COMMISSIONE DI FORMAZIONE ALLA POLITICA
Tra pochi giorni la FUCI celebrerà a Piacenza il suo 60° Congresso Nazionale, sul tema “Un'economia per l'uomo. Quali sfide per il futuro?”. Nelle scorse settimane è già stato pubblicato sul sito della Federazione un Dossier tematico, a cura della Presidenza Nazionale, dal titolo Un'economia per l'uomo. Dalla crisi economica al ripensamento degli stili di vita volto ad approfondire le questioni che saranno trattate nei lavori congressuali.
Su questa scia, anche la Commissione Formazione alla Politica vuole dare un suo contributo, raccogliendo tre riflessioni.
La prima è realizzata da Flavia Modica, Presidente del Gruppo FUCI di Trento, la quale illustra che cosa è il consumo critico, alla luce di un percorso sviluppato all'interno del gruppo e durante l'ultima assemblea regionale del Triveneto.
La secondo è stata elaborata da Francesco Grossi e si ripropone di presentare la proposta economica, “l'altra via”, di Francesco Gesualdi e del Centro Nuovi Modelli di Sviluppo.
Infine il terzo contributo, anche questo realizzato da Francesco Grossi, approfondisce il tema del software libero.
In conclusione sono allegati i link a tre articoli recentemente apparsi sul sito www.benecomune.net. Auspichiamo che anche questi documenti, come quelli in precedenza pubblicati, possano servire per stimolare un proficuo dibattito all'interno dei singoli gruppi.
Luca Bilardo, Marta Cariolato e Francesco Grossi
14/04/2010
IL CONSUMO CRITICO
di Flavia Modica (Presidente Gruppo FUCI di Trento)
Cos'è il consumo critico?
Per rispondere a questa domanda si può far ricorso ad una delle schede delle “guide” di Unimondo, il portale web di informazione su pace, ambiente e giustizia economica e sociale (http://www.unimondo.org/Guide). Il consumo critico è una modalità di scelta di beni e servizi, che prende in considerazione gli effetti sociali e ambientali dell'intero ciclo di vita del prodotto e determina gli acquisti dando a tali aspetti un peso non inferiore a quello attribuito a prezzo e qualità. Tale atteggiamento nasce dalla considerazione che qualsiasi bene o servizio ha un “peso” sociale e ambientale.
Lo scopo del consumo critico è quello di ridurre al minimo questo peso, attraverso un'azione che si muove su due livelli: da una parte riducendo l'impatto ambientale e sociale della propria spesa e dall'altro contribuendo con le proprie scelte ad indirizzare le politiche dei soggetti protagonisti del mercato.
Il potere del consumatore
Pur essendone spesso poco consapevoli, i consumatori possono, attraverso le loro scelte, indirizzare le politiche del mercato. Tale potere, se ben gestito, è in grado di influenzare le scelte delle imprese inducendole a produrre in maniera etica e responsabile e a rispettare determinati standard.
Sebbene non esistano dei criteri predeterminati e fissi, vi sono dei parametri ai quali i c.d. consumatori responsabili fanno, di norma, riferimento per orientare i loro consumi. Tali criteri riguardano la dimensione etico­sociale e l'impatto ambientale del prodotto e dei meccanismi di produzione e di vendita rispettivamente del produttore e del venditore.
La scelta del consumatore equivale ad un voto che può promuovere questa o quella impresa, locale o internazionale. "Quando compri, voti. I consumatori esprimono un voto per ogni prodotto che scelgono e segnalano alle imprese i comportamenti che approvano e quelli che condannano. L'acquisto può trasformarsi in un sostegno alle forme produttive corrette o in un ostacolo alle altre". (Padre Alex Zanotelli, missionario comboniano)
La consapevolezza di un tale potere fa si che il consumatore sia un protagonista del mercato e non un mero fruitore passivo di beni. Negli ultimi anni la sensibilità dei consumatori verso queste tematiche è indubbiamente aumentata ed il consumo critico non è più confinato ad una ristretta nicchia di consumatori responsabili.
Come risulta da un sondaggio dell'Osservatorio Demos­Coop/La Polis pubblicato dal quotidiano La Repubblica il 17/7/2008:
• il 18,7% ha boicottato prodotti o marche per motivi etici, politici ed ecologici (boicottaggio)
• il 30,1% ha acquistato prodotti per motivi etici, politici ed ecologici (consumo responsabile)
• il 30,6% ha acquistato prodotti del commercio equo e solidale (consumo •
equo)
il 47% ha comprato prodotti per finanziare una buona causa (consumo filantropico)
Pratiche di consumo critico
I consumato hanno a disposizione diversi strumenti per incidere concretamente sulle scelte di mercato delle imprese.
Uno dei principali è, indubbiamente, il boicottaggio. Esso consiste nell'interruzione organizzata e temporanea dell'acquisto di uno o più beni e/o servizi per forzare le società produttrici ad abbandonare comportamenti che creano ingiustizia, impoverimento,inquinamento.
Vi sono due tipi di boicottaggio:
• “di coscienza”: risponde unicamente al bisogno di ciascuno di fare scelte d'acquisto che corrispondono ai propri principi etici.
• “strategico”: è intrapreso da gruppi organizzati al fine di causare un calo delle vendite e obbligare così l'impresa ad interrompere i suoi comportamenti scorretti.
Altro strumento sono i GAS (Gruppi di Acquisto Solidale): gruppi di persone che decidono di acquistare insieme dei prodotti all'ingrosso o direttamente dal produttore e di distribuirli successivamente tra d loro. L'aggettivo “solidale” sta ad indicare che tali gruppi utilizzano il concetto di solidarietà come criterio guida dei loro consumi; solidarietà che parte dai membri del gruppo fino ad estendersi ai produttori, ai popoli del sud del mondo,al rispetto dell'ambiente. Gli acquisti sono infatti orientati a prediliger i beni e/o servizi di produttori locali e di coloro che si conformano a determinati standard e rispettano le politiche del lavoro.
Altri strumenti di notevole importanza sono gli strumenti d’informazione c.d. “alternativa”.
Primo fra tutti la “Guida al consumo critico” del Centro Nuovo modello di Sviluppo. Tale centro, fondato da Francesco Gesualdi, è un centro di ricerca e di sensibilizzazione su nuovi stili di vita, finanza etica, commercio equo. La storia del consumo critico in Italia nasce proprio con questo centro.
Francesco Gesualdi, in “Altraeconomia”, riassume benissimo la convinzione di fondo che induce un consumatore ad utilizzare il proprio senso critico anche nei suoi consumi.
“La politica si fa in ogni momento della vita: al super mercato, in banca, sul posto di lavoro, all’edicola, in cucina, nel tempo libero scegliendo cosa e quanto consumare, da chi comprare, come viaggiare, a chi affidare i nostri risparmi, rafforziamo un modello economico sostenibile o di saccheggio, sosteniamo imprese responsabili o no; sosteniamo un’economia solidale e dei diritti o un’economia di sopraffazione reciproca.”
"L'ALTRA VIA" ECONOMICA DI FRANCESCO GESUALDI di Francesco Grossi
(Consigliere Centrale – Gruppo FUCI di Lodi)
Tante sono le proposte per un'economia diversa, più sostenibile. Il Centro Nuovi Modelli di Sviluppo, nel libretto "L'altra via" di Francesco Gesualdi, fornisce un'analisi lucida della situazione attuale e una proposta di società solidale verso cui tendere. Si propone qui una sintesi della proposta, che può essere approfondita nella pubblicazione, scaricabile gratuitamente dal sito www.cnms.it.
Secondo le più recenti stime del WWF (1), il bilancio ecologico del pianeta Terra è in rosso di circa il 30%, ovvero ogni anno viene consumato più di quanto l'ecosistema globale non riesca a produrre. Anche tralasciando problemi futuri, come il riscaldamento globale, ci accorgiamo facilmente di quelli che già ci sono: aria e acqua iniziano a essere un po' troppo inquinate, con i conseguenti danni alla salute e alla produzione alimentare; le risorse energetiche iniziano ad essere considerate bene scarso, e per questo più costoso; l'enorme quantità di rifiuti prodotti diventa un fardello sempre più scomodo.
Grandi problemi, che vengono solo aggravati di anno in anno grazie al modo in cui la nostra società genera ricchezza: la crescita economica. "Più prodotti" significa "più posti di lavoro e più stipendio", questo è il ragionamento che si fa. Questo meccanismo di produzione sempre crescente di ricchezza non fa che aggravare i già pesanti problemi ambientali. Anche mettendo in conto l'ottimo progresso tecnologico, che rende più efficienti azioni e prodotti, là dove c'è crescita economica ogni anno si creano più prodotti e più rifiuti e si consuma più energia rispetto a quello precedente (3).
Se il problema sembra già grande così, dobbiamo però ricordarci che la maggior parte dell'umanità ha un altro genere di guai non meno urgente, ad esempio riuscire a mettere in corpo le calorie necessarie per vivere. Oggi nel mondo qualcosa come due miliardi e mezzo di persone vivono con al più 2 dollari al giorno (4). Anche questa gente ha però diritto all'acqua potabile, a cibo adeguato, a cure sanitarie, istruzione, una casa. È gente che cercherà di arrivare a vivere con le stesse possibilità che ha ora il mondo occidentale, e questo processo può diventare esplosivo se viene ostacolato.
C'è stato un tempo in cui si pensava che in un mondo giusto tutta la popolazione mondiale avrebbe goduto del tenore di vita dell'occidente; oggi un pensiero del genere non ha più senso, visti i già grandi problemi che la pur ridotta popolazione ricca riesce a creare: se gli attuali 6 miliardi di individui dovessero vivere con lo stile di vita statunitense, occorrerebbero 5 pianeti Terra per supportarne i consumi.
Cosa fare allora?
Una risposta subito applicabile per i paesi ricchi è la riduzione dei consumi: una ribellione al sistema, che vede le persone come semplici consumatori. Diminuire i consumi per raggiungere un livello sostenibile, a cui tutta la popolazione globale possa vivere senza prosciugare il pianeta. Incidentalmente, meno consumi significa meno necessità di lavorare, e quindi più tempo per le relazioni e per il vivere la società.
Certo, una riduzione dei consumi significa anche recessione, parola che fa preoccupare i giornali e gli economisti, e rabbuia la giornata della gente che teme per il posto di lavoro. La soluzione proposta dal Centro Nuovi Modelli di Sviluppo (2) è l'"economia delle tre casette", o principi: il fai da te, la solidarietà collettiva, il mercato, pilastri su cui poggiare l'economia nel senso più ampio del termine. La prima "casetta" suggerisce di ampliare il più possibile gli interventi in autonomia, in contrasto con la tendenza attuale di lasciare a chi ne ha la competenza tutti i tipi di lavori: l'idea è quella che, se per molte cose è davvero necessaria competenza (es. riparare un computer), molte altre sono gestibili in autonomia (es. pitturare la casa, cucinare). Il fai da te consente di risparmiare, e tipicamente promuove sobrietà, ecocompatibilità, libertà. La seconda casetta è quella dello spazio pubblico, solidale: per Francesco Gesualdi occorre rivedere il modo di concepire i servizi statali, in modo da poter garantire a tutti il soddisfacimento dei bisogni fondamentali, come acqua, salute, istruzione, casa, indipendentemente dalle possibilità economiche del singolo. Per questo occorrerebbe saper distinguere tra bisogni fondamentali, e desideri: mentre i secondi potrebbero essere gestiti dal mercato, la terza casetta, i primi dovrebbero essere erogati dallo stato. Naturalmente questa forte spinta sociale andrebbe adeguatamente sostenuta economicamente ­ già ora le finanze pubbliche sono traballanti ­ dalla cittadinanza: un'ipotesi è quella di aumentare la partecipazione collettiva al mantenimento del bene pubblico, ad esempio tramite volontariato, servizio civile, tempo donato alla collettività. È da notare che per essere realizzate le proposte fatte dal Centro Nuovi Modelli di Sviluppo richiedono che ci sia un forte intervento della politica e un cambiamento della mentalità individualista oggi imperante: occorrerebbe rivedere completamente il nostro modo di rapportarci con la collettività, per passare da utenti di servizi a protagonisti attivi nella società (5). Che queste proposte siano realizzate o meno, dobbiamo comunque renderci conto che lo status quo sarà difficilmente mantenibile, e che anche continuando sull'attuale binario della crescita a tutti i costi le prospettive per i paesi occidentali non sono rosee: nel villaggio globale governato dal mercato ciò che conta è il profitto, per cui è scontato ad esempio che le aziende spostino le attività produttive nei paesi più poveri, dove il costo del lavoro è basso ­ e a quel punto le opportunità di impiego si sposteranno nelle aree povere; oppure sarà la crisi energetica ed ambientale a sferrare un duro colpo alle indebitate economie occidentali.
(1) Rapporto Living Planet, 2008. (2) Vedi ad esempio il Bilancio Economico Nazionale dell'Italia degli ultimi 10 anni. (3) Su www.cnms.it è possibile scaricare "L'altra via" di Francesco Gesualdi, per un approfondimento sull'argomento. (4) Fonte: World Bank, www.worldbank.org(5) Un bell'esempio in questo senso è Wikipedia, l'enciclopedia online, che è creata e modificata dagli utenti. SOFTWARE LIBERO: CONDIVISIONE DIGITALE
Francesco Grossi
(Consigliere Centrale – Gruppo FUCI Lodi)
In preparazione al prossimo Congresso Nazionale FUCI, approfondiamo un'esperienza molto forte presente oggi nel campo dell'informatica, che promuove la libertà e la condivisione in opposizione a una logica prettamente finanziaria del mondo digitale. Nel panorama complesso e sempre cangiante dell'informatica emerge da diversi anni una forte corrente di pensiero, detta del "Software Libero". Nata negli anni '80 a partire da gruppi di hacker e patiti del digitale, e pur con diverse interpretazioni tra i suoi sostenitori, si batte per un'idea collaborativa e solidale del mondo. Questo modo di pensare si esprime a partire dal codice sorgente, cioè quella raccolta di istruzioni, scritte in un linguaggio di programmazione, che costruiscono come mattoni ogni applicazione, programma e in generale software che usiamo sui computer. Se il codice sorgente di un programma è liberamente disponibile, chiunque ne abbia adeguate competenze può capire come agisca quel programma, e potrebbe modificarne qualche aspetto a seconda dei propri bisogni; se d'altra parte il codice non è libero (e detto quindi "chiuso", o "proprietario"), l'utente può usare il prodotto solamente come questo è stato concepito, ignorandone il funzionamento. Questa battaglia per promuovere la pubblicazione del codice sorgente inizia quindi come curiosità per pochi hacker interessati, ma ha implicazioni che sono molto più importanti e toccano il quotidiano di tutti. Innanzitutto la possibilità di accedere al codice sorgente rende più facile ottenere in modo gratuito un software, dato che a partire dal codice è possibile ricreare il programma. Della maggior parte del software libero è promosso l'utilizzo gratuito: i programmatori creano applicazioni "libere", nel senso che chiunque può scoprire come sono fatte, e usarle gratuitamente (esempi molto conosciuti sono OpenOffice, o il browser web Firefox); in questo caso i creatori del software devono ottenere un compenso in modi differenti dalla vendita, ad esempio tramite il supporto tecnico a pagamento, o a pubblicità veicolata grazie al software (lo stesso modello economico usato dalla televisione). Questo stile di gratuità ha un grande potenziale di solidarietà sociale, in quanto permette a chi ha meno, ad esempio i paesi poveri, di accedere a tecnologia avanzata senza dover spendere eccessivamente. In secondo luogo, la possibilità di conoscere il codice permette a chiunque di capire come un determinato problema sia stato risolto. Un programma è così sottoposto alla valutazione di molti occhi scrutatori e a una collaborazione di molti per migliorarne i difetti, in modo simile a quanto avviene per l'enciclopedia collaborativa Wikipedia, altro grande esponente di questa filosofia dell'apertura. Questo meccanismo permette inoltre di avere delle certezze sull'effettivo comportamento di un programma, ad esempio per quanto riguarda la sicurezza, la privacy e l'utilizzo di dati sensibili. Infine, la pubblicazione del codice promuove la creazione di strutture dati standard, ovvero modi di memorizzare tutte le informazioni (dati, documenti, immagini...) che siano fruibili, dato che sono pubbliche. Il classico controesempio è quello del documento in formato Microsoft Word, che non viene aperto correttamente né da programmi concorrenti né da versioni differenti di Office, dato che è in un formato proprietario. Questo problema va a inficiare la grande potenzialità di modifiche e duplicazioni rapide dei documenti digitali, ed è un fenomeno provocato soprattutto da aziende di software che puntano a costringere i propri clienti ad usare solo i propri prodotti per danneggiare la concorrenza e fidelizzare forzosamente gli utenti (fenomeno noto come vendor lock­in). In generale il mondo del software libero promuove la gratuità, la collaborazione, la condivisione, la trasparenza e la democrazia, opponendosi a un mondo orientato al profitto, in cui le possibilità di una persona siano limitate dalla volontà del potente di turno. ALCUNI ARTICOLI PER APPROFONDIRE ULTERIORMENTE
Il successo della responsabilità sociale a Wall Street di Leonardo Becchetti (26/03/2010)
I risultati di una recente ricerca in corso a Tor Vergata nell’ambito del progetto MISTRA evidenziano che la scelta di responsabilità sociale (CSR) ha effetti positivi sulla performance azionaria delle imprese quotate in borsanei momenti più acuti della crisi finanziaria come quelli dei fallimenti di Lehman Brothers e Washington Mutual. http://www.benecomune.net/news.interna.php?notizia=1054
L'impresa sociale come ammortizzatore sociale
di Giorgio Fiorentini (09/01/2009)
Per rispondere alla crisi, oltre agli ammortizzatori sociali tradizionali, è necessario promuovere e sviluppare l’impresa sociale intesa anch’essa come ammortizzatore sociale . Questa affermazione si basa su alcuni concetti aziendali dell’impresa sociale che si traducono in caratteristiche funzionali, operative e di gestione. http://www.benecomune.net/news.interna.php?notizia=633
Carità, verità e giustizia: una riflessione antropologica di Giovanni Grandi (26/03/2010)
Tommaso d’Aquino suggerisce di pensare alla giustizia anzitutto come una forma di restituzione: giustizia è restituire agli altri ciò che spetta loro. Noi siamo spesso portati ad interpretare questo invito pensando alla restituzione dei beni, ma possiamo immaginare anche una prospettiva più schiettamente antropologica. All’altro devo restituire ciò che gli spetta ancor prima dei beni, cioè la sua identità. Significa che giusto è anzitutto chi è disponibile a riconosce le persone nella loro verità, a fare i conti con tutto ciò che sono, e non soltanto con aspetti più o meno graditi – o vagheggiati – della loro personalità. http://www.benecomune.net/news.interna.php?notizia=1049
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