Inquietudini della modernità 2013 Il feedback insight cognitivo/insight affettivo Alberto Peruzzi Università di Firenze 0. Prolecta Il tema scelto per l’edizione 2013 di “Inquietudini della modernità”, ovvero l’insight affettivo, è sicuramente più congeniale a filosofi di altro lignaggio. Di quella cosa straordinaria che è l’interiorità umana so poco e non mi riesce far convivere vaghezza e profondità affascinando chi mi ascolta con una serie di allusioni suggestive. Alla luce di simili premesse, è chiaro che non avrei mai potuto fornirvi un quadro soddisfacente dell’argomento che ho scelto di trattare. Lasciando ad altri il piacere di una visione dall’alto su tutto, esporrò alcune semplici riflessioni che hanno un unico scopo: distinguere i vari aspetti dell’insight e chiarirne i rapporti. In giro ci sono ancora due antichissimi virus dell’intelligenza. Anche se in passato mi è capitato di affrontare questioni riguardanti i processi cognitivi legati al linguaggio, non mi è mai capitato di trattare questioni relative alla sfera dei sentimenti. È vero, ho composto un certo numero di poesie, ma non le ho mai intese come “studi” su questa sfera – bensì come sue manifestazioni. Uno è quello che induce a dire quel che si presume sarà apprezzato e ad apprezzare chi ci dice le cose che già apprezziamo; l’altro è quello che fa associare la profondità di pensiero all’oscurità dell’eloquio e induce a nascondere la propria ignoranza dietro a discorsi contorti. In questa occasione intendo intendo valorizzare alcuni legami che connettono sfera affettiva e sfera cognitiva, suggerendo che ci può anche essere un modo di trattare unitariamente aspetti che discipline diverse affrontano separatamente. Spero che questo sia un luogo che brilla per l’assenza di entrambi i virus e che dopo il mio intervento non si attribuisca a me la colpa di avere introdotto uno dei due virus o tutti e due. Ringrazio gli organizzatori per l’invito ricevuto. Sono stato invitato a portare la voce della filosofia in questo consesso, con l’unica raccomandazione di tener presente che mi sarei rivolto a un pubblico composto anche da non-esperti, ragion per cui era sconsigliabile ogni tipo di gergo. Benché la filosofia abbia visto male l’invito rivoltomi, l’ho accettato egoisticamente: perché mi forniva l’occasione di riflettere su temi diversi da quelli sui quali abitualmente faccio ricerca. !2 Innanzitutto, non credo che ci sia una prospettiva filosofica sull’insight. Può sembrare strano, lo so, perché sulla conoscenza intuitiva (in senso lato) i filosofi si sono premurati di dire la loro da più di duemila anni, anche se hanno detto cose molto diverse l’uno dall’altro. Se si fosse trattato solo della molteplicità di tesi al riguardo, anche limitatamente al contrasto fra Ragione e Sensibilità, avrei potuto fare bella figura discutendo le opposte tesi e poi impegnandomi a svilupparne una, oppure trovando un comune denominatore fra le varie tesi che potesse servire nel dibattito attuale, o infine sostenendo che un qualche misconosciuto pensatore, nella notte dei tempi, aveva già capito tutto. Un compito del genere, in ciascuna delle sue varianti, oltre che indubbiamente arduo sarebbe stato pregevole (ammesso che, da parte mia, potesse esser svolto). I Perciò, se qualcuno di voi si aspettava che l’intervento di un filosofo avrebbe fatto emergere dimensioni dell’insight trascurate da chi studia la psiche o, dall’alto della torre eburnea, avrebbero fatto risuonare un verdetto, ovviamente aperto a molteplici interpretazioni, circa i difetti di questa o quella impostazione scientifica, resterà deluso. Sempre per chiarezza, non sottoscrivo né il credo degli antiscientisti né il credo degli scientisti. Anzi, ho il sospetto che a far professione di fede in un senso o nell’altro si metta semplicemente il carro davanti ai buoi. Può anche darsi che, implicitamente, nel discorso che farò siano presenti osservazioni critiche circa questo o quell’approccio all’insight, ma l’intento primario è costruttivo, con qualche spunto di natura etica. Quel che dirò non ha altra pretesa se non quella di fornire alcuni mattoncini da costruzione. l primo “purtroppo” è che tale compito, in qualunque sua variante, non ha esercitato alcuna attrazione su chi vi parla: tanto una collazione, seppure critica, di opinioni, quanto un tentativo di selezione non mi avrebbero fatto capire qualcosa di più di quel che già capivo (se è poco, tanto peggio). Insomma, penso che l’unico buon esercizio filosofico in materia sia quello che prepara il terreno di un quadro teorico che permetta di capire come l’insight funziona, quali ne sono i caratteri, cosa lo rende possibile e cosa lo inibisce. [PS: Colleghi e studenti interessati all’argomento che non hanno potuto essere presenti mi hanno chiesto le slides della presentazione. Come ho già verificato più volte in relazione a richieste analoghe, la visione delle diapositive, così come sono abituato a prepararle, fornisce soltanto frammenti d’idea, non permettendo di risalire al ragionamento che c’è dietro e che, in una presentazione, è fatto solo a voce. Senza il discorso che le collega l’una all’altra, il loro carattere ellittico può risultare fuorviante. Ho deciso quindi di mettere per esteso almeno una parte di quel che ho detto nell’intervento e di quel che intendevo dire. Nel corso della presentazione ho usato molte immagini che qui invece mancano perché non sono sicuro di quali siano coperte da copyright e quali no. Ne ho conservato solo pochissime, sperando che i loro “proprietari” capiscano la finalità non lucrativa delle pagine che seguono. Il risultato è un ibrido fra una presentazione e un articolo.] Il secondo “purtroppo” è che per elaborare un simile quadro non credo che possa bastare un’indagine psicologica e, per colmare le lacune, non credo che sia d’aiuto un raffinato ‘collage’ di psicologia cognitiva, psicoanalisi, neuroscienze, filosofia e quel che altro vorreste che ci fosse. A questo punto, se fossi in voi, penserei che mi toccherà sorbirmi una certosina analisi del concetto di insight. Non sarà così, anche se il concetto tanto limpido non è: non ho intenzione di propinarvi una disquisizione preliminare sui molteplici sensi del termine e sulle difficoltà di farli convivere, lasciandovi senza la minima idea di come andare avanti. !3 1. Biscotti e amori in briciole ! ! A quanto pare, il nostro è un tempo in cui i legami affettivi sono quanto mai fragili. Nella società “liquida” i rapporti tra le persone nascono e muoiono con grande facilità – e qui “grande” significa “molto maggiore che in passato”. La scorsa estate mi è capitato di leggere un libro di divulgazione scientifica il cui titolo, in italiano, suona “Come si sbriciola un biscotto” e qualche giorno fa mi è arrivata la segnalazione di un libro che parla degli affetti nel nostro tempo e s’intitola “Gli amori briciola”. Anche se è così, i presupposti non sono di ieri. ! Ovviamente, i biscotti si sbriciolano per ragioni chimiche e non perché tra loro c’è poco insight. Mettendo da parte la questione se la chimica (cioè, la neurochimica) riuscirà prima o poi a spiegare anche l’insight, è per me altrettanto ovvio che se i processi cerebrali non funzionano “per bene”, la possibilità di un insight si riduce, fino a scomparire del tutto. Negli ultimi decenni, i mezzi di trasporto rapido e a costo ridotto hanno consentito di spostarsi fisicamente da un luogo all’altro del pianeta offrendo a un sempre maggior numero di persone la possibilità di conoscere e avere relazioni affettive con persone che dietro di sé avevano un’altra storia culturale, un altro stile di vita, altre regole sociali e altri modi di comunicare i sentimenti. ! ! ! ! ! Recentemente, le nuove tecnologie consentono a milioni di persone di stabilire relazioni con altre persone che vivono nei luoghi più diversi, senza bisogno di spostarsi di un metro e senza sapere se la faccia che si sono date in rete è davvero la loro faccia o no. ! !4 A differenza di quel che succede con un biscotto, credo che un amore, oltre che per altri motivi, si sbriciola per una mancanza di insight affettivo e per la correlata decisione che non ne vale più la pena provarci. E com’è che qualcosa si sbriciola? E il bello è che, a sua volta, la comprensione passa tipicamente per un insight. L’insight, si potrebbe perciò dire, è una configurazione bidimensionale, una configurazione che presenta aspetti diversi lungo ciascuno dei due assi, cognitivo e affettivo, ma che acquista una rilevanza particolare nella vita di ciascuno di noi quando i due tipi di aspetti interferiscono. Che si tratti di biscotti o di amori, è una bella domanda: interessante quanto difficile. Ma altrettanto interessante e difficile è capire come qualcosa NON si sbriciola (o ci mette molto di più a sbriciolarsi). Come ogni interferenza, anche questa può essere costruttiva o distruttiva. In questo caso, se riferito alle relazioni tra gli esseri umani, accanto a tanti altri fattori entra in gioco un qualche tipo di insight a impedire, o ritardare, lo sbriciolamento. Quindi si tratta di capire com’è che insight cognitivo e insight affettivo si raccordano. A questo scopo, invece di prestare esclusiva attenzione a quel che succede tra un A e un B che siano entrambi esseri umani, può essere utile ampliare il campo dei possibili “soggetti” e dei possibili “oggetti” di insight: A potrebbe essere uno scimpanzé o un computer e B potrebbe essere uno stato di cose o una forma. Non è strettamente necessario che l’insight sia perfettamente simmetrico tra due persone A e B, però una qualche forma di insight da A a B e da B ad A ci deve essere, altrimenti sarebbe preferibile evitare il termine “amore”. Fin qui, niente di particolare, giusto? Il punto è che l’insight affettivo richiede una pur minima comprensione. Ma allora entrano in gioco aspetti cognitivi. Per capire qualcosa, conviene sempre partire dalle situazioni più semplici, specie se queste sono già complesse. ! !5 Dimensione 1 Dimensione 2 ! cognitiva affettiva !6 ! ! Un nodo piano con due capi. Semplice e intuitiva simmetria. Metafora di un legame fra due prospettive esistenziali, corrispondente a una configurazione che “tiene” (non si scioglie, non si rompe, non si “sbriciola”). Ci sono quelle negative, riconoscibili per il fatto che le azioni che li eliminano hanno tratti positivi - sciogliere il nodo, slegarsi, svincolarsi - associati solitamente al valore positivo della libertà. Il semplice contatto di un capo con l’altro non stabilirebbe alcun legame. La nuova funzione che si viene a creare non sarebbe possibile senza il nodo. A proposito di metafore: nodo, legame, vincolo sono termini cui associamo sensazioni e valutazioni opposte. Ma i nodi non-metaforici possono avere una funzione positiva e, nella nautica e nell’alpinismo, oltre che positiva, è decisiva. A livello metaforico, curiosamente, questa funzione viene dimenticata. Bisognerebbe dunque vedere quale nodo per quale funzione. ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! Il tema del valore che diamo ai nodi metaforici meriterebbe di essere sviluppato a parte, perché il tipo di metafore che usiamo per descrivere gli stati emotivi, affettivi e cognitivi influenza il nostro atteggiamento nei loro confronti. ! ! L’immagine precedente è da intendersi come animata [ed era animata nel corso della presentazione]. Il cerchio rosso gira in senso inverso a come il cerchio nero (in stile zen) gira su di sé: uno è il “cerchio” delle emozioni e l’altro è il “cerchio” dei pensieri. A questi due “cerchi” corrispondono due tipi di intelligenze. In realtà, i tipi d’intelligenza sono più di due, quindi ci sarebbero voluti più cerchi; e allora sarebbe stato meglio raffigurarli allacciati tra loro come gli anelli borromei e per non confonderli ci sarebbero voluti anche più colori. Ma ho preferito non sovraccaricare l’immagine. Quale dei due colori associare a quale tipo d’intelligenza, con il suo relativo tipo di insight, è lasciato a voi, anche se sono convinto d’indovinare quale associazione farete. La linea azzurra, che ricorda la forma delle labbra, alludeva allo scopo della presentazione, cioè, argomentare che i due tipi di insight si possono “parlare” e che, quando questo succede, il risultato è positivo per la persona. (A essere onesto, mi sembra la scoperta dell’acqua calda. Sento, comunque, il bisogno di dirlo.) Quando invece non c’è comunicazione, il risultato è negativo e tale è, a fortiori, se uno dei due “cerchi” è instabile o incompleto. Tutte e tre le forme hanno bisogno di allenamento, e di un allenamento specifico: l’insight non è gratis e non è neppure indipendente dalle condizioni “ambientali”. Nel Novecento si è diffusa la fissazione ad attribuire alle condizioni ambientali il potere causale di far succedere quel che succede, se non fosse che, a parità di condizioni ambientali, i soggetti coinvolti si comportano in maniera diversa l’uno dall’altro. Per esempio, nel periodo 1308-1320, le condizioni ambientali della società in Italia hanno prodotto un solo autore di divine commedie. Poiché anche i soggetti possono essere inclusi nelle condizioni ambientali, il risultato è una tautologia: il tutto produce ciascuna cosa. Grazie. La tesi che intendo argomentare deriva da un’impostazione che da un po’ di anni ho sviluppato all’interno della semantica cognitiva. La tesi afferma che insight cognitivo e insight affettivo hanno una base comune, costituita da una batteria finita, specie-specifica, di pattern immaginativi: sono gli “schemi-base” essenzialmente legati alla struttura del nostro corpo (e il nostro corpo non si esaurisce nel nostro cervello). In questa batteria di schemi-base, tra loro componibili in molti molti, si radica la nostra comprensione del significato di qualunque frase. Si tenga presente che Il radicamento nella base comune on impedisce l’uso svincolato di ciascuno schema una volta che si è costituito. TESI INSIGHT COGNITIVO INSIGHT AFFETTIVO ! ! ! ! BASE COMUNE DI PATTERN IMMAGINATIVI Volendo, a questo punto potrei fare entrare in gioco un bel po’ di filosofia. E non mi riferisco solo a quella dei secoli precedenti alla nascita di tutti voi, ma anche a quella di oggi. ! Per i motivi detti all’inizio e anche per ragioni di tempo non farò riferimento al dibattito filosofico attuale e alle controversie che l’hanno preparato nel corso degli ultimi decenni. ! Sto dimenticando che il tema del rapporto fra emozione e cognizione è stato presente in filosofia fino dalle origini greche? No, ma l’analisi di questo rapporto sul piano logicolinguistico ha raggiunto nel Novecento uno sviluppo estremamente raffinato sul piano formale. 2. Più da vicino o più da lontano In qualunque insight c’è un “capire”; e questo capire, che può avere sia la forma del capire-qualcosa sia la forma del capire-che, si realizza in due modi fondamentali, a seconda del punto di vista che ci permette di arrivare all’insight. Il punto di vista può essere esterno o interno. Cioè, la comprensione può passare per un vedere le cose dal di fuori (o più da lontano o in maniera più distaccata) o per un vedere le cose dal di dentro (o più da vicino o in maniera più adesiva). capire si dice in due modi A. Capire esoscopico ! separarsi da allontanarsi da ! vedere dal di fuori ! vedere da lontano ! metaosservazione !13 Il riconoscimento di un’impronta sulla sabbia è un semplice esempio di comprensione di tipo A. In questo caso si tratta “semplicemente” di identificare una forma. Guardando i granelli a distanza molto ravvicinata (diciamo con il naso nella sabbia) non si vedrebbe che una distribuzione pressoché arbitraria di sfumature. Nessuna figura emergerebbe dallo sfondo. Allontanandosi progressivamente, a un certo punto si riconosce agevolmente la forma del piede. In questo caso il processo di comprensione avviene mediante l’allontanamento dell’osservatore da una superficie. Dalla massa indistinta di granelli di sabbia emerge una configurazione che si differenzia dallo sfondo, ma se l’allontanamento proseguisse arrivando diciamo a venti metri la figura non sarebbe più identificabile come l’impronta di un piede sulla sabbia. Quindi c’è un “range” privilegiato. Finora, Il riconoscimento di forme da parte di un computer è ottenuto dotandolo di un programma opportuno o di un algoritmo di correzione degli errori (tipo architetture PDP). In entrambi i casi il sistema mima quello che il programmatore sa già fare. B. Capire endoscopico ! esaminare più da vicino entrare in ! isolare dal “rumore ambientale” ! mettersi nei panni di un altro !15 La comune esperienza nell’individuare un fiocco di neve che cade è un esempio di comprensione di tipo B, anch’esso relativo al riconoscimento visivo di una forma, questa volta in movimento. Anche in questo caso possiamo andare oltre ma invece di allontanarci (e parlare della nevicata, come entità collettiva), possiamo avvicinarci. Anzi possiamo violare il nostro “range” di percezione dotandoci di protesi opportune. In questo modo il processo di comprensione prosegue mediante uno zoom microscopico sulla neve che cade. Da una massa di fiocchi si passa alla struttura esagonale di un singolo fiocco e, continuando lo zoom, si arriva al reticolo atomico. Si noti che, anche se entrare nei dettagli del fiocco ci siamo inventati una serie di strumenti che non si trovano in natura, interagiamo con essi nello stesso modo di prima: se solleviamo l’invisibile al visibile è per sfruttare le consuete risorse percettive. Analogamente, è con i nostri occhi che guardiamo le lastre delle radiografie. Tornando ai fiocchi: se si scende ulteriormente di ordine di grandezza non si vede più la struttura esagonale. E venendo infine a noi: per metterci nei panni di un altro non occorre – o, se preferite, non basta – un microscopio, ma anche in questo caso non conviene esagerare con i dettagli. ! 3. Insight e outsight http://guide.notizie.it/la-storia-della-stretta-di-mano/ ! I due tipi di comprensione puntano in direzione opposta e non è chiaro come si possano combinare. ! A ciascuno di essi è tipicamente associato un significato aggiuntivo, quando quel che si tratta di “capire” riguarda gli stati mentali e le relazioni affettive. ! La “distanza” richiesta dalla prospettiva esoscopica sembra sancire un distacco e quindi la scelta di non partecipare alle “cose” che si vorrebbero capire. ! Alla prospettiva endoscopica è immediatamente correlato l’intento inverso (non m’interessa dire se è giusto o sbagliato correlarlo). ! La separazione è valutata negativamente, mentre l’unione è valutata positivamente. Ma oltre ai nodi che “vanno sciolti” ci sono anche casi in cui questa valutazione potrebbe, e dovrebbe, essere rovesciata (vedi l’esempio dell’impronta sulla sabbia). Quindi? ! Sembra che siamo a un punto morto. Forse il problema è insolubile e converrà assumere di volta in volta il punto di vista pragmaticamente più efficace? Una pseudo-soluzione così a buon mercato equivale in sostanza a una rinuncia a capire. ! ! ! ! ! ! ! ! L’opposizione tra punto di vista interno – cioè quello, letteralmente, dell’in-sight – e punto di vista esterno – quello dell’out-sight – si può ritrovare già nel dibattito degli ultimi decenni intorno alla questione se sia possibile una scienza della mente completamente in terza persona o se sia necessario (e sufficiente?) integrare le conoscenze così acquisite con quelle in prima persona, corrispondenti a ! “sapere che cosa si prova a ...” ! associate a una prospettiva empatica di immedesimazione. ! Senza entrare nel merito, mi limito a osservare che all’interno dei due schieramenti nessuno avrebbe preso sul serio una simile pseudo-soluzione pragmatica. Quindi, che dire? Il successo che le pseudo-soluzioni chiamate “neopragmatismo” hanno avuto dalle nostre parti è, a mio modesto parere, spiegabile solo per il fatto che i suoi alfieri e il pubblico plaudente preferivano sbarazzarsi del l’impegno a trovare una soluzione. ! Se poi teniamo conto anche della dimensione affettiva, ci accorgiamo che esistono casi in cui il distacco da ciò cui siamo affettivamente “legati” può essere una condizione per comprendere meglio qualcosa e, viceversa, casi in cui senza un coinvolgimento affettivo può esserci preclusa comprensione di qualcos’altro. Nessuna di queste due cose può piacere, ma non è scritto da nessuna parte che la realtà debba essere come ci piacerebbe che fosse. D’altra parte, quest’ambivalenza non è una spiegazione, ma qualcosa da spiegare. ! ! contraddizione IN-SIGHT – – OUT-SIGHT ? L’insight e l’outsight debbono davvero essere intesi staticamente come l’uno in contraddizione con l’altro? O possono essere visti come termini di una dialettica che li anima? In tal caso, però, occorre che ci sia un piano di mediazione, attraverso il quale si passa dal primo al secondo. !19 IN-SIGHT OUT-SIGHT … ? E occorre pure che ci sia un terreno di mediazione, attraverso il quale si passa dal secondo al primo. Ecco l’ipotesi che avanzo: 1°) che dall’in all’out e dall’out all’in si tratti dello stesso piano di mediazione, 2°) che tale piano sia quello al quale ci rappresentiamo intuitivamente gli archetipi di qualunque processo, e solo essi, piuttosto che una miriade di stati di cose, 3°) che questa rappresentazione intuitiva sia di per sé carica di valenza emotiva. 4. Dalla statica alla dinamica DA capire stati-di-cose A capire processi Gli archetipi di processi sono “incorporati” (embodied), non sono acquisiti, e dobbiamo ringraziarli se apprezziamo il fatto di poter intendere e parlare sia di stati e processi che avvengono nel mondo esterno al corpo umano sia di stati e processi cognitivi ed emotivi. La prova dell’esistenza di questi archetipi, pattern, schemi di base, indipendenti dalla cultura ma riempiti in modo variabile da cultura a cultura, è uno degli apporti fondamentali della Grammatica Cognitiva. DA stati fisici processi fisici ! ! A ! ! stati mentali processi mentali Fin qui il discorso sembra essere molto, troppo, astratto. All’interno della prospettiva teorica della Grammatica Cognitiva ci sono invece studi che illustrano l’estrema concretezza delle affermazioni precedenti. capire un’altra persona Da tali studi è emersa una prima lista di risorse basilari dell’insight. C’è ormai un’ampia letteratura che passa in rassegna la varietà di schemi che popolano il piano di mediazione sopra accennato. Ciò premesso, e anche se spostiamo il focus dell’attenzione dalla comprensione di stati di cose alla comprensione di processi, il discorso resta lontano da quel che qui ci interessa: capire che cosa permette di CAPIRE UN’ALTRA PERSONA. Naturalmente, l’elenco dei componenti di un simile processo è lungo e richiede l’integrazione di dati di vario tipo (informazioni verbali e non verbali). C’è qualcosa in più rispetto a una pur complessa acquisizione e selezione dei dati al fine di fare un’ipotesi interpretativa. Questo “qualcosa in più” è appunto ciò che comunemente indichiamo come “insight”. Ma è solo “insight cognitivo” ? ! è solo “insight affettivo” ? ! Di fatto, usiamo entrambi i tipi di insight ed è facile accorgersi che se una di esse mancasse, la comprensione dell’altra persona ne sarebbe ridotta. Adesso, prima di vedere come questi due tipi di insight si combinano, è opportuno considerarli separatamente per individuarne alcuni caratteri fondamentali. ! Comincerò dall’insight cognitivo, per poi passare all’insight affettivo e, da ultimo, provare a farsi almeno un’idea di come si compongono. 5. insight cognitivo “Eureka!” - esclamò Archimede, mentre faceva il bagno nella sua casa a Siracusa. Aveva finalmente capito come risolvere il problema: ogni corpo immerso in un liquido riceve una spinta. “Ho trovato!”… A Siracusa si parlava ancora greco e Archimede era un genio della matematica. Ma lo stesso tipo di esperienza capita anche a chi un genio non è. A parte questo, l’esclamazione di Archimede è rimasta a designare le situazioni in cui si scopre tutto d’un colpo la soluzione di un problema. Nell’idea comune, il “colpo di genio”, la trovata geniale, la mossa risolutiva, non si conquista passin passino. O viene o non viene. È un lampo, un dono, una specie di illuminazione improvvisa, misteriosa, insondabile. È l’insight cognitivo, si potrebbe dire, così come si manifesta all’utente. Il fenomeno “Eureka!” è entrato a far parte dell’immagine popolare della scoperta: nella scienza così come in ogni altro campo. Chiunque abbia scoperto qualcosa tende comprensibilmente ad avvalorarla. Picasso arrivò a dire: “Io non cerco. Trovo”. In effetti, succede a tutti di trovare qualcosa che non si è cercato. Ma che ce ne facciamo? L’intelligenza sta nell’accorgersi che è proprio quello che risolve il problema che ci ceravamo posti o addirittura uno più importante che non ci eravamo ancora posti. Si chiama “Serendipity”. Ora, se il compito dell’educazione scientifica non fosse solo quello di trasmettere un lessico e un metodo ma anche quello di far rivivere l’esperienza da cui è scaturito poi il lessico e il metodo scientifico, bisognerebbe reimpostare da cima a fondo la scuola! Non sto dicendo che basti preparare un setting opportuno, adatto a favorire il ripetersi dell’esperienza in questione. Sto solo dicendo che bisognerebbe preoccuparsi di più di stimolare l’insight cognitivo nei bambini. ! ! Fatto sta che, se davvero la comprensione avanza per salti insondabili, chiunque proponga un metodo per saltare ci sta ingannando. Viceversa, se vogliamo mettere insieme una scienza della mente, non conviene partire dall’idea che ci sia qualcosa di inspiegabile. Può anche essere, chi lo sa, ma prima di ammettere che la razionalità avanza per salti irrazionali bisogna esplorare la possibilità di una spiegazione di questi “salti”. Teniamo presente una cosa: ci piace così tanto credere al mistero dell’insight che a metterlo in dubbio ci si sente subito in colpa. Che l’insight cognitivo sia un tutt’uno insondabile lo si può dire solo dopo che ci si è impegnati seriamente a studiare i fenomeni mentali e, in particolare, quel che succede nella mente di chi, tutto a un tratto giunge alla soluzione di un problema e per giunta ci arriva in un modo inaspettato da lui stesso o da lei stessa. Da tempo, fortunatamente, c’è già un ambito di ricerca in cui si è studiato seriamente l’insight cognitivo, nei suoi molteplici aspetti. È quel che ormai si indica correntemente con un termine: inglese: ! ! ! ! ! ! ! PROBLEM SOLVING Le ricerche degli psicologi sul problem solving hanno avuto ricadute significative nel campo dell’educazione e dei metodi di apprendimento. Per un po’ di tempo c’è stata anche una specie di infatuazione collettiva per le tecniche di problem solving, tanto che nelle librerie c’erano scaffali interamente dedicati, con testi che andavano bene un po’ per tutti, testi orientati ai top manager, testi per i bravi politici eccetera. Sono state perfino messe a punto metodologie con il copyright. ! ! ! Personalmente, ho cominciato a interessarmi di problem solving quando quest’infatuazione era già sul finire e, avendo davanti a me le varie linee teoriche e le loro applicazioni, mi sono servito della riproduzione delle strategie di problem solving all’interno dell’intelligenza artificiale per trarne una lezione da applicare alla filosofia del linguaggio e all’epistemologia. Per vostra fortuna, non ho intenzione di dirvi qual è questa lezione. Restando a un piano puramente descrittivo, quelli di voi che sono interessati a farsi una prima idea del rapporto tra logica, linguaggio e problem solving possono trovare in rete una mia sintetica esposizione, che s’intitola “Dal problema al programma”. !26 ! ! Per risolvere un problema ci possono essere molte strategie. Tra quelle che funzionano, alcune saranno più efficienti e altre meno. Ma quest’ordinamento pragmatico è secondario, perché, ovviamente, del grado di efficienza si parla sempre dopo che si è trovato una soluzione. Prima, infatti, ha poco senso dire quale è e quale non è (più) efficiente. Nel caso in cui ci accontentiamo di approssimare la soluzione, l’unica cosa che possiamo fare è ordinare, in base a qualche criterio, le strategie che permettono di arrivarci più vicino. In questa sede mi limito a mettere in risalto un p u n t o : c h e i l m o d o s t a n d a rd i n c u i c i rappresentiamo un problema corrisponde a trovare un percorso in uno “spazio” opportuno, fatto di informazioni rilevanti al problema. Le strategie di ricerca di una soluzione (o della s o l u z i o n e ) a u n p ro b l e m a , s i c h i a m a n o “euristiche”. L’analisi delle euristiche pone problemi di varia natura: logica, algoritmica e cognitiva. Con lo studio sistematico delle euristiche si è venuta configurando una nuova e vasta area di ricerca. L’obiettivo è stato quello di elaborare una teoria che, indipendentemente dal contenuto specifico di un dato problema e dunque soltanto in funzione della sua tipologia, permetta di decidere se il problema è risolubile e, in caso positivo, comparare le varie euristiche. !27 Muovendosi in questo spazio, si cerca un percorso che parta dai dati iniziali (start) e consenta di arrivare allo stato (end) che chiamiamo “soluzione”. Lo schema cognitivo soggiacente è quello che si indica come “schema del cammino”. Questo schema sta alla base di innumerevoli metafore, come “Sei arrivata dritta al mio cuore”, “Mi sento alla deriva”, “Siamo finalmente usciti dalla recessione”. È qualcosa di pre-euristico. ! ! ! ! ! EURISTICHE stato start = dati ? percorso ! spazio ! del ! problema (in questo spazio, i cui punti sono informazioni, si collocano tutti i percorsi “possibili”) stato end = soluzione ! ! Come tutti gli schemi-base della Grammatica Cogntiiva, anche lo schema mentale del cammino (percorso o sentiero) ci permette di fare una proiezione di significato dal concreto all’astratto. Nel caso specifico, la proiezione rivela il modo canonico in cui intendiamo il procedimento di soluzione di un problema. Risolvere un problema è trovare un cammino che porti dal nostro stato attuale (di interrogazione e di ignoranza) allo stato in cui la soluzione è “raggiunta”, “arriviamo” alla risposta, siamo “passati” dallo stato NON SO allo stato SO. Il cammino corrisponde a una procedura da eseguire. Può trattarsi dell’esecuzione di un algoritmo che sappiamo essere tale da garantire il successo della nostra “esplorazione” ma può anche trattarsi di una procedura non algoritmica. ! Se il sentiero è già segnato, cioè, se qualcuno ha già tracciato un percorso di soluzione, non ci resta che seguirlo, a meno che ci piaccia trovarne un altro. Se invece il percorso per risolvere un problema non è ancora segnato, tocca a noi scoprirlo In ogni caso, applichiamo immancabilmente lo schema del cammino. Se fossimo degli organismi incapaci di spostarsi, chissà quale altro schema useremmo per intendere la soluzione di un problema! Scoprire il percorso giusto (cioè, quello che ci porta alla soluzione) può essere una necessità cui non c’è modo di sottrarci ma può anche essere per piacere, per il semplice fatto che la domanda ci interessa. Un tratto che contraddistingue la mente umana consiste nell’appassionarsi alla soluzione di problemi che non hanno alcuna utilità pratica. E la cosa straordinaria è che l’impegno messo, e il gusto provato, a risolvere problemi del genere ha avuto ricadute empiriche di portata enorme. ! un cammino composto di più “passi” La capacità di trovare soluzione a problemi è evidentemente trasversale alle caratteristiche di questo o quel tipo di problema. ! Tuttavia, questa stessa capacità, nel momento in cui prende corpo, deve prendere corpo in un modo che ha a che fare con il tipo di problema e con il dominio specifico del problema che abbiamo di fronte. Quindi nel problem solving ci sono tratti indipendenti e tratti dipendenti che convivono. Si tratta di capire quali sono gli uni e gli altri. La questione è stata affrontata studiando non solo gli esseri umani, in funzione dello sviluppo delle loro capacità cognitive nel corso della vita, ma anche varie specie di animali e varie specie di sistemi computazionali! ! Da parte dei computer non c’è da aspettarsi un’emozione di gioia. Nei primati, quest’emozione c’è e si manifesta in modo facilmente riconoscibile, nel momento in cui il “soggetto” si accorge di aver risolto il problema. Nel 1917, il grande psicologo Wolfgang Köhler pubblicò i risultati dei suoi esperimenti sulla capacità di soluzione dei problemi negli scimpanzé. Tra gli scimpanzé che Köhler studiò allestendo scenari di problem solving, ce n’era uno, “Sultan”, particolarmente brillante. Gli esperimenti di Köhler, 1917 Sultan in azione: ha capito come arrivare all’oggetto desiderato impilando delle casse e poi usando u n l u n g o b a s t o n e . L’ a l t r o scimpanzé che si vede sulla destra non sembra molto interessato alla scoperta di Sultan. !31 Un esempio simile è quello che incontriamo nel famoso “problema della candela” di Duncker. Il testo che contiene il problema fu pubblicato postumo nel 1945. Duncker era stato assistente di Köhler. Come strumento per svolgere il compito richiesto si fornisce una scatola di puntine, ma per risolverlo il soggetto deve fare uso della scatola e delle puntine come due entità separate. Scissione dei dati e loro ricomposizione in modo nuovo: questo tipo d’operazione cognitiva è ricorrente nell’insight che porta a una scoperta scientifica. !32 Sia la flessibilità nelle risposte al variare degli stimoli sia la diversità delle risposte al ripetersi di uno stesso stimolo sono tradizionalmente intese come indizi di creatività, o come condizioni di una potenziale creatività. All’estremo opposto, la lampadina di Archimede pitagorico è l’emblema della creatività nel risolvere i problemi. E Archimede è visibilmente contento della lampadina. Le lampade fanno luce. La luce rassicura, finché non ci abbaglia. il buio fa paura. I lumi della ragione indicano la via del progresso. Il male abita le tenebre. Chi non sa è “all’oscuro”, chi sa “vede” chiaramente. Cartesio: gli animali sono delle macchine, ovvero automi, perché i loro modelli comportamentali sono rigidamente fissati. Per un analogo motivo gli animali non sono in grado di usare il linguaggio (indipendentemente dalle limitazioni del loro sistema fonico). ! ! ! Un pappagallo che ripete sempre quelle poche parole il cui suono è capace di imitare non sa “parlare”. Per lui, non sono “parole”, esattamente come, per un computer, i simboli che manipola non sono “simboli”. l’Archimede pitagorico di Walt Disney !33 “A-ha Erlebnis” Di fronte a un problema che ci sembra difficile, capita di provare una “via” e poi un’altra “via” senza riuscire ad andare avanti. A un certo può succedere che ci imbattiamo nel modo “giusto” di affrontarlo e capiamo finalmente come risolverlo. L’Archimede che c’è in noi esclama: “Eureka!” E se invece non ci imbattiamo in questa PIACEVOLE sorpresa? Be’, allora, ci SENTIAMO “bloccati”. Spesso, per uscire dal blocco conviene pensare ad altro, lasciare che il nostro cervellino lavori in background senza stare continuamente a dirgli “No, guarda, non ci siamo ancora”. Così, lui si tranquillizza e lavora meglio. Non è detto che ci riesca ma almeno siamo più pronti a cogliere al volo l’idea buona. Che cosa succede in noi quando facciamo quest’esperienza? Al riguardo le neuroscienze hanno molto da dire. Non essendo un neuroscienziato mi contento di fare una semplice osservazione. Ovvero, nell’esatto momento in cui ci rendiamo conto di aver trovato la soluzione di un problema, non ci limitiamo a prenderne atto e memorizzare la procedura. PROVIAMO qualcosa. La nostra risposta è anche emotiva. È un’esperienza comune: allo stupore della scoperta si unisce un’emozione positiva, di soddisfazione, autocompiacimento e, talvolta, perfino di esaltazione. Insomma, l’insight cognitivo provoca un piacere e questo piacere è veicolo di autostima. Non solo: se il problema stava a cuore anche ad altri, oltre a esser presi dall’entusiasmo non vediamo l’ora di raccontare la soluzione. L’esperienza subitanea, cognitiva ed emotiva, che abbiamo quando ci accorgiamo di aver trovato la soluzione è indicata in tedesco dall’espressione: “A-ha Erlebnis”, cioè, l’esperienza vissuta dell’A-ha. ! ! ! ! ! 6. Imagery Che differenza c’è tra la realtà e il sogno? Kant pensava: la differenza sta nella coerenza. In altre parole, la coerenza è presente nella realtà, mentre è assente nei sogni. Se penso allo scenario della politico italiano, sarei tentato dalla corrispondenza inversa – ma probabilmente sto sognando. Comunque sia, tanto la nostra vita reale quanto gli scenari in cui ci ritroviamo nel corso dei sogni presuppongono la capacità di immaginare. Il linguaggio verbale, nelle forme togate del lessico scientifico non meno che nella più sbrigliata letteratura fantastica, nella poesia più alta così come nelle barzellette in dialetto, ha la potenza espressiva che ha grazie alla capacità di evocare situazioni che vediamo solo con gli occhi dell’immaginazione. Altrimenti, dovremmo poter parlare soltanto delle cose che abbiamo davanti a noi, di volta in volta. Iin tal caso sarebbe arduo riuscire a cogliere la minima coerenza tra un fotogramma e l’altro del mondo. Lo studio della capacità di formare immagini mentali e delle relative modalità operative è indicato in psicologia cognitiva come studio della “imagery”. ! ! !35 rotazioni mentali Un’indagine delle immagini mentali che da un lato ha aperto un nuovo orizzonte di ricerca e dall’altro ha sollevato polemiche a non finire è stata quella condotta per via sperimentale da Shepard e Metzler, focalizzando l’attenzione sulla capacità di valutare se, attraverso una rotazione, una figura è congruente con un’altra o no. Roger Shepard ! Jacqueline Metzler ! 1971 !36 Ai soggetti si mostravano varie coppie di solidi chiedendo loro se una coppia corrispondeva o no a uno stesso solido visto da angolazioni diverse. Qui sono rappresentate soltanto tre coppie: A, B e C. Mentre nel caso di A e B la risposta è positiva, nel caso C la risposta è negativa. Com’è che ci arriviamo? Immaginando appunto le possibili rotazioni della figura a sinistra e valutando se la figura a destra può essere così ottenuta. Shepard e Metzler osservarono che c’era una corrispondenza tra i tempi di risposta e l’angolo di rotazione compiuto dalla figura a sinistra e ne inferirono che la mente non funziona come un calcolatore, che manipola informazioni “discrète”, o le approssima mediante passi discrèti, ma gestisce le immagini in formato “continuo”. Senza entrare nel merito delle obiezioni cui quest’ipotesi è andata incontro, è comunque straordinaria la nostra capacità di effettuare rapidamente la sequenza di passi richiesti per rispondere alla domanda. Nell’arte L’insight cognitivo si esprime in forma artistica in un’ampia gamma di modi. Possiamo perfino immaginare di raffigurare il movimento in un’immagine, che è qualcosa di statico. Oppure possiamo immaginare di cambiare le dimensioni ordinarie di un oggetto. Pensate alle miniature o alle statuette da scrivania. Oppure possiamo ricostruirlo a scala maggiore, così da provocare una sensazione di stupore divertito. Proviamo, anche in questo caso, un curioso piacere, liberando l’immaginazione dalla funzione stereotipica dell’oggetto. Giacomo Balla, Dinamismo di un cane al guinzaglio, 1912 Rottapharm Madaus, Lo scrittore, Monza 2005 !38 Nella scienza L’insight si esprime anche nell’immaginazione scientifica. ! Esempio 1. Galileo: studiare la caduta dei gravi mediante un piano inclinato, con tanti campanellini, disposti a intervalli regolari, che suonano al passaggio della sfera che rotola. ! Esempio 2. Einstein: provare a descrivere quale sarebbe l’immagine che del mondo avrebbe un osservatore a cavallo di un raggio di luce. !39 L’insight presuppone un’esplorazione dello spazio del problema. ! Quindi non resta che applicare il metodo fornito con il libretto di istruzioni per la “navigazione” nello spazio del problema. ! Se il sapere andasse avanti così, il PROGRESSO si misurerebbe con l’incremento del numero dei problemi risolti seguendo le date istruzioni. Lo sguardo di chi sta esplorando lo spazio di un problema non è molto diverso da quello di un gorilla quando appoggia il mento sul palmo di una mano. Ogni problema ha il “suo” spazio. Il sogno che ci sia uno spazio in cui affrontare ogni problema si ripresenta ciclicamente, per essere ciclicamente messo in discussione dalla scoperta di problemi che per essere risolti hanno bisogno di “muoversi” in uno spazio diverso da quello previsto. Ma nel corso della storia del pensiero scientifico ci sono anche stati momenti in cui un progresso decisivo è stato conseguito violando i confini dell’euristica consolidata dalla tradizione. Anzi, si è verificato un vero e proprio cambiamento nel modo di impostare e risolvere i problemi. ! L’idea secondo cui ogni cosa richiede una comprensione a sé ha portato poco lontano. Le diverse teorie scientifiche corrispondono all’individuazione di uno spazio uniforme per un’intera classe di problemi. Perciò, più si addestrano i giovani a quegli esercizi motori, più si diseducano alla scoperta e più si selezionano le menti dominate dalla coazione a ripetere, oscurando il piacere dell’A-ha Erlebnis. I manuali di istruzioni, del resto, sono fatti il più delle volte da chi non è mai passato per questa esperienza. L’addestramento dei giovani in ciascun ambito è solitamente fatto di esercizi “motori” stereotipati: movimenti in uno spazio che non solo è stato esplorato ma che ormai è già tutto bell’e sistemato, con i percorsi da seguire come unici percorsi accessibili: quelli prefissati, consolidati, stabiliti una volta per tutte. Gli altri sono scomparsi dalla vista. C’è un legame tra l’emozione nel trovare una soluzione inaspettata e la comprensione che ci sono anche percorsi ulteriori rispetto a quelli stabiliti. !40 rivoluzioni scientifiche “Gestalt switch” L’anatra-lepre: si può vedere in due modi ma o la si vede come anatra o la si vede come lepre. Nel 1962 Thomas Kuhn ha sostenuto che le rivoluzioni scientifiche non sono cumulative con il sapere che le precede, ma che richiedono appunto un gestalt switch. Nota a margine: se il gestalt switch corrisponde a un insight immaginativo che si stacca dalla consuetudine e l’insight non è un ragionamento ma un atto improvviso d’illuminazione, Kuhn va d’accordo con Popper almeno su questo punto. 7. Modificare lo spazio del problema comporta che si adotti una prospettiva esterna, invece che una interna. Si passa per un atteggiamento metateorico per arrivare a una nuova teoria. Per fare un esempio concreto, consideriamo i classici problemi che consistono nel chiedere come disporre un certo numero di bastoncini per formare una data figura. Siamo portati a pensare che la soluzione debba essere cercata disponendo i bastoncini sul tavolo, cioè, su un piano. Ma dopo qualche tentativo senza successo siamo costretti a rivedere quest’assunzione se vogliamo risolvere il problema seguente: !42 Formare quattro triangoli ! con sei bastoncini La soluzione esiste, ma nello spazio 3D! Dall’insight in matematica all’information processing model (la mente come collezione di programmi) Quanto alle strategie di soluzione dei problemi, si possono individuare alcune significative differenze tra l’intelligenza naturale e quella artificiale. Precisare queste differenze ameno facile di quel che molti credono. La vox populi in materia, ovvero l’idea secondo cui la mente umana è creativa in quanto può violare ogni regola e le macchine, in quanto schiave di regole rigide (istruzioni, programmi), non possono esserlo, è una superficiale sciocchezza, che Douglas Hofstadter ha il merito di aver messo in luce con grande arguzia. ! ! Una differenza che invece può sembrare banale, ma non lo è, risiede nella reazione emotiva alla soluzione di un problema. Non che una macchina si arrabbi o s’intristisca, se lo risolve. Piuttosto, è priva di qualunque risposta emotiva. Ma perché siamo contenti quando riusciamo a capire “come si fa”? È una domanda che ci avvicina all’essenza della mente umana (se mai esistono le essenze) più di tanti discorsi viziati di antropocentrismo. ! 8. Gli ambienti educativi l’habitat fisico ! la famiglia ! la scuola … ! e da ultimo ! l’habitat virtuale Per quanto riguarda l’insight cognitivo, che cosa succede nel campo della trasmissione del sapere nel luogo canonicamente deputato allo scopo? educazione formale STUDENTI DOCENTI ! Riduzione della durata dell’attenzione ! Incremento del rumore comunicativo ! Mancanza di training autenticamente esplorativo ! ! Demotivazione ! Incremento della quantità di compiti didattici ! Mancanza di training autenticamente esplorativo ! Risultato consueto atrofizzazione dell’insight cognitivo Allenare all’insight cognitivo … ! ! ! Ma come? Consapevolezza delle proprie euristiche ! Verifica della loro efficienza –––> apertura a euristiche alternative –––> confronto di strategie –––> modifica del proprio metodo –––> modifica del proprio atteggiamento verso il problema. Questo significa anche ciò che in latino si diceva “cura sui”. In piccolo, ma gli effetti, sommati l’uno dopo l’altro, sono grandi. ! ! METACOGNIZIONE !48 9. Il primo feedback INSIGHT COGNITIVO INSIGHT AFFETTIVO ! ! AUTOSTIMA SELF-OUT-SIGHT ! “AUTOESOSCOPIA” INSIGHT EMPATICO “SO” ! COGNITIVO E AFFETTIVO Per simmetria, è naturale mettersi a cercare qualcosa che rappresenti l’immagine speculare dell’autoesoscopia. ! Ma c’è davvero un CONCETTO DUALE? C’è. !51 ! HETERO-IN-SIGHT ! ! “ETEROENDOSCOPIA” INSIGHT EMPATICO “HI” COGNITIVO E AFFETTIVO Entrambe le prospettive, HI e SO, meriterebbero di essere precisate e articolate. L’idea di fondo si inserisce all’interno del quadro della Theory-of-Mind attribuire stati mentali agli altri ! capire che hanno credenze diverse da noi ! capire le loro intenzioni 10. insight affettivo Le cose stanno così! Soggetto A No, Le cose stanno così! Soggetto B quando l’uno non si cura della prospettiva dell’altro Difficoltà di comunicazione? Ovvio: l’affermazione del proprio punto di vista si scontra con l’affermazione del punto di vista altrui. Quando l’esterno è l’interno di qualcun altro. La propria rappresentazione interiore del punto di vista altrui: Che cosa sta pensando? Che cosa vuole? Perché fa così, perché dice questo? cosa sta pensando B? cosa sta pensando A? A Passo 1. B cosa sta pensando B di A? (A sono io) cosa sta pensando A di B? (B sono io) A Passo 2a. B cosa sta pensando A di ciò che pensa B? (A sono io) cosa sta pensando B di ciò che pensa A? (B sono io) A Passo 2b. B Basta la mediazione linguistica? Parlare serve. C’è bisogno di dirlo? Ma perché possa servire ci dev’essere qualcosa d’altro, qualcosa di non-linguistico, che rende la comunicazione qualcosa di più di un commercio di informazioni (uno “scambio” di idee) tra sorgenti diverse di segnali. Nei confronti della sorgente B, non si vede perché la sorgente A non potrebbe restare del tutto insensibile. Dice A: “Ovviamente le cose stanno come dico io. Se sbagli, sono affari tuoi. Che me ne frega?” ! E già dire così è più del lecito, perché significa riconoscere l’altro come in qualche modo simile a noi. ! Se doveste progettare un meccanismo evolutivo che portasse un organismo così e così a “capire” il comportamento di un altro organismo così e così, non vi converrebbe puntare sulla mediazione linguistica. ! La natura ha trovato un’altra strada, ha puntato su altre risorse, più rapide e senza bisogno di telefonare alla coscienza. Una di queste (ho detto “una”) è stata scoperta non molti anni fa da un grande scienziato italiano: Giacomo Rizzolatti. NEURONI SPECCHIO BUILT-IN INSIGHT: attività propria — attività altrui Purtroppo, lungo la via della comunicazione si può frapporre un macigno: non si riesce a compiere il passo 1 (e a maggior ragione i passi 2a e 2b). BAMBINI AUTISTICI Come in tanti altri casi che si presentano quando si cerca di capire come mai succede quello che normalmente succede, le patologie servono a individuare alcune condizioni come necessarie: se non si realizzano, quel che normalmente succede non succede più. ! ! ! ! ! ! Ma quando si tratta di organismi sociali, c’è anche da studiare i pattern comportamentali che si sono stabiliti nel corso dell’evoluzione. ! Qui troviamo il contributo dell’ETOLOGIA. primati: etologia? sì comunicazione NON linguistica Nota: per “non linguistica” intendo “non verbale”. Il corpo ha un suo linguaggio e anche se la traduzione del linguaggio del corpo di una specie vicina alla nostra può essere difficile, di sicuro i due scimpanzé non stanno esprimendo odio reciproco. http://blogs.scientificamerican.com/scicurious-brain/2012/09/26/ignobel-prize-in-anatomy-i-would-know-that-butt-anywhere/ computer: etologia? no comunicazione SOLO linguistica Se oltre che sintattica, la competenza linguistica di un sistema artificiale è anche semantica o no, è una questione che, per quanto rilevante, non possiamo affrontare qui. 11. Reticolarità e instabilità OGGI 11.1 Carattere reticolare delle relazioni umane Frammentazione del coinvolgimento 11.2 Liquidità sociale e neofuturismo tecnologico Nelle interazioni di ogni tipo con gli altri si chiede sempre maggiore rapidità La liquidità consaputa contribuisce a preservare la potenzialità di una scelta eternamente dilazionata Scelte plurime in spazi diversi non si compongono in un’unità della persona in uno stesso spazio la rapidità nella comunicazione è alleata della superficialità ! la superficialità è alleata dell’estraneità ! l’estraneità impedisce ! insight cognitivo ! e ! insight affettivo Il risultato è MU. E qui MU non sta per l’espressione che negli apologhi zen indica l’impossibilità di rispondere a una domanda giudicata priva di senso. MU sta per: MU Mutual Ununderstanding L’incomprensione fa male difficoltà non solo linguistiche ! aggressività da impotenza comunicativa ! frustrazione Un insight cognitivo non implica un insight affettivo, ma lo prepara, lo favorisce e lo accompagna. Un insight affettivo non implica un insight cognitivo, ma lo prepara, lo favorisce e lo accompagna. !66 Tornando indietro al primo feedback no affective insight ! Tra persone, se manca il minimo insight affettivo, non c’è spazio perché si abbia un insight cognitivo. ! ! ! La comprensione che si genera è fredda e soltanto dall’esterno. ! Il fatto che sia fredda e soltanto dall’esterno non significa che sia più razionale, ma piuttosto che si affida a una razionalità difettosa. ! ! ! ! no cognitive insight Costi e benefici: nell’era della comunicazione globale non possiamo fare a meno di chiederci se i nuovi stili comunicativi favoriscano l’insight cognitivo e l’insight affettivo. LA RETE GLOBALE !68 Senza negare l’evidenza dei vantaggi comunicativi che le nuove tecnologie hanno reso possibili, bisogna renderci conto che si sta producendo anche qualcosa che è difficile considerare vantaggioso: divergenza e potenziale conflitto fra spazio di comunicazione verbale e prossemica Le 4 distanze di Edward Hall. Il disagio in ascensore. No affective insight a distanze che invece gli sono associate. !69 Nei luoghi pubblici, così come in quelli privati, è ormai consueto osservare persone fisicamente vicine che non comunicano fra loro, ma comunicano con qualcuno che è altrove. Il problema è che quando questa distanza da chi adesso non c’è si annulla, la spinta a comunicare con chi non c’è si ripete. Real communication? 12. VIRTUALIZERS Le nuove tecnologie offrono nuovi “spazi” di comunicazione virtuali: ambienti alternativi alle situazioni fisiche in cui ci troviamo con il nostro corpo e in cui comunichiamo non solo a parole ma anche con il linguaggio del corpo. ! Non è certo la prima volta che lo spazio fisico subisce una “virtualizzazione”. Gli esseri umani hanno sempre cercato “spazi” alternativi, sia sul piano fisico sia sul piano mentale. La letteratura, il teatro, il cinema e perfino la modellizzazione scientifica hanno offerto ambienti immaginati in cui “calarsi”, in cui esprimere emozioni, pensieri, dubbi e speranze, e da questi spazi alternativi c’è stato un potente feed-back sulla comunicazione nel mondo reale. Tutte le risorse che rendono possibile il trasporto immaginativo di sentimenti e riflessioni dal mondo fisico a un altro e il trasporto inverso, si possono chiamare “virtualizzatori”: L’intelligenza, il linguaggio e il pensiero sono sempre stati studiati prestando attenzione soprattutto, se non esclusivamente, alle capacità umane. Psicologi, linguisti, filosofi hanno raccolto una grande quantità di osservazioni circa la mente umana e hanno elaborato tante teorie al riguardo. Ma l’intelligenza umana non è il prodotto del suo studio. Ci ha pensato Madre Natura a darcela e sta a noi farla fiorire o deperire. Le cose si capiscono meglio quando proviamo a rifarle daccapo. E anche se non possiamo rifare tutto, per via sperimentale si capiscono più cose. E questo è successo anche con l’intelligenza artificiale (A.I.). ! A. I. ! simulazioni del comportamento (verbale) In parallelo con l’I.A. e con le scienze cognitive guidate dal modello del computer per quanto riguarda la gestione delle informazioni, si è sviluppata anche la filosofia della mente. Si è discusso molto facendo il confronto tra l’intelligenza naturale e quella artificiale. Un tema che ha richiamato l’attenzione dei filosofi: il ruolo delle emozioni e delle conoscenze in prima persona. Vi prego di non associare al termine l’immagine che degli zombie è diventata consueta attraverso i film horror. Conviene piuttosto pensarlo come un “replicante”: qualcuno che ha lo stesso nostro aspetto e si comporta in tutto e per tutto come noi ma non ha una mente come invece abbiamo noi. È solo un macchina. ! Il problema è a doppio senso: se noi possiamo davvero essere sicuri di non essere delle macchine, e se davvero possiamo essere sicuri che una macchina non possa pensare. Sessant’anni fa, Alan Turing avanzò un test (il “test di Turing”) per valutare se è possibile distinguere, mediante il comportamento verbale, un e s s e re u m a n o d a u n a i n t e l l i g e n z a “meccanica”. ! A questo proposito, l’esperimento di pensiero più controverso, che in America è diventato un topos fra i filosofi, è consistito nell’immaginare qualcuno che si comporti esattamente come un normale essere umano ma non provi nulla a comportarsi così. Un simile essere è stato denominato “zombie”. TEST Philosophy of mind (detto in inglese perché è il frutto peculiare del mondo filosofico la cui lingua madre è l’inglese) !73 Dagli horror zombie ai bei replicanti “GEDANKEN EXPERIMENT” Il TEST DI TURING nella scena di Blade Runner in cui il detective Deckard cerca di scoprire se la giovane donna (?) che ha davanti a sé è un replicante. !74 13. SCHEMI COGNITIVI-AFFETTIVI La questione è stata impostata in modo tale che sotto il profilo cognitivo ci potrebbe anche essere indistinguibilità tra esseri umani e replicanti, ma sotto il profilo emotivo c’è per forza una palese distinguibilità. Questo presuppone che i sentimenti, e più in generale, quel che si prova in prima persona, sia un “in più” rispetto alla cognizione. Invece, nel modello cinestetico dell’intelligenza che, insieme ad altri, ho proposto, non è possibile fare una simile separazione netta, perché esistono degli schemi vincolanti, attraverso i quali si realizza l’accoppiamento corpo - cervello !75 non bastano i neuroni-specchio ! è la combinatoria degli schemi ! che favorisce o inibisce ! un insight affettivo ! linguisticamente mediato !76 Anche se le abilità linguistiche non esauriscono la cognizione, il linguaggio è comunque un moltiplicatore di legami concettuali basati sugli schemi, che produce un incremento nella complessità delle interazioni cognitivo-affettive ! ma i prototipi ! tacitamente presupposti ! conservano il ruolo di attrattori. ! E non cambiano neppure se ci spostiamo dal reale al virtuale !77 Dal reale al virtuale mondi possibili ---- simulazioni digitali ---- ambienti virtuali PROCESSO INVERSO dal virtuale al reale SECOND LIFE ---- SOCIAL NETWORK ---- MMPORG !78 ! L’insight affettivo trova un nuovo spazio empatia ! con il proprio avatar ! senso di comunità !79 Ma se il mio “qui” è altrove io non sono dove è il mio corpo ... Allenare all’insight affettivo … ! in ambienti virtuali? ! Perché no? e con un feedback positivo nel mondo reale? ! Ma come? ! Qualche idea al riguardo ce l’avrei. Grazie a un insight cognitivo, mi accorgo che siete stanchi. ! Grazie a un insight affettivo, dico: sarà per un’altra volta. ! Nel vostro sorriso colgo un insight cognitivo e affettivo. !80