Inquietudini della modernità 2013
Il feedback
insight cognitivo/insight affettivo
Alberto Peruzzi
Università di Firenze
0. Prolecta
Il tema scelto per l’edizione 2013 di “Inquietudini della modernità”,
ovvero l’insight affettivo, è sicuramente più congeniale a filosofi di
altro lignaggio. Di quella cosa straordinaria che è l’interiorità umana
so poco e non mi riesce far convivere vaghezza e profondità
affascinando chi mi ascolta con una serie di allusioni suggestive.
Alla luce di simili premesse, è chiaro che non avrei mai potuto
fornirvi un quadro soddisfacente dell’argomento che ho scelto di
trattare. Lasciando ad altri il piacere di una visione dall’alto su tutto,
esporrò alcune semplici riflessioni che hanno un unico scopo:
distinguere i vari aspetti dell’insight e chiarirne i rapporti.
In giro ci sono ancora due antichissimi virus dell’intelligenza.
Anche se in passato mi è capitato di affrontare questioni riguardanti i
processi cognitivi legati al linguaggio, non mi è mai capitato di
trattare questioni relative alla sfera dei sentimenti. È vero, ho
composto un certo numero di poesie, ma non le ho mai intese come
“studi” su questa sfera – bensì come sue manifestazioni.
Uno è quello che induce a dire quel che si presume sarà apprezzato
e ad apprezzare chi ci dice le cose che già apprezziamo; l’altro è
quello che fa associare la profondità di pensiero all’oscurità
dell’eloquio e induce a nascondere la propria ignoranza dietro a
discorsi contorti.
In questa occasione intendo intendo valorizzare alcuni legami che
connettono sfera affettiva e sfera cognitiva, suggerendo che ci può
anche essere un modo di trattare unitariamente aspetti che
discipline diverse affrontano separatamente.
Spero che questo sia un luogo che brilla per l’assenza di entrambi i
virus e che dopo il mio intervento non si attribuisca a me la colpa di
avere introdotto uno dei due virus o tutti e due.
Ringrazio gli organizzatori per l’invito ricevuto.
Sono stato invitato a portare la voce della filosofia in questo
consesso, con l’unica raccomandazione di tener presente che mi
sarei rivolto a un pubblico composto anche da non-esperti, ragion
per cui era sconsigliabile ogni tipo di gergo.
Benché la filosofia abbia visto male l’invito rivoltomi, l’ho accettato
egoisticamente: perché mi forniva l’occasione di riflettere su temi
diversi da quelli sui quali abitualmente faccio ricerca.
!2
Innanzitutto, non credo che ci sia una prospettiva filosofica sull’insight.
Può sembrare strano, lo so, perché sulla conoscenza intuitiva (in senso
lato) i filosofi si sono premurati di dire la loro da più di duemila anni, anche
se hanno detto cose molto diverse l’uno dall’altro. Se si fosse trattato solo
della molteplicità di tesi al riguardo, anche limitatamente al contrasto fra
Ragione e Sensibilità, avrei potuto fare bella figura discutendo le opposte
tesi e poi impegnandomi a svilupparne una, oppure trovando un comune
denominatore fra le varie tesi che potesse servire nel dibattito attuale, o
infine sostenendo che un qualche misconosciuto pensatore, nella notte
dei tempi, aveva già capito tutto. Un compito del genere, in ciascuna delle
sue varianti, oltre che indubbiamente arduo sarebbe stato pregevole
(ammesso che, da parte mia, potesse esser svolto). I
Perciò, se qualcuno di voi si aspettava che l’intervento di un filosofo
avrebbe fatto emergere dimensioni dell’insight trascurate da chi studia la
psiche o, dall’alto della torre eburnea, avrebbero fatto risuonare un
verdetto, ovviamente aperto a molteplici interpretazioni, circa i difetti di
questa o quella impostazione scientifica, resterà deluso. Sempre per
chiarezza, non sottoscrivo né il credo degli antiscientisti né il credo degli
scientisti. Anzi, ho il sospetto che a far professione di fede in un senso o
nell’altro si metta semplicemente il carro davanti ai buoi. Può anche darsi
che, implicitamente, nel discorso che farò siano presenti osservazioni
critiche circa questo o quell’approccio all’insight, ma l’intento primario è
costruttivo, con qualche spunto di natura etica. Quel che dirò non ha altra
pretesa se non quella di fornire alcuni mattoncini da costruzione.
l primo “purtroppo” è che tale compito, in qualunque sua variante, non ha
esercitato alcuna attrazione su chi vi parla: tanto una collazione, seppure
critica, di opinioni, quanto un tentativo di selezione non mi avrebbero fatto
capire qualcosa di più di quel che già capivo (se è poco, tanto peggio).
Insomma, penso che l’unico buon esercizio filosofico in materia sia quello
che prepara il terreno di un quadro teorico che permetta di capire come
l’insight funziona, quali ne sono i caratteri, cosa lo rende possibile e cosa
lo inibisce.
[PS: Colleghi e studenti interessati all’argomento che non hanno potuto
essere presenti mi hanno chiesto le slides della presentazione. Come ho
già verificato più volte in relazione a richieste analoghe, la visione delle
diapositive, così come sono abituato a prepararle, fornisce soltanto
frammenti d’idea, non permettendo di risalire al ragionamento che c’è
dietro e che, in una presentazione, è fatto solo a voce. Senza il discorso
che le collega l’una all’altra, il loro carattere ellittico può risultare
fuorviante. Ho deciso quindi di mettere per esteso almeno una parte di
quel che ho detto nell’intervento e di quel che intendevo dire. Nel corso
della presentazione ho usato molte immagini che qui invece mancano
perché non sono sicuro di quali siano coperte da copyright e quali no. Ne
ho conservato solo pochissime, sperando che i loro “proprietari”
capiscano la finalità non lucrativa delle pagine che seguono. Il risultato è
un ibrido fra una presentazione e un articolo.]
Il secondo “purtroppo” è che per elaborare un simile quadro non credo
che possa bastare un’indagine psicologica e, per colmare le lacune, non
credo che sia d’aiuto un raffinato ‘collage’ di psicologia cognitiva,
psicoanalisi, neuroscienze, filosofia e quel che altro vorreste che ci fosse.
A questo punto, se fossi in voi, penserei che mi toccherà sorbirmi una
certosina analisi del concetto di insight. Non sarà così, anche se il
concetto tanto limpido non è: non ho intenzione di propinarvi una
disquisizione preliminare sui molteplici sensi del termine e sulle difficoltà
di farli convivere, lasciandovi senza la minima idea di come andare avanti.
!3
1. Biscotti e amori in briciole
!
!
A quanto pare, il nostro è un tempo in cui i legami
affettivi sono quanto mai fragili. Nella società
“liquida” i rapporti
tra le persone nascono e
muoiono con grande facilità – e qui “grande”
significa “molto maggiore che in passato”.
La scorsa estate mi è capitato di leggere un libro di
divulgazione scientifica il cui titolo, in italiano,
suona “Come si sbriciola un biscotto” e qualche
giorno fa mi è arrivata la segnalazione di un libro
che parla degli affetti nel nostro tempo e s’intitola
“Gli amori briciola”.
Anche se è così, i presupposti non sono di ieri.
!
Ovviamente, i biscotti si sbriciolano per ragioni
chimiche e non perché tra loro c’è poco insight.
Mettendo da parte la questione se la chimica (cioè,
la neurochimica) riuscirà prima o poi a spiegare
anche l’insight, è per me altrettanto ovvio che se i
processi cerebrali non funzionano “per bene”, la
possibilità di un insight si riduce, fino a scomparire
del tutto. Negli ultimi decenni, i mezzi di trasporto rapido e a
costo ridotto hanno consentito di spostarsi
fisicamente da un luogo all’altro del pianeta
offrendo a un sempre maggior numero di persone
la possibilità di conoscere e avere relazioni affettive
con persone che dietro di sé avevano un’altra storia
culturale, un altro stile di vita, altre regole sociali e
altri modi di comunicare i sentimenti.
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!
!
!
!
Recentemente, le nuove tecnologie consentono a
milioni di persone di stabilire relazioni con altre
persone che vivono nei luoghi più diversi, senza
bisogno di spostarsi di un metro e senza sapere se
la faccia che si sono date in rete è davvero la loro
faccia o no.
!
!4
A differenza di quel che succede con un biscotto,
credo che un amore, oltre che per altri motivi, si
sbriciola per una mancanza di insight affettivo e
per la correlata decisione che non ne vale più la
pena provarci. E com’è che qualcosa si sbriciola?
E il bello è che, a sua volta, la comprensione passa
tipicamente per un insight.
L’insight, si potrebbe perciò dire, è una
configurazione bidimensionale, una configurazione
che presenta aspetti diversi lungo ciascuno dei due
assi, cognitivo e affettivo, ma che acquista una
rilevanza particolare nella vita di ciascuno di noi
quando i due tipi di aspetti interferiscono.
Che si tratti di biscotti o di amori, è una bella
domanda: interessante quanto difficile. Ma
altrettanto interessante e difficile è capire come
qualcosa NON si sbriciola (o ci mette molto di più a
sbriciolarsi).
Come ogni interferenza, anche questa può essere
costruttiva o distruttiva.
In questo caso, se riferito alle relazioni tra gli
esseri umani, accanto a tanti altri fattori entra in
gioco un qualche tipo di insight a impedire, o
ritardare, lo sbriciolamento.
Quindi si tratta di capire com’è che insight
cognitivo e insight affettivo si raccordano. A questo
scopo, invece di prestare esclusiva attenzione a
quel che succede tra un A e un B che siano
entrambi esseri umani, può essere utile ampliare il
campo dei possibili “soggetti” e dei possibili
“oggetti” di insight: A potrebbe essere uno
scimpanzé o un computer e B potrebbe essere uno
stato di cose o una forma.
Non è strettamente necessario che l’insight sia
perfettamente simmetrico tra due persone A e B,
però una qualche forma di insight da A a B e da B
ad A ci deve essere, altrimenti sarebbe preferibile
evitare il termine “amore”.
Fin qui, niente di particolare, giusto? Il punto è che
l’insight affettivo richiede una pur minima
comprensione. Ma allora entrano in gioco aspetti
cognitivi. Per capire qualcosa, conviene sempre partire dalle
situazioni più semplici, specie se queste sono già
complesse.
!
!5
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!
cognitiva affettiva
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!
!
Un nodo piano con due capi. Semplice e intuitiva
simmetria. Metafora di un legame fra due prospettive
esistenziali, corrispondente a una configurazione che
“tiene” (non si scioglie, non si rompe, non si “sbriciola”). Ci sono quelle negative, riconoscibili per il fatto che le
azioni che li eliminano hanno tratti positivi - sciogliere il
nodo, slegarsi, svincolarsi - associati solitamente al
valore positivo della libertà. Il semplice contatto di un capo con l’altro non
stabilirebbe alcun legame. La nuova funzione che si
viene a creare non sarebbe possibile senza il nodo. A proposito di metafore: nodo, legame, vincolo sono
termini cui associamo
sensazioni e valutazioni
opposte. Ma i nodi non-metaforici possono avere una funzione
positiva e, nella nautica e nell’alpinismo, oltre che
positiva, è decisiva. A livello metaforico, curiosamente,
questa funzione viene dimenticata. Bisognerebbe
dunque vedere quale nodo per quale funzione. !
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Il tema del valore che diamo ai nodi metaforici
meriterebbe di essere sviluppato a parte, perché il tipo
di metafore che usiamo per descrivere gli stati emotivi,
affettivi e cognitivi influenza il nostro atteggiamento nei
loro confronti.
!
!
L’immagine precedente è da intendersi come animata [ed era
animata nel corso della presentazione].
Il cerchio rosso gira in senso inverso a come il cerchio nero (in
stile zen) gira su di sé: uno è il “cerchio” delle emozioni e l’altro è
il “cerchio” dei pensieri. A questi due “cerchi” corrispondono
due tipi di intelligenze.
In realtà, i tipi d’intelligenza sono più di due, quindi ci sarebbero
voluti più cerchi; e allora sarebbe stato meglio raffigurarli
allacciati tra loro come gli anelli borromei e per non confonderli
ci sarebbero voluti anche più colori. Ma ho preferito non
sovraccaricare l’immagine.
Quale dei due colori associare a quale tipo d’intelligenza, con il
suo relativo tipo di insight, è lasciato a voi, anche se sono
convinto d’indovinare quale associazione farete.
La linea azzurra, che ricorda la forma delle labbra, alludeva allo
scopo della presentazione, cioè, argomentare che i due tipi di
insight si possono “parlare” e che, quando questo succede, il
risultato è positivo per la persona. (A essere onesto, mi sembra
la scoperta dell’acqua calda. Sento, comunque, il bisogno di
dirlo.)
Quando invece non c’è comunicazione, il risultato è negativo e
tale è, a fortiori, se uno dei due “cerchi” è instabile o incompleto.
Tutte e tre le forme hanno bisogno di allenamento, e di un
allenamento specifico: l’insight non è gratis e non è neppure
indipendente dalle condizioni “ambientali”.
Nel Novecento si è diffusa la fissazione ad attribuire alle
condizioni ambientali il potere causale di far succedere quel che
succede, se non fosse che, a parità di condizioni ambientali, i
soggetti coinvolti si comportano in maniera diversa l’uno
dall’altro. Per esempio, nel periodo 1308-1320, le condizioni
ambientali della società in Italia hanno prodotto un solo autore
di divine commedie. Poiché anche i soggetti possono essere
inclusi nelle condizioni ambientali, il risultato è una tautologia: il
tutto produce ciascuna cosa. Grazie.
La tesi che intendo argomentare deriva da un’impostazione che da un po’ di anni ho sviluppato
all’interno della semantica cognitiva. La tesi afferma che insight cognitivo e insight affettivo
hanno una base comune, costituita da una batteria finita, specie-specifica, di pattern
immaginativi: sono gli “schemi-base” essenzialmente legati alla struttura del nostro corpo (e il
nostro corpo non si esaurisce nel nostro cervello). In questa batteria di schemi-base, tra loro
componibili in molti molti, si radica la nostra comprensione del significato di qualunque frase. Si
tenga presente che Il radicamento nella base comune on impedisce l’uso svincolato di ciascuno
schema una volta che si è costituito.
TESI
INSIGHT COGNITIVO
INSIGHT AFFETTIVO
!
!
!
!
BASE COMUNE DI PATTERN IMMAGINATIVI
Volendo, a questo punto potrei fare entrare
in gioco un bel po’ di filosofia. E non mi
riferisco solo a quella dei secoli precedenti
alla nascita di tutti voi, ma anche a quella di
oggi.
!
Per i motivi detti all’inizio e anche per
ragioni di tempo non farò riferimento al
dibattito filosofico attuale e alle controversie
che l’hanno preparato nel corso degli ultimi
decenni.
!
Sto dimenticando che il tema del rapporto
fra emozione e cognizione è stato presente
in filosofia fino dalle origini greche? No, ma
l’analisi di questo rapporto sul piano logicolinguistico ha raggiunto nel Novecento uno
sviluppo estremamente raffinato sul piano
formale.
2. Più da vicino o più da lontano
In qualunque insight c’è un “capire”; e questo capire, che può avere sia la forma del capire-qualcosa sia
la forma del capire-che, si realizza in due modi fondamentali, a seconda del punto di vista che ci
permette di arrivare all’insight. Il punto di vista può essere esterno o interno. Cioè, la comprensione può
passare per un vedere le cose dal di fuori (o più da lontano o in maniera più distaccata) o per un vedere
le cose dal di dentro (o più da vicino o in maniera più adesiva).
capire
si dice in due modi
A. Capire esoscopico
!
separarsi da
allontanarsi da
!
vedere dal di fuori
!
vedere da lontano
!
metaosservazione
!13
Il riconoscimento di un’impronta sulla sabbia è un
semplice esempio di comprensione di tipo A. In
questo caso si tratta “semplicemente” di
identificare una forma. Guardando i granelli a
distanza molto ravvicinata (diciamo con il naso nella
sabbia) non si vedrebbe che una distribuzione
pressoché arbitraria di sfumature. Nessuna figura
emergerebbe dallo sfondo. Allontanandosi
progressivamente, a un certo punto si riconosce
agevolmente la forma del piede.
In questo caso il processo di comprensione avviene
mediante l’allontanamento dell’osservatore da una
superficie. Dalla massa indistinta di granelli di
sabbia emerge una configurazione che si differenzia
dallo sfondo, ma se l’allontanamento proseguisse
arrivando diciamo a venti metri la figura non
sarebbe più identificabile come l’impronta di un
piede sulla sabbia. Quindi c’è un “range”
privilegiato.
Finora, Il riconoscimento di forme da parte di un
computer è ottenuto dotandolo di un programma
opportuno o di un algoritmo di correzione degli
errori (tipo architetture PDP). In entrambi i casi il
sistema mima quello che il programmatore sa già
fare.
B. Capire endoscopico
!
esaminare più da vicino
entrare in
!
isolare dal “rumore ambientale”
!
mettersi nei panni di un altro
!15
La comune esperienza nell’individuare un fiocco di neve che
cade è un esempio di comprensione di tipo B, anch’esso
relativo al riconoscimento visivo di una forma, questa volta
in movimento.
Anche in questo caso possiamo andare oltre ma invece di
allontanarci (e parlare della nevicata, come entità collettiva),
possiamo avvicinarci. Anzi possiamo violare il nostro
“range” di percezione dotandoci di protesi opportune.
In questo modo il processo di comprensione prosegue
mediante uno zoom microscopico sulla neve che cade. Da
una massa di fiocchi si passa alla struttura esagonale di un
singolo fiocco e, continuando lo zoom, si arriva al reticolo
atomico.
Si noti che, anche se entrare nei dettagli del fiocco ci siamo
inventati una serie di strumenti che non si trovano in natura,
interagiamo con essi nello stesso modo di prima: se
solleviamo l’invisibile al visibile è per sfruttare le consuete
risorse percettive. Analogamente, è con i nostri occhi che
guardiamo le lastre delle radiografie.
Tornando ai fiocchi: se si scende ulteriormente di ordine di
grandezza non si vede più la struttura esagonale. E venendo
infine a noi: per metterci nei panni di un altro non occorre –
o, se preferite, non basta – un microscopio, ma anche in
questo caso non conviene esagerare con i dettagli.
!
3. Insight e outsight
http://guide.notizie.it/la-storia-della-stretta-di-mano/
!
I due tipi di comprensione puntano in direzione opposta e
non è chiaro come si possano combinare.
!
A ciascuno di essi è tipicamente associato un significato
aggiuntivo, quando quel che si tratta di “capire” riguarda
gli stati mentali e le relazioni affettive.
!
La “distanza” richiesta dalla prospettiva esoscopica
sembra sancire un distacco e quindi la scelta di non
partecipare alle “cose” che si vorrebbero capire.
!
Alla prospettiva endoscopica è immediatamente correlato
l’intento inverso (non m’interessa dire se è giusto o
sbagliato correlarlo).
!
La separazione è valutata negativamente, mentre l’unione è
valutata positivamente. Ma oltre ai nodi che “vanno sciolti”
ci sono anche casi in cui questa valutazione potrebbe, e
dovrebbe, essere rovesciata (vedi l’esempio dell’impronta
sulla sabbia). Quindi?
!
Sembra che siamo a un punto morto. Forse il problema è
insolubile e converrà assumere di volta in volta il punto di
vista pragmaticamente più efficace? Una pseudo-soluzione
così a buon mercato equivale in sostanza a una rinuncia a
capire.
!
!
!
!
!
!
!
!
L’opposizione tra punto di vista interno – cioè quello,
letteralmente, dell’in-sight – e punto di vista esterno –
quello dell’out-sight – si può ritrovare già nel dibattito degli
ultimi decenni intorno alla questione se sia possibile una
scienza della mente completamente in terza persona o se
sia necessario (e sufficiente?) integrare le conoscenze così
acquisite con quelle in prima persona, corrispondenti a
!
“sapere che cosa si prova a ...”
!
associate a una prospettiva empatica di immedesimazione.
!
Senza entrare nel merito, mi limito a osservare che
all’interno dei due schieramenti nessuno avrebbe preso sul
serio una simile pseudo-soluzione pragmatica. Quindi, che
dire? Il successo che le pseudo-soluzioni chiamate
“neopragmatismo” hanno avuto dalle nostre parti è, a mio
modesto parere, spiegabile solo per il fatto che i suoi alfieri
e il pubblico plaudente preferivano sbarazzarsi del
l’impegno a trovare una soluzione.
!
Se poi teniamo conto anche della dimensione affettiva, ci
accorgiamo che esistono casi in cui il distacco da ciò cui
siamo affettivamente “legati” può essere una condizione
per comprendere meglio qualcosa e, viceversa, casi in cui
senza un coinvolgimento affettivo può esserci preclusa
comprensione di qualcos’altro. Nessuna di queste due
cose può piacere, ma non è scritto da nessuna parte che la
realtà debba essere come ci piacerebbe che fosse. D’altra
parte, quest’ambivalenza non è una spiegazione, ma
qualcosa da spiegare.
!
!
contraddizione
IN-SIGHT
–
–
OUT-SIGHT
?
L’insight e l’outsight debbono davvero essere intesi staticamente come l’uno in contraddizione
con l’altro? O possono essere visti come termini di una dialettica che li anima? In tal caso, però,
occorre che ci sia un piano di mediazione, attraverso il quale si passa dal primo al secondo.
!19
IN-SIGHT
OUT-SIGHT
…
?
E occorre pure che ci sia un terreno di mediazione, attraverso il
quale si passa dal secondo al primo.
Ecco l’ipotesi che avanzo:
1°) che dall’in all’out e dall’out all’in si tratti dello stesso piano di
mediazione,
2°) che tale piano sia quello al quale ci rappresentiamo
intuitivamente gli archetipi di qualunque processo, e solo essi,
piuttosto che una miriade di stati di cose,
3°) che questa rappresentazione intuitiva sia di per sé carica di
valenza emotiva.
4. Dalla statica alla dinamica
DA
capire
stati-di-cose
A
capire
processi
Gli archetipi di processi sono “incorporati” (embodied), non sono
acquisiti, e dobbiamo ringraziarli se apprezziamo il fatto di poter
intendere e parlare sia di stati e processi che avvengono nel
mondo esterno al corpo umano sia di stati e processi cognitivi
ed emotivi. La prova dell’esistenza di questi archetipi, pattern,
schemi di base, indipendenti dalla cultura ma riempiti in modo
variabile da cultura a cultura, è uno degli apporti fondamentali
della Grammatica Cognitiva.
DA
stati fisici
processi fisici
!
!
A
!
!
stati mentali
processi mentali
Fin qui il discorso sembra essere
molto, troppo, astratto. All’interno
della prospettiva teorica della
Grammatica Cognitiva ci sono
invece studi che illustrano l’estrema
concretezza delle affermazioni
precedenti.
capire
un’altra persona
Da tali studi è emersa una prima
lista di risorse basilari dell’insight.
C’è ormai un’ampia letteratura che
passa in rassegna la varietà di
schemi che popolano il piano di
mediazione sopra accennato.
Ciò premesso, e anche se
spostiamo il focus dell’attenzione
dalla comprensione di stati di cose
alla comprensione di processi, il
discorso resta lontano da quel che
qui ci interessa: capire che cosa
permette di
CAPIRE UN’ALTRA PERSONA.
Naturalmente, l’elenco dei
componenti di un simile processo è
lungo e richiede l’integrazione di
dati di vario tipo (informazioni
verbali e non verbali).
C’è qualcosa in più rispetto a una
pur complessa acquisizione e
selezione dei dati al fine di fare
un’ipotesi interpretativa. Questo
“qualcosa in più” è appunto ciò che
comunemente indichiamo come
“insight”.
Ma
è solo “insight cognitivo” ?
!
è solo “insight affettivo” ?
!
Di fatto, usiamo entrambi i tipi di insight ed è facile
accorgersi che se una di esse mancasse, la
comprensione dell’altra persona ne sarebbe ridotta.
Adesso, prima di vedere come questi due tipi di insight
si combinano, è opportuno considerarli separatamente
per individuarne alcuni caratteri fondamentali.
!
Comincerò dall’insight cognitivo, per poi passare
all’insight affettivo e, da ultimo, provare a farsi almeno
un’idea di come si compongono.
5. insight cognitivo
“Eureka!” - esclamò Archimede, mentre faceva il bagno nella sua casa a
Siracusa. Aveva finalmente capito come risolvere il problema: ogni corpo
immerso in un liquido riceve una spinta. “Ho trovato!”… A Siracusa si
parlava ancora greco e Archimede era un genio della matematica. Ma lo
stesso tipo di esperienza capita anche a chi un genio non è.
A parte questo, l’esclamazione di Archimede è rimasta a designare le
situazioni in cui si scopre tutto d’un colpo la soluzione di un problema.
Nell’idea comune, il “colpo di genio”, la trovata geniale, la mossa
risolutiva, non si conquista passin passino. O viene o non viene. È un
lampo, un dono, una specie di illuminazione improvvisa, misteriosa,
insondabile. È l’insight cognitivo, si potrebbe dire, così come si
manifesta all’utente.
Il fenomeno “Eureka!” è entrato a far parte dell’immagine popolare della
scoperta: nella scienza così come in ogni altro campo. Chiunque abbia
scoperto qualcosa tende comprensibilmente ad avvalorarla. Picasso
arrivò a dire: “Io non cerco. Trovo”. In effetti, succede a tutti di trovare
qualcosa che non si è cercato. Ma che ce ne facciamo? L’intelligenza sta
nell’accorgersi che è proprio quello che risolve il problema che ci
ceravamo posti o addirittura uno più importante che non ci eravamo
ancora posti. Si chiama “Serendipity”.
Ora, se il compito dell’educazione scientifica non fosse solo quello di
trasmettere un lessico e un metodo ma anche quello di far rivivere
l’esperienza da cui è scaturito poi il lessico e il metodo scientifico,
bisognerebbe reimpostare da cima a fondo la scuola! Non sto dicendo
che basti preparare un setting opportuno, adatto a favorire il ripetersi
dell’esperienza in questione. Sto solo dicendo che bisognerebbe
preoccuparsi di più di stimolare l’insight cognitivo nei bambini.
!
!
Fatto sta che, se davvero la comprensione avanza per salti insondabili,
chiunque proponga un metodo per saltare ci sta ingannando. Viceversa,
se vogliamo mettere insieme una scienza della mente, non conviene
partire dall’idea che ci sia qualcosa di inspiegabile. Può anche essere,
chi lo sa, ma prima di ammettere che la razionalità avanza per salti
irrazionali bisogna esplorare la possibilità di una spiegazione di questi
“salti”.
Teniamo presente una cosa: ci piace così tanto credere al mistero
dell’insight che a metterlo in dubbio ci si sente subito in colpa.
Che l’insight cognitivo sia un tutt’uno insondabile lo si può dire solo
dopo che ci si è impegnati seriamente a studiare i fenomeni mentali e, in
particolare, quel che succede nella mente di chi, tutto a un tratto giunge
alla soluzione di un problema e per giunta ci arriva in un modo
inaspettato da lui stesso o da lei stessa.
Da tempo, fortunatamente, c’è già un ambito di ricerca in cui si è
studiato seriamente l’insight cognitivo, nei suoi molteplici aspetti. È quel
che ormai si indica correntemente con un termine: inglese:
!
!
!
!
!
!
!
PROBLEM SOLVING
Le ricerche degli psicologi sul problem solving hanno
avuto ricadute significative nel campo dell’educazione e
dei metodi di apprendimento.
Per un po’ di tempo c’è stata anche una specie di
infatuazione collettiva per le tecniche di problem
solving, tanto che nelle librerie c’erano scaffali
interamente dedicati, con testi che andavano bene un
po’ per tutti, testi orientati ai top manager, testi per i
bravi politici eccetera. Sono state perfino messe a punto
metodologie con il copyright.
!
!
!
Personalmente, ho cominciato a interessarmi di problem
solving quando quest’infatuazione era già sul finire e,
avendo davanti a me le varie linee teoriche e le loro
applicazioni, mi sono servito della riproduzione delle
strategie di problem solving all’interno dell’intelligenza
artificiale per trarne una lezione da applicare alla
filosofia del linguaggio e all’epistemologia. Per vostra
fortuna, non ho intenzione di dirvi qual è questa lezione.
Restando a un piano puramente descrittivo, quelli di voi
che sono interessati a farsi una prima idea del rapporto
tra logica, linguaggio e problem solving possono trovare
in rete una mia sintetica esposizione, che s’intitola “Dal
problema al programma”.
!26
!
!
Per risolvere un problema ci possono essere
molte strategie. Tra quelle che funzionano, alcune
saranno più efficienti e altre meno. Ma
quest’ordinamento pragmatico è secondario,
perché, ovviamente, del grado di efficienza si
parla sempre dopo che si è trovato una soluzione.
Prima, infatti, ha poco senso dire quale è e quale
non è (più) efficiente. Nel caso in cui ci
accontentiamo di approssimare la soluzione,
l’unica cosa che possiamo fare è ordinare, in base
a qualche criterio, le strategie che permettono di
arrivarci più vicino.
In questa sede mi limito a mettere in risalto un
p u n t o : c h e i l m o d o s t a n d a rd i n c u i c i
rappresentiamo un problema corrisponde a
trovare un percorso in uno “spazio” opportuno,
fatto di informazioni rilevanti al problema.
Le strategie di ricerca di una soluzione (o della
s o l u z i o n e ) a u n p ro b l e m a , s i c h i a m a n o
“euristiche”.
L’analisi delle euristiche pone problemi di varia
natura: logica, algoritmica e cognitiva.
Con lo studio sistematico delle euristiche si è
venuta configurando una nuova e vasta area di
ricerca. L’obiettivo è stato quello di elaborare una
teoria che, indipendentemente dal contenuto
specifico di un dato problema e dunque soltanto
in funzione della sua tipologia, permetta di
decidere se il problema è risolubile e, in caso
positivo, comparare le varie euristiche.
!27
Muovendosi in questo spazio, si cerca un
percorso che parta dai dati iniziali (start) e
consenta di arrivare allo stato (end) che
chiamiamo “soluzione”.
Lo schema cognitivo soggiacente è quello che si
indica come “schema del cammino”.
Questo schema sta alla base di innumerevoli
metafore, come “Sei arrivata dritta al mio cuore”,
“Mi sento alla deriva”, “Siamo finalmente usciti
dalla recessione”. È qualcosa di pre-euristico.
!
!
!
!
!
EURISTICHE
stato start = dati
?
percorso
!
spazio
!
del
!
problema
(in questo spazio,
i cui punti sono informazioni,
si collocano
tutti i percorsi “possibili”)
stato end = soluzione
!
!
Come tutti gli schemi-base della Grammatica Cogntiiva, anche lo
schema mentale del cammino (percorso o sentiero) ci permette di
fare una proiezione di significato dal concreto all’astratto. Nel
caso specifico, la proiezione rivela il modo canonico in cui
intendiamo il procedimento di soluzione di un problema.
Risolvere un problema
è
trovare un cammino
che porti dal nostro stato attuale (di interrogazione e di ignoranza)
allo stato in cui la soluzione è “raggiunta”, “arriviamo” alla
risposta, siamo “passati” dallo stato NON SO allo stato SO. Il
cammino corrisponde a una procedura da eseguire. Può trattarsi
dell’esecuzione di un algoritmo che sappiamo essere tale da
garantire il successo della nostra “esplorazione” ma può anche
trattarsi di una procedura non algoritmica.
!
Se il sentiero è già segnato, cioè, se qualcuno ha già tracciato un
percorso di soluzione, non ci resta che seguirlo, a meno che ci
piaccia trovarne un altro.
Se invece il percorso per risolvere un problema non è ancora
segnato, tocca a noi scoprirlo
In ogni caso, applichiamo immancabilmente lo schema del
cammino. Se fossimo degli organismi incapaci di spostarsi,
chissà quale altro schema useremmo per intendere la soluzione
di un problema!
Scoprire il percorso giusto (cioè, quello che ci porta alla
soluzione) può essere una necessità cui non c’è modo di sottrarci
ma può anche essere per piacere, per il semplice fatto che la
domanda ci interessa. Un tratto che contraddistingue la mente
umana consiste nell’appassionarsi alla soluzione di problemi che
non hanno alcuna utilità pratica. E la cosa straordinaria è che
l’impegno messo, e il gusto provato, a risolvere problemi del
genere ha avuto ricadute empiriche di portata enorme.
!
un cammino composto di più “passi”
La capacità di trovare soluzione a problemi è evidentemente
trasversale alle caratteristiche di questo o quel tipo di
problema.
!
Tuttavia, questa stessa capacità, nel momento in cui prende
corpo, deve prendere corpo in un modo che ha a che fare con
il tipo di problema e con il dominio specifico del problema che
abbiamo di fronte. Quindi nel problem solving ci sono tratti
indipendenti e tratti dipendenti che convivono. Si tratta di
capire quali sono gli uni e gli altri.
La questione è stata affrontata studiando non solo gli esseri
umani, in funzione dello sviluppo delle loro capacità cognitive
nel corso della vita, ma anche varie specie di animali e varie
specie di sistemi computazionali!
!
Da parte dei computer non c’è da aspettarsi un’emozione di
gioia. Nei primati, quest’emozione c’è e si manifesta in modo
facilmente riconoscibile, nel momento in cui il “soggetto” si
accorge di aver risolto il problema.
Nel 1917, il grande psicologo Wolfgang Köhler pubblicò i
risultati dei suoi esperimenti sulla capacità di soluzione
dei problemi negli scimpanzé. Tra gli scimpanzé che
Köhler studiò allestendo scenari di problem solving, ce
n’era uno, “Sultan”, particolarmente brillante.
Gli esperimenti
di Köhler, 1917
Sultan in azione: ha capito come
arrivare all’oggetto desiderato
impilando delle casse e poi usando
u n l u n g o b a s t o n e . L’ a l t r o
scimpanzé che si vede sulla destra
non sembra molto interessato alla
scoperta di Sultan.
!31
Un esempio simile è quello che incontriamo nel famoso
“problema della candela” di Duncker. Il testo che contiene il
problema fu pubblicato postumo nel 1945. Duncker era stato
assistente di Köhler.
Come strumento per svolgere il compito richiesto si fornisce
una scatola di puntine, ma per risolverlo il soggetto deve fare
uso della scatola e delle puntine come due entità separate.
Scissione dei dati e loro ricomposizione in modo nuovo:
questo tipo d’operazione cognitiva è ricorrente nell’insight
che porta a una scoperta scientifica.
!32
Sia la flessibilità nelle risposte al variare degli stimoli
sia la diversità delle risposte al ripetersi di uno stesso
stimolo sono tradizionalmente intese come indizi di
creatività, o come condizioni di una potenziale
creatività.
All’estremo opposto, la lampadina di Archimede
pitagorico è l’emblema della creatività nel risolvere i
problemi. E Archimede è visibilmente contento della
lampadina.
Le lampade fanno luce. La luce rassicura, finché non
ci abbaglia. il buio fa paura. I lumi della ragione
indicano la via del progresso. Il male abita le tenebre.
Chi non sa è “all’oscuro”, chi sa “vede” chiaramente.
Cartesio: gli animali sono delle macchine, ovvero
automi, perché i loro modelli comportamentali sono
rigidamente fissati. Per un analogo motivo gli animali
non sono in grado di usare il linguaggio
(indipendentemente dalle limitazioni del loro sistema
fonico).
!
!
!
Un pappagallo che ripete sempre quelle poche parole
il cui suono è capace di imitare non sa “parlare”. Per
lui, non sono “parole”, esattamente come, per un
computer, i simboli che manipola non sono “simboli”.
l’Archimede pitagorico di Walt Disney
!33
“A-ha Erlebnis”
Di fronte a un problema che ci sembra difficile,
capita di provare una “via” e poi un’altra “via”
senza riuscire ad andare avanti. A un certo può
succedere che ci imbattiamo nel modo “giusto”
di affrontarlo e capiamo finalmente come
risolverlo. L’Archimede che c’è in noi esclama:
“Eureka!”
E se invece non ci imbattiamo in questa
PIACEVOLE sorpresa? Be’, allora, ci SENTIAMO
“bloccati”. Spesso, per uscire dal blocco
conviene pensare ad altro, lasciare che il nostro
cervellino lavori in background senza stare
continuamente a dirgli “No, guarda, non ci siamo
ancora”.
Così, lui si tranquillizza e lavora meglio. Non è
detto che ci riesca ma almeno siamo più pronti a
cogliere al volo l’idea buona. Che cosa succede
in noi quando facciamo quest’esperienza?
Al riguardo le neuroscienze hanno molto da dire.
Non essendo un neuroscienziato mi contento di
fare una semplice osservazione. Ovvero,
nell’esatto momento in cui ci rendiamo conto di
aver trovato la soluzione di un problema, non ci
limitiamo a prenderne atto e memorizzare la
procedura. PROVIAMO qualcosa. La nostra
risposta è anche emotiva.
È un’esperienza comune: allo stupore della
scoperta si unisce un’emozione positiva, di
soddisfazione, autocompiacimento e, talvolta,
perfino di esaltazione. Insomma, l’insight
cognitivo provoca un piacere e questo piacere è
veicolo di autostima.
Non solo: se il problema stava a cuore anche ad
altri, oltre a esser presi dall’entusiasmo non
vediamo l’ora di raccontare la soluzione.
L’esperienza subitanea, cognitiva ed emotiva,
che abbiamo quando ci accorgiamo di aver
trovato la soluzione è indicata in tedesco
dall’espressione: “A-ha Erlebnis”, cioè,
l’esperienza vissuta dell’A-ha.
!
!
!
!
!
6. Imagery
Che differenza c’è tra la realtà e il sogno? Kant
pensava: la differenza sta nella coerenza. In altre
parole, la coerenza è presente nella realtà, mentre è
assente nei sogni. Se penso allo scenario della
politico italiano, sarei tentato dalla corrispondenza
inversa – ma probabilmente sto sognando.
Comunque sia, tanto la nostra vita reale quanto gli
scenari in cui ci ritroviamo nel corso dei sogni
presuppongono la capacità di immaginare.
Il linguaggio verbale, nelle forme togate del lessico
scientifico non meno che nella più sbrigliata
letteratura fantastica, nella poesia più alta così
come nelle barzellette in dialetto, ha la potenza
espressiva che ha grazie alla capacità di evocare
situazioni che vediamo solo con gli occhi
dell’immaginazione.
Altrimenti, dovremmo poter parlare soltanto delle
cose che abbiamo davanti a noi, di volta in volta. Iin
tal caso sarebbe arduo riuscire a cogliere la minima
coerenza tra un fotogramma e l’altro del mondo.
Lo studio della capacità di formare immagini
mentali e delle relative modalità operative è
indicato in psicologia cognitiva come studio della
“imagery”.
!
!
!35
rotazioni mentali
Un’indagine delle immagini mentali che da un lato
ha aperto un nuovo orizzonte di ricerca e dall’altro
ha sollevato polemiche a non finire è stata quella
condotta per via sperimentale da Shepard e
Metzler, focalizzando l’attenzione sulla capacità di
valutare se, attraverso una rotazione, una figura è
congruente con un’altra o no.
Roger Shepard
!
Jacqueline Metzler
!
1971
!36
Ai soggetti si mostravano varie coppie di solidi
chiedendo loro se una coppia corrispondeva o no a
uno stesso solido visto da angolazioni diverse. Qui
sono rappresentate soltanto tre coppie: A, B e C.
Mentre nel caso di A e B la risposta è positiva, nel caso
C la risposta è negativa. Com’è che ci arriviamo?
Immaginando appunto le possibili rotazioni della figura
a sinistra e valutando se la figura a destra può essere
così ottenuta. Shepard e Metzler osservarono che c’era
una corrispondenza tra i tempi di risposta e l’angolo di
rotazione compiuto dalla figura a sinistra e ne inferirono
che la mente non funziona come un calcolatore, che
manipola informazioni “discrète”, o le approssima
mediante passi discrèti, ma gestisce le immagini in
formato “continuo”. Senza entrare nel merito delle
obiezioni cui quest’ipotesi è andata incontro, è
comunque straordinaria la nostra capacità di effettuare
rapidamente la sequenza di passi richiesti per
rispondere alla domanda.
Nell’arte
L’insight cognitivo si esprime in forma artistica in un’ampia
gamma di modi. Possiamo perfino immaginare di raffigurare il
movimento in un’immagine, che è qualcosa di statico. Oppure
possiamo immaginare di cambiare le dimensioni ordinarie di un
oggetto. Pensate alle miniature o alle statuette da scrivania.
Oppure possiamo ricostruirlo a scala maggiore, così da
provocare una sensazione di stupore divertito. Proviamo, anche
in questo caso, un curioso piacere, liberando l’immaginazione
dalla funzione stereotipica dell’oggetto.
Giacomo Balla, Dinamismo di un cane al guinzaglio, 1912
Rottapharm Madaus, Lo scrittore, Monza 2005
!38
Nella scienza
L’insight si esprime anche nell’immaginazione scientifica.
!
Esempio 1. Galileo: studiare la caduta dei gravi mediante un
piano inclinato, con tanti campanellini, disposti a intervalli
regolari, che suonano al passaggio della sfera che rotola.
!
Esempio 2. Einstein: provare a descrivere quale sarebbe
l’immagine che del mondo avrebbe un osservatore a cavallo
di un raggio di luce.
!39
L’insight presuppone un’esplorazione dello spazio del
problema.
!
Quindi non resta che applicare il metodo fornito con il
libretto di istruzioni per la “navigazione” nello spazio del
problema.
!
Se il sapere andasse avanti così, il PROGRESSO si
misurerebbe con l’incremento del numero dei problemi risolti
seguendo le date istruzioni.
Lo sguardo di chi sta esplorando lo spazio di un
problema non è molto diverso da quello di un gorilla
quando appoggia il mento sul palmo di una mano.
Ogni problema ha il “suo” spazio. Il sogno che ci sia uno
spazio in cui affrontare ogni problema si ripresenta
ciclicamente, per essere ciclicamente messo in
discussione dalla scoperta di problemi che per essere
risolti hanno bisogno di “muoversi” in uno spazio diverso
da quello previsto. Ma nel corso della storia del pensiero scientifico ci sono
anche stati momenti in cui un progresso decisivo è stato
conseguito violando i confini dell’euristica consolidata dalla
tradizione. Anzi, si è verificato un vero e proprio
cambiamento nel modo di impostare e risolvere i problemi.
!
L’idea secondo cui ogni cosa richiede una comprensione a
sé ha portato poco lontano. Le diverse teorie scientifiche
corrispondono all’individuazione di uno spazio uniforme per
un’intera classe di problemi.
Perciò, più si addestrano i giovani a quegli esercizi motori,
più si diseducano alla scoperta e più si selezionano le menti
dominate dalla coazione a ripetere, oscurando il piacere
dell’A-ha Erlebnis. I manuali di istruzioni, del resto, sono fatti
il più delle volte da chi non è mai passato per questa
esperienza.
L’addestramento dei giovani in ciascun ambito è solitamente
fatto di esercizi “motori” stereotipati: movimenti in uno
spazio che non solo è stato esplorato ma che ormai è già
tutto bell’e sistemato, con i percorsi da seguire come unici
percorsi accessibili: quelli prefissati, consolidati, stabiliti una
volta per tutte. Gli altri sono scomparsi dalla vista.
C’è un legame tra l’emozione nel trovare una soluzione
inaspettata e la comprensione che ci sono anche percorsi
ulteriori rispetto a quelli stabiliti.
!40
rivoluzioni scientifiche
“Gestalt switch”
L’anatra-lepre: si può vedere in due modi ma o la si
vede come anatra o la si vede come lepre.
Nel 1962 Thomas Kuhn ha sostenuto che le rivoluzioni
scientifiche non sono cumulative con il sapere che le
precede, ma che richiedono appunto un gestalt switch.
Nota a margine: se il gestalt switch corrisponde a un
insight immaginativo che si stacca dalla consuetudine e
l’insight non è un ragionamento ma un atto improvviso
d’illuminazione, Kuhn va d’accordo con Popper almeno
su questo punto.
7. Modificare lo spazio del problema
comporta che si adotti una prospettiva esterna,
invece che una interna. Si passa per un
atteggiamento metateorico per arrivare a una nuova
teoria.
Per fare un esempio concreto, consideriamo i classici
problemi che consistono nel chiedere come disporre
un certo numero di bastoncini per formare una data
figura. Siamo portati a pensare che la soluzione
debba essere cercata disponendo i bastoncini sul
tavolo, cioè, su un piano.
Ma dopo qualche tentativo senza successo siamo
costretti a rivedere quest’assunzione se vogliamo
risolvere il problema seguente:
!42
Formare quattro triangoli
!
con sei bastoncini
La soluzione esiste, ma nello spazio 3D!
Dall’insight in matematica
all’information processing model
(la mente come collezione di programmi)
Quanto alle strategie di soluzione dei problemi,
si possono
individuare alcune significative
differenze tra l’intelligenza naturale e quella
artificiale. Precisare queste differenze ameno
facile di quel che molti credono.
La vox populi in materia, ovvero l’idea secondo
cui la mente umana è creativa in quanto può
violare ogni regola e le macchine, in quanto
schiave di regole rigide (istruzioni, programmi),
non possono esserlo, è una superficiale
sciocchezza, che Douglas Hofstadter ha il
merito di aver messo in luce con
grande
arguzia.
!
!
Una differenza che invece può sembrare
banale, ma non lo è, risiede nella reazione
emotiva alla soluzione di un problema.
Non che una macchina si arrabbi o s’intristisca,
se lo risolve. Piuttosto, è priva di qualunque
risposta emotiva.
Ma perché siamo contenti quando riusciamo a
capire “come si fa”?
È una domanda che ci avvicina all’essenza
della mente umana (se mai esistono le essenze)
più di tanti discorsi viziati di antropocentrismo.
!
8. Gli ambienti educativi
l’habitat fisico
!
la famiglia
!
la scuola
…
!
e da ultimo
!
l’habitat virtuale
Per quanto riguarda l’insight cognitivo, che cosa succede nel
campo della trasmissione del sapere nel luogo canonicamente
deputato allo scopo?
educazione formale
STUDENTI
DOCENTI
!
Riduzione della durata dell’attenzione
!
Incremento del rumore comunicativo
!
Mancanza di training autenticamente esplorativo
!
!
Demotivazione
!
Incremento della quantità di compiti didattici
!
Mancanza di training autenticamente esplorativo
!
Risultato consueto
atrofizzazione
dell’insight cognitivo
Allenare
all’insight cognitivo …
!
!
!
Ma come?
Consapevolezza
delle proprie euristiche
!
Verifica della loro efficienza –––> apertura a euristiche alternative –––>
confronto di strategie –––> modifica del proprio metodo –––> modifica del
proprio atteggiamento verso il problema. Questo significa anche ciò che in
latino si diceva “cura sui”. In piccolo, ma gli effetti, sommati l’uno dopo
l’altro, sono grandi.
!
!
METACOGNIZIONE
!48
9. Il primo feedback
INSIGHT COGNITIVO
INSIGHT AFFETTIVO
!
!
AUTOSTIMA
SELF-OUT-SIGHT
!
“AUTOESOSCOPIA”
INSIGHT EMPATICO “SO”
!
COGNITIVO E AFFETTIVO
Per simmetria, è naturale mettersi a cercare
qualcosa che rappresenti l’immagine speculare
dell’autoesoscopia.
!
Ma c’è davvero un
CONCETTO DUALE?
C’è.
!51
!
HETERO-IN-SIGHT
!
!
“ETEROENDOSCOPIA”
INSIGHT EMPATICO “HI”
COGNITIVO E AFFETTIVO
Entrambe le prospettive, HI e SO, meriterebbero di essere precisate e
articolate. L’idea di fondo si inserisce all’interno del quadro della
Theory-of-Mind
attribuire stati mentali agli altri
!
capire che hanno credenze diverse da noi
!
capire le loro intenzioni
10. insight affettivo
Le cose stanno così!
Soggetto A
No, Le cose stanno così!
Soggetto B
quando l’uno non si cura della prospettiva dell’altro
Difficoltà di comunicazione?
Ovvio: l’affermazione del proprio punto di vista si scontra
con l’affermazione del punto di vista altrui.
Quando l’esterno è l’interno di qualcun altro.
La propria rappresentazione interiore del punto di vista altrui:
Che cosa sta pensando?
Che cosa vuole?
Perché fa così, perché dice questo?
cosa sta pensando B?
cosa sta pensando A?
A
Passo 1.
B
cosa sta pensando B
di A?
(A sono io)
cosa sta pensando A
di B?
(B sono io)
A
Passo 2a.
B
cosa sta pensando A
di ciò che pensa B?
(A sono io)
cosa sta pensando B
di ciò che pensa A?
(B sono io)
A
Passo 2b.
B
Basta la mediazione linguistica?
Parlare serve. C’è bisogno di dirlo? Ma perché
possa servire ci dev’essere qualcosa d’altro,
qualcosa di non-linguistico, che rende la
comunicazione qualcosa di più di un commercio
di informazioni (uno “scambio” di idee) tra
sorgenti diverse di segnali. Nei confronti della
sorgente B, non si vede perché la sorgente A non
potrebbe restare del tutto insensibile. Dice A:
“Ovviamente le cose stanno come dico io. Se
sbagli, sono affari tuoi. Che me ne frega?”
!
E già dire così è più del lecito, perché significa
riconoscere l’altro come in qualche modo simile
a noi.
!
Se doveste progettare un meccanismo evolutivo
che portasse un organismo così e così a “capire”
il comportamento di un altro organismo così e
così, non vi converrebbe puntare sulla
mediazione linguistica.
!
La natura ha trovato un’altra strada, ha puntato
su altre risorse, più rapide e senza bisogno di
telefonare alla coscienza. Una di queste (ho
detto “una”) è stata scoperta non molti anni fa da
un grande scienziato italiano: Giacomo Rizzolatti.
NEURONI SPECCHIO
BUILT-IN INSIGHT: attività propria — attività altrui
Purtroppo, lungo la via della comunicazione si può frapporre un macigno: non si
riesce a compiere il passo 1 (e a maggior ragione i passi 2a e 2b).
BAMBINI AUTISTICI
Come in tanti altri casi che si presentano
quando si cerca di capire come mai succede
quello che normalmente succede, le patologie
servono a individuare alcune condizioni come
necessarie: se non si realizzano, quel che
normalmente succede non succede più.
!
!
!
!
!
!
Ma quando si tratta di organismi sociali, c’è
anche da studiare i pattern comportamentali
che si sono stabiliti nel corso dell’evoluzione.
!
Qui troviamo il contributo dell’ETOLOGIA.
primati: etologia? sì
comunicazione NON linguistica
Nota: per “non linguistica” intendo
“non verbale”. Il corpo ha un suo
linguaggio e anche se la
traduzione del linguaggio del
corpo di una specie vicina alla
nostra può essere difficile, di
sicuro i due scimpanzé non stanno
esprimendo odio reciproco.
http://blogs.scientificamerican.com/scicurious-brain/2012/09/26/ignobel-prize-in-anatomy-i-would-know-that-butt-anywhere/
computer: etologia? no
comunicazione SOLO linguistica
Se oltre che sintattica, la competenza linguistica di un sistema artificiale è anche
semantica o no, è una questione che, per quanto rilevante, non possiamo affrontare qui.
11. Reticolarità e instabilità
OGGI
11.1 Carattere reticolare delle relazioni umane
Frammentazione del coinvolgimento
11.2 Liquidità sociale e neofuturismo tecnologico
Nelle interazioni
di ogni tipo
con gli altri
si chiede
sempre maggiore
rapidità
La liquidità
consaputa
contribuisce
a preservare
la potenzialità di una scelta
eternamente dilazionata
Scelte plurime in spazi diversi non
si compongono in
un’unità della persona
in uno stesso spazio
la rapidità nella comunicazione è alleata della superficialità
!
la superficialità è alleata dell’estraneità
!
l’estraneità impedisce
!
insight cognitivo
!
e
!
insight affettivo
Il risultato è MU. E qui MU non sta per l’espressione che
negli apologhi zen indica l’impossibilità di rispondere a
una domanda giudicata priva di senso. MU sta per:
MU
Mutual
Ununderstanding
L’incomprensione fa male
difficoltà non solo linguistiche
!
aggressività da impotenza comunicativa
!
frustrazione
Un insight cognitivo non implica un insight affettivo, ma lo prepara, lo favorisce e lo accompagna.
Un insight affettivo non implica un insight cognitivo, ma lo prepara, lo favorisce e lo accompagna.
!66
Tornando indietro al primo feedback
no affective insight
!
Tra persone, se manca il minimo
insight affettivo, non c’è spazio
perché si abbia un insight cognitivo.
!
!
!
La comprensione che si genera è
fredda e soltanto dall’esterno.
!
Il fatto che sia fredda e soltanto
dall’esterno non significa che sia più
razionale, ma piuttosto che si affida a
una razionalità difettosa.
!
!
!
!
no cognitive insight
Costi e benefici: nell’era della comunicazione globale non
possiamo fare a meno di chiederci se i nuovi stili comunicativi
favoriscano l’insight cognitivo e l’insight affettivo.
LA RETE GLOBALE
!68
Senza negare l’evidenza dei vantaggi comunicativi che le nuove tecnologie
hanno reso possibili, bisogna renderci conto che si sta producendo anche
qualcosa che è difficile considerare vantaggioso:
divergenza
e potenziale conflitto
fra
spazio di comunicazione verbale
e
prossemica
Le 4 distanze di Edward Hall. Il disagio in ascensore. No affective insight a distanze che invece gli sono associate.
!69
Nei luoghi pubblici, così come in quelli privati, è ormai consueto
osservare persone fisicamente vicine che non comunicano fra loro,
ma comunicano con qualcuno che è altrove. Il problema è che
quando questa distanza da chi adesso non c’è si annulla, la spinta a
comunicare con chi non c’è si ripete.
Real
communication?
12. VIRTUALIZERS
Le nuove tecnologie offrono nuovi “spazi” di
comunicazione virtuali: ambienti alternativi alle
situazioni fisiche in cui ci troviamo con il nostro
corpo e in cui comunichiamo non solo a parole ma
anche con il linguaggio del corpo.
!
Non è certo la prima volta che lo spazio fisico
subisce una “virtualizzazione”. Gli esseri umani
hanno sempre cercato “spazi” alternativi, sia sul
piano fisico sia sul piano mentale.
La letteratura, il teatro, il cinema e perfino la
modellizzazione scientifica hanno offerto ambienti
immaginati in cui “calarsi”, in cui esprimere
emozioni, pensieri, dubbi e speranze, e da questi
spazi alternativi c’è stato un potente feed-back
sulla comunicazione nel mondo reale. Tutte le
risorse che rendono possibile il trasporto
immaginativo di sentimenti e riflessioni dal mondo
fisico a un altro e il trasporto inverso, si possono
chiamare “virtualizzatori”:
L’intelligenza, il linguaggio e il pensiero sono
sempre stati studiati prestando attenzione
soprattutto, se non esclusivamente, alle
capacità umane. Psicologi, linguisti, filosofi
hanno raccolto una grande quantità di
osservazioni circa la mente umana e hanno
elaborato tante teorie al riguardo.
Ma l’intelligenza umana non è il prodotto del
suo studio. Ci ha pensato Madre Natura a
darcela e sta a noi farla fiorire o deperire. Le
cose si capiscono meglio quando proviamo
a rifarle daccapo. E anche se non possiamo
rifare tutto, per via sperimentale si
capiscono più cose. E questo è successo
anche con l’intelligenza artificiale (A.I.).
!
A. I.
!
simulazioni
del comportamento
(verbale)
In parallelo con l’I.A. e con le scienze
cognitive guidate dal modello del computer
per quanto riguarda la gestione delle
informazioni, si è sviluppata anche la
filosofia della mente. Si è discusso molto
facendo il confronto tra l’intelligenza
naturale e quella artificiale. Un tema che ha
richiamato l’attenzione dei filosofi: il ruolo
delle emozioni e delle conoscenze in prima
persona.
Vi prego di non associare al termine
l’immagine che degli zombie è diventata
consueta attraverso i film horror. Conviene
piuttosto pensarlo come un “replicante”:
qualcuno che ha lo stesso nostro aspetto e
si comporta in tutto e per tutto come noi
ma non ha una mente come invece
abbiamo noi. È solo un macchina.
!
Il problema è a doppio senso: se noi
possiamo davvero essere sicuri di non
essere delle macchine, e se davvero
possiamo essere sicuri che una macchina
non possa pensare. Sessant’anni fa, Alan
Turing avanzò un test (il “test di Turing”)
per valutare se è possibile distinguere,
mediante il comportamento verbale, un
e s s e re u m a n o d a u n a i n t e l l i g e n z a
“meccanica”.
!
A questo proposito, l’esperimento di
pensiero più controverso, che in America è
diventato un topos fra i filosofi, è consistito
nell’immaginare qualcuno che si comporti
esattamente come un normale essere
umano ma non provi nulla a comportarsi
così. Un simile essere è stato denominato
“zombie”.
TEST
Philosophy of mind
(detto in inglese perché è il frutto peculiare del mondo filosofico la cui lingua madre è l’inglese)
!73
Dagli horror zombie
ai bei replicanti
“GEDANKEN EXPERIMENT”
Il TEST DI TURING nella scena di
Blade Runner in cui il detective
Deckard cerca di scoprire se la
giovane donna (?) che ha davanti a
sé è un replicante.
!74
13. SCHEMI
COGNITIVI-AFFETTIVI
La questione è stata impostata in modo tale che
sotto il profilo cognitivo ci potrebbe anche
essere indistinguibilità tra esseri umani e
replicanti, ma sotto il profilo emotivo c’è per
forza una palese distinguibilità. Questo
presuppone che i sentimenti, e più in generale,
quel che si prova in prima persona, sia un “in
più” rispetto alla cognizione.
Invece, nel modello cinestetico dell’intelligenza
che, insieme ad altri, ho proposto, non è
possibile fare una simile separazione netta,
perché esistono degli schemi vincolanti,
attraverso i quali si realizza
l’accoppiamento corpo - cervello
!75
non bastano i
neuroni-specchio
!
è la combinatoria degli schemi
!
che favorisce o inibisce
!
un insight affettivo
!
linguisticamente mediato
!76
Anche se le abilità linguistiche non esauriscono la cognizione, il linguaggio è
comunque un moltiplicatore di legami concettuali basati sugli schemi, che
produce un
incremento nella complessità
delle interazioni cognitivo-affettive
!
ma i prototipi
!
tacitamente presupposti
!
conservano il ruolo di attrattori.
!
E non cambiano neppure se ci spostiamo dal reale al virtuale
!77
Dal reale al virtuale
mondi possibili ---- simulazioni digitali ---- ambienti virtuali
PROCESSO INVERSO
dal virtuale al reale
SECOND LIFE ---- SOCIAL NETWORK ---- MMPORG
!78
!
L’insight affettivo
trova un nuovo spazio
empatia
!
con il proprio avatar
!
senso di comunità
!79
Ma se il mio “qui” è altrove
io non sono dove è il mio corpo
...
Allenare all’insight affettivo …
!
in ambienti virtuali?
!
Perché no?
e con un feedback positivo nel mondo reale?
!
Ma come?
!
Qualche idea al riguardo ce l’avrei.
Grazie a un insight cognitivo,
mi accorgo che siete stanchi.
!
Grazie a un insight affettivo, dico:
sarà per un’altra volta.
!
Nel vostro sorriso colgo un insight
cognitivo e affettivo.
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Il feedback insight cognitivo/insight affettivo