Sala Verdi del Conservatorio
Martedì 11 ottobre 2005, ore 20.30
S TA G I O N E 2 0 0 5 • 2 0 0 6
Orchestre de Chambre
de Lausanne
Christian Zacharias direttore e pianista
1
Consiglieri di turno
Prof. Francesco Cesarini
Sig. Harry Richter
Sponsor istituzionali
Con il patrocinio e il sostegno di
Con il sostegno di
FONDAZIONE CARIPLO
Per assicurare agli artisti la migliore accoglienza e concentrazione
e al pubblico il clima più favorevole all’ascolto, si prega di:
• spegnere i telefoni cellulari e altri apparecchi con dispositivi acustici;
• limitare qualsiasi rumore, anche involontario (fruscio di programmi, tosse ...);
• non lasciare la sala prima del congedo dell’artista.
Si ricorda inoltre che registrazioni e fotografie non sono consentite.
Orchestre de Chambre
de Lausanne
Christian Zacharias direttore e pianista
Ludwig van Beethoven
(Bonn 1770 – Vienna 1827)
Brani dal balletto “Le creature di Prometeo” op. 43
Concerto n. 1 in do maggiore per pianoforte
e orchestra op. 15
Intervallo
Sinfonia n. 4 in si bemolle maggiore op. 60
Si ringrazia per il sostegno particolare a questo concerto
Ludwig van Beethoven
Brani dal balletto
“Le creature di Prometeo”
op. 43
Ouverture,
Adagio-Allegro molto con brio
1. Poco adagio
3. Allegro vivace
5. Adagio-Andante quasi Allegretto
16. Finale: Allegretto
Classico o romantico? Anzi: post-classico o pre-romantico? Insomma: con quale
aggettivo si può incasellare Beethoven in un compendio di storia della musica?
Ebbene: il programma di stasera sembra pensato proprio per dare una risposta
precisa a domande poste in questo modo. Ascolteremo tre lavori profondamente
diversi fra loro, per stile e destinazione, ma che tutti pongono con forza il tema
del rapporto fra presente arruffato (rivoluzionario, romantico appunto) e
passato ordinato (classico), con le complicazioni che conseguono, interpretative
e critiche. Si prenda per esempio il caso del balletto Le creature di Prometeo.
Di solito interpreti e studiosi lo trascurano, perché lo ritengono lavoro minore e
poco innovativo in quanto legato alle manierate movenze neoclassiche. Il che è
vero solo in parte. Sul versante dell’azione scenica, l’origine classica del lavoro è
indubbia. Nel preparare il libretto, il grande coreografo italiano Salvatore
Viganò (1769-1821), maestro di ballo della corte viennese, si era esplicitamente
ispirato alla mitologia greca, alla tragedia di Eschilo, a poeti francesi del
Settecento, anche al poema Prometeo (1797) del neoclassico italiano Vincenzo
Monti. La vicenda si riassume bene. In una notte buia e tempestosa, inseguito
dai fulmini di Giove, il trafelato Prometeo riesce a raggiungere le due creature
di argilla che prima aveva modellato e a portare loro il fuoco della vita. Ma
l’uomo e la donna che così nascono si rivelano privi di sentimenti. Prometeo
allora porta le sue creature senz’anima sul Parnaso, dove Apollo e le muse le
trasformano in persone vere, insegnando loro a padroneggiare le arti e le
passioni. C’è un momento drammatico, in cui la musa della tragedia Melpomene,
per eccesso di zelo, pugnala a morte il povero Prometeo. Ma il bravo Pan
rimedia con il suo flauto resuscitante e tutto finisce in gloria, con una grande
danza generale.
Diversa è la sostanza musicale. Non è vero che nel Prometeo manchino gli
strappi drammatici e che l’intero balletto (sedici numeri oltre a Overtura e
Introduzione, durata complessiva di circa un’ora) proceda con classica
compostezza. L’ouverture, che è il pezzo più noto, non è affatto “normale” in
senso classico. L’“Adagio” introduttivo attacca con otto robusti e dissonanti
accordi a piena orchestra che subito attraggono l’attenzione e aprono a una
sezione lirica in cui sensibile è la lezione del sinfonismo di Haydn. L’“Allegro
molto con brio” che subito s’innesta è un bel primo tempo di sinfonia da giovane
Beethoven, quello della Prima e (meno) della Seconda, tanto per intenderci. La
struttura è snella, la dinamica incessante, i fiati sono opposizione e alternativa
agli archi, il finale è a grande effetto.
I pezzi che seguono, praticamente sconosciuti, hanno tutti un loro grado di
interesse e originalità. La bravura del Beethoven orchestratore si nota
nell’introduzione all’azione vera e propria, intitolata La Tempesta: tuoni e lampi
escono da timpani e archi con successivi rinforzi di legni e ottoni in una specie di
prova generale della bufera della grande Sesta sinfonia “Pastorale”. Ci sono
sorprese musicali anche negli altri sedici pezzi che accompagnano l’azione coreografica, con alti e bassi nell’invenzione ma con risultato sempre efficace e
piacevole. Ne sono un buon esempio i quattro brani selezionati per stasera. Più
che il primo numero (un “Adagio” che accompagna Prometeo quando il fuoco
accende la vita alle sue creature) e il terzo (i tre che vanno sul Parnaso) sono
interessanti il quinto e il sedicesimo (e ultimo). Non solo perché sono le scene
più lunghe dell’intera partitura, circa sette minuti ciascuna, più della stessa
ouverture, ma perché vi troviamo le più incisive valenze musicali. Nella quinta
infatti abbiamo la presentazione di Euterpe, la musa della lirica e della musica,
di Tersicore ossia la danza, dello stesso Apollo; figure cui Beethoven associa un
bell’assolo di flauto, un lieve inciso ritmico, una cadenza di violoncello, in un
quadro timbrico di singolare trasparenza. Nell’ultima scena giunge, a sorpresa,
come conduttore di un articolato incastro di motivi diversi, il tema che sarà
ripreso pochi mesi dopo per le grandi variazioni che costituiscono il finale della
Terza sinfonia “Eroica”.
Ci sono insomma tanti elementi che rendono non secondario il ruolo del
Prometeo nell’evoluzione della musica e del pensiero di Beethoven. Anzi tutta
una serie di indizi portano a una conclusione inattesa. Riassumiamo. Sia
Beethoven che Viganò s’impegnarono a fondo nel balletto. Entrambi
inseguivano il mito della classicità ma erano fautori decisi del rinnovamento
artistico e civile, come dire dello spirito rivoluzionario che arrivava dalla
Francia. Una delle fonti del lavoro, il Prometeo di Monti è dedicato al “cittadino
Napoleone Bonaparte”. Il balletto è definito “eroico-allegorico”. L’ azione
descrive un eroe-demiurgo che, rischiando la propria vita, anima figure umane
inerti. La musica è classica nella forma ma anche attenta alle nuove “maniere”
(timpani, fanfare, marce militari) che arrivavano a Vienna dalla Francia
rivoluzionaria. E poi c’è il finale, che pare una prova generale della
monumentale sinfonia “Eroica”, originariamente dedicata al Primo Console.
Insomma, non ci dovrebbero essere dubbi: il Prometeo di Viganò e di Beethoven
non può che essere Napoleone Bonaparte.
La prima rappresentazione si ebbe al Burgtheater di Vienna il 28 marzo 1801 e
fu replicata per oltre venti volte, per quei tempi un successo straordinario.
Concerto n. 1 in do maggiore
per pianoforte e orchestra op. 15
Allegro con brio
Largo
Rondò: Allegro scherzando
Incisiva proposizione degli archi, rinforzo immediato dei fiati, vigorosi squilli di
trombe e forti rulli di tamburo, sicuro passo militare: è davvero folgorante
l’attacco del primo concerto per pianoforte e orchestra che Beethoven decise di
dare alle stampe. Tecnicamente non si tratta di una novità assoluta. Complice la
tonalità di do maggiore, cose simili erano state scritte tante altre volte sia da
Mozart che da Haydn. Però Beethoven mette quel tocco di aggressività, quel
senso dell’urgenza che sappiamo essere il sigillo del suo stile eroico,
rivoluzionario, romantico. Ci si aspetta dunque uno sviluppo pieno di drammi e
di contrasti, con il pianoforte impegnato in un impervio ruolo di “uno contro
tutti”. Invece non è così. Dopo le (poche) battute iniziali, quasi per magia, dal
tema principale scaturisce la melodia secondaria, che è dolce e incantata,
esempio perfetto di quel lirismo sognante che Beethoven aveva appreso
dall’amatissimo Mozart e fatto proprio fin dagli anni della giovinezza. Su questo
tema lirico l’orchestra indugia a lungo, fiorendolo dei timbri preziosi che
nascono dai dialoghi fra archi e fiati. Il motivo iniziale torna solo alla fine
dell’esposizione, in una variante che ha il suono di una banda militare. Del tema
lirico si impossessa subito il solista, che comunque rinuncia a ogni contrasto con
l’orchestra; semmai ne ammorbidisce i toni marziali con scintillanti giochi di
arpeggi e trilli ogni volta che torna il motivo d’apertura. Non c’è vera dialettica
neppure nell’ampia sezione di sviluppo, solo severa integrazione di timbri in un
intenso passaggio in tonalità minore. La riesposizione segue le simmetrie
classiche e solo nella lunga coda ritroviamo un minimo di piglio “eroico”, che la
cadenza lasciata all’improvvisazione del solista può esaltare o temperare.
Il solista tiene in pugno il materiale espressivo anche nel “Largo” centrale e lo
dispiega con la forza interiore che possiede solo una preghiera. L’orchestra
accompagna sottovoce, spesso lascia emergere la voce scura del clarinetto per
integrare i timbri gravi del pianoforte, altre volte si riserva il ruolo di incidere
con inaspettati “fortissimi” la trasfigurata staticità del canto. Ancora una volta
non c’è dialettica vera, ma solo sequenza di stati d’animo, che infine riassume
una coda di ampie proporzioni, ripetitiva, ipnotica.
La tensione si scioglie nel terzo movimento, concepito come classicissimo rondò,
incentrato su un vivace tema di danza che coordina una serie di strofe ora vivaci
ora riservate, comunque rese brillanti dalla insuperabile (in quei tempi) qualità
dell’inventiva pianistica di Beethoven. Non a caso, la parte del pianoforte fu
fissata definitivamente sulla carta pochi giorni prima della pubblicazione. Di
regola, infatti, Beethoven scriveva nel dettaglio le parti orchestrali mentre si
riservava il diritto di liberamente improvvisare la sua parte di solista. Così era
successo le numerose volte che aveva presentato, sempre con grande successo,
questo suo concerto impostato già nel 1795 e pubblicato solo nel 1800, dopo vari
collaudi a Vienna e in altre città dell’Impero.
Sinfonia n. 4 in si bemolle maggiore op. 60
Adagio, Allegro vivace
Adagio
Allegro vivace
Allegro ma non troppo
Beethoven si impegnò davvero a fondo per passare direttamente dalla Terza
alla Quinta sinfonia, facendosi guidare da quell’adrenalina che lo sosteneva
quando era impegnato nei cimenti eroici. Ma non ci riuscì. Fu la sua stessa natura, di uomo e di artista, a imporgli uno stacco. Anzi: a pretendere il ripristino
delle simmetrie e degli equilibri di matrice classica. La cronologia non lascia
margini di dubbio. Sappiamo che Beethoven lavorò assiduamente alla Quarta
sinfonia nell’estate del 1806, a seguito di una specifica commissione dell’amico
e protettore conte Oppersdorf, che gli aveva offerto 500 fiorini per un nuovo
lavoro, con diritto di esecuzione privata in esclusiva per sei mesi. La composizione fu terminata in poche settimane e ai primi di ottobre la partitura era pronta, anche se la prima esecuzione in pubblico avvenne solo nel marzo del 1807.
Dunque è netto il distacco dalla Terza sinfonia “Eroica”, composta nel 18021804 e subito eseguita in privato, in casa del principe Lobkowitz (la prima pubblica è datata 7 aprile 1805). Invece è ben documentata una certa sovrapposizione con la Quinta, i cui primi due movimenti erano già in fase di avanzata realizzazione mentre Beethoven stava terminando la Quarta. È appena il caso di
ricordare che il 1806 fu per lui uno degli anni più prolifici, per quantità, oltre che
per qualità: videro la luce infatti nientemeno che la Sonata “Appassionata” op. 57,
il Quarto concerto per pianoforte op. 58, i tre Quartetti op. 59, il Concerto per
violino op. 61. Che la Quarta sia uno specifico frutto del suo tempo è documentato anche dal fatto che, scrivendola, Beethoven utilizzò materiali del tutto
nuovi, nel senso che non recuperò appunti giovanili come aveva fatto in altri casi,
e che solo nelle carte utilizzate l’anno precedente per l’opera Leonore (prima versione di Fidelio) si possono rintracciare vaghe idee poi confluite nella sinfonia.
È dunque chiara la volontà di Beethoven di cambiare registro rispetto al linguaggio sinfonico sperimentato nell’“Eroica”, ovvero di allentare la tensione
dialettica e di recuperare gli equilibri classici. Ma non si tratta davvero di un
ritorno a Mozart e Haydn. Le novità di architettura e di scrittura della Quarta
sono molte, segnano progressi importanti anche rispetto alla pur rivoluzionaria
Terza. Si osservi l’“Adagio” posto come introduzione al primo movimento. Non
è solo un omaggio al Caos sinfonico con cui si apre l’oratorio La Creazione di
Haydn (di cui tutto si può dire, tranne che sia “classico”) e neppure una metafora musicale dell’emergere dal profondo. È soprattutto una presentazione di
materiali musicali che ritroveremo nel resto della grande partitura. Per esempio, è dialettica fra archi e fiati, fatta di alternanza e sovrapposizione, ossia di
dialogo e integrazione, il tutto ridotto ai termini elementari delle linee e dei
punti, all’insegna della massima economia dei mezzi. Ora gli uni tengono note
lunghe mentre gli altri si muovono appena, ora comunicano per cenni rarefatti
in quanto essenziali. Su questi elementi, più ancora che sui temi espliciti che
pure sono facilmente riconoscibili, è costruito il successivo “Allegro vivace”, con
il suo magnifico gioco in eco fra violini acuti e gravi, in rapporto con ottoni e
legni, questi ultimi disposti in perfette sequenze di timbri, dove i fagotti anticipano oboi che cedono il passo ai clarinetti mentre corni e trombe, sostenuti dai
timpani, rendono esplosivo il pieno orchestrale. In particolare è il timpano a
dare un tocco magico alla partitura, quando, alla fine dello sviluppo, improvvisamente il suono del “tutti” si alleggerisce fino a quasi scomparire ed è appunto il suo “pianissimo” che diventa il punto di riferimento tonale, tira le fila dell’intero movimento, prepara la ripresa e la smagliante conclusione. Siamo in una
situazione perfettamente speculare rispetto alla Terza sinfonia, quando è invece il “fortissimo” degli ottoni a dominare lo sviluppo e l’assolo del corno che
porta alla ripresa. La distanza timbrica sembra siderale, ma è tutta dovuta alla
qualità della scrittura, tanto densa nella Terza quanto rarefatta nella Quarta,
pur essendo l’organico orchestrale praticamente identico. La Terza chiede in
più soltanto un terzo corno a integrare la coppia usuale, che troviamo di regola
anche nelle sinfonie di Mozart e Haydn.
L’attenzione al dettaglio timbrico è costante anche nei tre movimenti successivi,
che svelano il loro valore soprattutto se riletti con il senno di poi, cioè tenendo
conto delle sinfonie che vengono dopo. Del secondo movimento non sfuggirà l’accurata valorizzazione della dolcissima melodia principale, sottoposta a quel tipo
di sminuzzamento di intervalli e di durate che renderanno indimenticabili gli
“adagio” dell’ormai prossima Sesta e dell’ancora lontana Nona. Evidente è la
contiguità dei due ultimi movimenti della Quarta con i corrispondenti della
Settima, se non altro per l’incisività del ritmo e la costante vocazione danzante.
Ma è ovviamente con la Quinta che le simmetrie risaltano di più: la funzione
strutturale del timpano, per esempio; l’architettura dei relativi “Scherzi”; la
fusione a caldo dei due ultimi movimenti; la costruzione basata su incisi elementari. Si scoprono anche i dettagli che rendono tanto diverse le percezioni delle
due sinfonie: il si bemolle maggiore verso il do minore; il dionisiaco contro il
demoniaco; la velocità opposta all’urgenza. Non è dunque strano e neppure
casuale che le due sinfonie siano state composte nello stesso tempo. La Quinta
fu infatti impostata subito dopo il completamento della Terza, ma la stesura si
protrasse a lungo, sbloccandosi subito dopo la veloce realizzazione della Quarta.
Beethoven si rese ben conto di aver davvero bisogno di inserire un anello diverso nella collana delle sue sinfonie, e che doveva essere anche tecnico, non solo
emotivo. Ecco perché è indispensabile che la Quarta stia fra Terza e Quinta. E
se non si conosce il valore della Quarta sfugge la sinfonia delle nove sinfonie.
Si capisce anche perché la domanda che ci facevamo all’inizio era mal posta. Non
ha senso infatti cercare astratte classificazioni stilistiche di Beethoven (e in
generale di ciascun grande artista) nel gran fiume del proprio tempo. Perché è
l’artista stesso il padrone del suo Tempo, il moderno Prometeo che con la forza
e con le contraddizioni della propria immaginazione impone quei cambiamenti
radicali che confondono i sostenitori della continuità evolutiva della storia e
degli stili.
Enzo Beacco
CHRISTIAN ZACHARIAS
direttore e pianista
Christian Zacharias è nato nel 1950 a Jamshedpur, in India. Nel 1952 si è trasferito
con la famiglia in Germania. Allievo dal 1961 della pianista russa Irene Slavin alla
Musikhochschule di Karlsruhe, si è poi perfezionato con Vlado Perlemuter a Parigi.
Vincitore del secondo premio ai concorsi internazionali di Ginevra nel 1969 e Van
Cliburn nel 1973, nel 1975 ha vinto il primo premio al Concorso Ravel di Parigi.
Da allora Christian Zacharias ha suonato con le maggiori orchestre del mondo
(Berliner Philharmoniker, London Symphony, Concertgebouw di Amsterdam, Boston
Symphony, New York Philharmonic, NHK di Tokyo) con direttori di primo piano
quali Sergiu Celibidache, Colin Davis, Eugen Jochum, Ferdinand Leitner, Neville
Marriner, Kurt Sanderling, Horst Stein. È inoltre ospite regolare di importanti
festival (Salisburgo, Edimburgo) sia come solista sia in formazioni cameristiche.
Rigorosa è la scelta di Christian Zacharias sul repertorio, che si concentra su
una stretta cerchia di compositori: Scarlatti, Mozart, Beethoven, Schubert,
Schumann e Ravel.
Dal 1992 si dedica alla direzione d’orchestra. Ospite regolare di orchestre quali
English e Scottish Chamber Orchestra, Nederlands Kammerorkest, Orchestra
Filarmonica di Dresda, Orchestra di Santa Cecilia, Orchestre Philharmonique de
Radio-France, Orquesta Nacional de España, Los Angeles Philharmonic e
Bamberger Symphoniker, nel 2002-03 è stato direttore ospite principale
dell’Orchestra sinfonica di Göteborg e dal 2000 è direttore artistico e direttore
principale dell’Orchestre de Chambre de Lausanne. Nel 2000 ha eseguito nella
duplice veste di direttore e solista l’integrale dei concerti di Mozart con orchestre di
primo piano quali Concertgebouw di Amsterdam, Orchestre de la Suisse Romande,
St. Luke’s Orchestra, English Chamber Orchestra, Los Angeles Philharmonic,
Orchestra di Santa Cecilia, Orchestre de Chambre de Lausanne e Berliner
Philharmoniker. Per la stagione in corso ha in programma il debutto con la New
York Philharmonic Orchestra, Staatskapelle Dresden, le orchestre della Radio di
Colonia e Amburgo, il ritorno al festival di Tanglewood e La Clemenza di Tito di
Mozart al Teatro dell’Opera di Ginevra.
In campo discografico sono particolarmente conosciute le sue interpretazioni di
opere di Domenico Scarlatti (nel 1990 ha partecipato alla realizzazione di un film
sul grande compositore per tastiera napoletano) e di Mozart, del quale ha inciso tutte
le sonate e i concerti. Dal 1985 collabora in qualità di presentatore e moderatore di
programmi radiofonici musicali con France-Musique.
È stato ospite della nostra Società nel 1997 e 2004.
Orchestre de Chambre de Lausanne
L’orchestre de Chambre de Lausanne è stata fondata nel 1942 dal violinista e direttore
Victor Desarzens che nei suoi 30 anni alla guida dell’orchestra ha dato grande spazio
alla musica contemporanea con numerose prime di opere di compositori quali Frank
° In origine ensemble di soli archi, l’orchestra comprende
Martin e Bohuslav Martinu.
oggi 44 musicisti. Alla guida dell’orchestra si sono alternati direttori di primo piano
quali Otto Ackermann, Ernest Ansermet, Ernst Bour, André Cluytens, Antal Dorati,
Ferenc Fricsay, Lovro von Matac̆ić, Witold Rowicki, Günter Wand e compositori
quali Paul Hindemith e Frank Martin. Nel 1949 si è esibita per la prima volta
all’estero debuttando al festival di Aix-en-Provence.
Dalla stagione 2000-01 Christian Zacharias è direttore artistico e direttore stabile
dell’orchestra, succeduto a Armin Jordan (1973-1985), Lawrence Foster (1985-1990) e
Jesús López Cobos (1990-2000).
Il repertorio dell’orchestra, grazie anche al lavoro di direttori ospiti principali quali
Heinz Holliger, Okko Kamu, Jean-Jacques Kantorow e Ton Koopman, comprende
quasi quattro secoli di musica, dal periodo barocco a quello contemporaneo. Oltre ai
circa 90 concerti all’anno a Losanna, l’orchestra si esibisce con regolarità in Svizzera
e all’estero con tournée in Estremo Oriente e Sud America, ospite di festival di primo
piano (Evian, La Roque d’Anthéron, Edimburgo, Tibor Varga a Sion, Mentone,
Enesco a Bucarest, BBC Proms di Londra) e di istituzioni musicali quali Maggio
Musicale Fiorentino, Musikverein di Vienna, Alte Oper di Francoforte e Théâtre des
Champs-Elysées a Parigi.
La sua discografia, che conta più di 250 incisioni, comprende le recenti incisioni di
opere di Mozart, Schumann e Michael Haydn con Christian Zacharias nel duplice
ruolo di pianista e direttore. La Radio de la Suisse Romande, partner dell’Orchestra
fin dalla fondazione, registra e trasmette la maggior parte dei suoi concerti,
contribuendo al successo internazionale dell’ensemble.
L’attività dell’orchestra è sostenuta dalla Città di Losanna e dal Cantone di Vaud oltre
che da alcune fondazioni private.
È per la prima volta ospite della nostra Società.
Gyula Stuller, Julie Lafontaine, Delia Bugarin, Irène Carneiro, Stéphanie
Décaillet, Edouard Jaccottet, Piotr Kajdasz, Janet Loerkens, violini primi
Alexandre Orban, Isabel Demenga, Gabor Barta, Stéphanie Joseph, José Madera,
Catherine Suter, violini secondi
Eli Karanfilova, Nicolas Pache, Caio Carneiro, Michael Wolf, viole
Joël Marosi, Catherine Tunnell, Philippe Schiltknecht, Daniel Suter, violoncelli
Marc-Antoine Bonanomi, Daniel Spörri, contrabbassi
José Daniel Castellon, Anne Moreau, flauti
Lucas Macias Navarro, Markus Haeberling, oboi
Thomas Friedli, Curzio Petraglio, clarinetti
Dagmar Eise, François Dinkel, contrabbassi
Ivan Ortiz Motos, Andrea Zardini, corni
Marc-Olivier Broillet, André Besançon, trombe
Arnaud Stachnick, timpani
Anne Bassand, arpa
Prossimo concerto:
martedì 25 ottobre 2005, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Orchestra del ‘700
Frans Brüggen direttore
Thomas Zehetmair violino
Società del Quartetto di Milano, via Durini 24 - 20122 Milano
tel. 02.795.393 – fax 02.7601.4281
www.quartettomilano.it – e-mail: [email protected]
Il gran dilemma fra classico e romantico torna in grande evidenza anche nel
prossimo concerto, con un programma tutto dedicato a quel Mendelssohn che,
allevato nel culto della classicità, amico di Goethe e genio precocissimo, visse nel
turbine del primo romanticismo tedesco e segnò in modo definitivo il linguaggio
orchestrale dell’intero Ottocento. Ascolteremo tre capolavori che nascono dai tre
critici elementi di formazione di Mendelssohn: l’educazione berlinese, il viaggio in
Scozia e il soggiorno in Italia, ovvero il fascino delle nebbie nordiche, l’amore per il
sole mediterraneo, la mediazione della cultura germanica.
L’interpretazione è affidata a maestri che conosciamo bene: Thomas Zehetmair,
il cui strepitoso violino è perfetto in musiche di ogni epoca e stile e Frans Brüggen
che, con la sua Orchestra del ‘700, ha dimostrato che si può fare filologia musicale
senza compromessi artistici anche nel grande repertorio ottocentesco.
Programma (Discografia minima)
F. Mendelssohn-Bartholdy
Ouverture op. 26
Concerto in mi minore
“La grotta di Fingal”
op. 64 per violino e
(Abbado, London
orchestra
Symphony Orchestra
(Milstein, Abbado
DG Dig. 415 353-2)
Wiener Philharmoniker
DG 419 067-2)
Sinfonia n. 3 in la minore
op. 56 “Scozzese”
(Abbado, London
Symphony Orchestra
DG Dig. 415 353-2)
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programma di sala - Società del Quartetto di Milano