UNITÀ SINDACALE
Falcri Silcea
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RASSEGNA STAMPA UNISIN 8 MAGGIO 2014
A cura di Manlio Lo Presti
RAS Banca Monte dei Paschi di Siena
Esergo
La fabbrica di Ivrea, pur agendo in un mezzo economico e accettandone
le regole,
ha rivolto i suoi fini e le sue maggiori preoccupazioni all'elevazione
materiale,
culturale, sociale del luogo ove fu chiamata ad operare, avviando quella
regione
verso una Comunità nuova...
A. OLIVETTI, Ai Lavoratori, Edizioni di Comunità, 2013, pag. 29
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http://www.comedonchisciotte.org/
SUICIDI DI
BANCHIERI PER
SALVARE LE
BANCHE ?
Postato il Mercoledì, 07 maggio
FONTE: DEDEFENSA.ORG
Wall Street si salva dalla bancarotta "suicidando" i suoi dipendenti ?
ZeroHedge.com ha accolto nelle sue colonne, il 28 aprile 2014, un testo di Wall
Street On Parade dello stesso 28 apr. 2014 su un certo numero di suicidi
(“suicidi” ?) che sono avvenuti lo scorso anno, particolarmente nella Banca JP
Morgan, che ha vissuto delle difficoltà finanziarie. Questi suicidi (“suicidi” ?)
hanno dato vita a delle speculazioni e a parecchie tesi differenti, collegate ben
inteso al clima del settore finanziario e di Wall Street dopo il 2008.
L' inchiesta di Wall Street On Parade (di Pam e Russ Martens) ha puntato sulla
trasparenza. In particolare, sono stati chiesti alle agenzie federali responsabili di
queste particolari problematiche dei dettagli su una assicurazione molto
particolare, nota come Bank-Owned Life Insurance o BOLI «una pratica
controversa che risarcisce la società quando muore un dipendente o un exdipendente."
Nella foto: Dennis Li Junjie fotografato prima del suicidio (SCMP).
I due giornalisti si sono resi conto che si tratta di un "segretocommerciale" a cui non hanno potuto avere accesso. Hanno comunque
portato avanti la loro inchiesta, oggetto di questa pubblicazione. Così
hanno saputo che JP Morgan ha sottoscritto una serie di assicurazioni
BOLI per 10,4 miliardi dollari, che offrono una copertura per almeno
100 miliardi dollari, e forse diverse centinaia di miliardi di dollari in
premi assicurativi ... Tutto l'insieme, ben documentato, suggerisce
una spiegazione di questi suicidi (più che mai "suicidi"), come si può
facilmente intuire - che apre la strada a scenari incredibili, che
potremmo anche giudicare, per la loro straordinarietà, oltre qualsiasi
tesi immaginabile finora.
"Secondo i Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie, l'aspettativa di
vita di un maschio di 25 anni con una o più lauree nel 2006 era di 81 anni di età.
Ma negli ultimi cinque mesi, cinque impiegati maschi, con alto grado di
istruzione, che lavoravano alla JP Morgan, nel pieno dei loro 30 anni e un ex
dipendente di 28 anni, sono morti in circostanze sospette - compresi i tre che
sembra si siano buttati dal tetto di un edificio - che si rivelano come casi
statisticamente rari anche durante il culmine della crisi finanziaria del 2008.
"C'è un altro punto imbarazzante che spinge a non considerare queste morti come
eventi casuali - non si stanno verificando presso le sedi centrali di JP Morgan Citigroup. Sia JP Morgan che Citigroup sono istituzioni finanziarie globali sia
come banche commerciali che come banche di investimenti. Il numero dei loro
dipendenti è molto simile - 260.000 dipendenti per JPMorgan contro 251.000 per
Citigroup".
"Sia JPMorgan che Citigroup hanno stipulato delle quantità massicce di
assicurazioni BOLI, di proprietà delle banche stesse, una pratica controversa che
paga premi alla società, quando un dipendente o un ex-dipendente muore. (Nei
casi di ex dipendenti, le banche svolgono una regolare attività di "spunta
dei morti" per mezzo di controlli su documenti pubblici, utilizzando il codice di
previdenza sociale degli ex dipendenti per conoscere se se l' ex dipendente sia
morto e se si possa quindi inviare una richiesta di pagamento del premio di morte
alla compagnia di assicurazione.)
"Per Wall Street On Parade abbiamo studiato attentamente gli annunci
mortuari pubblici degli ultimi 12 mesi per cercare nomi di defunti, dipendenti o ex
dipendenti di Citigroup o del gruppo bancario, Citibank. Non abbiamo trovato
dati che suggeriscano che Citigroup abbia vissuto la stessa esperienza di tanti
decessi di giovani uomini sui trent'anni come accaduto a JPMorgan Chase. Non
abbiamo nemmeno trovato notizie di stampa su impiegati del Citigroup che
abbiano fatto qualche salto giù da qualche edificio.
"Messi insieme tutti i fatti di cui sopra, il 21 marzo di quest'anno, abbiamo scritto
a chi controlla le banche nazionali, l'ufficio del Comptroller of the Currency
(OCC) [...] L'OCC ha risposto educatamente, con lettera del 18 aprile, dopo
averci fatto una telefonata pochi giorni prima, per informarci che non ci sarebbe
arrivato niente di ufficiale (sotto il sole) come prevede la legge. (A Wall Street,
"sotto il sole" di solito significa "sotto una tenda scura".) La lettera dell'OCC ci
informava che i documenti relativi alla nostra richiesta sarebbero stati trattenuti
sulla base del fatto che erano documenti "privati o contenevano segreti
commerciali, o informazioni commerciali/finanziarie, fornite confidenzialmente
e che facevano riferimento ad affari personali o finanziari di privati cittadini" e
che comunque si riferiscono a un " rapporto contenuto o relativo ad una
indagine".
"Il vero lato ironico è che i documenti non riguardano affari finanziari personali
delle persone che godono di una giusta privacy personale. Le persone, per lo
più, non stanno andando a incassare i premi di un'assicurazione sulla loro vita. In
molti casi, non sanno nemmeno che esistono delle polizze di svariati milioni di
dollari stipulati sulla loro morte che sono state negoziate dal loro datore o ex
datore di lavoro. Altrettanto importante è il fatto che JPMorgan è una società
quotata in borsa i cui azionisti hanno il diritto, in base alle leggi vigenti, di essere
informati sull'origine dei loro guadagni - devono sapere se quei guadagni
provengono dal settore bancario tradizionale o da operazioni di investimenti
bancari. Oppure questa macabra pratica di trarre profitto dalla morte dei propri
dipendenti oggi è diventata un importante contributo per i profitti di Wall Street?
"Come si è visto, un aspetto delle informazioni cavallerescamente negate dal OCC
è pubblicamente disponibile purché si abbia voglia di andare a cercarle. Il 24
marzo di quest'anno, abbiamo scritto che JPMorgan Chase deteneva (al
31.12.2013) 10,4 miliardi di dollari in attività BOLI presso la sua banca di
depositi assicurativi.
Abbiamo preso contatti con l' esperto di assicurazioni BOLI, Michael D. Myers,
per capire che cosa possa rappresentare per JPMorgan detenere un pacchetto di
10,4 miliardi di dollari in BOLI presso la sua banca commerciale, in termini di
valore nominale di assicurazione sulla vita dei suoi lavoratori. Myers ha
dichiarato: "Senza conoscere la durata dell'investimento o il suo tasso di
rendimento, è difficile stimare il valore nominale della copertura assicurativa.
Tuttavia, un valore in contanti di 10,4 miliardi di dollari potrebbe facilmente
tradursi in più di 100 miliardi di dollari di copertura assicurativa effettiva e non è
da escludere che arrivi anche a due o tre volte questo valore" - ha detto Myers,
socio dello studio legale di Houston, Texas McClanahan Myers Espey, LLP ...»
Fonte : http://www.dedefensa.org
Link: http://www.dedefensa.org/articleles_suicides_de_banquiers_pour_sauver_la_banque_29 04 2014.html
29.04.2014
Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali,
citando la fonte comedonchisciotte.org e l'autore della traduzione Bosque
Primario.
MA LA MERKEL E'
AUTORIZZATA A
COMANDARE IN
EUROPA ?
Postato il Mercoledì, 07 maggio
DI NIKOLAI BOBKIN
strategic-culture.org
I Ministri degli Esteri dei 28 Paesi membri dell'UE si sono riuniti nella capitale
Belga (Bruxelles, ndt) il 5 maggio scorso, in modo da poter discutere delle
ulteriori sanzioni contro la Russia. Durante un incontro con il Presidente Obama,
Angela Merkel ha detto che l'UE è pronta a dare il proprio assenso ad un nuovo
pacchetto di sanzioni anti-russe. Il cancelliere tedesco sembra voler prendere in
mano le redini e governare l'Europa senza chiedere il consenso dei partner. Per lo
meno questo è l’atteggiamento con cui ha parlato al Presidente degli Stati Uniti.
Quasi come fosse lei quella che comanda nel Vecchio Continente.
La conclusione che si può trarre a seguito dell’incontro tenutosi negli Stati Uniti, è
che la Merkel sostiene senza alcun dubbio le accuse degli Stati Uniti contro la
Russia.
In qualche modo i due leader confidano che la Russia riesca a stabilizzare la
situazione in Ucraina entro la fine di maggio. Washington e Berlino vogliono che
la Federazione russa sostenga il loro candidato alle prossime elezioni
presidenziali. Gli alleati sono pronti a introdurre ulteriori sanzioni nel caso in cui
Mosca ostacoli le elezioni. Questo è ciò che Obama ha detto durante la conferenza
stampa congiunta, al termine del vertice.
Il Cancelliere ha parlato a nome di tutta l'UE: "L'Unione europea sta preparando
un pacchetto di misure che rappresentano il terzo livello di sanzioni contro la
Russia. Ci tengo a sottolineare che questo non è necessariamente in linea con i
nostri desideri". Il sostegno dimostrato al regime di Kiev da parte degli Stati Uniti
e della Germania rischia di far pagare un prezzo elevato agli europei. In una certa
misura la Germania è responsabile di aver scatenato la crisi in Ucraina nel
novembre-dicembre 2013. Anche allora Berlino ha agito da sola, senza voltarsi a
chiedere consiglio ai partner, sperando di poter far saltare il banco e incassare a
piene mani. Niente da fare.
Ora la Merkel sta cercando di glissarsi dietro la tenda in modo da cedere
l’iniziativa alla Casa Bianca. La Germania vorrebbe porsi come una sorta di
intermediario che assiste sornione al confronto tra Stati Uniti e Russia al contempo
cerca di emarginare i partner europei. L'approccio condiscendente degli Stati Uniti
verso l'Unione europea è ben noto. Usa la Germania come mezzo per trasformare
la crisi interna ucraina in una crtisi di portata europea. I servizi segreti degli Stati
Uniti non agiscono come spettatori passivi.
Gli agenti della CIA e dell'FBI svolgono il ruolo di consulenti del regime di Kiev
in materia di «lotta alla criminalità organizzata». A dozzine, aiutano i golpisti ad
usare la forza per sedare i disordini in Novorossiya. Si sente parlare parecchio
inglese tra le file dei «castigatori»; i nazionalisti locali usano fucili «made in
USA» per sparare alla gente. Accusare la «propaganda del Cremlino» di quello
che è accaduto a Odessa, è una vera e propria bestemmia. Il mondo ha visto il vero
volto dei fascisti ucraini mentre lanciano bottiglie molotov contro i civili. Gli Stati
Uniti sono complici di un crimine. Barack Obama ritiene che Kiev abbia il diritto
di ristabilire l'ordine nell’Ucraina orientale.
Il Paese sta affrontando le conseguenze della politica criminale degli Stati Uniti
volta a supportare i facinorosi di Maidan. Washington è coinvolta nella guerra
civile in quanto sostiene un regime fantoccio che è inaccettabile per la
maggioranza degli ucraini. Questa sarebbe la «soluzione diplomatica» del conflitto
secondo il canovaccio degli Stati Uniti. La Germania rischia di fare un grosso
errore geopolitico schierandosi dalla parte di Washington.
La radice del problema è l'espansione della NATO verso l'Est e il tentativo degli
Stati Uniti di riorientare l'Ucraina, facendola guardare all'Occidente. Gli americani
vedono l'Ucraina come uno Stato arretrato che sta andando fuori controllo, proprio
al confine con la Russia. Ma l'Ucraina riveste particolare importanza anche per la
Germania. Kiev usa i soldi occidentali per formare «squadroni della morte» per
combattere in Novorossia, analogamente a quel che faceva la Germania nazista
con i nazionalisti ucraini. Si equipaggiavano unità di polizia, i battaglioni
Nachtigall e Roland, la divisione Galizia, le amministrazioni locali degli
occupanti; tutti vennero formati in campi di addestramento segreti tedeschi.
Centinaia di migliaia furono le loro vittime: polacchi, ebrei ed ucraini, ma i russi
hanno sempre rappresentato il loro obiettivo principale.
L’interferenza di Berlino negli affari interni dell'Ucraina può essere visto come un
tentativo di far rivivere la vecchia politica volta a creare la «Mitteleuropa», un
termine tedesco che designa l'Europa centrale. Nel secolo scorso la Russia ha
dovuto contrastare i piani di egemonia tedesca durante due guerre mondiali. Nel
1945 la Germania finì in rovina ed i suoi piani di espansione in Oriente furono
arrestati. Le attuali divisioni tra i cittadini tedeschi riflettono non solo la posizione
filo-russa di gran parte della popolazione, ma piuttosto la riluttanza a sostenere la
politica egemonica rispolverata da Berlino. Non tutti i tedeschi vedono i tragici
eventi in Ucraina attraverso la lente dei metri cubi di gas non forniti dalla Russia o
del mancato profitto economico legato alla non adesione alle sanzioni anti-Russia.
Il 55% dei tedeschi ritiene che la Germania si stia docilmente accodando agli Stati
Uniti nell’osservare l’evolversi della crisi ucraina. La Sinistra tedesca è la
principale forza politica che si oppone agli Stati Uniti. Chiede l'adozione di una
politica estera indipendente. Il partito gode di grande sostegno nella parte orientale
del paese, l'ex Germania dell'Est. L'Alternativa per la Germania (Alternative for
Deutschland), il partito degli euroscettici, una novità sulla scena politica tedesca,
si trova su posizioni vicine a quelle della sinistra. L'opinione pubblica dimostra un
sostegno al pacifismo che è diventato tradizionale per la Germania del dopoguerra.
Il 61% degli interpellati è contrario a qualsiasi forma di presenza militare della
Germania nell’Europa dell'Est, il 56% non approva l'entrata dell'Ucraina
nell'Unione europea mentre il 67% ritiene che un conflitto con la Russia non è
utile agli interessi dell'Unione europea e della Germania (1). Le dichiarazioni di
Angela Merkel non riflettono quindi l'opinione pubblica tedesca. La sua
belligerante retorica nei confronti di Mosca inizia ad avere dei contraccolpi e
sempre più spesso mina la fiducia nella politica estera di Berlino. I vertici tedeschi
saranno abbastanza saggi da ascoltare il parere della loro gente o finirà piuttosto
per prevalere il sentimento di solidarietà verso Washington?
La stessa domanda potrebbe essere rivolta ai vertici della Francia. La maggioranza
dei francesi si oppone all'ingresso dell'Ucraina nell'Unione europea e all'ipotesi di
fornire all’Ucraina dei contributi finanziari. La conferma è data dal sondaggio
dell'IFOR (Institut Français d'Opinion Publique), pubblicato dal quotidiano di
centro-destra «Le Figaro» secondo cui il 71% dei francesi è contro l'adesione
dell'Ucraina all'Unione europea , mentre il 64% risponde «no» all'ipotesi di
fornitura di aiuti finanziari all'Ucraina. Può Parigi permettersi di mettere gli
interessi nazionali al di sopra dei piani americani per l'Ucraina?
Le sanzioni anti-Russia sono un elemento della politica americana nei confronti
della Russia. Grazie al supporto di Washington gli Stati europei palesano la loro
sottomissione e l'incapacità di mantenere una posizione indipendente allorchè c’è
di mezzo l’America. In questo modo anch’essi diventano complici dei crimini
commessi dal regime di Kiev, tra cui il massacro di Odessa. Dmitry Peskov,
portavoce del Presidente russo, ha detto che coloro che sostengono la giunta
paramilitare al governo in Ucraina diventano, da oggi, criminali essi stessi.
Nikolai BOBKIN
Fonte: www.strategic-culture.org
Link: http://www.strategic-culture.org/news/2014/05/05/is-german-chancellorauthorized-to-rule-europe.html
5.05.2014
Traduzione a cura di ROBICH per www.Comedonchisciotte.org
1. Die Deutschen gehen auf Distanz zum Westen (I tedeschi si allontanano
dell'ovest)
CRISI DELL'EURO OPPURE
ARGENTINA/ISLANDA/MALES
IA: QUALE SARÀ IL MODELLO
PER LE CRISI FUTURE ?
Postato il Mercoledì, 07 maggio
DI ROGER BOYD
Resilience.org
Ogni Paese che ha adottato la valuta unica europea ( euro ) ha perso
immediatamente il controllo della propria politica monetaria e del tasso di cambio.
Mentre apparentemente venivano rimossi i rischi sui tassi di cambio, i tassi di
interesse in molti paesi precedentemente ritenuti a più alto rischio, quali
Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna ( i c.d. PIIGS), scendevano in maniera
significativa e ciò provocava un significativo aumento del flusso di investimenti in
questi paesi. Con tassi di interesse ribassati e un largo afflusso di investimenti
esteri, questi Paesi hanno sperimentato una rapida crescita economica.
Senza la possibilità di svalutare le loro valute a fronte di Paesi che riducevano il
costo per unità più velocemente di loro, come la Germania, il deficit commerciale
di questi paesi si è considerevolmente espanso. L'obiettivo dell'Euro era rendere la
Germania più competitiva, poiché l'euro era valutato meno di quanto lo sarebbe
stato il Marco tedesco, ma più delle precedenti valute PIIGS.
Senza l'euro e il largo afflusso di investimenti in questi paesi, un deficit
commerciale in così forte espansione avrebbe portato alla crisi molto prima.
Fonte: http://1.bp.blogspot.com/6CkI6WF1bNM/T4tE6DmwT6I/AAAAAAAAAnQ
/59sm5JC2yBg/s1600/Greek+imports+vs+exports.png
Fonte: https://www.creditwritedowns.com/wpcontent/uploads/2012/07/Germanys-trade-surplus.png
Quando ha preso piede la crisi finanziaria del 2007-2009, gli investitori sono
diventati sempre più consapevoli dei rischi dei loro investimenti, e i fondi di
investimento hanno cominciato a lasciare i paesi europei più a rischio. La
dimensione di scala di questi spostamenti di denaro ha spinto verso l'alto i tassi di
interesse, drenando fondi significativi dall'economia reale. L'impatto di questi
cambiamenti è stato esacerbato dal numero delle bolle speculative sulla finanza e
le proprietà che erano state prodotte dai precedenti bassi tassi di interesse e larghi
afflussi finanziari. Il mondo economico in collasso ha ridotto anche l'export verso
gli altri paesi, andando ad intaccare la bilancia commerciale.
Il risultato finale è stato un collasso nelle economie dei PIIGS e il bisogno di
azioni di ristrutturazione monetaria e finanziaria da parte dell'Unione Europea e
dell'FMI per stabilizzare defaults fuori controllo. Tuttavia queste azioni non hanno
rimediato alla situazione; al contrario hanno posticipato una crisi più ampia, a
scapito di una larga riduzione della capacità di spesa dei governi e degli standard
di vita. L'essenza di ciò è che la popolazione di questi paesi viene usata per
proteggere le sempre più esposte banche europee e i maggiori investitori. Questi
paesi avrebbero fatto molto meglio a lasciare l'Eurozona, riprendere il controllo
delle loro politiche monetarie e di cambio e svalutare le loro valute per recuperare
competitività. Ciò avrebbe creato un breve periodo di grande dolore, oltre il quale
sarebbe iniziato il miglioramento, in contrasto con l'attuale lento affondamento
verso la miseria. Un buon esempio di questa miseria è l'affermazione del Ministero
della Salute greco che il trattamento del cancro “non è urgente se non nelle fasi
finali” (1).
Nel 1990 lo stesso processo si svolse in Argentina, che propose un tasso di cambio
fisso pienamente convertibile con il dollaro USA per sconfiggere l'iperinflazione
degli anni '80 (2).
Per gran parte degli anni 90 funzionò, con il riversamento di investimenti esteri e
l'abbassamento dei tassi di interesse, e l'Argentina sperimentò la stessa rapida
crescita che i cinque paesi europei avrebbero mostrato nel decennio seguente. A
fine anni ‘90 una serie di crisi finanziarie portò gli investitori a togliere i loro soldi
dal paese. Questo causò un grande affaticamento dell'economia e della capacità
della banca centrale di mantenere il tasso di cambio fisso e convertibile. Un grande
aumento del prezzo del dollaro USA causò uno speculare aumento della valuta
argentina, rendendo i prezzi dell'export meno competitivi. Ciò fu esacerbato da
una svalutazione della valuta brasiliana, paese destinatario di quasi il 30%
dell'export argentino (2).
Il risultato finale fu una svalutazione ancor più grande della valuta, e un default
causato dal debito sovranazionale dell'Argentina. Svalutando la propria valuta e
mandando in default il debito estero, il Paese fu in grande di preparare il terreno
per una vigorosa ripresa economica nel decennio successivo (2).
Questo esempio fu seguito dall'Islanda durante la crisi finanziaria del 2007-2009,
che si rifiutò di pagare i correntisti esteri delle sue banche e svalutò
considerevolmente la sua valuta. Ancora, la crescita ripartì dopo un periodo di
crisi molto intenso, ma breve (3). Sia il governo argentino che quello islandese
furono costretti ad agire nell'interesse del loro popolo, piuttosto che dei
finanziatori, a causa di estese proteste pubbliche e pressioni. In Islanda fu
necessario l'intervento del presidente per forzare un referendum abrogativo delle
decisioni dei politici. Nei PIIGS gli interessi dei finanziatori e dell'Unione Europea
sono stati anteposti a quelli dei cittadini. Un altro caso parallelo fu quello dei paesi
colti dalla crisi asiatica del 1998, dove l'unico paese che implementò controlli
sugli scambi e proibì lo scambio offshore della sua valuta (la Malesia) riuscì ad
uscire dalla tempesta, mentre Thailandia, Taiwan e Sud Corea dovettero
sottoscrivere significative liberalizzazioni economiche e finanziarie in cambio dei
pacchetti di aiuto capitanati dall'FMI (4,5,6).
Lo stesso copione di sregolati afflussi di capitale in un paese, della conseguente
bolla sugli asset, dei deficit della bilancia commerciale, e causa di altri problemi
finanziari ed economici è stato ripetuto molte volte.
Quando il sentimento cambia ne deriva una crisi, perché il più alto numero
possibile di investitori scappa dalla porta sul retro nello stesso tempo, esacerbato
da ogni sforzo per sostenere tassi di cambio fissi.
Malesia, Argentina e Islanda hanno mostrato che i credi neo-liberali non sono
sacrosanti e in molti casi sono solo profezie auto avveranti. Possono essere messi
in campo controlli sui capitali, i debiti possono essere mandati in default, gli
speculatori possono essere puniti per i loro comportamenti rischiosi, e il cielo non
cadrà.
Cosa ha a che fare tutto questo con l'argomento del cambiamento climatico,
l'esaurimento delle risorse naturali e la distruzione ecologica? Poiché questi
argomenti stanno diventando sempre più un impedimento al funzionamento delle
moderne economie e dei loro sistemi finanziari, il flusso di denaro investito da un
sistema caotico a un altro deve essere arginato, per proteggere le economie e
fornire una relativa stabilità, necessaria ad una transizione di successo verso un
futuro sostenibile. In più debiti, che richiamano schemi del futuro che non possono
aver luogo, hanno bisogno di essere rinegoziati per permettere un'equa
condivisione del dolore tra i ricchi e il resto del mondo. Inoltre i controlli sugli
scambi, le ristrutturazioni del debito ecc., diventeranno un punto fermo del nostro
futuro. Gli schemi di movimento senza sforzo di soldi e benessere attorno al
mondo saranno cosa del passato, così come si contrarrà il mondo fisico, così farà
quello finanziario. Investimenti locali, e investimenti in asset realmente produttivi
come aziende agricole, daranno prova di essere molto più resilienti nelle future
crisi di investimenti in asset finanziari in posti lontani.
Roger Boyd
Fonte: www.resilience.org
Link: http://www.resilience.org/stories/2014-05-01/euro-crisis-or-argentinaiceland-malaysia-which-will-be-the-model-for-future-crises
RIFERIMENTI:
(1) Faiola, Anthony (2014), Greece’s prescription for a health-care crisis, The Washington Post.
Accessed at http://www.washingtonpost.com/world/greeces-prescription-for-a-health-care-
crisis/2014/02/21/adabb7ac-8db1-11e3-99e7-de22c4311986_story.html
(2) Zaza, Rosanna (2010), Argentina 2001 – 2009: From the Financial Crisis to the Present,
Amazon Digital Services.
(3) Jonnson, Asgeir (2010), Why Iceland?: How One of the World’s Smallest Countries Became the
Meltdown’s Biggest Casualty, McGraw Hill.
(4) Lim, Mah-Huih & Goh Sooh-Khoon (2012), How Malaysia Weathered The Financial Crisis:
Policies and Possible Lessons, The North-South Institute. Accessed athttp://www.nsi-ins.ca/wpcontent/uploads/2012/09/2012-How-to-prevent-the-next-crisis-Malaysia.pdf
(5) Gidwani, Krishna (n/a), Korea and the Asian Financial Crisis, Stanford University. Accessed
athttp://www.stanford.edu/class/e297c/trade_environment/global/hkorea.html
(6) Nanto, Dick (1998), CRS Report to Congress: The 1997-98 Asian Crisis, Federation of
American Scientists. Accessed at http://www.fas.org/man/crs/crs-asia2.htm
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http://ilmanifesto.it/
7 maggio 2014 - ore 21:30
Alibaba allo scontro di civiltà
Il gigante cinese dei servizi online arriva a Wall Street con i
numeri sontuosi di un business tutt’altro che virtuale. Ma “è
solo una stazione di servizio”, dice il suo creatore. Un modello
che non tarocca l’occidente
Gli osservatori s’industriano nel vergare locuzioni roboanti per descrivere la quotazione di
Alibaba a Wall Street annunciata martedì: la più grande Ipo di sempre, il gigante che fa
tremare la Silicon Valley, la tigre cinese che azzanna l’America.
Ma per Jack Ma, fondatore e improbabile sacerdote degli Aliren, gli adepti di Alibaba, la
quotazione a Wall Street è soltanto una “stazione di servizio lungo la strada verso il
futuro”, come ha scritto in una lettera agli azionisti a metà fra le visioni ieratiche di Steve
Jobs e la severa saggezza dei proverbi cinesi.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
di Mattia Ferraresi – @mattiaferraresi
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http://www.liberoquotidiano.it/
CASSAZIONE PENALE
All'evasore fiscale può
essere sequestrata la
polizza vita
07 maggio 2014
Se ci si macchia di un reato tributario è possibile subire anche il sequestro delle polizze
assicurative sulla vita. Risulta dunque irrilevante, se si sconfina nel penale, il divieto di
sottoposizione a misure cautelari o esecutive previste dal codice civile. Il principio è stato
confermato dalla Corte di Cassazione, terza sezione penale, con la sentenza 18736 depositata
martedì 6 maggio e di cui dà conto Il Sole 24 Ore. Dunque, gli evasori fiscali potrebbero vedersi
prosciugata la polizza assicurativa sulla vita, una delle forme di previdenza complementare più
sfruttate dagli italiani.
Il ricorso - Il principio è stato sancito in Cassazione, che ha detto l'ultima parola sul caso di un
contribuente finito nel mirino per dichiarazione fraudolenta e al quale erano state sequestrate tre
polizze assicurative sulla vita. Dopo il rigetto dell'istanza di dissequestro stabilita dal Gip,
l'indagato si era appellato al tribunale del Riesame, che aveva però confermato la decisione.
Dunque il terzo e decisivo ricorso in Cassazione. Il principio in base al quale il contribuente si
appellava sta nell'articolo 1932 del Codice civile, che prevede che le somme dovute
dall'assicuratore al contraente (il caso di una polizza vita, appunto) non possono essere sottratte per
ragioni esecutive o cautelari.
Il principio - La Suprema corte ha però rigettato il ricorso, confermando la decisione già assunta
dal Tribunale del riesame sulla legittimità del sequestro. Nel dettaglio, per i giudici, il divieto a
misure cautelari o esecutive in casi simili riguarda soltanto la responsabilità civile, e non quella
penale. Dunque, il sequestro preventivo può essere applicato anche, per esempio, a una polizza
assicurativa sulla vita, uno strumento finanziario che, fino a questo momento, ha goduto di grande
"popolarità" proprio per il fatto che era considerato non aggredibile in alcun caso da parte dei terzi.
Sì alla fiducia: ecco come
cambiano i contratti
07 maggio 2014
L’obbligo di assunzione diventa sanzione; il tetto del 20% di assunzioni, per attivare nuovi
contratti di apprendistato, viene applicato alle imprese con più di 50 dipendenti; la formazione
potrà essere sia pubblica che privata. Il Senato riscrive così il decreto legge lavoro e il governo lo
blinda, incassando la fiducia con 158 sì e 122 no. Dopo le modifiche introdotte dalla Camera, e il
via libera di Montecitorio con forti critiche all’interno della maggioranza, il provvedimento è
arrivato al Senato con l’ipoteca di Scelta civica e Nuovo centrodestra, che hanno posto l’aut-aut:
cambiare il testo, tornando in parte alla versione originale, o correre il rischio di non avere i numeri
per approvare il Dl. La sinistra del Pd, quindi, ha dovuto cedere ad alcune delle richieste presentate
dai colleghi della maggioranza. Il nuovo testo non torna al provvedimento presentato dal governo,
ma fa un passo indietro su alcuni punti principali. Come la cancellazione dell’obbligo di
assunzione, nel caso di sforamento del tetto del 20% dei contratti a termine. Via anche l’obbligo di
formazione pubblica; mentre il vincolo di assumere il 20% degli apprendisti, per poter accedere a
nuovi contratti, sarà applicata alle imprese con più di 50 dipendenti (nella versione uscita da
Montecitorio era di 30 dipendenti). Novità importanti riguardano gli enti di ricerca, che non
dovranno rispettare il tetto del 20% dei contratti a tempo determinato e dei 36 mesi (la possibilità
di sforare i tre anni di contratti a termine riguarda solo i ricercatori)
Preambolo - Viene riscritto il preambolo del decreto legge lavoro, inserendo il principio del
contratto a tempo indeterminato con tutele crescenti. Con il provvedimento viene così prevista una
fase sperimentale, che sarà avviata con la delega, di una terza tipologia di contratto.
Sanzioni - Sono previste sanzioni per i datori di lavoro che sforano il tetto del 20% per i contratti a
tempo determinato. La norma stabilisce che i contratti a tempo determinato, eccedenti il tetto
del 20%, siano multati con una sanzione amministrativa pari al 20% della retribuzione del
lavoratore per il primo contratto che supera il limite. La sanzione sale al 50% delle retribuzione per
gli sforamenti successivi. I maggiori introiti saranno versati nel fondo special per l’occupazione.
Periodo transitorio - Viene introdotto un periodo transitorio, per consentire alle imprese di
adeguarsi alle nuove norme. Il datore di lavoro che, alla data di entrata in vigore del decreto, abbia
contratti di lavoro a tempo determinato superiori al tetto fissato dalle norme «dovrà rientrare entro
tale limite entro il 31 dicembre 2014, salvo che il contratto collettivo applicabile nell’azienda
disponga un limite percentuale o un termine più favorevole». In caso contrario il datore di lavoro
non potrà più stipulare nuovi contratti a tempo fino a quando non sarà rientrato sotto il tetto.
Ricerca - No al tetto del 20% per i contratti a tempo determinato degli enti privati di ricerca e no
al limite di 36 mesi per tali assunzioni. In sostanza la norma sui limiti ai contratti a tempo non
verrà applicata ai ricercatori; inoltre viene inserita una deroga al limite massimo di durata dei
contratti.
Diritto di precedenza - Il diritto di precedenza alla stabilizzazione dei precari deve essere
richiamato espressamente nel contratto. Del diritto può avvalersi il lavoratore precario con un
contratto di oltre sei mesi nella stessa azienda, ma anche il lavoratore stagionale.
Tetto apprendisti - Le aziende con oltre 50 dipendenti dovranno stabilizzare il 20% dei loro
apprendisti, per poter stipulare altri contratti di apprendistato. Formazione mista - La formazione
per l’apprendistato sarà mista, pubblica e privata. Le imprese, quindi, potranno sostituire le regioni
nei corsi per la formazione.
Odg apprendistato - L’inadempimento grave dell’obbligo di formazione trasformerà il contratto
di apprendistato in contratto a tempo determinato. Lo prevede un ordine del giorno al decreto legge
lavoro, che impegna il governo a emanare una circolare interpretativa che chiarisca in modo
vincolante che, nel nuovo ordinamento, la violazione dei limiti formativi da parte del datore di
lavoro «produce la conversione del contratto il cui termine coincide con quello originariamente
previsto per il previsto di apprendistato».
Lefa - Arriva il libretto formativo elettronico dell’apprendista. È stato approvato un Odg, del
Movimento 5 stelle, che impegna il governo a introdurre il Lefa, stabilendo la definizione del
modello, il formato di trasmissione e l’unificazione al libretto formativo del cittadino.
PERSEGUITATI VIVI E MORTI
Le follie del Fisco italiano: chiede un
milione di euro a una orfana di cinque
anni
02 maggio 2014
L’Italia ha probabilmente un nuovo e poco invidiabile record. Quello degli evasori più piccoli del
pianeta. O per lo meno questa è quanto fa immaginare l’Agenzia delle entrate. Infatti nel dicembre
2013 ha inviato un avviso di accertamento a sei zeri a due bambini di 12 e 5 anni e alla loro
mamma. La colpa? Essere gli eredi di un imprenditore, presunto evasore, deceduto nel 2010. Già
così la storia avrebbe dell’incredibile, ma a questo bisogna aggiungere che la contestata elusione
fiscale risale al 2004 e che da allora l’Erario non è stato in grado di chiudere la partita.
L’imprenditore era accusato di «abuso di diritto», ossia di non aver pagato un milione di tasse
attraverso operazioni considerate sulla carta lecite, ma in realtà, per l’accusa, eseguite
esclusivamente per pagare meno imposte, senza un vero fine economico. Per questo a inizio aprile
la vedova e la figlia più piccola, assistiti dal commercialista milanese Paolo Troiano, si sono
presentati negli uffici dell’Agenzia delle entrate. Ma la bambina era così piccina che per mostrarla
al vigilante dietro al bancone della reception, è stato necessario sollevarla da terra. Il guardiano
non ha fatto un plissé e ha preparato i pass per tutti. Subito dopo i tre sono saliti nell’ufficio del
funzionario di turno per il confronto. Alla fine viene stilato il «verbale di contradditorio del
contribuente», in cui sono indicati nome e data di nascita dei convenuti. Il funzionario (difficile
immaginarlo serio) annota che la «contribuente» più piccola («sig.ra» è l’appellativo di rito) è nata
nel febbraio del 2009, mentre il fratello, rappresentato dal commercialista, è del settembre 2002.
Una situazione talmente kafkiana che è difficile da descrivere anche per Troiano: «Il contesto
giuridico fiscale italiano è talmente incerto e inaffidabile che anche i minorenni sono costretti al
contraddittorio per fatti avvenuti quando non erano ancora nati. I clienti pensano che noi
commercialisti siamo matti e che esageriamo la realtà. Per questo sono solito portarli con me,
perché inizino a capire che cosa sta succedendo nel nostro Paese. Anche la bambina si è presentata
con la sua carta di identità, è stata schedata all’ingresso ed è finita nel verbale». Il professionista
contesta alla radice un sistema vampiresco che va a caccia di soldi anche dopo che il presunto
evasore è defunto: «Sfido chiunque a ritrovare le carte di dieci anni prima, soprattutto se
riguardano un imprenditore e un’azienda che non ci sono più. Ormai l’Agenzia delle entrate, con
semplici pretesti, può perseguitare i contribuenti quasi all’infinito, grazie a una disposizione di
legge che le consente di raddoppiare i termini dell’accertamento in presenza di violazioni
“potenzialmente” rilevanti a livello penale. E questa norma viene utilizzata anche se il soggetto che
avrebbe commesso il reato è morto da quattro anni». Ma che cosa è l’«abuso di diritto» contestato
all’imprenditore defunto? «Per risponderle mi piacerebbe utilizzare le parole di Fantozzi dopo la
visione della Corazzata Potemkin, ma preferisco essere urbano e dirle che è un regalo della
Cassazione che si è inventata che l’amministrazione finanziaria può tassare le operazioni che
ritenga abusive. Arriveremo al paradosso che ci contesteranno di aver evaso l’Iva per aver
acquistato delle scarpe in un negozio dove costano 100 euro anziché 150». Ovviamente anche
l’importo dell’accertamento in corso al «fantasma» dell’imprenditore è già finito nel calderone
delle statistiche dell’Agenzia delle entrate: «Si tratta di dati manipolati per sostenere la falsa tesi
che in Italia l’evasione fiscale sia la vera ragione dei problemi dello Stato ed evitare così di
intervenire sulla spesa pubblica». Il commercialista ha, però, parole di comprensione per il
funzionario che ha contestato la presunta elusione a una bambina di cinque anni: «È una persona
corretta e precisa nel suo lavoro, un uomo che, con ogni probabilità, oltre ad applicare le leggi è
obbligato a seguire le direttive dei suoi superiori che hanno tutte la stessa matrice: “Accertate,
sempre e comunque”. Tanto non pagano mai per i loro errori».
I guasti causati da questa ossessione per gli incassi del fisco secondo Troiano sono evidenti: «In
Lombardia una serie di multinazionali giapponesi ha deciso di disinvestire perché “attenzionate”
morbosamente dall’Agenzia delle entrate». Davanti a un quadro del genere il commercialista e altri
suoi colleghi hanno iniziato a raccogliere una casistica di presunti abusi dell’autorità finanziaria in
vista della pubblicazione di un libro bianco sul tema. Per esempio un’azienda agricola è stata
punita per aver fatto «riposare» per un anno i propri terreni, una pratica usuale per i contadini, ma
non per gli esattori che hanno contestato la mancata produzione di reddito. In un altro caso
l’Agenzia delle entrate ha provato a emettere, su certi presupposti, un accertamento da 1 milione di
euro, senza riuscirci, e due giorni dopo ne ha contestati 40. Grazie a questa piccola antologia di
orrori fiscali, scopriamo l’odissea dell’imprenditore che ha provato a ottenere il rimborso
dell’Irpeg: il contenzioso con lo Stato è durato a lungo e il privato ha vinto sino al secondo grado
della giustizia tributaria. Purtroppo per lui, dopo anni, la Cassazione ha dato ragione
all’amministrazione perché ormai i termini per il rimborso erano scaduti. Come si suol dire:
oltre al danno, la beffa. Disarmante pure la storia del commerciante che aveva due negozi e
che, a causa della crisi, ne ha dovuto chiudere inizialmente uno. Nonostante questo il fisco
ha continuato ad assediarlo: i funzionari dell’amministrazione gli hanno fatto 2-3 controlli l’anno
per gli scontrini. Tutti senza esito. Ma questo non è bastato a salvarlo. A causa degli studi di
settore è stato pure costretto a iniziare numerosi contenziosi con lo Stato. Una trafila che lo ha
stroncato e lo ha costretto ad abbassare anche la seconda saracinesca: evidentemente gli affari non
gli andavano bene come ipotizzato dalle tabelle dell’Erario. Ma gli esattori, si sa, non demordono.
Come dimostra l’ultimo aneddoto: un giorno hanno bussato alla porta di una donna completamente
ignara per accollarle parte di un accertamento andato a vuoto nei confronti del compagno. Chi era
presente giura che di fronte alle sue proteste il funzionario avrebbe replicato: "Peggio per lei che
ha un uomo del genere. Perché non lo ha lasciato?".
di Giacomo Amadori
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http://temi.repubblica.it/limes/
Energia: l’urgenza della Cina, l’Ucraina
e i due forni di Putin
di Demostenes Floros
RUBRICA GEOPOLITICA DEL CAMBIO
I dati sui consumi mondiali di energia spiegano le scelte di Pechino, la relativa
tranquillità di Mosca e le diverse posizioni dei paesi europei.
[Carta di Laura
Canali]
In aprile, i prezzi del greggio Brent e del Wti sono aumentati rispettivamente di quasi
3$/b (dollari al barile) e 1$/b, mentre il cambio euro/dollaro ha oscillato attorno a
quota 1,38€/$.
Secondo i dati riportati dal Bp statistical review of world energy 2013, nel 2012 il
consumo di energia primaria mondiale è stato di 12.477 tonnellate equivalenti di
petrolio (Mtep), in aumento del 2,1% rispetto al 2011, quando aveva toccato i 12.225
Mtep. L’incremento è stato quindi pari a 252 Mtep, sostanzialmente equivalente
all’energia consumata nell’arco di un anno dalla Francia (nel 2012, 245 Mtep), la 5ª
economia a livello globale per pil nominale.
Nel 2012, i principali consumatori mondiali di energia sono stati: Cina, 2.735 Mtep
(13%*); Stati Uniti, 2.209 Mtep (17%); Ue, 1.673 Mtep (56%); Federazione Russa, 694 Mtep
(esportatore netto), India, 564 Mtep (38%), Giappone, 478 Mtep (93%), Brasile, 275 Mtep
(13%) e Italia, 163 Mtep (80%) [*tra parentesi il livello di dipendenza inteso come il
contributo delle materie prime energetiche importate sul totale del consumo di energia
primaria del paese].
Tra le grandi economie importatrici di materie prime, gli unici ad aver diminuito la
propria dipendenza dall’estero (dal 21% al 17% fra il 2011 e il 2012) sono gli Stati Uniti
grazie alla tecnica rivoluzionaria, nonché contraddittoria da un punto di vista economico
ed ecologico, dello shale gas e dello shale oil.
Al contrario, la Cina ha visto aumentare la propria dipendenza al 13% (nel 2011 era
del 6%). Nel decennio 2003-2012, i consumi cinesi sono più che raddoppiati in termini
assoluti, incrementando la loro quota sul totale mondiale dal 12,5% al 22%.
Tra le principali economie mondiali, l’unico esportatore netto è la Russia, che nel
2012 ha ceduto sui mercati internazionali 624 Mtep, pari al 47% di quanto prodotto (e al
90% di quanto consumato internamente).
La firma del contratto di 25 anni tra Rosneft e Cnpc (giugno 2013) dal valore di 270
mld di $ (per la fornitura di 365 mln di t di petrolio) nonché l’imminente stipula
dell’accordo trentennale tra Gazprom e Cnpc per la fornitura di iniziali 38 mld di m3 di
gas naturale (che cresceranno nel tempo sino a 68 mld di m3, via Eastern route) certifica
la possibilità da parte del Cremlino di sviluppare la cosiddetta politica dei “due forni”.
A ciò si aggiunga il rafforzamento della cooperazione strategica tra Mosca e Pechino.
Questa situazione, tendenzialmente irreversibile, è la logica conseguenza della rapida
redistribuzione dell’attività manifatturiera verso l’Asia, ma è anche figlia
dell’impellente necessità di Cina e India di modificare la struttura del proprio mix
energetico, muovendo dal massiccio utilizzo di carbone - rispettivamente pari al 68% e al
53% dei propri consumi totali - verso il più “pulito” e meno costoso (rispetto al petrolio)
gas naturale, a oggi utilizzato solamente per il 5% da Pechino e il 9% da Nuova Delhi.
Come può l’Unione Europea affrontare tale contesto geopolitico? L’Ue - il cui mix
energetico rispetto a quello globale è caratterizzato da un minor uso di carbone e da un
maggiore utilizzo relativo di petrolio e nucleare, ma non di gas naturale (24%) - ha
diverse opzioni, che paiono specchiarsi nelle differenti politiche perseguite dai suoi
membri nella crisi in Ucraina.
La Polonia e i paesi baltici esprimono una posizione fortemente antirussa volta ad
acuire il conflitto; la Gran Bretagna e la Svezia, che non sono membri dell’Unione
economica e monetaria, si trincerano dietro l’opzione delle sanzioni statunitensi,
volutamente poco efficaci secondo Stratfor. Germania, Italia e Spagna iniziano a
premere per una via diplomatica, probabilmente dopo essersi resi conto che nel 2013,
mentre gli scambi commerciali tra gli Usa e la Federazione Russa sono stati pari a 27.7
mld di dollari, quelli tra Bruxelles e Mosca hanno raggiunto i 410 miliardi.
Il presidente russo Vladimir Putin ha inviato il 10 aprile scorso una lettera ai capi di
Stato e di governo dei paesi europei (18, di cui 5 extra Ue) che importano gas russo
attraverso l’Ucraina. Nella lettera, Putin afferma che la Russia non può continuare a
sostenere da sola gli sforzi per supportare l’economia ucraina e chiede agli altri leader
europei di cooperare per stabilizzarla. A tal fine, egli invocava consultazioni immediate.
Nella sua risposta a nome dei 28 membri dell’Ue, il presidente della Commissione
europea, José Manuel Barroso, nonostante “concordi con la proposta di consultazioni con
la Federazione Russa e l’Ucraina sulla sicurezza delle forniture di gas e sul transito”,
spiega come il passaggio a un regime di pagamento anticipato del gas “è motivo di seria
preoccupazione". Questo infatti "implica il rischio di un’interruzione del servizio nella Ue
e in altri paesi partner, minando lo stoccaggio del gas in Ucraina per le forniture nel
prossimo inverno”.
La lettera del presidente russo può essere interpretata in più modi: l’ipotesi che va
per la maggiore è che siamo dinanzi all’ennesimo ricatto all’Ue attraverso la leva del
gas. Per altri invece si tratterebbe della legittima richiesta di chi non è più disposto a
finanziare l’economia dell’Ucraina, prossima al default, visto che tra sconti e rinuncia
ad esigere penali, solo attraverso le forniture, Mosca avrebbe sussidiato Kiev per 35.4
miliardi di $, dal 2009 ad oggi.
Non tragga in inganno il tema delle sanzioni, dietro le quali si celano interessi sempre
meno convergenti tra le due sponde dell’Atlantico: forse, il futuro di parte dell’Europa e
dell’Italia potrebbe passare per il “mancato contenimento” della Federazione Russa da
parte degli Stati Uniti.
Anche la presunta compattezza della Nato potrebbe essere messa sotto scrutinio.
Demostenes Floros è un analista geopolitico ed economico. Ha collaborato con NENomisma Energia.
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http://www.corriere.it/
SU «NATURE»: l’esperimento su un «e.coli» condotto NEGLI USA DAGLI SCIENZIATI DELLO
Scripps Research Institute
Milano, 7 maggio 2014 - 19:02
Un passo verso la vita
artificiale:
il primo batterio con Dna espanso
Alle quattro «lettere» che costituiscono l’alfabeto della vita, ne sono
state aggiunte due che non esistono in natura. E il batterio si è
replicato conservando la modifica
di Redazione Salute Online
Gli scienziati dello Scripps Research Institute statunitense hanno «creato» in laboratorio un batterio
con un Dna espanso artificialmente. Si tratta del primo organismo vivente con codice genetico
«potenziato»: accanto alle tradizionali quattro lettere che costituiscono l’alfabeto della vita (A-T e
C-G) ne sono state aggiunte due, che non si trovano in natura, chiamate X e Y (due molecole note
come d5SICS e DNAM). È anche il primo organismo semi-sintetico capace di replicarsi e
mantenere il suo Dna «truccato». Si è dunque di fronte a un nuovo fondamentale capitolo della
biologia sintetica.
In copertina di «Nature»
Un risultato importantissimo, al quale la rivista Nature dedica la copertina. «La vita sulla Terra in
tutta la sua diversità è codificata solo da due coppie di basi del Dna: AT e CG; quello che abbiamo
fatto è stato realizzare un organismo che contiene stabilmente quelle due coppie, più un terzo paio
di basi non naturale - spiega Floyd Romesberg, che ha guidato il team di ricerca -. Questo dimostra
che altre soluzioni sono possibili e, naturalmente, ci avvicina a una biologia a Dna espanso, che
avrà molte applicazioni: da nuovi farmaci a nuovi tipi di nanotecnologie».
Ampliato il vocabolario genetico
La nuova coppia di lettere è stata inserita all’interno del genoma di un comune batterio Escherichia
coli al fianco delle tradizionali coppie di lettere A-T e C-G, i mattoni che formano l’alfabeto della
vita in ogni essere vivente della Terra. Le nuove lettere non hanno alterato il funzionamento del
batterio, che replicandosi ha trasmesso alle nuove generazioni il Dna «semi-sintetico». Romesberg e
il suo laboratorio hanno lavorato dalla fine degli anni ‘90 per individuare le molecole che potevano
servire come basi del nuovo Dna, e in linea di principio, codificare proteine e organismi mai esistiti
prima, ampliando il vocabolario genetico. Adesso i ricercatori hanno fatto un passo ulteriore,
inserendole e facendole integrare perfettamente nel Dna di un batterio. In altre parole, sono riusciti
nel difficile compito di far accettare la nuova coppia di lettere alle molecole «poliziotto» che
verificano costantemente la presenza di intrusioni o errori genetici.
Possibili effetti del Dna «espanso»
«La grande sfida è stata quella di far lavorare le nuove basi in un ambiente molto più complesso,
come quello di una cellula vivente», ha detto Denis A. Malyshev. Il prossimo passo, spiegano i
ricercatori, sarà inserire le nuove lettere anche in regioni più importanti del genoma, ossia verificare
che possano essere usate attivamente dalla cellula anche per il suo funzionamento. E bisognerà
dimostrare gli effetti di questo Dna «espanso». Il potenziamento delle lettere tradizionali del codice
genetico apre le porte alla possibilità di creare nuove proteine con «mattoni» non esistenti in natura
e prevedibilmente si svilupperà un ampio dibattito etico e sulla brevettabilità di questi esseri viventi
«semi-naturali».
7 maggio 2014 | 19:02
Fisco, intesa Svizzera-Ocse
«E’ la fine del segreto bancario»
Berna appoggia la dichiarazione
dell’Organizzazione parigina
di Giovanni Stringa
Nuovo passo in avanti contro l’evasione fiscale e per la trasparenza nel mercato dei capitali. La
Svizzera ha appoggiato la dichiarazione dell’Ocse a favore dello scambio automatico di
informazioni bancarie in materia fiscale, firmata a Parigi in occasione della riunione dei ministri
dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. La dichiarazione sullo scambio
automatico di informazioni tra le amministrazioni fiscali obbliga i Paesi firmatari a «procurarsi tutte
le informazioni richieste alle loro istituzioni finanziarie e a scambiarle automaticamente con altre
giurisdizioni su base annuale». Lo riferisce una nota della stessa Ocse. A firmare non sono stati solo
i 34 Paesi Ocse, ma anche altre 13 nazioni tra cui Singapore, Malesia, Indonesia, Cina, Argentina,
Brasile e Sudafrica.
«È chiaramente la fine del segreto bancario sfruttato per ragioni fiscali», ha detto Pascal SaintAmans, direttore del centro di politica e amministrazione fiscale all’Ocse. Per alcuni dei Paesi
firmatari, finora lo scambio delle informazioni - su richiesta - scattava soltanto in caso di indagine
del fisco o della magistratura. Adesso è previsto l’automatismo, prevedibilmente uno strumento a
più ampio raggio nella lotta all’evasione.
6 maggio 2014 | 20:28
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http://www.dagospia.com/
07 MAG 2014 11:34
SEGRETO BANCARIO ADDIO DALLA SVIZZERA E DAL
SINGAPORE "SÌ" AI CRITERI DI
TRASPARENZA IMPOSTI DAGLI
USA - LE LORO BANCHE NON
POTRANNO PIU' ACCETTARE
DENARO SENZA LA
DICHIARAZIONE DI
"TASSAZIONE ASSOLTA"
La quarta e la quinta piazza finanziaria
del globo si sono impegnate a svelare
la situazione patrimoniale dei propri
correntisti ai Paesi d'origine.
Le banche non accetteranno più denaro
senza la preventiva dichiarazione di
"tassazione assolta", fatta sotto la
responsabilità, anche penale, dal
cliente…
Marco Bellinazzo e Alessandro Galimberti per "Il Sole 24
Ore"
Svizzera e Singapore hanno ufficialmente deciso di uscire dalla
black list dei paradisi fiscali difensori del segreto bancario
allinenadosi ai criteri di trasparenza fiscale imposti dagli Usa.
Con l'intesa, raggiunta ieri in sede Ocse a Parigi, sulla adesione al
protocollo per lo scambio automatico di informazioni bancarie che andrà a regime nel 2017 - la quarta e la quinta piazza
finanziaria del globo si sono impegnate a svelare la situazione
patrimoniale dei propri correntisti ai Paesi (soprattutto alle
autorità fiscali) d'origine. Ciò significa, tra l'altro, che le banche
delle due capitali finanziarie non accetteranno più denaro senza
la preventiva dichiarazione di "tassazione assolta", fatta sotto la
responsabilità, anche penale, dal cliente.
Il protocollo sullo scambio automatico si applicherà a 44 paesi già
firmatari (i cosiddetti "early adopters"), ma potrebbe estendersi
anche ad altri paesi Ocse e del G-20 (tra cui Russia, Cina,
Brasile, Indonesia) che potrebbero partecipare al prossimo
incontro di fine maggio a Parigi.
All'intesa di ieri di Berna e Singapore, che ha un significato
simbolico enorme - vista la loro posizione nel ranking finanziario
mondiale e per le cifre di "nero" in ballo - dovrà comunque
seguire un periodo di messa a regime piuttosto lungo, sotto il
cappello di accordi politici tra gli Stati. Percorso che dovrebbe
avere una tappa cruciale a fine ottobre a Berlino, in occasione del
Forum mondiale sulla trasparenza fiscale.
Il modello di riferimento per il nuovo sistema Ocse è il Fatca di
matrice Usa (Foreign Account Tax Compliance Act), ma è ancora
più gravoso rispetto al modello statunitense. Si tratta dello
standard globale basato sullo scambio automatico delle
informazioni fiscali, il cosiddetto Crs, Common Reporting
Standard, approvato dall'Ocse a fine gennaio.
Lo scorso marzo erano appunto 44 i Paesi che si erano
formalmente impegnati a implementarlo secondo un calendario
che, nel dettaglio, prevede per gli intermediari finanziari l'obbligo
di raccogliere le informazioni sia sui conti intrattenuti al 31
dicembre 2015 sia su quelli aperti successivamente da cittadini
stranieri, mentre il primo invio di informazioni tra le autorità
fiscali avrà luogo nel 2017.
Il Common reporting standard (Crs) Ocse impone a tutti i clienti
di banche e degli altri intermediari finanziari coinvolti (compagnie
assicurative vita, Sim e Sgr) di autocertificare la propria
residenza fiscale, mentre il sistema Usa lascia l'opzione a questi
ultimi di ricavare i dati dalla documentazione già fornita per
aprire il conto.
Più in generale le differenze tra Crs Ocse e Fatca Usa sono
determinate dalla natura multilaterale dello scambio del primo e
dunque dalla necessità di dover contemperare le esigenze di
diversi Paesi. Lo standard Ocse prevede infatti che le giurisdizioni
aderenti ottengano informazioni sensibili dalle istituzioni
finanziarie su tutta la propria clientela con residenza fiscale
estera e non solo su quella statunitense.
Vi sono poi numerose differenze che potrebbero tradursi per gli
intermediari in un ulteriore costo oltre a quello già sostenuto per
l'adeguamento a Fatca. Tra queste, le principali sono
rappresentate, come detto, da regole più stringenti per
l'identificazione della clientela, da un diverso concetto di
residenza fiscale che nel caso degli Stati Uniti si fonda sulla
cittadinanza e dall'eliminazione in alcuni casi delle soglie
(opzionali) di esenzione dagli obblighi di adeguata verifica.
Mentre il Fatca Usa per le persone fisiche prevede delle soglie
sotto le quali non è obbligatoria censire i clienti (come l'apertura
di un conto per meno di 50mila dollari), nella disciplina Ocse
queste soglie non esistono, per cui la due diligence va sempre
effettuata. È plausibile che il diverso ambito soggettivo cambierà
anche l'ordine di grandezza dei soggetti da gestire in termini di
identificazione e segnalazione (si potrebbe passare da circa 0,5%
di soggetti Usa a oltre il 3-5% di soggetti esteri da "lavorare"),
aumentando lo sforzo operativo per far fronte al nuovo volume di
adempimenti.
Lo standard per lo scambio automatico dei dati Ocse comprende
inoltre un modello di Competent Authority Agreement, vale a dire
uno schema di accordo contrattuale tra le autorità fiscali
competenti che definisce le modalità di scambio automatico,
nonché la tipologia di informazioni anagrafiche e finanziarie che
ne costituiscono l'oggetto, insieme alle regole applicabili in caso
di non-compliance.
Il documento Ocse declina, inoltre, le procedure di adeguata
verifica ("due diligence") che si dovranno adottare al fine di
identificare e classificare la clientela, ma lascia molte questioni
irrisolte, a partire dallo strumento giuridico che sarà utilizzato per
dare attuazione a tale standard. L'Ocse sta lavorando a un
commentario da pubblicare a giugno.
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http://www.economiaepolitica.it/
Potenza e limiti della
BCE (Banca Centrale
Europea)
Enrico Sergio Levrero* - 06 Maggio 2014
1. Ci sono alcune indicazioni circa la potenza ed i limiti della politica monetaria in particolare
nell’ambito dell’attuale struttura istituzionale europea che si possono ricavare dal Rapporto Annuale
della BCE.[1]
La potenza della BCE trova manifestazione negli interventi che dal 2011 ad oggi hanno riportato
sotto controllo i tassi dell’interesse nell’area dell’euro evitando di fatto la sua deflagrazione.[2] Si
tratta di interventi non convenzionali - o almeno, non convenzionali per la BCE - quali l’immissione
(enorme) di liquidità attraverso le operazioni LTRO (Long-Term Refinancing Operations) a tre
anni, l’acquisto di titoli sui mercati secondari nell’ambito del Securities Markets Programme
(SMP), e ancora l’annuncio delle operazioni monetarie definitive (le Outright Monetary
Transactions). Si tratta poi del progressivo abbassamento dei tassi dell’interesse per le operazioni di
rifinanziamento marginale, e delle (ripetute) rassicurazioni da parte del Consiglio della BCE circa la
volontà di mantenere bassi i tassi per un lungo periodo di tempo – rassicurazioni che hanno
modificato al ribasso le aspettative sui futuri tassi d’interesse. Sebbene, come sottolineato da Draghi
nella sua nota introduttiva al Rapporto, permanga ancora nell’eurozona una certa segmentazione dei
mercati finanziari, questi interventi hanno garantito una convergenza dei tassi dell’interesse sui
titoli pubblici decennali dei vari paesi (dopo che, di contro, nel 2010-2012 si erano pericolosamente
divaricati), così come, dall’ultimo trimestre del 2011, del tasso di interesse Euribor (o interbancario)
a tre mesi verso il tasso overnight Eonia - dopo che il primo, a differenza del secondo, aveva
iniziato ad aumentare a partire dalla seconda metà del 2010.
Riguardo ai limiti della politica monetaria, su cui qui ci si concentrerà, essi emergono nel Rapporto
sia nell’analisi dei meccanismi di trasmissione della politica monetaria, sia nei dati relativi
all’andamento macroeconomico dei principali paesi industrializzati dal 2007 ad oggi. I diversi
risultati in termini di crescita ed occupazione che vi si osservano si può infatti dire siano scaturiti da
un lato dal mancato coordinamento delle politiche monetarie e fiscali in senso espansivo in Europa
a differenza che in altri paesi, e dall’altro dal fatto che il ventaglio di tassi di interesse e cambi reali
fissati dalla BCE in base alle condizioni medie complessive dell’area dell’euro o sotto la pressione
di alcuni dei paesi economicamente e politicamente più forti dell’Unione europea (in particolare
della Germania) ha assunto valori diversi da quelli in grado di favorire una ripresa economica più
rapida e con costi sociali meno elevati nei paesi cosiddetti periferici dell’area dell’euro, tra cui
l’Italia.
2. Il primo punto che colpisce del Rapporto è che vi si riconosce che la forte immissione di liquidità
ed il ribasso dei tassi dell’interesse hanno avuto effetti limitati sulla domanda aggregata e sui prezzi,
sconfessando così coloro che si erano espressi contro quegli interventi per l’idea che avrebbero
determinato, per via diretta o indiretta, una ripresa dell’inflazione.[3] Di fatto, come riconosciuto di
recente da Draghi stesso, e come emerge da alcune stime allarmanti del Fondo Monetario
Internazionale, il pericolo che tutt’ora si ha nell’eurozona non è quello di una crescita dei prezzi,
bensì semmai quello della deflazione – un pericolo che ha fatto qualche giorno fa prospettare la
necessità di ulteriori ingenti interventi ‘non convenzionali’ da parte della BCE.[4]
Il mancato funzionamento di quello che viene considerato il tradizionale meccanismo di
trasmissione della politica monetaria emerge chiaramente nel Rapporto dall’analisi dell’andamento
degli aggregati monetari e dei prestiti a famiglie e imprese negli ultimi anni. Come si specifica nel
Rapporto, i miglioramenti nella situazione dei mercati finanziari e nella liquidità del sistema
bancario non hanno determinato un aumento dei prestiti al settore non finanziario, ed anzi i prestiti
al settore privato si sono nel corso del 2013 contratti ulteriormente, stabilizzandosi solo verso la fine
dell’anno, con un – 2,0% a dicembre di contro ad un -0,2 del dicembre 2012. Ciò che è interessante
è che la BCE stessa spiega questa dinamica dei prestiti non tanto o solo in base ad una crescente
avversione del settore bancario verso prestiti troppo rischiosi (che potrebbero del resto trovare, ed
hanno trovato, compensazione in una differenziazione dei tassi di interesse piuttosto che in un puro
razionamento del credito),[5] ma soprattutto in base alla debole domanda di credito, a sua volta
legata alla bassa crescita del reddito reale disponibile delle famiglie, al tentativo da parte loro e
delle imprese di ridurre il proprio indebitamento (in aggregato, tuttavia, con scarso successo),[6] e,
possiamo aggiungere, alla dinamica ancora fortemente negativa degli investimenti, soprattutto in
alcuni paesi dell’area dell’euro. Non sorprende così che, con buona pace del rigido moltiplicatore
dei depositi bancari (sempre più criticato anche a livello di Banche Centrali) e della idea stessa di
moneta esogena,[7] la dinamica degli aggregati monetari mostri un andamento di M3 - cioè del
circolante, dei depositi e delle obbligazioni a due anni – che fino a metà del 2011 segue strettamente
il ciclo economico, e poi a quel punto (si veda la Figura 6 del Rapporto qui sotto riportata) per tutto
il 2012 un andamento che, mentre i prestiti diminuiscono, risulta crescente come effetto del forte
aumento di base monetaria a seguito delle operazioni “non convenzionali” – un aumento che non a
caso avrà come contropartita un eccesso di riserve o liquidità delle banche presso la BCE rispetto a
quanto usualmente considerato necessario in base all’ammontare di credito erogato.[8] In verità,
come mostra l’analisi dei cambiamenti nella composizione di M3, la liquidità immessa nel sistema
economico dalla metà del 2011 non ha dato vita ad alcun processo moltiplicativo dei depositi
bancari, ed è stata utilizzata a partire dalla fine del 2011 e fino a quasi tutto il 2012 (quando poi per
il ribasso dei tassi le banche hanno iniziato a liberarsi dei titoli a breve termine precedentemente
acquistati) soprattutto a consentire quell’acquisto – senza ovviamente cancellarsi nel computo
dell’eccesso di liquidità presso la BCE nella misura in cui non ha comportato una riduzione nelle
riserve valutarie.
3. Che riduzioni dei tassi dell’interesse non abbiano necessariamente effetti espansivi è in realtà
cosa nota, anche perché, come si finisce per ammettere nel Rapporto (cfr. ad esempio p. 59), sugli
investimenti hanno influenza soprattutto le variazioni attese nella domanda aggregata piuttosto che
variazioni nei tassi dell’interesse. L’influenza dei tassi è semmai indiretta, passando attraverso le
ripercussioni che loro variazioni potranno avere sul consumo, le esportazioni nette e la spesa
pubblica. Si tratta ad esempio del fatto che una diminuzione dei tassi dell’interesse potrà avere
effetti redistributivi e quindi modificare la propensione al consumo della collettività, o del fatto che
quella riduzione si accompagnerà con un aumento del valore dei titoli e dunque (forse) con un
effetto ricchezza positivo sul consumo, o ancora, del fatto che essa potrà portare ad un
deprezzamento reale del cambio e quindi ad un aumento delle esportazioni. Come si può intuire, si
tratta di effetti meno certi di quelli ipotizzati dalla teoria ‘tradizionale’ nelle sue diverse
formulazioni – quali l’aumento della domanda di beni di consumo (e non, di contro, di altre attività
finanziarie) in presenza di scorte liquide reali non desiderate, o l’aumento degli investimenti a
fronte di una diminuzione nel tasso dell’interesse – il che appunto è quanto rende meno chiaro e
definito il meccanismo di trasmissione della politica monetaria.
Ma la domanda che ci si può porre è perché, pur con questi effetti incerti, misure di riduzione dei
tassi dell’interesse simili se non analoghe a quelle portate avanti dalla BCE si siano associate in altri
paesi ad una ripresa dell’occupazione e del reddito a differenza che in Europa. E la risposta sta a
mio avviso nella differente struttura istituzionale entro cui si è mossa la politica monetaria della
BCE, ed il conseguente diverso profilo temporale e contenuto della sua politica monetaria.
E’ forse opportuno ricordare al riguardo alcuni semplici fatti elencanti nel Rapporto della BCE.
L’Europa a differenza che gli Stati Uniti si trova nel 2013 ancora in recessione (per quanto si
osservi qualche lieve segnale di ripresa verso la fine dell’anno), con il Pil che cade dello 0.4 per
cento.[9] Al tempo stesso i prezzi crescono nel 2013 solo dell’1.4 per cento, meno che nel 2012, per
una crescita contenuta dei salari monetari, e la caduta del prezzo del petrolio e degli alimenti.[10] Il
quadro è diverso negli altri paesi. Negli Stati Uniti, ad esempio, per quanto si abbia nel 2013 un
(lieve) rallentamento nel tasso di crescita del Pil, la ripresa va avanti a partire dal 2009 ad un ritmo
intorno al 2 per cento l’anno (si veda la Figura 2 del Rapporto), ed una dinamica analoga si osserva
nel Regno Unito.[11] Negli stessi anni in questi paesi, a differenza che nella media dei paesi
dell’area euro, si ha una ripresa del credito al consumo, un aumento del prezzo delle case, un
aumento del prezzo delle azioni più forte che in Europa (tanto da superare i valori precedenti la crisi
del 2007), ed un aumento degli investimenti. Questa diversa dinamica del reddito spiega
ovviamente il diverso andamento del tasso di disoccupazione – ancora in aumento in Europa, dove
raggiunge il 12 per cento, ed invece in calo negli altri principali paesi industrializzati. Negli Stati
Uniti ad esempio, dopo aver raggiunto il 9 per cento nel 2009, la disoccupazione è a gennaio 2014
al 6.6 per cento – un tasso ritenuto ancora ‘non sostenibile’ da parte della Federal Reserve.[12]
Ora, questi diversi risultati in termini di crescita ed occupazione dipendono dal fatto che – subito
dopo la crisi del 2007 – in questi paesi a differenza che nell’area dell’euro vengono perseguite
politiche fiscali e monetarie entrambe fortemente espansive.[13] I vincoli posti dai trattati europei
sulle politiche di bilancio, per quanto in parte disattesi, non hanno invece consentito un sostegno di
analoga entità alla domanda aggregata in Europa, e la situazione è peggiorata con le crescenti
richieste da parte della Commissione Europea a molti paesi (tra cui Grecia, Irlanda, Portogallo,
Cipro, Spagna e Italia) di un consolidamento fiscale a partire dal 2010 in applicazione dello
Stability and Growth Pact e dei principi approvati dal consiglio Ecofin dell’ottobre del 2009 consolidamento tuttora in atto, per quanto nel 2013 con un segno meno restrittivo. Come
evidenziato del resto nel Rapporto, nel complesso, dal 2008 ad oggi, i disavanzi pubblici sono
aumentati nell’eurozona meno che in Usa, Regno Unito, Giappone e Canada.
Ma il Rapporto della BCE plaude alle misure di consolidamento fiscale richieste dalla
Commissione, e sembra prospettare per il futuro un apprezzamento dell’euro con un suo ritorno ai
valori pre-crisi.[14] Se così fosse, ci saranno poche possibilità di vedere ridursi nell’eurozona gli
attuali elevati tassi di disoccupazione. Come ci mostra l’esperienza di questi anni, tale riduzione
richiederebbe infatti l’adozione di politiche monetarie e fiscali entrambe espansive, e ciò per una
entità e lasso di tempo sufficienti allo scopo.[15]
*Università Roma Tre
[1] Questa nota è ripresa dall’intervento alla tavola rotonda con R. Ciccone, M. Rostagno e D. Venanzi
sul Rapporto Annuale della BCE tenutasi il 14 aprile 2014 presso il Dipartimento di Economia,
Università Roma Tre.
[2] E’ da notare che le operazioni OMT (Outright Monetary Transactions) nei mercati secondari dei
titoli pubblici annunciate nell’agosto 2012 sono nel Rapporto (cfr. p. 18, n. 1, mia enfasi) giustificate
proprio dalla necessità di “affrontare le gravi distorsioni nella determinazione dei prezzi dei titoli di
Stato di alcuni paesi dell’area dell’euro, connesse in particolare con i timori infondati degli investitori
circa la reversibilità dell’euro”. Per le definizioni delle operazioni della BCE (così come degli aggregati
monetari da M1 a M3) si veda il glossario finale del Rapporto.
[3] Si ricorda che per tali timori alla fine del 2009 si iniziò stranamente a discutere della necessità di
strategie di uscita dalle politiche monetarie espansive, che nella prima metà del 2011 la BCE finì per
aumentare i tassi, e che l’adozione nella seconda metà del 2011 di strumenti di politica monetaria ‘non
convenzionali’ portò alle dimissioni prima di Weber e poi di Stark (esponenti della Bundesbank) dal
consiglio della BCE.
[4] Si veda al riguardo in questa rivista Bergamini G. e Cesaratto S., “Cos’è il quantitative easing e che
effetti può avere”.
[5] Questo non significa ovviamente che a)con l’aumento per la crisi delle sofferenze bancarie, e la
necessità (anche per alcune misure legislative) di migliorare la propria posizione patrimoniale, non si
sia verificata, soprattutto nei paesi periferici, una maggiore selettività delle banche nella concessione di
crediti alla clientela (ad esempio con la richiesta di collaterali più consistenti); e b)che in tali paesi il
costo del credito (anche per i più elevati tassi di interesse sui titoli pubblici) non sia rimasto più alto
che altrove, favorendo così, con la ripresa economica, una tendenza a ricorrere a forme alternative di
credito e all’autofinanziamento. Si noti che al riguardo lascia perplessi il termine ‘ripresa senza
credito’ presente nel Rapporto, a meno di non intendere con ciò il credito strettamente bancario – dato
che, diciamo, anche una stretta di mano o scrittura privata tra due contraenti è in grado di generare
credito.
[6] Così il rapporto debito/reddito disponibile delle famiglie è a 95 nel 2008, a 100 nel 2011, ma solo a
98 nel 2013. Più consistente è il miglioramento dell’indebitamento per le imprese non finanziarie.
[7] Sull’endogeneità della moneta si veda Moore B. (1988), Horizontalists and Verticalists: the
Macroeconomics of Credit Money, Cambridge University Press.
[8] Il desiderio delle banche di scorte liquide precauzionali si riduce con la stabilizzazione del mercato
interbancario, cosicchè l’eccesso di liquidità presso la BCE passa da 621 a 275 miliardi di euro tramite
il ridotto ricorso alle operazioni di rifinanziamento e l’uso dell’opzione di rimborso prima della
scadenza delle due operazioni LTRO a tre anni del 2011-2012. Ciò spiega per una parte la caduta di
M3 nel corso del 2013, attenuata comunque nello stesso anno dall’aumento di M1 per il ritorno di
fiducia degli investitori internazionali verso l’euro ed il miglioramento delle partite correnti – ovvero
per la formazione di liquidità attraverso il canale estero.
[9] Ovviamente il dato medio dell’area dell’euro nasconde condizioni macroeconomiche molto diverse
tra i vari paesi. Nel complesso comunque nell’eurozona la domanda interna continua a cadere (del 2.2
% nel 2012, e dell’1.2 per cento nel 2011), e la caduta è ancora più forte per gli investimenti fissi lordi
(rispettivamente del 4.1 e del 3.5 per cento).
[10] Un rallentamento più accentuato si nota per l’indice dei prezzi industriali, che aumenta solo dello
0.2 per cento contro il 2.8 per cento nel 2012.
[11] Per un quadro della situazione macroeconomica del Regno Unito e degli Stati Uniti negli ultimi
anni si veda anche Bank of England, Inflation Report, February 2014; e Federal Reserve, Monetary
Policy Report, February 2014.
[12] Ciò è dovuto anche al fatto che il tasso di partecipazione della popolazione in età lavorativa
diminuisce nel frattempo non solo per fattori demografici ma per la presenza di lavoratori scoraggiati.
Nondimeno, dal 2010 si osserva negli Stati Uniti un continuo aumento dell’occupazione.
[13] Questo non è in contrasto con il fatto che negli ultimi due anni si abbiano in alcuni di questi paesi
(come in Europa) misure di “consolidamento fiscale”.
[14] Si veda E.S. Levrero, “Il rischio della deflazione e gli interventi della BCE”.
[15] Un buon esempio di tale combinazione di politiche fiscali e monetarie espansive ci è dato dal caso
della Cina. Cfr. Yi Wen e Jing Wu, Withstanding Great Recession like China.
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