate a rafforzare il ruolo dei servizi pubblici per l’impiego in un più ampio qua-
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dro di politiche attive per la prevenzione della disoccupazione di lunga durata. L’ampio insieme di argomenti che secondo la legge 92/2012 rimangono delegati al governo per la successiva emanazione di decreti di riordino permette di comprendere
come il percorso di riforma dei servizi per l’impiego sia destinato a subire nei prossimi anni ulteriori significative evoluzioni.
4. Evoluzioni normative nel collocamento agricolo
Il Decreto Legislativo del Capo Provvisorio dello Stato n. 929 del 16 settembre
1947 «Norme circa il massimo impiego di lavoratori agricoli» rappresenta il primo
provvedimento in materia di collocamento agricolo. Il decreto 929/1947 introduce
il cosiddetto «imponibile di manodopera» disponendo che i prefetti potessero «stabilire con proprio decreto, l’obbligo per i conduttori a qualsiasi titolo di aziende agrarie o boschive di assumere la mano d’opera da adibirsi nell’annata agricola o durante
le singole stagioni di essa alla coltivazione, alla manutenzione ordinaria o straordinaria
dei fondi, delle vie di accesso e delle piantagioni nonché all’allevamento di bestiame».
Con il decreto del prefetto veniva, inoltre, precisato «il massimo carico obbligatorio
di giornate lavorative per ettaro coltura» ed «i criteri per la determinazione del numero delle unità lavorative disoccupate da assegnarsi ad ogni azienda». Il decreto
929/1947 provvedeva inoltre ad istituire le Commissioni provinciali e comunali per
la massima occupazione in agricoltura. Alle Commissioni comunali era assegnato il
compito di compilare:
– l’elenco dei lavoratori disoccupati agricoli ripartendoli per gruppi di specializzazione
agricola e per categorie professionali secondo lo stato di famiglia;
– l’elenco delle aziende agricole esistenti nel territorio del Comune, della relativa superficie e qualità delle colture, delle forme di conduzione e del numero dei lavoratori stabilmente occupati nelle aziende.
Le Commissioni comunali avevano il potere di assegnare nominativamente alle varie aziende i lavoratori disoccupati.
La Commissione provinciale aveva, invece, il compito di esaminare ed approvare
in via definitiva gli elenchi trasmessi dalle Commissioni comunali, apportando le modifiche necessarie frutto di eventuali reclami. Alla Commissione provinciale spettava, inoltre, il compito di proporre al prefetto l’adozione di provvedimenti ad hoc. La
Commissione provinciale aveva inoltre il compito di contribuire alla definizione dei
criteri:
– per il carico massimo obbligatorio di giornate lavorative per ettaro coltura;
– per la determinazione del numero delle unità lavorative;
– per l’avviamento al lavoro dei lavoratori disoccupati, in relazione alla loro situazione
familiare e al loro stato di bisogno;
19
Legge n. 264 del 29 aprile 1949, «Provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza
dei lavoratori involontariamente disoccupati».
20 L’obbligo non riguardava:
1) il coniuge, i parenti e gli affini non oltre il 3° grado del datore di lavoro;
2) il personale avente funzioni direttive;
3) i lavoratori di concetto o specializzati assunti mediante concorso pubblico;
4) i lavoratori esclusivamente a compartecipazione, compresi i mezzadri ed i coloni parziari;
5) i domestici, i portieri, gli addetti a studi professionali e tutti coloro che sono addetti ai servizi familiari;
6) i lavoratori destinati ad aziende con non più di tre dipendenti oppure ad aziende rurali con non
più di sei dipendenti, limitatamente a zone mistilingui o montane.
21 La richiesta nominativa da parte delle aziende era ammessa:
L’analisi
– per il calcolo delle disponibilità di mano d’opera delle aziende condotte da coltivatori diretti e da mezzadri e coloni parziari.
Il decreto 929/1947 prevede infine sanzione per i lavoratori e le aziende inadempienti.
Successivamente la Corte costituzionale, con sentenza 16 - 30 dicembre 1958, n.
78 ha dichiarato «la illegittimità costituzionale delle norme contenute nel decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 settembre 1947, n. 929, ratificato con
legge 17 maggio 1952, n. 621, in riferimento agli articoli 38, 41, 42, 44 della Costituzione».
La prima normativa in materia di collocamento agricolo è completata dalla legge19
264/1949. La legge 264/1949 provvedeva ad introdurre una disciplina generale per
l’avviamento al lavoro prevedendo l’obbligo di iscrizione alle liste di collocamento presso gli Uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione per «chiunque aspiri
ad essere avviato al lavoro alle dipendenze altrui». Secondo la legge 264/1949 potevano essere iscritti nelle liste di collocamento solo i soggetti in possesso «dell’età stabilita dalla legge per essere assunti al lavoro» e muniti «del libretto di lavoro o del certificato sostitutivo». Le iscrizioni nelle liste di collocamento dovevano essere eseguite
secondo l’ordine di presentazione della richiesta raggruppando i lavoratori per settori di appartenenza, per categorie professionali e per qualifica o specializzazione. La legge 264/1949 disponeva, inoltre, il divieto dell’esercizio della mediazione anche se gratuito essendo il collocamento esclusivamente demandato agli Uffici autorizzati.
Parallelamente esisteva l’obbligo per i datori di lavoro di assumere i lavoratori solo tra
quelli iscritti nelle liste di collocamento20. Era, invece, ammesso il passaggio del lavoratore direttamente e immediatamente dall’azienda nella quale era occupato ad
un’altra.
Per le aziende che intendevano assumere lavoratori era disposto l’obbligo di fare
richiesta all’Ufficio competente per la circoscrizione dove si dovevano svolgere i lavori. Nella richiesta le aziende dovevano precisare il numero dei lavoratori necessari
per categoria e per qualifica professionale21.
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Gli Uffici del collocamento erano tenuti a rispondere alle istanze delle aziende avviando i lavoratori nel numero, nella categoria e nella qualifica professionale richiesta. Gli Uffici avevano inoltre il compito di verificare che le condizioni offerte ai nuovi assunti fossero conformi alle tariffe e ai contratti collettivi. I lavoratori che
risiedevano nella località nella quale si sarebbero svolti i lavori erano preferiti nell’avviamento al lavoro.
La legge 264/1949 introduceva inoltre alcune comunicazioni obbligatorie. Le comunicazioni riguardavano:
– i lavoratori iscritti nelle liste di collocamento che avevano l’obbligo di dichiarare
all’Ufficio competente la permanenza nel loro stato di disoccupazione;
– gli Uffici competenti che dovevano inviare una comunicazione di avviamento al
lavoro al lavoratore ed al datore di lavoro a cui veniva contestualmente restituito
il libretto di lavoro o il certificato sostitutivo;
– il datore di lavoro che era tenuto a dare comunicazione nominativa per l’eventuale
convalida delle assunzioni effettuate, indicandone i motivi e le condizioni di lavoro
all’Ufficio competente.
La legge 264/1949 provvede infine ad istituire i seguenti organismi collegiali attivi nell’ambito del sistema del collocamento:
– la Commissione centrale per l’avviamento al lavoro e per l’assistenza dei disoccupati. La Commissione esprime pareri sull’organizzazione dei servizi del collocamento e sull’identificazione dei criteri per la priorità all’avviamento al lavoro. Alla Commissione spetta il compito di risolvere eventuali contenziosi derivanti
da potenziali ricorsi presentati contro decisioni assunte dalle Commissioni provinciali.
– la Commissione provinciale per il collocamento. La Commissione che è istituita presso l’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione esprime indirizzi in merito ai criteri di classificazione professionale dei lavoratori iscritti alle
liste e sulle procedure per la loro mobilità settoriale e categoriale. La Commissione esprime, inoltre, pareri in merito alla legittimità delle richieste nominative di
assunzione di lavoratori e sui ricorsi presentati contro le decisioni assunte dai servizi di collocamento in merito alla compilazione delle liste di collocamento e alle
procedure di avviamento adottate.
a) per tutti i lavoratori destinati ad aziende che non abbiano stabilmente più di cinque dipendenti e per i lavoratori destinati ad altre aziende, nei limiti di un decimo, sempre che la richiesta sia per
un numero di unità superiore alle nove;
b) per i lavoratori di concetto oppure aventi una particolare specializzazione o qualificazione;
c) per il personale destinato a posti di fiducia connessi con la vigilanza e la custodia della sede di opifici, di cantieri, o comunque di beni dell’azienda;
d) per il primo avviamento di lavoratori in possesso di titoli di studio rilasciati da scuole professionali.
22
Legge n. 83 dell’11 marzo 1970, «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 febbraio 1970, n. 7, recante norme in materia di collocamento e accertamento dei lavoratori agricoli».
23 G. Roma, A. Vino, «Collocamento e previdenza nel mercato del lavoro agricolo», in M.G. Garofalo, C. Lagala (a cura di), Collocamento e mercato del lavoro.
L’analisi
– gli Uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione. Gli Uffici svolgono il servizio del collocamento. Nei centri industriali ed agricoli più importanti
della provincia è prevista l’istituzione di Sezioni di collocamento distaccate. Nei
Comuni dove se ne ravvisi la necessità possono essere attivi dei Collocatori. Mediante decreto prefettizio e su richiesta della Commissione provinciale può essere istituita presso ogni servizio di collocamento una Commissione di collocamento. La Commissione definisce la graduatoria delle precedenze per l’avviamento
al lavoro.
Tra i contenuti della legge 264/1949 più rilevanti in materia di collocamento agricolo si ricorda la possibilità che era offerta alle Commissioni comunali per l’attività agricola attive di predisporre dei turni di lavoro a rotazione finalizzati a promuovere una compensazione tra tutti gli iscritti al collocamento delle categorie dei
braccianti. Questo provvedimento era assunto nelle zone con problemi occupazionali per consentire un equo accesso al lavoro da parte di tutti i lavoratori agricoli presenti nell’area territoriale. L’altro provvedimento in materia di collocamento
agricolo riguardava l’adozione da parte dei Servizi di collocamento di una preferenza
per i lavoratori provenienti da località vicine a quelle in cui essi erano competenti. Questo provvedimento adottato dalle Commissioni di collocamento solo in specifici casi riconosceva la necessità di una mobilità territoriale dei braccianti agricoli
giustificata dalla spinta specializzazione produttiva territoriale che caratterizzava l’agricoltura nazionale.
La materia del Collocamento agricolo viene riformata per la prima volta negli anni Settanta con la legge 83/197022. La legge di riforma era finalizzata al «superamento
della normativa prevista dalla legge 264/1949. Questa risultava largamente inadeguata
per le caratteristiche e le peculiarità del mercato del lavoro agricolo e pertanto ampiamente elusa permettendo nei fatti la sopravvivenza del mercato di piazza23«. La legge 83/1970 era stata ottenuta come risultato di una forte ondata di mobilitazioni bracciantili che aveva avuto luogo alla fine degli anni ’60. Essa si inseriva, inoltre, in
quell’insieme di scelte legislative avanzate in materia di lavoro che trovavano la loro
espressione più compiuta nello Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 20 maggio
1970).
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12/2012 Mercato del lavoro e agricoltura
Figura 4 - Organismi del Collocamento e del Collocamento agricolo nel decreto
929/1947 e nella legge 264/1949
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34
Fonte: Ns. elaborazioni.
La legge n. 83/1970 viene considerata come una svolta storica in tema di indirizzi normativi in materia di collocamento in agricoltura. La nuova normativa si poneva, infatti, l’obiettivo del superamento dalla legislazione precedente (legge
164/1949) che, mal adattandosi alle caratteristiche del mercato del lavoro agricolo,
risultava largamente disattesa e permetteva il permanere della sopravvivenza del mercato di piazza.
Tra i capisaldi della nuova normativa ricordiamo:
1) l’introduzione delle commissioni territoriali ai vari livelli che rappresentano gli
strumenti della gestione democratica del collocamento. La legge n. 83/1970 superando le disposizioni della legge 164/1949 introduce un sistema di gestione decentrato nell’ottica di creare una migliore rispondenza tra le esigenze delle diverse realtà produttive agricole nazionali. In particolare la normativa di riforma del
collocamento agricolo prevedendo un trasferimento delle competenze alle commissioni a partecipazione sindacale propone una trasformazione del collocamento da «burocratico» a «democratico». Nella costruzione del nuovo sistema non ci
sono più gli uffici del lavoro e le loro sezioni locali, ma il nuovo strumento delle
commissioni miste a maggioranza sindacale. La legge n. 83/1970 permette, infatti,
l’introduzione di commissioni a livello regionale alle quali, in relazione alle particolari condizioni dell’agricoltura a livello territoriale, vengono affidati i compiti di
proporre annualmente una previsione del fabbisogno regionale di manodopera agricola nonché le conseguenti azioni in materia di formazione professionale. Alle commissioni regionali viene, inoltre, data la possibilità di impartire direttive in mate-
L’analisi
ria di compensazione territoriale e di mobilità e di determinare, sentite le commissioni provinciali, le particolari specializzazioni per le quali è consentita la richiesta
nominativa, fissando anche i criteri per la documentazione necessaria e per l’accertamento del possesso dei requisiti professionali richiesti. La normativa di riforma, rispetto alle disposizioni della legge 164/1949 promuove un maggiore protagonismo delle commissioni provinciali. Ad esse infatti vengono attributi due
importanti compiti. In primo luogo quello di fissare i criteri per la documentazione
e l’accertamento dell’effettivo possesso della qualifica professionale dichiarata dal
lavoratore al momento dell’iscrizione nelle liste. Il secondo compito riguarda l’identificazione delle aree territoriali in cui, tenuto conto dell’elevato livello di disoccupazione, è previsto che l’avviamento al lavoro possa avvenire non solo secondo
il criterio dell’anzianità di iscrizione nelle liste ma anche in base allo stato di bisogno. La legge 83/1970 prevede, infine, specifiche competenze per la commissioni locali. Ad esse vengono, infatti, assegnati diversi compiti per la gestione diretta
del collocamento. Le commissione locali si occupano della compilazione dell’aggiornamento periodico della graduatoria, del rilascio del nulla-osta di accoglimento
delle richieste nominative, della convalida degli avviamenti nominativi possibili nei
casi di motivate situazioni di urgenza, della formulazione delle previsioni annuali locali del fabbisogno di manodopera, della compilazione degli elenchi nominativi dei lavoratori dipendenti agricoli ammessi ai benefici previdenziali. La commissione locale è un elemento cruciale del sistema di collocamento agricolo
previsto dalla legge 83/1970 per la facoltà attribuitale di intervenire direttamente
ed efficacemente sul mercato del lavoro comunale.
2) gli strumenti per la programmazione e la gestione del mercato del lavoro. La legge 83/1970 introduce specifici strumenti di intervento attivo sul mercato del lavoro. Lo strumento principale proposto è il piano colturale aziendale. Esso consiste in una dichiarazione che i conduttori di aziende di dimensioni medie e grandi
devono presentare annualmente alle sezioni locali dell’ufficio del lavoro per rendere nota la loro previsione di utilizzo della manodopera nell’annata agraria specificando le qualifiche richieste e la quantità in termini di giornate di lavoro ritenute approssimativamente necessaria. La normativa prevede che i piani vengano
trasmessi alla commissione regionale competente per fornire ad essa le informazioni
necessarie alla definizione delle direttive di compensazione territoriale e per formulare le previsioni di fabbisogno della manodopera a livello regionale. Con i piani colturali il legislatore intende promuovere un superamento dalla funzione burocratica del collocamento di mero luogo di incontro tra domanda e offerta di
manodopera introducendo uno strumento per la programmazione della mobilità territoriale dei braccianti in cerca di occupazione e per la razionalizzazione dei
flussi e della disponibilità di manodopera. Secondo il legislatore il piano coltura-
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35
12/2012 Mercato del lavoro e agricoltura
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36
le doveva, inoltre, permettere una migliore correlazione tra disciplina dell’avviamento, gestione della mobilità territoriale e controllo sociale sulle singole imprese agricole i cui piani di sviluppo (con i relativi impegni occupazionali) dovevano
essere coordinati con le generali previsioni di fabbisogno di manodopera. I piani
colturali rappresentavano, infine, l’occasione per le organizzazioni sindacali per aprire un confronto con le aziende sulle scelte di sviluppo imprenditoriale. I piani colturali potevano infatti costituire lo strumento di informazioni e l’occasione di controllo sulle scelte aziendali promuovendo l’intervento attivo dei rappresentanti
sindacali sugli investimenti e sulle scelte produttive aziendali.
3) la disciplina degli avviamenti. La legge 83/1970 non prevede sostanziali modifiche in merito alla disciplina degli avviamenti. Gli avviamenti, infatti, continuano
a basarsi sul criterio numerico che nella nuova normativa viene ulteriormente rafforzato allo scopo di eliminare l’eccessiva facilità di eluderlo. L’imprenditore come
previsto già nell’ambito della legge 264/1949 ha, infatti, l’obbligo di assumere i lavoratori agricoli esclusivamente attraverso gli uffici di collocamento con richiesta
di manodopera numerica e per qualifica. Le commissioni locali per rispondere a
tale richiesta fanno riferimento alla lista avviando al lavoro in base all’anzianità di
iscrizione o allo stato di bisogno, nelle situazioni territoriali dove è previsto il riferimento a tale criterio. Con la legge 83/1970 viene sancito un ulteriore forte ridimensionamento della possibilità di assumere direttamente la manodopera. Con la
legge 83/1970 viene infatti eliminata anche la possibilità prevista dalla legge
264/1949 del passaggio diretto di manodopera da azienda ad azienda che permettendo l’elusione di azioni di controllo nel passato aveva permesso di mascherare assunzioni nominative. Viceversa la legge 83/1970 limita le fattispecie per le
assunzioni dirette alle seguenti situazioni specifiche:
a) assunzione da parte di imprese diretto coltivatrici di un solo bracciante per non
più di cinquantuno giornate;
b) assunzione da parte di imprese diretto coltivatrici di parenti entro il terzo grado e di affini entro il secondo;
c) casi in cui si manifesti l’urgente necessità di evitare danni alle persone, alle scorte vive, agli impianti e ai beni prodotti (art. 13). Il rapporto di lavoro si estingue allorché cessano i motivi di urgenza.
La legge 83/1970 ridimensiona la possibilità di assunzione con richiesta nominativa limitandola solo alle mansioni impiegatizie, a particolari categorie di lavoratori specializzati, individuate dalle commissioni regionali per la manodopera agricola.
4) le sanzioni. L’art. 20 della legge 83/1970 introduce, infine, specifiche modifiche
in merito alle sanzioni comminate in caso di inadempienze. Oltre alle normali sanzioni pecuniarie viene sancita, per la prima volta, la possibilità di escludere dai fi-
24
Pugliese E., Governo formale e governo informale del mercato del lavoro: uffici di collocamento e caporalato, in «I braccianti agricoli in Italia», Franco Angeli Editore, Milano, 1984.
25 Marucci L., Collocamento e tutela del contraente debole: riflessioni alla luce della legge 11 marzo 1970,
n. 83, «Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale», n. 1, 1974.
L’analisi
nanziamenti pubblici le imprese che violino ripetutamente la legge. In altre parole le pubbliche amministrazioni competenti possono escludere il datore di lavoro
trasgressore dalla concessione di contributi, agevolazioni fiscali e creditizie per un
periodo massimo di cinque anni.
La legge 83/1970 è stata considerata sotto diversi punti di vista uno strumento
normativo dai contenuti avanzati24. La riforma degli anni Settanta non ha però sostanzialmente raggiunto il suo obiettivo principale riguardante l’eliminazione del mercato di piazza. Le ragioni di questo fallimento appaiono connesse ad alcune specifiche criticità. La prima riguarda la scelta delle imprese di disattendere l’obbligo di
presentazione dei piani colturali. Anche nei rari casi in cui i piani venivano presentati indicavano fabbisogni di manodopera giudicati di gran lunga inferiori a quelli
effettivi. In questa situazione non è stato possibile operare con i piani colturali sui
livelli occupazionali attraverso le commissioni le quali non potevano, infatti, disporre
delle informazioni necessarie. Le imprese si sono trovate nelle condizioni di poter
agire in completa deroga dalla legge sia perché non erano previste specifiche sanzioni
sia per il fatto che le organizzazioni sindacali non sono state in grado di dimostrare
la forza sufficiente ad imporre attraverso azioni specifiche il rispetto di quanto previsto dalla normativa. La seconda criticità riguarda il ruolo che la normativa riconosceva alle organizzazioni sindacali. Le Commissioni comunali e territoriali prevedevano infatti una presenza maggioritaria del sindacato per garantire alle
organizzazioni di svolgere una funzione di indirizzo e di controllo sul funzionamento
del collocamento agricolo. Nei fatti questa funzione risultava disattesa e alle commissioni veniva riservato il compito di pura e semplice registrazione ex post di una
realtà del mercato del lavoro il cui funzionamento prescindeva dagli uffici del collocamento. Il Sindacato inoltre registrava difficoltà organizzative nel mettere in campo una presenza capillare sul piano territoriale per permettere l’effettivo funzionamento delle commissioni. Queste difficoltà appaiono evidenti se si pensa che solo
sul piano della presenza per il Sindacato era necessario garantire la designazione di
ben 30.000 rappresentanti.
Un ultimo problema riguardava la complessità dei compiti25 che la normativa assegnava sia alle commissioni territoriali (compilazione liste, avviamento, accertamento
qualifiche, aggiornamento graduatorie, nulla osta, richieste nominative, revisione liste per fini previdenziali) sia a quelle regionali (autorizzazione assunzione fuori dai Comuni di residenza). Si trattava infatti di funzioni e di procedure molto complesse ed
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12/2012 Mercato del lavoro e agricoltura
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articolate da gestire, peraltro, con una controparte poco disponibile alla sua attuazione26.
Le criticità esposte in precedenza inspirano negli anni Novanta la nuova riforma
del collocamento agricolo. Dopo un lungo ed articolato confronto tra le parti sociali nel novembre del 1996 viene approvata con la legge n. 608/1996 una nuova riforma
del collocamento agricolo. Le novità introdotte con la nuova riforma riguardano:
– le modalità di assunzione. Con l’approvazione della legge 608/1996 le imprese agricole possono assumere in via diretta il personale di cui abbisognano27. Decade, infatti, l’obbligatorietà del nulla osta da parte degli uffici di collocamento per le assunzioni dirette previsto nella normativa precedente. Si tratta di una notevole
semplificazione nel funzionamento del mercato del lavoro agricolo ma che di fatto determina la fine del collocamento come strumento di equa ripartizione delle
occasioni di lavoro. All’atto dell’assunzione gli unici oneri che permangono riguardano:
a) la consegna al lavoratore all’atto dell’assunzione di una dichiarazione sottoscritta
contenente i dati relativi all’assunzione effettuata;
b) la comunicazione, entro 5 giorni dall’assunzione, all’ufficio circoscrizionale per l’impiego e all’Inps del nominativo del lavoratore assunto, della data dell’assunzione,
della tipologia contrattuale della qualifica e del trattamento economico.
In merito alle procedure di assunzione viene introdotta una ulteriore semplificazione attraverso l’eliminazione dell’obbligo di comunicazione della cessazione del
rapporto di lavoro che in precedenza doveva essere obbligatoriamente effettuata entro 4 giorni sulla base di quanto previsto nell’art. 14 della legge 83/1970.
– abolizione del piano colturale. Secondo quanto contenuto nell’art. 9ter della legge 608/1996 viene disposta l’abolizione dell’obbligo da parte dei datori di lavoro
agricoli di presentazione annuale del piano colturale. In sostituzione del piano colturale viene introdotta la denuncia aziendale che viene presentata una tantum all’inizio dell’attività agricola e che va redatta sulla base di un apposito modello finalizzato a raccogliere le informazioni per l’accertamento dei contributi dovuti per
gli operai agricoli occupati in azienda nonché per la gestione della cosiddetta anagrafe delle aziende agricole.
– obbligo di assunzione. La legge 608/1996 introduce un nuovo onere per le imprese agricole: l’obbligo della riserva per la manodopera appartenente alle cosid26 Mariucci L., Romagnoli U., Impresa agricola e mercato del lavoro, in Galasso A. (a cura di), «L’impresa agricola tra mercato e contrattazione», De Donato, Bari, 1978.
27 Questi orientamenti erano stati già anticipati dagli indirizzi presenti nell’ambito di alcuni accordi (protocollo del 1993 e intesa sul mercato del lavoro raggiunta tra le parti sociali del settore agricolo il 25 luglio 1994) e contratti collettivi stipulati tra le organizzazioni datoriali e le organizzazioni sindacali di settore.
28
Legge 23 luglio 1991, n. 223 «Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro» (Gu n. 175 del 27-7-1991 - Suppl. Ordinario n. 43).
29 Lagala C., La disciplina legislativa per la gestione flessibile del mercato del lavoro agricolo: il nuovo collocamento, il part-time e gli incentivi per l’emersione del lavoro nero, in «Contrattazione, lavoro e previdenza nell’agricoltura degli anni ’90», Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2002.
30 Decreto Legislativo 11 agosto 1993, n. 375 «Attuazione dell’art. 3, comma 1, lettera aa), della legge
23 ottobre 1992, n. 421, concernente razionalizzazione dei sistemi di accertamento dei lavoratori dell’agricoltura e dei relativi contributi» (Gu n. 224 del 23-9-1993 - Suppl. Ordinario n. 90).
L’analisi
dette fasce deboli. Si tratta di un istituto nato con la legge 223/9128 come contropartita al superamento delle assunzioni numeriche29. Alle imprese, infatti, viene riconosciuta la possibilità di effettuare tutte le assunzioni di cui avevano bisogno tramite libera scelta del lavoratore da assumere. In cambio però queste stesse
aziende avrebbero dovuto riservare una aliquota delle loro assunzioni pari al 12%
a favore delle fasce deboli dei disoccupati (lavoratori in mobilità, disoccupati di lungo periodo o altre categorie specificamente identificate dalla commissioni provinciali per la manodopera agricola). La legge 608/1996 escludeva, infine, dall’obbligo
della riserva le imprese agricole che nell’anno precedente non avevano effettuato
assunzioni per un numero di giornate superiori 1350.
– l’introduzione del Registro d’impresa. Una delle principali novità introdotte con
la legge 608/1996 riguarda il Registro d’impresa. Il Registro che viene consegnato all’Inps ad ogni azienda che abbia presentato una denuncia aziendale rappresenta
lo strumento indispensabile per l’impresa agricola per far fronte a tutti gli adempimenti di legge conseguenti all’assunzione della manodopera dipendente. Dal Registro d’impresa debitamente compilato si ricavano sia la dichiarazione da consegnare al lavoratore all’atto dell’assunzione sia le comunicazioni da inviare entro 5
giorni dall’assunzione all’Inps e alla sezione circoscrizionale per l’impiego. Dal Registro d’impresa è inoltre possibile ricavare anche la documentazione connessa all’obbligo di corrispondere la retribuzione con il prospetto paga già introdotto con
l’art. 4 del d.lgs. 375/199330.
– accertamento delle giornate. Con l’approvazione della legge 608/1996 vengono introdotti importanti elementi di riforma anche in merito alla previdenza agricola. Una
delle principali novità riguarda le modalità di accertamento delle giornate a fini previdenziali e contributivi. In passato questa funzione era affidata alle commissioni locali per il collocamento che provvedevano a compilare, sulla base delle risultanze delle attività di collocamento, gli elenchi nominativi (i cosiddetti elenchi anagrafici)
dei lavoratori ammessi al godimento delle prestazioni previdenziali agricole. Con
la riforma promossa con l’approvazione della legge 608/1996 questa importante funzione viene attribuita direttamente all’Inps. In particolare sulla base degli atti in suo
possesso (ad es. le comunicazioni trimestrali sulla manodopera occupata) l’Inps prov-
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12/2012 Mercato del lavoro e agricoltura
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vede a compilare l’elenco trimestrale (contenente le giornate di lavoro prestate presso ciascun datore di lavoro) e quello annuale (contente le giornate complessivamente
attribuite nell’anno) della manodopera agricola che veniva pubblicato mediante l’affissione all’albo pretorio del Comune di residenza del lavoratore.
– sanzioni. La legge 608/1996 estende quanto già previsto per gli altri settori produttivi. Anche per i datori di lavoro agricoli il godimento delle agevolazioni contributive è condizionato all’applicazione di contratti collettivi nazionali di lavoro
o di quelli territoriali previsti dagli stessi contratti nazionali. La sanzione della interruzione del godimento delle agevolazioni contributive viene inoltre comminata anche a carico di quei datori di lavoro che producono dichiarazioni di occupazione fittizia finalizzate all’attribuzione indebita di giornate di lavoro per il
riconoscimento di diritti previdenziali.
Successivamente con il decreto legislativo 469 del 199731 viene aggiunto un altro
decisivo tassello alla riforma del collocamento agricolo in Italia. Le decisioni introdotte riguardano in particolare:
– il conferimento alle Regioni delle funzioni e dei compiti relativi a collocamento
agricolo (art. 2);
– la soppressione delle commissioni provinciali per la manodopera agricola e delle
commissioni circoscrizionali per la manodopera agricola le cui funzioni e competenze vengono trasferite alle province (comma 2 art. 6);
– il trasferimento nella misura del 70% del personale appartenente ai ruoli del Ministero del lavoro e della previdenza sociale impegnato in questi organi collegiali
(comma 1 art. 7);
– la soppressione degli uffici periferici delle sezioni circoscrizionali per l’impiego e per
il collocamento in agricoltura che vengono sostituiti dai centri per l’impiego (art. 8).
Con l’approvazione del decreto legislativo 469 del 1997, quindi, nell’ottica di perseguire l’obiettivo del «decentramento», vengono riunificate nelle mani della Regione le responsabilità delle leve cruciali per il governo del mercato del lavoro in Italia32.
5. Dal collocamento ai servizi pubblici per l’impiego:
le scelte di alcune regioni per il settore agricolo
Come abbiamo ricordato in precedenza con il decreto legislativo 469 del 1997 vengono delegate alle Regioni e alle Province le funzioni e i compiti per il governo del
31
Decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469 «Conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell’articolo 1 della legge 15 marzo 1997,
n. 59» (Gu n. 5 del 8-1-1998).
32 Liso F., Il collocamento ordinario da funzione pubblica a servizio. Appunti. inedito, 2003 (disponibile
sul sito http://www.lex.unict.it/eurolabor/dottorato/atti/s230104/liso1.pdf).
Tabella 10 - Alcuni aspetti della normativa regionale in materia di collocamento
e servizi pubblici per l’impiego
Regione
Puglia
Riferimento normativo
Composizione sindacale
della commissione
regionale
Presenza di
organizzazioni
professionali
agricole
Legge Regionale 5 maggio 1999, n. 19
«Norme in materia di politica regionale del lavoro e dei servizi all’impiego».
Cgil n. 2 rappresentanti effettivi e
n. 2 supplenti; Cisl n. 2 rappresentanti effettivi e n. 2 supplenti; Uil
n. 2 rappresentanti effettivi e n. 2
supplenti; Ugl n. 1 rappresentante
effettivo e un supplente.
Confagricoltura
(1 effettivo
e 1 supplente);
Coldiretti
(1 effettivo
e 1 supplente).
Campania Legge Regionale 13 agosto 1998, n. 14
Cgil n. 1 rappresentanti effettivi;
Cisl n. 1 rappresentanti effettivi;
Uil n. 1 rappresentanti effettivi;
Ugl n. 1 rappresentante effettivo
Confagricoltura
(1 effettivo
e 1 supplente)
Legge Regionale 19 febbraio 2001, n. 5
«Norme in materia di politiche del lavoro e di servizi per l’impiego in attuazione del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469».
Cgil n. 1 rappresentanti effettivi e
n. 1 rappresentante supplente;
Cisl n. 1 rappresentanti effettivi e
n. 1 rappresentante supplente; Uil
n. 1 rappresentanti effettivi e n. 1
rappresentante supplente; Ugl n.
1 rappresentante effettivo n. 1
rappresentante supplente.
Confagricoltura n.
1 rappresentante
effettivo.
Cia n. 1
rappresentante
supplente.
«Politiche regionali per il lavoro e servizi per l’impiego».
Calabria
SEGUE
33 In questa sede la nostra attenzione si soffermerà sulle scelte assunte in Puglia, Sicilia, Calabria, Cam-
pania, Emilia Romagna, Toscana e Veneto che secondo i dati Inail nel 2011 occupavano complessivamente il 72,2% dei lavoratori agricoli italiani.
L’analisi
mercato del lavoro in Italia. La riforma costituzionale del 2001 ha confermato questo indirizzo introducendo le materie del collocamento, dei servizi per l’impiego e delle politiche attive del lavoro nella potestà legislativa concorrente delle Regioni. Da questo orientamento è discesa una ampia e diversificata produzione legislativa di merito
nella quale, anche in base alle differenti vocazioni e specializzazioni produttive territoriali, vengono assunti eventuali orientamenti caratteristici in materia di mercato del
lavoro agricolo.
In questa sede proveremo ad analizzare gli orientamenti assunti in materia di mercato del lavoro agricolo in alcune regioni italiane33. In particolare proveremo a soffermare la nostra attenzione sulla scelta assunta dalla normativa regionale in merito
ai compiti e alle funzioni in materia di collocamento agricolo, alla presenza e alla composizione di eventuali organismi di concertazione, alla attivazione di sottocommissioni con specifiche competenze in materia di mercato del lavoro agricolo ed ad altri provvedimenti che tengono conto delle peculiarità di settore.
a
e
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SEGUE
12/2012 Mercato del lavoro e agricoltura
Regione
a
e
Riferimento normativo
Composizione sindacale
della commissione
regionale
Presenza di
organizzazioni
professionali
agricole
Emilia R.
Legge Regionale 01 agosto 2005, n. 17
«Norme per la promozione dell’occupazione, della qualità, sicurezza e regolarità del lavoro».
Sei componenti effettivi e sei supplenti, designati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori più
rappresentative a livello regionale.
Toscana
Legge Regionale 26 luglio 2002, n. 32
«Testo unico della normativa della Regione Toscana in materia di educazione, istruzione, orientamento, formazione professionale e lavoro».
Cgil n. 3 rappresentanti effettivi e Coldiretti
n. 3 rappresentante supplente; (1 effettivo
Cisl n. 2 rappresentanti effettivi e e 1 supplente).
n. 2 rappresentante supplente; Uil
n. 1 rappresentanti effettivi e n. 1
rappresentante supplente.
Veneto
Legge Regionale 13 marzo 2009, n. 3
«Disposizioni in materia di occupazione e mercato del lavoro».
Tredici rappresentanti delle orga- Due rappresentanti
nizzazioni sindacali dei lavoratori delle associazioni
dipendenti.
del settore
agricolo.
Sicilia
Legge Regionale Sicilia n. 36 del 2109-1990 «Norme modificative ed integrative della legge 28 febbraio 1987,
n. 56 e delle leggi regionali 23 gennaio
1957, n. 2, 27 dicembre 1969, n. 52 e 5
marzo 1979, n. 18, in materia di disciplina del collocamento e di organizzazione del mercato del lavoro. Norme
integrative dell’ articolo 23 della legge
11 marzo 1988, n. 67, concernente attività di utilità collettiva in favore dei
giovani».
Cgil n. 2 rappresentanti effettivi e
n. 2 rappresentante supplente;
Cisl n. 2 rappresentanti effettivi e
n. 2 rappresentante supplente; Uil
n. 2 rappresentanti effettivi e n. 2
rappresentante supplente; Ugl n.
2 rappresentanti effettivi e n. 2 rappresentante supplente; Cisal n. 2
rappresentanti effettivi e n. 2 rappresentante supplente.
42
Confagricoltura
1 rappresentante;
Coldiretti 1
rappresentante.
Coldiretti
(1 effettivo
e 1 supplente);
Confagricoltura
(1 effettivo
e 1 supplente).
Fonte: Ns. elaborazioni
Tutte le regioni considerate, in maniera conforme a quanto disposto dall’art. 2,
comma 1, del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, assegnano alle province
la competenza in materia di collocamento agricolo. La normativa della Regione Puglia34 precisa, in particolare, che «al fine di garantire il rispetto della specificità del mercato del lavoro agricolo, alle Commissioni provinciali per il lavoro sono affidate le funzioni già di competenza delle Commissioni provinciali e circoscrizionali per la manodopera
agricola nonché quelle assegnate alle stesse da delibere della Commissione regionale per l’impiego (Cri) Puglia, per l’espletamento delle quali il regolamento dovrà prevedere opportune modalità organizzative».
34
Legge regionale 5 maggio 1999, n. 19 «Norme in materia di politica regionale del lavoro e dei servizi all’impiego».
L’analisi
Anche la normativa dell’Emilia Romagna precisa che «nell’ambito di tutte le funzioni assegnate al sistema regionale dei servizi per il lavoro in particolare di quelle relative alla preselezione ed incrocio fra domanda ed offerta di lavoro, il sistema regionale tiene conto delle peculiarità dei diversi settori economico-produttivi e delle specificità dei
fenomeni di stagionalità, con particolare riferimento alle attività agricole, agroindustriali e turistiche».
Le scelte in termini di composizioni degli organismi collegiali variano nelle diverse regioni considerate. Tutte le regioni prevedono una rappresentanza composta da
soggetti istituzionali, da rappresentanti delle organizzazioni datoriali e da quelli delle organizzazioni sindacali. La composizione della commissione regionale è, infine,
completata da un consigliere di parità. In tutte le regioni considerate la composizione della componente datoriale delle commissioni regionali è completata da rappresentati delle organizzazioni professionali di settore (Confagricoltura, Coldiretti e Cia)
per tener conto anche delle specificità e dei peculiari interessi del settore agricolo. La
composizione degli organismi collegiale è, inoltre, completata dall’istituzione di una
commissione provinciale le cui funzioni e compiti vengono precisate nell’ambito di
appositi regolamenti adottati delle istituzioni provinciali. I suddetti regolamenti
provvedono inoltre a definire nel dettaglio i meccanismi di funzionamento e la composizione delle commissioni provinciali.
Per ottimizzare il funzionamento delle commissioni vengono, infine, previste l’attivazione di sottocommissioni o gruppi di lavoro finalizzati ad approfondire specifiche tematiche. Per la Calabria «la Commissione regionale Tripartita può costituire, al proprio interno, sottocommissioni e gruppi di lavoro e ne nomina i rispettivi Presidenti. In
ogni sottocommissione dovranno essere rappresentate tutte le componenti presenti nella Commissione, ma in caso di diversa determinazione dovrà essere garantita la presenza di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e uno dei lavoratori». Anche per l’Emilia
Romagna «il lavoro della Commissione regionale tripartita è organizzato in sottocommissioni». Per la Toscana invece «la Commissione ha facoltà di nominare gruppi di lavoro per l’esame di specifici argomenti e per la predisposizione di documenti che saranno
sottoposti all’approvazione della Commissione». Per il Veneto invece «è prevista l’articolazione della commissione regionale per la concertazione tra le parti sociali in sottocommissioni con eventuali poteri deliberanti, e con garanzia di pari rappresentanza delle parti sociali».
È opportuno, infine segnalare gli orientamenti della Puglia dove sia la Commissione regionale per le politiche del lavoro sia le Commissioni provinciali per le politiche del lavoro prevedono l’istituzione di apposite sottocommissioni. In particolare
per le Province è prevista la facoltà di istituire una apposita sottocommissione provinciale per il lavoro agricolo.
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12/2012 Mercato del lavoro e agricoltura
Conclusioni
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44
L’analisi condotta in precedenza è partita con l’obiettivo di identificare le peculiarità che attualmente caratterizzano il settore agricolo italiano con particolare riguardo alle problematiche connesse alla disponibilità e all’accesso alla manodopera. Il primo elemento emerso in precedenza riguarda il rallentamento registrato negli ultimi
anni nella caduta della quota dell’occupazione agricola sul totale dell’economia. La
probabilità di portare a termine positivamente i processi di riorganizzazione che caratterizzano l’agricoltura italiana dipende, infatti, anche dalla possibilità di poter disporre di un adeguato flusso di manodopera. La seconda criticità emersa nell’analisi
precedente riguarda il processo di graduale senilizzazione che caratterizza gli operatori impegnati nel settore agricolo italiano. L’immissione nel settore di manodopera
«giovane» che contribuisca anche ad attivare un processo di turnover con i lavoratori agricoli più anziani appare fondamentale per permettere la prosecuzione delle attività in molte aree agricole del Paese. Un terzo elemento riguarda l’elevata incidenza del sommerso che caratterizza l’agricoltura italiana. Come abbiamo visto in
precedenza si tratta di un fenomeno di proporzioni molto consistenti con tassi di irregolarità ben al di sopra di quelli registrati per l’intera economia nazionale. Nel settore agricolo è, infatti, fortemente estesa e crescente l’area del lavoro nero sia per i fenomeni di evasione del rispetto delle garanzie contrattuali e sia per il mancato
obbligo della registrazione dei rapporti di lavoro. Le misure recentemente assunte in
materia di regolarizzazione degli stranieri e di regolamentazione del lavoro atipico non
sono state in grado di contrastare efficacemente l’impiego di manodopera non regolare. Una quarta criticità riguarda i bassi tassi di formazione agraria che caratterizzano gli operatori del settore. Con questa circostanza si spiega la diffusa difficoltà incontrata da molte aziende nel reperimento di manodopera in possesso delle
competenze necessarie anche ad affrontare e gestire le trasformazioni che recentemente
riguardano il settore primario italiano.
In questo contesto il diffuso ricorso al lavoro migrante che negli ultimi anni caratterizza in maniera crescente l’agricoltura nazionale può rappresentare un’importante
occasione per alleviare alcune delle criticità descritte in precedenza35. La valorizzazione
del contributo dei lavoratori migranti alla competitività del settore agricolo passa però attraverso l’attuazione di un pacchetto di interventi finalizzati a migliorarne le condizioni di integrazione e di cittadinanza. In questo campo l’implementazione di specifici interventi di governo del mercato del lavoro e di adeguate misure di politica attiva
del lavoro appare cruciale anche per ridurre l’incidenza dei fenomeni di lavoro nero
35 D’Alessio M., Il lavoro migrante per la competitività dell’agricoltura italiana, Rivista AE Agricoltura,
Alimentazione, Economia, Ecologia, n. 2, 2010.
36
Iadevaia V. e Mainardi M., (a cura di), Dimensioni e caratteristiche del lavoro sommerso/irregolare in
agricoltura, Isfol, 2011.
37 Ivi, p. 8.
L’analisi
che riguardano la manodopera extracomunitaria. I lavoratori migranti in agricoltura si trovano, infatti, esposti a situazioni di lavoro nero in senso stretto, con condizioni di estremo sfruttamento, quando non di vero e proprio schiavismo (i noti fatti di Rosarno hanno drammaticamente riportato alla ribalta il fenomeno)36.
L’analisi delle caratteristiche del mercato del lavoro in agricoltura ha evidenziato
gli spinti fenomeni di segmentazione che caratterizza l’occupazione nel settore primario. Secondo i risultati dell’indagine Excelsior, le imprese agricole italiane tendono a manifestare una richiesta in termini di mansioni e di competenze focalizzata verso «tre grandi tipologie di figure professionali. Da un lato, si cercano figure specializzate
in grado di seguire lo sviluppo di specifiche coltivazioni, la conduzione di macchinari
o la gestione di attività zootecniche sotto tutti gli aspetti; dall’altro si ricercano figure con competenze trasversali, capaci di occuparsi di attività abbastanza diverse tra loro, come ad esempio le attività di produzione agricola e le mansioni in agriturismo,
oppure la cura degli allevamenti e la trasformazione dei prodotti agricoli. Infine, un
terzo profilo – scarsamente presente tra i lavoratori stabili – è quello del lavoratore con
compiti prettamente manuali, che si occupa semplicemente di raccogliere i prodotti o accudire agli allevamenti37». Le imprese evidenziano, quindi, una domanda diversificata che solo attraverso efficaci interventi di politica del lavoro può trovare una
adeguata risposta.
L’analisi delle evoluzioni normative ha permesso di evidenziare le quattro fasi fondamentali che hanno caratterizzato il percorso di trasformazione che ha riguardato il collocamento agricolo in Italia. La prima che può essere definita «burocratica» è caratterizzata da un forte ruolo degli uffici provinciali e delle sezioni staccate
che provvedono alle attività connesse ai servizi collocamento. In questa fase il collocamento che è finalizzato principalmente all’equa ripartizione delle opportunità
occupazionali fonda il suo funzionamento sulla base del criterio numerico per gli
avviamenti. In questo contesto è difficile per gli uffici diversificare in maniera efficiente le procedure per soddisfare adeguatamente le aspettative formulare dalle singole imprese del settore. L’utilizzazione del criterio numerico per gli avviamenti produce delle criticità anche per i lavoratori che non vedono adeguatamente valorizzati
i know-how e le competenze acquisite. La seconda fase che può essere invece definita «democratica» è basata sul protagonismo delle commissioni regionali, provinciali e locali a maggioranza sindacale. Viene introdotta una nuova prassi di implementazione del servizio di collocamento in agricoltura basata su un approccio
concertato e partecipato.
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12/2012 Mercato del lavoro e agricoltura
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Caposaldo del nuovo collocamento è l’introduzione dell’obbligo per le imprese di
fornire attraverso il piano colturale i fabbisogni quantitativi e in termini di qualifica
professionale stimati annualmente. In questo modo le commissioni a vari livelli dovrebbero possedere le informazioni necessarie a svolgere al meglio le funzioni connesse
ai servizi di collocamento. Questo nuovo approccio dovrebbe migliorare la funzionalità del collocamento compensando l’ulteriore irrigidimento delle procedure connesso all’introduzione del divieto di ogni deroga al principio numerico per l’avviamento. Questa fase si segnala inoltre per l’introduzione di sanzioni nei riguardi delle
imprese inadempienti attraverso la possibilità da parte delle autorità pubbliche di escluderle dai finanziamenti pubblici (contributi, agevolazioni fiscali e creditizie). Il periodo
successivo è caratterizzato da una «liberalizzazione» del collocamento attraverso l’introduzione della possibilità per imprese agricole di assumere in via diretta il personale
di cui abbisognano. Attraverso l’abolizione dell’obbligatorietà del nulla osta da parte degli uffici di collocamento per le assunzioni dirette viene introdotta una spinta deregolamentazione dei meccanismi di funzionamento e governo del collocamento in
agricoltura. Questa notevole semplificazione nel funzionamento del mercato del lavoro agricolo determina di fatto la fine del collocamento come strumento di equa ripartizione delle occasioni di lavoro. La principale conseguenza di questo nuovo approccio è lo svuotamento di funzioni a carico delle commissioni sindacali alle quali
rimane la sola funzione di concorrere a governare l’applicazione della disciplina delle riserva introdotta dal legislatore come forma di compensazione alla liberalizzazione del mercato del lavoro conseguente all’abolizione del criterio numerico per gli avviamenti. L’ultima fase è caratterizzata da una «regionalizzazione» della disciplina del
collocamento agricolo.
L’introduzione del collocamento, dei servizi per l’impiego e delle politiche attive
del lavoro nella potestà legislativa concorrente delle Regioni attraverso la riforma al
titolo V della Costituzione Italiana avvia una nuova fase caratterizzata da una ampia
produzione legislativa regionale che dovrebbe essere in grado di recepire in chiave territoriale le peculiari esigenze dell’agricoltura italiana. Sebbene i risultati dell’analisi condotta non possano essere generalizzabili perché frutto di uno studio condotto sui testi legislativi vigenti in un insieme limitato di Regioni si evidenzia una ridotta
attenzione alle problematiche specifiche del mercato del lavoro agricolo. Alle commissioni provinciali e regionali previste nelle diverse normative regionali viene riservata principalmente una funzione consultiva in materia di collocamento ordinario
mentre l’intera responsabilità dei servizi per l’impiego permane in capo alle strutture dei centri per l’impiego (Cpi).
In questo contesto normativo diminuiscono gli spazi per l’implementazione di azioni di politica attiva del lavoro specificamente rivolti al settore agricolo. Parallelamente
si riducono le occasioni per implementare iniziative che prevedendo il coinvolgimento
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Adottato il 15 marzo 2012.
L’analisi
degli attori istituzionali e delle parti economiche e sociali di settore possano permettere una gestione concertata e partecipata delle problematiche che riguardano il
mercato del lavoro in agricoltura. Per altro i possibili correttivi a questa situazione
sono stati già evidenziati nell’ambito di un ordine del giorno adottato dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome su
iniziativa delle organizzazioni sindacali di settore. L’ordine del giorno38 «invita il governo a:
– promuovere i sottocomitati per il collocamento agricolo Regione per Regione ed
in ciascuna provincia, con il compito di attuare politiche attive del lavoro in agricoltura, da svolgersi in rapporto sinergico con i Centri per l’impiego, i Comuni e
gli enti bilaterali territoriali di settore al fine di promuovere ed indirizzare idonee
politiche formative e del lavoro, con riferimento anche alle problematiche dei lavoratori migranti.
– definire un nuovo e moderno sistema di direzione e di gestione del mercato del lavoro agricolo, poggiato su tre pilastri essenziali: un luogo di coordinamento istituzionale da istituire presso i Comuni, per la gestione del collocamento agricolo,
mediante un efficace programma di prenotazione (assunzione e riassunzione) e di
gestione della domanda e dell’offerta di lavoro; un efficiente servizio – integrato e
flessibile – di trasporto dei lavoratori da definirsi in sede regionale; un meccanismo premiale (finanziamenti, fiscalizzazioni aliquote contributive, ecc.) per le aziende che vi ricorrono».
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Evoluzione del collocamento e mercato del lavoro in