UNITÀ SINDACALE Falcri Silcea Viale Liegi 48/B 00198 – ROMA Tel. 068416336 - Fax 068416343 www.unisin.it RASSEGNA STAMPA UNISIN 8 MAGGIO 2014 A cura di Manlio Lo Presti RAS Banca Monte dei Paschi di Siena Esergo La fabbrica di Ivrea, pur agendo in un mezzo economico e accettandone le regole, ha rivolto i suoi fini e le sue maggiori preoccupazioni all'elevazione materiale, culturale, sociale del luogo ove fu chiamata ad operare, avviando quella regione verso una Comunità nuova... A. OLIVETTI, Ai Lavoratori, Edizioni di Comunità, 2013, pag. 29 ***************************************** ******* http://www.comedonchisciotte.org/ SUICIDI DI BANCHIERI PER SALVARE LE BANCHE ? Postato il Mercoledì, 07 maggio FONTE: DEDEFENSA.ORG Wall Street si salva dalla bancarotta "suicidando" i suoi dipendenti ? ZeroHedge.com ha accolto nelle sue colonne, il 28 aprile 2014, un testo di Wall Street On Parade dello stesso 28 apr. 2014 su un certo numero di suicidi (“suicidi” ?) che sono avvenuti lo scorso anno, particolarmente nella Banca JP Morgan, che ha vissuto delle difficoltà finanziarie. Questi suicidi (“suicidi” ?) hanno dato vita a delle speculazioni e a parecchie tesi differenti, collegate ben inteso al clima del settore finanziario e di Wall Street dopo il 2008. L' inchiesta di Wall Street On Parade (di Pam e Russ Martens) ha puntato sulla trasparenza. In particolare, sono stati chiesti alle agenzie federali responsabili di queste particolari problematiche dei dettagli su una assicurazione molto particolare, nota come Bank-Owned Life Insurance o BOLI «una pratica controversa che risarcisce la società quando muore un dipendente o un exdipendente." Nella foto: Dennis Li Junjie fotografato prima del suicidio (SCMP). I due giornalisti si sono resi conto che si tratta di un "segretocommerciale" a cui non hanno potuto avere accesso. Hanno comunque portato avanti la loro inchiesta, oggetto di questa pubblicazione. Così hanno saputo che JP Morgan ha sottoscritto una serie di assicurazioni BOLI per 10,4 miliardi dollari, che offrono una copertura per almeno 100 miliardi dollari, e forse diverse centinaia di miliardi di dollari in premi assicurativi ... Tutto l'insieme, ben documentato, suggerisce una spiegazione di questi suicidi (più che mai "suicidi"), come si può facilmente intuire - che apre la strada a scenari incredibili, che potremmo anche giudicare, per la loro straordinarietà, oltre qualsiasi tesi immaginabile finora. "Secondo i Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie, l'aspettativa di vita di un maschio di 25 anni con una o più lauree nel 2006 era di 81 anni di età. Ma negli ultimi cinque mesi, cinque impiegati maschi, con alto grado di istruzione, che lavoravano alla JP Morgan, nel pieno dei loro 30 anni e un ex dipendente di 28 anni, sono morti in circostanze sospette - compresi i tre che sembra si siano buttati dal tetto di un edificio - che si rivelano come casi statisticamente rari anche durante il culmine della crisi finanziaria del 2008. "C'è un altro punto imbarazzante che spinge a non considerare queste morti come eventi casuali - non si stanno verificando presso le sedi centrali di JP Morgan Citigroup. Sia JP Morgan che Citigroup sono istituzioni finanziarie globali sia come banche commerciali che come banche di investimenti. Il numero dei loro dipendenti è molto simile - 260.000 dipendenti per JPMorgan contro 251.000 per Citigroup". "Sia JPMorgan che Citigroup hanno stipulato delle quantità massicce di assicurazioni BOLI, di proprietà delle banche stesse, una pratica controversa che paga premi alla società, quando un dipendente o un ex-dipendente muore. (Nei casi di ex dipendenti, le banche svolgono una regolare attività di "spunta dei morti" per mezzo di controlli su documenti pubblici, utilizzando il codice di previdenza sociale degli ex dipendenti per conoscere se se l' ex dipendente sia morto e se si possa quindi inviare una richiesta di pagamento del premio di morte alla compagnia di assicurazione.) "Per Wall Street On Parade abbiamo studiato attentamente gli annunci mortuari pubblici degli ultimi 12 mesi per cercare nomi di defunti, dipendenti o ex dipendenti di Citigroup o del gruppo bancario, Citibank. Non abbiamo trovato dati che suggeriscano che Citigroup abbia vissuto la stessa esperienza di tanti decessi di giovani uomini sui trent'anni come accaduto a JPMorgan Chase. Non abbiamo nemmeno trovato notizie di stampa su impiegati del Citigroup che abbiano fatto qualche salto giù da qualche edificio. "Messi insieme tutti i fatti di cui sopra, il 21 marzo di quest'anno, abbiamo scritto a chi controlla le banche nazionali, l'ufficio del Comptroller of the Currency (OCC) [...] L'OCC ha risposto educatamente, con lettera del 18 aprile, dopo averci fatto una telefonata pochi giorni prima, per informarci che non ci sarebbe arrivato niente di ufficiale (sotto il sole) come prevede la legge. (A Wall Street, "sotto il sole" di solito significa "sotto una tenda scura".) La lettera dell'OCC ci informava che i documenti relativi alla nostra richiesta sarebbero stati trattenuti sulla base del fatto che erano documenti "privati o contenevano segreti commerciali, o informazioni commerciali/finanziarie, fornite confidenzialmente e che facevano riferimento ad affari personali o finanziari di privati cittadini" e che comunque si riferiscono a un " rapporto contenuto o relativo ad una indagine". "Il vero lato ironico è che i documenti non riguardano affari finanziari personali delle persone che godono di una giusta privacy personale. Le persone, per lo più, non stanno andando a incassare i premi di un'assicurazione sulla loro vita. In molti casi, non sanno nemmeno che esistono delle polizze di svariati milioni di dollari stipulati sulla loro morte che sono state negoziate dal loro datore o ex datore di lavoro. Altrettanto importante è il fatto che JPMorgan è una società quotata in borsa i cui azionisti hanno il diritto, in base alle leggi vigenti, di essere informati sull'origine dei loro guadagni - devono sapere se quei guadagni provengono dal settore bancario tradizionale o da operazioni di investimenti bancari. Oppure questa macabra pratica di trarre profitto dalla morte dei propri dipendenti oggi è diventata un importante contributo per i profitti di Wall Street? "Come si è visto, un aspetto delle informazioni cavallerescamente negate dal OCC è pubblicamente disponibile purché si abbia voglia di andare a cercarle. Il 24 marzo di quest'anno, abbiamo scritto che JPMorgan Chase deteneva (al 31.12.2013) 10,4 miliardi di dollari in attività BOLI presso la sua banca di depositi assicurativi. Abbiamo preso contatti con l' esperto di assicurazioni BOLI, Michael D. Myers, per capire che cosa possa rappresentare per JPMorgan detenere un pacchetto di 10,4 miliardi di dollari in BOLI presso la sua banca commerciale, in termini di valore nominale di assicurazione sulla vita dei suoi lavoratori. Myers ha dichiarato: "Senza conoscere la durata dell'investimento o il suo tasso di rendimento, è difficile stimare il valore nominale della copertura assicurativa. Tuttavia, un valore in contanti di 10,4 miliardi di dollari potrebbe facilmente tradursi in più di 100 miliardi di dollari di copertura assicurativa effettiva e non è da escludere che arrivi anche a due o tre volte questo valore" - ha detto Myers, socio dello studio legale di Houston, Texas McClanahan Myers Espey, LLP ...» Fonte : http://www.dedefensa.org Link: http://www.dedefensa.org/articleles_suicides_de_banquiers_pour_sauver_la_banque_29 04 2014.html 29.04.2014 Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org e l'autore della traduzione Bosque Primario. MA LA MERKEL E' AUTORIZZATA A COMANDARE IN EUROPA ? Postato il Mercoledì, 07 maggio DI NIKOLAI BOBKIN strategic-culture.org I Ministri degli Esteri dei 28 Paesi membri dell'UE si sono riuniti nella capitale Belga (Bruxelles, ndt) il 5 maggio scorso, in modo da poter discutere delle ulteriori sanzioni contro la Russia. Durante un incontro con il Presidente Obama, Angela Merkel ha detto che l'UE è pronta a dare il proprio assenso ad un nuovo pacchetto di sanzioni anti-russe. Il cancelliere tedesco sembra voler prendere in mano le redini e governare l'Europa senza chiedere il consenso dei partner. Per lo meno questo è l’atteggiamento con cui ha parlato al Presidente degli Stati Uniti. Quasi come fosse lei quella che comanda nel Vecchio Continente. La conclusione che si può trarre a seguito dell’incontro tenutosi negli Stati Uniti, è che la Merkel sostiene senza alcun dubbio le accuse degli Stati Uniti contro la Russia. In qualche modo i due leader confidano che la Russia riesca a stabilizzare la situazione in Ucraina entro la fine di maggio. Washington e Berlino vogliono che la Federazione russa sostenga il loro candidato alle prossime elezioni presidenziali. Gli alleati sono pronti a introdurre ulteriori sanzioni nel caso in cui Mosca ostacoli le elezioni. Questo è ciò che Obama ha detto durante la conferenza stampa congiunta, al termine del vertice. Il Cancelliere ha parlato a nome di tutta l'UE: "L'Unione europea sta preparando un pacchetto di misure che rappresentano il terzo livello di sanzioni contro la Russia. Ci tengo a sottolineare che questo non è necessariamente in linea con i nostri desideri". Il sostegno dimostrato al regime di Kiev da parte degli Stati Uniti e della Germania rischia di far pagare un prezzo elevato agli europei. In una certa misura la Germania è responsabile di aver scatenato la crisi in Ucraina nel novembre-dicembre 2013. Anche allora Berlino ha agito da sola, senza voltarsi a chiedere consiglio ai partner, sperando di poter far saltare il banco e incassare a piene mani. Niente da fare. Ora la Merkel sta cercando di glissarsi dietro la tenda in modo da cedere l’iniziativa alla Casa Bianca. La Germania vorrebbe porsi come una sorta di intermediario che assiste sornione al confronto tra Stati Uniti e Russia al contempo cerca di emarginare i partner europei. L'approccio condiscendente degli Stati Uniti verso l'Unione europea è ben noto. Usa la Germania come mezzo per trasformare la crisi interna ucraina in una crtisi di portata europea. I servizi segreti degli Stati Uniti non agiscono come spettatori passivi. Gli agenti della CIA e dell'FBI svolgono il ruolo di consulenti del regime di Kiev in materia di «lotta alla criminalità organizzata». A dozzine, aiutano i golpisti ad usare la forza per sedare i disordini in Novorossiya. Si sente parlare parecchio inglese tra le file dei «castigatori»; i nazionalisti locali usano fucili «made in USA» per sparare alla gente. Accusare la «propaganda del Cremlino» di quello che è accaduto a Odessa, è una vera e propria bestemmia. Il mondo ha visto il vero volto dei fascisti ucraini mentre lanciano bottiglie molotov contro i civili. Gli Stati Uniti sono complici di un crimine. Barack Obama ritiene che Kiev abbia il diritto di ristabilire l'ordine nell’Ucraina orientale. Il Paese sta affrontando le conseguenze della politica criminale degli Stati Uniti volta a supportare i facinorosi di Maidan. Washington è coinvolta nella guerra civile in quanto sostiene un regime fantoccio che è inaccettabile per la maggioranza degli ucraini. Questa sarebbe la «soluzione diplomatica» del conflitto secondo il canovaccio degli Stati Uniti. La Germania rischia di fare un grosso errore geopolitico schierandosi dalla parte di Washington. La radice del problema è l'espansione della NATO verso l'Est e il tentativo degli Stati Uniti di riorientare l'Ucraina, facendola guardare all'Occidente. Gli americani vedono l'Ucraina come uno Stato arretrato che sta andando fuori controllo, proprio al confine con la Russia. Ma l'Ucraina riveste particolare importanza anche per la Germania. Kiev usa i soldi occidentali per formare «squadroni della morte» per combattere in Novorossia, analogamente a quel che faceva la Germania nazista con i nazionalisti ucraini. Si equipaggiavano unità di polizia, i battaglioni Nachtigall e Roland, la divisione Galizia, le amministrazioni locali degli occupanti; tutti vennero formati in campi di addestramento segreti tedeschi. Centinaia di migliaia furono le loro vittime: polacchi, ebrei ed ucraini, ma i russi hanno sempre rappresentato il loro obiettivo principale. L’interferenza di Berlino negli affari interni dell'Ucraina può essere visto come un tentativo di far rivivere la vecchia politica volta a creare la «Mitteleuropa», un termine tedesco che designa l'Europa centrale. Nel secolo scorso la Russia ha dovuto contrastare i piani di egemonia tedesca durante due guerre mondiali. Nel 1945 la Germania finì in rovina ed i suoi piani di espansione in Oriente furono arrestati. Le attuali divisioni tra i cittadini tedeschi riflettono non solo la posizione filo-russa di gran parte della popolazione, ma piuttosto la riluttanza a sostenere la politica egemonica rispolverata da Berlino. Non tutti i tedeschi vedono i tragici eventi in Ucraina attraverso la lente dei metri cubi di gas non forniti dalla Russia o del mancato profitto economico legato alla non adesione alle sanzioni anti-Russia. Il 55% dei tedeschi ritiene che la Germania si stia docilmente accodando agli Stati Uniti nell’osservare l’evolversi della crisi ucraina. La Sinistra tedesca è la principale forza politica che si oppone agli Stati Uniti. Chiede l'adozione di una politica estera indipendente. Il partito gode di grande sostegno nella parte orientale del paese, l'ex Germania dell'Est. L'Alternativa per la Germania (Alternative for Deutschland), il partito degli euroscettici, una novità sulla scena politica tedesca, si trova su posizioni vicine a quelle della sinistra. L'opinione pubblica dimostra un sostegno al pacifismo che è diventato tradizionale per la Germania del dopoguerra. Il 61% degli interpellati è contrario a qualsiasi forma di presenza militare della Germania nell’Europa dell'Est, il 56% non approva l'entrata dell'Ucraina nell'Unione europea mentre il 67% ritiene che un conflitto con la Russia non è utile agli interessi dell'Unione europea e della Germania (1). Le dichiarazioni di Angela Merkel non riflettono quindi l'opinione pubblica tedesca. La sua belligerante retorica nei confronti di Mosca inizia ad avere dei contraccolpi e sempre più spesso mina la fiducia nella politica estera di Berlino. I vertici tedeschi saranno abbastanza saggi da ascoltare il parere della loro gente o finirà piuttosto per prevalere il sentimento di solidarietà verso Washington? La stessa domanda potrebbe essere rivolta ai vertici della Francia. La maggioranza dei francesi si oppone all'ingresso dell'Ucraina nell'Unione europea e all'ipotesi di fornire all’Ucraina dei contributi finanziari. La conferma è data dal sondaggio dell'IFOR (Institut Français d'Opinion Publique), pubblicato dal quotidiano di centro-destra «Le Figaro» secondo cui il 71% dei francesi è contro l'adesione dell'Ucraina all'Unione europea , mentre il 64% risponde «no» all'ipotesi di fornitura di aiuti finanziari all'Ucraina. Può Parigi permettersi di mettere gli interessi nazionali al di sopra dei piani americani per l'Ucraina? Le sanzioni anti-Russia sono un elemento della politica americana nei confronti della Russia. Grazie al supporto di Washington gli Stati europei palesano la loro sottomissione e l'incapacità di mantenere una posizione indipendente allorchè c’è di mezzo l’America. In questo modo anch’essi diventano complici dei crimini commessi dal regime di Kiev, tra cui il massacro di Odessa. Dmitry Peskov, portavoce del Presidente russo, ha detto che coloro che sostengono la giunta paramilitare al governo in Ucraina diventano, da oggi, criminali essi stessi. Nikolai BOBKIN Fonte: www.strategic-culture.org Link: http://www.strategic-culture.org/news/2014/05/05/is-german-chancellorauthorized-to-rule-europe.html 5.05.2014 Traduzione a cura di ROBICH per www.Comedonchisciotte.org 1. Die Deutschen gehen auf Distanz zum Westen (I tedeschi si allontanano dell'ovest) CRISI DELL'EURO OPPURE ARGENTINA/ISLANDA/MALES IA: QUALE SARÀ IL MODELLO PER LE CRISI FUTURE ? Postato il Mercoledì, 07 maggio DI ROGER BOYD Resilience.org Ogni Paese che ha adottato la valuta unica europea ( euro ) ha perso immediatamente il controllo della propria politica monetaria e del tasso di cambio. Mentre apparentemente venivano rimossi i rischi sui tassi di cambio, i tassi di interesse in molti paesi precedentemente ritenuti a più alto rischio, quali Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna ( i c.d. PIIGS), scendevano in maniera significativa e ciò provocava un significativo aumento del flusso di investimenti in questi paesi. Con tassi di interesse ribassati e un largo afflusso di investimenti esteri, questi Paesi hanno sperimentato una rapida crescita economica. Senza la possibilità di svalutare le loro valute a fronte di Paesi che riducevano il costo per unità più velocemente di loro, come la Germania, il deficit commerciale di questi paesi si è considerevolmente espanso. L'obiettivo dell'Euro era rendere la Germania più competitiva, poiché l'euro era valutato meno di quanto lo sarebbe stato il Marco tedesco, ma più delle precedenti valute PIIGS. Senza l'euro e il largo afflusso di investimenti in questi paesi, un deficit commerciale in così forte espansione avrebbe portato alla crisi molto prima. Fonte: http://1.bp.blogspot.com/6CkI6WF1bNM/T4tE6DmwT6I/AAAAAAAAAnQ /59sm5JC2yBg/s1600/Greek+imports+vs+exports.png Fonte: https://www.creditwritedowns.com/wpcontent/uploads/2012/07/Germanys-trade-surplus.png Quando ha preso piede la crisi finanziaria del 2007-2009, gli investitori sono diventati sempre più consapevoli dei rischi dei loro investimenti, e i fondi di investimento hanno cominciato a lasciare i paesi europei più a rischio. La dimensione di scala di questi spostamenti di denaro ha spinto verso l'alto i tassi di interesse, drenando fondi significativi dall'economia reale. L'impatto di questi cambiamenti è stato esacerbato dal numero delle bolle speculative sulla finanza e le proprietà che erano state prodotte dai precedenti bassi tassi di interesse e larghi afflussi finanziari. Il mondo economico in collasso ha ridotto anche l'export verso gli altri paesi, andando ad intaccare la bilancia commerciale. Il risultato finale è stato un collasso nelle economie dei PIIGS e il bisogno di azioni di ristrutturazione monetaria e finanziaria da parte dell'Unione Europea e dell'FMI per stabilizzare defaults fuori controllo. Tuttavia queste azioni non hanno rimediato alla situazione; al contrario hanno posticipato una crisi più ampia, a scapito di una larga riduzione della capacità di spesa dei governi e degli standard di vita. L'essenza di ciò è che la popolazione di questi paesi viene usata per proteggere le sempre più esposte banche europee e i maggiori investitori. Questi paesi avrebbero fatto molto meglio a lasciare l'Eurozona, riprendere il controllo delle loro politiche monetarie e di cambio e svalutare le loro valute per recuperare competitività. Ciò avrebbe creato un breve periodo di grande dolore, oltre il quale sarebbe iniziato il miglioramento, in contrasto con l'attuale lento affondamento verso la miseria. Un buon esempio di questa miseria è l'affermazione del Ministero della Salute greco che il trattamento del cancro “non è urgente se non nelle fasi finali” (1). Nel 1990 lo stesso processo si svolse in Argentina, che propose un tasso di cambio fisso pienamente convertibile con il dollaro USA per sconfiggere l'iperinflazione degli anni '80 (2). Per gran parte degli anni 90 funzionò, con il riversamento di investimenti esteri e l'abbassamento dei tassi di interesse, e l'Argentina sperimentò la stessa rapida crescita che i cinque paesi europei avrebbero mostrato nel decennio seguente. A fine anni ‘90 una serie di crisi finanziarie portò gli investitori a togliere i loro soldi dal paese. Questo causò un grande affaticamento dell'economia e della capacità della banca centrale di mantenere il tasso di cambio fisso e convertibile. Un grande aumento del prezzo del dollaro USA causò uno speculare aumento della valuta argentina, rendendo i prezzi dell'export meno competitivi. Ciò fu esacerbato da una svalutazione della valuta brasiliana, paese destinatario di quasi il 30% dell'export argentino (2). Il risultato finale fu una svalutazione ancor più grande della valuta, e un default causato dal debito sovranazionale dell'Argentina. Svalutando la propria valuta e mandando in default il debito estero, il Paese fu in grande di preparare il terreno per una vigorosa ripresa economica nel decennio successivo (2). Questo esempio fu seguito dall'Islanda durante la crisi finanziaria del 2007-2009, che si rifiutò di pagare i correntisti esteri delle sue banche e svalutò considerevolmente la sua valuta. Ancora, la crescita ripartì dopo un periodo di crisi molto intenso, ma breve (3). Sia il governo argentino che quello islandese furono costretti ad agire nell'interesse del loro popolo, piuttosto che dei finanziatori, a causa di estese proteste pubbliche e pressioni. In Islanda fu necessario l'intervento del presidente per forzare un referendum abrogativo delle decisioni dei politici. Nei PIIGS gli interessi dei finanziatori e dell'Unione Europea sono stati anteposti a quelli dei cittadini. Un altro caso parallelo fu quello dei paesi colti dalla crisi asiatica del 1998, dove l'unico paese che implementò controlli sugli scambi e proibì lo scambio offshore della sua valuta (la Malesia) riuscì ad uscire dalla tempesta, mentre Thailandia, Taiwan e Sud Corea dovettero sottoscrivere significative liberalizzazioni economiche e finanziarie in cambio dei pacchetti di aiuto capitanati dall'FMI (4,5,6). Lo stesso copione di sregolati afflussi di capitale in un paese, della conseguente bolla sugli asset, dei deficit della bilancia commerciale, e causa di altri problemi finanziari ed economici è stato ripetuto molte volte. Quando il sentimento cambia ne deriva una crisi, perché il più alto numero possibile di investitori scappa dalla porta sul retro nello stesso tempo, esacerbato da ogni sforzo per sostenere tassi di cambio fissi. Malesia, Argentina e Islanda hanno mostrato che i credi neo-liberali non sono sacrosanti e in molti casi sono solo profezie auto avveranti. Possono essere messi in campo controlli sui capitali, i debiti possono essere mandati in default, gli speculatori possono essere puniti per i loro comportamenti rischiosi, e il cielo non cadrà. Cosa ha a che fare tutto questo con l'argomento del cambiamento climatico, l'esaurimento delle risorse naturali e la distruzione ecologica? Poiché questi argomenti stanno diventando sempre più un impedimento al funzionamento delle moderne economie e dei loro sistemi finanziari, il flusso di denaro investito da un sistema caotico a un altro deve essere arginato, per proteggere le economie e fornire una relativa stabilità, necessaria ad una transizione di successo verso un futuro sostenibile. In più debiti, che richiamano schemi del futuro che non possono aver luogo, hanno bisogno di essere rinegoziati per permettere un'equa condivisione del dolore tra i ricchi e il resto del mondo. Inoltre i controlli sugli scambi, le ristrutturazioni del debito ecc., diventeranno un punto fermo del nostro futuro. Gli schemi di movimento senza sforzo di soldi e benessere attorno al mondo saranno cosa del passato, così come si contrarrà il mondo fisico, così farà quello finanziario. Investimenti locali, e investimenti in asset realmente produttivi come aziende agricole, daranno prova di essere molto più resilienti nelle future crisi di investimenti in asset finanziari in posti lontani. Roger Boyd Fonte: www.resilience.org Link: http://www.resilience.org/stories/2014-05-01/euro-crisis-or-argentinaiceland-malaysia-which-will-be-the-model-for-future-crises RIFERIMENTI: (1) Faiola, Anthony (2014), Greece’s prescription for a health-care crisis, The Washington Post. Accessed at http://www.washingtonpost.com/world/greeces-prescription-for-a-health-care- crisis/2014/02/21/adabb7ac-8db1-11e3-99e7-de22c4311986_story.html (2) Zaza, Rosanna (2010), Argentina 2001 – 2009: From the Financial Crisis to the Present, Amazon Digital Services. (3) Jonnson, Asgeir (2010), Why Iceland?: How One of the World’s Smallest Countries Became the Meltdown’s Biggest Casualty, McGraw Hill. (4) Lim, Mah-Huih & Goh Sooh-Khoon (2012), How Malaysia Weathered The Financial Crisis: Policies and Possible Lessons, The North-South Institute. Accessed athttp://www.nsi-ins.ca/wpcontent/uploads/2012/09/2012-How-to-prevent-the-next-crisis-Malaysia.pdf (5) Gidwani, Krishna (n/a), Korea and the Asian Financial Crisis, Stanford University. Accessed athttp://www.stanford.edu/class/e297c/trade_environment/global/hkorea.html (6) Nanto, Dick (1998), CRS Report to Congress: The 1997-98 Asian Crisis, Federation of American Scientists. Accessed at http://www.fas.org/man/crs/crs-asia2.htm °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°° http://ilmanifesto.it/ 7 maggio 2014 - ore 21:30 Alibaba allo scontro di civiltà Il gigante cinese dei servizi online arriva a Wall Street con i numeri sontuosi di un business tutt’altro che virtuale. Ma “è solo una stazione di servizio”, dice il suo creatore. Un modello che non tarocca l’occidente Gli osservatori s’industriano nel vergare locuzioni roboanti per descrivere la quotazione di Alibaba a Wall Street annunciata martedì: la più grande Ipo di sempre, il gigante che fa tremare la Silicon Valley, la tigre cinese che azzanna l’America. Ma per Jack Ma, fondatore e improbabile sacerdote degli Aliren, gli adepti di Alibaba, la quotazione a Wall Street è soltanto una “stazione di servizio lungo la strada verso il futuro”, come ha scritto in una lettera agli azionisti a metà fra le visioni ieratiche di Steve Jobs e la severa saggezza dei proverbi cinesi. © - FOGLIO QUOTIDIANO di Mattia Ferraresi – @mattiaferraresi °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°° http://www.liberoquotidiano.it/ CASSAZIONE PENALE All'evasore fiscale può essere sequestrata la polizza vita 07 maggio 2014 Se ci si macchia di un reato tributario è possibile subire anche il sequestro delle polizze assicurative sulla vita. Risulta dunque irrilevante, se si sconfina nel penale, il divieto di sottoposizione a misure cautelari o esecutive previste dal codice civile. Il principio è stato confermato dalla Corte di Cassazione, terza sezione penale, con la sentenza 18736 depositata martedì 6 maggio e di cui dà conto Il Sole 24 Ore. Dunque, gli evasori fiscali potrebbero vedersi prosciugata la polizza assicurativa sulla vita, una delle forme di previdenza complementare più sfruttate dagli italiani. Il ricorso - Il principio è stato sancito in Cassazione, che ha detto l'ultima parola sul caso di un contribuente finito nel mirino per dichiarazione fraudolenta e al quale erano state sequestrate tre polizze assicurative sulla vita. Dopo il rigetto dell'istanza di dissequestro stabilita dal Gip, l'indagato si era appellato al tribunale del Riesame, che aveva però confermato la decisione. Dunque il terzo e decisivo ricorso in Cassazione. Il principio in base al quale il contribuente si appellava sta nell'articolo 1932 del Codice civile, che prevede che le somme dovute dall'assicuratore al contraente (il caso di una polizza vita, appunto) non possono essere sottratte per ragioni esecutive o cautelari. Il principio - La Suprema corte ha però rigettato il ricorso, confermando la decisione già assunta dal Tribunale del riesame sulla legittimità del sequestro. Nel dettaglio, per i giudici, il divieto a misure cautelari o esecutive in casi simili riguarda soltanto la responsabilità civile, e non quella penale. Dunque, il sequestro preventivo può essere applicato anche, per esempio, a una polizza assicurativa sulla vita, uno strumento finanziario che, fino a questo momento, ha goduto di grande "popolarità" proprio per il fatto che era considerato non aggredibile in alcun caso da parte dei terzi. Sì alla fiducia: ecco come cambiano i contratti 07 maggio 2014 L’obbligo di assunzione diventa sanzione; il tetto del 20% di assunzioni, per attivare nuovi contratti di apprendistato, viene applicato alle imprese con più di 50 dipendenti; la formazione potrà essere sia pubblica che privata. Il Senato riscrive così il decreto legge lavoro e il governo lo blinda, incassando la fiducia con 158 sì e 122 no. Dopo le modifiche introdotte dalla Camera, e il via libera di Montecitorio con forti critiche all’interno della maggioranza, il provvedimento è arrivato al Senato con l’ipoteca di Scelta civica e Nuovo centrodestra, che hanno posto l’aut-aut: cambiare il testo, tornando in parte alla versione originale, o correre il rischio di non avere i numeri per approvare il Dl. La sinistra del Pd, quindi, ha dovuto cedere ad alcune delle richieste presentate dai colleghi della maggioranza. Il nuovo testo non torna al provvedimento presentato dal governo, ma fa un passo indietro su alcuni punti principali. Come la cancellazione dell’obbligo di assunzione, nel caso di sforamento del tetto del 20% dei contratti a termine. Via anche l’obbligo di formazione pubblica; mentre il vincolo di assumere il 20% degli apprendisti, per poter accedere a nuovi contratti, sarà applicata alle imprese con più di 50 dipendenti (nella versione uscita da Montecitorio era di 30 dipendenti). Novità importanti riguardano gli enti di ricerca, che non dovranno rispettare il tetto del 20% dei contratti a tempo determinato e dei 36 mesi (la possibilità di sforare i tre anni di contratti a termine riguarda solo i ricercatori) Preambolo - Viene riscritto il preambolo del decreto legge lavoro, inserendo il principio del contratto a tempo indeterminato con tutele crescenti. Con il provvedimento viene così prevista una fase sperimentale, che sarà avviata con la delega, di una terza tipologia di contratto. Sanzioni - Sono previste sanzioni per i datori di lavoro che sforano il tetto del 20% per i contratti a tempo determinato. La norma stabilisce che i contratti a tempo determinato, eccedenti il tetto del 20%, siano multati con una sanzione amministrativa pari al 20% della retribuzione del lavoratore per il primo contratto che supera il limite. La sanzione sale al 50% delle retribuzione per gli sforamenti successivi. I maggiori introiti saranno versati nel fondo special per l’occupazione. Periodo transitorio - Viene introdotto un periodo transitorio, per consentire alle imprese di adeguarsi alle nuove norme. Il datore di lavoro che, alla data di entrata in vigore del decreto, abbia contratti di lavoro a tempo determinato superiori al tetto fissato dalle norme «dovrà rientrare entro tale limite entro il 31 dicembre 2014, salvo che il contratto collettivo applicabile nell’azienda disponga un limite percentuale o un termine più favorevole». In caso contrario il datore di lavoro non potrà più stipulare nuovi contratti a tempo fino a quando non sarà rientrato sotto il tetto. Ricerca - No al tetto del 20% per i contratti a tempo determinato degli enti privati di ricerca e no al limite di 36 mesi per tali assunzioni. In sostanza la norma sui limiti ai contratti a tempo non verrà applicata ai ricercatori; inoltre viene inserita una deroga al limite massimo di durata dei contratti. Diritto di precedenza - Il diritto di precedenza alla stabilizzazione dei precari deve essere richiamato espressamente nel contratto. Del diritto può avvalersi il lavoratore precario con un contratto di oltre sei mesi nella stessa azienda, ma anche il lavoratore stagionale. Tetto apprendisti - Le aziende con oltre 50 dipendenti dovranno stabilizzare il 20% dei loro apprendisti, per poter stipulare altri contratti di apprendistato. Formazione mista - La formazione per l’apprendistato sarà mista, pubblica e privata. Le imprese, quindi, potranno sostituire le regioni nei corsi per la formazione. Odg apprendistato - L’inadempimento grave dell’obbligo di formazione trasformerà il contratto di apprendistato in contratto a tempo determinato. Lo prevede un ordine del giorno al decreto legge lavoro, che impegna il governo a emanare una circolare interpretativa che chiarisca in modo vincolante che, nel nuovo ordinamento, la violazione dei limiti formativi da parte del datore di lavoro «produce la conversione del contratto il cui termine coincide con quello originariamente previsto per il previsto di apprendistato». Lefa - Arriva il libretto formativo elettronico dell’apprendista. È stato approvato un Odg, del Movimento 5 stelle, che impegna il governo a introdurre il Lefa, stabilendo la definizione del modello, il formato di trasmissione e l’unificazione al libretto formativo del cittadino. PERSEGUITATI VIVI E MORTI Le follie del Fisco italiano: chiede un milione di euro a una orfana di cinque anni 02 maggio 2014 L’Italia ha probabilmente un nuovo e poco invidiabile record. Quello degli evasori più piccoli del pianeta. O per lo meno questa è quanto fa immaginare l’Agenzia delle entrate. Infatti nel dicembre 2013 ha inviato un avviso di accertamento a sei zeri a due bambini di 12 e 5 anni e alla loro mamma. La colpa? Essere gli eredi di un imprenditore, presunto evasore, deceduto nel 2010. Già così la storia avrebbe dell’incredibile, ma a questo bisogna aggiungere che la contestata elusione fiscale risale al 2004 e che da allora l’Erario non è stato in grado di chiudere la partita. L’imprenditore era accusato di «abuso di diritto», ossia di non aver pagato un milione di tasse attraverso operazioni considerate sulla carta lecite, ma in realtà, per l’accusa, eseguite esclusivamente per pagare meno imposte, senza un vero fine economico. Per questo a inizio aprile la vedova e la figlia più piccola, assistiti dal commercialista milanese Paolo Troiano, si sono presentati negli uffici dell’Agenzia delle entrate. Ma la bambina era così piccina che per mostrarla al vigilante dietro al bancone della reception, è stato necessario sollevarla da terra. Il guardiano non ha fatto un plissé e ha preparato i pass per tutti. Subito dopo i tre sono saliti nell’ufficio del funzionario di turno per il confronto. Alla fine viene stilato il «verbale di contradditorio del contribuente», in cui sono indicati nome e data di nascita dei convenuti. Il funzionario (difficile immaginarlo serio) annota che la «contribuente» più piccola («sig.ra» è l’appellativo di rito) è nata nel febbraio del 2009, mentre il fratello, rappresentato dal commercialista, è del settembre 2002. Una situazione talmente kafkiana che è difficile da descrivere anche per Troiano: «Il contesto giuridico fiscale italiano è talmente incerto e inaffidabile che anche i minorenni sono costretti al contraddittorio per fatti avvenuti quando non erano ancora nati. I clienti pensano che noi commercialisti siamo matti e che esageriamo la realtà. Per questo sono solito portarli con me, perché inizino a capire che cosa sta succedendo nel nostro Paese. Anche la bambina si è presentata con la sua carta di identità, è stata schedata all’ingresso ed è finita nel verbale». Il professionista contesta alla radice un sistema vampiresco che va a caccia di soldi anche dopo che il presunto evasore è defunto: «Sfido chiunque a ritrovare le carte di dieci anni prima, soprattutto se riguardano un imprenditore e un’azienda che non ci sono più. Ormai l’Agenzia delle entrate, con semplici pretesti, può perseguitare i contribuenti quasi all’infinito, grazie a una disposizione di legge che le consente di raddoppiare i termini dell’accertamento in presenza di violazioni “potenzialmente” rilevanti a livello penale. E questa norma viene utilizzata anche se il soggetto che avrebbe commesso il reato è morto da quattro anni». Ma che cosa è l’«abuso di diritto» contestato all’imprenditore defunto? «Per risponderle mi piacerebbe utilizzare le parole di Fantozzi dopo la visione della Corazzata Potemkin, ma preferisco essere urbano e dirle che è un regalo della Cassazione che si è inventata che l’amministrazione finanziaria può tassare le operazioni che ritenga abusive. Arriveremo al paradosso che ci contesteranno di aver evaso l’Iva per aver acquistato delle scarpe in un negozio dove costano 100 euro anziché 150». Ovviamente anche l’importo dell’accertamento in corso al «fantasma» dell’imprenditore è già finito nel calderone delle statistiche dell’Agenzia delle entrate: «Si tratta di dati manipolati per sostenere la falsa tesi che in Italia l’evasione fiscale sia la vera ragione dei problemi dello Stato ed evitare così di intervenire sulla spesa pubblica». Il commercialista ha, però, parole di comprensione per il funzionario che ha contestato la presunta elusione a una bambina di cinque anni: «È una persona corretta e precisa nel suo lavoro, un uomo che, con ogni probabilità, oltre ad applicare le leggi è obbligato a seguire le direttive dei suoi superiori che hanno tutte la stessa matrice: “Accertate, sempre e comunque”. Tanto non pagano mai per i loro errori». I guasti causati da questa ossessione per gli incassi del fisco secondo Troiano sono evidenti: «In Lombardia una serie di multinazionali giapponesi ha deciso di disinvestire perché “attenzionate” morbosamente dall’Agenzia delle entrate». Davanti a un quadro del genere il commercialista e altri suoi colleghi hanno iniziato a raccogliere una casistica di presunti abusi dell’autorità finanziaria in vista della pubblicazione di un libro bianco sul tema. Per esempio un’azienda agricola è stata punita per aver fatto «riposare» per un anno i propri terreni, una pratica usuale per i contadini, ma non per gli esattori che hanno contestato la mancata produzione di reddito. In un altro caso l’Agenzia delle entrate ha provato a emettere, su certi presupposti, un accertamento da 1 milione di euro, senza riuscirci, e due giorni dopo ne ha contestati 40. Grazie a questa piccola antologia di orrori fiscali, scopriamo l’odissea dell’imprenditore che ha provato a ottenere il rimborso dell’Irpeg: il contenzioso con lo Stato è durato a lungo e il privato ha vinto sino al secondo grado della giustizia tributaria. Purtroppo per lui, dopo anni, la Cassazione ha dato ragione all’amministrazione perché ormai i termini per il rimborso erano scaduti. Come si suol dire: oltre al danno, la beffa. Disarmante pure la storia del commerciante che aveva due negozi e che, a causa della crisi, ne ha dovuto chiudere inizialmente uno. Nonostante questo il fisco ha continuato ad assediarlo: i funzionari dell’amministrazione gli hanno fatto 2-3 controlli l’anno per gli scontrini. Tutti senza esito. Ma questo non è bastato a salvarlo. A causa degli studi di settore è stato pure costretto a iniziare numerosi contenziosi con lo Stato. Una trafila che lo ha stroncato e lo ha costretto ad abbassare anche la seconda saracinesca: evidentemente gli affari non gli andavano bene come ipotizzato dalle tabelle dell’Erario. Ma gli esattori, si sa, non demordono. Come dimostra l’ultimo aneddoto: un giorno hanno bussato alla porta di una donna completamente ignara per accollarle parte di un accertamento andato a vuoto nei confronti del compagno. Chi era presente giura che di fronte alle sue proteste il funzionario avrebbe replicato: "Peggio per lei che ha un uomo del genere. Perché non lo ha lasciato?". di Giacomo Amadori °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°° http://temi.repubblica.it/limes/ Energia: l’urgenza della Cina, l’Ucraina e i due forni di Putin di Demostenes Floros RUBRICA GEOPOLITICA DEL CAMBIO I dati sui consumi mondiali di energia spiegano le scelte di Pechino, la relativa tranquillità di Mosca e le diverse posizioni dei paesi europei. [Carta di Laura Canali] In aprile, i prezzi del greggio Brent e del Wti sono aumentati rispettivamente di quasi 3$/b (dollari al barile) e 1$/b, mentre il cambio euro/dollaro ha oscillato attorno a quota 1,38€/$. Secondo i dati riportati dal Bp statistical review of world energy 2013, nel 2012 il consumo di energia primaria mondiale è stato di 12.477 tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep), in aumento del 2,1% rispetto al 2011, quando aveva toccato i 12.225 Mtep. L’incremento è stato quindi pari a 252 Mtep, sostanzialmente equivalente all’energia consumata nell’arco di un anno dalla Francia (nel 2012, 245 Mtep), la 5ª economia a livello globale per pil nominale. Nel 2012, i principali consumatori mondiali di energia sono stati: Cina, 2.735 Mtep (13%*); Stati Uniti, 2.209 Mtep (17%); Ue, 1.673 Mtep (56%); Federazione Russa, 694 Mtep (esportatore netto), India, 564 Mtep (38%), Giappone, 478 Mtep (93%), Brasile, 275 Mtep (13%) e Italia, 163 Mtep (80%) [*tra parentesi il livello di dipendenza inteso come il contributo delle materie prime energetiche importate sul totale del consumo di energia primaria del paese]. Tra le grandi economie importatrici di materie prime, gli unici ad aver diminuito la propria dipendenza dall’estero (dal 21% al 17% fra il 2011 e il 2012) sono gli Stati Uniti grazie alla tecnica rivoluzionaria, nonché contraddittoria da un punto di vista economico ed ecologico, dello shale gas e dello shale oil. Al contrario, la Cina ha visto aumentare la propria dipendenza al 13% (nel 2011 era del 6%). Nel decennio 2003-2012, i consumi cinesi sono più che raddoppiati in termini assoluti, incrementando la loro quota sul totale mondiale dal 12,5% al 22%. Tra le principali economie mondiali, l’unico esportatore netto è la Russia, che nel 2012 ha ceduto sui mercati internazionali 624 Mtep, pari al 47% di quanto prodotto (e al 90% di quanto consumato internamente). La firma del contratto di 25 anni tra Rosneft e Cnpc (giugno 2013) dal valore di 270 mld di $ (per la fornitura di 365 mln di t di petrolio) nonché l’imminente stipula dell’accordo trentennale tra Gazprom e Cnpc per la fornitura di iniziali 38 mld di m3 di gas naturale (che cresceranno nel tempo sino a 68 mld di m3, via Eastern route) certifica la possibilità da parte del Cremlino di sviluppare la cosiddetta politica dei “due forni”. A ciò si aggiunga il rafforzamento della cooperazione strategica tra Mosca e Pechino. Questa situazione, tendenzialmente irreversibile, è la logica conseguenza della rapida redistribuzione dell’attività manifatturiera verso l’Asia, ma è anche figlia dell’impellente necessità di Cina e India di modificare la struttura del proprio mix energetico, muovendo dal massiccio utilizzo di carbone - rispettivamente pari al 68% e al 53% dei propri consumi totali - verso il più “pulito” e meno costoso (rispetto al petrolio) gas naturale, a oggi utilizzato solamente per il 5% da Pechino e il 9% da Nuova Delhi. Come può l’Unione Europea affrontare tale contesto geopolitico? L’Ue - il cui mix energetico rispetto a quello globale è caratterizzato da un minor uso di carbone e da un maggiore utilizzo relativo di petrolio e nucleare, ma non di gas naturale (24%) - ha diverse opzioni, che paiono specchiarsi nelle differenti politiche perseguite dai suoi membri nella crisi in Ucraina. La Polonia e i paesi baltici esprimono una posizione fortemente antirussa volta ad acuire il conflitto; la Gran Bretagna e la Svezia, che non sono membri dell’Unione economica e monetaria, si trincerano dietro l’opzione delle sanzioni statunitensi, volutamente poco efficaci secondo Stratfor. Germania, Italia e Spagna iniziano a premere per una via diplomatica, probabilmente dopo essersi resi conto che nel 2013, mentre gli scambi commerciali tra gli Usa e la Federazione Russa sono stati pari a 27.7 mld di dollari, quelli tra Bruxelles e Mosca hanno raggiunto i 410 miliardi. Il presidente russo Vladimir Putin ha inviato il 10 aprile scorso una lettera ai capi di Stato e di governo dei paesi europei (18, di cui 5 extra Ue) che importano gas russo attraverso l’Ucraina. Nella lettera, Putin afferma che la Russia non può continuare a sostenere da sola gli sforzi per supportare l’economia ucraina e chiede agli altri leader europei di cooperare per stabilizzarla. A tal fine, egli invocava consultazioni immediate. Nella sua risposta a nome dei 28 membri dell’Ue, il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, nonostante “concordi con la proposta di consultazioni con la Federazione Russa e l’Ucraina sulla sicurezza delle forniture di gas e sul transito”, spiega come il passaggio a un regime di pagamento anticipato del gas “è motivo di seria preoccupazione". Questo infatti "implica il rischio di un’interruzione del servizio nella Ue e in altri paesi partner, minando lo stoccaggio del gas in Ucraina per le forniture nel prossimo inverno”. La lettera del presidente russo può essere interpretata in più modi: l’ipotesi che va per la maggiore è che siamo dinanzi all’ennesimo ricatto all’Ue attraverso la leva del gas. Per altri invece si tratterebbe della legittima richiesta di chi non è più disposto a finanziare l’economia dell’Ucraina, prossima al default, visto che tra sconti e rinuncia ad esigere penali, solo attraverso le forniture, Mosca avrebbe sussidiato Kiev per 35.4 miliardi di $, dal 2009 ad oggi. Non tragga in inganno il tema delle sanzioni, dietro le quali si celano interessi sempre meno convergenti tra le due sponde dell’Atlantico: forse, il futuro di parte dell’Europa e dell’Italia potrebbe passare per il “mancato contenimento” della Federazione Russa da parte degli Stati Uniti. Anche la presunta compattezza della Nato potrebbe essere messa sotto scrutinio. Demostenes Floros è un analista geopolitico ed economico. Ha collaborato con NENomisma Energia. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°° http://www.corriere.it/ SU «NATURE»: l’esperimento su un «e.coli» condotto NEGLI USA DAGLI SCIENZIATI DELLO Scripps Research Institute Milano, 7 maggio 2014 - 19:02 Un passo verso la vita artificiale: il primo batterio con Dna espanso Alle quattro «lettere» che costituiscono l’alfabeto della vita, ne sono state aggiunte due che non esistono in natura. E il batterio si è replicato conservando la modifica di Redazione Salute Online Gli scienziati dello Scripps Research Institute statunitense hanno «creato» in laboratorio un batterio con un Dna espanso artificialmente. Si tratta del primo organismo vivente con codice genetico «potenziato»: accanto alle tradizionali quattro lettere che costituiscono l’alfabeto della vita (A-T e C-G) ne sono state aggiunte due, che non si trovano in natura, chiamate X e Y (due molecole note come d5SICS e DNAM). È anche il primo organismo semi-sintetico capace di replicarsi e mantenere il suo Dna «truccato». Si è dunque di fronte a un nuovo fondamentale capitolo della biologia sintetica. In copertina di «Nature» Un risultato importantissimo, al quale la rivista Nature dedica la copertina. «La vita sulla Terra in tutta la sua diversità è codificata solo da due coppie di basi del Dna: AT e CG; quello che abbiamo fatto è stato realizzare un organismo che contiene stabilmente quelle due coppie, più un terzo paio di basi non naturale - spiega Floyd Romesberg, che ha guidato il team di ricerca -. Questo dimostra che altre soluzioni sono possibili e, naturalmente, ci avvicina a una biologia a Dna espanso, che avrà molte applicazioni: da nuovi farmaci a nuovi tipi di nanotecnologie». Ampliato il vocabolario genetico La nuova coppia di lettere è stata inserita all’interno del genoma di un comune batterio Escherichia coli al fianco delle tradizionali coppie di lettere A-T e C-G, i mattoni che formano l’alfabeto della vita in ogni essere vivente della Terra. Le nuove lettere non hanno alterato il funzionamento del batterio, che replicandosi ha trasmesso alle nuove generazioni il Dna «semi-sintetico». Romesberg e il suo laboratorio hanno lavorato dalla fine degli anni ‘90 per individuare le molecole che potevano servire come basi del nuovo Dna, e in linea di principio, codificare proteine e organismi mai esistiti prima, ampliando il vocabolario genetico. Adesso i ricercatori hanno fatto un passo ulteriore, inserendole e facendole integrare perfettamente nel Dna di un batterio. In altre parole, sono riusciti nel difficile compito di far accettare la nuova coppia di lettere alle molecole «poliziotto» che verificano costantemente la presenza di intrusioni o errori genetici. Possibili effetti del Dna «espanso» «La grande sfida è stata quella di far lavorare le nuove basi in un ambiente molto più complesso, come quello di una cellula vivente», ha detto Denis A. Malyshev. Il prossimo passo, spiegano i ricercatori, sarà inserire le nuove lettere anche in regioni più importanti del genoma, ossia verificare che possano essere usate attivamente dalla cellula anche per il suo funzionamento. E bisognerà dimostrare gli effetti di questo Dna «espanso». Il potenziamento delle lettere tradizionali del codice genetico apre le porte alla possibilità di creare nuove proteine con «mattoni» non esistenti in natura e prevedibilmente si svilupperà un ampio dibattito etico e sulla brevettabilità di questi esseri viventi «semi-naturali». 7 maggio 2014 | 19:02 Fisco, intesa Svizzera-Ocse «E’ la fine del segreto bancario» Berna appoggia la dichiarazione dell’Organizzazione parigina di Giovanni Stringa Nuovo passo in avanti contro l’evasione fiscale e per la trasparenza nel mercato dei capitali. La Svizzera ha appoggiato la dichiarazione dell’Ocse a favore dello scambio automatico di informazioni bancarie in materia fiscale, firmata a Parigi in occasione della riunione dei ministri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. La dichiarazione sullo scambio automatico di informazioni tra le amministrazioni fiscali obbliga i Paesi firmatari a «procurarsi tutte le informazioni richieste alle loro istituzioni finanziarie e a scambiarle automaticamente con altre giurisdizioni su base annuale». Lo riferisce una nota della stessa Ocse. A firmare non sono stati solo i 34 Paesi Ocse, ma anche altre 13 nazioni tra cui Singapore, Malesia, Indonesia, Cina, Argentina, Brasile e Sudafrica. «È chiaramente la fine del segreto bancario sfruttato per ragioni fiscali», ha detto Pascal SaintAmans, direttore del centro di politica e amministrazione fiscale all’Ocse. Per alcuni dei Paesi firmatari, finora lo scambio delle informazioni - su richiesta - scattava soltanto in caso di indagine del fisco o della magistratura. Adesso è previsto l’automatismo, prevedibilmente uno strumento a più ampio raggio nella lotta all’evasione. 6 maggio 2014 | 20:28 °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°° http://www.dagospia.com/ 07 MAG 2014 11:34 SEGRETO BANCARIO ADDIO DALLA SVIZZERA E DAL SINGAPORE "SÌ" AI CRITERI DI TRASPARENZA IMPOSTI DAGLI USA - LE LORO BANCHE NON POTRANNO PIU' ACCETTARE DENARO SENZA LA DICHIARAZIONE DI "TASSAZIONE ASSOLTA" La quarta e la quinta piazza finanziaria del globo si sono impegnate a svelare la situazione patrimoniale dei propri correntisti ai Paesi d'origine. Le banche non accetteranno più denaro senza la preventiva dichiarazione di "tassazione assolta", fatta sotto la responsabilità, anche penale, dal cliente… Marco Bellinazzo e Alessandro Galimberti per "Il Sole 24 Ore" Svizzera e Singapore hanno ufficialmente deciso di uscire dalla black list dei paradisi fiscali difensori del segreto bancario allinenadosi ai criteri di trasparenza fiscale imposti dagli Usa. Con l'intesa, raggiunta ieri in sede Ocse a Parigi, sulla adesione al protocollo per lo scambio automatico di informazioni bancarie che andrà a regime nel 2017 - la quarta e la quinta piazza finanziaria del globo si sono impegnate a svelare la situazione patrimoniale dei propri correntisti ai Paesi (soprattutto alle autorità fiscali) d'origine. Ciò significa, tra l'altro, che le banche delle due capitali finanziarie non accetteranno più denaro senza la preventiva dichiarazione di "tassazione assolta", fatta sotto la responsabilità, anche penale, dal cliente. Il protocollo sullo scambio automatico si applicherà a 44 paesi già firmatari (i cosiddetti "early adopters"), ma potrebbe estendersi anche ad altri paesi Ocse e del G-20 (tra cui Russia, Cina, Brasile, Indonesia) che potrebbero partecipare al prossimo incontro di fine maggio a Parigi. All'intesa di ieri di Berna e Singapore, che ha un significato simbolico enorme - vista la loro posizione nel ranking finanziario mondiale e per le cifre di "nero" in ballo - dovrà comunque seguire un periodo di messa a regime piuttosto lungo, sotto il cappello di accordi politici tra gli Stati. Percorso che dovrebbe avere una tappa cruciale a fine ottobre a Berlino, in occasione del Forum mondiale sulla trasparenza fiscale. Il modello di riferimento per il nuovo sistema Ocse è il Fatca di matrice Usa (Foreign Account Tax Compliance Act), ma è ancora più gravoso rispetto al modello statunitense. Si tratta dello standard globale basato sullo scambio automatico delle informazioni fiscali, il cosiddetto Crs, Common Reporting Standard, approvato dall'Ocse a fine gennaio. Lo scorso marzo erano appunto 44 i Paesi che si erano formalmente impegnati a implementarlo secondo un calendario che, nel dettaglio, prevede per gli intermediari finanziari l'obbligo di raccogliere le informazioni sia sui conti intrattenuti al 31 dicembre 2015 sia su quelli aperti successivamente da cittadini stranieri, mentre il primo invio di informazioni tra le autorità fiscali avrà luogo nel 2017. Il Common reporting standard (Crs) Ocse impone a tutti i clienti di banche e degli altri intermediari finanziari coinvolti (compagnie assicurative vita, Sim e Sgr) di autocertificare la propria residenza fiscale, mentre il sistema Usa lascia l'opzione a questi ultimi di ricavare i dati dalla documentazione già fornita per aprire il conto. Più in generale le differenze tra Crs Ocse e Fatca Usa sono determinate dalla natura multilaterale dello scambio del primo e dunque dalla necessità di dover contemperare le esigenze di diversi Paesi. Lo standard Ocse prevede infatti che le giurisdizioni aderenti ottengano informazioni sensibili dalle istituzioni finanziarie su tutta la propria clientela con residenza fiscale estera e non solo su quella statunitense. Vi sono poi numerose differenze che potrebbero tradursi per gli intermediari in un ulteriore costo oltre a quello già sostenuto per l'adeguamento a Fatca. Tra queste, le principali sono rappresentate, come detto, da regole più stringenti per l'identificazione della clientela, da un diverso concetto di residenza fiscale che nel caso degli Stati Uniti si fonda sulla cittadinanza e dall'eliminazione in alcuni casi delle soglie (opzionali) di esenzione dagli obblighi di adeguata verifica. Mentre il Fatca Usa per le persone fisiche prevede delle soglie sotto le quali non è obbligatoria censire i clienti (come l'apertura di un conto per meno di 50mila dollari), nella disciplina Ocse queste soglie non esistono, per cui la due diligence va sempre effettuata. È plausibile che il diverso ambito soggettivo cambierà anche l'ordine di grandezza dei soggetti da gestire in termini di identificazione e segnalazione (si potrebbe passare da circa 0,5% di soggetti Usa a oltre il 3-5% di soggetti esteri da "lavorare"), aumentando lo sforzo operativo per far fronte al nuovo volume di adempimenti. Lo standard per lo scambio automatico dei dati Ocse comprende inoltre un modello di Competent Authority Agreement, vale a dire uno schema di accordo contrattuale tra le autorità fiscali competenti che definisce le modalità di scambio automatico, nonché la tipologia di informazioni anagrafiche e finanziarie che ne costituiscono l'oggetto, insieme alle regole applicabili in caso di non-compliance. Il documento Ocse declina, inoltre, le procedure di adeguata verifica ("due diligence") che si dovranno adottare al fine di identificare e classificare la clientela, ma lascia molte questioni irrisolte, a partire dallo strumento giuridico che sarà utilizzato per dare attuazione a tale standard. L'Ocse sta lavorando a un commentario da pubblicare a giugno. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°° http://www.economiaepolitica.it/ Potenza e limiti della BCE (Banca Centrale Europea) Enrico Sergio Levrero* - 06 Maggio 2014 1. Ci sono alcune indicazioni circa la potenza ed i limiti della politica monetaria in particolare nell’ambito dell’attuale struttura istituzionale europea che si possono ricavare dal Rapporto Annuale della BCE.[1] La potenza della BCE trova manifestazione negli interventi che dal 2011 ad oggi hanno riportato sotto controllo i tassi dell’interesse nell’area dell’euro evitando di fatto la sua deflagrazione.[2] Si tratta di interventi non convenzionali - o almeno, non convenzionali per la BCE - quali l’immissione (enorme) di liquidità attraverso le operazioni LTRO (Long-Term Refinancing Operations) a tre anni, l’acquisto di titoli sui mercati secondari nell’ambito del Securities Markets Programme (SMP), e ancora l’annuncio delle operazioni monetarie definitive (le Outright Monetary Transactions). Si tratta poi del progressivo abbassamento dei tassi dell’interesse per le operazioni di rifinanziamento marginale, e delle (ripetute) rassicurazioni da parte del Consiglio della BCE circa la volontà di mantenere bassi i tassi per un lungo periodo di tempo – rassicurazioni che hanno modificato al ribasso le aspettative sui futuri tassi d’interesse. Sebbene, come sottolineato da Draghi nella sua nota introduttiva al Rapporto, permanga ancora nell’eurozona una certa segmentazione dei mercati finanziari, questi interventi hanno garantito una convergenza dei tassi dell’interesse sui titoli pubblici decennali dei vari paesi (dopo che, di contro, nel 2010-2012 si erano pericolosamente divaricati), così come, dall’ultimo trimestre del 2011, del tasso di interesse Euribor (o interbancario) a tre mesi verso il tasso overnight Eonia - dopo che il primo, a differenza del secondo, aveva iniziato ad aumentare a partire dalla seconda metà del 2010. Riguardo ai limiti della politica monetaria, su cui qui ci si concentrerà, essi emergono nel Rapporto sia nell’analisi dei meccanismi di trasmissione della politica monetaria, sia nei dati relativi all’andamento macroeconomico dei principali paesi industrializzati dal 2007 ad oggi. I diversi risultati in termini di crescita ed occupazione che vi si osservano si può infatti dire siano scaturiti da un lato dal mancato coordinamento delle politiche monetarie e fiscali in senso espansivo in Europa a differenza che in altri paesi, e dall’altro dal fatto che il ventaglio di tassi di interesse e cambi reali fissati dalla BCE in base alle condizioni medie complessive dell’area dell’euro o sotto la pressione di alcuni dei paesi economicamente e politicamente più forti dell’Unione europea (in particolare della Germania) ha assunto valori diversi da quelli in grado di favorire una ripresa economica più rapida e con costi sociali meno elevati nei paesi cosiddetti periferici dell’area dell’euro, tra cui l’Italia. 2. Il primo punto che colpisce del Rapporto è che vi si riconosce che la forte immissione di liquidità ed il ribasso dei tassi dell’interesse hanno avuto effetti limitati sulla domanda aggregata e sui prezzi, sconfessando così coloro che si erano espressi contro quegli interventi per l’idea che avrebbero determinato, per via diretta o indiretta, una ripresa dell’inflazione.[3] Di fatto, come riconosciuto di recente da Draghi stesso, e come emerge da alcune stime allarmanti del Fondo Monetario Internazionale, il pericolo che tutt’ora si ha nell’eurozona non è quello di una crescita dei prezzi, bensì semmai quello della deflazione – un pericolo che ha fatto qualche giorno fa prospettare la necessità di ulteriori ingenti interventi ‘non convenzionali’ da parte della BCE.[4] Il mancato funzionamento di quello che viene considerato il tradizionale meccanismo di trasmissione della politica monetaria emerge chiaramente nel Rapporto dall’analisi dell’andamento degli aggregati monetari e dei prestiti a famiglie e imprese negli ultimi anni. Come si specifica nel Rapporto, i miglioramenti nella situazione dei mercati finanziari e nella liquidità del sistema bancario non hanno determinato un aumento dei prestiti al settore non finanziario, ed anzi i prestiti al settore privato si sono nel corso del 2013 contratti ulteriormente, stabilizzandosi solo verso la fine dell’anno, con un – 2,0% a dicembre di contro ad un -0,2 del dicembre 2012. Ciò che è interessante è che la BCE stessa spiega questa dinamica dei prestiti non tanto o solo in base ad una crescente avversione del settore bancario verso prestiti troppo rischiosi (che potrebbero del resto trovare, ed hanno trovato, compensazione in una differenziazione dei tassi di interesse piuttosto che in un puro razionamento del credito),[5] ma soprattutto in base alla debole domanda di credito, a sua volta legata alla bassa crescita del reddito reale disponibile delle famiglie, al tentativo da parte loro e delle imprese di ridurre il proprio indebitamento (in aggregato, tuttavia, con scarso successo),[6] e, possiamo aggiungere, alla dinamica ancora fortemente negativa degli investimenti, soprattutto in alcuni paesi dell’area dell’euro. Non sorprende così che, con buona pace del rigido moltiplicatore dei depositi bancari (sempre più criticato anche a livello di Banche Centrali) e della idea stessa di moneta esogena,[7] la dinamica degli aggregati monetari mostri un andamento di M3 - cioè del circolante, dei depositi e delle obbligazioni a due anni – che fino a metà del 2011 segue strettamente il ciclo economico, e poi a quel punto (si veda la Figura 6 del Rapporto qui sotto riportata) per tutto il 2012 un andamento che, mentre i prestiti diminuiscono, risulta crescente come effetto del forte aumento di base monetaria a seguito delle operazioni “non convenzionali” – un aumento che non a caso avrà come contropartita un eccesso di riserve o liquidità delle banche presso la BCE rispetto a quanto usualmente considerato necessario in base all’ammontare di credito erogato.[8] In verità, come mostra l’analisi dei cambiamenti nella composizione di M3, la liquidità immessa nel sistema economico dalla metà del 2011 non ha dato vita ad alcun processo moltiplicativo dei depositi bancari, ed è stata utilizzata a partire dalla fine del 2011 e fino a quasi tutto il 2012 (quando poi per il ribasso dei tassi le banche hanno iniziato a liberarsi dei titoli a breve termine precedentemente acquistati) soprattutto a consentire quell’acquisto – senza ovviamente cancellarsi nel computo dell’eccesso di liquidità presso la BCE nella misura in cui non ha comportato una riduzione nelle riserve valutarie. 3. Che riduzioni dei tassi dell’interesse non abbiano necessariamente effetti espansivi è in realtà cosa nota, anche perché, come si finisce per ammettere nel Rapporto (cfr. ad esempio p. 59), sugli investimenti hanno influenza soprattutto le variazioni attese nella domanda aggregata piuttosto che variazioni nei tassi dell’interesse. L’influenza dei tassi è semmai indiretta, passando attraverso le ripercussioni che loro variazioni potranno avere sul consumo, le esportazioni nette e la spesa pubblica. Si tratta ad esempio del fatto che una diminuzione dei tassi dell’interesse potrà avere effetti redistributivi e quindi modificare la propensione al consumo della collettività, o del fatto che quella riduzione si accompagnerà con un aumento del valore dei titoli e dunque (forse) con un effetto ricchezza positivo sul consumo, o ancora, del fatto che essa potrà portare ad un deprezzamento reale del cambio e quindi ad un aumento delle esportazioni. Come si può intuire, si tratta di effetti meno certi di quelli ipotizzati dalla teoria ‘tradizionale’ nelle sue diverse formulazioni – quali l’aumento della domanda di beni di consumo (e non, di contro, di altre attività finanziarie) in presenza di scorte liquide reali non desiderate, o l’aumento degli investimenti a fronte di una diminuzione nel tasso dell’interesse – il che appunto è quanto rende meno chiaro e definito il meccanismo di trasmissione della politica monetaria. Ma la domanda che ci si può porre è perché, pur con questi effetti incerti, misure di riduzione dei tassi dell’interesse simili se non analoghe a quelle portate avanti dalla BCE si siano associate in altri paesi ad una ripresa dell’occupazione e del reddito a differenza che in Europa. E la risposta sta a mio avviso nella differente struttura istituzionale entro cui si è mossa la politica monetaria della BCE, ed il conseguente diverso profilo temporale e contenuto della sua politica monetaria. E’ forse opportuno ricordare al riguardo alcuni semplici fatti elencanti nel Rapporto della BCE. L’Europa a differenza che gli Stati Uniti si trova nel 2013 ancora in recessione (per quanto si osservi qualche lieve segnale di ripresa verso la fine dell’anno), con il Pil che cade dello 0.4 per cento.[9] Al tempo stesso i prezzi crescono nel 2013 solo dell’1.4 per cento, meno che nel 2012, per una crescita contenuta dei salari monetari, e la caduta del prezzo del petrolio e degli alimenti.[10] Il quadro è diverso negli altri paesi. Negli Stati Uniti, ad esempio, per quanto si abbia nel 2013 un (lieve) rallentamento nel tasso di crescita del Pil, la ripresa va avanti a partire dal 2009 ad un ritmo intorno al 2 per cento l’anno (si veda la Figura 2 del Rapporto), ed una dinamica analoga si osserva nel Regno Unito.[11] Negli stessi anni in questi paesi, a differenza che nella media dei paesi dell’area euro, si ha una ripresa del credito al consumo, un aumento del prezzo delle case, un aumento del prezzo delle azioni più forte che in Europa (tanto da superare i valori precedenti la crisi del 2007), ed un aumento degli investimenti. Questa diversa dinamica del reddito spiega ovviamente il diverso andamento del tasso di disoccupazione – ancora in aumento in Europa, dove raggiunge il 12 per cento, ed invece in calo negli altri principali paesi industrializzati. Negli Stati Uniti ad esempio, dopo aver raggiunto il 9 per cento nel 2009, la disoccupazione è a gennaio 2014 al 6.6 per cento – un tasso ritenuto ancora ‘non sostenibile’ da parte della Federal Reserve.[12] Ora, questi diversi risultati in termini di crescita ed occupazione dipendono dal fatto che – subito dopo la crisi del 2007 – in questi paesi a differenza che nell’area dell’euro vengono perseguite politiche fiscali e monetarie entrambe fortemente espansive.[13] I vincoli posti dai trattati europei sulle politiche di bilancio, per quanto in parte disattesi, non hanno invece consentito un sostegno di analoga entità alla domanda aggregata in Europa, e la situazione è peggiorata con le crescenti richieste da parte della Commissione Europea a molti paesi (tra cui Grecia, Irlanda, Portogallo, Cipro, Spagna e Italia) di un consolidamento fiscale a partire dal 2010 in applicazione dello Stability and Growth Pact e dei principi approvati dal consiglio Ecofin dell’ottobre del 2009 consolidamento tuttora in atto, per quanto nel 2013 con un segno meno restrittivo. Come evidenziato del resto nel Rapporto, nel complesso, dal 2008 ad oggi, i disavanzi pubblici sono aumentati nell’eurozona meno che in Usa, Regno Unito, Giappone e Canada. Ma il Rapporto della BCE plaude alle misure di consolidamento fiscale richieste dalla Commissione, e sembra prospettare per il futuro un apprezzamento dell’euro con un suo ritorno ai valori pre-crisi.[14] Se così fosse, ci saranno poche possibilità di vedere ridursi nell’eurozona gli attuali elevati tassi di disoccupazione. Come ci mostra l’esperienza di questi anni, tale riduzione richiederebbe infatti l’adozione di politiche monetarie e fiscali entrambe espansive, e ciò per una entità e lasso di tempo sufficienti allo scopo.[15] *Università Roma Tre [1] Questa nota è ripresa dall’intervento alla tavola rotonda con R. Ciccone, M. Rostagno e D. Venanzi sul Rapporto Annuale della BCE tenutasi il 14 aprile 2014 presso il Dipartimento di Economia, Università Roma Tre. [2] E’ da notare che le operazioni OMT (Outright Monetary Transactions) nei mercati secondari dei titoli pubblici annunciate nell’agosto 2012 sono nel Rapporto (cfr. p. 18, n. 1, mia enfasi) giustificate proprio dalla necessità di “affrontare le gravi distorsioni nella determinazione dei prezzi dei titoli di Stato di alcuni paesi dell’area dell’euro, connesse in particolare con i timori infondati degli investitori circa la reversibilità dell’euro”. Per le definizioni delle operazioni della BCE (così come degli aggregati monetari da M1 a M3) si veda il glossario finale del Rapporto. [3] Si ricorda che per tali timori alla fine del 2009 si iniziò stranamente a discutere della necessità di strategie di uscita dalle politiche monetarie espansive, che nella prima metà del 2011 la BCE finì per aumentare i tassi, e che l’adozione nella seconda metà del 2011 di strumenti di politica monetaria ‘non convenzionali’ portò alle dimissioni prima di Weber e poi di Stark (esponenti della Bundesbank) dal consiglio della BCE. [4] Si veda al riguardo in questa rivista Bergamini G. e Cesaratto S., “Cos’è il quantitative easing e che effetti può avere”. [5] Questo non significa ovviamente che a)con l’aumento per la crisi delle sofferenze bancarie, e la necessità (anche per alcune misure legislative) di migliorare la propria posizione patrimoniale, non si sia verificata, soprattutto nei paesi periferici, una maggiore selettività delle banche nella concessione di crediti alla clientela (ad esempio con la richiesta di collaterali più consistenti); e b)che in tali paesi il costo del credito (anche per i più elevati tassi di interesse sui titoli pubblici) non sia rimasto più alto che altrove, favorendo così, con la ripresa economica, una tendenza a ricorrere a forme alternative di credito e all’autofinanziamento. Si noti che al riguardo lascia perplessi il termine ‘ripresa senza credito’ presente nel Rapporto, a meno di non intendere con ciò il credito strettamente bancario – dato che, diciamo, anche una stretta di mano o scrittura privata tra due contraenti è in grado di generare credito. [6] Così il rapporto debito/reddito disponibile delle famiglie è a 95 nel 2008, a 100 nel 2011, ma solo a 98 nel 2013. Più consistente è il miglioramento dell’indebitamento per le imprese non finanziarie. [7] Sull’endogeneità della moneta si veda Moore B. (1988), Horizontalists and Verticalists: the Macroeconomics of Credit Money, Cambridge University Press. [8] Il desiderio delle banche di scorte liquide precauzionali si riduce con la stabilizzazione del mercato interbancario, cosicchè l’eccesso di liquidità presso la BCE passa da 621 a 275 miliardi di euro tramite il ridotto ricorso alle operazioni di rifinanziamento e l’uso dell’opzione di rimborso prima della scadenza delle due operazioni LTRO a tre anni del 2011-2012. Ciò spiega per una parte la caduta di M3 nel corso del 2013, attenuata comunque nello stesso anno dall’aumento di M1 per il ritorno di fiducia degli investitori internazionali verso l’euro ed il miglioramento delle partite correnti – ovvero per la formazione di liquidità attraverso il canale estero. [9] Ovviamente il dato medio dell’area dell’euro nasconde condizioni macroeconomiche molto diverse tra i vari paesi. Nel complesso comunque nell’eurozona la domanda interna continua a cadere (del 2.2 % nel 2012, e dell’1.2 per cento nel 2011), e la caduta è ancora più forte per gli investimenti fissi lordi (rispettivamente del 4.1 e del 3.5 per cento). [10] Un rallentamento più accentuato si nota per l’indice dei prezzi industriali, che aumenta solo dello 0.2 per cento contro il 2.8 per cento nel 2012. [11] Per un quadro della situazione macroeconomica del Regno Unito e degli Stati Uniti negli ultimi anni si veda anche Bank of England, Inflation Report, February 2014; e Federal Reserve, Monetary Policy Report, February 2014. [12] Ciò è dovuto anche al fatto che il tasso di partecipazione della popolazione in età lavorativa diminuisce nel frattempo non solo per fattori demografici ma per la presenza di lavoratori scoraggiati. Nondimeno, dal 2010 si osserva negli Stati Uniti un continuo aumento dell’occupazione. [13] Questo non è in contrasto con il fatto che negli ultimi due anni si abbiano in alcuni di questi paesi (come in Europa) misure di “consolidamento fiscale”. [14] Si veda E.S. Levrero, “Il rischio della deflazione e gli interventi della BCE”. [15] Un buon esempio di tale combinazione di politiche fiscali e monetarie espansive ci è dato dal caso della Cina. Cfr. Yi Wen e Jing Wu, Withstanding Great Recession like China. ***************************************** ***************************************** ************************