Campidoglio, niente scioglimento per mafiama solo ispettori che controlleranno delibere e appalti. Il sindaco Marino sta sereno, i romani un po’meno Mercoledì 10 dicembre 2014 – Anno 6 – n° 340 e 1,40 – Arretrati: e 2,00 Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009 “CARMINATI SOCIO DELLA COOP E VI RACCONTO LA CENA CON RENZI” Il braccio destro di Buzzi rivela al Fatto: “L’ex Nar era iscritto alla 29 Giugno. Con i soldi della struttura abbiamo versato 10 mila euro alla kermesse del premier all’Eur. Salvatore girava tra i tavoli e festeggiava con i politici vip” Massari » pag. 2 SACRI PALAZZI E il figlio di Diotallevi cercava lavoro (e affari) in Vaticano Vecchi » pag. 5 Coop: la banca parallela (che nessuno vuol vedere) comincia a scricchiolare Sopra, S. Buzzi. A destra, C. Bolla ALLEANZE A DESTRA ODEVAINE (PD) I camerati di Mokbel e quel pacchetto di 10 mila voti “offerti” ad Abrignani (Pdl) L’ex uomo di Veltroni pretendeva mazzette sulle forniture di caffè per il centro rifugiati Di Cesare » pag. 4 Raccolgono risparmio, ci sono perfino bancomat nei supermercati, all’insaputa di Bankitalia. E in Friuli due società sono saltate mandando in fumo risparmi per 130 milioni Meletti » pag. 11 - 14 Lillo » pag. 6 » EUROPA » Presidenziali anticipate ad Atene: -12,8% in Borsa Ricrolla la Grecia, la Troika ha fallito L’emergenza ellenica torna a minacciare la zona euro: il Parlamento non ha i numeri per scegliere il presidente della Repubblica. Scontate le elezioni anticipate: ora i mercati temono la vittoria di Tsipras, contrario all’austerità. La conseguenza sarà che il trio dei creditori resterà fino a primavera per vigilare Palombi » pag. 8 y(7HC0D7*KSTKKQ( +&!#!$!=!z IL SENATO USA I DECRETI FRA TRE MESI Jobs Act: grazie al Pd, più licenzi più guadagni Cannavò » pag. 7 Udi Salviamo la Costituzione IL DELITTO DI RAGUSA “Così ha ucciso Loris” Ma la mamma non crolla NUOVO SENATO E ITALICUM VIOLANO LA CARTA La donna: “Non sono stata io”. Ma i pm: “La sua versione non concorda con gli spostamenti ripresi dalle videocamere”. La nonna e la zia: “Veronica alienata, il bambino non c’è più” Lo Bianco » pag. 10 “Cia, torture brutali 183 waterboarding su un unico detenuto” Il dossier sul post 11 settembre: di 119 persone, 26 prese per sbaglio. Obama: “America tradita” Vitaliano » pag. 17 LA CATTIVERIA » pag. 22 Salvini: “A Roma ci vorrebbe un sindaco della Lega”. Così, tanto per infierire » www.forum.spinoza.it Battere il Renzi finché è caldo di Marco Travaglio ercoledì, a una mia domanda a Bersaglio MoM bile su La7, Renzi ha risposto che contro la corruzione non occorrono nuove leggi. Ieri ha an- nunciato una nuova legge contro la corruzione. Non mi illudo che mi abbia dato retta: molto più probabilmente ha fiutato, da quel notevole annusatore che è, l’aria che tira e ha capito che sventolare il bel nome di Raffaele Cantone e mandare in giro il commissario Orfini non basta a frenare l’ondata di discredito che tracima dalle carte di Mafia Capitale. La paura fa 90. Sia come sia, è una buona notizia il fatto che abbia cambiato idea. Anche se, per diventare un fatto, l’annuncio deve tradursi in un disegno di legge e, soprattutto, il disegno di legge deve passare al vaglio del Consiglio dei ministri poi della Camera poi del Senato, dove gli allergici agli inasprimenti di pena per i colletti bianchi sono legione. Molto meglio sarebbe stato ricorrere a un decreto, i cui requisiti di necessità e urgenza non c’è nemmeno bisogno di spiegare: basta leggere i giornali. Oltretutto, in base al “favor rei”, le norme più severe in materia penale valgono solo per il futuro (cioè per le corruzioni di domani, non per quelle di oggi e di ieri): dunque un decreto non lederebbe alcuna garanzia. Ma bisogna accontentarsi. Pare che Renzi sia rimasto molto colpito dal caso di Giancarlo Galan, tuttora incredibilmente presidente della commissione Cultura della Camera, che dopo quasi tre mesi al fresco ha ottenuto di patteggiare 2 anni e 10 mesi di carcere (finto: a parte la custodia cautelare già scontata, andrà ai servizi sociali) e di restituire 2,6 milioni (una parte delle tangenti contestate dai pm). Dunque ha annunciato l’aumento della pena minima per la corruzione, dagli attuali 4 anni a 6. E alcune modifiche della prescrizione (per allungarla) e della confisca dei beni per chi ha rubato (per obbligare il condannato a “restituire il maltolto fino all’ultimo centesimo”). Domani, quando il testo uscirà dal Consiglio dei ministri e passerà dalla tradizione orale a quella scritta, ne sapremo di più. Al momento si può dire che l’aumento del minimo della pena non incide sulla prescrizione (che si calcola sul massimo). Però può essere utile per impedire i patteggiamenti al ribasso: oggi la media delle pene patteggiate in Italia per corruzione è inferiore ai 2 anni e non solo consente al condannato di scansare la galera, ma anche di andare o restare in Parlamento (la Severino, guardacaso, salva da decadenza e ineleggibilità i pregiudicati fino a 2 anni). È vero però che non basta alzare il minimo di pena da 2 a 4 anni per garantire la galera a chi patteggia: sia perché il gioco delle attenuanti può portare a condanne inferiori ai 4 anni, sia perché le continue leggi svuotacarceri (quattro dal 2010 a oggi, una per governo: da Berlusconi a Monti a Letta a Renzi) hanno portato a 4 anni la pena totale o residua che si può scontare ai servizi sociali anziché in galera. Quanto alla confisca dei beni del corrotto, è già prevista dalla legge attuale, anche “per equivalente”: cioè, una volta dimostrato che Tizio ha incassato una mazzetta di tot milioni, gli si possono confiscare beni di pari entità, anche non in denaro. Quello che manca è l’estensione ai corrotti delle regole vigenti per i mafiosi: la confisca dei beni di cui il titolare non riesce a dimostrare la legittima provenienza, anche se intestati ad altri, invertendo l’onere della prova (non è il giudice a dover dimostrare che li hai rubati: sei tu che devi provare di averli guadagnati lecitamente). Se è questa l’intenzione di Renzi, è un altro passo in avanti. A questo punto, però, perché non riprendere l’idea lanciata nel '93 dal pool Mani Pulite a Cernobbio? Semplificava l’infinita gamma di reati dei pubblici ufficiali infedeli, che costringe pm e giudici a fare i salti mortali per distinguere fra corruzione, concussione, traffico d’influenze e altre fattispecie. Come? Creando un unico reato, punito col carcere da 4 a 12 anni (come la vecchia concussione), per qualunque pubblico ufficiale accetti soldi da un privato, senza sindacare la causale del versamento. Siccome il ferro va battuto finché è caldo, la buttiamo lì: vedi mai che lassù qualcuno ci ascolti. 2 Z ingaretti: “Gara da 60 milioni bloccata dal Lazio” Claudio Bolla di Antonio I ROMANZO CRIMINALE MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014 Massari l tavolo alla cena di Matteo Renzi è costato 10 mila euro, ha pagato tutto la cooperativa e, tra i soci della nostra cooperativa, la 29 giugno, c’è anche Massimo Carminati”. A parlare è Claudio Bolla, braccio destro di Salvatore Buzzi, l’uomo delle cooperative rosse in affari con Massimo Carminati, il capo di Mafia Capitale. Bolla – che non è indagato – era al tavolo dell’ormai famosa cena di finanziamento per Matteo Renzi, quella del 7 novembre, e con lui c’erano anche Buzzi e Carlo Maria Guarany, entrambi arrestati nell’inchiesta romana con l’accusa di associazione mafiosa. Bolla, al tavolo eravate in cinque, oltre agli arrestati Buzzi e Guarany, chi erano gli altri due? Sono due soci della cooperativa, persone senza alcuna carica, non vi dico il nome perché non mi va di metterli in questo tritacarne senza motivo. Due soci della cooperativa, senza alcuna carica, che hanno pagato mille euro a testa per finanziare Renzi? Ma no, non hanno pagato un centesimo, Buzzi mi ha detto che ha sborsato tutto la cooperativa. L’ha chiesto lei di partecipare alla cena? Io? Ma se non ci volevo neanche andare... è Buzzi che un giorno mi chiama, mi dice: “Abbiamo preso un tavolo alla cena del Pd, c’è Renzi, ti va di venire?”. La verità è che non ci voleva andare nessuno, era in difficoltà a trovare gente disponibile, così l’ha chiesto a me e agli atri due, perché, pensando che in quel contesto ti trovi a parlare con imprenditori e amministratori locali, voleva qualcuno in grado di spiccicare due parole in italiano... Così lei ha stretto la mano a Renzi. Ma quando mai? Renzi era inavvicinabile. Avete soltanto mangiato? Abbiamo mangiato poco e male. E quanto è costata la cena? Presumo 10 mila euro, poi non so se Buzzi ha millantato d’aver pagato, e invece non ha pagato niente... Almeno Buzzi avrà stretto buoni rapporti, quella sera, Renzi l’avrà incrociato. Salvatore non se l’è filato nessuno... Ma insomma: che ci siete andati a fare? Gravitando intorno a quell’area politica, visto che non esiste più il finanziamento pubblico, la cooperativa s’è sentita in dovere di intervenire in favore del partito... ma si va lì per cercare contatti, relazioni, mica per la politica. LE MANI di Mafia Capitale non hanno toccato gli appalti della Regione Lazio: nessuna delle 18 gare organizzate dalla Centrale unica degli acquisti da maggio 2013, una partita da ben 3 miliardi di euro, è stata aggiudicata a una delle società coinvolte nell’inchiesta “Mondo di mezzo”. Bloccata in itinere anche la gara più preoccupante, il Fatto Quotidiano quella da 60 milioni sul Centro unico prenotazioni delle Asl, quella cioè su cui il presunto sodalizio criminale agli ordini di Massimo Carminati stando agli investigatori aveva messo gli occhi: per precauzione sarà pubblicato un nuovo bando. È l’esito dell’indagine interna disposta dal governatore del Lazio Nicola Zingaretti. Il vice di Buzzi “Alla cena del Pd per selfie e relazioni Er Cecato socio” Salvatore e Guarany andavano di tavolo in tavolo a cercare d’intavolare rapporti, ci sono un bel po’ di selfie... Per partecipare era necessario l’invito di un politico: chi vi ha invitati? Salvatore s’è auto-invitato. Non ha bisogno d’essere invitato. Per una cooperativa come la nostra, 10 mila euro, cosa vuole che siano? Non è bello se non ci andiamo, visto che è in corso il finanziamento del partito e non c’è più il finanziamento pubblico. Carminati lo incontrava spesso in cooperativa? Ho iniziato a incontrarlo alla fine del 2012 e le assicuro che non mi ha sorpreso per niente: la nostra cooperativa, che ha avuto al suo interno tante persone che hanno commesso reati gravi, è nata apposta per contribuire al loro reinserimento. A noi non interessa cosa abbia fatto in passato: è lo spirito della cooperativa. E lui mi ha risposto: “È un socio lavoratore”. Quindi Carminati, il camerata dei Nar, è socio della cooperativa rossa. Sì, ma i soci non sono tutti allo stesso livello. C’è il consiglio d’amministrazione, la presidenza, insomma c’è una scala gerarchica: Massimo era uno dei soci, non uno dei dirigenti, non prendevo ordini da Carminati. Con chi aveva rapporti, in cooperativa, il socio Carminati? Con Buzzi e Guarany. Parlava soprattutto con i dirigenti, ma la sua presenza era sporadica, solo negli ultimi tempi era più presente. Ha segnalato dei fornitori. Che tipo di fornitori e perché? Posti da affittare nel settore Qualche domanda a Buzzi, su Carminati, l’ha fatta? Certo. E non soltanto io. E alle nostre domande Buzzi ha risposto: “È un lavoratore della cooperativa”. Che significa un “lavoratore della cooperativa”? Un socio. Un socio? Ho chiesto a Buzzi: “Carminati in che ruolo viene qui?”. LA SERATA ALL’EUR In realtà abbiamo mangiato poco e male. Il capo ha detto di aver pagato 10 mila euro con i soldi della cooperativa. Il premier era inavvicinabile dell’accoglienza, case, palazzi. Carminati ha segnalato a Buzzi degli amici, dei piccoli costruttori, quindi anche a me, ma di tutti i posti che ha segnalato, che sono due o tre, nessuno andava bene: in un caso si trattava di un albergo all’Ostiense mentre le altre due strutture erano fuori Roma, ma li ho scartati. Ma Carminati era un socio vero o fittizio secondo lei? Penso che sia stato un socio vero. Ha letto il suo nome sull’elenco dei soci? Io l’elenco dei soci non l’ho mai visto. Mai visto? Pensi che l’abbiamo cercato per quattro giorni, da quando ci sono stati gli arresti, e l’abbiamo trovato soltanto oggi: sono tre faldoni di nomi che abbiamo appena consegnato al nuovo consiglio di amministrazione. E il nome di Carminati c’è? Voglio verificarlo anche io. Voglio capire fino a che punto Buzzi può averci raccontato balle. 29 GIUGNO Il braccio destro di Salvatore Buzzi, Claudio Bolla, intervistato da “Piazzapulita” su La7 e poi dal “Fatto Quotidiano”, ha raccontato la partecipazione alla cena di finanziamento del Partito democratico all’Eur, quartiere di Roma. Secondo il suo racconto, Buzzi avrebbe detto di aver pagato 10 mila euro con i soldi della cooperativa. Inoltre, Buzzi avrebbe anche affermato che Er Cecato Carminati, capo di Mafia Capitale, sarebbe socio della cooperativa 29 giugno. Sopra, il premier Matteo Renzi Ansa, LaPresse SEMPRE A GALLA Carminati, Re di Roma e dell’indulto di Valeria Pacelli n 56 anni di vita, Massimo I Carminati, adesso in carcere con l’accusa di essere a capo di quella che è stata denominato Mafia Capitale, ha avuto la fortuna di beneficiare di ben tre indulti. Come si scopre scorrendo le cinque pagine di casellario giudiziale che raccontano i guai con la giustizia – dai quali è sempre uscito indenne – dell’ultimo Re di Roma e che affondano le radici negli anni 80. È INFATTI il 1979 quando par- tecipa alla rapina alla filiale romana della Chase Manhattan Bank. Durante una conversazione finita nei nastri della Procura di Roma nell’ambito dell’indagine “Mondo di Mezzo”, Carminati descrive così quell’episodio: “Il giorno dopo la Chase Manhattan Bank siamo andati lì… gli ho fatto compra’ il 323 (una Bmw, ndr) pure a lui… c’aveva una baracca gli ho detto… ’annamose a compra’ il 323’… ancora me lo ricordo. 11 milioni… calcola pigliavamo stecche da 50-60 milioni… ti facevi una macchina che adesso varrà 40-50.000 euro … con 50 milioni m’ero comprato casa… la prima casa che mi sono comprato… con una stecca”. Eccolo, l’ultimo Re di Roma che parla di sé e di quello che è stato il passato. Per quella rapina messa a segno assieme a esponenti di Avanguardia nazionale e dei TRE VOLTE Condannato solo per rapine, mai per reati di terrorismo legati ai Nar, ha beneficiato a ripetizione di misure di clemenza Nar, come Valerio Fioravanti, la sentenza definitiva arriva ad aprile 1987 con una condanna a 3 anni e 6 mesi di reclusione e l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Tutto cancellato dall’indulto del 1986. E non solo. Perché sulla stessa sentenza poi arriverà anche un secondo indulto, quello del 1990, anno in cui Francesco Cossiga era al Quirinale e Giulio Andreotti a Palazzo Chigi. Alla fine su questa condanna emessa dal Tribunale di Roma nel 1992 interviene anche la liberazione anticipata prevista dall’ordinamento penitenziario (7 mesi e 15 giorni con la buona condotta). L’indulto del governo Andreotti cancella anche una seconda pena a un anno e mezzo di reclusione inflitta a Carminati dalla Cassazione nel 1991 per i reati di rapina, detenzione e porto illegale di armi per fatti che risalgono al 30 luglio 1980. Condonata anche una terza pena inflitta stavolta nel 1988 per un reato di ricettazione commesso il 20 aprile del 1981, un giorno che segnerà per sempre la vita di Carminati. STAVA SCAPPANDO verso la Svizzera con due avanguardisti quando in provincia di Varese la polizia, convinta che con loro si trovassero i capi dei Nar, apre il fuoco. Carminati viene ferito ad un occhio e ne perderà l’uso per sempre. Da qui i soprannomi “Er Cecato” e “Er Pirata”. Passano pochi anni e la sua storia s’incrocia di nuovo con il tribunale di Roma. Nel 2000 viene condannato a sei anni e 1 mese di reclusione per associazione a delinquere, detenzione e porto illegale di armi, ricettazione continuata in concorso. È questo il processo alla Banda della Magliana con i suoi 69 appartenenti. Il pm Andrea De Gasperis chiede, per Carminati, una pena pari a 25 anni di carcere. Ma alla fine è stato condannato a 10 anni di reclusione in primo grado ridotti a 6 anni e 6 mesi in appello. A causa dell’accumulo delle condanne, gli anni di reclusione poi diventano 11 e 9 mesi, scontati in parte per poi passare alla libertà vigilata, finché nel 2006 il magistrato di sorveglianza non ne ha disposto la revoca. Certo, al di là degli indulti, gli sarebbe andata diversamente se fosse stato condannato per banda armata nel processo ai Nar, dove invece è stato assolto. Come per l’omicidio Pecorelli e il depistaggio relativo alla strage di Bologna. Passano gli anni e Carminati viene accusato di essere la mente dell’organizzazione del furto del caveau. Con altre 23 persone avrebbe aperto 147 cassette di sicurezza di “proprietà” di dipendenti del Palazzo di giustizia romano, portando a casa un bottino di oltre 50 miliardi di lire in oro e gioielli, oltre a diversi documenti riservati appartenenti a giudici. Ad aprile del 2008 viene condannato dal tri- ROMANZO CRIMINALEMERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014 il Fatto Quotidiano L’ULTIMO SONDAGGIO LA LEGA TALLONA FORZA ITALIA L’inchiesta Mafia Capitale influenza anche i sondaggi. Secondo i dati dell’Istituto Ipr Marketing, in uno studio per conto del Tg3, per tre italiani su quattro (72%) la vicenda romana colpisce allo stesso modo sia la destra sia la sinistra. Perde fiducia il premier Renzi, al 47%, che si attesta per la prima volta sotto il 50%. Ripercussioni anche sulla fiducia dell’esecutivo che perdendo due punti percentuali scende al 31%. Sulle intenzioni di voto, il Pd in un mese passa dal 40,5% al 38%. Salgono invece le prospettive per la Lega, data al 12,5%, con un miglioramento del 3 per 3 cento. Nelle intenzioni di voto scende anche il M5s che accusa una flessione dell’1,5%, scendendo al 16%. A influire in questo caso le contestazioni della linea ufficiale del movimento da parte di attivisti ed elettori. Stabile invece Forza Italia al 14%, ormai tallonata dalla Lega. Buone notizie anche per Sel che sale al 4%. Il partito: “C’è la privacy Non si possono fare nomi” SOLTANTO UNA SETTIMANA PRIMA IN TV RENZI DICEVA: “I PARTECIPANTI SARANNO REGISTRATI E RESI PUBBLICI”. SENZA LIBERATORIE ADDIO TRASPARENZA di Wanda Marra I nomi dei partecipanti alle cene di finanziamento del Pd sono pubblici e registrati”. Così Matteo Renzi diceva in diretta tv a Bersaglio mobile, mercoledì scorso. Una settimana dopo però gli elenchi è impossibile averli. I vertici dem alla richiesta di conoscere i nomi di chi c’era all’Eur all’iniziativa romana del 7 novembre scorso fanno muro. L’imbarazzo però aumenta con il passare dei giorni. Dal Nazareno sussurrano che è impossibile renderli noti, a causa della legge sulla privacy. La stessa che impedisce di conoscere per intero i nomi dei finanziatori della Leopolda. Con buona pace della trasparenza, evocata dallo stesso segretario-premier. Perché, per diffondere i nomi dei finanziatori, serve una liberatoria. Molti non l’hanno data e forse non lo faranno mai. Anzi, da quando si è capito che a cena quella sera c’era anche Salvatore Buzzi, le reticenze aumentano: nessuno vuol essere accomunato al capo della cooperativa 29 giugno, coinvolto nell’inchiesta su Mafia Capitale. Poi, ci sono una serie di altre questioni: per esempio, in molti il bonifico non l’hanno ancora fatto. E per alcuni dei presenti hanno pagato altri. E dunque, se pure un elenco (di massima) dei commensali, gli organizzatori assicurano di averlo, è presso- fatto a mano ché impossibile averne uno completo di chi ha pagato. Lo stesso Matteo Orfini, presidente del Pd, e ora anche commissario del partito romano, lunedì sera a Piazza pulita ammetteva che sarebbe importante rendere pubblici gli elenchi. E sottolineava come questa vicenda metta in luce tutte le falle del finanziamento privato alla politica, una volta che si è deciso di rinunciare a quello pubblico. Insomma, uno dei cavalli di battaglia del Pd secondo Renzi mostra tutte le problematiche del caso: come controllare chi paga il partito? E come stabilire chi può e non può farlo? Non solo: come evitare di incorrere nel reato di traffico di influenza, introdotto dalla Severino? SULLA PRESENZA di Buzzi ai tavoli di Roma l’imbarazzo dei dem diventa stellare. Francesco Bonifazi, il tesoriere affermava in un tweet: “Buzzi non ha dato un euro al @pdnetwork naziona- LA CASSA Francesco Bonifazi: “Da quella coop zero euro ai democrat nazionali”. Il tesoriere romano Cotticelli: “Non parlo, sono commissariato“ Poi, corregge il tiro: “Sono commissariato. Non sono tenuto a parlare”. Però, il 7 novembre non c’era ancora alcun commissario. Tra i vertici dem della Capitale è tutto un generico “non so niente”. Da notare che all’ultimo momento quella sera fu fatto saltare il tavolo di Marco Di Stefano. Non senza resistenze locali. DA ORFINI allo stesso Bonifazi, stanno lavorando per uscire da questa impasse. Ma sembra una di quelle sabbie mobili nelle quali si affonda sempre di più. Sempre per rimanere alla questione Buzzi, si apre un altro versante: quelli arrivati dalla 29 giugno sono Il tesoriere del Pd, Francesco Bonifazi Ansa soldi pubblici, visto che provenivano da appalti deliberati dal settore le”. E adesso, ora che Claudio pubblico. Si profila una sorta di Bolla, il braccio destro di Buzzi, gioco delle tre carte: il Comune di sostiene che invece lui ha pagato Roma finanziava Buzzi, che ha fiper sé e per chi era con lui, ri- nanziato il Pd. Tutto anche grazie badisce: “Buzzi non ha pagato al alla poca conoscenza del territoPd nazionale”. Perché, spiegano rio di Renzi e dei suoi. Al Nazadai vertici del Nazareno, quattro reno dicono che non potevano o cinque tavoli erano appaltati al immaginarsi un mese fa che saPd Roma. Impossibile, però, rebbe scoppiato questo bubbone. avere risposte dal partito locale Oggi i rischi e i problemi di opsu chi ci fosse. “Non so niente”, portunità politica di quelle cene dice il tesoriere Carlo Cotticelli. sono sotto gli occhi di tutti. Corruzione, la video-offensiva del governo: domani nuove norme n Italia il vento è cambiato e chi ruba, I chi corrompe, sarà perseguito fino all’ultimo giorno, fino all’ultimo cente- Massimo Carminati, capo indiscusso di Mafia Capitale bunale di Perugia per questo furto a quattro anni di reclusione, pena sospesa con un decreto del procuratore generale del tribunale finché non arriva un altro indulto, quello del 2006 con Giorgio Napolitano al Quirinale, Romano Prodi al governo e Clemente Mastella ministro della giustizia. LA LEGGE fu anche chiamata salva-Previti perché cadde a pennello poco dopo la condanna nel processo Imi-Sir. E non salvò solo l’ex ministro della Difesa, ma ne ha beneficiato, molti anni dopo anche Silvio Berlusconi quando nel 2012 è stato condannato a 4 anni di reclu- sione per i reati fiscali nell’ambito del processo per l’acquisizione dei diritti tv di Mediaset. Tre anni della condanna all’ex premier sono stati condonati proprio per gli effetti della legge sul condono del 2006. Di cui ha tratto beneficio anche Carminati. Rideterminando la pena da scontare così per Carminati la pena che resta da scontare ammonta a un anno. Pochi giorni fa però l’ex Re di Roma è finito in un guaio davvero grosso: stavolta l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso stampo mafioso. Chissà se il futuro ci riserverà qualche altro condono, salva tutti. Twitter @PacelliValeria simo”. Matteo Renzi passa alla controffensiva. E lo fa con lo stile delle grandi occasioni: video messaggio alla nazione (tre minuti e 51 secondi) dallo studio di Palazzo Chigi. In piedi, camicia bianca, cravatta e tono combattivo, annuncia “quattro piccole grandi modifiche contro la corruzione”, che saranno presentate al Cdm di domani. LA VICENDA di Mafia Capitale è una bu- fera che fa male al premier e al Pd. Parla chiaro il sondaggio che l’Istituto Ipr Marketing ha effettuato per conto del Tg3: per tre italiani su quattro (72%) la vicenda romana colpisce allo stesso modo sia la destra che la sinistra, mentre per il 13% è maggiormente coinvolta la destra e per l’8% la sinistra. Nelle intenzioni di voto, però, a lasciare sul piatto più consensi è il Pd che passa in un mese dal 40,5% al 38%. Renzi lo sa bene: “Apri un giornale, apri un sito, accendi la televisione, tutto ti porta a parlare di ciò che sta accadendo a Roma”. E allora, “il governo non può mettere le mani in quello che fa la magistratura”, ma “io ho da prendere un impegno: chi ruba deve pagare”. Perché “non è vero che siamo tutti uguali”. Prosegue con un dato sconcertante: “È inaccettabile che in carcere per corruzione ci siano solo 257 persone”. Poi, spiega le misure. Primo: “La pena minima per la corruzione passa da 4 a 6 anni. Puoi patteggiare, ma un po’ di carcere lo fai comunque”. Secondo: “La confisca dei beni di chi ha rubato. Chi è condannato per corruzione con sentenza passata in giudicato potrà vedere la confisca dei propri beni esattamente come accade oggi per reati più gravi”. Terzo: “Il maltolto lo devi restituire. Se è provata la corruzione restituisci fino all’ultimo centesimo”. Quarto: “Si allunga la prescrizione”. La decisione di provare a reagire così all’impatto dell’inchiesta romana, che si sente anche in Europa e sugli investitori stranieri, è stata presa ieri mattina a Palazzo Chigi. Certo, adesso bisognerà vedere cosa resta dopo l’annuncio. Anche perché, proprio sulla giustizia, e in particolare sulla prescrizione il governo è arenato da mesi. Nell’ultimo Cdm, di una settimana fa, tutte le misure più delicate in materia penale, all’ultimo momento sono rimaste fuori, causa l’opposizione del Ncd. Il ministro della giustizia, Andrea Orlando la Andrea Orlando, ministro Ansa spiegava così: “Modificare il codice penale, agire sulle pene, è più importante che allungare semplicemente i tempi della prescrizione”. Domani in Cdm arriverà non un decreto, ma “un ddl complessivo sul processo penale”, come dice lo stesso guardasigilli. E poi, “si lavorerà su norme già incardinate in commissione al Senato sulla criminalità economica”. CON LE NUOVE pene previste per la cor- ruzione (da 6 a 12 anni), la prescrizione arriverà a 15 anni. Se poi mai dovesse andare in porto il progetto di legge del governo, a 18. Le dichiarazioni di intenti sono chiare, bisognerà vedere la realizzazione. Il Parlamento come reagirà? David Ermini, responsabile giustizia del Pd si dice certo che “non si può non essere uniti su misure di questo genere. E per quanto riguarda il Pd noi siamo disposti a procedere in tempi strettissimi”. wa.ma. 4 ROMANZO CRIMINALE MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014 L’ avvocato del Re: “Non esiste la mafia romana” “CARMINATI è tutto tranne che un mafioso. Non esiste la mafia romana”. Lo ha detto ieri a SkyTg24 l’avvocato di Massimo Carminati, Giosuè Bruno Naso, commentando l’inchiesta “Mondo di Mezzo” che vede coinvolto il suo assistito. Sui soggetti intercet- tati e le loro dichiarazioni Naso ha commentato: “Stiamo parlando di personaggi tipici del sottobosco romano, quindi con quella burineria e volgarità che è tipica di questo humus umano. Se andiamo a grattare, dopo quattro anni di indagini, milioni e milioni spesi per IL LEGHISTA CAPITALE pedinare, intercettare, documentare, non è che sia venuta fuori poi questa cosa...”. A proposito dell’umore del suo assistito in carcere ha invece detto: “Carminati è una roccia. Mi chiede se uscirà indenne dalla faccenda? Ha un buon avvocato”. Cominceranno domani il Fatto Quotidiano le prime udienze del tribunale del Riesame per i ricorsi presentati dagli arrestati nell’ambito dell’inchiesta Mafia Capitale. Sono, in particolare, quelli di Massimo Carminati, appunto, Riccardo Brugia, Raffaele Bracci, Fabrizio Franco Testa e Roberto Lacopo. IL PARLAMENTARE FI E i lavori del Comune Quei 10 mila voti finiscono a casa offerti al deputato dell’uomo di Salvini vicino a Scajola NELLE CARTE ANCHE POMARICI CHE PERÒ SMENTISCE: “BIANCONI MILLANTA, HO PAGATO IO E HO LE RICEVUTE” NE PARLA DENARO, LEGATO A CARMINATI, MA ABRIGNANI MINIMIZZA: “ERANO I MILITANTI MODERATI DI CASA POUND” di Davide Vecchi di Loredana arco Pomarici è il grande contestatore della Giunta di Ignazio Marino, di cui invoca le dimissioni da quando sono scattate le manette per Mafia Capitale. Ex presidente del consiglio comunale in quota Pdl ai tempi di Gianni Alemanno sindaco, poi passato a Ncd e da fine ottobre portabandiera nella Capitale e unico rappresentante in Campidoglio della nuova Lega di Matteo Salvini, Pomarici è finito nelle carte dell’inchiesta. Secondo i riscontri effettuati dai carabinieri del Ros, Pomarici si è fatto ristrutturare casa dal costruttore Patrizio Amore, impegnato nei restauri dell’aula consiliare Giulio Cesare del Comune di Roma negli anni in cui guidava il consiglio. Il particolare è emerso dall’ascolto delle telefonate intercorse tra Patrizio Bianconi e Luca Gramazio, esponenti del centrodestra romano, nei primi mesi del 2013. I due sono entrambi candidati alle amministrative. Bianconi ha la necessità di coprire le spese della propria campagna elettorale e chiede i fondi a Gramazio, consigliere di Forza Italia iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di associazione mafiosa. Il 23 marzo, alle 14.47 battendo cassa. “Uno si esaspera no? Perché vedi Pomarici, vedi Cochi, senti la cena de quello, l'incontro di quell’altro... Facciamo le cacciatine degli Iban bancari e verifichiamo quanti soldi sono usciti dai conti correnti, poi se non so’ usciti ci spiegheranno perché gliel’hanno finanziato i vari Fabrizio Amore, guarda caso quello che ha fatto i lavori nell’aula e che ha fatto anche la ristrutturazione a casa di Pomarici”. Le richieste di Bianconi però per settimane cadono nel vuoto. E i rapporti degenerano rapidamente perché le elezioni si avvicinano e i fondi per la campagna elettorale scarseggiano. Bianconi arriva a minacciare di morte Gramazio e i suoi familiari. Il 15 aprile 2013 durante una telefonata all’una di notte Bianconi accusa Gramazio e Alemanno “di essere mafiosi e tangentari e che lui voleva i soldi che gli spettavano”, annotano gli investigatori. “La telefonata proseguiva con una serie di insulti reciproci”. Alle otto del mattino successivo Bianconi manda un iecimila voti pronti per l’“uomo vicino a Berlusconi”. È il febbraio di quest’anno, quando il Ros dei carabinieri scopre che Manlio Denaro, uomo legato al presunto boss Massimo Carminati, tenta di avvicinare Ignazio Abrignani, deputato di Forza Italia ed ex capo della segreteria di Claudio Scajola. “Io vengo con mio cognato – dice Denaro, parlando al telefono con Abrignani – lui ti spiegherà bene la situazione, poi vi fissate un secondo appuntamento perché stiamo parlando di un gruppo che su Roma non so se abbia 10.000 voti, ’na cosa del genere… tu m’avevi detto che ti volevi radicare su Roma... politicamente...”. Il cognato di Denaro è Riccardo Corsetto, candidato nel 2008 alla Presidenza del XIX Municipio di Roma e delegato alle Politiche sociali dello stesso Municipio. Corsetto, si legge nell’informativa del Ros dei carabinieri, “desidera inserirsi nel contesto politico capitolino”. Ma il personaggio chiave di questa vicenda è Denaro che viene descritto dagli investigatori come “pregiudicato ed elemento di spicco storicamente legato agli ambienti della destra extraparlamen- M D Marco Pomarici è passato dal Pdl a Ncd e ora alla Lega LaPresse LE INTERCETTAZIONI Agli atti telefonate e sms secondo i quali la ditta impegnata nell’aula Giulio Cesare avrebbe ristrutturato la dimora dell’allora presidente del Consiglio comunale, oggi volto del Carroccio e non indagato sms a Gramazio e rispunta Pomarici: “Racconta di quando smazzettavi i soldi di Parnasi con Cantiani Quarzo e Tredicine (consiglieri comunali, ndr) Ladro. Oppure quando hai coperto Pomarici sulla ristrutturazione dell’aula... Fabrizio Amore... ladri”. DA QUI SONO PARTITE le ve- rifiche da parte del Ros che hanno portato ai riscontri sui lavori effettuati nell’abitazione di Pomarici. Contattato dal Fatto, l’esponente romano del Carroccio nega categoricamente: “I lavori a casa li ho fatti nel 2008 e li ho pagati con soldi miei, della mia famiglia, con mia moglie”. Io, insiste, “non ho la più pallida idea del perché mi tirino in mezzo”. Ancora: “Siamo pronti a far partire le querele e comunque a me sembra fuori dal mondo come riferimento”. Ma l’azienda che le ha fatto i lavori a casa è stata l'azienda di Fabrizio Amore? “No, no, no... assolutamente no: ho tutte le carte che possono testimoniare il contrario, se qualcuno pensa sia così denunci il fatto e poi vedremo e lo dico con grandissima serenità”. E delle sue cene e dei suoi manifesti elettorali di cui parla Bianconi? Amore ha finanziato la sua campagna elettorale? “Guardi, io ho tutti i riscontri delle spese sostenute, tutte le ricevute, non ho alcun problema”. Pomarici non figura tra gli indagati nell’inchiesta Mafia Capitale a differenza di altri consiglieri citati da Bianconi nella telefonata come Alessandro Cochi. Ma gli inquirenti confermano di aver trovato riscontri sui lavori effettuati nella sua abitazione. Non sarebbe di certo un bell’esordio per la Lega di Salvini a Roma. Il leader del Carroccio cerca in ogni modo di offrire un’immagine pulita al movimento, dopo gli scandali delle lauree in Albania e dei diamanti in Tanzania, ma i fatti riporterebbero alla memoria i vizi della Padania che gridava “Roma Ladrona” e poi con i fondi del partito ristrutturava la casa di Umberto Bossi. Di Cesare LE DIFESE Negano tutto i quattro ai domiciliari anno respinto le accuse i quattro indagati agli H arresti domiciliari interrogati ieri negli uffici giudiziari romani di piazzale Clodio nell’ambito dell’inchiesta su Mafia Capitale: sono Emanuela Salvatori, dipendente del comune di Roma accusata di corruzione aggravata, Rossana Calistri, direttore della fondazione “Integra Azione” (rivelazione di segreto e turbativa d’asta), Patrizia Caracuzzi, segretaria dell’ex ad di Ama – la municipalizzata romana per l’ambiente – Franco Panzironi (corruzione) e Franco Cancelli, responsabile della cooperativa Edera (turbativa d’asta). I primi tre hanno risposto alle domande del gip Flavia Costantini, mentre Cancelli ha affidato la propria difesa ad una dichiarazione spontanea. Oggi, con gli interrogatori di garanzia di Raniero Lucci, Sergio Menichelli, Marco Placidi e Mario Schina, a loro volta ai domiciliari, si concluderanno le audizioni di tutte le persone destinatarie dell’ordinanza di custodia cautelare. Fin qui solo Nadia Cerrito, la contabile della coop “29 giugno” di Salvatore Buzzi, ha fatto ammissioni. In particolare sulla contabilità parallela che serviva anche a pagare i politici. Ignazio Abrignani, parlamentare Pdl, ex collaboratore di Scajola Ansa IL PERSONAL TRAINER L’onorevole non nasconde la conoscenza con l’amico di Mokbel: “Vent’anni fa giocavamo insieme a rugby e football, ci alleniamo ancora insieme. Facciamo politica, incontriamo persone” tare in particolare a quelli riferibili alla compagine eversiva di Ordine Nuovo”. E all'interno di Ordine Nuovo, secondo il Ros, “Denaro rivestiva un ruolo di assoluta centralità, tanto da averne costituito una personale 'Squadra Denaro Manlio' dedita ad attività eversive”. Denaro è stato anche indagato – poi assolto in primo grado – nell’indagine della Procura di Roma Fastweb Telecom Sparkle, sul maxiriciclaggio da due miliardi di euro che ha portato alla condanna di Gennaro Mokbel a 15 anni. Che Denaro – non indagato nell’inchiesta sulla Mafia capitale – sia strettamente legato a Carminati è dimostrato dai numerosi incontri tra i due, annotati dal Ros, tra il 23 dicembre 2012 e il 24 ottobre 2013, avvenuti spesso in compagnia del braccio destro del “Cecato”, Riccardo Brugia, all’ormai noto distributore di Carburanti Eni su Corso Francia. IN RELAZIONE ai rapporti con Mokbel, invece, negli atti si legge: “Per delineare lo spessore criminale di Manlio Denaro, nonché le sue interessenze con Gennaro Mokbel, appare importante evidenziare che, sin dagli anni 80, lo stesso gravitava sia negli ambienti dell’estrema destra romana sia nel sodalizio criminale capitolino della Banda della Magliana”. È questo l’uomo che contatta Abrignani per introdurre il cognato, Riccardo Corsetto, che desidera “inserirsi nel contesto politico capitolino”. Per realizzare il suo desiderio Corsetto pensa ad Abrignani “perché anzitutto è vicino a Berlusconi... c’ha quel ruolo nell’ufficio elettorale (responsabile dell’ufficio elettorale di Fi, ndr)... sulle liste... e poi è uno che non è bruciato politicamente”. Denaro s’impegna con Corsetto a contattare Ignazio Abrignani: “Lo chiamo e gli dico ... quand’è che ci possiamo prendere una cosa insieme? ... ci incontriamo io te e lui ... parliamo io te e lui e poi tu dici ‘io questa cosa la proporrò al gruppo di Santori’ (si presume Fabrizio, consigliere regionale eletto con La Destra e ora al gruppo misto, ndr)... proprio chiari eh ...”. “Sì”, acconsente Corsetto. Insomma il presunto pacchetto di voti sarebbe stato offerto di qua e di là. Abrignani, contattato dal Fatto Quotidiano, conferma di conoscere Denaro: “È il mio personal trainer nella palestra in cui mi alleno, nel quartiere Fleming di Roma”. Un’amicizia di vecchia data: “Vent’anni fa giocavamo entrambi a rugby e a football americano”. Assicura di non conoscere Corsetto e sulla vicenda dei dieci mila voti a lui offerti dice: “Sapevo che Denaro voleva presentarmi dei militanti di CasaPound che avevano assunto posizioni più moderate rispetto al movimento e mi sono reso disponibile. Facciamo politica, incontriamo persone”. ROMANZO CRIMINALEMERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014 il Fatto Quotidiano G rillo oggi in Senato, lancerà referendum su euro GRILLO ritorna a Roma. Oggi alle 16 il fondatore dei Cinque Stelle sarà in Senato per una conferenza stampa “per il lancio del referendum sull’euro e del #firmaday di sabato 13 dicembre in 150 comuni italiani”. La notizia l’ha data ieri su Facebook il deputato del M5S Girgis Giorgio Sorial, che aggiunge: “Sabato Beppe sarà in prima fila al gazebo di Genova, mentre martedì 16 dicembre lancerà il referendum dal Parlamento europeo riunito in sessione plenaria a Strasburgo, e informerà tutte le delegazioni europee sugli ultimi sviluppi in merito all'uscita dall'Euro, campagna del #M5S seguita con grande interesse anche da altri gruppi politici”. Dopo il videomessaggio di 5 domenica, in cui rivendicava di “essere più vivo che mai” e di aver fatto “un passo avanti, non indietro” con la nomina del direttorio, Grillo vuole dare un altro segnale di presenza. Nel frattempo ha incassato l’atto di fedeltà del sindaco di Livorno Filippo Nogarin: “Sto con Beppe senza se e senza ma”. MARINO, LO SCIOGLIMENTO PUÒ ATTENDERE: SÌ AGLI ISPETTORI ALFANO DELEGA AL PREFETTO L’ACCESSO AGLI ATTI: LA GIUNTA DI ROMA VA AVANTI di Luca De Carolis S i scrive accesso agli atti, si legge mossa obbligata. Per Alfano, che doveva dare un segnale. Per il prefetto Pecoraro, che assicura: “Questo non è un commissariamento”. E perfino per Marino: che scaccia lo spauracchio dello scioglimento per mafia, e accetta tre controllori che verificheranno tutto ma non potranno bloccare nulla. Per poi sibilare in serata a Ballarò: “Il ritorno alle urne è l’obiettivo della mafia”. Nel giorno in cui poteva vacillare il sindaco di Roma rimane in piedi, forse pure più stabile. Non pare una minaccia la decisione del ministro dell’Interno Alfano, che ieri ha delegato al prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro “di esercitare i poteri di accesso e di accertamento nei confronti del Comune”. Tradotto dal burocratichese, Pecoraro nominerà una commissione d’indagine composta da tre funzionari della pubblica amministrazione, che per tre mesi (prorogabili per altri 90 giorni) controllerà gli atti del Campidoglio e dei Municipi: passati, presenti e futuri. I TRE ISPETTORI non avranno potere di veto. Passeranno tutto al setaccio per poi formulare delle “conclusioni”, su cui poi Pecoraro baserà la sua relazione per Alfano. In linea teorica, la fine di questo processo potrebbe anche essere lo scioglimento del Comune. Ma per ora è un’ipotesi di scuola, a sentire le varie parti in causa. Convinte che non esistano i presupposti tecnici e politici per mandare a casa la giunta di centrosinistra, almeno allo stato attuale dell’inchiesta. Ieri dal Campidoglio ricordavano: “Sciogliere il Comune significherebbe commissariare Roma per 18 mesi. E al momento di indagato per associazione mafiosa in Campidoglio c’è solo un consigliere”. Ossia l’ex sindaco Gianni Alemanno. Sullo sfondo, il testo unico sugli enti locali, secondo cui lo scioglimento si può disporre solo in presenza di “emergono concreti e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori”, o davanti a incisive “forme di condizionamento” sulla giunta di turno. Pochi giorni fa, Pecoraro aveva prospettato tre ipotesi: “Accesso agli atti, scioglimento, o una terza via che prevede di non intervenire”. Ieri mattina, nell’incontro al Viminale, Alfano gli ha dato il via libera per l’accesso. Un passaggio quasi inevitabile, anche per mostrare che il ministero non rimane inerte. Marino ne discute con il commissario del Pd Matteo Orfini, con cui si incontra nel primo pomeriggio in Comune. Orfini gli ri- LA COMMISSIONE Tre esperti per tre mesi (prorogabili) vaglieranno le decisioni passate e future del Campidoglio e dei Municipi, senza potere di veto pete che il Pd e Renzi “sono dalla tua parte”: e pazienza per un anno e mezzo di guerra fredda. Parlano della manifestazione del Pd di oggi pomeriggio al Laurentino 38, periferia sud di Roma, dove il sindaco e il giovane turco dovrebbero dare un segnale di vitalità del partito romano, semi-travolto da Mafia Capitale. All’uscita Orfini fa atto di umiltà: “La giunta la fa il sindaco e lui fa quello che ritiene. Per noi va bene”. Postilla: “Lo scioglimento non è possibile, credo lo pensi anche Renzi”. Poco dopo Marino entra al ministero dell’Economia. “Ma non era per questioni relative all’inchiesta” assicurano dal Comune. ALLE 18 il sindaco incontra Pe- coraro. Gli chiede di nominare nella commissione uno o più ispettori del Mef: “Conoscono già i conti, li chiamai io l’anno scorso per controllare i bilanci della gestione Alemanno”. Si arriva a un’intesa: i tre ispettori saranno un prefetto, un viceprefetto esperto in appalti e appunto un tecnico del Mef. Il prefetto Giuseppe Pecoraro con il sindaco Ignazio Marino LaPresse Uscendo Pecoraro precisa: “Non è un commissariamento”. Marino assicura che lo scioglimento non è pensabile: “L’inchiesta si basa soprattutto sugli anni del governo Alemanno, e in questo momento non c’è nessuna evidenza della attualità della presenza mafiosa in Campidoglio”. Nei prossimi giorni, l’assessore al Bilancio, Silvia Scozzese, invierà documenti su appalti sospetti al pool anti-corruzione di Raffaele Cantone, a cui il sindaco ha chiesto pubblicamente aiuto. Marino cerca anche un possibile assessore alla legalità: un ex giudice della Consulta o della Corte dei conti. Infine, la promessa: “Sono al lavoro con il consigliere Riccardo Magi (Radicali) su un piano per superare definitivamente il sistema dei campi per Rom”. OLTRETEVERE Il figlio del boss Diotallevi cercava lavoro in Vaticano di Davide Vecchi D obbiamo andare da don Angelo Comastri”. Il 22 dicembre 2012 a bordo di una Fiat 500 Mario Diotallevi, figlio del boss settantenne Ernesto (indagato come referente di Cosa Nostra a Roma), si presenta all'ingresso del Vaticano e agli uomini della Gendarmeria annuncia di avere un appuntamento con don Comastri, vicario generale di Sua Santità nonché presidente della Fabbrica di San Pietro, ente appositamente creato per la gestione di tutto l'insieme delle opere necessarie per la realizzazione edile e artistica della Basilica. Ad accompagnarlo c'è E. S. che è riuscito ad ottenere di essere ricevuti dal monsignore. Diotallevi, contattato telefonicamente, non ha spiegato il motivo della visita: “Sì, ho incontrato Comaschi o almeno credo fosse lui, magari era un altro monsignore; ci ha dato la benedizione e poi siamo andati a visitare i giardini”. Il fascino della tonaca: “Facciamo piccole cose carine” Il giovane Diotallevi subisce il fascino del Vaticano. L'anno successivo, sempre a bordo della sua Fiat 500, parla con il padre Ernesto e gli racconta di come a breve riuscirà anche lui a entrare nella città del Papa e coronare quello che sembra un suo sogno: lavorare nella sicurezza. È il 21 febbraio 2013. Mario illustra al padre Ernesto la possibilità di un investimento immobiliare da operare su Firenze grazie all'interessamento di “Paolo”, annotano gli inquirenti, un “colonnello della Finanza”, futuro “capo della sicurezza al Vaticano” descritto come “mitomane”, “corrot- PRELATO Piazza San Pietro. A destra, il cardinale Angelo Comastri Ansa to” e appartenente ai servizi segreti che subiva “er fascino” del boss Diotallevi, quindi del padre. Paolo, prosegue Mario, spiega di voler “concludere affari immobiliari ritenuti sicuri e remunerativi” con lui. “Facciamo piccole cose carine” nella speranza, dice Mario, di entrare nelle grazie di Paolo così da essere poi cooptato nella sicurezza vaticana: “'Me pii a lavorà co tè...', 'aspetta che vado in Vaticano', m'ha detto”. È un Colonnello “della Finanza – prosegue - finisce l'incarico a và a fare il capo della sicurezza al Vaticano, perché lui stà bene con questi anche ne... Mario: me frega un cazzo... però nà volta sistemato... se compramo er maserati quattro porte, oh sai che famo... lo famo impazzì Leonardo ... je mettemo pure nà piatta sur conto... così c'hai Maris fai come cazzo... però da questo momento in poi fai come cazzo te pare proprio... Ernesto: allora quello che vojo fa... religiosi che stanno dentro”. Papà, prosegue il Mario: lo chiamamo, famo i clienti, preparace a figlio entusiasta, “questo è uno di quelli di un barca... capito pratico... si chiama Paolo, è pratico da morì... Mario: mo io m'accosto .. s'accostamo insieme a c'ha quarantott'anni nè un pischello. C'ha cin- quello, ar Colonnello... quant'anni, c'ha na figlia di vent'anni, e non è Ernesto: ma quello con me ce se accosta patà? stupido”. Ancora: “Mi ha accompagnato con la Mario: si... è un corrotto papà... macchina, nà pezza de piede, in ufficio... con Ernesto: ma lo sà chi sò? l'autista, con la Delta veramente”. Mario: ti conosce benissimo... Ernesto: diventamo miliardari... se quello c'ha “Cacciano via pure er Papa, tu ti immagini una mossa per questi prelati... cose... (...) entrare nella sicurezza” Ernesto: ma io faccio il pensionato... te stò dietro Il fascino del potere colpisce anche il padre. soltanto per quello che pò esse... “Bella la Delta eh?”, chiede ErMario: lui... abbastanza mitonesto. “A me .. dovevi vedè comane, pur essendo un Colonme ce stavo dietro”. Il padre: nello, è mitomane... “Te lo stò a dì a mejo machina”. Il Paolo di cui parlano è stato Mario: “Ce credo ce credo... individuato dagli inquirenti in perchè davanti c'avevamo tutta Paolo Oliverio, faccendiere vila radio... e cose... i lampegcino ad ambienti religiosi, che gianti... m'hanno portato sotto vanta legami con servizi segreti l’ufficio me sentivo stò cazzo”. e Finanza. Oliverio è finito in “Mamma mia... cacciano via carcere a novembre 2013 per la pure er Papa... tu t'immagini truffa all'Ordine dei Camilliaentri a far parte da sicurezza ar ni. Nonostante l'impegno proVaticano... Mario: lui diventa fuso però Mario non riuscirà a er capo della sicurezza, è come entrare in Vaticano e sopratquello là... tutto non comprerà la tanto deCON IL CARDINALE siderata “Maserati quattro Ernesto: eh quello che hanno intervistato porte”, continuando a girare L’incontro con Mario: si ma quello è robba de sulla sua intercettata Fiat 500. guardie svizzere... Comastri: “Andiamo Ernesto: quello sà tutti i segreti da don Angelo”. sà Mario: quello è un paraculo... E il tentativo quello è un matto... visto che faccia dà schizzato serio di farsi assumere Ernesto: così ti stavo dicendo, dalla gendarmeria stavo pensando... dann'amme- 6 ROMANZO CRIMINALE MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014 B uzzi al “Nero”: ”Grillo è riuscito “IL PROBLEMA è che non ci stiamo più noi... una cosa incredibile... Grillo è riuscito a distruggere il Pd”. Finché nella stanza dei bottoni c’erano la destra di Gianni Alemanno o il Pd andava bene, ma poi gli uomini di Mafia Capitale hanno avuto un problema: Beppe a distruggere il Pd” Grillo. Il capo delle cooperative rosse di assistenza Salvatore Buzzi, ora in carcere, parlava con Massimo Carminati della nomina di Giovanni Fiscon a direttore generale della municipalizzata romana per l’ambiente, Ama SpA. Un uomo “nostro” è stato definito Fiscon, da Buzzi, in alcune intercettazioni. “Venerdi stava da Alemanno...”, chiede Carminati a Buzzi, che gli risponde: “Stavo da Berlusconi, venerdì”. “Da Berlusconi il cantante...” scherza Carminati. E aggiunge: Sei contento de Fiscon, si?”. “Sì, ammazza”, ri- Odevaine, Letta, i prefetti e quel caffè per i rifugiati A volte ritornano. Il Fatto Quotidiano ha aperto le sue pubblicazioni il 23 settembre del 2009 con la notizia tabù (“Letta indagato da 10 mesi e nessuno lo scrive”) dell’indagine del pm Henry John Woodcock sulle manovre della galassia di società che gravitavano intorno alla Cooperativa La Cascina, vicina a Comunione e Liberazione, per aggiudicarsi la gestione dei Cara, i centri di assistenza per i richiedenti asilo. I protagonisti di quelle indagini furono prosciolti poi da ogni accusa e oggi ritornano negli atti dell’inchiesta Mafia Capitale, anche se non sono indagati. L’allora sottosegretario Gianni Letta viene contattato per superare la resistenza del prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro all’ampliamento del Cara di Castelnuovo di Porto (Roma) mediante l’affitto di alcuni immobili, di interesse della “Cupola” diretta da Salvatore Buzzi. Il 18 marzo scorso i carabinieri del Ros pedinano e fotografano il ras della cooperativa rossa “29 giugno” Buzzi , con il fido Carlo Maria Guarany, mentre entrano nel palazzo di Largo del Nazareno dove si trova l’ufficio di Gianni Letta. APPENA USCITI chiamano il loro uomo, Luca Odevaine, ex vicecapo di gabinetto di Walter Veltroni al Comune di Roma, poi nominato capo della polizia provinciale, partecipante al Tavolo di coordinamento nazionale insediato al ministero dell’Interno dove si decide la destinazione degli immigrati: “Il pilastro portante” dell’attività economica di Buzzi e compagni, secondo il Ros. Appena uscito dall’incontro con Letta Buzzi dice a Mario Il Cara “Residence degli Aranci” a Mineo, Catania LaPresse Luca Odevaine Ansa Schina, che risponde al telefono di Odevaine: “Mi ha mandato dal prefetto... alle sei vedo il prefetto di Roma!”. Anche l’ingresso in Prefettura è filmato dal Ros. Appena uscito Buzzi racconta l’effetto-Letta al suo “pilastro” Luca Odevaine: “È andata molto bene (...) m’ha detto: ‘basta che il sindaco me dice di sì io non c’ho il minimo problema, anzi la cosa è interessante, lasciatemi tutto’ allora già abbiamo ricontattato”. Odevaine chiede: “Gli hai detto che, che anche la Scotto Lavinia (il prefetto Rosetta Scotto Lavinia, direttore servizi per l’immigrazione, ndr) LA SOLUZIONE L’indagato offrì alla coop bianca di pagare un prezzo gonfiato sull’acquisto in Costarica: “Così te rimangono i soldi” era stata già informata?”. Buzzi replica: “Sì, non c’è stato nemmeno bisogno perché lui ha sposato subito il problema perché ne era già informato però vuole il consenso del sindaco (di Castelnuovo di Porto, ndr)”. Il prefetto Pecoraro nei giorni scorsi, anche per evitare polemiche sul suo ruolo delicato sull’accesso agli atti e l’eventuale scioglimento, ha precisato che poi non se ne fece più nulla. Anche il prefetto Mario Morcone (recentemente tornato a capo del dipartimento immigrazione dopo essere stato all’Agenzia dei beni confiscati e candidato sindaco di Napoli) è citato nelle intercettazioni. Conversando con Mario Schina, consigliere della cooperativa Il percorso, a lui vicina, Odevaine il 18 giugno 2014 parla a ruota libera di Morcone. Sono affermazioni non riscontrate che provano solo la spregiudicatezza di Odevaine: “Le cose gliele posso dire proprio ... non dico ... ma quasi insomma, però adesso stava ... me stava venendo in mente tant’è che anche oggi cioè m’ha chiesto dice ‘ah, ma mio figlio si sta laureando, non so in che cosa’ dice ‘mi piacerebbe fargli fare uno stage’, dico ‘guarda te lo prendo io in Fondazione’, dico ‘Mario ... figurati sai...’, io posso pure a un certo punto che ne so dirgli a Mario - ecco pure il rapporto che c’è - Mario, famme la cortesia prendimi al centro le 70 persone a Tivoli che io ... però devo licenzia’ due persone e le metto a lavora’ ecco ... su una ... relazione con lui io posso, posso anche dirgli un cosa del genere”. Infine La Cascina: “Nel corso di una riunione con il dipendente Gerardo Addeo l’indagato Odevaine, dopo aver verificato la possibilità di effettuare delle movimentazioni di carattere economico, disponendo delle cooperative satelliti Abitus e Il Percorso, gli illustrava le diverse soluzioni da attuare al fine di poter acquisire, senza lasciarne traccia, il denaro frutto dei compensi operativi con i diversi partners con i quali operava nell'ambito della gestione dell'emergenza migratoria sull'intero territorio nazionale”. Odevaine raccontava di avere parlato con il consigliere della Cooperativa La Cascina Salvatore Melolascina, già arrestato nel 2003, indagato nel 2009 di Woodcock e sempre prosciolto. E dunque timoroso di finire in nuovi guai. “Dice: ‘Luca io però lo dico per E ora l’Elefantino “ripudia” Fiandaca D iceva a La Stampa il professor Giovanni Fiandaca che “Mafia capitale può rientrare tra le organizzazioni criminali che operano con metodo mafioso”, insomma l’inchiesta romana può reggere anche per “la preparazione tecnica e la prudenza del procuratore Pignatone”, aggiungeva il penalista, coautore di un fortunato manuale su cui hanno sgobbato generazioni di studenti di Legge. L’intervista non è piaciuta a Giuliano Ferrara, che da mesi esalta Fiandaca per il libro scritto con Salvatore Lupo contro il processo sulla trattativa Stato-mafia (La mafia non ha vinto - Il labirinto della trattativa, Laterza 2014). La “strana intervista del prof. Fiandaca” era ieri il bersaglio di un editoriale del Foglio. Un po’ perché gli piace fare il bastian contrario, un po’ perché uno spazio deve pur ritagliarselo quando anche il Giornale e Libero “cavalcano” l’inchiesta romana, Ferrara sostiene che Mafia Capitale sia “una evidente montatura che origlia la Corleone dei cravattari e la spaccia per ‘cupola della mafia’”. E la “stima troppo diffusa” per il “moderato” ed “equilibrato” procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, gli dà l’orticaria. Orfano di Fiandaca, Ferrara è un po’ più solo. Ma gli va bene così. tutti ma lo dico a te ... tu sei almeno sicuro, tranquillo’, dice, ‘perchè a me m'hanno arrestato lui è stato arrestato a suo tempo nella vicenda Cascina - ‘c'avevo il telefono sotto controllo e quant'altro è stato un problema che sono stato accusato di essere di fatto l'amministratore’”. Allora Odevaine racconta di averlo rassicurato: “per cui ... io gli ho detto: guarda ... troviamo un altro sistema (...) per cui avremmo trovato appunto due ... possibilità: una. .. su lavori edili, perchè loro hanno milioni di lavori all'anno ... per ristrutturazioni dobbiamo ... (incomprensibile) una ... società di fiducia ...”. Poi, prosegue il ROS, Odevaine entra nel dettaglio: “gli affidiamo dei lavori. .. sia sulla parte di progetto che sulla parte dei lavori realizzati ti paghiamo in più ... la cifra che ... ti dobbiamo riconoscere e poi ... tu te la ... te la fai dare in contanti in qualche modo’. Al riguardo Odevaine dice di avere già parlato con il padre di Daniele Pulcini, un costruttore legato al giro e interessato a entrare nel settore dell’emergenza: “mese per mese Alemanno, rogatoria in Argentina LA PROCURA SI RIVOLGERÀ A BUENOS AIRES PER CHIARIRE L’INTERCETTAZIONE SUI SOLDI DELL’EX SINDACO di Valeria Pacelli a Procura di Roma inoltrerà una rogatoria in L Argentina per verificare la fondatezza di quanto riferito dall’ex vice capo di gabinetto di Veltroni, Luca Odevaine, che intercettato racconta di una presunta esportazione di denaro in Argentina da parte di Gianni Alemanno. L’ex sindaco di Roma ha già smentito: “Si tratta di una millanteria totalmente infondata – ha detto domenica –. Non ho portato mai soldi all’estero, tantomeno in Argentina. Ci sono stato per pochi giorni con la mia famiglia e un gruppo di amici a capodanno 2011 per andare a vedere i ghiacciai della Patagonia”. La Procura – secondo indiscrezioni – è intenzionata a fare chiarezza su questo aspetto e la faccenda non sembra essere ancora chiusa. La vicenda viene fuori dopo che le cimici della Procura registrano una conversazione avvenuta negli uffici della Fondazione Integrazione tra Luca Odevaine, Mario Schina (ex responsabile del Decoro urbano del Comune di Roma) e Sandro Coltellacci (dirigente di una cooperativa). È IL 31 GENNAIO SCORSO e Odevaine, riferendosi ad una persona che avrebbe litigato con Alemanno, dice: “Abita qua, dentro a ’sto palazzo che fijo de ’na mignotta... ha litigato con Alemanno. Per soldi se so’ scannati... ma sai che Alemanno si è portato via... ha fatto quattro viaggi... lui ed il figlio con le valigie piene di soldi in Argentina... se sponde Buzzi. “Bono, eh?”, insiste Carminati. “Er problema è un altro”, conclude Buzzi. “È che non ce stanno più noi se mo’ ... (inc). .. una cosa incredibile. Grillo è riuscito a distruggere il Pd”. E questo, per la presunta associazione mafiosa, non andava affatto bene. IL PROF SUL “FOGLIO” L’EX CAPO DI GABINETTO DI VELTRONI MOBILITÒ L’ALLORA SOTTOSEGRETARIO PER POTENZIARE UN CENTRO. E PROGETTAVA AFFARI CON LA CASCINA (CL) di Marco Lillo il Fatto Quotidiano so’ portati... con le valigie piene de contanti... ma te sembra normale che un sindaco..”. La conversa- zione riprende poco dopo: “Me l’ha detto la Polaria”, dice Odevaine. E Mario Schina chiede: “E nessuno lo ha controllato?”. E Odevaine risponde: “No è passato al varco riservato”. Poi agLA DIFESA giunge altri dettagli: “A un certo punto deve essere successo un “È una millanteria casino, perché ad Alemanno gli totalmente infondata, hanno fatto un furto a casa... Cercavano qualche pezzo de mai portato denari carta... credo che hanno litigato perché lui ha pensato che ce li ha in Sudamerica. Andai mandati questo”. Sulla vicenda ci sono già stati i primi riscontri a vedere i ghiacciai dei carabinieri del Ros i quali della Patagonia” cercano di capire chi sia la per- ... loro ce li ce li trasferiscono sul conto come se avessimo ... fatto, io ho parlato già con Tonino Pulcini”. L'indagato - prosegue il ROS - chiosava sull'argomento accennando ad una seconda soluzione, ovvero "l'altra strada ... è ... appunto il ... caffè ...... inc ... caffè ... per cui se tu ... ci trovi il caffè ... qui da comprare ... in Costa Rica. .. loro lo comprano in Honduras, in Costa Rica e ... noi te lo compriamo a te il caffè e te lo paghiamo più di quello che ... che sarebbe il prezzo e ti rimangono i soldi eh ... allora io... .. . inc... ecco, per tutta la questione... la parte diciamo così di attività internazionale ... inc ... direttamente lì in Costa Rica e così ... ", illustrando contestualmente quale fosse di fatto il volano economico che alimentava i suoi investimenti in Sudamerica”. Non basta. In un’altra intercettazione Odevaine dice: “però ragionando con Salvatore Menolascina alla fine ci siamo fatti un pò di conti e lui m'ha detto ‘guarda,con la Cascina insomma con lui personalmente; possiamo comprare un pastificio”. NEI GUAI L’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno Ansa sona, “domiciliata in via Poliziano, dove ha sede la Fondazione Integrazione, che avrebbe avuto un litigio con Alemanno per motivi attinenti un presunto trasferimento all’estero di valuta”. Gli agenti hanno fatto le verifiche presso l’anagrafe del Comune di Roma, chiedendo l’elenco delle persone che abitavano in quel palazzo. E concludono: “È stata effettuata anche una ricerca su fonti aperte sui residenti sopra elencati, con l’obiettivo di individuare notizie che potessero evidenziare un rapporto con Alemanno, ma non sono emersi indizi utili per poter dare riscontro o effettuare altri approfondimenti”. Se si tratti di una millanteria lo stabilirà la procura di Roma. SENZA DIRITTI il Fatto Quotidiano Sfuggono empre più italiani all’estero Da noi meno stranieri di Salvatore G Cannavò li elementi oscuri del Jobs Act spuntano come funghi. Come quello denunciato dalla Uil alla voce “licenziare conviene”. Ma si potrebbe proseguire con i vizi già denunciati dal professor Francesco Giavazzi sulla mobilità negata nel mondo del lavoro. Oppure sulle disparità che si verranno a creare tra lavoratori impiegati nelle stesse mansioni e nello stesso posto di lavoro ma con contratti diversi. Più tagli occupati, più soldi incameri Il risvolto conveniente del licenziamento era deducibile già a una prima lettura del Jobs Act. La Uil, però, si è incaricata di quantificarlo mettendo a confronto gli sgravi da nuove assunzioni per le imprese con le ipotesi di indennizzi che potranno essere erogati a fronte di un licenziamento economico. Questo, prima del Jobs Act, se ritenuto illegittimo da un giudice, prevedeva il reintegro, sia pure rivisto dalla legge Fornero; ora, le nuove norme prevedono un indennizzo “certo e crescente”. Di quanto? Le stime ruotano attorno a una mensilità e mezzo per anno lavorato. Secondo il sindacato diretto da Carmelo Barbagallo la differenza tra il costo del licenziamento e il guadagno dello sgravio contributivo oscillerebbe tra 2.800 e più di 5.000 euro per ogni lavoratore. Licenziare un lavoratore, quindi, sia pure ingiustamente, per assumerne un altro potrebbe convenire E anche molto. Una falla evidente che può essere risolta in due soli modi: prevedere una norma che vieti alle imprese di assumere in presenza di un licenziamento ingiustificato oppure alzando NON HANNO PIÙ la valigia di cartone, ma gli italiani emigrano di nuovo. L’anno scorso in 82.000 se ne sono andati a vivere all’estero, il numero più alto degli ultimi dieci anni, in crescita del 20,7% rispetto al 2012. A fotografare il fenomeno è l’Istat nel suo ultimo report dedicato a Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente (anno 2013). L’indagine MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014 rivela pure che l’Italia ha perso appeal anche per gli immigrati: non solo nel 2013 gli arrivi dall’estero sono stati il 12,3% in meno rispetto all’anno precedente, ma il numero di stranieri che lasciano l’Italia è in aumento rispetto all’anno precedente (+14,2%). Sebbene in calo rispetto agli anni precedenti, l’Italia rimane, tuttavia, meta di consistenti flussi migratori 7 dall’estero: la comunità straniera più rappresentata è quella rumena che conta 58 mila iscrizioni. Seguono il Marocco (20 mila), la Cina (17 mila) e l’Ucraina (13 mila). Nel 2013 ben 13 mila laureati sono andati a cercare fortuna oltre confine. Meta preferita il Regno Unito (3.300 individui). A seguire Svizzera (2.400), Germania (2.000) e Francia (1.600). INCONGRUENZE Lavoro, un pasticcio chiamato Jobs Act: licenziare conviene CON LA NUOVA LEGGE, CHE CANCELLA L’ARTICOLO 18, L’IMPRENDITORE CHE CACCIA PER RIASSUMERE CI GUADAGNA gli indennizzi a un livello non più conveniente. La decisione del Pd al Senato di presentare una norma contro “i licenziamenti facili” (vedi articolo in basso) fa pensare che il problema ha più di un fondamento. recupererà alcuna mobilità e chi ha un posto di lavoro farà di tutto per non perderlo senza avventurarsi in territori sconosciuti. I tentativi di replicare alle osservazioni di Giavazzi da parte del senatore Pietro Ichino – relatore del provvedimento in seconda lettura al Senato – non hanno risposto al cuore della domanda, lasciando irrisolto il problema. Tutti meno uguali: chi è garantito, chi no Così come rimane irrisolto quanto sollevato più volte dalla Cgil, la disparità di condizioni tra lavoratori impiegati nelle stesse mansioni. Secondo l’articolo 3 della Costituzione, infatti, “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e ART. 3 TUTTI Fermi sul posto, l’eddio alla mobilità Così come resta irrisolto il problema evidenziato sulle pagine del Corriere della Sera dal professor Giavazzi, il quale scrive: “Il rischio maggiore è il UGUALI 5EURO .00DI0 sono uguali davanti alla legge”. Un lavoratore assunto dal momento in cui il Jobs Act sarà in vigore, però, non godrà degli stessi diritti di uno che è stato assunto prima. E questo, nonostante abbia lo stesso contratto, a tempo indeterminato e sia impiegato nella stessa condizione. Fonti della Cgil hanno più volte ribadito che potrebbe essere proprio questo l’appiglio per ricorrere in sede europea contro la legge-simbolo del governo Renzi. La stessa Cgil ha scandito una serie di “domande e risposte” sul provvedimento a cura di Corrado Ezio Barachetti che si BENEFICI blocco della mobilità”. “È improbabile – afferma – che un lavoratore oggi tutelato dall’articolo 18 decida di spostarsi, firmando un nuovo contratto che invece non lo prevede. Alcuni lo faranno perché non temono il licenziamento, ma altrettanti non ne vorranno sapere”. Non si occupa di contrattazione nazionale. Il dirigente sindacale fa notare alcuni punti incongruenti della norma di legge. Matteo Renzi ha sbandierato più volte l’abolizione dei co.co.pro, ma il testo parla solo di “superamento”. “Richiami che non possono essere scambiati con la sua abolizione, così come la semplice individuazione delle forme contrattuali esistenti, in ragione di una loro semplificazione, non può valere un reale disboscamento in favore di poche forme contrattuali”. Al di là di quello che si pensa sul demansionamento – e su queste pagine abbiamo già spiegato ampiamente come cambia, in peggio, la normativa – il provvedimento, fa notare la Cgil, punta a “un’azione unilaterale del governo” visto che la nuova regolarizzazione “può” e non “deve” definirsi in sede di contrattazione collettiva anche di secondo livello. Secondo il presidente del Consiglio, poi, il contratto a tutele crescenti diventerà la norma dei rapporti di lavoro ma nel provvedimento non si parla mai di abolire i contratti a termine acausali, quelli che prevedono fino a cinque rinnovi in 36 mesi senza specificazione della causale: come si può ritenere che agli imprenditori convenga di più quello a tutele crescenti, si chiede Barachetti? Infine, per i licenziamenti economici si definisce un indennizzo “certo e crescente”. Vuol dire, quindi, che verrà esclusa “l'attuale discrezionalità del giudice nello stabilire il giusto compenso”? Oppure il “certo” “sarà puntualmente declinato nei suoi valori? Quali?”. Le domande sono più delle risposte. Così come i pasticci di una legge che non è ancora legge. Una manifestazione per il lavoro Ansa RITARDO DOPO L’ALTRO Poletti: operativi fra tre mesi icenziamenti troppo facili. Decreti attuativi rinviati nel tempo. Il cammino del L Jobs Act è fatto di ostacoli e colpi di scena che dovranno stabilire moltissimi aspetti lasciati in sospeso dalla legge-delega. Tra cui proprio la questione dell’indennizzo. Riferendosi alle si susseguono a ritmo crescente. cifre rese note dalla Uil (vedi articolo sopra), il Prendiamo il caso dei decreti attuativi. Matteo responsabile economico del Pd, Filippo TadRenzi aveva assicurato con grande enfasi che dei, le definisce improbabili, anzi “un po’ bassarebbero stati pronti entro il mese di dicem- sine”. Lasciando quindi immaginare un inbre in modo da far divenire operative le norme tervento in tal senso nei decreti attuativi (la già dal prossimo gennaio. Anche in questo scrittura di questi testi sarà molto laboriosa) caso il premier ha peccato di ottimismo, o di La denuncia della Uil, in ogni caso, non ha presunzione. Ieri il ministro del Lavoro, Giu- mancato di provocare una discussione all’inliano Poletti, infatti, ha assicurato che i decreti terno del Pd. Il presidente della commissione non saranno pronti “prima di tre mesi”. “In Lavoro alla Camera, Cesare Damiano, si è riotto mesi - ha affermato - abbiamo approvato ferito al problema in questo modo: “L’indenuna delega che riguarda tutte le tematiche del nizzo in caso di licenziamento per le nuove lavoro e abbiamo preso l’impegno di fare en- assunzioni con il contratto a tutele crescenti tro tre mesi tutti i decreti atspiega - deve essere superiore tuativi. Nessuno in passato ci allo sgravio contributivo, alaveva mai pensato, noi lo abtrimenti si potrebbero geneBRUTTE FIGURE biamo fatto”. Resta il problerare atteggiamenti opportuma di una tempistica che vieda parte di alcune imIl premier aveva assicurato nistici ne disattesa anche se, ancora prese. Ci auguriamo che il laieri, presente a Milano voro di correzione in atto al che i provvedimenti all’Univesità Bocconi, la preSenato tocchi questi temi olsarebbero stati pronti sidente del Fmi, Christine Latre a quello dell’aggiunta di almeno 400 milioni di euro per garde non ha mancato di esientro l’anno. Il ministro fa gli ammortizzatori sociali e bire i proprio appoggio alla del blocco dell’aumento dei nuova legge sul mercato del retromarcia: per i decreti lavoro. contributi previdenziali per le ci vuole tempo Partite Iva autentiche”. L’ipoI decreti sono decisivi perché tesi di un emendamento del Pd in tal senso sembrava prendesse corpo in serata al Senato ma, raggiunta dal Fatto, la capogruppo democratica in Commissione Lavoro, Annamaria Parente, ha smentito un intervento di tale misura. E lo stesso Filippo Taddei si è detto Il premier Matteo convinto che non possa esRenzi LaPresse serci un nesso tra la legge di Stabilità e il Jobs Act, anche perché quest’ultima “non è ancora legge definitiva”. In questo dibattito fatto di ritocchi normativi e di posizionamenti tattici punta a inserirsi nel modo migliore il sindacato. Per lo meno Cgil e Uil che ieri hanno presentato, in una conferenza stampa congiunta (anche questa una novità) le ragioni dello sciopero generale del 12 dicembre. “Così non va!” sarà il titolo della giornata che si articolerà in tutta Italia con 54 manifestazioni, 10 regionali, 5 interprovinciali e 39 territoriali. L’obiettivo hanno spiegato Susanna Camusso e Carmelo Barbagallo “è cambiare le politiche del governo” sia sul lato del Jobs Act che su quello della legge di Stabilità. sal. can. ANTITRUST Maxi multa per spot contro le banche Antitrust ha multato “Sdl CenL’ tro Studi”, con una sanzione di 100.000 euro, per una pubblicità in- gannevole/comparativa illecita che pubblicizzava la soluzione dei problemi per i correntisti che hanno rapporti con le banche. Iniziativa che riceve il plauso dell’Adusbef che aveva denunciato il 4 aprile 2014 ad alcune Procure e all’Antitrust. Sdl, si reclamizza come: "Una realtà capace di fornire supporto ad aziende e famiglie, attraverso una metodologia che comprende una prima fase, dedicata a predisporre check-up gratuiti su tutti i suoi prodotti/servizi offerti, al fine di ripristinare la correttezza dei rapporti tra il sistema finanziario/bancario e imprese e famiglie". L’Adusbef rileva come "Sdl promette check - up gratuiti su tutti i suoi servizi che sono invece a pagamento con costi minimi di 1.575 euro, oltre al 25% del valore che riesce a recuperare nei confronti delle banche . 8 EUROPROBLEMI MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014 Icontinua l surplus tedesco a salire: a ottobre 20 miliardi LOCOMOTIVA tedesca? A stare ai dati - scoperti anche dal governo italiano dopo le recenti risposte dei sottosegretari Delrio e Gozi alla Merkel - più che altro l’ultimo e il più pesante dei vagoni da portarsi dietro. La bilancia commerciale tedesca, infatti, mostra per l’Unione persino dati peggiori del mese precedente: il surplus commerciale è infatti salito a 20,6 miliardi di euro dai 18,6 miliardi di settembre. Questo risultato - che secondo palazzo Chigi sta uccidendo l’Europa (e anche secondo la Commissione, anche se ancora non ha avviato la relativa procedura d’infrazione) - è stato realizzato, nonostante un calo delle esportazioni dello 0,5%, “grazie” al crollo delle importazioni, scese a ottobre addirittura del 3,1% dopo il +5,2% del mese prima. Se Berlino accumula crediti con l’estero, invece, la La Grecia torna nel caos Ue e mercati temono il voto PIL A PICCO, DISOCCUPATI AL 26%, MA PER LA TROIKA IL PROBLEMA È SE VINCE TSIPRAS di Marco Palombi L a realtà ha il vizio di sbucare fuori nel racconto pubblico quando meno te lo aspetti. Erano ancora nell’aria i peana di quelli che la Grecia era uscita dalla crisi, che la medicina magari è amara - e il dottore tedesco non troppo simpatico ma fa tanto bene e invece tra manifestazioni di piazza, sondaggi e questo spiacevole fatto che certe volte è necessario fare le elezioni il banco è saltato un’altra volta: governo in bilico, investitori in subbuglio, nuvole sull’Italia. E, ovviamente, Borse europee a picco: Atene ieri ha lasciato sul terreno il 12,78% (il peggior ribasso da 27 anni), Milano il 2,81%, Madrid il 3,79%, Londra il 2,14%, Francoforte il 2,21%, Parigi il 2,55%. A fine giornata s’erano volatilizzati quasi 220 miliardi. PER CAPIRE cosa succede oc- corre andare per gradi. La Grecia - che negli anni della Troika ha perso un quarto del Pil rispet- to al 2007 e ha una disoccupazione sopra il 26% - quest’anno dovrebbe crescere di un misero 0,6% (ma l’anno prossimo, promettono a Bruxelles, si ritorna a galoppare). I greci non sembrano convinti che la medicina gli abbia fatto bene e nei sondaggi premiano i partiti anti-Troika: in particolare Syriza, partito di sinistra guidato da Alexis Tsipras, risulta primo nei sondaggi. Lo è da tempo, ma oggi il dato spaventa i creditori visto che le elezioni anticipate sono assai probabili: se il 17 dicembre non -2IL,TONFO 81% DI MILANO LaPresse si riuscirà ad eleggere il nuovo presidente della Repubblica (l’uscente è Karolos Papoulias), la legge greca prevede che si tengano le elezioni politiche. E qui la tolleranza per la democrazia di istituzioni internazionali (Bce, Unione europea e Fmi, che in trio fanno la Troika) e mercati si ferma: i greci non possono e non devono votare Syriza. La sinistra greca (che, comunque la si pensi in proposito, non è affatto anti-euro come scrivono i giornali italiani) ha in programma l’uscita immediata dall’ombrello della Troika, la denuncia del Fiscal Compact e una conferenza europea per tagliare il debito dei paesi in crisi. Roba largamente irrealizzabile, forse persino velleitaria, ma che basta a mandare fuori di testa chi sulla crisi greca continua a guardagnare. Joerg Sponer, per dire, analista di Capital Group (uno dei più grandi fondi d’investimento del mondo), è stato uno degli invitati al meeting londinese in cui Syriza - un paio di settimane fa ha esposto il suo programma alla City. La sua reazione è affidata a un appunto riservato svelato dal Financial Times lunedì: sarebbe “peggio del comunismo”, “un caos totale”. Segue pacata dichiarazione: “Tutti siamo usciti da lì volendo vendere tutto quel che abbiamo in Grecia”. IERI, quando è diventato probabile che il premier Antonis Samaras non riuscirà a trovare i 180 voti (su trecento) necessari a eleggere il nuovo capo dello Stato s’è scatenato l’inferno o meglio l’incubo “comunismo” di quelli che da capitali lontane fanno soldi coi soldi ad Atene. Che le speranze siano poche, d’altronde, lo testimonia lo stesso candidato di Samaras e del partito Nea Dimokratia: Stavros Dimas, un tecnocrate senza appeal il cui picco curriculare è l’esperienza da commissario Ue all’Ambiente (cosa che in Grecia non è necessariamente un vantaggio presso l’opione pubblica). Il commissario europeo agli Affari economici, Pierre Moscovici, ha tentato di minimizzare: “Samaras sa dove sta andando, il Fatto Quotidiano Francia si conferma un paese che si sta mettendo sempre più nei guai in termini di debito con l’estero: la bilancia commerciale di Parigi a ottobre si chiude con un deficit di 4,6 miliardi (rispetto ai 4,7 miliardi di settembre): a fine anno dovrebbe comunque superare i 50 miliardi. Difficile per Parigi mantenere a lungo un ruolo di rilievo se i suoi debiti con gli altri paesi, Germania in testa, continua ad aumentare. ITALICUM Il Pd propone liste bloccate (a metà) iter della legge elettorale riparte in Senato. L’ Ieri la senatrice del Pd, Anna Finocchiaro, ha presentato in commissione Affari costituzionali gli emendamenti all’Italicum, di cui è relatrice. Tra le proposte - anticipate a palazzo Chigi dopo un vertice tra le forze che sostengono il governo - c’è l’innalzamento del premio di maggioranza al 40%, anzichè al 37, da applicare solo alla lista (spariscono le coalizioni). Un’altra modifica importante riguarda la soglia di sbarramento, abbassata al 3%, per far contenti i piccoli partiti. Infine per l’elezione della Camera (il Senato dovrebbe essere abolito) si crea un sistema misto: un po’ liste bloccate e un po’ no. Nei cento collegi plurinominali, infatti, il capolista (che può candidarsi in massimo dieci collegi) sarà “bloccato”, per gli altri si possono usare due preferenze con alternanza uomo-donna: in questo modo, però, solo il Pd e - in pochi casi Forza Italia e M5S eleggeranno qualcuno con le preferenze, gli altri se li nomineranno i segretari. CROLLANO LE BORSE Ieri Atene ha chiuso sotto del 12,7%, Milano del 2,8, Londra del 2,2%: bruciati 220 miliardi in Europa. L’uomo di Capital Group: ”Syriza peggio dell’Urss” credo che i mercati dovrebbero sentirsi più sicuri di quanto fossero stamattina”. I mercati, però, che sono testardi almeno quanto la realtà, più che altro hanno tenuto conto del segnale arrivato dall’Eurogruppo lunedì: il patronage della Troika sul governo greco - che potremmo meno elegantemente definire potere di ricatto - è stato prolungato a marzo (Samaras chiedeva di essere liberato a fine anno per potersi giocare la probabile campagna elettorale con le mani libere). La Ue, la Bce e il Fmi, però, amano i governi con le mani libere giusto un po’ più dei popoli con le mani libere, cioè non abbastanza e non hanno intenzione di lasciare Samaras libero di fare una campagna elettorale “clientelare”: il loro compito, d’altronde, è garantire il rientro dei miliardi dati in prestito ad Atene al tasso del 5% e dispari (pudicamente chiamati “aiuti”) e non altro. COME CHE SIA il ballo macabro attorno alla Grecia è ripartito e ovviamente questa è una pessima notizia anche per l’Italia: le tensioni sui mercati possono rapidamente tornare ad essere una tempesta perfetta sul modello di quella dell’estate 2011. A quel punto la battaglia sullo zero virgola intrapresa con la Commissione europea sembrerà quello che è: un esercizio ridicolo. PRIMA CHE SIA TARDI L’azzardo di Samaras per restare vivo di Roberta Zunini a Borsa di Atene è crollata, L subito. Ma il morale di molti a Bruxelles è salito. Eu- roscettici ed europeisti, seppur da prospettive diverse e con finalità divergenti, hanno reagito bene alla decisione del premier greco Samaras. Dopo settimane di indecisione, il primo ministro conservatore greco, ha deciso di anticipare al 17 dicembre il primo round di votazioni per la nomina del nuovo presidente della Repubblica LA SCOMMESSA Il nuovo capo dello Stato va eletto a dicembre: siccome il premier non ha i voti, probabilmente si andrà a elezioni anticipate previsto per metà febbraio. Il vero motivo dell’anticipazione è prima di tutto arrivare a indire nuove elezioni politiche. Se non verrà infatti individuata una maggioranza qualificata di 180 voti su 300, e l’esecutivo di unità nazionale ne ha solo 154, il presidente uscente della Repubblica, Papoulias, sarà costretto a sciogliere il Parlamento e dunque a indire nuove consultazioni. Ma perché se i sondaggi danno in testa col 32% circa dei voti la sinistra radicale di Syriza, Samaras ha deciso di compiere questo passo prima del tempo? “Il governo deve rimuovere le incertezze che sono emerse negli ultimi tempi e ristabilire il più presto possibile la stabilità politica accelerando le elezioni del presidente della Repubblica”, ha risposto Samaras. MA È UNA SPIEGAZIONE che non convince e non chiarisce la situazione che va ovviamente legata alla questione degli ac- Protesta ad Atene Ansa cordi con la Trojka. L’altro giorno i ministri delle Finanze della Ue hanno infatti deciso che la Grecia sarà ancora almeno per due mesi nel programma di salvataggio. Il perché il capo del governo abbia deciso di correre questo rischio è semplice da spiegare per Vassilis Primikiris, membro della segreteria di Syriza: “La risposta di Samaras è fasulla. Lui è stato costretto ad anticipare le elezioni presidenziali non per le incertezze emerse ma perché nella data stabilita non avrebbe comunque trovato i 180 voti (e quindi le elezioni politiche sarebbero state inevitabili) con un bel problema in più però e cioè che a febbraio sarà costretto a procedere con le richieste della Troika di nuovi tagli e innalzamento di tasse a causa del memorandum. Misure che l'opinione pubblica, che alle europee ha scelto Syriza come primo partito, non tollererebbe”. Insomma Samaras si gioca il tutto per tutto ora perché ha ancora una debole chance di scamparla, ma non l’avrebbe più a febbraio. “Qui in Grecia la situazione è tragica, c’è uno scollamento sempre più grande tra il governo e la gente, una trentina di parlamentari la settimana scorsa sono usciti dai partiti di maggioranza: Nea Demokratia e Pasok. E se anche Samaras proponesse per assurdo come presidente della Repubblica il nostro padre nobile, Manolis Clezos, noi non lo voteremmo perché bisogna andare a elezioni anticipate”, conclude Primikiris. Il governo è stato costretto ad ammettere che il piano di salvataggio della Troika non si chiuderà a fine anno, come sperava appunto Samaras per motivi elettorali. La Troika chiede una correzione dei conti di 2,5 miliardi anche il prossimo anno, mentre Atene puntava a uno stop definitivo dell’austerity. In attesa delle ultime tranche dei 240 miliardi di euro di prestiti, la Grecia dovrà restare almeno per la prima metà del 2015 ancora sotto il controllo delle istituzioni internazionali. “Chi voterà per il nuovo presidente voterà per prolungare la politica di rigore che ha portato la disoccupazione al 26%”, ha dichiarato ieri il leader di Syriza, Alexis Tsipras. 10 STORIE D’ITALIA MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014 A ncona, spara a moglie e figlio di 5 anni. Poi si uccide ERA UN APPASSIONATO DI ARMI Daniele Antognoni, il 38enne che ieri mattina alle 11.30 ha ucciso a Numana, in provincia di Ancona, la moglie e il figlio di 5 anni e si è poi suicidato. L’uomo faceva il commerciante, abitava dai genitori e aveva il permesso di detenere armi per uso sportivo. Prima ha telefonato a Paula Andreia Corduneanu, 28enne romena, annunciando il suo arrivo. La donna ha chia- il Fatto Quotidiano mato il 112. Ma i carabinieri sono arrivati tardi. Entrato nell’appartamento l’uomo ha esploso otto colpi contro la moglie e il piccolo di cinque anni, dopodiché si è suicidato. I coniugi non erano ancora separati. Il giorno prima della strage l’uomo aveva scritto su Facebook: “Il bambino è l’unica cosa che mi è rimasta. I figli sono l’unica cosa che conta, il resto è solo qualcosa che non sai se rimarrà o no”. “Loris ucciso con cinismo” Ma la mamma non crolla I PM: LA VERSIONE DELLA DONNA “CONFLIGGE CON I VIDEO”. INTERROGATA HA NEGATO TUTTO. POI È STATA TRASFERITA IN CELLA. LA FOLLA: “ASSASSINA” di Giuseppe Lo Bianco L Ragusa oris aveva otto anni e per la procura la sua mamma lo ha strangolato in casa, forse con fascette da elettricista nei 36 minuti in cui Veronica e suo figlio sarebbero rimasti soli, e poi con una freddezza insospettabile ha caricato il corpo in auto dirigendosi sulla provinciale 35 per poi svoltare a destra “immettendosi nella strada poderale che conduce al Mulino Vecchio”, dov’è stato trovato Andrea, come recita il decreto di fermo per omicidio volontario aggravato e occultamento di cadavere firmato ieri dal procuratore Carmelo Petralia e dall’aggiunto Marco Rota. MA LEI, Veronica Panarello, ne- ga tutto, e alla fine dell’ultimo interrogatorio subito da indagata, ieri, ha ripetuto tra le lacrime: “Io collaboro ma non ho ucciso mio figlio”. Ma i primi a nutrire dubbi sono sua madre e sua sorella: nel pomeriggio del giorno del delitto, quando la sua versione comincia a vacillare, gli investigatori mettono sotto controllo i telefoni dei parenti. E salta fuori questa intercettazione tra la sorella, che ha appena finito di partecipare al sopralluogo al Mulino Vecchio, e la mamma di Veronica. La sorella: “La fontanella, lì è stato trovato il bambino, lo sai come mi sono sentita? (...) Lei ha potuto prendere al contrario con la macchina e andarsene a Donnafugata, mi è caduto il mondo addosso”. La madre: “Noi non abbiamo colpa Linuzza, se questa è alienata”. Ancora la sorella: “No, mamma è per il bambino”. La madre: “Il bambino non c’è più gioia mia”. La sorella: “Buio che era mammà, buio che era (...) il luogo lei lo conosceva, no che dice di non sapere dove era il Mulino”. Conclude la madre: “Si certo, ci veniva sempre lei a prendere l’acqua con me”. E ieri sera, con il marchio d’infamia di una moderna Medea, i pm l’hanno trasferita nel carcere catanese di piazza Lanza dove ad accoglierla c’erano un centinaio di persone che si sono unite ai detenuti in un solo urlo: “Assassina, assassina, devi morire’’. ERA COMINCIATA sabato 29 novembre come una storiaccia di sesso, bugie e videotape nel cuore della provincia operosa del commissario Montalbano, a Santa Croce Camerina, nel sud-est della Sicilia: ma di violenze sessuali nel decreto non c’è traccia e le bugie sono contestate, punto per punto, dall’avvo- fine si arriverà alla verità”. In un’inchiesta fortemente indiziaria che si avvia a diventare molto simile a quella di Cogne restano i videotape, ovvero le immagini raccolte dalle 42 telecamere disseminate per le strade del paese e depurate dai tecnici della scientifica di tutti i “rumori video’’ che consegnano agli investigatori tre scene difficilmente compatibili con le parole di Veronica: 1) quella mattina vicino la scuola nessuno ha LA DIFESA L’avvocato Francesco Villardita: “La mia assistita ha ribadito che i bimbi sono entrati nell’auto e che li ha portati a scuola. Non ha fatto ammissioni” L’INTERCETTAZIONE Dopo il ritrovamento del corpo, la mamma e la sorella di Veronica nutrono dubbi sulla sua versione. “Non abbiamo colpa, questa è alienata” cato Francesco Villardita, difensore della donna, che ora parla di indagini “leggermente frettolose’’, mette in guardia dal creare mostri e si dice “certo che alla visto il bimbo e nemmeno l’auto, che non compare nelle immagini di nessuna telecamera. Su questo punto l’avvocato Villardita ha detto di avere pronti Veronica Panarello dopo il fermo Ansa “alcuni testimoni’’, e tra questi forse anche una vigilessa. 2) le immagini della telecamera del negozio di fronte casa Stival riprendono “la figura riconducibile al bambino di maggiore età” che invece di entrare in auto per andare a scuola tornava “molto velocemente nel ballatoio che conduce al portone d’ingresso” dell’abitazione degli Stival e “spariva introducendosi all’interno dello stabile”. MA L’AVVOCATO sostiene che la figura, ripresa dalla telecamera a oltre 50 metri, è troppo opaca per poter individuare Andrea. 3) Nei sei minuti di buco, secondo l’accusa, Veronica ha raggiunto il Mulino Vecchio, ha scaricato il corpicino nel canalone, ed è tornata indietro, verso casa, dove è rimasta appena tre minuti, prima di dirigersi a Donnafugata. Lei dice di essere andata in quella strada, l’unica con i cassonetti, per gettare l’immondizia. Ora il gip deciderà entro oggi, o al massimo domani, di convalidare o meno il fermo. La procura ha disposto un prelievo del Dna di Veronica per confrontarlo con i reperti eventualmente utili, a partire dalle fascette semibruciate trovate sul luogo del ritrovamento del corpo da un inviato della trasmissione Chi l’ha visto. Non sulle forbici sequestrate a casa della donna: quella era una bufala. CASTIGLIONE DELLE STIVIERE di Antonella Mascali S Sbarre e Arcobaleno: nel carcere delle 70 madri assassine e Veronica Panarello dovesse essere condannata per l’assassinio di suo figlio Loris, 8 anni, e se i giudici dovessero ritenerla, in base a una perizia di esperti, incapace di intendere e di volere e socialmente pericolosa, allora per lei si aprirebbero le porte dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, l’unico ad avere una sezione femminile e l’unico a non essere gestito dalla Polizia penitenziaria. È una struttura della Asl, gestita solo da medici e infermieri, che ha una convenzione con il ministero della Giustizia. Attualmente ospita 70 donne. Sono quattro i reparti: Il cortile esterno dell’ospedale di Castiglione delle Stiviere LaPresse Arcobaleno, che è quello femminile, Virgilio e Aquarius, i reparti maschili e poi c’è un’ “area riabilitativa” e ma è sopravvissuta. O la mamma che ha ucciso il una comunità (mista), all’esterno, in un’area figlio buttandolo dalla finestra. La sezione Arcobaleno si trova al piano terra e ha 4 reparti destinati adiacente alla struttura. a pazienti condannati con diversi gradi di patoNELL’OSPEDALE psichiatrico giudiziario di Ca- logia. Nelle camere, con due o tre letti ci sono arstiglione delle Stiviere tanti i casi di donne che madi con doppia chiave: una per le “ospiti” e una hanno ucciso i propri figli. Come, per esempio, la per gli operatori. In tutte le stanze, con le sbarre ai mamma che si è buttata nel lago con i suoi due figli vetri, c’è un climatizzatore. Le donne con più gravi e uno l’ha fatto affogare. O come un’altra mamma problemi psichici possono stare nelle proprie cache ha ucciso la figlia di 4 anni e poi si è accoltellata, mere dalle 13 alle 15, per il riposo pomeridiano e dalle 19 alle 8 del mattino, per quello notturno. Tutto questo per evitare l’isolamento. Negli spazi comuni c’è la sala da pranzo e la televisione. Nella struttura con parco ci sono anche una piscina e una palestra. Dal 2000 ci sono stati 3 suicidi. Le evasioni sono arrivate anche a 5-6 l’anno. Alla dottoressa Cristina Cofano, psichiatra dell’ospedale di Melzo, abbiamo chiesto se le donne che uccidono i propri figli hanno delle caratteristiche comuni: “Ogni storia è a sé, ma se vogliamo schematizzare, possiamo dividerle in due categorie. Le madri con una patologica immaturità, centrate su se stesse. Non tollerano la presenza del figlio, totalmente dipendente da loro, perché rappresenta un impedimento alla propria realizzazione. A questo proposito mi viene in mente una mamma che voleva fare carriera nel mondo dello spettacolo e ha ucciso il figlio perché lo riteneva un ostacolo. Oppure sono madri profondamente sofferenti, affette da depressione grave. Di solito dopo aver eliminato il figlio si suicidano, o ci provano. Sono le madri che soffrono di ‘delirio di rovina’, non vedono alcuno spiraglio nel mondo e prima di uccidersi, o di provarci, uccidono il figlio per un eccesso d’amore patologico, per difenderlo da una società senza speranza. In famiglia i segnali sono estremamente sottovalutati, queste donne sofferenti, in genere, non vengono mai portate da medici”. DOTTORESSA COFANO, ci sono donne che uc- cidono il proprio figlio e poi lo negano con convinzione. Ma davvero possono aver rimosso? “Si possono commettere dei gesti talmente gravi che la mente dell’omicida si dissocia per proteggersi. In termini semplici, la coscienza si sdoppia”. Il caso di Veronica Panarello se venisse confermato, come lo vede da psichiatra? “Se sarà dimostrata la sua colpevolezza sono tanti gli elementi da appro- fondire. Per esempio maltrattamenti in famiglia, la sua volontà o meno di avere quel figlio a 17 anni, un forte disturbo di personalità. Anche in merito al suo comportamento attuale davanti agli inquirenti non ci sono risposte certe. È innocente? È colpevole ma ha rimosso l’omicidio del figlio? O è in malafede? Ma se non dovesse crollare e dovesse essere colpevole è più probabile che abbia rimosso. Comunque, solo il tempo ci potrà dire che cosa sia accaduto veramente”. SECONDO LA PSICOLOGA Paola Vinciguerra, presidente di Eurodap (Associazione europea disturbi da attacchi di panico), sono tre le spie che devono far scattare l’allarme in famiglia: “Se le persone hanno grossi sbalzi di umore, se sono in alcuni momenti molto nervose, aggressive, intolleranti e in altri momenti estremamente amorevoli e stucchevoli, allora c’è un disagio. Se la persona passa da un eccessivo accudimento e attenzione nei confronti di un figlio a momenti di grande aggressività e intolleranza rispetto anche ad atteggiamenti normali dei bambini, vanno monitorate. Anche una profonda rigidità nei confronti di un figlio nasconde qualcosa di non sano. Secondo indicatore di pericolo: la mitomania. Se notiamo che un nostro familiare racconta cose che noi sappiamo non essere vere e se ha la tendenza a non raccontare le cose in modo aderente alla realtà, allora attenzione. Terzo: il vittimismo e le sensazioni persecutorie o il fanatismo religioso”. 10 DICEMBRE 2014 BUONI PASTO PER TUTTI il FATTO ECONOMICO » Poche grandi aziende si contendono a colpi di ribassi colossali il mercato crescente di ticket restaurant 11 MERCATO VS MAFIE PATRONATI, VIVA I TAGLI » La riduzione dei fondi del governo non è uguale per tutti: più soldi ai maggiori sindacati, nulla ai piccoli » Il primo passo per sconfiggere la criminalità organizzata è prosciugare il suo brodo di coltura All’interno BANKITALIA DISTRATTA A Trieste e in Friuli bruciati da due cooperative 130 milioni di risparmi. I supermercati raccolgono e impiegano 11 miliardi contro ogni regola IL MIRACOLO COOP: LA GRANDE BANCA ALL’INSAPUTA DELLA VIGILANZA di Giorgio Meletti A lla Banca d'Italia devono essere un po’ distratti. Ci sono circa 11 miliardi di risparmi degli italiani depositati presso i supermercati a marchio Coop e gli occhiuti vigilantes del governatore Ignazio Visco nemmeno lo sanno. O fingono di non saperlo. La storia della banca sommersa di nome Coop è una utile chiave di lettura per lo scandalo Mafia Capitale. L’ormai celebre foto dell’attuale ministro del Lavoro e allora presidente di Legacoop Giuliano Poletti con il ras della cooperativa 29 giugno Salvatore Buzzi non segnala indicibili complicità o silenzi ma una realtà alla luce del sole: alle cooperative, bianche, rosse o nere, tutto è permesso. E secondo una retorica ben rodata chi le critica è un nemico del popolo, anche quando al popolo fanno sparire i risparmi. Il problema della banca clandestina è stato sollevato dal Fatto un anno fa. Se uno porta i suoi soldi in banca, in caso di crac dell'istituto prescelto il suo deposito è garantito dal Fondo interbancario di garanzia. Se uno porta i soldi alla Coop, invece, non c’è nessuna garanzia. Enrico Migliavacca , vicepresidente dell'Associazione delle cooperative di consumo, scrisse al Fatto: “È falso affermare che siano a rischio 10 miliardi di risparmi delle famiglie”. I fatti hanno smentito tanto ottimismo. A Trieste la Cooperative Operaie ha fatto crac al termine di un'acrobatica agonia su cui sta facendo luce la magistratura, e si sono volatilizzati 103 milioni di risparmi di 17 mila risparmiatori. Subito dopo, in Friuli, è saltata la CoopCa, la cooperativa della Carnia. Altri 30 milioni di risparmi. È un mondo a due velocità. I clienti della Tercas, la Cassa di risparmio di Teramo commissariata dalla Banca d'Italia e il cui direttore generale, accusato del crac, è imputato di associazione a delinquere, non hanno perso un euro. I clienti delle Coop, invece, con il crac rischiano di perdere tutto. COM'È POSSIBILE? Basta chiamarsi cooperativa, come insegna il maestro Buzzi. Nella citata missiva Migliavacca affermava con nettezza: “Coop non è una banca”. Infatti la raccolta del risparmio che organizza in ogni suo punto vendita (11 miliardi di euro, circa dieci volte la raccolta della Tercas) si chiama “prestito soci”. Il Fatto ha posto alla Banca d’Italia la seguente domanda: “Esiste una forma di vigilanza sul cosiddetto “prestito soci” delle cooperative?”. La risposta è stata: “No. In base alla legge, la Banca d’Italia è competente per la vigilanza sulle banche”. Una seconda, più stringente, domanda (“Un’attività definita di ‘gestione della liquidità dei soci’ può essere svolta da una cooperativa?”), ha ricevuto una risposta più stupefacente della prima: “In assenza di dettagli sulle specifiche caratteristiche dell’attività di ‘gestione della liquidità dei soci’, non è possibile affermare se essa rientri o meno tra le attività riservate agli ricerca su Internet. Lo stesso Migliavacca di “la Coop non è una banca” scrive nel “Decimo rapporto delle cooperative dei consumatori”: “Il prestito sociale è una forma di deposito a vista immediatamente liquidabile”. A vista. E continua: “I soci prestatori possono utilizzare la carta SocioCoop per prelevare contante dal proprio libretto di risparmio e trasferire denaro sul proprio conto corrente bancario. Inoltre (...) i soci prestatori possono utilizzare la carta SocioCoop come strumento di pagamento della spesa e per il prelievo di contante alle casse dei punti di vendita”. C'È ANCHE IL BANCOMAT. Un milione 218 mila italiani hanno portato i loro risparmi alla Coop, cui hanno consegnato mediamente 9 mila euro a testa, per un totale di 10,86 miliardi che hanno fruttato intermediari finanziari”. Per aprire una banca ser- interessi totali per 139 milioni di euro. Funziona ve l'autorizzazione della Banca d'Italia e bisogna così: si va alla Coop, si diventa soci, si chiede di sottoporsi alla sua vigilanza. Ma se uno apre una aderire al prestito soci, si ottiene un libretto tipo banca seguendo due accortezze (non scriverlo quelli della Posta, si portano i soldi da depositare. nell’insegna e non fornire dettagli alla Banca d'I- Ci sono vantaggi notevoli rispetto alla banca, per talia) può fare quel che gli pare. esempio nessun costo e, soprattutto, nessuna tracLa questione è quasi teologica. Che cos'è una ban- ciabilità. Comunque nessun vincolo. Il preavviso ca? Nelle “Istruzioni di vigilanza” della Banca d'I- delle 48 ore previsto dal regolamento è una fortalia si trova la definizione: “La raccolta del rispar- malità dettata da qualche avvocato per far vedere mio tra il pubblico è vietata ai soggetti diversi dalle che si sta sopra le 24 ore previste dai regolamenti banche, fatte salve le deroghe previste dall’art. 11, Bankitalia. Ma quando uno ottiene una tessera comma 4, del T.U.”. La deroga riguarda il prestito magnetica con cui può pagare la spesa al supercon cui il socio finanzia l'attività della sua coope- mercato o addirittura prelevare il contante dal rativa. Poi si legge: “Sono comunque precluse ai Bancomat, sempre con addebito sul suo prestito soggetti non bancari la raccolta di fondi a vista e sociale, che cosa può più giustificare la finzione di ogni forma di raccolta collegata all’emissione o alla non chiamare tutto questo una grande banca? gestione di mezzi di pagamento”. Quindi chi fa Alla Banca d'Italia però si ostinano a far finta di raccolta “a vista” o è una banca o delinque. Che niente. L’avvocato Stefano Alunni Barbarossa, a cos’è la raccolta a vista? “La raccolta che può essere nome dei soci della cooperativa di Trieste che hanrimborsata su richiesta del depositante in qualsiasi no perso i loro risparmi, ha posto un quesito inmomento con un preavviso inferiore a 24 ore”. terpretativo su una circolare Bankitalia sulla racAdesso vediamo le cose che i distratti della Banca colta del risparmio tra i soci da parte delle cood'Italia – dopo aver scritto le stringenti regole – perative. potrebbero vedere con una sia pure superficiale Il direttore della sede di Trieste ha così risposto: “Si fa presente che la Banca d'Italia fornisce riscontro diretto alle banche e agli altri sogGLI INVESTIMENTI PERSONALI getti vigilati mentre, di regola, non dà risposta diretta ai Oltre un milione di libretti distribuiti alla clientela quesiti formulati da altri soggetti”. È la linea dura di semgarantendo che si tratta di “depositi a vista”, cioè ritirabili pre: finché non arrestano anche col Bancomat. Proprio ciò che la legge vieta a chi non qualcuno alla Banca d'Italia piace far finta di niente. ha apposita autorizzazione. Ma a Palazzo Koch non risulta (ha collaborato Ivana Gherbaz) IL VERO TABÙ Vietato tagliare i sussidi alle imprese di Stefano Feltri ALTRO CHE ARTICOLO 18: in Italia c’è un tabù che resiste a tutto: i sussidi alle imprese non si possono tagliare. Poco importa che siano utili, meri regali o scandalosi furti alla collettività. Come documentato nel 2012 da La Stampa, di circa 33 miliardi versati dallo Stato alle aziende quasi 30 finiscono a partecipate dallo Stato per far risultare sostenibili bilanci che altrimenti sarebbero in rosso. Da consulente del governo Monti, Francesco Giavazzi presentò un piano di tagli troppo radicale e quindi dimenticato. Poi è arrivato Matteo Renzi che, nel programma delle primarie 2013 per la segreteria del Partito democratico, prometteva questo: “Una riduzione del 20-25 per cento degli investimenti e dei trasferimenti alle imprese. Base aggredibile: 60-70 miliardi. Obiettivo di risparmio: 12-16 miliardi”. Ora che è al governo il Pd renziano si muove in tutt’altra direzione come dimostra questa vicenda istruttiva. Il deputato di Scelta Civica Paolo Vitelli presenta un emendamento alla legge di Stabilità che voleva correggere una delle storture peggiori: per finanziare il taglio della componente lavoro dell’Irap, l’imposta sulle imprese, Renzi si è rimangiato lo sconto precedente assegnato per decreto a giugno assieme agli 80 euro. Col risultato che per molte aziende le tasse 2014 aumentano a sorpresa, aspettando le riduzioni 2015. L’aliquota Irap, scesa dal 3,9 per cento al 3,5 torFINANZA na al 3,9. Vitelli propone di ROSSA tenerla più bassa, al 3,62 Il sistema per cento per limitare i finanziario danni. La copertura: tagliaparallelo re i finanziamenti pubblici del prestito soalle imprese con un mecciale visto canismo studiato dall’ecoda Emanuele nomista Riccardo Puglisi. Fucecchi Si limano di 1,4 miliardi l’anno i trasferimenti pubblici usando un algoritmo che privilegia i tagli sui sussidi vecchi a mera copertura di perdite e limita al massimo la sforbiciata su quelli per ricerca e investimenti. Così si evita il salasso generale per le imprese e il futuro taglio dell’Irap si copre con una diminuzione di privilegi antichi e spesso immotivati invece che da uno sgradevole aumento di tasse retroattivo. Niente da fare: il Pd ha chiesto a Scelta Civica di ritirare l’emendamento. Al massimo se ne riparla in Senato, hanno detto. L’onorevole Vitelli si è impuntato e il Pd ha votato contro. Così nella legge di Stabilità restano soltanto i tagli decisi da Renzi: altro che i “12-16 miliardi” promessi, soltanto 68 milioni nel 2015, 95 milioni nel 2016 e 18 milioni dal 2017. Noccioline. Vedremo se al Senato qualcosa cambierà, ma è lecito dubitarne. Così gli investitori stranieri da fuori guarderanno un Paese dove non c’è più l’articolo 18, ma resistono sussidi pubblici che distorcono la competizione e premiano le imprese più vicine alla politica. 12 il FATTO ECONOMICO 10 DICEMBRE 2014 TICKET RESTAURANT I tagliandi che sostituiscono la mensa aziendale ormai sono diventati una moneta parallela. In mano a pochi grandi gruppi IL PASTO È BUONO MA NON PER TUTTI di Carlo Di Foggia N ella guerra dei “buoni”, sono in pochi a vincere. Quello dei ticket che sostituiscono la mensa aziendale è un mercato da 2,7 miliardi e zero controlli: tra giganti stranieri e arrembanti italiani, Stato e privati incassano i frutti di una battaglia legale a colpi di ribassi tra le società che emettono i tagliandi, vera e propria moneta parallela usata per comprare di tutto. In mezzo, ci sono 2,5 milioni di lavoratori (900 mila statali) e oltre 120 mila ristoratori esasperati dalle commissioni, fino al 15 per cento. L’ultimo regalo ha tam- ponato i malumori. La potente federazione degli esercenti, con il supporto della società di lobby Cattaneo Zanetto (che assiste anche società emettitrici) ha ottenuto la defiscalizzazione fino a 7 euro per il buono pasto (ferma a 5,29 da 15 anni), grazie a un emendamento Pd alla legge di Stabilità. Un aiuto alle aziende che non entusiasma gli esercenti. “Vale solo per quello elettronico - spiega un ristoratore - Il valore nominale dei buoni salirà e così anche l'importo della commissione”. In Francia, dove è stato inventato, non supera il 3 per cento. In Italia, grazie alla doppia aliquota Iva, le società guadagnano prima ancora di chiedere l’aggio ai ristoratori (45 centesimi su 5 euro), il mercato continua a crescere. Finora il matrimonio d'interesse tra Anseb, l'associazione di categoria degli emettitori, e i ristoratori della Fipe, ha frenato la rivolta. La paura di essere tagliati fuori da un settore che assicura pur sempre una clientela fissa ha fatto il resto. COME PER I COLOSSI pubblici, anche nel privato per ottenere i contratti migliori, quelli da migliaia di clienti, le società si battono fino all’ultimo sconto al committente, rifacendosi sui ristoratori. Con i costi dei servizi, un buono da 5 euro viene rimborsato, con ritardi anche di mesi, per meno di 4 euro. E chi conosce il settore sa che il peggio non è alle spalle. A giorni, infatti, la Consip (la centrale acquisti della Pa) darà il via alla nuova gara nazionale per gli impiegati statali. Un maxi-appalto che nell’ultima versione valeva 910 milioni di euro. Il 40 per cento del mercato (1,1 miliardi) passa dalla mano pubblica. “Chi vince i lotti regionali fa il colpo - spiega un esperto del settore che chiede l'anonimato perché le amministrazioni centrali sono obbligate a utilizzare i suoi buoni pasto, mentre gli enti locali possono scegliere se aderire, e di solito lo fanno perché nessuno offre di meglio: si diventa monopolisti, con un potere enorme”. DAL 2012, sulla carta i bandi vengono assegnati in base all’“offerta economica più vantaggiosa”. In pratica, denuncia l'Anseb, il meccanismo rimane il “massimo ribasso”: chi propone lo sconto più alto vince. Il sistema è complesso, si difendono da Consip, e considera anche la qualità del servizio. Ma l’ultima gara è finita con sconti fino al 20,7 per cento. Cifre irragionevoli. “Significa operare in perdita o rifarsi sui ristoratori”, spiega Franco Tumino, presidente di Anseb. Le proteste e i numeri gli danno ragione. Sempre più spesso, i clienti si vedono rifiutare alcuni ticket, sempre gli stessi. Stando ai valori di gara, EDITORIA “Meno fondi? Lavoro a rischio” N egli ultimi due anni 32 testate hanno chiuso i battenti, a causa delle difficoltà del sistema dell’informazione, ma anche della riduzione del sostegno pubblico. Altre 82 testate potrebbero essere costrette a farlo nelle prossime settimane se il governo non assicurerà i rimborsi per il 2013 e non stanzierà i fondi per questo e gli anni a venire. È l’allarme lanciato da sindacati e associazioni di settore in una conferenza stampa al Senato dal titolo “Salviamo i giornali cooperativi o non profit”. Degli oltre 50 milioni promessi per l’anno passato, il governo ne ha al momento messi a disposizione meno della metà. Il sottosegretario con delega all’Editoria Luca Lotti è al lavoro per reperire le risorse tra i fondi a disposizione della Presidenza del Consiglio e secondo le ultime informazioni - dovrebbe presto essere garantita una somma comples- CHI CI RIMETTE Nella legge di Stabilità il Pd ha alzato la soglia di esenzione fiscale a 7 euro: un aiuto a un settore sull’orlo della rivolta per le commissioni imposte ai ristoratori le società dovrebbero perderci. La maggior parte dei bilanci, però, non sono in rosso, anche se gli utili risultano magri. Per i ristoratori la colpa è dei “servizi aggiuntivi” che rifilano agli associati, su “base volontaria”. “Dentro c'è di tut- to, dalle commissioni per essere pagati subito, invece che a due mesi, alla pubblicità, fino all'idraulico - spiega un ristoratore romano mostrando le clausole in miniatura - Passano a pranzo per ‘aggiornare i dati’, tu sei distratto e non sai cosa firmi. Poi scopri che la percentuale da dare è passata dal 5 al 10 per cento. E con i ritardi si arriva al 20”. In un mercato senza controlli, con grossi movimenti di liquidità che gonfiano i bilanci, il timore di infiltrazioni criminali è alto. Alcune relazioni della Direzione investigativa antimafia parlano di rischio riciclaggio. La giungla dei buoni pasto Ansa CASO VINYLS Dopo anni di lotte e promesse ecco le lettere di licenziamento di Maddalena Brunetti Cagliari ame over”. La ViG nyls di Porto Torres (Sassari) non esiste siva di poco superiore ai 55 milioni per il 2013. Per quanto riguarda il futuro gli stanziamenti dovrebbero arrivare con emendamenti alla legge di stabilità al Senato. Il tema è stato lanciato ieri in prima pagina da Manifesto che titola “Un solo padrino” con una foto di Al Pacino con in mano il quotidiano e l’editoriale del direttore Norma Rangeri. "Con una scelta senza precedenti - si legge -, il governo taglia i rimborsi per l’editoria 2013 già previsti nel bilancio dello stato e degli editori. Una vera e propria decapitazione del Manifesto e di una parte dell’informazione. Nessuna logica economica spiega questa spending review. Se Palazzo Chigi non tornerà sui suoi passi, di soldi ne dovrà spendere assai di più per fronteggiare il fallimento di decine di testate e il licenziamento di centinaia di lavoratori". Infografica di Pierpaolo Balani più e domenica scorsa gli 88 operai rimasti nello stabilimento - che è stato uno dei simboli della chimica italiana prima e della lotta per il lavoro poi - sono stati licenziati dopo cinque anni di cassa integrazione straordinaria. Sull’ingresso, sigillato con il nastro adesivo, campeggia la scritta “Game over!!”, tracciata con lo spray: una sorta di GAME OVER L’operaio che denunciò la storia in tutte le tv: “Politici, ministri e anche Napolitano ci hanno presi per il culo. Tanti proclami e poi più niente quando si sono spente le telecamere” ADDIO ALL’ISOLA DEI CASSINTEGRATI: TUTTI LICENZIATI epitaffio alla storica battaglia de “L’Isola dei cassintegrati”. Era il febbraio del 2010 quando un gruppo di operai della Vinyls – fabbrica che produceva pvc (policloruro di vinile), già finita in mano ai commissari che cercavano investitori per rilanciare la produzione - decise di auto recludersi nell’ex super carcere dell’Asinara. Lì diedero vita al “primo reality reale”, rimanendo dietro quelle sbarre per 15 mesi e riuscendo a sollevare un clamore mediatico insperato. Così mentre gli operai spiegavano le loro ragioni ai microfoni dei telegiornali di mezzo mon- do, iniziava anche la passerella dei politici pronti a sbarcare sulla sabbia bianca dell’Asinara carichi di promesse, esaurite in quel “game over” che da domenica campeggia all’ingresso della Vinyls. “Sono tanti. Ci hanno preso per il culo in tutti questi anni, specie i personaggi del mondo politico, venuti in passerella all'Asinara e alla Torre Aragonese sotto le luci delle telecamere, per fotterci un briciolo di popolarità”. A parlare è Tino Tellini, ex cassintegrato della Vinyls e leader della protesta. Tellini che, in diretta ad Annozero, aveva risposto a muso duro all’allora mi- nistro dell’Economia Giulio Tremonti, oggi fa i nomi di chi ha speso in parole senza poi far seguire i fatti. “Il primo che viene in mente è Paolo Romani, oggi capogruppo di Forza Italia al Parlamento, ex ministro dello Sviluppo. In un ristorante a Porto Torres mi disse che gli avrei potuto sputare in un occhio se lui non avesse risolto la vertenza. Non l'abbiamo più visto”. E ANCORA: “Ma vorrei parlare anche del nostro presidente, di Giorgio Napolitano. Ci coprì di elogi al nostro incontro, ma nella realtà non fece nulla, al pari degli altri. Ma ce n'è anche per coloro che prima erano all'opposizione e ora ci governano. Prendiamo Pier Luigi Bersani, venne anche lui all'Asinara, fece l'amicone, ma quando i fari della vicenda si spensero si dileguò come i suoi colleghi”, conclude Tellini in una nota amara nella quale ripercorre la vicenda. Ospiti in diverse trasmissioni, ricevuti dal presidente della Repubblica, gli operai dell’ “Isola dei cassintegrati” sono diventati anche protagonisti di libri e film (il docufilm “Pugni chiusi”, premiato alla mostra del cinema di Venezia) ma quando nel giugno 2011 hanno lasciato l’ex supercarcere, sono lentamente scivolati nel dimenticatoio. Loro però hanno continuato a lottare e, soprattutto, a lavorare: in questi anni, tutti i giorni sono andati allo stabilimento per garantire la sicurezza dell’impianto chimico. MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014 13 PRIVILEGI La riduzione dei fondi del governo non vale per tutti: i grossi guadagnano di più, i piccoli spariscono CGIL,CISL E UIL, CHE AFFARE IL TAGLIO DEI PATRONATI di Salvatore Cannavò T agliare i fondi ai patronati può diventare un affare per quelli più grandi, Cgil, Cisl e Uil in primo luogo. Ma anche Acli, Confcommercio, Coldiretti e altri ancora. È quanto sta avvenendo con la legge di Stabilità, attualmente in discussione al Senato. Il taglio da 150 milioni di euro, disposto dal governo, è stato ridotto della metà nella discussione della Camera, ma non si abbatterà in modo uniforme sui 28 patronati nazionali ammessi alla ripartizione dei contributi. E così, 18 di questi rischiano di rimanere fuori dal finanziamento. La stima dei posti di lavoro perduti è di circa 4000 unità. NEL TUTTI contro tutti, succede che il leader del mercato, la francese Edenred - 1,2 miliardi di fatturato - sia fuori dai bandi Consip: “Abbiamo fatto offerte sostenibili, altrimenti da qualche parte devi rifarti”. Nel 2002 l'Antitrust comminò una multa da 34 milioni di euro – mai pagata – a 8 società per aver fatto cartello sulle offerte. Oltre dieci anni dopo, la situazione è ribaltata: ora la concorrenza è feroce. I due lotti più grossi (353 milioni di euro) dell'ultimo bando li ha vinti la Qui Group di Gregorio Fogliani, imprenditore di origini calabresi trapiantato a Genova, dove ha creato un impero da mezzo miliardo di euro. Secondo Anseb, ha proposto “prezzi insostenibili per altri operatori”, tanto da vincere quasi tutti i lotti, poi ceduti perché la legge vieta il vincitore unico. “Ci premiano per l’offerta tecnica, non per il prezzo: offriamo servizi innovativi che permettono rimborsi istantanei”, replicano dalla società. In un mercato dominato dai francesi (Accor, Sodexo etc..), Qui Group cresce a ritmi vertiginosi, più del settore (ma ha utili striminziti: 994 mila euro). Vicino all'Opus Dei e con amicizie ad alto livello in Vaticano, negli anni I lavoratori della Vinyls di Porto Torres Ansa Pagati male e spesso in ritardo, hanno continuato a sperare che un fantomatico investitore – dal Qatar, dalla Svizzera o dal Brasile – arrivasse davvero. E invece, inesorabile, è arrivato solo il licenziamento a cui seguiranno pochi mesi di ammortizzatori sociali. “GAME over”: si chiude così la storia della Vinyls nata nel 1986 come joint venture tra Enichem (l’azienda petrolchimica di Eni) e gli olandesi di Ici. Erano gli anni della chimica rampante: gli stabilimenti di Ravenna, Porto Marghera e Porto Torres davano lavoro a oltre 400 operai. Ma poi iniziò il declino, che divenne irreversibile nel 2008, quando gli inglesi della Ineos, subentrati nel 2005, decidono di vendere tutto il comparto italiano. Cominciamo così gli anni delle illusioni con gli investitori che sembrano interessati da ogni parte del mondo ma che poi non firmano mai. Fino alla fine. Fogliani ha conquistato quasi tutti i colossi pubblici, dalle Ferrovie a Poste, passando per Eni, Enel, Bankitalia, Corte dei Conti e ministeri vari, per finire alla stessa Consip. Da tempo promette la quotazione in Borsa, e spende milioni di euro in pubblicità. Nel 2012 si è preso il ramo buoni pasto del gruppo italo-francese Gemeaz che gli ha portato in dote la ricca convenzione con la Compagnia delle Opere, il braccio economico di Comunione e Liberazione. GLI SCONTI PIÙ FORTI, fino al 20,7 per cento, però, li ha fatti registrare la Repas Lunch – 86 milioni di ricavi – controllata attraverso una società lussemburghese dall'imprenditore napoletano Antonio Lombardi, attivo nelle agenzie interinali. Fino al settembre scorso, secondo azionista era la Fedra, fiduciaria della potente banca Finnat, l’Istituto della famiglia Nattino, vicina al Vaticano. Attraverso la Avagliano editore, Repas controlla anche la Edizioni Lavoro, la casa editrice della Cisl, il sindacato che ha aperto i servizi della Qui Group di Fogliani ai suoi 4 milioni di iscritti. Oltre alla francese Day (17,5 per cento di sconto), l’ultimo lotto (88 milioni di euro) è andato alla napoletana Ep di Pasquale Esposito, che serve procure, comandi Finanza e Ospedali. A ottobre scorso, il Consiglio di Stato ha deciso che non tocca ai Tribunali amministrativi bloccare le gare con i ribassi troppo pesanti. Tutto, quindi, è nelle mani della Consip. La spending review impone di risparmiare. Chi ci rimettera? LA SITUAZIONE di que- sti enti è regolata dal Fondo per i patronati, che ammonta annualmente a circa 430 milioni di euro ed è composto, prima delle norme della Stabilità, dallo 0,226 per cento del monte contributi obbligatori versati agli enti previdenziali. All’atto di licenziare la legge di Stabilità il governo aveva tagliato questo contributo di 150 milioni di euro. Con l’approvazione dell’emendamento della maggioranza il taglio è stato portato da 150 a 75 milioni di euro. L’emendamento, però, ha introdotto nuove disposizioni particolar- mente restrittive. D’ora in poi, infatti, i patronati ammessi alla ripartizione dei contributi devono operare “in un numero di province riconosciute la cui somma della popolazione sia pari ad almeno il 60 per cento della popolazione italiana”. Prima bastava un terzo. Lo stesso accade con le regioni. Non solo: gli istituti di patronati devono avere “sedi in almeno otto Paesi stranieri”, anche se esclude quei patronati “promossi dalle organizzazioni realizzata sul totale, cioè la quantità di pratiche che ciascun patronato svolge sul complesso dell’attività totale. Questa percentuale, oggi, forma una graduatoria che vede al primo posto l’Inca-Cgil, con il 19,79% dell’attività complessiva, seguita dall’Inas-Cisl (15,91) e dalle Acli (10,97%). Seguono, ancora, l’Ital-Uil, l’Epaca della Coldiretti, il patronato della Confcommercio, fino alla Epas della Fna. Sotto la quota del 2,5% ci -4MILA 355 POSTI DI MLN LAVORO DAL 2015 FORBICI Il taglio dei finanziamenti è stato deciso dalla legge di Stabilità sindacali agricole”. La norma che però fa scattare la tagliola per le organizzazioni più piccole è quella che esclude dal finanziamento gli istituti che abbiano “realizzato per due anni consecutivi attività rilevante ai fini del finanziamento in una quota percentuale accertata in via definitiva dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali inferiore al 2,5 per cento del totale”. La quota di attività svolta è concretamente l’attività sono 17 piccoli patronati che d un giorno all’altro si vedono sparire i contributi su cui finora avevano contato. IL PARADOSSO è che, per tagliare quello che i sindacati definiscono un servizio ai cittadini, ai pensionati e ai lavoratori, si realizza il risultato di aumentare i fondi per i patronati più grandi. Dovendo dividere la “torta” con meno soggetti, il vantaggio è diretto. Nonostante il ta- glio di 75 milioni operato già alla Camera, infatti, che riduce i contributi complessivi da 430 a 355 milioni, il patronato della Cgil, Inca, si troverebbe a incassare da 85,1 milioni a 87,33. La Inas-Cisl passerebbe da 68,4 milioni a 70,18 mentre le Acli potrebbero passare dagli attuali 47,2 a 48,39 milioni di euro. Il beneficio riguarderebbe, poi, la Uil, la Coldiretti, Confcommercio, la Cia, la Cna, l’Acai e la Fna che con la sua Epas si troverebbe a passare da 12,7 a 14,7 milioni. Restano all’asciutto i patronati minori per i quali la legge prevede solo sei mesi di tempo per mettersi in regola con le nuove procedura. Tra questi ci sono l’Ugl, la Confagricoltura, la Confesercenti per un totale di 18 sigle. Questa la situazione se il taglio si fermasse a 75 milioni. Diverse fonti interessate all’argomento, però, ritengono che il Senato si preparerebbe a ridurre il taglio a 30 milioni di euro portando il fondo complessivo a 400 milioni di euro. La ripartizione per i 10 fondi che supererebbero le asticelle poste dalla legge migliorerebbe ancora. Nel pieno di uno scontro sindacale che vede impegnato il governo si realizzerebbe un vantaggio per strutture che forniscono un servizio ma che, allo stesso tempo, rappresentano un solido punto di appoggio per i sindacati italiani. GARANTE PMI: “Ero scaduto a febbraio Mi hanno rinnovato solo da pochi giorni” di Marco Palombi S ull’inserto economico della scorsa settimana ci siamo occupati di Giuseppe Tripoli, il Garante delle Pmi (“non brilla per vivacità, ma per stipendio sì”) e torniamo a farlo questa settimana grazie a una telefonata dello stesso Tripoli. Una premessa: come dicono i dati del Cerved, le Pmi italiane (cioè escluse le tre milioni e dispari di microimprese) valgono 850 miliardi di fatturato, 180 miliardi di valore aggiunto, incidono sul Pil per il 12% e danno lavoro a 4 milioni di persone. Parliamo di circa 140 mila aziende, 24 mila delle quali rischiano il default nei prossimi mesi. Detto questo si può apprezzare appieno l’amara ironia del racconto del Garante: “I dati che avete pubblicato erano effettivamente quelli della mia pagina sul sito del ministero dello Sviluppo, però... il sito era sbagliato”. E qui c’è la prima sorpresa: “Intanto io non ero più il Garante da febbraio, quando il ministero dello Sviluppo è stato riorganizzato”. In sostanza, il governo s’è dimenticato di nominare l’uomo che dovrebbe “proteggere” un settore così fondamentale dell’economia italiana: “La mia nuova nomina è arrivata nei giorni scorsi, dopo il vostro pezzo”. Anche lo stipendio, dice Tripoli, ahilui non è più quello: “Prendevo 260 mila euro lordi quand’ero capo dipartimento del ministero, oggi ne guadagno circa 144 mila come dirigente”. E come Garante? E qui arriva la seconda sorpresa, che aggiunge un tocco di naïveté al tutto: “L’incarico è a titolo gratuito, per questo lo ricopre un dirigente del ministero”. E lo staff? “Non c’è staff, chi collabora con me – personale del Mise, dell’Ice, delle Camere di Commercio – lo fa a titolo gratuito e fuori dal proprio normale lavoro. Per me è un onore: io lo chiamo volontariato istituzionale”. Sarà, ma non sembra proprio che il legislatore e i governi abbiano puntato molto sulla figura del Garante delle Pmi: se lo dimenticano, non lo pagano, non gli danno collaboratori. “Io – dice Tripoli, che evidentemente esercita anche l’ottimismo istituzionale – sono convinto che la funzione di tutela delle Pmi potrà crescere in Italia: da noi spesso le cose si fanno per strati successivi e anche la funzione del Garante potrà essere irrobustita piano piano”. 14 il FATTO ECONOMICO 10 DICEMBRE 2014 DEFICIT Renzi e Padoan, perché non vi parlate? IERI Matteo Renzi ha in- contrato lo staff del Tesoro per fare il punto. E meno male, perché palazzo Chigi e ministero dell’Economia non danno l’idea di parlarsi molto. Pier Carlo Padoan, che di esoteriche formule europee capisce sicuramente più dell’ex sindaco di Firenze, ha elaborato tutti gli argomenti teorici per affrontare le burocrazie di Bruxelles. Ma Renzi non schiera il suo peso politico dietro quegli argomenti tecnici. Forse perché neppure li ha letti. Eppure Padoan ha scritto la ricetta per affrontare la Commissione prima nella sintesi del Def spedita a Bruxelles e poi, nel caso qualcuno se lo fosse perso (tipo il premier), il 22 ottobre ha pubblicato il box cruciale tradotto in italiano sul sito del ministero. Il Financial Times se ne è accorto, Renzi no. Titolo del giornale inglese: “L’Italia dice che Bruxelles calcola male la gravità della recessione”. In sintesi: tutto il contenzioso con la Com- di Marco Ponti P remessa: liberalismo significa fiducia nella libera concorrenza per aumentare il benessere collettivo, mentre per liberismo si intende fiducia nel privato “a prescindere”. E i “libertari” (l’aggettivo in italiano non si usa) son quelli che credono nello Stato minimo “a prescindere” IN QUALI SETTORI prosperano e si arricchiscono maggiormente le mafie? Considereremo solo tre settori, e in modo non completo, per ragioni di spazio e di competenza. Il primo, e di gran lunga il principale, è la produzione e distribuzione di “sostanze psicoalteranti proibite”. Cioè droga. Non di sostanze psicoalteranti lecite da noi (alcolici), ma non altrove (paesi islamici di stretta osservanza), né di sostanze solo lievemente psicoalteranti ma estremamente dannose (tabacco). Le ipotesi alla base della proibizione delle droghe sono che: i cittadini siano stupidi, e non percepiscano i danni alla loro salute e che poi allo Stato, cioè agli altri, tocchi curarli con soldi pubblici. Non abbiamo possibilità di approfondire qui le (serie) obiezioni possibili a tali principi, ci limitiamo a enunciarli. Ma i fatti comunque suggeriscono che, proprio perché illegale, quello della droga è diventato un business planetario controllato dalla malavita e che genera migliaia di morti all’anno. La repressione ha costi pubblici enormi, senza consistenti effetti di riduzione dei consumi, e quindi delle conseguenze per i consumatori di droghe e dei costi per la sanità pubblica. La repressione è però una sorta di “business parallelo” con molte centinaia di migliaia di addetti. Un gran numero di economisti e di studiosi, Roberto Saviano compreso (si veda il suo libro Zero zero zero), concorda che liberalizzare il settore sarebbe male minore. L’esempio del proibizio- missione si basa sul pareggio strutturale di bilancio, cioè sul portare a zero il deficit corretto per il ciclo, ovvero scorporati gli effetti della crisi (che riduce le entrate e fa aumentare la spesa per ammortizzatori sociali, tra l’altro). Ma quanto pesano questi effetti? Secondo Padoan parecchio: applicando i calcoli del Tesoro l’Italia ha già raggiunto il pareggio di bilancio strutturale nel 2012, mentre stando alle analisi della Commissione ne è ben lontana (per quasi una quindicina di miliardi) e quindi il governo sta chiedendo di spostare la verifica dell’obiettivo dal 2016 al 2017. La strategia di Padoan ha quindi una sua coerenza: tenere il deficit nominale sotto il 3 per cento in modo da risultare sufficientemente virtuosi da contestare le formule di calcolo di quello strutturale (soltanto da quest’ultimo dipendono le richieste di ulteriore austerità di Bruxelles negli ultimi tre anni). Renzi, invece, ha ceduto sull’aggiustamento RACCONTANO BALLE strutturale portandolo da 0,1 a quasi 0,4 punti di Pil ma ha costruito una legge di Stabilità che, soprattutto sul 2014, rischia di far sfondare all’Italia il 3 per cento del rapporto tra deficit e Pil. Se in primavera la crescita sarà più bassa del previsto, Padoan avrà ulteriori argomenti a suo favore. Ma Renzi deve capire come usarli. Farebbe meglio a studiare f le formule che il ministero ha anche fatto tradurre in italiano a suo beneficio. Ste. Fel. DROGA, APPALTI, PIZZO L’Italia è poco liberalizzata e molto corrotta. Introdurre più concorrenza e trasparenza può arginare i danni della criminalità organizzata in economia DECRETO POLETTI, IL SALDO È NEGATIVO 400 MILA I POSTI DI LAVORO STABILI MENTRE L’ISTAT pubblicava numeri pesanti, per depistare, il ministro del Lavoro Poletti faceva uscire le anticipazioni delle Comunicazioni obbligatorie del terzo trimestre 2014: “400 mila nuovi contratti a tempo indeterminato”, titolavano i giornali. Una bugia statistica, perché trattasi appunto di dati incompleti. Quelli che invece sono arrivati mercoledì scorso. Responso? I posti a tempo indeterminato sono scesi di 81.380 unità. Secondo il ricercatore Ocse Thomas Manfredi, a fine anno il saldo sarà negativo per 356 mila unità, con soli “70 mila nuovi posti creati” grazie all’aumento di 340 mila unità a T. D., cioè precari. Merito del decreto Poletti. L’arma del mercato per battere le mafie temente chi ci lavora. Ma se il settore fosse veramente liberalizzato, i profitti praticamente sparirebbero (è la regola generale della concorrenza). I consumatori vedrebbero prezzi in discesa, e le uova d’oro si ridurrebbero drasticamente. Molti tentativi sono stati fatti, ma le resistenze sono forti, anche perché già all’origine il rilascio delle licenze è un affare lucroso per le amministrazioni locali corrotte. LA TERZA FONTE di arricchimento nismo dell’alcol negli Stati Uniti degli anni Venti del secolo scorso è illuminante: fioritura di una agguerrita criminalità, produzione senza controlli di alcolici semitossici, modesto calo del consumo. La pericolosità per la salute dell’alcol liberalizzato non sembra inferiore a quello della cannabis, però non genera l’interesse di mafie. Per fortuna il fronte proibizionista, per ora solo per le droghe leggere, comincia a sgretolarsi, soprattutto in America. Più delicato il discorso per gli oppiacei, la cocaina e le droghe sintetiche. L’enor- me incentivo economico generato dai divieti (che mandano prezzi e profitti alle stelle) continuerà a promuovere la ricerca “scientifica” di sostanze di sintesi più efficaci, meno costose da produrre “in garage”. E, finché proibite, incontrollabili per pericolosità. LA TUTELA DELLA SALUTE, in un contesto più liberalizzato, sarebbe affidata maggiormente all’educazione, anche scolastica, alla fiscalità, come in Svezia per gli alcolici, o alla pubblicità, come per gli alcolici in Francia (noi ab- biamo le scritte sui pacchetti di sigarette, ma la lobby dei produttori di alcol finora è riuscita a evitare ogni intervento). Tutto questo sarebbe realizzabile con costi pubblici molto inferiori a quelli connessi alla repressione. Un secondo settore è il “pizzo”, e mi limiterò al piccolo commercio. Le imprese maggiori hanno più mezzi per difendersi. Le mafie non vogliono far fallire i commercianti che pagano il pizzo: morirebbe la gallina dalle uova d’oro. Quindi scremano parte dei profitti, non quanto serve a far vivere decen- delle mafie, come dimostra l’inchiesta su Roma, sono gli appalti pubblici. E l’intreccio con la corruzione politica è strettissimo. La malavita organizzata controlla strettamente le attività che gli economisti chiamano non foot loose, cioè che è necessario acquistare in loco: movimento terra, inerti, trasporti di cantiere. Anche qui, denari pubblici, e senza vincoli reali: la “grande opera” va finita, costi quel che costi. La storia dell’Alta Velocità è illuminante, con extracosti fenomenali rispetto a quelli di Paesi vicini al nostro (si veda una recente ricerca della Reason Foundation americana). Tutti gli attori, mafie comprese, sanno che alla fine lo Stato pagherà. Questo, appunto, se paga lo Stato. Se ci fossero più soldi privati, e meno garanzie pubbliche, le difese dal racket sarebbero molto più vivaci e organizzate, perché motivate dalla ricerca del profitto. E forse si farebbero anche meno opere inutili. In sintesi: certo la gamma dei rimedi, tutti difficili, è ampia. Ma non sembrano esservi dubbi che una cultura più liberale sarebbe uno strumento efficace, tra i molti necessari. La malavita organizzata prospera dove ci sono alti profitti e rendite di monopolio, che è proprio ciò che una concorrenza ben governata tende a erodere, a vantaggio della collettività. Forse non è proprio un caso che in tutte le classifiche internazionali risultiamo un Paese contemporaneamente poco liberalizzato e con fortissima presenza mafiosa. SOLUTION ECONOMY Un’ambizione legittima: risolvere i problemi del mondo con la tecnologia P SOLUTION ECONOMNY William D. Eggers e Paul MacMillan Rizzoli Etas, pagg. 327, 21.00 ¤ otete prendere una parola qualunque, abbinarla a “economy” e avrete creato un nuovo paradigma. Dopo la “sharing economy”, l’economia della condivisione, o quella del “costo marginale zero” di Jeremy Rifkin, ecco la “solution economy”. L’etichetta “economia delle soluzioni” non aggiunge molto al dibattito, ma i casi raccolti da William Eggers e Paul MacMillan nel libro “Solution economy” sono invece parecchio interessanti. Grazie alla tecnologia oggi sono risolvibili alcuni dei grandi problemi dell’umanità. Non si sa bene che impatto questo avrà sul Pil, se qualcuno si arricchirà e come, ma di sicuro ora non ci sono più alibi: cambiare il mondo è possibile. Le grandi fondazioni no-profit come quella di Bill e Melinda Gates finanziano la ricerca di base che i governi non hanno più le risorse per affrontare. Il crowdfunding, cioè il fi- nanziamento diffuso, permette di accedere al credito quei soggetti innovativi snobbati dal sistema bancario, l’istruzione a distanza (guardatevi i video della Khan Academy) ha raggiunto livelli elevati che permettono a un ragazzo del più sperduto villaggio indiano, se dotato di una connessione, di accedere al sapere a lungo riservato alle élite. I social media offrono spazi di azione politica a chi aveva rinunciato alla possibilità di incidere sul mondo in cui vive. Anche i governi, a rischio inutilità causa globalizzazione, ora scoprono di avere una risorsa preziosa che la crisi non intacca: una enorme quantità di dati da cui possono trarre informazioni cruciali per migliorare la propria efficienza. Troppo ottimismo? Il libro è a cura di Deloitte, una società di consulenza e revisione contabile, uno degli autori è il capo dell’area ricerca, l’altro un con- sulente di governi e imprese. È chiaro che vogliono segnalare a potenziali clienti che ci sono sfide tecnologiche ed economiche che potrebbero richiedere l’aiuto di Deloitte. Ma è comunque un libro utile a ricordarci che mentre noi ci piangiamo addosso per la nostra crescita zero, il Fiscal compact ecc., là fuori il mondo sta cambiando. E ci sono opportunità per tutti. Anche per l’Italia. Ste. Fel. UN GIORNO IN ITALIA MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014 il Fatto Quotidiano R iina, l’avvocato: “Sta malissimo, si deve intervenire” “IL MIO ASSISTITO sta malissimo e a giorni faremo un’iniziativa per la sua salute”. Lo ha detto il difensore di Totò Riina, l’avvocato Luca Cianferoni, in una pausa del processo sulla strage del rapido 904 in cui il boss di Cosa Nostra è imputato come mandante dell’attentato che il 23 dicembre 1984 causò 16 morti e 267 feriti in una galleria del tratto Firenze-Bologna. Il legale ha spiegato che si tratterà di “una richiesta” al tribunale di sorveglianza di Bologna (Riina è detenuto nel carcere di Parma) e che “è urgente occuparsene” perché il boss, che ha 84 anni, secondo l’avvocato è cardiopatico, ha una forma di Parkinson 15 e problemi a fegato, reni e tiroide. Nelle settimane scorse è stato sottoposto ad accertamenti medici nel centro clinico del carcere. Ieri ha assistito in video-collegamento a tutta l’udienza e alla fine si è si è alzato da solo, senza essere aiutato, per allontanarsi dalla stanza dov’era e tornare in cella. Il tritolo per Nino Di Matteo è arrivato dalla Calabria LO RIVELA IL PENTITO GALATOLO: L’ESPLOSIVO PROVERREBBE DAL MERCANTILE COSULICH AFFONDATO NELLA 2ª GUERRA MONDIALE. MA ERA AVARIATO E COSA NOSTRA PRETESE IL CAMBIO di Sandra Rizza I Palermo l tritolo che doveva servire per eliminare Nino Di Matteo proveniva dalla Calabria. È l’ultima rivelazione di Vito Galatolo, il mafioso dell’Acquasanta che ha ricostruito davanti agli inquirenti il piano di morte confezionato dal gotha di Cosa Nostra nel dicembre 2012 per il pm della trattativa Stato-mafia. Nei giorni scorsi, il neo-pentito aveva già raccontato che una parte di quell’esplosivo, in tutto 150 chili, era arrivata a Palermo in cattivo stato di conservazione, dal momento che presentava tracce di infiltrazione di acqua, al punto che i boss decisero di restituirla e di farsela cambiare. Il particolare della polvere ritenuta “troppo umida” dai boss è adesso all’attenzione degli inquirenti perché ipotizza un possibile collegamento con l’esplosivo che giace all’interno della stiva della nave mercantile “Laura Cosulich”, affondata durante la Seconda guerra mondiale al largo delle Saline Ioniche, tratto di mare di fronte a Reggio Calabria. DA PIÙ DI SESSANT’ANNI, le stive della Laura C. sono adagiate sui fondali calabresi con il loro carico di esplosivo, circa una tonnellata secondo la questura di Reggio Calabria: nel maggio 2014, i sommozzatori del Comsubin (Comando subacquei e incursori) sono riusciti a recuperarne 121 panetti da 200 grammi per un totale di 24 chili di tritolo. Dalla testimonianza di numerosi pentiti, è emerso tra l’altro che la ’ndrangheta si sarebbe servita più volte del tritolo incamerato all’interno del mercantile, e che in alcuni casi i capi delle ’ndrine avrebbero venduto quantitativi di quelle polveri ripescate dal mare a Cosa Nostra, anche se i confronti con l’esplosivo utilizzato nelle stragi del 1992 hanno sempre dato esito negativo. Secondo il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, anche per la strage di Capaci Cosa Nostra si sarebbe servita di esplosivo proveniente dai fondali marini. Nelle fasi iniziali della sua collaborazione, il pentito ha indicato il nome del pescatore Cosimo D’Amato che, dai fondali al largo di Porticello, recuperava bombe risalenti alla Seconda guerra mondiale, per estrarne quantitativi di materiale esplodente poi utilizzati per il botto sull’autostrada. STRAGI DI MAFIA Secondo Spatuzza, anche a Capaci i boss avrebbero usato materiale proveniente dai fondali marini L’esplosivo di via D’Amelio sarebbe invece dello stesso tipo di quello piazzato sul Rapido 904. Lo ha raccontato ieri mattina, l’ex dirigente della Polizia scientifica Giulio Vadalà, sentito nel processo a Totò Riina che si celebra davanti alla Corte d’assise di Firenze. L’esperto esplosivista ha spiegato che sul convoglio, partito da Napoli e diretto a Il pubblico ministero di Palermo, Nino Di Matteo LaPresse Milano, “furono utilizzati 16 chili di esplosivo, collegati su una reticella porta valigie in un corridoio del treno, in una carrozza di seconda classe, la nona, tra l’undicesimo e il dodicesimo scompartimento”. L’ordigno esplose mentre il treno percorreva la Grande Galleria dell’Appennino, all’altezza di San Benedetto Val di Sambro, il 23 dicembre del 1984, e fece 17 vittime. “L’esplosivo – ha spiegato il perito – era collegato a un sistema di trasmissione radiocomandato con un ritardo affinché esplodesse in una galleria”. Ma il passaggio più importante della deposizione del consulente della procura è quello dedicato ai residui ritrovati sul luogo dell’attentato dopo l’esplosione. “Furono trovati – ha detto Vadalà – residui di pentrite, T4, nitroglicerina e tritolo”: e cioè gli stessi elementi che compongono la base chimica dell’esplosivo di tipo plastico Semtex, di produzione cecoslovacca, la cui importazione era vietata in Italia. Tracce di pentrite e T4 furono ritrovate anche sul luogo della strage di via D’Amelio, che il 19 luglio 1992 uccise Paolo Borsellino e cinque uomini della scorta. 16 ALTRI MONDI MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014 Pianeta terra il Fatto Quotidiano EMIRATI COMPRATA SEDE SCOTLAND YARD L’edificio che dal 1967 ospitava la sede di Scotland Yard a Londra, nel cuore di Westminster è stato venduto per 370 milioni di sterline (468 milioni di euro) ad Abu Dhabi Financial Group. La Metropolitan Police dovrà trasferirsi nella nuova ma più piccola sede sul Victoria Embankment. LaPresse SPAGNA GIUDICE SOSPENDE UBER: CONCORRENZA SLEALE Il tribunale di Madrid ha ordinato la sospensione precauzionale del servizio di prenotazione taxi Uber in Spagna, poiché rappresenterebbe una forma di concorrenza sleale. Gli autisti del servizio Uber non avrebbero i permessi appropriati per il trasporto passeggeri. LaPresse BRASILE TE LO DO IO IL PETROLIO DILMA ANNASPA CON PETROBRAS IL PRESIDENTE ROUSSEFF E LA TANGENTOPOLI CHE PUÒ TRAVOLGERE IL SUO GOVERNO di Giuseppe Bizzarri P Rio de Janeiro etrobras, l’anelata società petrolifera di economia mista brasiliana, è al centro di uno scandalo. L’oscuro caso della tangentopoli brasiliana è analizzato dalla Commissione parlamentare d’Indagine del governo di Dilma Rousseff, ma anche dalla Polizia Federale, che ha chiamato Lava Jato il dossier che si allunga ogni giorno di più con i nomi di loschi faccendieri, deputati, senatori, governatori e persino un ministro. Nelle indagini sono finiti i principali partiti del governo, ma anche quelli dell’opposizione, sulla scena politica brasiliana sin dall’inizio del processo democratico del paese. Il gotha dell’imprenditoria ha pagato tangenti colossali per aggiudicarsi appalti per la costruzione d’impianti, tra cui quelli legati allo sfruttamento dei giacimenti del Presal, la cui scoperta ha fatto schizzare il Brasile al quarto posto nella classifica mondiale dei paesi produttori di petrolio. della Rousseff, riconfermata presidente grazie ai voti della nuova classe media emergente, che ha riconosciuto in lei, nell’ex presidente Lula e il Pt, gli artefici di un cambiamento socio-politico che preoccupa sempre più la destra brasiliana e Washington. La vittoria democratica della Rousseff non è stata sufficiente a fare diminuire la pressione sulla presidente. Neves, il Psdb e la destra chiedono persino il ritorno dei militari e l’impeachment della pre- ZAMPINO YANKEE Engdahl, esperto di geopolitica: “Dietro lo scandalo ci sono gli americani. Se Neves avesse vinto le elezioni non sarebbe successo” NELLA RETE DEI FEDERALI non ci sono finiti solo ‘petisti’ (Pt, il partito di Lula, ndr), come vorrebbe mostrare la stampa brasiliana, ma anche importanti membri del Pmdb, il partito che ha governato il Brasile con qualsiasi tipo di governo succeduto a quello dei militari. Lo scandalo Petrobras ha avuto un’impennata durante la campagna elettorale presidenziale in cui Aecio Neves, il candidato liberista alla presidenza del Psdb, ha cercato di sfruttare la tangentopoli brasiliana per impedire inutilmente la vittoria sidente, accusata di essere stata al corrente della scandalo, poiché era nel consiglio di amministrazione della Petrobras fino al 2010. “Abbiamo avuto nelle presidenziali un gioco molto duro - come non si è mai visto da parte dell’imprenditoria e del capitale finanziario. La pressione persiste e non si tratta solo di politica interna. Gli Stati Uniti non gradiscono la politica della Rousseff e del suo partito. La presidente è molto cauta in questo momento. Dilma teme soprattutto il potere di demistificazione degli americani nei confronti dei governi. L’abbiamo visto con Chavez e con l’Iran”, afferma la politologa Argelina Cheibub al Fatto Quotidiano. Rousseff ha fatto conoscere al Brasile, e al mondo, i nomi della sua nuova equipe economica in un evento organizzato dalla banca d’investimento americana JP Morgan. L’ANNUNCIO è stato un mes- saggio al mercato, che ha festeggiato nel conoscere il nuovo staff legato all’ortodossia finanziaria ma non è stato sufficiente a quietare Washington, soprattutto quando Rousseff, in piena crisi ucraina, si è fatta fotografare assieme al presidente Putin e gli altri membri dei Brics, (Brasile, Cina, India, Sudafrica e Russia) durante l’ultima riunione del G20 in Australia. Lo scandalo Petrobras, secondo William Engdahl, consulente di rischio strategico e autore di best-seller su petrolio e geopolitica, fanno parte di un ‘disegno americano’. Il 2 novembre, pochi giorni dopo la vittoria della presidente brasiliana, la società di revisione contabile degli Stati Uniti, Price Waterhouse Coopers (Pwc), ha declinato di firmare gli utili del terzo trimestre della Petrobras. La Pwc, che ha richiesto un’inchiesta sulla Petrobras, è una società coinvolta in diversi scandali negli Usa. Forse tutto questo non sarebbe succeso con Neves, sostenuto in America. Se fosse diventato presidente, il suo capo consigliere economico, Arminio Fraga, caro amico ed ex-socio di Soros, sarebbe diventato ministro delle Finanze; mentre il consulente alla presidenza o probabile ministro degli Esteri, sarebbe stato Rubens Antonio Barbosa, oggi senior director dell’Asg di São Paolo. L’Asg, secondo Engdahl, è la società di consulenza di Madeline Albright, ex segretaria di Stato americano. Piattaforma Petrobras al largo di Rio. Sotto a sinistra, Rousseff LaPresse PERFIDA ALBIONE La baronessa e gli inglesi in crisi: “Il porridge li salverà” di Caterina Soffici Londra he mangino brioche. AnC zi porridge! Brutto scivolone della baronessa Jenkin di Kennington, conservatrice, una delle Pari del Regno (i membri della Camera dei Lords), che ha così commentato il rapporto sulla fame in Gran Bretagna e il crescente utilizzo delle banche alimentari: “I poveri non sanno cucinare”. Perché gli inglesi fanno sempre più ricorso agli enti benefici che distribuiscono generi alimentari? La baronessa non ha dubbi: “Abbiamo perso la nostre abilità culinarie” ha detto parlando a Westminster. “Io stamattina ho mangiato una grande ciotola di porridge, costo 4 pence. La stessa ciotola di cereali zuccherati costa 25 pence”. La fame, insomma, non deriva dalla crisi e dai tagli alla classe media, ma dalla scomparsa della conoscenza necessaria per creare pasti a buon mercato e nutrienti. Un po’ Maria Antonietta: “Il popolo non ha più pane? Che mangino brioche”. Un po’ Tremonti, quando incitava le massaie italiane a fare la spesa nei mercati giusti per ovviare al problema del carovita. L’infelice discorso della baronessa è stato infelicemente pronunciato a commento di una inchiesta parlamentare bipartisan istituita per indagare sulla por- tata, la diffusione e le cause della fame e della povertà alimentare nel Regno Unito. I risultati della ricerca sono devastanti: sempre più famiglie, anche insospettabili, ex ceto medio, fanno ricorso ormai all’aiuto del banco alimentare per arrivare a fine mese e sfamare la famiglia. Capìta la portata della gaffe, Lady Jenkin ha poi chiesto scusa, dicendo che non voleva offendere nessuno. Poi alla Bbc ha spiegato: “Volevo dire, come società abbiamo perso la nostra capacità di cucinare, che non sembra essere tramandata nel modo in cui è stato fatto nelle generazioni precedenti. La vita è molto più conveniente se si è in grado di cucinare”. Insomma non sono solo i poveri a non saper cucinare, ma tutti gli inglesi. E su questo è difficile darle torto. @caterinasoffici il Fatto Quotidiano ALTRI MONDI ISIS GAY LAPIDATO E DEFENESTRATO Gettato dal tetto di un edificio e poi finito a colpi di pietra: è il supplizio riservato dallo Stato islamico a un uomo giudicato “colpevole” di omosessualità, secondo l’annuncio del califfato tra Siria e Iraq, corredato da foto. È del mese scorso l’annuncio della lapidazione di due giovani gay. Ansa FRANCIA OSTAGGIO LIBERO DOPO 3 ANNI Serge Lazarevic, da tre anni nelle mani dei terroristi di al Qaeda nel Maghreb, è stato liberato: “La Francia non ha più ostaggi, in nessun paese del mondo”, ha osservato il presidente Hollande. Lazarevic, 51 anni, era stato rapito in un albergo di Hambori, nell’est del Mali, il 24 novembre 2011. Ansa MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014 17 AMNESTY Crimini a Gaza Israele: “Non è vero” esercito israeliano ha commesso crimini di L’ guerra durante l’operazione “Margine protettivo” della scorsa estate a Gaza e bisogna avviare un’inchiesta: è questa l’opinione di Amnesty International. L’abbattimento di quattro edifici a più piani negli ultimi quattro giorni dell’operazione costituisce una violazione del diritto umanitario internazionale, secondo l’ong. “Tutte le prove che abbiamo dimostrano che questi abbattimenti su larga scala sono stati effettuati deliberatamente e senza una giustificazione militare”, dichiara Philip Luther, direttore di Amnesty per il Medio Oriente ed il Nord Africa. I fatti e le dichiarazioni dei militari israeliani all’epoca indicano che gli attacchi sono stati “una punizione collettiva inflitta agli abitanti di Gaza”e destinati alla distruzione delle loro proprietà, ha aggiunto Luther. Durante i 50 giorni di combattimento, Israele ha condotto circa un centinaio di bombardamenti e, negli ultimi giorni di guerra, sono stati rasi al suolo un centro commerciale a Rafah e tre palazzi a più piani di Gaza. Le forze di Israele avvertirono in anticipo i residenti, ma Amnesty sostiene che decine di persone rimasero comunque ferite e senza casa. Israele si difende affermando che gli edifici distrutti erano usati da Hamas come centri di comando e ha definito “infondato” il rapporto di Amnesty. L’ultimo conflitto nella Striscia di Gaza ha causato circa 2200 vittime tra i palestinesi (secondo loro fonti) e 73 tra gli israeliani. Una manifestazione contro il waterboarding a New York LaPresse Brutali, falsi e inutili i metodi Cia alla sbarra IL RAPPORTO DEL SENATO SULLE TORTURE E LE MENZOGNE A WASHINGTON. “NON SONO SERVITE A SALVARE VITE UMANE”. OBAMA: “MAI PIÙ. DANNEGGIATO IL PAESE” di Angela Vitaliano U New York n’onta per l’America che l’America stessa è capace di cancellare. Il rapporto del Senato su torture&bugie della Cia provoca la reazione di Obama (e lo sdegno in tutto il mondo, e rabbia in Medio Oriente) e del segretario di Stato Kerry che promettono: mai più. Nessun rinvio, dunque, nell’annunciata pubblicazione del rapporto messo a punto dalla Commissione Intelligence del Senato sui metodi utilizzati negli interrogatori dei prigionieri sospettati di terrorismo, dopo l’11 settembre. O, meglio, nessun ulteriore ritardo nella divulgazione dei risultati di un’indagine che da anni, ormai, ha gettato un’ombra sulla Cia, accusata di aver praticato delle vere e proprie torture. VIOLENZE Si parte dalle tecniche degli interrogatori messe in atto sui prigionieri accusati di terrorismo e che non si limitano al gia’ famoso “waterboarding”. I prigionieri, secondo il rapporto venivano privati del riposo per giorni e anche settimane, oltre ad essere seviziati analmente con manici di scopa e con getti di acqua. Il rapporto condanna questi metodi come “fisicamente dannosi”, precisando che il waterboarding, a esempio, provoca vomito e convulsioni che hanno ucciso almeno un detenuto tra quelli sottoposti a questa pratica. Un altro punto importante evidenziato dall’indagine e’ quello della gestione degli interrogatori stessi, condotti spesso da personale non sufficiente- mente addestrato e/o coadiuvato da personale medico non all’altezza della situazione. I metodi di interrogatorio erano, inoltre, basati su un programma messo a punto da due psicologi senza esperienza sufficiente nell’ambito specifico della lotta al terrorismo. MENZOGNE Chiarissime emergono anche le responsabilità della Cia nell’impedire al Congresso di venire a conoscenza della realta’ dei fatti; anche alla Casa Bianca veniva riportata una situazione molto meno critica di quella poi rivelata dal rapporto, con informazioni menzognere relative al numero dei prigionieri sottoposti a interrogatori coercitivi, alla loro durata e ai risultati ottenuti. Il rapporto mostra, a esempio, che operazioni importantissime come la cattura di Osama Bin Laden non furono portate a termine grazie ad informazioni ottenute tramite la tortura ma, piuttosto, grazie a testimoni che decisero di collaborare prima ancora che venisse loro torto un capello. Il rapporto rivela anche, per la prima volta, i nomi delle 119 persone che sono state detenute dall’agenzia di Intelligence Usa e sottoposte a questo tipo di interrogatori (una addirittura oltre 180 volte) che, Dianne Feinstein, la democratica a capo della commissione del senato che ha condotto le indagini, non esita a definire vere e proprie torture. LE SCUSE “Sono stati fatti er- rori, ma si sono evitati attacchi contro gli Usa. Nell’applicare il programma di interrogatori, la Cia non sempre si è attenuta agli elevati standard che abbiamo stabilito per noi stessi e che il popolo americano si aspetta da noi”, ha affermato il direttore della Cia John Brennan in un comunicato facendo quasi eco alla dichiarazione di lunedì di George Bush che, piuttosto che prendere le distanze dalla Cia, si è affrettato a sottolineare l’importanza cruciale del lavoro dell’intelligence per il paese. Dal rapporto emerge anche che i metodi usati dalla Cia durante gli interrogatori erano così cruenti che gli stessi agenti chiesero di sospenderli ricevendo, però, una risposta negativa da parte dei loro superiori. L’ordine di sospensione dell’utilizzo di tali tecniche arrivò con l’insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca che ieri ha detto che la Cia ha “danneggiato il paese, è andata contro i suoi valori morali. Non accadrà più”. Affogamento simulato (nemmeno troppo) 525 PAGINE da ieri accessibili pubblicamente e che sono il frutto di cinque anni di indagini e del vaglio di milioni di documenti sparsi in diverse parti del mondo. Una piccola fetta di un rapporto composto da oltre 6.000 pagine che, per il momento, restano ancora, in gran parte, “riservate”, che rivela, tuttavia, macabri dettagli che contribuiscono a rendere una situazione già nota nelle sue linee generali, addirittura insopportabile nella sua assoluta inumanità. Una decina i punti chiave evidenziati dal rapporto che smentisce completamente le affermazioni dell’allora presidente George W. Bush che aveva reiteratamente assicurato che i metodi usati dalla Cia erano “umani e legali”. VIOLENZE RIPETUTE Un presunto terrorista è stato sottoposto 180 volte al waterboarding. Altri catturati per errore. Timori per le reazioni nel mondo arabo CAMBIO DELLA GUARDIA Bush ha lasciato la Casa Bianca a Obama il 20 gennaio 2009. Sotto, il direttore della Cia John Brennan Ansa IN CILE, nel 1975, i soldati e i servizi di sicurezza di Pinochet utilizzavano una residenza, chiamata Villa Grimaldi, come luogo di detenzione e tortura: fra le tecniche comuni negli interrogatori, c’era pure il waterboarding, ovvero, mettevano in posizione orizzontale i detenuti, gli premevano sul volto uno straccio bagnato e poi gli versavano sul viso acqua fredda. Ma i militari di Pinochet, così come gli agenti della Cia specializzati in interrogatori, non hanno inventato nulla. Secondo lo storico Ed Peters dell’Università della Pennsylvania, il metodo risale al quattordicesimo secolo ed era conosciuto come “tortura dell’acqua” o “cura dell’acqua”: i malcapitati erano spesso criminali , il sistema era rudimentale, con un tubo in bocca e fiotti d’acqua in gola; fu poi perfezionato dai marinai olandesi nel diciassettesimo secolo che ne facevano uso sulla “concorrenza” inglese nella sfida per la gestione del commercio nelle lontane Indie. L’intento da parte di chi conduceva gli interrogatori, ieri come oggi, è sempre lo stesso: portare al limite il detenuto - è impossibile resistere oltre i due minuti - e farlo parlare dei segreti che conosce, senza lasciare alcuna traccia di tor- tura su di lui. Così utilizzarono il waterboarding - come ricostruito da un approfondimento di Npr, la National Public Radio americana, i giapponesi nel secondo conflitto mondiale contro i marines nel Pacifico, e gli stessi americani in Vietnam (il Washingon Post nel 1968 pubblicò persino una fotografia dell’interrogatorio di un vietcong), i francesi in Algeria e i Khmer Rossi in Cambogia, contro i loro stessi connazionali. Dopo l’11 settembre 2001, il waterboarding è diventato una sorta di “marchio di fabbrica” della Cia. Gli specialisti di Langley, dunque, hanno solo rispolverato una tortura tanto antica quanto terribile: questo non li rende meno responsabili. val.cat. 18 il Fatto Quotidiano MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014 BOB DYLAN CANTA SINATRA L’ALBUM USCIRÀ A FEBBRAIO DEL PIERO IN SALSA INDIANA TROVA IL PRIMO GOL SU PUNIZIONE Esce a febbraio il disco di Bob Dylan “Shadows In The Night”. Contiene 10 cover di Sinatra. “Da tempo volevo fare un disco come questo”, ha detto Dylan ADDIO AL “PICCOLO” DELLA FAMIGLIA ADDAMS: L’ATTORE AVEVA 59 ANNI Ken Weatherwax, l’attore che interpretò il piccolo Pugsley Addams nella serie tv degli anni Sessanta è morto all’età di 59 anni per un attacco cardiaco Alex Del Piero ha trovato la sua prima rete con la maglia dei Delhi Dynamos. Ha realizzato il suo primo gol nel campionato indiano con un capolavoro su punizione SECONDO TEMPO SPETTACOLI.SPORT.IDEE Una Genova felice. Anzi, due GENOA E SAMPDORIA VOLANO IN CAMPIONATO DIETRO ALLE CORAZZATE JUVENTUS E ROMA. COSÌ IN ALTO INSIEME NON LE SI VEDEVA DAI TEMPI DELLO SCUDETTO DI BOSKOV E DAI GOL A GRAPPOLO DELLA COPPIA SKUHRAVY-AGUILERA S di Malcom Pagani i chiamava Pippo Spagnolo, era il più grande tifoso del Genoa dal dopoguerra e della Sampdoria, semplicemente, negava l’esistenza: “Il derby è la partita che mi interessa meno al mondo, perché io con gli altri non gioco mai. Non li riconosco. Per me l’unico derby è quello contro gli argentini del Boca”. Dall’alto, in cielo, con le dita gialle di nicotina, i capelli in tinta e la battuta pronta, oggi Spagnolo vedrebbe le cose nella giusta prospettiva e forse, finalmente, cambierebbe idea. Dopo essersi inseguiti con gli insulti per decenni (“Rumente”, “Buliccio”) al ritmo di un “parlar camallo” che mascherava nello striscione feroce (“Noi siamo nordici / voi sudici” o anche “Se Via Isonzo è blucerchiata / Moana Pozzi è illibata”) i poveri orizzonti pallonari cittadini, i sostenitori di Genoa e Sampdoria possono guardarsi allo specchio e aspirare a qualcosa di diverso. In città, nell’incredulità generale che lenisce altre recenti ferite, si irride ora la Scala del calcio divenuta in un amen sottoscala e si discute seriamente di Champions League. A qualcuno, con ge- sto apotropaico incorporato (la scaramanzia pulsa da sempre tra i vicoli di un luogo magico e ad alto tasso di mistero ed esoterismo) vengono in mente paragoni con l’alba degli Anni 90. Fotografie. Rimandi. Coincidenze. Volti e voci. LO SCUDETTO vinto da quello straordinario filosofo di strada di nome Vujadin Boskov. Le rovesciate di Vialli, i calzini abbassati di Mancini, il basco di Osvaldo Bagnoli, le parate di Simone Braglia ad Anfield Road, i gol di Skuhravy, le rovesciate di Aguilera. Ai tempi in cui Gianluca Pagliuca sbagliava meno di quanto non si dedicasse a parare le mosche e il piccolo Pato d’Uruguay, anche nelle disgrazie giudiziarie, restava un figlio a cui perdonare tutto (Dentro o fuori / Pato nei nostri cuori) avven- alto rischio, accolto dalla Nord, come negli ultimi anni, da ironie e smaccato scetticismo. Dall’altro, l’esordio di Massimo Ferrero, il presidente “cinematografaro” succeduto al sabaudo petroliere Garrone, non aveva suscitato entusiasmi dalla Sud. Ora, prodigio, Preziosi è tornato ad avere agibilità democratica e persino applausi in tribuna d’onore e, miracolo, Ferrero cammina dalle parti di dio perché dopo aver incautamente auspicato il ritorno in Europa, ha per ora avuto ragione su tutto, mantenendo ogni singola promessa fatta. Sulla credibilità di Ferrero e sulle sue maniere inurbane, nei giorni in turarsi tra le ombre di Marassi non era uno scherzo. Quest’anno, un simile cammino virtuoso in campionato non l’avrebbe potuto immaginare neanche il più ottimista tra gli adepti di stanza al Ferraris. La stagione del rinnovato amore genovese per le aree di rigore era nata tra i fischi. Da un lato, quello genoano, li aveva copiosamente collezionati in estate proprio la squadra costruita da Enrico Preziosi. Il solito patchwork fitto di pezze e di scommesse ad cui le sue parole dovevano essere ancora sottoposte all’onere della prova, i teorici del buon gusto e della noia obbligata avevano già emesso una non reversibile sentenza di condanna.” È cafone”, “Ci fa vergognare”, “Questa società ha avuto sempre uno stile”. Adesso i disfattisti non si sentono più e Ferrero, invece di uniformarsi a quello degli altri, ne ha creato uno suo. Scatenato, irrituale, vincente. DERBY Pinilla e Objang durante il derby del 28 settembre vinto dalla Samp LaPresse DOPO le lacrime, la paura di retrocedere, le maglie fatte restituire d’imperio dalla curva e lo sciopero dei tifosi, ora la Genova del calcio ride nuovamente. Nella resurrezione di un ambiente depresso hanno avuto meriti chiari anche gli allenatori. Gasperini, il tecnico del Grifone che anni fa con il suo 3-4-3 si guadagnò l’Inter (forse, magari, osservando le macerie attuali, l’addio precoce non fu neanche sua esclusiva colpa) è tornato ad avere il coraggio di giocare alla pari con chiunque, il suo marchio di fabbrica in un recente passato. Ritrovata l’autostima, proprio come faceva l’indimenticato professor L’INCHIESTA Russia, ombre di doping di Stato di Luca Pisapia arebbe pesantemente compromessa anche S la Iaaf (Federazione mondiale di atletica) nel nuovo, enorme, scandalo doping esploso in Russia. Quella stessa Iaaf che per bocca del suo vicepresidente (e principale candidato alla futura presidenza) Seb Coe pochi giorni fa aveva detto che era intenzionata ad andare fino in fondo, anche a costo di sospendere l’intera atletica russa dalle gare internazionali. Quella stessa Iaaf che avrebbe dovuto collaborare attivamente con la Wada (agenzia mondiale antidoping) nell’inchiesta. Andiamo con ordine. La settimana scorsa, un documentario della tv tedesca Ard, realizzato dal giornalista investigativo Hajo Seppelt, accusa l’atletica russa di praticare un vero e proprio doping di Stato. L’inchiesta, dal titolo “Doping confidenziale: come la Russia fabbrica i suoi vincitori”, si avvale di preziose testimonianze: dalla maratoneta Liliya Shobukhova che confessa di aver pagato 450 mila dollari al laboratorio antidoping per tacere sulla sua positività e poter partecipare a Londra 2012, alla lanciatrice del disco Jevgenia Pescherina che dice che il 99% degli atleti russi fanno uso di doping. Poi ci sono l’ex fondista Yulia Stepanova, squalificata per doping, e il marito Vitaliy Stepanov, ex membro dell’agenzia antidoping russa Rusada, che raccontano il funzionamento del sistema: se sei famoso sei protetto dalla federazione, in costante contatto con ministri e funzionari per discutere quali atleti proteggere e come, se invece sei un pesce piccolo allora sei sacrificato dai piani alti, senza rendere pubblica la positività, e poi sostituito con qualcun altro. Non è la prima volta che l’antidoping russo finisce nell’occhio del ciclone. Nel novembre 2013 la Wada ordina la chiusura coatta del laboratorio della Rusada e la sostituzione del suo direttore. Mentre nel febbraio 2014, in piene Olimpiadi di Sochi, un giornalista della tv tedesca WDR riesce a farsi consegnare dall'Accademia Russa della Scienza di Mosca un milligrammo del doping di ultimissima generazione, il Full Size MGF: una sostanza che ha effetto sul potenziamento muscolare addirittura raddoppiato rispetto ai tradizionali ormoni della crescita, e che soprattutto non è possibile individuare con le tradizionali metodologie antidoping. Ritornando a quanto sollevato dall’ultima inchiesta, quello che emerge ora è un durissimo attacco alla Iaaf, colpevole di avere taciuto su oltre 150 casi sospetti tra il 2006 e il Franco Scoglio, ha delimitato anche il diritto di critica. Ai primi fischi ingenerosi (piovuti dopo il pari interno con il Verona) ha zittito i contestatori e ottenuto a brutto muso il dovuto rispetto. Il suo omologo, Siniša Mihajlović, dal canto suo ha dimostrato nuovamente la personalità già messa abbondantemente in scena da giocatore e non ha sbagliato un colpo creando un gruppo monolitico in cui gli interpreti sono intercambiabili e i giocatori rimessi a nuovo, da Okaka a Romero, sorprese inattese che hanno ora il dovere di ringraziarlo come si farebbe con un secondo padre. Se il domani sarà davvero dol- UNA CITTÀ STANCA Da una parte le solite rivoluzioni di Preziosi, dall’altra l’impresentabile Ferrero. Nessuno ci avrebbe scommesso, eppure funziona ce, si vedrà. Il torneo è a un terzo e se non si possono sigillare i sogni, non si può farlo neanche con le certezze. Ci sarà da soffrire, da lottare, probabilmente da incazzarsi come è nello stile di due squadre che per trionfare, sono costrette a correre due volte più degli altri. Adesso il vento è a favore. Per sapere se si trasformerà in una scimmia di luce, di follia e festa collettiva, lo si saprà in primavera. Non più maledetta, ma felice. È Genova. La Genova che non sperava più di esserlo. Sebastian Coe. Lo Iaaf avrebbe in mano una lista di 150 atleti sospetti non solo russi 2008, principalmente russi ma anche britannici, tedeschi e africani, ma ci sarebbero anche quattro italiani. E così ora mentre la Iaaf dovrebbe collaborare con la Wada nell’inchiesta sul doping di Stato russo, il Comitato Etico della Iaaf dovrebbe investigare sulle coperture offerte dalla stessa Iaaf al doping di Stato russo: un circolo vizioso che rappresenta alla perfezione la poca trasparenza e le connivenze degli organismi che gestiscono lo sport mondiale. SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014 19 Von Karajan, l’uomo che sconvolse la musica IL DIRETTORE D’ORCHESTRA DISCUSSO PIÙ PER LA SUA FIGURA CHE NON PER L’ARTE di Carlo Antonio Biscotto S e c’è un mito che aleggia, a volte in misura soffocante, sulla storia della musica classica del XX secolo, senza dubbio è quello di Herbert von Karajan, icona ed enigma, artista e personaggio. Il suo volto, incorniciato dai capelli bianchi sapientemente spettinati, fotografato sempre da sinistra (il suo lato migliore, diceva il maestro), ci guarda dalla copertina di milioni di album, video, Cd e Dvd. Il grande direttore d’orchestra salisburghese è senza dubbio colui che ha fatto più di ogni altro per far uscire la musica sinfonica dall’angusta cerchia degli appassionati e dei conoscitori trasformandola, nel dopoguerra, in un prodotto culturale di largo consumo. LE PERPLESSITÀ riguardano per lo più l’uomo che continua a essere sfuggente, enigmatico, opaco. A parte il carattere dispotico, la macchia più grande sulla sua reputazione è rappresentata dal suo passato politico. Von Karajan è stato membro del partito nazionalsocialista e, probabilmente proprio per questo, oggi la maggior parte dei direttori d’orchestra – a volte con pretesti poco verosimili – ripudiano apertamente la sua eredità musicale. L’approccio di Karajan alla musica – affermano quelli dei suoi colleghi che non lo amano – rappresenta una ideologia all’interno della quale l’esteriore apparenza di perfezione e la pulizia formale della sonorità orchestrale sono un fine, una sorta di stampo utilizzabile per tutto il repertorio, da Bach a Berg, da Mozart a Mahler. È proprio su tutte le leggende, gli stereotipi, le polemiche, le lodi, le critiche alimentati da Karajan che si interroga il nuovo documentario di John Bridcut – La magia MANGO Muore anche il fratello Infarto durante la veglia funebre di Caterina Minnucci e ne sono andati a distanza di appena un S giorno l’uno dall’altro, il destino ha voluto che restassero separati solo per poche ore. Giuseppe Mango, in arte Mango, per gli amici Pino, è stato stroncato da un infarto domenica notte mentre intonava davanti al suo pubblico uno dei suoi più grandi successi. Stessa sorte per suo fratello, Giovanni Mango classe 1939, scomparso ieri mattina per un malore improvviso che lo ha colpito mentre si trovava nella villa familiare di Lagonegro a Potenza, dove era stata allestita la camera ardente per il fratello. Una tragedia nella tragedia che lascia stupefatti. Nonostante il tempestivo trasferimento in ospedale, anche per lui, muratore in pensione e fratello maggiore dell’artista, non c’è stato nulla da fare. Del tutto inutili i tentativi da parte dei soccorritori che hanno provato invano a rianimar- lo per alcuni minuti prima del trasferimento al pronto soccorso. Le sue condizioni sono apparse subito gravi, ha perso conoscenza e non si è più ripreso, ma è arrivato ancora vivo in ospedale. Un brutto destino che nel misterioso gioco della vita e della morte, li ha uniti per l’ultima volta. L’artista Pino Mango appena sessantenne, è morto invece ancor prima di arrivare in ospedale, infarto fulminante. Domenica sera si stava esibendo a Policoro, nella sua Basilicata, non molto distante da casa, quando seduto davanti alla tastiera ha accusato il malore, quei pochi attimi in cui ha cercato di chiedere aiuto per lui sono stati fatali. A Lagonegro, la scomparsa anche di Giovanni, morto di crepacuore per il dolore grande della perdita di suo fratello minore, ha commosso tutta la cittadinanza che si è stretta intorno alla famiglia. Il sindaco ha proclamato il lutto cittadino per il giorno dei funerali che saranno celebrati nella Chiesa Madre della città lucana. e il mito di Karajan – trasmesso dalla Bbc lo IL MAESTRO DISCUSSO Herbert von Karajan, scorso 5 dicem- icona ed enigma, bre a circa 25 artista e personaggio anni dalla sua molto controverso: morte. Il docu- era filonazista mentario ha momenti suggestivi: interviste con i musicisti della Filarmonica di Londra risalenti ai primi anni Cinquanta, con colleghi quali Harnoncourt e Mark Elder e con alcuni solisti con i quali collaborò negli ultimi anni della sua folgorante carriera: Placido Domingo, Anne-Sophie Mutter e Jessye Norman. Ne esce un ritratto che fa giustizia di alcuni luoghi comuni. In realtà von Karajan, come uomo e musicista, non IL DOCUMENTARIO corrisponde alla caricatura di gelido perfezionista nella Filonazista, quale è stato confinato da ampi settori della critica mudittatoriale sicale. Il film documenta annel rapporto coi suoi che l’indubbia vanità del maestro. Non solo si preocmusicisti e vanitoso. cupava di essere ripreso e fotografato dal suo lato miglioMa fu un terremoto re, ma faceva in modo che il che resiste ancora suo primo flauto, James Galway – noto con il soprannome di “uomo dal flauto d’oro” – non apparisse mai flessibile i suoi orchestrali? Il nei film e nelle foto. Detesta- film avanza diverse ipotesi. va “il suo volto irsuto”. In Anzitutto ricorda il contratto realtà aveva una barbetta per di ferro che gli consentiva, di più sempre molto curata. ogni qual volta si trovava a Aveva in odio anche la cal- Berlino, di convocare i muvizie e sembra costringesse i sicisti a qualunque ora del musicisti a mettere una par- giorno o della notte, senza rucca quando il concerto do- preavviso e senza rispetto per veva essere filmato o tra- l’orario di lavoro. C’erano poi il suo magnetismo e il suo smesso in televisione. carisma che sembravano paMA IL DOCUMENTARIO di ralizzare le volontà indiviBridcut – al pari dei molti che duali degli orchestrali non lo hanno preceduto – lascia appena metteva piede sul posenza risposta l’interrogativo dio, alzava la bacchetta e li più importante: come riusci- guardava. In quel momento i va a produrre quella insupe- musicisti diventavano “sue rata armonia di suoni e a di- creature”, strumenti essi stesrigere con mano ferma e in- si. E malgrado tutto questo non è facile capire come riuscisse a imporre la sua volontà assoluta sui musicisti e sulla scena musicale dell’epoca. Il documentario di Bridcut conferma che la cultura musicale odierna non potrebbe tollerare il fenomeno von Karajan anche se la mitizzazione dei direttori d’orchestra è una realtà anche oggi. Preoccupa invece il masochistico impulso a distruggere il più grande mito musicale del XX secolo. Perché masochistico? Perché rifiutando Karajan rischiamo di sottovalutare l’intensità e l’incancellabile potenza del mondo di suoni da lui creato e l’uso visionario e pionieristico che seppe fare dei media. A un quarto di secolo dalla sua morte, lo si voglia o meno, Herbert von Karajan rimane un figura sismica della musica classica, un direttore d’orchestra che è stato capace di terremotare il panorama musicale e con il quale tutti ancora oggi debbono fare i conti. A prescindere da quello che era o quello che voleva far apparire. Renzi e suor Cristina, fenomeni da Youtube TRA I VIDEO PIÙ VISTI DELL’ANNO C’È QUELLO DEL PREMIER CHE CERCA DI ESPRIMERSI IN INGLESE. BENE I TALENTI SFORNATI DA X FACTOR, SPOPOLA ENRIQUE IGLESIAS di Valerio Venturi cosa serve il web? A cerA care notizie e approfondimenti o a cazzeggiare? La seconda che hai detto, direbbe il Corrado Guzzanti di “quelo”. Lo dimostra la classifica dei video più visti dell’anno su Youtube, da poco resi noti dagli addetti alla comunicazione del social di video più importante del mondo. I risultati, pubblicati per tutti anche sul blog youtube rewind, parlano chiaro. Cosa hanno cercato gli italiani? Ai primi posti, frattaglie di talent televisivi. E anche altrove. Ecco nel dettaglio. NUMERO dieci? Tenetevi forte, i connazionali hanno cercato la sfida epica tra Suor Cristina Scuccia contro Luna Palumbo. Cioè clip della religiosa trasformatasi in pop star per intercessione di dj Ax nel talent show “The voi- ce of italy”. Sopra, al posto 9, da X Factor, il rappettaro cattivaccio Fedez che piange perché commosso da un tenerissimo emergente capitatogli in esame. Andando ai posti alti, troviamo quindi i Pandellas, duo comico del varesotto, con una clip satirica sul mondiale disastroso degli azzurri. Ancora loro, al posto sei, con la parodia di Shakira cantante pop trash ufficiale di Brasile 2014. Nel mezzo, Tatiana Pilieva, dall’est con il progetto “First kiss”, un bianco e nero che mostra persone che si baciano. Poi ci sono video dedicati ai videogame, molto per nerd under 18, quindi la top 3. Al terzo posto, c’è Renzi che parla inglese. Cioè, che tenta di parlare inglese (cercatevi su vice.com la trascrizione dei suoi discorsi internazionali tradotti secondo un anglo- Suor Cristina a X Factor, una delle più cercate su Google LaPresse BILANCI Google ha fatto la classifica, un primo bilancio arriva anche da Facebook e i risultati non cambiano. Funziona quello che strappa risate sassone). Anche questo esilarante. Jackal è al secondo posto, con Gli effetti della serie Gomorra sulla gente. Anche in questo caso, un microfilm che fan riferimento a ciò che è passato su piccolo schermo. Al primo posto, ariecco la suora: la sorella Cristina di X Factor è in cima alle classifiche con il video “Blind 2”. Curioso che la Scuccia non sia considerata tra le pop star nei contenuti generici. Perché Youtube, cioè Google, ha reso pubblici anche i video musicali piu cliccati. Pop e rap. Qu parliamo solo dei numeri uno. Eccoli: spopola Enrique Iglesias con la sua hit “Bailando (Español)”, al primo posto. Katy Perry, zuccherosa, si sgola al secondo gradino con “Dark Horse (Official) ft. Juicy”. Poi Rocco Hunt, con “Nu juorno buono”, è al terzo posto. Tempo di bilanci. Oggi an- che Facebook, l’altro gigante della rete, ha reso noti dati interessanti. come sempre a fine anno, il social blu ha diffuso news sui dieci argomenti più commentati del 2014. COSA HA interessato, smos- so o divertito i navigatori del network di Mark Zuckerberg? qui le cose cambiano, rispetto ai fruitori dei video. C’è meno divertimento e più attualità. Nei trend topic per l'Italia c’è Papa Francesco al terzo posto, Matteo Renzi al quarto e il virus Ebola al decimo. Poi spuntano Mondiali di calcio, al primo posto, la Pasqua al secondo, e ancora, in ordine sparso, Serie A, festival di Sanremo e altre amenità. Ora manca solo Google, a rivelarci come passiamo il tempo in rete, a cercar cosa. Probabilmente svago, in e off line via di fuga da un quotidiano che suona più banale di un talent su Sky. 20 SECONDO TEMPO MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014 il Fatto Quotidiano SHIT AND DIE Torino, Palazzo Cavour, fino all’11 gennaio 2015 ARTE Torino, una città secondo Cattelan “SHIT AND DIE” A PALAZZO CAVOUR, L’EVENTO CONTEMPORANEO DELL’ANNO FINO ALL’11 GENNAIO CURATO DALL’ARTISTA PADOVANO di Laura Cherubini S hit and Die è un progetto espositivo originale concepito da un artista (che si definisce “in pensione”), Maurizio Cattelan, affiancato da due giovani curatrici, Myriam Ben Salah e Marta Papini, a Torino. Il “non-curatore” Cattelan è stato invitato dalla direttrice di Artissima Sa- FUMETTO rah Cosulich a fornire uno sguardo inedito sulla città e a metterlo in mostra a Palazzo Cavour che fu la residenza del Conte di Cavour. Esplorando con curiosità nei meandri della città i tre riscoprono oggetti provenienti dalla storia torinese e li mescolano con opere di circa sessanta artisti in un racconto per immagini. Vengono presi in considerazione vari aspetti: il di Stefano Feltri Sognando l’amore nella bora di Trieste IL RICHIAMO DI ALMA di Vanna Vinci, Bao Publishing, 80 pagg, 14 euro L’ULTIMO volume a fumetti di Vanna Vinci è l’adattamento di un romanzo del 1980 di Stelio Mattioni, scrittore triestino che è considerato uno dei massimi interpreti della cultura della città più misteriosa d’Italia, quasi un corpo estraneo lassù, scomoda per auto e treni, quasi isolata eppure così impregnata della storia nazionale ed europea. Si chiama “Il richiamo di Alma”, ma potrebbe essere anche un adattamento della canzone “Le passanti” di Fabrizio De André, quella dedicata “ad ogni donna pensata come amore”. La seconda strofa sembra la sinossi de “Il richiamo di Alma”: “A quella quasi da immaginare, tanto di fretta l'hai vista passare, dal balcone a un segreto più in là, e ti piace ricordarne il sorriso, che non ti ha fatto e che tu le hai deciso, in un vuoto di felicità”. La storia poteva passato industriale di Torino e il suo attuale declino, la tradizione magica ed esoterica, il feticismo per gli oggetti e il fascino del collezionismo, la città dell’Arte Povera, ma non solo… NE VIENE fuori una racconto colorito e discontinuo del luogo attraverso i suoi più disomogenei personaggi, una narrazione a tratti interrotta in cui le star sono Rita Pavone e Alba Parietti, ma anche e soprattutto la Contessa di Castiglione, Virginia detta Nicchia, che pare fosse stata incaricata da Cavour di sedurre Napoleone III al fine di trovare alleanze per la nascitura Italia e le cui foto appaiono nella sala Fetish tra i mobili dello studio di Cavour coperti da trasparente plastica. Il titolo è tratto da un’opera del 1984 di Bruce Nauman One Hundred Live and Die. TEATRO di Camilla pana come percorso narrativo non esauriente, costruito da una pluralità di punti di vista che attraversa vicende come la follia di Nietzsche e siti come il mercato multietnico di Porta Palazzo. Gli oggetti, che sopravvivono all’uomo, come ricorda nel testo in catalogo il filosofo Maurizio Ferraris, o meglio i feticci, hanno le più disparate provenienze, dall’unità residenziale Olivetti Tagliabue Rezza, il teatro si è fatto corpo ©Clamori al vento Flavia Mastrella, Antonio Rezza Il Saggiatore, pagg. 398, euro 19,50 L'OPERA d’arte di un attore è egli stesso: il suo corpo, il suo “spirito-muscolo”. Antonio Rezza riesce benissimo in quest’arte funambolica di tenere assieme il dentro col fuori, la sua fisicità nervosa con un’ancor più nervosa, se possibile, postura intellettuale: in scena, così come sulla pagina, egli è muriatico, aguzzo, picassiano. E anche chi non apprezza fino in fondo il suo teatro, perché troppo violento o “volgare”, dovrebbe leggere il suo recente libro “Clamori al vento. L’arte, la vita, i miracoli”, scritto con la sodale Flavia Mastrella. Finalmente un manifesto culturale redatto da due “intellettuali” che non si vergognano di dirsi tali: una raccolta di testi spuri, tranche de vie e stralci di canovacci, montata con piglio surrealista, debordante, L’INSTALLAZIONE svolgersi solo in una città di vento, fantasmi e illusioni come Trieste: un ragazzo viene folgorato da una fanciulla bionda in bilico sulla Scala dei Giganti, uno dei punti più belli della città. Passerà la vita a cercarla, incrociandola, spesso non riconoscendola se non da qualche dettaglio, chiedendosi se esista davvero, perché ogni volta abbia un aspetto diverso, quasi irriconoscibile. La misteriosa Alma parla poco, ma di lei al protagonista senza nome resta soprattutto una frase, “la vita bisogna percorrerla tutta, prima di decidere se è sogno o realtà”. E a quel punto, quando trovi la risposta, scopri che non era poi così importante, che proprio l’ambiguità era ciò che dava senso alle giornate. E l’ambiguità suprema, il campo in cui la realtà si confonde con i desideri e i sogni, è ovviamente l’amore. “Il richiamo di Alma” è uscito a puntate sul Piccolo di Trieste e ora torna in formato libro (ma orizzontale) per Bao. Come tutti gli ultimi romanzi di Vanna Vinci nasconde densità dietro un’apparente leggerezza di narrazione e disegno che potrebbe sembrare scarsa ricercatezza. E invece la Vinci si sta specializzando in fumetti eterei, sofisticati senza esibizionismi, dove tutto lo sforzo è a sottrarre il superfluo, la pesantezza, lasciando soltanto un’atmosfera di soffusa malinconia. Brevi slogan scritti al neon accomunano gli esseri viventi: una di queste frasi che compongono l’opera, che “sintetizza cento possibili modi, banali e tragici di vivere e morire” (Cattelan) è appunto Shit and Die che indica l’impotenza dei mortali rispetto al loro destino. Una tragica coscienza, filtrata sempre attraverso le armi dell’ironia. Articolata in sette sezioni la mostra si di- al Museo di Antropologia Criminale Lombroso, dal Museo di Anatomia Umana a quello del Risorgimento. Tra gli artisti troviamo torinesi irregolari e trasgressivi come Carol Rama e Carlo Mollino, gli architetti Gabetti e Aimaro d’Isola che immaginarono la città ideale di Talponia, Benglis, Creed, Emin, Export, Leonard, Tayou, Schinwald, Signer fino a giovani emergenti come Favaretto, Vezzoli, Carrubba e Halilaj. La mostra segna anche la riscoperta di un grande artista italiano scomparso e ingiustamente trascurato negli ultimi anni: Aldo Mondino che dispone di una sezione tutta per sé sotto il titolo di Aldologica. La sua Torre di Torrone è circondata dai Tappeti stesi fatti di compensato e appesi alle pareti. Tutto il lavoro di Mondino è un ludico e comico controcanto all’Arte Povera, la sua Torino non è la città dell’industria automobilistica Fiat e del suo indotto, ma quella delle pasticcerie, i suoi materiali non sono tubi e fascine, ma caramelle e cioccolato, le sue opere non sono “senza titolo”, ma si intitolano a motti di spirito, sono anzi giochi di parole concreti e praticabili. stralunato, cangiante, come gli “Habitat scenici” di Mastrella: “La volontà di mettersi a nudo, io con la forma e Antonio con il corpo, alla fine fa ridere, e ridere rinvigorisce il senso civico e l’autocritica”. Guai però a parlare di “impegno civile”: “L’arte non deve essere etica, non è fatta per essere la cornicetta dell’infelicità… Non ci interessa la gente che sta male, altrimenti staremmo lì ad aiutarla”. Scrollatosi da qualsivoglia pelosa retorica, Rezza è spettinato come Lac e vanta l’esattezza della crudeltà di un Artaud, i suoi cari maestri “mai letti. I libri belli non vanno letti, bisogna avere il coraggio di fidarsi”. Ora i due teatranti irregolari, approfittando della tournée editoriale, stanno ripro- di Diletta Giulio Mazzi ponendo alcune delle opere più famose: all’Elfo di Milano si è appena rivisto “Fratto_X”, mentre a Torino, da domani a domenica all’Astra, andrà in scena “Bahamuth” (stasera il libro è presentato al Circolo dei Lettori). Come a dire: “Finché il corpo funziona daremo spazio al teatro, con le prime infermità ci occuperemo del cinema, con la paralisi della scrittura e con le primissime ischemie potremo finalmente riordinare l’archivio”. Parlangeli Come scolpire la libertà di parola © Anything to say Davide Dormino e Charles Glass CHE IL PUNTO di vista sulle cose cambi le cose stesse, per quanto possa suonare retorico, è la realtà dei fatti: una verità soggettivamente oggettiva. E se questo meccanismo è lampante nella fotografia – per esempi pratici vedere la mostra di Cartier Bresson all’Ara Pacis di Roma – non è sempre facile spiegarlo a parole. Figurarsi con una scultura. L’operazione portata avanti da Davide Dormino (scultore) e da Charles Glass (scrittore e giornalista), va esattamente in questa direzione. “Anything to say?” è un progetto artistico dedicato a tutti, e che vuole arrivare a tutti, con lo scopo di simboleggiare la libertà dell’informazione, e il coraggio e la forza necessari a portarli avanti. È una scultura in bronzo, a grandezza naturale, di tre persone che stanno in piedi su una sedia. Una quarta sedia vuota è il posto dedicato al pubblico, che salendo al fianco dei tre potrà guardare il mondo dalla stessa prospettiva. Le tre persone rappresentate sono Chelsea/Bradley Manning, Julian Assange ed Edward Snowden: protagonisti della storia contemporanea, emblemi del coraggio di rendere pubbliche informazioni fino ad allora accessibili solo a pochi. L’opera si sposterà di città in città per sensibilizzare sui temi della disinformazione, dei dati detenuti da pochi, dei meccanismi poco chiari di gestione e controllo. Il progetto, frutto dell’esigenza di Glass di difendere ancora una volta la libertà di accesso all’informazione, sarà finanziato con una raccolta fondi su Kickstarter. Il video promo della campagna è d’impatto – sfrutta anche al motto “il coraggio è contagioso” – e si è posto come obiettivo 100mila £ (raccolti oltre 19 mila, a 23 giorni dalla fine della campagna). Davide Dormino ha recentemente esposto a Roma la sua “Derail”, un’opera posizionata su un evocativo binario morto, nell’ambito dell’Outdoor 2014. “Mi piace immaginare che nel mondo possa esserci un monumento che raffiguri tre rivoluzionari contemporanei, insieme ad altri che hanno cambiato il corso della storia di ogni paese – spiega su “Anything to say?” - Sono consapevole che l’altra metà del mondo li vede come tre traditori e per questo l’opera può anche esser vista come un’esecuzione pubblica”. SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014 21 DAL 1973 “Protestantesimo”, rubrica della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia ONDA SU ONDA IL PEGGIO DELLA DIRETTA Riforma del servizio pubblico: ora o mai più di Loris Mazzetti enzi ha capito che BerluR sconi, come ha fatto con tutti sin dall’epoca della Bicamerale di D’Alema, lo sta prendendo per i fondelli, lo vuole portare al voto sul presidente della Repubblica senza riforme per poter trattare chiedendo in cambio il consenso del Pd al suo candidato. Questa è l’unica spiegazione per aver dato il via, finalmente, alla riforma della governance della Rai. I tempi sono strettissimi, il rischio è che la nomina del prossimo Cda avvenga con la legge Gasparri e questo sarebbe, oltre a una iattura, inaccettabile per l’Europa. La squadra che se ne sta occupando è formata da Luigi Zanda nel ruolo di regista, poi Roberto Speranza, Antonello Giacomelli, Luca Lotti, Matteo Orfini, Salvatore Margiotta, Vinicio Peluffo, Marco Filippi, Mario Tullo e Lorenza Bonaccorsi. È riunita a oltranza per discutere la proposta da portare nella Commissione competente del Senato entro le dimissioni di Napolitano, per poi arrivare, al massimo a marzo, in aula per l’approvazione. A quel punto il governo potrebbe anche recepire il testo emanando un decreto legge d’urgenza causa scadenza del Cda Rai, in carica al massimo fino all’approvazione del bilancio. Se ciò avvenisse, la Gasparri sarebbe la prima legge ad personam a essere seppellita. Contrari Forza Italia (comprensibile impegno a preservare le aziende del capo) e il M5S che invece dovrebbe tuffarsi anima e corpo chiedendo in cambio l’appoggio del Pd alla propria legge sul conflitto di interessi persa in qualche Commissione. IL MODELLO per una nuova Rai (la cui proprietà potrebbe rimanere al Tesoro e alla Siae) a cui la squadra potrebbe ispirarsi è quello già discusso pubblicamente, detto duale, presente nel sistema bancario (Intesa), che garantirebbe alla Rai una gestione molto più snella: al posto del Cda e del Collegio Sindacale un Consiglio di Sorveglianza nominato, per una parte dai presidenti di Camera e Senato, i rimanenti da associazioni di settore o culturali come: Anica, Anci, Fieg, Confindustria, Sindacati, Conferenza dei Rettori, che sceglieranno tra esperti del settore della comunicazione (escludendo politici in carica), i tre componenti del Consiglio di Gestione, tra questi il presidente il cui ruolo assomiglierà più a quello dell’amministratore delegato. Solo il CdG opererà sul quotidiano e definirà le scelte strategiche della Rai. Speriamo che la squadra non dimentichi che gli unici proprietari del servizio pubblico devono essere i cittadini. Protestantesimo, il ‘900 abita ancora la notte Rai di Elisabetta Ambrosi vviso ai maniaci dello zapping notturno: una domenica su due, alle A una e trenta di notte, potreste perico- losamente incappare, su Rai due, in un programma che parla di verità, giustizia e misericordia. E per di più senza alcun riferimento a Vaticano, papi e parroci cattolici. Si chiama Protestantesimo, ed è la rubrica curata dal lontano 1973 dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia in convenzione con la Rai, e attualmente diretta da Marco Davite. Già lo studio segnala che il programma è antropologicamente diverso dal prodotto medio made in Rai: rosso e blu si alternano sobriamente su sfondo beige e parquet, mentre le luci soffuse illuminano scritte di testi sacri. I temi sui quali il conduttore Paolo Emilio Landi, accompagnato dalle musiche della band del jazzista e sassofonista Gabriele Coen, invita gli ospiti intervenire – uno a uno, senza effetto salotto – non hanno l’adrenalina della cronaca, ma di sicuro ci riguardano da vicino più del calcolo della Tasi o degli effetti della manovra. L’ultima puntata, ad esempio, partiva dal comandamento “non dire falsa testimonianza”, sottraendolo all’odore di sacrestia e declinandolo nei suoi aspetti universali. Niente economisti, politici, giornalisti: Protestantesimo è il regno di teologi – come Paolo Ricca che spiega perché “senza verità non si può fare giustizia” –, di rabbini, che raccontano come nell’ebraismo non si possa mai istituire un procedimento senza testimoni, di medici – come l’oncologo a cui si chiede se sia giusto dire sempre la verità a un malato grave o terminale – di psicoanalisti, come la junghiana Giovanna Gay, che spiega il potere liberatorio della verità in terapia. MA IL PROGRAMMA prende spesso an- che la forma, quanto mai necessaria, di inchiesta sui temi della libertà religiosa in Italia, ad esempio mettendo al centro di una delle ultime puntante, con interviste a studenti e docenti, il diritto negato nella scuola italiana a conoscere altre realtà religiose. Perché se gli studenti che non scelgono l’insegnamento della religione cattolica sono sempre di meno gli insegnanti di religione cattolica sempre di più? Come può ancora oggi una Gli ascolti di lunedì FRANCESCO Spettatori 4,33 mln Share 16,7% QUINTA COLONNA Spettatori 1,68 mln Share 7,91% reliquia di Don Bosco andare in giro per le scuole italiane? Perché la laicità nella scuola pubblica è seriamente compromessa? Questioni non proprio secondarie, di cui nessuno nell’informazione “diurna” si occupa. Proprio come l’enorme tema del dialogo interreligioso, in particolare il dialogo tra Cristianesimo e Islam, al quale il viene dedicato un approfondimento che cerca di spiegare perché l’Islam “insegna tutto l’opposto di ciò che fa l’Isis”. nsomma: mentre ci dobbiamo sorbire le dirette della Messa su Rai uno, un programma che cerca di rompere la malsana idea, diffusa soprattutto in Italia, che l’etica sia monopolio del cattolicesimo, con la disperante conseguente tesi che fuori da quel credo non ci sia nulla da credere, viene mandato in onda neanche in seconda, in terza serata, nonostante l’ascolto di voci di altre religioni, sia pure soprattutto cristiane, produca lo stesso liberatorio effetto che si ha seguendo le Olimpiadi dopo quattro anni di monoteismo calcistico. Chi potrò liberare Protestantesimo dalla sua gabbia notturna? Forse, solo papa Francesco. LEZIONI DI CIOCCOLATO 2 Spettatori 3,00 mln Share 12,4% PIAZZA PULITA Spettatori 1,14 mln Share 5,35% 22 SECONDO TEMPO MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014 il Fatto Quotidiano IL BADANTE L’APPELLO Non demolite la Costituzione Pubblichiamo ampi stralci del documento finale approvato dall’assemblea nazionale dell’associazione “Salviamo la Costituzione: aggiornarla, non demolirla”, presieduta dal professor Alessandro Pace, a proposito del ddl costituzionale n. 2613 “Renzi-Boschi” in discussione alla Camera e della nuova legge elettorale per la Camera (“Italicum”) in discussione al Senato. 1. L’assemblea ribadisce il proprio favore per la tesi, già sostenuta dal presidente Scalfaro, secondo la quale una legge di revisione costituzionale dovrebbe essere sottoposta a referendum confermativo quand’anche venisse approvata con la maggioranza dei 2/3 dei componenti di ciascuna Camera; auspica quindi che il Parlamento colga questa occasione per rivedere in tal senso l’art. 138 della Costituzione. 2. L’assemblea rileva la disomo- geneità che caratterizza il contenuto del ddl in quanto introduce contestualmente modifiche sia alla forma di governo sia alla forma di Stato. Così facendo il ddl viola gli articoli 1 e 48 della Costituzione – che proclamano rispettivamente la sovranità popolare e la libertà di voto – in quanto costringe l’elettore, in sede di referendum confermativo, a votare a favore o contro entrambe tali modifiche ancorché sia favorevole solo a una delle due. L’assemblea auspica (...) che il referendum debba avvenire separatamente per gruppi di disposizioni omogenee all’argomento trattato (…) e che la Camera disponga lo stralcio di una delle due riforme per consentire agli elettori di votare liberamente sull’altra. 3. Il fatto che il governo Renzi, contro ogni logica, abbia ritenuto di sottoporre all’approvazione del Parlamento la sola legge elettorale della Camera, autorizza l’assemblea a valutare contestualmente sia il ddl costituzionale n. 2613 sia l'Italicum (…). L'Italicum, distaccandosi dalle precise indicazioni contenute nella sentenza n. 1/2014 della Corte costituzionale, rischia di privilegiare la governabilità rispetto alla rappresentatività, anche e soprattutto in conseguenza del sistema prevalentemente monocamerale cui darebbe vita il ddl. Al riguardo è stato prospettato il rischio che il premio di maggioranza, a seguito del ballottaggio, possa spettare – senza adeguati correttivi sui requisiti per la partecipazione al ballottaggio – non alla prima lista ma alla seconda ancorché questa sia stata votata soltanto dal 20% degli elettori. Con la conseguenza che le verrebbe attribuito un premio assolutamente irragionevole. 4. Nel merito del ddl l’assemblea, pur convenendo sull’opportunità di aggiornare la forma di governo e quindi di attribuire alla sola Camera dei deputati il rapporto fiduciario col governo, Matteo Renzi e il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi Ansa PUNTO PER PUNTO L’assemblea nazionale dell’associazione presieduta dal professor Alessandro Pace in merito al “ddl Boschi” e dell’“Italicum” manifesta la sua decisa contrarietà all’accentramento di poteri in capo alla Camera, e quindi alla maggioranza di governo. La Camera (…), grazie alla sproporzione tra i suoi componenti (630) e i componenti del futuro Senato (100), potrebbe procedere praticamente da sola alla revisione della Costituzione, all’esercizio della funzione legislativa – tranne i pochi casi di esercizio collettivo di tale funzione –, all’elezione del presidente della Repubblica, dei componenti del Csm e di tre dei cinque giudici costituzionali. 5. Oltre all’assenza di un forte ed effettivo contro-potere esterno – il Senato essendo stato delegittimato quanto alla fonte dei suoi poteri, al numero dei suoi componenti e alle attribuzioni a esso conferite – l’assemblea rileva la carente previsione di contro-poteri interni: la disciplina delle garanzie delle minoranze parlamentari viene demandata ai regolamenti parlamentari (che sono approvati dalla maggioranza); nel procedimento legislativo viene escluso, salvo eccezioni, l’esame in commissione referente dei disegni di legge; non è stata prevista la possibilità di ricorso alla Corte costituzionale contro le decisioni delle Camere in tema di ineleggibilità, incandidabilità e incompatibilità, da anni auspicato dai più autorevoli studiosi. 6. I senatori non rappresentereb- bero più la Nazione, come se il Senato – ancorché ridotto a soli 100 componenti – non fosse anch’esso un organo dello Stato che partecipa al procedimento di revisione costituzionale e alla funzione legislativa, elegge il presidente della Repubblica e due dei cinque giudici costituzionali. Per quanto limitati siano i poteri riconosciuti dal ddl al Senato a fronte di quelli riconosciuti alla Camera (significativo è che il Senato non potrebbe istituire commissioni parlamentari d’inchiesta sulle materie sulle quali po- trebbe legiferare o esercitare il controllo!), ciò nondimeno allo stesso Senato viene attribuito sia il potere di partecipare alla revisione costituzionale sia alla funzione legislativa, senza però che i senatori siano eletti con suffragio diretto in sede regionale oppure grazie a un serio sistema di elezione indiretta. Ciò urta contro un principio fondamentale del costituzionalismo, risalente ad almeno 800 anni, secondo cui i detentori del potere legislativo debbono essere eletti dal popolo e al popolo debbono rispondere. (…) I 1032 futuri “grandi elettori” del Senato (tra consiglieri regionali e sindaci) “sceglierebbero”, tra di loro, i 95 senatori che continuerebbero a esercitare part time le funzioni di consigliere regionale o di sindaco, laddove in Francia sono 150 mila i “gradi elettori” (deputati, consiglieri regionali, consiglieri generali e delegati dei consiglieri municipali) che eleggono i circa 330 senatori. Il “tutto va bene” di Giuliano Ferrara di Oliviero Beha n QUALCHE giorno fa, a tiepido sullo scandalo di Mafia Capitale, sul giornale da lui diretto Giuliano Ferrara ha esternato. A lungo. L’articolo si intitolava “La Corleone dei cravattari”. Una bella articolessa, contro il “pensiero unico” della cronaca dei media secondo lo stile quasi sempre inutile dell’amato Falstaff de’ noantri: articolessa sbagliata, per almeno tre motivi. 1) La sottovalutazione dell’inchiesta, derubricata dall’uomo del Foglio a “bufala” tipo Amici miei, e del “migliaio di pagine della Procura”, quando la faccenda sta invece montando sempre più, le pagine delle sole intercettazioni sono più di 70 mila, possiamo aspettarci di tutto nei prossimi giorni, magari non solo al di qua del Tevere… 2) Il considerare tecnicamente esagerata la definizione di “mafia”, quando trattavasi secondo lui di qualche “ladro”, di “millantatori”, dei “cravattari” appunto e di un humus diffuso “in ogni grande città”: poi si scopre che gli agganci con Cosa Nostra e la ‘ndrangheta zampillano con palesi e gravissimi risvolti elettorali. 3) La disattenzione nei confronti della disgraziata mafiosità antropologica italiana, figlia del cosiddetto “familismo amorale” che ci perseguita e ci fa sciascianamente come siamo. Per cui non solo non è più affare di coppola e lupare, ma neppure soltanto di legalità o illegalità: si esce dalla porta principale del reato per rientrare dai finestroni dell’etica devastata e polverizzata. Lo so, a Giuliano che fa di sé provincia non piacciono i “moralisti”, tendono alla noia… Ma di questo passo la palude avanza e resta acquisita e indifferenziata. Il buco nero è assai più profondo di quel che sembra, e giacché in nulla si sopporta il vuoto, nella politica come nell’imprenditoria come nelle cooperative, nella routine quotidiana esso viene occupato da un altro pieno, appunto quello intercettato dalle indagini (fatta salva la presunzione d’innocenza). Ma questa vicenda macroscopica non è solo cosa giudiziaria. Non lo dico io, ma un libro di quattro anni fa che cito passim: “Eppure non ci vogliono i giudici per comprendere che la corruzione è tornata come forma normale di rapporto tra politica e impresa; che nessuno può pensare che si fermi sulla so- PERSEVERANZA A minimizzare il macroscopico buco nero della Mafia Capitale è rimasto solo l’intramontabile direttore del “Foglio” glia del centrosinistra; che questo rende ancora più indisponente e fragile il moralismo che si leva troppo spesso dalle nostre fila; che la risposta sta in un coraggioso cambiamento delle istituzioni, della rappresentanza, della forma politica; che l’esempio va dato prima di tutto da noi; che i cittadini vogliono testimonianze di una diversità dei comportamenti; che questo vale più di mille processi a Berlusconi; che, infine, per cambiare rotta non bastano piccoli accorgimenti, ma una virata, uno choc che ridia voglia al popolo di credere più profondamente nella nostra sincerità e voglia di alternativa…”. PIÙ CHE un libro sui partiti che non esistono più se non per quello che “non” dovrebbero essere (Oltre i partiti. Ed. Marsilio), è un libro sulle persone, su come sono diventate, su come considerano la politica ecc. C’è dentro tutto quello che ora le cronache riempiono di circostanze e nomi, senza aspettare riscontri né analizzare con un minimo di cura quello che è stato intercettato, in un’indistinzione sovrana dove tutto sembra eguale. Per il cinico Ferrara è una “supercazzola”, per Goffredo Bettini, autore del libro citato, era già allora invece un presepe degenerato alla moviola, in un discorso politico e culturale. Lo ripete oggi, dopo il ruolo importante giocato fino a qualche anno fa nel Pd romano, la distanza che ne ha preso nell’Alemanneide, gli schizzi di fango della centrifuga delle intercettazioni. In un mondo di “cecati” forse la sua lente di ingrandimento è preziosa. Oltre la canizza, certo… n PIOVONO PIETRE Racconto un sacco di balle, ma se le chiamo storytelling... di Alessandro Robecchi icesi un complesso sistema D di pubblicazioni, notizie, modi di comunicarle, stili innovativi, segnali mediastorytelling tici, ripetizioni ossessive perché il concetto entri anche nelle teste più dure, nuovi approcci, citazioni. Insomma un po’ tutto quello che una volta si chiamava “comunicazione” e ora fa più fico dirlo in inglese. “L'arte del raccontare storie impiegata come strategia di comunicazione persuasiva”, dice il vocabolario. Ecco. Ora va da sé che il confine tra storytelling e leggenda metropolitana è un po’ labile e viene ogni giorno superato. Molto spesso invece impatta con la realtà con la potenza di un frontale tra camion e allora si crea un effetto lisergico: da una parte lo storytelling, e dall’altra quello che succede veramente. Ora si può scegliere, naturalmente: abbeverarsi alla leggenda, che si ripete nella speranza che qualcuno la prenda per vera, oppure guardare ai fatti. Immaginiamo, per esempio, un medio imprenditore tedesco, o cinese che voglia investire qui. Potrà valutare lo storytelling corrente e ben oliato dai media – ottimismo, ripresa, riforme, Jobs act, camicie bianche, ministri da copertina, modernità, parole inglesi – oppure valutare lo stato delle cose: leggi complicatissime, giustizia lenta, corruzione, malavita, er Guercio, il mondo di mezzo e altro ancora. zista. Lasciamo da parte PAROLE, PAROLE Potrà leggere i discorsi gli slogan facili e leopol“luminosi e progressideschi e prendiamo inPoi capita che ciò che vece il succo: faremo, savi”, oppure i titoli delle remo – o meglio torneinchieste in corso. I reuna volta si chiamava remo a essere – sviluppecenti fatti di cronaca, comunicazione (in per esempio, rendono remo, cresceremo, attil’attuale storytelling goreremo capitali stranieri, inglese fa fico) impatti vernativo, tutto inceneccetera eccetera. trato sul futuro, un po’ Lo storytelling è positivo e con la realtà; l’effetto fuori luogo. Bella storia, ottimista e si lascia intenche si crea è lisergico insomma, ma smentita dere che domani andrà ogni giorno. Si è provatutto molto meglio. Into, è vero, all’inizio e per tanto, non domani ma un annetto a ridicolizzare che si opponeva oggi, uno non riesce ad avere un appalto al racconto sorridente, ottimista e posi- perché non conosce nazisti dell’Illinois, o tivo (“gufi”, è già parola sorpassata, sepol- di Roma, oppure viene licenziato, oppure ta), ma poi le smentite della realtà si sono viene demansionato, oppure ascolta la fatte implacabili, e quel racconto, quello solfa dell’abbassamento delle tasse più postorytelling, oggi non sfonda più, non con- deroso dai tempi di Ramsete II e si trova a quista. Non perché gli manchino elementi pagarne di più. Ecco, allarme: lo storyteldi fascino: a chi non piacerebbe essere ling renziano è molto distante dalla realtà. moderni, carini, sexy, glamour, con Futuro è un concetto luminoso ma distanun’economia frizzante e un governo di ra- te, mentre qui e ora di luminoso c’è pogazzini ben pettinati? Piuttosto perde cre- chino. E siccome sanno tutti che per avere dibilità perché fornisce immagini troppo un buon futuro si parte da oggi e non da distanti dalla realtà che si vive ogni giorno. domani, la storia scricchiola, stona, suona In certi casi, insomma, anche se è inglese e falsa, e può diventare irritante. Si richiede fa fico, costruire un elaborato racconto – un veloce ridisegno dello storytelling, una una narrazione – troppo lontano da quel cosa che in italiano potrebbe suonare così: che accade può trasformarsi in autogol. “Su, ragazzi, raccontatecene un’altra, che Un caso di scuola è l’uso del concetto di questa non ha funzionato”. “futuro” per la nuova classe dirigente ren@AlRobecchi SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano 23 MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014 A DOMANDA RISPONDO Furio Colombo Il naufragio di una società Mafia Capitale è una risposta anche a chi pensava che la giustizia nostrana fosse un problema di giorni di ferie dei magistrati. E all’uopo, direbbe Totò, ha preparato una legge sotto il titolo “Chi sbaglia paga”. Sbaglieremmo tuttavia se pensassimo che sul banco degli imputati ci sono solo i politici: anche il modo di raccontare la politica è naufragato: di certi personaggi si parla sempre in termini di agiografia, pubblicando i loro comunicati stampa. C’è un giornalismo che trova le notizie per nasconderle sotto al tappeto. D’altronde, abbiamo costruito una società senza meritocrazia, che ora ci frana addosso. Le ideologie tenevano l’uomo a freno dandogli un po’ di etica, appannate quelle è la foresta: ognuno risponde ai suoi istinti, appetiti, carriera. Siamo nella terra di mezzo: dalla democrazia transitiamo verso qualcosa d’altro. politica, rientrerà nei ranghi del suo Pd. D’altronde non sostiene che il suo ruolo non è politico ma soltanto sindacale? Delusi e sconfortati ci rifugiamo nel rivoluzionario pensiero di Francesco e nella lucida analisi di Raniero La Valle che scrive con grande lucidità e passione politica, tra le altre tante interessanti cose: “Che ci vuole un Partito nuovo, dove si cammina a piedi, si incontrano le persone, si studia e si fa politica, un partito con i gettoni... un Partito che giochi un’altra partita che non è quella del Potere, ma quella del bene dibile come l’ex simpatico sindaco interpreti il suo ruolo, siamo oltre la politica-spettacolo: lui si veste a seconda del target. Va dalla De Filippi? Si traveste da Fonzie, va dagli industriali? Impeccabile in giacca e cravatta e così via. Lui non fa politica, interpreta, non porta contenuti, affabula. Una volta un politico era le idee che portava avanti, Togliatti o De Gasperi non si vestivano a seconda delle platee alle quali si rivolgevano al massimo argomentato nel modo che poteva risultare più chiaro. Con Renzi siamo arrivati all’avanspetta- Corr uzione, vi spiego che cos’è CARO COLOMBO, che cos’è la corruzione? Non è una malattia, non è una necessità (il bisogno), non è (non può essere) un vanto perché deve restare segreta. Allora? Mario CREDO CHE L’ULTIMA ipotesi (un vanto) ci possa fare da guida. E poiché in tanti sono arrivati in questo “mondo di mezzo” in cui tutti appaiono corrotti o non contano, vediamo di rifare a ritroso il cammino senza cedere al luogo comune: “I corrotti ci sono sempre stati”. Vero. Ma qui, nell’Italia e nella Roma di oggi, siamo arrivati al comportamento abituale, diffuso e accettato. Ammettiamolo: “Lo scandalo” di cui si stanno gonfiando le notizie in questi giorni consiste non nell’immensa organizzazione di appropriazione indebita e di libero accesso ai fondi pubblici, ma nel fatto che i giudici lo abbiano scoperto, e ci stiano raccontando dettagli abitualmente riservati. Provo a mettere in ordine due o tre pensieri. La fine delle ideologie, nel senso del legarsi a un progetto di miglioramento della vita di tutti, di promessa elettorale e di impegno politico con un pubblico a cui si chiede sostegno (e che dubita, ma preferisce seguire la speranza di qualcosa) ha provocato un vuoto più grande del previsto. A questo vuoto si è arrivati in due mosse, la prima ovvia, la seconda imprevedibile. La mossa ovvia è l’imprenditore che si fa politico mostrando la sua ricchezza come modello per il futuro di tutti. Ognuno, da solo e contro gli impedimenti delle leggi, può diventare ricco o almeno più ricco, e comunque impara che ne ha diritto. Sto parlando di Berlusconi. L’evento imprevedibile è che chi avrebbe dovuto fare opposizione, perché custodiva valori più grandi (non il comunismo, ma le idee di uguaglianza, di comunità, di partecipazione), ha abbandonato il suo carico di progetti e speranze lungo la strada e ha deciso di presentarsi al confronto privo di ingombri. D’ora in poi la gara sarebbe stata alla pari: il niente valori di Berlusconi contro il niente valori delle tre tappe non felici della ex sinistra, Pds, Ds e Pd (in combina- la vignetta Francesco Greco Il partito che manca della dignità Caro Direttore, Renzi demolisce ogni giorno la nostra Costituzione ,il fascismo formato Salvini dilaga al nord ma anche al centro e si sposta pericolosamente anche al Sud , la cosiddetta “sinistra” del Pd fa finta di opporsi e quella antagonista, cui mi sento sentimentalmente e politicamente di appartenere, è come un pugile suonato e messo all’angolo. Tutto questo accade mentre Landini non intende cogliere la possibilità “storica” di raccogliere attorno a sé le forze capaci veramente di opporsi all’uomo solo al comando e costruire, finalmente, un fronte per difendere la Democrazia e una Sinistra che freni la pericolosa deriva neodemocristiana del nostro Paese. E la Camusso? Passata la bufera dello sciopero generale necessario per non perdere il potere contrattuale nei confronti del governo, pena la sua fine comune, solidale ed inclusiva. Un Partito non per sé, o per riesumare il suo passato ma per rappresentare e dare voce all’enorme potenzialità dei candidati ad una vita secondo equità e giustizia”. Un Partito che restituisca dignità e diritti ai lavoratori. Toti Costanzo I cambi d’abito del premier Renzi Per parlare ai giovani democratici il “Caro Leader” Matteo Renzi ha sfoggiato un inedito maglioncino rosso fiammante per accattivarsi la platea dei ragazzi. Si sa: si nasce incendiari si muore pompieri, o meglio, si nasce di sinistra si muore renziani. È incre- colo fatto e finito. Aspettiamoci di vederlo quanto prima parlando ad una kermesse di pizzaioli partenopei, nei panni di un Ciccio Formaggio 2.0. Mauro Chiostri DIRITTO DI REPLICA In riferimento all’articolo “Tessere e soldi, così s’è scannato il Pd”, pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 7 dicembre, vorrei solo precisare, senza alcuna polemica, quanto segue. Quando nel 2008 sono uscito dal PDL, il centrodestra andava alla grande e, come possono raccontare testimoni attendibili, mi era stato proposto il ruolo di assessore al turismo nonché vicesindaco di Roma, incarico poi andato a Mauro Cutrufo. Dal 1997 al 2008, come consigliere comunale di Roma, in solitario, ma molto in solitario, ho combattuto contro Cerroni e la discarica di Malagrotta, Caltagirone, il Fatto Quotidiano Direttore responsabile Antonio Padellaro Condirettore Marco Travaglio Direttore de ilfattoquotidiano.it Peter Gomez Caporedattore centrale Ettore Boffano Caporedattore Edoardo Novella Caporedattore (Inchieste) Marco Lillo Art director Paolo Residori Redazione 00193 Roma , Via Valadier n° 42 tel. +39 06 32818.1, fax +39 06 32818.230 mail: [email protected] - sito: www.ilfattoquotidiano.it Editoriale il Fatto S.p.A. sede legale: 00193 Roma , Via Valadier n° 42 Presidente: Cinzia Monteverdi Consiglio di Amministrazione: Lucia Calvosa, Luca D’Aprile, Peter Gomez, Antonio Padellaro, Layla Pavone, Marco Tarò, Marco Travaglio zione con frammenti di mondo cattolico opportunamente bloccato sia dai “valori non negoziabili”, sia dalla destra rigorosa del cardinale Ruini. Per chi si accostava alla politica, due segnali sono caduti: dove, come sono diversi i due schieramenti. E perché, in un mondo di sacrifici e di solitudine, non dovrei usare il passaggio nella politica per giovare a me e alla mia famiglia. Si è cominciato a dire: “Come tutti”. Restano le diversità morali degli individui. Se si piantasse, come in Israele, un albero per ogni “giusto” (in Italia “giusti” sarebbero coloro che non partecipano al bottino) non avremmo una foresta ma almeno un boschetto da indicare ai più giovani. La foresta invece è dalla parte della politica diventata affare con espedienti creativi a volte straordinari, e una capacità, che va riconosciuta, di innovazione continua. Ma da quando è sopraggiunta la novità distruttiva delle “larghe intese”, che ha il suo simbolo triste e indimenticabile nel caldo abbraccio di Maria Elena Boschi, giovane e gradevole simbolo di ciò che fu la sinistra, e del senatore Verdini, molto atteso anche dai giudici e simbolo autorevolissimo di ciò che è stato l’avversario politico, si è capito che ogni impresa, d’ora in poi doveva considerarsi congiunta. Cadevano insieme due frontiere, una fra uno schieramento (la promessa di arricchirsi) e la sua opposizione (che un tempo era l’uguaglianza). L’altro fra infra-politiche, reticolati di connessioni e di convenienze, amicizie fondate sui conti bancari sparsi nel mondo. Gli americani, sia nel giornalismo che nelle spietate serie televisive sulla parte in ombra della loro politica descrivono così questa nuova militanza: “What’s in it for me?” Io che cosa ci guadagno? Corruzione è quando questa parola d’ordine smette di essere vissuta come un reato (se ti beccano, poi passa, come una malattia) e diventa abituale, accettato e diffuso modo di agire. In un mondo senza bandiere e senza barriere è tutto più naturale e più facile. E molto più praticato. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42 [email protected] Panzironi e parentopoli, Mancini e scandalo Luneur, contro le vicende dell’appaltone Atac, del piano regolatore, dei Mondiali di Nuoto e contro tante altri illeciti così come ampiamente documentato. Sono uscito dal Pdl, e quindi da tutti i partiti, quando rivestivo l’incarico di capogruppo in consiglio comunale, con motivazioni forti che sono ben riportate in uno dei pochi articoli e in una delle poche interviste che mi furono fatte in quel periodo. A quel punto sono rimasto 5 anni a casa! E malgrado offerte da vari partiti, non ho accettato né chiesto poltrone che, ripeto, mi venivano offerte da tutti gli schieramenti. In compenso col mio piccolo Movimento per Roma, sono stato l’unico ad avere il coraggio di andare a Montecitorio a contestare il pranzo della vergogna tra Alemanno e Bossi subendo anche la carica dei leghisti e del Popolo di Roma di Alemanno. Dopo 5 anni, attraverso un gruppo di amici della società civile come Andrea Mondello e Lorenzo Tagliavanti, mi sono rimesso in discussione in una Lista Civica con Nicola Zingaretti, persona che ritengo capace e onesta. E dopo essere stato eletto sono serenamente nella Lista Civica Zingaretti avendo giurato, e così sarà, di non rientrare in nessun partito compreso il PD. Michele Baldi, capogruppo Lista Civica Zingaretti Consiglio Regionale Lazio In merito a quanto riportato nell’articolo “Scarica Marino e poi santificato. È il ballo del Pd”, a firma di Giampiero Calapà, voglio precisare che in nessuna occasione ho mai chiesto al sindaco Marino di proporre chicchessia per la giunta capitolina. Avendo fatto l’amministratore locale resto convinto che la scelta sia e debba rimanere una prerogativa del Sindaco. Lorenzo Guerini, vicesegretario Pd Prendiamo atto della precisazione del vicesegretario Guerini, ma confermiamo quanto scritto (rispetto all’indicazione di Mirko Coratti come nuovo vicesindaco data dallo stesso Guerini a Marino prima del coinvolgimento di Coratti nell’inchiesta Mafia Capitale) con il riscontro di diverse qualificate fonti. g.cal. Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42 [email protected] Abbonamenti FORME DI ABBONAMENTO COME ABBONARSI • Abbonamento postale annuale (Italia) Prezzo 290,00 e Prezzo 220,00 e Prezzo 200,00 e • 6 giorni • 5 giorni • 4 giorni • Abbonamento postale semestrale (Italia) Prezzo 170,00 e Prezzo 135,00 e Prezzo 120,00 e • 6 giorni • 5 giorni • 4 giorni • Modalità Coupon annuale * (Italia) Prezzo 370,00 e Prezzo 320,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Modalità Coupon semestrale * (Italia) Prezzo 190,00 e Prezzo 180,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento in edicola annuale (Italia) Prezzo 305,00 e • 7 giorni Prezzo 290,00 e • 6 giorni È possibile sottoscrivere l’abbonamento su: https://shop.ilfattoquotidiano.it/abbonamenti/ • Abbonamento in edicola semestrale (Italia) Prezzo 185,00 e • 7 giorni Prezzo 170,00 e • 6 giorni Oppure rivolgendosi all’ufficio abbonati tel. +39 0521 1687687, fax +39 06 92912167 o all’indirizzo mail: [email protected] ABBONAMENTO DIGITALE • Mia - Il Fatto Quotidiano (su tablet e smartphone) Abbonamento settimanale 5,49 e Abbonamento mensile 17,99 e Abbonamento semestrale 94,99 e Abbonamento annuale 179,99 e • il Fatto Quotidiano - Pdf (su Pc) Abbonamento settimanale Abbonamento mensile Abbonamento semestrale Abbonamento annuale 4,00 e 15,00 e 80,00 e 150,00 e * attenzione accertarsi prima che la zona sia raggiunta dalla distribuzione de Il Fatto Quotidiano Centri stampa: Litosud, 00156 Roma, via Carlo Pesenti n°130, 20060 Milano, Pessano con Bornago, via Aldo Moro n° 4; Centro Stampa Unione Sarda S. p. 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