Anno XI - Numero 82 - 7 dicembre 2006
L'intervista
Parlano il direttore Lombard
ed il regista e scenografo Alli
A Pag 2
La storia dell'opera
Dalle critiche della vigilia
alla versione definitiva
che Bizet non vide
A Pag 6
Le nacchere
Storia e curiosità di uno
strumento divenuto simbolo
di Spagna
A Pag
9
Viaggio a Siviglia
Itinerario nei luoghi
di Carmen
A pag. 14
CARMEN
di Georges Bizet
Carmen
2
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Parlano in direttore Lombard ed il regista e scenografo Alli
Un caleidoscopio di colori e proiezioni per esaltare l’animo dei personaggi
«C
armen è un’opera
con la quale convivo da molto,
moltissimo tempo. L’ho diretta per la prima volta circa
quarant’anni fa a Lione. Ho
collaborato a numerose produzioni, alcune davvero importanti come quella di due
anni fa all’Arena di Verona
con la regia di Zeffirelli.
Rimane un capolavoro assoluto della musica d’ogni
tempo. Semplicemente perché è un’opera perfetta».
Tali le parole appassionate del Maestro Alain
Lombard, sul podio del
Costanzi per questa Carmen, opera con cui si
conclude la stagione
2006 al Teatro dell’Opera di Roma.
«Penso che la perfezione di
Carmen – continua il
Maestro – stia nel legame
perfetto tra testo e musica. E’
accaduto altre volte, ma raramente: Otello, Falstaff, Pelléas et Melisande, Salome ».
Riguardo all’esecuzione
dell’opera, il Maestro commenta «La bellezza di Carmen consiste nella sua unitarietà: dall’inizio del primo atto alla conclusione del quarto
c’è una progressione assolutamente straordinaria. E’ sbagliato considerare ciascuno
dei quattro atti singolarmente. Allo stesso tempo è un’opera concepita per l’Opéra- comique, ossia per un teatro piccolo. Per questo, penso, non si
debba mai utilizzare un’orchestra troppo grande, ma bisogna sempre rispettare, anche in uno spazio di maggiori
dimensioni, ciò che era stato
previsto in origine».
«La musica francese - sottolinea il Maestro riguardo
alla sua interpretazione - rimane una musica estremamente complessa. Tecnica-
mente non sopporta alcun rubato, dunque è estremamente
difficile eseguirla come si deve. D’altra parte, quello che è
straordinario nella Carmen è
la sua orchestrazione, al tempo stesso dolce, drammatica,
potente, mantenendo una trasparenza totale». La “leggerezza” di questa musica ha
rappresentato uno dei
principali motivi del celebre elogio di Nietzsche verso l’opera ( «Questa musica
mi sembra perfetta. Si avvicina leggera, morbida, con cortesia. E’ amabile, non fa sudare»). Proprio ricordando la
~ ~ La Copertina ~ ~
Eduard Manet - Gitana Andalusa (1862 ca.)
Il G iornale dei G randi Eventi
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diatriba suscitata nell’Ottocento ed oltre dal filosofo
riguardo l’antiteticità della
musica di Wagner rispetto
a quella di Bizet, Pier’Alli,
regista, scenografo e costumista di questo nuovo allestimento e che ha firmato
la recente produzione del
Tristan und Isolde, sottolinea il preciso intendimento
insito nella presentazione consecutiva di queste
due opere. «Quello di
Wagner
–
afferma
Pier’Alli – è un mondo di
eroi. Un mondo metafisico
e sacro, in cui i personaggi
sono consapevoli di appartenere alla sfera del sublime. Al contrario quello di
Carmen è il mondo popolare di Siviglia, il mondo
della natura, degli istinti,
in cui i due personaggi sono assoggettati ad una fatalità e ritualità che si proiettano lentamente verso una soluzione tragica». Quello che
è importante, nella visione
del regista, è superare l’idea di opera verista cui è
stata assoggettata Carmen,
per riuscire a cogliere il significato simbolico più
profondo dell’opera. «Il legame tra i due protagonisti è
il simbolo della spirale dell’amore e della morte, che si concretizza nel meraviglioso tableau finale della corrida, in
cui il rapporto di sottile intelligenza tra il toro e il torero si
basa su un gioco–sfida di attenzione e reazione. Il mio obbiettivo è stato quello di reinventare il mondo popolare
spagnolo tramite una fusione
di colori tra l’ambiente esterno e l’interno dei personaggi,
attraverso proiezioni innovative che allontanano l’allestimento dalla usuale visione verista dell’opera. Il mondo intorno ai personaggi tende a diventare una loro proiezione
interiore, a partire dalla grande e solare piazza di Siviglia
fino allo spazio scenico finale
della corrida».
«Con Carmen – afferma ancora il Maestro Lombard –
è nata finalmente un’opera
drammatica estremamente
forte, potente, un’opera che,
come ha affermato lo storico
della musica Mario Bortolotto, era fatalmente destinata ad
essere un fatto unico».
Silvia Mendicino
La Stagione 2007
al Teatro Costanzi
16 - 21 Gennaio
SALOMÈ
di Richard Strauss
Alain Lombard
Francesca Patanè, Graciela Araya,
Kristjan Ingvar Johannsson, Anooshah Golesorskhy
Direttore
Interpreti
8 - 14 Marzo
WERTHER
di Jules Massenet
Alain Lombard
Rolando Villanzon, Beatrice Uria-Monzon,
Natale De Carolis, Yvette Bonner
Direttore
Interpreti
20 Aprile - 3 Maggio
LA TRAVIATA
di Giuseppe Verdi
Gianluigi Gelmetti
Angela Gheorghiu, Vittorio Grigolo,
Renato Bruson, Giuseppe Filianoti
Direttore
Interpreti
16 - 22 Maggio
LA FILLE DU RÉGIMENT
Direttore
Interpreti
di Gaetano Donizetti
Bruno Campanella
Carmela Remigio, Aldo Caputo,
Alberto Rinaldi, Anna Procleme
15 - 23 Giugno
MANON LESCAUT
di Giacomo Puccini
Donato Renzetti
Norma Fantin, Marco Berti
Direttore
Interpreti
27 Novembre - 2 Dicembre
MOSÈ IN EGITTO
Direttore
Interpreti
di Gioachino Rossini
Antonino Fogliani
Michele Pertusi, Giorgio Surian,
Anna Rita Taliento, Stefano Secco
21 - 30 Dicembre
LA VEDOVA ALLEGRA
di Franz Lehàr
Daniel Oren
Fiorenza Cedolins, Vittorio Grigolo, Markus Werba
Direttore
Interpreti
La Locandina ~ ~
~~
Terme Costanzi, 7 - 14 dicembre 2006
CARMEN
Opéra comique in quattro atti - Libretto di Henry Meilhac e Ludovic Halévy
Musica di Georges Bizet
Prima rappresentazione: Parigi, Opéra-comique (Salle Favart) 3 marzo 1975
Maestro concertatore
e Direttore
Maestro del Coro
Regia, Scene, Video e Costumi
Coreografia
Disegno Luci
Alain Lombard
Andrea Giorgi
Pier’Alli
Simona Chiesa
Pier’Alli, Alessandro Santini
Personaggi / Interpreti
Carmen (Ms)
Micaëla (S)
Don José (T)
Escamillo (Bar)
Frasquita (S)
Mercedes (Ms)
Dancairo (T)
Remendado (T)
Zuniga (B)
Moralès (Bar)
Rinat Shaham /
Mary Ann McCormick (10, 13, 15/12)
Anna Laura Longo /
Maria Carola (10, 14, 15/12)
Marcello Giordani /
Luca Lombardo (9, 13, 15/12)
Marco Chingari /
Patrice Berger (9, 12, 14, 15/12)
Daniela Schillaci
Tiziana Tramonti
Marco Camastra
Mario Bolognesi
Carlo Di Cristoforo
Marco Langé
ORCHESTRA, CORO E CORPO DI BALLO DEL TEATRO DELL'OPERA
In lingua originale con sovratitoli in italiano
Il
Carmen
Giornale dei Grandi Eventi
I
l Teatro dell’Opera
di Roma chiude la
propria stagione
2006 con un titolo di
grande richiamo, Carmen di Georges Bizet.
Un titolo che se di per
se ha un finale tragico,
vive per tutta l’opera
di grande passione, di
sentimenti forti, come
forte e travolgente è la
musica. Un susseguirsi di arie, di ritmati,
che coinvolgono lo
spettatore fra i ritmi
calienti di una Spagna
che in realtà Bizet mai
visitò. La sigaraia di
Siviglia è femme fatale, ammaliante, capace
di portare fuori dalla
ragione il brigadiere
Don Josè, che arriva
ad ucciderla pur di
non perderla. La passionalità pervade l’opera. Una passionalità
che il regista e scenografo Pie’Alli ha messo al centro della scena, attraverso colori
forti e caldi che si rin-
corrono nelle proiezioni della scenografia. Proiezioni, quasi
un caleidoscopio che
riflette l’animo dei
protagonisti di quest’opera, che come dice il direttore d’orchestra Alain Lombard «è
semplicemente perfetta». Non per niente è
3
Le Repliche
Sabato 9 dicembre, ore 18,00
Domenica 10 dicembre, ore 16,30
Martedì 12 dicembre, ore 20,30
Mercoledì 13 dicembre, ore 20,30
Giovedì 14 dicembre, ore 20,30
Venerdì 15 dicembre, ore 20,30
la seconda opera – dopo la Bohème di Puccini – più eseguita al
mondo.
Una Carmen dove i colori sono trasposizioni dell’animo
La vicenda si svolge in Spagna, intorno al 1820.
Atto I: in una piazza di Siviglia, presso la ma-
La Trama
nifattura di tabacchi e la caserma delle guardie.
Moralés, capo dei dragoni, osserva l'andirivieni dei passanti. La
giovane contadina Micaëla aspetta di parlare con il suo fidanzato, il brigadiere Don José, ma non trovandolo è costretta ad allontanarsi, ripromettendosi però di tornare al prossimo cambio
della guardia.
Attirando l'attenzione generale, irrompono le sigaraie che escono
dalla fabbrica per la pausa di mezzogiorno. Solo Don José, che ha
promesso fedeltà a Micaëla non si mostra interessato alle giovani
e non attende, come gli altri, la bella zingara Carmen. Quando ella, per provocarlo, gli getta un fiore, Don José è talmente turbato
che ascolta appena Micaëla, che gli porta una lettera della madre
lontana.
All'interno della manifattura tra le sigaraie scoppia una zuffa e
Carmen viene arrestata dal tenente delle guardie Zuniga, per
aver picchiato una donna e viene affidata a Don José. Questi, ottenuta da lei la promessa di un appuntamento all'osteria, la aiuta
a fuggire.
Atto II: nella taverna di Lillas Pastia, due mesi dopo. Nel luogo di
ritrovo dei contrabbandieri, Carmen attende danzando con le
amiche l'arrivo di Don José, appena liberato dal carcere dove era
stato rinchiuso per aver favorito la sua fuga. Per questo la gitana
rifiuta la corte del torero Escamillo e anche di unirsi ai contrabbandieri Dancaìre e Ramendado per tornare sulle montagne.
Torna Don José, che ha ancora il fiore donatogli da Carmen e la
zingara danza per lui. Suona la ritirata, ma José, irretito da Carmen, non riesce a staccarsi da lei. Così, quando Zuniga, che segue
le tracce di Carmen, gli ordina di rientrare in caserma, egli si ribella e minaccia il tenente con la pistola. Intervengono i contrab-
bandieri a separarli, ma il destino di José ormai è compromesso ed egli decide di unirsi ai
fuorilegge insieme a Carmen.
Atto III: sui monti, presso il rifugio dei contrabbandieri. Mentre i
contrabbandieri bivaccano, Don José è torturato dai rimorsi: la vita del fuorilegge non fa per lui. Carmen, ormai stanca di questo
amore, pensa ad Escamillo e, insieme alle compagne Frasquita e
Mercédès, legge il futuro. Le carte rivelano a Carmen che la morte è vicina.
Una parte della banda, con le ragazze, va avanti per fermare i doganieri. Don José, rimasto a guardia della merce, si scontra in
duello con Escamillo, che è venuto in montagna per trovare Carmen. I due uomini vengono separati da Carmen, ed Escamillo si
allontana dopo aver invitato la ragazza a Siviglia per la sua prossima corrida.
In quel momento Micaëla, arrivata sul luogo per annunciare a
Don José che la madre sta morendo, supplica il brigadiere di
tornare al suo villaggio. Esortato dai presenti, José decide di seguirla, ma prima minaccia Carmen, della quale è ancora innamorato.
Atto IV: la Plaza de Toros, a Siviglia. Il popolo acclama il corteo
dei toreri e tra la folla c'è anche Carmen. Ormai è legata ad Escamillo e non si cura degli avvertimenti delle amiche che le dicono
di guardarsi da Don José.
Mentre Escamillo si reca alla corrida, Carmen incontra Don José,
il quale, sull'orlo della disperazione, si fa avanti. Ma nonostante
le sue suppliche, Carmen lo schernisce e gli restituisce in malo
modo l'anello che egli le aveva donato.
Mentre Escamillo trionfa nell'arena, Don José accecato dalla gelosia, uccide Carmen con una pugnalata e poi si costituisce ai gendarmi.
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Carmen
5
Marcello Giordani e Luca Lombardo
Rinat Shaham e Mary Ann McCormick
Don José, vittima del
fascino della Gitana
Carmen, la zingara
seduttrice
A
L
d interpretare Don José saranno i tenori Marcello Giordaa voce di Carmen sarà quella di Rinat Shaham (7, 9, 12, 14 dini (7, 10, 12, 14 dicembre) e Luca Lombardo (9, 13, 15 dicembre) e di Mary Ann McCormick (10, 13, 15 dicembre).
cembre). Marcello Giordani è nato ad Augusta nel 1963.
Dopo lo spettacolare debutto nel 2004 al Festival di GlyndeDal giorno del suo debutto nel 1986
bourne in Carmen, per il quale riceve il
nel ruolo del Duca di Mantova in Ripremio della critica inglese, il mezzosogoletto a Spoleto è apparso come protaprano di origine israeliana Rinat
gonista nei maggiori teatri del mondo.
Shaham si fa apprezzare nei maggiori
Ha debuttato negli Stati Uniti d’AmeTeatri europei e americani. Tra i ruoli
rica nel 1988-89 al teatro di Portland
interpretati ricordiamo in particolare
come Nadir in Les pecheurs de perles e
Cherubino ne Le Nozze di Figaro, Melisuccessivamente al Metropolitan nel
sande in Pelleas et Melisande, Charlotte
ruolo di Nemorino in L’elisir d’amore.
nel Werther, Rosina nel Barbiere di SiviLa presenza negli Stati Uniti è imporglia, Zerlina in Don Giovanni, Dorabella
tante e frequente durante i suoi primi
in Così fan tutte, Dido in Dido and Aeneas.
anni di carriera per la strutturazione
Ha anche partecipato nel ruolo di candel suo repertorio. Sin dagli esordi si
tante jazz al film di Isztvan Szaho Taking
rende evidente la qualità del suo canto
Sides.
e l’estensione straordinaria della sua
Mary Ann McCormic si è diplomata al
voce.
New England Conservatory, vincendo
Luca Lombardo, nato Marsiglia, si è
in seguito diversi premi: nel 1998 il
perfezionato con Claude Thiolas e ha
“Concorso Tchaikovsky” di Mosca, il
vinto numerosi concorsi internazionapremio della “George London Foundali tra i quali: “Caruso” di Milano,
tion”, il “Richard Tucker Music Founda“George Thill”, “Francisco Vinas de
tion Career”; é stata finalista presso le
Barcelona”. Ha debuttato nel 1989 con
“Metropolitan Opera National Council
il ruolo di Gabriele Adorno nel Simon
Auditions”. Ha ricevuto il “Richard
Boccanegra all’Opéra des Flandres, diGaddes Fund for Young Singers” della
retto da Sylvain Cambreling. SuccessiSt. Louis Opera, teatro dove ha cantato
vamente è stato a Sidney e a MelbourCendrillon di Massenet, Il Diavolo e Kate
ne per la Cavalleria Rusticana. Dall’ini- Rinat Shaham e Marcello Giordani
di Dvorak, Madama Butterfly e Ariadne
zio degli anni ’90 ha interpretato ruoli di maggiore spessore qua- auf Naxos. Ha collaborato a lungo con il Metropolitan Opera di
li Rodolfo in Bohème, Werther nel Werther, Hoffmann in Les Con- New York, dove ha debuttato con James Levine nella prima montes d’Hoffmann, Cavaradossi in Tosca, Alfredo in Traviata ed ha diale The Ghosts of Versailles di John Corigliano.
cantato in Romeo e Giulietta, Faust e Sigurd di Ernest Reyer. E’ costantemente presente all’Opéra Comique di Parigi dove è stato
per Esclarmonde, Mireille, La Bohème e Carmen.
Anna Laura Longo e Maria Carola
Micäela, promessa
sposa di José
Marco Chingari e Patrice Berger
Il torero Escamillo,
nuovo amore di Carmen
D
aranno la voce a Escamillo i tenore Marco Chingari (7, 10,
13 dicembre) e Patrice Berger (9, 12, 14, 15 dicembre). Marco Chingari è vincitore di numerosi concorsi internazionali fra cui il “Voci Verdiane” di Busseto che l’ha visto debuttare con
La forza del destino. All’estero, da ricordare, è l’inaugurazione con
l’Aida del Grand Theatre di Shanghai, con i Complessi del Maggio
Musicale Fiorentino. Recentemente è stato ospite a Berna ne La
forza del destino, ed è stato protagonista in Falstaff a Essen; ha quindi debuttato alla Deutsche Oper di Berlino ne La Fanciulla del West. Ha inciso con Riccardo Muti (Vespri Siciliani), e con Lorin Maazel (Fanciulla del West). Da ricordare, inoltre, Il piccolo Marat, Edmea di Catalani e La cena delle beffe di Giordano.
Patrice Berger ha scoperto il canto solo dopo i suoi studi di tuba
e direzione d’orchestra presso il Conservatoire National Supérieur di Parigi. Ha studiato con Blivet ed è risultato vincitore di
numerosi concorsi internazionali, quali il concorso internazionale
di Marmande, il Tournoi des Voix d’Or, il concorso di Saint-Chamond e il concorso di Beziers. Ha debuttato come Monterone in
Rigoletto al Festival Lirico di Nevers ed si è esibito, oltre che sulle
scene francesi, sui palcoscenici di Amsterdam, Liège, Brescia, Roma. Padroneggia un vasto repertorio di opere francesi ed italiane.
Nel 2005 si è esibito come protagonista nella Thais di Massenet,
presso il Teatro dell’Opera di Roma.
S
aranno Micäela Anna Laura Longo (7, 9, 12, 13 dicembre) e
Maria Carola (10, 14, 15 dicembre). Nata a Milano, Anna
Laura Longo si è diplomata in Pianoforte e Tecnica vocale. Il
suo repertorio comprende Roméo et Juliette di Gounod, Demetrio e
Polibio, Rigoletto, Otello, Le nozze di Figaro, La favorita e Il barbiere di
Siviglia (questi ultimi tre interpretati al Teatro dell’Opera di Roma), L’amore delle tre melarance, La straniera, Dialogues des carmélites
e Turandot, Ginevra di Scozia, La sposa venduta, Orfeo ed Euridice di
Gluck, Bohème, Pagliacci, Amico Fritz, Così fan tutte. Frequenta con
eguale intensità il repertorio belcantistico come quello drammatico e di bravura, vantando un’encomiabile versatilità espressiva.
Maria Carola, dopo il diploma in violino presso il Conservatorio
di Avellino, si è diplomata in canto con Elisabetta Fusco e Carlo
Desideri. Ha frequentato i corsi estivi dell’Accademia Chigiana di
Siena (con Kabaiwanska, Verrett e Bruson). Ha vinto il concorso
“Giovani Talenti 2000” di Napoli, ed il ”II Concorso internazionale città di Bevagna”. E’ stata spesso ospite del Teatro dell’Opera di
Roma: nella stagione lirica 2004 ha partecipato alla produzione
dell’Elektra di Strauss sotto la direzione di Humburg e la regia di
Brockhaus, e nella stagione estiva dello stesso anno è stata Leonora ne Il Trovatore di Verdi. Nel 2006 ha interpretato Maria, nella
Maria Stuarda di Donizetti, mentre nel luglio-agosto 2006, presso le
Terme di Caracalla, ha cantato come Aida.
Pagina a cura di Diana Sirianni – Foto: Corrado M. Falsini
Carmen
6
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La storia dell’opera
Da racconto a tinte fosche, ai vertici della lirica
Q
uando nel 1872 la direzione dell’Opéra-Comique commissionò a
Bizet di scrivere un’opera su
libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy, la scelta cadde
su Carmen, testo a tinte forti
ispirato all’omonima novella
di Prosper Mèrimée, pubblicata il 1 ottobre del 1845 nella
“Revue des Deux Mondes”.
L’argomento, che già come racconto aveva suscitato un enorme scalpore per la crudezza degli eventi narrati, fece sorgere
forti perplessità alla direzione
del teatro parigino, nelle persone dei direttori De Leuven e Du
Locle, abituati ad argomenti
sdolcinati ed a lieto fine. Questo il dialogo tra librettista
Halèvy e il direttore De Leuven, narrato dal primo, in merito alla scelta di un tema così
scabroso per quel teatro francese, in genere abituato a argomenti sdolcinati e a lieto fine.
«Carmen di Mérimée?- disse De
Leuven a Ludovic Halévy, che
con Henri Meilhac firmò il libretto per Bizet - Ma non è stata uccisa dal suo amante? Un sottobosco di ladri, zingari, sigarettaie all’Opéra-Comique? Per carità, nel teatro delle famiglie, delle
feste nuziali! Farmi scappare il
pubblico. No, no impossibile,
niente da fare!».
«Insistetti - racconta Halévy spiegando che la nostra sarebbe stata una Carmen più dolce, più mansueta e che inoltre avremmo introdotto un personaggio nella tradizione dell’Opéra-Comique, una giovane innocente e pura fanciulla».
Alla fine gli artisti ebbero la
meglio e la direzione del teatro parigino accettò, seppur al
grido: «Vi prego, però, non fatela morire!».
Ottenuta la commessa, Bizet
cominciò a lavorare alla composizione, che però interruppe
presto per dedicarsi ad un altro
lavoro più urgente, il Don Rodrigue commissionatogli dall’Opéra. Solo all’inizio del 1874
Bizet riprese in mano Carmen e
si ritirò nel sobborgo parigino
di Bourgival, per dedicarsi all’orchestrazione delle milleduecento pagine di partitura
della Carmen che venne poi
venduta all’editore Choudens.
Nell’estate di quello stesso anno la composizione era conclusa ed in dicembre iniziarono le prove all’Opéra Comique. Anche durante le prove
Bizet rimise più volte mano al
suo lavoro, ora per snellire,
ora per venire incontro a questa o quella richiesta dei committenti. Fu solo l’appoggio
dei due cantanti protagonisti,
la Galli-Marié e Paul Lhérie,
che si riuscì a evitare lo stravolgimento della storia originaria in favore di un lieto fine
voluto dagli impresari. Tuttavia De Leuven, uno dei due
direttori del teatro, non convinto si dimise, lasciando all’altro, Du Locle, tutto il rischio dell’eventuale fiasco
dell’opera.
Differenze con la
novella di Mérimée
Georges Bizet
del viaggiatore e di Don José,
si trasforma in un personaggio da cui prendere le distanze, per la paura di guardare il
lato più oscuro dell’essere
umano.
Le differenze tra l’opera e la
novella di Mérimée sono soL’opera di Bizet
stanziali.
La tradizione vuole Prosper
Non così nell’opera di Bizet, in
Merimée avrebbe appreso il
cui la forza drammatica della
soggetto della sua opera letteraria da Eugenia de
Montijo,
futura
moglie di Napoleone III, in un fortunato incontro in
carrozza durante il
suo primo viaggio
in Spagna. Lo scrittore parigino incastonò la storia in
una cornice narrativa che gli permise
di distanziarsi dai
crudi eventi narrati, adottando la formula del “racconto
nel racconto”. Il testo letterario si apre
con il narratore nei
panni di un giovane archeologo francese che per motivi
di studio si trova in
Spagna. Durante il
soggiorno in An- Henri Meilhac e Ludovic Halévy
dalusia incontra Jozingara si erge con un vigore
sè e Carmen già amanti, per
che richiama alla mente il
poi rincontrare l’uomo conDon Giovanni mozartiano:
dannato a morte in attesa del
un vera e propria femme fatapatibolo e da lui ascolterà il
le, insomma, una dark lady
racconto del suo tragico e folle
ante litteram!
amore per la indomita gitana.
Il testo termina
con una analisi
filologica sugli
zingari, sui loro usi e costumi e sulla loro
lingua, analisi
che tende ad
accentuare il
distacco dell’autore dalla
novella.
Carmen, nel ricordo sbiadito Parigi, Opéra Comique, Salle Favart
E l’eroicità negativa di Carmen è accentuata ancor più
dagli altri personaggi che la
circondano, alcuni dei quali
creati interamente dalla penna
dei due geniali librettisti (che
non a caso erano anche quelli
preferiti da Offenbach per le
sue operette). Prima tra tutti,
la figura di Micaëla, introdotta
per accontentare il pubblico di
buoni borghesi dell’OpèraComique. Questa angelica
fanciulla, vestita con il tipico
costume basco, sboccia come
un fiore candido valorizzato
dalle bellissime pagine di musica destinatele da Bizet, è ricavata da un’osservazione di
Don Josè nella novella: «Ero
giovane, allora, pensavo sempre
al mio paese e non potevo credere
che ci fossero delle belle fanciulle
senza veste blu e senza trecce sulle spalle». E nuovo è anche il
personaggio del torero Escamillo, nell’opera principale rivale
di Don Josè, che riprende la figura di
poco conto e un po’
sbiadita di quel Lucas, anch’egli picador,
che per Mérimée rappresenta uno dei tanti “amorazzi” della
zingara.
Ed infine Don Josè, a
cui nel primo atto per
mezzo di Micaëla arriva il perdono dalla
madre, perdono che
è inspiegabile per chi
non conosce l’antefatto dell’omicidio e
della fuga dalla propria terra, narrato da
Mérimée.
Questo
crudele bandito, temuto in tutta la Spagna, che nella novella si avvelena la vita perché
esasperato dall’inafferrabilità della zingara, si riduce a
essere nell’opera un innamorato timido e accecato
dalla gelosia.
Nonostante i toni
meno crudi del
lavoro musicale
rispetto a quello
letterario, quando la Carmen
andò in scena, il 3
marzo 1875 la direzione del teatro
sconsigliò le famiglie di portare
a teatro mogli e
figlie e fino al
momento del de-
butto tra camerini e palcoscenico dell’Opéra Comique si
respirava un’atmosfera di forte nervosismo. Dopo il primo
atto alla Salle Favart dove ebbe luogo la prima, ad alcuni
giovani che si congratulavano
con lui, Bizet rispose: «Sono le
prime parole che sento stasera e
ho paura che saranno le ultime».
Forse quella sera andò proprio
così, ma nonostante l’insuccesso quell’anno la Carmen
contò ben 45 repliche. Pochi
giorni dopo la “prima”, l’autore pubblicò uno spartito per
canto e pianoforte che modificava la stesura originale, tenendo conto delle modifiche
apportate durante le prove e
di altri ripensamenti.
Per l’autunno Carmen fu inserita nella stagione di Vienna,
dove però per consuetudine
non si davano opere di genere
comique. Per questo mentre
preparava una nuova versione dove i dialoghi parlati fossero sostituiti da recitativi cantati, Bizet morì il 3 giugno.
L’edizione per Vienna – che
divenne poi la veste nella quale l’opera fu conosciuta nel
mondo - fu terminata da dall’amico Ernest Guiraud, il
quale, per rispetto all’autore,
utilizzò i balletti di un’altra
opera di Bizet, Jolie fille de
Perth (1867). La “nuova” Carmen andò in scena all’ Hofoper il 23 ottobre 1975.
Il debutto in Italia avvenne al
Teatro Bellini di Napoli il 15 novembre 1879 nella versione ritmica italiana di Achille de Lauzières. Direttore d’orchestra
Vincenzo Fornari ed interprete
principale Célestine Galli-Marié
prima interprete del ruolo. L’opera la prima sera non fu accolta con grande successo, soprattutto nei primi due atti, ma le sere successive il pubblico si mostrò più caloroso.
A Roma il debutto fu al Teatro
Argentina il 7 gennaio 1884 in
una stagione allestita da
Edoardo Sonzogno. Sul podio
Edoardo Mascheroni e sempre la Galli-Marié nel ruolo di
Carmen, dove se ne diedero
28 rappresentazioni. ‘anno
successivo, il 7 novembre, il
lavoro di Bizet approdò al Costanzi, sempre diretto da Mascheroni, ma con protagonista
Virginia Ferni.
Oggi Carmen, dopo la Bohème
è l’opera più rappresentata nei
teatri di tutto il mondo.
Claudia Capodagli
Il
Carmen
Giornale dei Grandi Eventi
7
Carmen, opéra-comique “anomala”
N
el 1741 Charles Simon Favart mise in scena
la Chercheuse d’esprit, un’opéra-comique
che trattava in maniera ironica e licenziosa
il tema di Dafni e Cloe. Favart era figlio di un pasticciere che amava mettere in musica le sue ricette ricorrendo alle più popolari arie operistiche del
tempo.
L’opéra-comique era allora un genere popolare basato su musica preesistente alla quale si adattava
un testo inizialmente di carattere comico. La struttura prevedeva un’alternanza fra musica e prosa,
analogamente a quanto accadeva, in Germania, nel
Singspiel. Nella seconda metà del Settecento, sotto
la spinta della querelles de buffons che aveva contrapposto i sostenitori dell’opera comica italiana a
quelli dell’opera seria francese, l’opéra-comique
acquisì una dignità artistica, trasformandosi in un
genere musicale autonomo, interamente creato.
Fra i primi autori, il filosofo-musicista Rousseau,
che nella citata querelle (scoppiata dopo la rappresentazione a Parigi nel 1752 della Serva padrona di
Pergolesi) si era schierato dalla parte italiana e che
compose appunto Le devin du village.
Il teatro francese nel corso dei secoli ha prodotto
numerose forme musicali. L’opéra-comique è certamente fra le più longeve e soggette a trasformazioni.
Se infatti all’inizio era di sapore comico, nel tardo
Settecento fece propri gli ideali della rivoluzione
francese trasformandosi (secondo il genere letterario della piece au sauvatage) in un’opera drammatica con finale lieto.
Nel 1825 François-Adrien Boïeldieu rappresentò
La dame blanche destinata a diventare un modello
per l’opéra-comique ottocentesca: musica di facile
dieu e da Auber agli inizi del secolo fu contraddetto da Bizet quando mise mano a Carmen.
Sensualità e passione
non piacquero al pubblico
Carmen in una incisione di Gustav Dorè
percezione con abbondanza di marcette, danze,
canzonette, una trama leggera con lieto fine.
L’opéra-comique rappresentò così nell’Ottocento il versante “frivolo”, anche se non comico o
parodistico (ruolo ricoperto poi dall’operetta
d’Offenbach) in alternativa alle atmosfere serie
e tragiche della tragedie-lyrique o del grand-opéra
o dell’opéra-lyrique.
Lo spirito dell’opéra-comique anticipato da Boïel-
Nella sua versione originale l’opera ispirata a Mérimée era strutturata secondo l’alternanza musica e
prosa; solo successivamente – per la prima rappresentazione a Vienna del 23 ottobre 1875 - i dialoghi
parlati furono sostituiti da recitativi, ma oggi si possono vedere in scena entrambe le versioni.
La struttura, dunque, era quella dell’opéra-comique. L’atmosfera era tuttavia assai differente. E’ vero che in Carmen ci sono deliziosi momenti di leggerezza e di danza. E’ vero che Bizet usa ironia e
freschezza. E’ però anche vero che Carmen è fra le
donne più sensuali del teatro musicale, il suo carattere passionale e libero (una grande femminista) irretisce il debole Don Josè che per lei diserta e diventa fuorilegge. E’, infine, un’opera tragica nella
quale la protagonista muore pugnalata in scena,
una morte annunciata e affrontata dalla ragazza
con un coraggioso atto di sfida nei confronti del
proprio carnefice.
Il Teatro dell’Opéra-comique a Parigi era frequentato da famiglie borghesi in cerca di un divertimento sano, interessate ad un teatro di evasione. Il 3
marzo 1875 Carmen ebbe un effetto scioccante sulla
platea che non si aspettava colori così accesi, sensualità e illegalità, pugnalate e morti.
Per questo il pubblico fischiò l’opera, procurando al
povero Bizet l’ultima cocente delusione di una vita
artistica vissuta troppo rapidamente e spenta esattamente tre mesi dopo quel fiasco, il 6 giugno 1875.
Roberto Iovino
Danze e ritmi spagnoli in Carmen
La Habanera e le altre
«L
es danses espagnoles
n'existent qu'à Paris»,
questo il commento di
un deluso Gautier al rientro, in
Spagna, da un baile nacional che
nella fantasia del giovane poeta e
di un suo amico si era tinto dei
rutilanti colori della Cachucha, del
Bolero e di mille altre indiavolate
danze sensuali, dove la bellezza
della donna si ammanta di seducente carnalità e la vita si mescola fatalmente alla morte. Ma di
funebre si stagliarono agli occhi
dei due giovani solo due vecchi
danzatori con tanto di nacchere
«qui ne se consolaient pas entre
eux». L'uomo, nella feroce penna
del poeta, sembrava fremere
d'orrore alla sola idea che la sua
compagna
gli si potesse
avvicinare
con qualche
figurazione
di danza, e
gli occhi perennemente
bassi della
coppia sembravano celare ai due esecutori la loro ormai decrepita realtà. Un boléromacabre che si poneva a incommensurabile distanza dalle
trionfali esibizioni di Fanny Elssler, la stella austriaca tutta fuoco e dalla sua celebre Cachucha.
Dalla "danzatrice pagana", contrapposta all'eterea Maria Taglioni dallo stesso Gautier, egli
si veniva convincendo essersi
generata la vera Cachucha.
Ecco, dunque, toccato un punto
nodale: l'autenticità della danza
spagnola nel teatro e nell'opera
dell'Ottocento. A lungo si è discusso della trasposizione di forme della tradizione popolare,
della loro stilizzazione e di quan-
to la mescolanza dei generi sia alla base della couleur locale così ricercata non solo dal teatro del
XIX secolo.
L’ Habanera
E' indubbio che proprio il movimento delle braccia e l'atteggiarsi
del corpo contribuiscano a definire il temperamento di Carmen,
la cui aria di sortita coincide con
l'esotica Habanera. Tuttavia l'esecuzione ben poco richiama la forma originaria della Habanera,
danza nata a Cuba tra i ñañigos
(la gente di colore dei quartieri
bassi dell’Avana) dalla per una o
più coppie probabile fusione di
danze di origine africana con le
cadenze dei colonizzatori spagnoli. Un ritmo binario lento, che
consta di una breve introduzione, di due parti di 8 o 16 battute e
di un finale. Non ha passi obbligati, ma caratteristico è il Contoneo, la lenta e ritmica oscillazione
dei fianchi che richiama tutta la
sensualità delle popolazioni tropicali. Così se la musica rimanda
al El arreglito di Sebastián Yra-
dier, la Habanera di Carmen richiama la Escuela bolera che grande fortuna conobbe proprio nella
Francia dell'Ottocento e sulla quale si innestarono elementi della
Danse d'école. E Carmen, gitana di
razza e trasformatrice di quel tabacco che proprio da Cuba proveniva, si lancia in questa danza sensuale per ammaliare i presenti.
La Seguidilla
Analoga stilizzazione del folklore vale anche per la Seguidilla, che
sottolinea l'ambientazione nell'aria "Près de la porte de Séville" e per
il Polo, danza andalusa di origine
gitana che Bizet riprese da Cuerpo
Bueno di Manuel Garcia per il
preludio del quarto atto.
D’altronde, una lunga tradizione
aveva accompagnato la fortuna
della danza "alla spagnola", dai
canari e dalle cascarde dei trattati
di danza dei maestri italiani al
tempo della dominazione spagnola, alle entrate pittoresche dei
vari paesi nei balletti di corte, di
cui è esempio Le Bourgeois Gentilhomme di Lully e Molière
(1670). A quella stessa linea si ricollegano le danze nazionali delle ambascerie del Lago dei Cigni di
Petipa, Ivanov e Cajkovskij
(1895) e il graduale formarsi dello stereotipo che portò ad identificare l'Italia con la Tarantella, la
Scozia con la Giga, la Spagna con
il Bolero. Frutto dell'incontro della cultura francese con quella iberica, Carmen si presta a molteplici
letture anche nel balletto. Esse
possono oscillare dall'accentuazione del carattere francese nell'androgina protagonista dell'omonimo balletto di Roland Petit
(1949) ove Zizi Jeanmaire appare
con i capelli à la garçonne e l'Habanera è chiamata ad enfatizzare l'assolo di Don José, al colore tutto
spagnolo della Carmen di Antonio
Gades e Carlos Saura (1983) che
innesta brani di Flamenco sulla
partitura di Bizet e ove aleggia lo
spirito del Duende. Qui una selvaggia, animalesca Carmen, secondo Henri-François Rey, incarna il sentire di uomini che del sesso avvertono il lato oscuro e misterioso.
Claudia Celi
Carmen
8
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Il lavoro della sigaraia Carmen nella manifattura del tabacco
L’arte antica delle Torcedoras
C
uba è la patria del sigaro, questo non è
certo un segreto per
nessuno. Proprio a Cuba, sono nati infatti, ormai due secoli fa, quelli che sarebbero
poi passati alla storia come i
migliori sigari del mondo e
non a caso, proprio della capitale cubana, hanno preso il
loro nome: Avana, o più correttamente, Habanos.
Storicamente il percorso del
tabacco cubano verso il Vecchio Continente passava obbligatoriamente attraverso
la Spagna che, sino a quando
mantenne Cuba tra i propri
possedimenti
coloniali
(1895), risultava a tutti gli effetti monopolista di questo
prodotto. Difatti molti dei
racconti sul sigaro Avana
transitano per il Paese iberico, in primis l’indimenticabile
Carmen, l’opera di Bizet nata
appunto attorno alla metà
dell’800 e che vede come
protagonista una sigaraia,
arrotolatrice di sigari “Avana”. Perché Avana tra virgolette? Semplicemente perché
era la consuetudine di importare tabacco in foglie dall’isola caraibica, per poi arrotolarlo nelle Reali Manifatture di Siviglia, dove i sigari
erano chiamati “puros”.
All’epoca della novella di
Mérimée, ovvero alla metà
del XIX secolo, da alcuni decenni molti imprenditori
spagnoli (catalani e asturiani), tedeschi ed inglesi avevano impiantato produzioni
di alto livello nelle loro manifatture dell’Avana, intuendo con largo anticipo l’importanza commerciale del
concetto di Denominazione
d’Origine. Già agli albori del
secolo XX, Cuba ratificò un
accordo commerciale con la
Francia nel quale venivano
riconosciute e garantite le rispettive Denominazioni (sigari Habanos da una parte,
Champagne e Cognac dall’altra): un’interessante e sorprendente anticipazione del
lavoro delle DOC, DOP e
IGT che sta caratterizzando
questi ultimi anni l’Europa.
Prodotto naturale
Ma, tornando all’aspetto che
più cattura il nostro immaginario collettivo, vale a dire il
sigaro come oggetto di pia-
cere e di grande artigianato
nonché come parte integrante della cultura caraibica (ed
in particolar modo cubana),
vale la pena accennare brevemente al lungo percorso
che porta a generare quello
che, a tutti gli effetti, è oggi
uno dei più importanti prodotti presenti sui mercati di
tutto il mondo e, in particolar modo, uno dei pochissimi prodotti che possa a
tutt’oggi ancora fregiarsi
del titolo (purtroppo oggi
molto abusato) di prodotto
“naturale”.
150 lavorazioni
Le fasi della lavorazione del
magico cilindretto tabaccoso
sono innumerevoli (addirittura si parla di oltre 150), a
partire dalla preparazione
dei campi, rigorosamente a
mano, con il solo ausilio degli animali da soma e utilizzando concimi organici, sino
alla raccolta in più “passaggi” sulla pianta, foglia per
foglia, per raccoglierle alla
giusta maturazione, alle varie fasi di essiccamento, fermentazione, selezione, ecc.
Le foglie, dopo un periodo
di invecchiamento che va
dai sei mesi ai due anni (in
dipendenza della loro classificazione e delle rispettive
caratteristiche organolettiche), finalmente giungono
alla manifattura, dove si sublima il processo di grande
capacità manuale che caratterizza l’intero ciclo produttivo. E qui, chiaramente, dopo le fasi di preparazione
delle foglie e di nuova selezione, il ruolo di regine lo ri-
vestono indiscutibilmente le
incredibili torcedoras, le sigaraie, che, suddivise in ranghi
negli storici banconi delle
fabbriche, danno letteralmente forma ai sogni dei
grandi appassionati di tutto
il mondo. La magia della
creazione di un Habano partendo semplicemente da un
mazzetto di foglie di tabacco, ha chiaramente dell’incredibile. Solo chi ha avuto il
privilegio di poter accedere
alle prestigiose manifatture
cubane
(Partagas, H.Upmann, Romeo y Julieta, El Laguito, La
Corona, ecc) può capire la magia dei
profumi, del vociare,
dei gesti… insomma
di tutto ciò che sta
attorno a questo magico e delicato momento della creazione del sigaro cubano, dove l’arte del
torcedor è fondamentale per un prodotto
perfetto.
Le donne a Cuba
non sono sempre
state gradite in questi stabilimenti. La prima fabbrica tutta al femminile (oggi… mista) fu voluta da Fidel Castro
negli anni Settanta (El Laguito, dove nascono i mitici
Cohiba), a dimostrazione del
ruolo fondamentale rivestito
dalla mano d’opera femminile all’interno del mondo
“tabacalero” dell’isola. La
donna è comunque oggi
sempre più importante nel
mondo del sigaro a Cuba.
Non a caso le due principali
fabbriche dell’Avana sono
dirette da donne, Emila Tamayo a El Laguito, Hilda
Barò a Partagas, e non a caso
alcune delle fasi lavorative
continuano ad essere a loro
esclusivo appannaggio; ad
esempio la scostolatura delle
foglie e la prima selezione
“per classi”, in cui si distinguono per una maggior affidabilità e precisione. Proprio
da quest’ultimo passaggio,
fase in cui le donne tengono
appoggiate alle cosce le foglie intere di tabacco, è nata
la leggenda – da sfatare una
volta per tutte – che i sigari
cubani vengano arrotolati
“direttamente sulle cosce
delle sigaraie”. Niente di più
falso, come si può d’altra
parte anche facilmente intendere pensando più attentamente alla cosa, ma nulla
che infici il fascino storico
delle sigaraie cubane e di
quel prezioso oggetto di puro piacere che nasce dalla loro sapiente lavorazione.
Victor Aguilera
Esperto internazionale di sigari
Così nasce un sigaro
L
e fasi di arrotolamento del sigaro cubano sono innumerevoli anche se, per la
verità, ciascun torcedor e ciascuna torcedora applicano in maniera leggermente differente tecniche apprese nelle varie manifatture. I maestri, infatti, sono fondamentali nell’apprendere quest’arte e ciascuna fabbrica
ha, per lo più, una sua vera e
propria scuola, con metodi
che non sempre sono i medesimi. In generale, possiamo
dire che la base di partenza è il
banco del torcedor, con la dotazione della tavoletta, della chaveta (una specie di cutter gigante con il quale si tagliano le foglie), di un barattolino di colla
vegetale d’amido di mais, di
una ghigliottina per portare
alle giuste dimensioni il sigaro già arrotolato, nonché del
famoso morde, vale a dire lo
stampo delle varie “vitolas”, ossia i tipi di sigaro, che viene introdotto nella pressa per
mettere in forma il sigaro per una ventina di
minuti prima di essere ricoperto definitivamente con la foglia di “capa” che ne costituirà
il vero abito esterno.
Chiaramente, non possiamo dimenticare la
materia prima! Quindi un mazzo di foglie di
seco, uno di volado ed uno di ligero (le tre componenti del ripieno di un Habano), oltre a fo-
glie di capote (la sottofascia) e di capa (la foglia
esterna). A questo punto di stende generalmente una mezza foglia di capote e con le
mani si inizia a realizzare la combinazione
delle foglie che costituiranno il ripieno, ripiegandole su se stesse a mo’ di fisarmonica. Si
iniziano a stendere sul capote e si inizia ad arrotolare dal basso verso l’alto sino a che non si è ottenuto il primo bitorzoluto cilindretto, che
verrà poi tagliato a seconda delle
dimensioni del sigaro da realizzare e sarà messo in pressa nel morde
per alcune decine di minuti. Operazioni estremamente delicate, nelle quali l’arte e l’esperienza delle
torcedoras sono importantissime
per ottenere un prodotto perfetto,
che abbia la giusta ed omogenea
composizione, e quindi consistenza, così da permettere una
combustione ideale.
Una volta estratto dalle tavolette, verrà passata la capa a mano e applicata la perilla (la testa
arrotondata del sigaro) utilizzando una punta
di colla di amido. Il sigaro è pronto, ma sarà
fumabile solamente a partire dal quinto o sesto giorno dalla manifattura, in quanto dovrà
cedere molta della propria umidità residua.
V.A.
Si ringrazia la Casa del Habano di Fausto Fincato
per la gentile collaborazione.
Il
Carmen
Giornale dei Grandi Eventi
9
Strumento mediterraneo, simbolo di Spagna
Le nacchere: il ritmo sensuale della Carmen
«J
e vais danser en
votre honneur, et
vous verrez, seigneur, comment je fais
moi-même accompagner
ma danse …» e la bella
Carmen incomincia a
muovere i suoi passi
sensuali di fronte allo
sguardo rapito di Don
José. Siamo in pieno secondo atto dell’opera di
Bizet, nella locanda di
Lilias Pasta, covo di contrabbandieri, soldati e
gitani. La situazione è caliente: il compositore
francese sceglie di rispettare l’accento impudico,
quasi erotico che Prosper
Mérimée ha pensato per
questa scena, quando
nella versione originale
della sua novella vi fa
consumare su un letto
l’amore tra Carmen e
Don José. L’atmosfera
non è quella di una semplice osteria ma di una
casa gitana dove l’amore
si compra e si vende. E
nella partitura dell’opera, Bizet ci tiene a sottolineare che nel momento
in cui Carmen si appresta cantare, Don José la
devore des yeux, la “divora con gli occhi”. Appena intonato il celebre
gorgheggio cadenzato
(la, la, la…) il ritmo accelera, e con esso la voce
della zingara, accompagnata dal movimento
sensuale del corpo, ma
soprattutto dal battere
ritmato degli strumenti
che cela tra le dita e che
rendono il momento intenso e passionale.
Sono le nacchere, con il
loro suono cavo e cadenzato, a dare il tempo alla
danza di Carmen. Un
clac-clac che cala immediatamente il pubblico
nel
cuore della Spagna meridionale, in quell’Andalusia dai colori caldi che
fa da scenario all’opera.
Le castañuelas, le nacchere, sono un elemento tipico della tradizione
musicale del sud della
Spagna, dove accompagnano il Flamenco e altri
balli andalusi, aragonesi,
valenziani. C’è un’unica
altra regione nel Mediterraneo dove ad oggi le
nacchere sono diffuse
come in Spagna, ed è l’Italia centro-meridionale,
nella quale vengono utilizzate nelle tarantelle e
prendono anche il nome
di castagnette
timbro vuoto sono adatti
anche l’avorio e la ceramica. Esiste una versione
del libretto di Halévy e
Meilhac, l’originale messa in atto all’Opéra-Comique e particolarmente
fedele al testo di Mérimée, in cui la protagonista non usa le tipiche
nacchere di legno. Poco
prima di incominciare a
larmente intraprendente
farà vibrare per la sua
danza passionale.
cantare Carmen si guarda intorno in cerca delle
sue nacchere, e non trovandole si rivolge scherzosamente a Don José
chiedendogli se è stato
lui a rubarle «Où sont
mes castagnettes... qu'estce que j'ai fait de mes castagnettes? C'est toi qui me
les a prises, mes castagnettes? ». Don José, divertito, risponde di no, e a
quel punto la gitana solleva con fare deciso un
piatto di ceramica e lo
fracassa a terra esclamando: «ah! bah! et voilà
des castagnettes! ». Poi,
raccolti due frammenti
di coccio, introduce il
suo ballo: « Je vais danser
en votre honneur, et vous
verrez, seigneur, comment
je fais claquer ces morceaux
de faïence! (…)». I “morceaux de faïence”, vale a
dire i pezzi di ceramica,
saranno le nuove, originalissime nacchere che
questa Carmen partico-
ne di donne egiziane
suonatrici di tamburelli
e di κροτλα, crotali, il
nome greco delle nacchere. Agli antichi Greci
le nacchere arriveranno
già nella forma a conchiglia tramite la mediazione dei Fenici (sembra che
a questo popolo di grandi navigatori si debba
anche la diffusione della
tradizione in Andalusia).
Nel mondo classico greco-romano, il suono dei
crotali diventa caratteristico della danza dionisiaca e orgiastica, eseguita da etere-ballerine dette crotalistrie. Marziale ricorda il fascino di queste
danzatrici, che provenivano dall’africa settentrionale, dal vicino
oriente e, per l’appunto,
dall’Iberia. Nel medioevo l’uso delle nacchere si
diffonde tramite i menestrelli, fino a diventare
nel rinascimento molto
comune nelle feste (ne è
Un ritmo nei secoli
Di strumenti simili, costituiti da due oggetti a
percussione reciproca, si
trovano tracce già nell’Egitto del III millennio
a.C. Erodoto fa menzio-
attestato l’uso in occasione del matrimonio di
Cosimo II de’Medici, nel
1608). Negli ultimi tre secoli, accanto all’utilizzo
nelle danze popolari, le
nacchere entrano a far
parte del contesto musicale “ufficiale” e vengono elevate al rango di
strumento d’orchestra.
Georges Bizet non è il so-
Le Nacchere
Composte di due elementi uguali, incavati a
forma di conchiglia e legati tra loro all’estremità
per mezzo di un cordoncino, le nacchere fanno
parte della famiglia musicale degli idiofoni, cioè
degli strumenti in cui il
suono è prodotto dalla
vibrazione del corpo
stesso senza l’utilizzo di
corde o membrane. Nelle danze spagnole vengono il più delle volte
adoperate a coppie, una
per mano. La coppia tenuta nella mano destra,
più piccola di dimensioni, serve per eseguire i
vari disegni ritmici della
musica e viene designata
in spagnolo con la parola
hembra (femmina); quella
tenuta nella mano sinistra, necessaria a segnare
il ritmo fondamentale,
viene detta macho (maschio). Per la costruzione
di questo strumento viene
solitamente usato un legno
molto resistente, ma
per ottenere il
caratteristico
lo a farle comparire in
un’opera: accanto a lui
Verdi nel Trovatore, Wagner nel Tannhauser,
Strauss nel Salome. Nonostante il passare dei
secoli, il meccanismo che
fa suonare le nacchere è
rimasto immutato: si fissano gli strumenti ai pollici con il cordoncino e si
provoca la reciproca percussione dei due elementi con il rapido movimento delle altre dita.
Un’operazione semplice? Bizet non doveva essere di questo parere.
Scrive infatti in un’annotazione della partitura:
«La parte delle nacchere appartiene al ruolo di Carmen, ma se l'attrice incaricata non sa suonare questo
strumento, dovrà mimarne
i movimenti, e le nacchere
saranno suonate da un percussionista dell'orchestra».
Jacopo Matano
Carmen
10
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Carmen tra “femme fatale” e strega ammaliante
La donna “demoniaca” nella tradizione religiosa
A
l di là degli incantamenti musicali, a
tratti soavi e teneri,
oppure drammatici e tragici
della musica di Carmen,
esiste al centro dell’opera
una perturbante figura femminile. Nella novella di
Mérimèe, Don Josè baciando Carmen le dice : «Tu es
un diable» e Carmen risponde : «Oui». Nel libretto di Bizet, Don José riceve
da Carmen un “sortilegio”
tramite il profumato fiore
giallo di gaggia che la protagonista stessa gli lancia
strappandoselo dal corsetto. Come le streghe, indovine malefiche, Carmen
predice la morte di se stessa e di Don Josè tramite il
gioco delle carte. Le streghe erano processate e sottoposte a tortura e Carmen,
accusata da Zuniga, si dichiara pronta alla tortura
del fuoco per mostrare la
sua irremovibile volontà a
non confessare il reato.
Non solo, Don José chiama
reiteratamente
Carmen
«demonio». Dunque in
quanto donna “demoniaca”
Carmen si collega alla tradizione cristiana che ha stabilito un intimo legame tra
le donne disinibite ed il demonio. Il primo fatto ecclesiale importante in merito
alla stregoneria è il Canon
Episcopi (brevi istruzioni
date ai vescovi in materia
di superstizione pagana)
che per tutta l’età medioevale è stato considerato un
documento canonico del
Concilio di Ancyra (314).
E’ assai probabile, invece,
che facesse parte di un capitolare dell’Imperatore
Ludovico II (867). Burcardo, vescovo di Worms, riporta tale documento all’interno del suo Decretum.
In esso si afferma che la
potenza delle streghe non
può essere reale, perchè se
esistesse, essa, in quanto
diabolica, farebbe presumere la presenza di un’ altra forza oltre a quella divina. Fino al 1200, quindi, la
credenza nelle streghe veniva considerata solo su-
perstizione. Tuttavia, nel
1252, una bolla di Innocenzo IV suggeriva agli inquisitori di occuparsi di stregoneria quando c’era il sospetto di eresia. Nel secolo
successivo, papa Giovanni
XXII (1316–1334), equiparò la stregoneria all’eresia. Le prime persecuzioni
alle streghe presero il via in
zone isolate, alpine e pirenaiche, nelle quali più si
concentravano i movimenti
eretici. Notiamo che anche
Carmen appartiene ad un
gruppo etnico “segregato”,
quello degli zingari. E’ probabile che la stregoneria sia
derivata dalla emarginazione di culture montane, che
forse costituivano la comunità più legata alla naturalità ambientale, rispetto alla
cultura della città. E’ noto
che Nietzsche ha visto nella figura di Carmen l’emergere della “naturalità” nell’uomo. La figura della
strega nella cultura europea
è comunque persistita anche quando l’Inquisizione
ha smesso di mandarla al
rogo. Nell’immaginario
collettivo la strega era colei
che in virtù di un “patto”
con il diavolo, acquisiva ed
era capace di gestire potere
malefici, quali, o ancora il
diffondersi di pestilenze e
il verificarsi di catastrofi
naturali, la morte di bambini in tenera età. E’ la scopa
il mezzo tramite il quale la
strega raggiunge i luoghi
del Sabba, ritrovo di tutte le
forze del male, per incontrare il demonio. Carmen
afferma: «Chi vuole l’anima mia? ...è in vendita».
Come le streghe sono sedotte dal diavolo, così la loro “arma” principale è la
seduzione, la quale si realizza nella passione amorosa. Quella stessa passione
di cui rimane vittima Don
José. Carmen entra in scena proprio operando un
sortilegio di seduzione. Al
primo sorgere, la seduzione
appare come qualcosa di
inebriante, solo in seguito
si trasforma in “persecuzione” ed “ossessione” per co-
lui che ne è vittima. Don Josè vive entrambi i momenti della seduzione: l’estasi e la
persecuzione. I
processi alle streghe imperversarono in Europa fino al loro lento
declino nella seconda metà del
XVII secolo, per
estinguersi nel
XVIII secolo con
l’avvento dell’Illuminismo e l’instaurarsi
degli
Stati nazionali
che separarono il
potere religioso
da quello laico.
La strega si trasferisce dalla tradizione religiosa
a quella letteraria
tramite il mito
della femme – fatale. Anche a
quest’ultimo appartiene la
Carmen di Merimée, dalla
quale è stato tratto il libretto dell’opera di Bizet. Carmen, donna sensuale e magnetica, tramite il mezzo
della seduzione riesce ad
ammaliare, perfetta femme
– fatale, i sensi degli uomini, ma il suo è un amore “li-
bero”, che non conosce
vincoli e si appaga solo di
se stesso. «L’amore è un
uccello ribelle, che nessuno
può addomesticare, invano
lo si chiama, se gli và di rifiutare», afferma Carmen.
L’immagine della strega
sembra nascere proprio
dallo scollamento della seduzione femminile dal pro-
getto della fecondità e della
rigenerazione. Nell’immaginario collettivo, infatti, il
delitto più tipico delle streghe è l’infanticidio. Il coro
gioioso dei bambini, nella
Carmen, è, dunque, la riparazione di un lutto e di una
credenza molto antica.
Sil. Me.
La radiosa infelicità di Carmen
C
osì il direttore
d'orchestra Angelo Campori definì
l'anima di Carmen:
«Graziosa e triste, troppo
bella per essere soltanto incantevole». Bizet non
amava le bellezze fredde, neppure gli effetti
per sé stessi, i colori per
gli effetti, l'ambiente
suggestivo per sé stesso.
Era un musicista dalle
forti emozioni, anche se
presentate con finezza,
dalle «invenzioni piccanti
e gustose che accarezzano
l'orecchio e tuttavia toccano e commuovono il cuore»,
come
scriveva
Ciaikowskij alla von
Meck. E allora è chiaro:
una bellezza che scuote e
commuove non può
mancare di tristezza, sia
per la commozione che
procura, sia perché la vera bellezza si identifica
con la nostalgia. E' così.
Già l'apertura dell'opera,
in la maggiore, fa venire i
brividi a chi rifletta un
tantino oltre lo sfavillio
del bellissimo strumentale, dell'efficace allegro
motivo. Anche i bambini, le voci bianche, loro
non lo sanno di farci
quasi male (anche se
cantano intonati), ma è la
verità: non tanto per la
musica in sé, quanto per
quello che significa nel
dramma. Tutta la musica
di Carmen non è cupa,
pesante verista, o carica
di simboli wagneriani,
piuttosto è jolie, gentile,
profumata: eppure suggerisce una profonda, radiosa ma pungente infelicità. Non si può dire
neppure che Bizet è troppo descrittivo, o meglio,
se descrive è così abile
che evita di proclamare
«Io descrivo!». Canta
piuttosto, racconta, dipinge con sicuri tocchi di
pennello situazioni attraenti, anche scabrose e
sempre senza banalità o
volgarità. Don José e
Carmen, hanno bisogno
di sognare un po' prima
di morire del loro sogno
che, al risveglio, li metterà uno contro l'altro».
Fr. Pi.
Il
Carmen
Giornale dei Grandi Eventi
11
La passione di Bizet per l’opera nelle sue lettere
Nietzsche scopre Carmen
A
Genova, dal 1880
al 1884 il Teatro
Carlo Felice restò
chiuso per una vertenza
che contrappose i palchettisti al Comune. Della crisi del massimo teatro cittadino approfittarono naturalmente gli altri palcoscenici privati, ovvero il
Politeama Genovese e il
Paganini.
Il 26 novembre 1881 il Paganini mise, dunque, in
scena in prima cittadina
Carmen di Bizet. Fra gli
spettatori, quella sera, c’era il filosofo e scrittore tedesco Friedrich Nietzsche.
Nietzsche era un frequentatore di Genova e della
Riviera. Amava il mare, il
profumo delle colline, trovava una vivificante tran-
quillità seduto su uno scoglio in solitudine; ma gli
piaceva frequentare anche
i teatri, ascoltare musica,
senza alcun preconcetto
d’autore o di stile.
Acceso wagneriano
Com’è noto Nietzsche era
stato un acceso wagneriano, totalmente conquistato dalla personalità artistica e umana del grande Richard. Ma, deluso dall’atteggiamento morale ed
etico, riflessivo e antistintivo del teatro di Wagner,
se n’era poi gradualmente
allontanato per trasformarsi in un critico estremamente severo e implacabile del suo stile e della
sua poetica.
A casa del librettista Halévy
Duello al pianoforte
tra Bizet e Liszt
U
na sera dell'anno 1861, lo scrittore francese Ludovic
Halévy, autore con Meilhac del libretto di Carmen,
riunì nella sua casa parigina, alcuni intimi amici e
colleghi tra i quali figuravano il grande pianista e compositore ungherese Franz Liszt e il giovane Georges Bizet, che
era all'epoca appena tornato dall'Italia.
Dopo cena, gli invitati passarono nello studio per gustare
caffè e sigari. Liszt si mise al pianoforte eseguendo per gli
amici una delle sue recenti composizioni, come al solito irta di difficoltà e di passaggi arditissimi. In un crescendo
vertiginoso Liszt fa esplodere gli accordi finali della sonata
in una serie di pirotecnici, virtuosistici passaggi, scatenando l'applauso entusiastico dei presenti che si congratularono per la maestria con la quale aveva eseguito il difficile
brano senza la minima sbavatura. «S i- rispose Liszt- questo pezzo è difficile, orribilmente difficile e io non conosco in Europa che due pianisti capaci di eseguirlo: Hans von Bılov ed io».
Halévy, allora, si rivolse al giovane Bizet, del quale aveva
sentito lodare la prodigiosa memoria, chiedendogli se
avesse notato uno dei passaggi che lo avevano colpito, accennandone nel frattempo al pianoforte il tema con qualche accordo. Bizet accolse l'invito e sedutosi alla tastiera,
suonò completamente a memoria il frammento. Liszt, stupefatto e affascinato dalla strabiliante facoltà memonica del
giovane, lo interruppe e gli pose sotto gli occhi il manoscritto della sua composizione, invitandolo ad eseguire l'intero brano. In mezzo allo sbalordimento generale, Bizet
suonò senza errori tutto il pezzo, con una verve e un'audacia paragonabili a quelle dell'autore, se non superiori. I presenti scoppiano in nuovi, più entusiastici applausi.
Liszt, calmata l'emozione generale, si avvicinò a Bizet ed afferrandogli la mano gli disse: «Mio giovane amico, io credevo
non vi fossero che due soli capaci di lottare vittoriosamente contro le difficoltà di cui mi prese vaghezza rendere irto questo pezzo; mi ero ingannato, siamo invece in tre e, debbo aggiungere, per
voler esser giusto, che il più giovane dei tre è forse il più audace e
il più brillante».
A. C.
L’incontro con l’opera di
Bizet, per la prima volta
ascoltata dal filosofo proprio a Genova, si rivelò
fondamentale.
In Carmen Nietzsche individuò il prototipo dell’opera mediterranea, antiwagneriana.
E’ stato, del resto, sostenuto da molti, che fra i
meriti indiscutibili di Bizet è da annoverarsi proprio la capacità di offrire
un prodotto assolutamente autonomo e originale,
distaccato non solo da
Wagner, ma anche da
Verdi, ovvero dai due
punti di riferimento fondamentali del teatro dell’epoca.
Del suo ascolto di Carmen
Nietzsche parlò in varie
lettere inviate all’amico
compositore Peter Gast,
pseudonimo di Heinrich
Köselitz: «Urrà! Amico! –
si legge in una lettera del
28 novembre 1881 – Ancora una volta ho conosciuto
qualcosa di bello: un’opera di
Georges Bizet (chi è mai costui?): Carmen. Si fa ascoltare come una novella di Merimée, spiritosa, vigorosa,
qua e là commovente. Un vero talento francese dell’opera
comica, per nulla disorientato da Wagner: un vero scolaro di Hector Berlioz; cosa che
io avevo ritenuto impossibile! A quel che pare i francesi
in quanto a musica drammatica sono su una migliore
strada dei tedeschi; essi hanno su questi la supremazia in
un punto essenziale: in loro
la passione non è tirata per i
capelli (come in Wagner)…».
E qualche giorno dopo,
tornò sull’argomento: «Il
fatto che Bizet sia morto è
per me un grave colpo. Ho
sentito la Carmen una seconda volta e di nuovo ne ho
riportato l’impressione di
una novella di prim’ordine,
come di un Merimée. Un’anima così passionale eppure
così piena di grazia! Per me
quest’opera vale un viaggio
in Spagna, un’opera altamente meridionale, non rida
amico mio, non è facile che io
col mio gusto mi sbagli così
radicalmente».
Infine, l’8 dicembre ag-
giungeva:
«Molto in
ritardo la
mia memoria (che alcune volte è
ostruita)
scopre che
esiste veramente di
Merimée
una novella
intitolata
Carmen e
che lo schema e i concetti e anche la coerenza tragica di quest’artista sopravvivono nell’opera…».
Nietzsche individuò dunque in Carmen e nel suo
colorismo passionale ma
anche ricco di sfumature e
di poesia, l’alternativa a
Wagner. Pesò certamente
nel suo giudizio l’astio ormai nutrito per l’amico di
un tempo. Basta rileggere
cosa scrisse a Overbeck il
22 febbraio 1883, a pochi
giorni dalla morte di Wagner: «Wagner era di gran
lunga la persona più ricca
che io abbia mai conosciuto e
in tal senso da sei anni ho
molto sofferto di questa man-
canza. Ma fra noi due c’era
qualcosa, come un’offesa
mortale; e sarebbero potute
succedere cose terribili se
fosse vissuto più a lungo…».
Un amore per la Carmen
quello di Nietzsche che
durò tutta la vita. Nel
maggio 1888 da Torino
scriveva: «Ho udito ieri –
lo credereste ? – per la ventesima volta il capolavoro di
Bizet. Ancora una volta persistetti in un soave raccoglimento, ancora una volta
non fuggii Questa vittoria
sulla mia impazienza mi
sorprende. Come rende perfetti una tale opera!».
Roberto Iovino
Un insolito Nietzsche
Filosofo e compositore
F
ilosofo e pensatore di
forte personalità, travagliato interiormente, anima inquieta, condannato alla pazzia,
Friedrich Nietzsche, come è noto, ha costituito
un motivo di
ispirazione per
molti compositori. Si pensi, per rimanere nell’ambito della cultura
tedesca, a Richard Strauss o a
Gustav Mahler
od a Arnold
Schöenberg.
Meno conosciuta è invece
l’attività creativa in campo
musicale dello stesso
Nietzsche. Da bambino
aveva studiato il pianoforte
e, pur mancandogli un organico studio dell’armonia
e della composizione, ci ci-
mentò con forme complesse e articolate, guidato, sulla scia dei propri credi filosofici, dall’istinto. Fra le
sue composizioni si ricordano il Weihnachtsoratorioum, il poema sinfonico
Ermanarich, Herbstlich sonnige Tahe per quartetto vocale e pianoforte e qualche
brano per pianoforte a
quattro mani.
R. I.
Carmen
12
Il
Giornale dei Grandi Eventi
I librettisti
Ludovic Halévy
I
ndissolubilmente legato al librettista Meilhac e al compositore Offenbach, Ludovic Halévy, nato a
Parigi il 1 gennaio 1834, rappresenta
uno scrittore tra i più originali e innovativi nel genere dell’operetta.
Grazie al padre Léon (1802-1883),
autore noto al pubblico parigino e allo zio Fromental, l’opera costituiva
già nell’infanzia di Ludovic un elemento centrale. Incaricato, poi, presso il Ministero degli
Interni e poi nel Ministero per l’Algeria
svolse i suoi compiti
con misura e ponderatezza, riservando
uno speciale riguardo per il valore della
famiglia, quasi in
contrasto con le abitudini dei personaggi
che scaturivano dalla
sua fantasia. Con
Meilhac fornì per anni commedie e trame
ai teatri e ai compositori francesi, in particolare a Offenbach, componendo per quest’ultimo
i libretti di operette come La belle
Hélène (1864), Barbe-Bleu (1866), La
Périchole (1868) e Les Brigands (1869),
oltre a Orphée aux Enfers (1858), scritta in collaborazione con Crémieux, e
Bataclan. Con garbo, brio e sottili tocchi di audace ironia la società parigina del Secondo Impero si svelava di
volta in volta nella sua frivolezza (La
Vie parisienne, 1866, scritta con
Meilhac) o nella misera condizione
della sua aristocrazia (Le Chateau à
Toto 1868), in opere in cui la satira è
sempre in gioco con indulgenza e
bontà.
Nel 1869 venne meno la collaborazione con Offenbach. Nei lavori che
seguirono, Halévy e Meilhac abbandonarono l’intento satirico, pur continuando a ritrarre
con sensualità e audacia i costumi dell’epoca. Capolavoro di
questo periodo fu
Frou-Frou (1869), un
ragionamento sulla
futilità della vita e
sulle grandi virtù
femminili.
Halévy però pensava
ad un nuovo teatro,
sentiva la necessità di
affrontare i grandi temi sociali, a differenza
dell’amico
Meilhac forte di altri sentimenti sulla
vita e sul teatro; conclusa la loro collaborazione Halévy diede alle stampe Abbé Constantin (1882). Alla fine
degli anni Settanta, il suo salotto parigino era frequentato da tutti gli
esponenti del mondo artistico e letterario e nel 1884 divenne membro
dell’Accademia di Francia. Morì a
Parigi l’8 maggio del 1908.
Henri Meilhac
I
l librettista francese Henri
Meilhac, nato a Parigi il 21 gennaio 1831, prima del consenso ottenuto con Garde, toi, je me garde,
commedia in un atto presentata al
Palais Royal di Parigi nel 1855, era
impiegato in una libreria e dal 1852
collaborava sotto lo pseudonimo di
Thalin al Journal pour rire con disegni
e scritti satirici. Da quel successo, il
genere del vaudeville, allora molto in
voga, lo occupò freneticamente e dal 1855 al
1861 compose ben tredici commedie.
Ma la produzione più
significativa e memorabile legata al nome
di Meilhac risale agli
anni di lavoro a fianco
di
Ludovic
Halévy, con cui collaborò per vent’anni
dal 1861 al 1881, soprattutto ai libretti
musicati da Offenbach, per il quale i due
scrissero tra l’altro opere buffe come
La Belle Hélène (1864) e Barbe-Bleu
(1866), La Granduchessa di Gérolstein
(1867), La Périchole (1868), Les Brigands
(1869), Le Petit Duc (1878) o commedie
come Fanne Lear (1868), Frou-Frou
(1869), Tricoche et Cacolet (1872).
Due personalità profondamente diverse, quelle di Meilhac e Halévy, in
alcuni aspetti contrapposte, ma sicu-
ramente complementari: l’arte del
boulevardier e della continua parodia
dei costumi in Meilhac e un’acuta
sensibilità verso i grandi temi politici e sociali in Halévy.
Meilhac compose anche libretti per
suo conto, fra i quali quello di Manon
(1884) per Massenet, e collaborò con
Millaud (Le Mari de Babette, 1882,
Santarellina, 1883), Gauderaux (Pépa,
1864), Delavigne e Gille.
Non mancano nel
repertorio
di
Meilhac lavori impegnativi e sofisticati come Le Petit-fils
de Mascarille (1859),
Decoré (1888) e Grosse Fortune (1896),
opere che caratterizzano l’autore come
particolare rappresentatore – ma anche protagonista –
della “Belle époque”
e della vita parigina.
Solo o in collaborazione, si conta che abbia firmato 115
lavori dei più diversi generi. Il 6
aprile 1888 fu nominato membro
dell’Accademia di Francia.
Nel maggio del 1897, all’età di
66 anni, Hénri Meilhac fu colpito
da un’emiplegia che dopo averlo
paralizzato lo condusse in breve
alla morte, avvenuta a Parigi il 6
luglio.
Prosper Merimée, autore della novella
Un funzionario statale
prestato alla letteratura
U
omo di grande
cultura, parigino doc nato nel
1803, Prosper Mérimée
si laureò in giurisprudenza superando in
breve tempo gli esami
d’avvocato e coltivando nel frattempo la passione ereditata dal padre per la pittura e per
la letteratura. Grazie all’amicizia con Stendhal
e Ampère poté incontrare nel salotto Stapfer
gli uomini di cultura
più rilevanti del suo
tempo: Viollet-le-Duc,
Delécluze, Victor Coussin, Saint-Beuve e Girardin.
Impiegato presso il Ministero del Commercio,
pubblicò nel 1825 l’ope-
ra Le Théâtre de Clara
Gazul, comédienne espagnole, una raccolta di
cinque commedie attribuite ad una fantomatica attrice spagnola liberale e spregiudicata e
nel 1827 La Guzla (anagramma di Gazul), una
serie di ballate e canti
popolari che l’autore
faceva credere fossero
stati trascritti da un italiano di ritorno dall’Illiria. Il successo ottenuto
da Mérimée fu tale che
persino Puskin tradusse qualcuna di queste
canzoni in russo.
Dopo il successo ottenuto con il romanzo
storico Chronique du règne de Charles IX e la
novella Mateo Falcone
(1829), grazie alla protezione della famiglia
de Broglie raggiunse la
carica di capo di Gabinetto del conte d’Argout presso il Ministero
della Marina, passando
poi al Commercio e agli
Interni. Nel 1833 Mérimée fu nominato
ispettore generale dei
monumenti storici.
Risalgono a questo periodo una serie di novelle, fra cui Colomba
(1840), la storia di una
vendetta in Corsica. In
seguito ad una serie di
impegnativi viaggi di
lavoro, iniziò anche lo
studio della cultura
russa con le traduzioni
di Puskin e Gogol e ancora oggi Mérimée è
considerato il primo
ad aver introdotto in
Francia la
letteratura
russa. Negli stessi
anni scrisse Carmen
(1845), alla
cui fama
contribuì
l’opera di
Bizet.
Profondamente legato
alla famiglia imperiale,
divenne all’epoca del
Secondo Impero quasi
uno scrittore ufficiale
di corte. Psicologicamente distrutto dalla
disfatta di Sedan, Mérimée morì a Cannes il
23 settembre 1870 all’età di 67 anni. Molti
suoi lavori, fra cui le
Lettres à une inconnue
(1873) furono pubblicati postumi.
Pagina a cura di
Michela Marini
Il
Carmen
Giornale dei Grandi Eventi
13
L’autore
Il geniale e sfortunato
Georges Bizet
A
ncora bambino,
Georges Bizet,
nato a Parigi nel
1838, acquisì i primi elementi di musica dal padre Adolfo, buon maestro di canto e compositore, e dalla madre
Aimée Delsarte, di origine spagnola, sorella di
una celebre pianista. All’età di dieci anni entrò
in conservatorio, studiando con grandi musicisti quali Marmontel,
Zimmerman, Gounod, e
Jacques-François
Halévy, di cui più tardi
sposò la figlia. Ben presto il proprio talento gli
permise di raggiungere
mete come il primo posto in un concorso bandito da Offenbach nel 1856
e il secondo posto al
“Prix de Rome” nel 1857.
Già noto negli ambienti
musicali parigini, grazie
anche alla Sinfonia in do
maggiore composta a 17
anni nel 1855, Bizet si
trasferì a Roma dal 1857
al 1860, soggiornando
anche a Napoli e in altre
città italiane e lavorando
nel 1858/59 al Don Procopio, opera tratta da un
libro di Cambiaggio.
Negli stessi anni comparvero i primi attacchi
di un male alla gola che
lo accompagnò per tutta
la vita provocandogli,
inoltre, profonde crisi
depressive. Tanti progetti furono abbandonati, alcune opere già compiute distrutte (La Guzla
de l’Emir, Ivan IV, Grisélidis) e i dubbi sulle proprie capacità lo tormentarono continuamente
anche perché mai una
sua opera era sopravvissuta più di una stagione.
Nel 1860 tornò a Parigi
per assistere la madre
gravemente malata. In
questo periodo compose
diverse opere, come Les
Pêcheurs des Perles (I Pescatori di Perle, 1863) e La
Jolie Fille de Perth (La Bella Fanciulla di Perth,
1867), presto attaccate
duramente dalla critica:
le accuse denunciavano
un eccessivo “verdismo” e “wagnerismo”.
Nel 1868, dopo una violenta crisi, portò a termine Roma, una suite sinfonica iniziata nel periodo
del soggiorno italiano.
Dopo un breve periodo
di servizio nella Guardia
Nazionale, in occasione
della guerra francoprussiana, Bizet compose Djamileh (1872), cui
seguirono nuove accuse
di “wagnerismo”, che in
parte determinarono il
grave insuccesso dell’opera. Nello stesso anno
apparvero anche le musiche di scena per L’Arlesienne di Daudet. Nell’estate 1874, dopo alcune
interruzioni, Bizet terminò le 1200 pagine di
partitura di Carmen, che
i
librettisti
Henri
Meilhac
e
Ludovic
Halévy avevano tratto
dall’omonima novella di
Mérimée. L’opera andò
in scena all’Opéra-Comique di Parigi nel 1875,
suscitando una pessima
accoglienza della critica.
Ritiratosi da Parigi nella
vicina Bougival, Bizet
morì il 3 giugno 1875 e
non fu esclusa l’ipotesi
di un suicidio. Sei mesi
dopo, il pubblico di
Vienna decretò per Carmen
un
clamoroso
trionfo.
Luca Pesante
Il Paese che in realtà Bizet mai visitò
La Spagna, terra di ispirazione musicale
A
scoltando in Carmen la Seguidilla
o l’Habanera, così squisitamente spagnole nello spirito e nel
colore, si può pensare a
un soggiorno di Bizet
nella penisola iberica a
respirare a pieni polmoni il folclore che, straordinariamente ricco di
umori e di sapori, nasce
da una sintesi di elementi molti diversi, cristiani ed arabi.
In realtà Bizet non oltrepassò mai i Pirenei, la
sua è una Spagna immaginaria; verosimile certo, ma totalmente inventata.
Nell’arco della storia
della musica, la Spagna
ha spesso influenzato la
cultura francese e non
solo quella, anche se si
deve piuttosto parlare
di “prestiti” reciproci.
Risalendo a un lontano
passato, i trovatori, i
cantautori medioevali
che con le loro liriche
musicali celebrarono la
cultura del castello, fecero sicuramente tesoro
di esperienze arabe provenienti appunto dall’area iberica. Da lì, del resto, arrivo il Rebab, progenitore arabo del nostro violino.
Ma è soprattutto fra Ottocento e Novecento che
i rapporti si fecero stretti.
Compositori spagnoli
come Albeniz, Granados, De Falla soggiornarono a lungo a Parigi, a
fine Ottocento divenuta
l’incontrastata capitale
culturale europea. Lì De
Falla, ad esempio, conobbe tutta i musicisti
francesi dell’epoca, collaborò con Picasso,
scrisse per i Balletti russi di Diaghilev. In quel
contesto la cultura francese guardò alla Spagna
con evidente interesse.
Emanuel Chabrier compose la colorita rapsodia
orchestrale
Espana,
Eduard Lalo La Symphonie espagnole. E poi toccò
a Debussy con Iberia e
con varie liriche da camera. E, soprattutto,
guardò alla Spagna Ravel: si pensi alla Rapsodia spagnola e, specialmente, al Bolero che ri-
mane uno
dei capolavori assoluti del
sinfonismo novecentesco,
saggio
mirabile
di orchestrazione.
Merita,
ancora in
ambito
teatrale,
una citazione, lo
splendido
Don Chisciotte di
Massenet.
Il simpatico eroe di
Cervantes, del resto,
può vantare una presenza davvero massiccia
nel teatro europeo a partire dal Seicento per arrivare al Novecento.
Possiamo ricordare le
opere di Anfossi, di Caldara, di Salieri. E, risa-
lendo l’Ottocento, l’opera di Mendelssohn oppure il balletto di
Minkus o, ancora, il
poema sinfonico di Richard Strauss.
Ma rimanendo a un discorso spagnolo più generale, vale la pena ricordare l’attenzione della liederistica per il colore iberico: gli Spanische
Lieberslieder di Schumann e gli Spanisches
Liederbuch di Hugo
Wolf.
Infine, per approdare ai
giorni scorsi, il compositore tedesco Hans Werner Henze che ha da poco festeggiato i suoi 80
anni, ha inserito in una
delle sue opere teatrali
più recenti, Venus und
Adonis, sette interludi
strumentali, sette Boleri
che in un acceso colorismo rileggono naturalmente in un’ottica moderna l’atmosfera folclorica iberica.
Roberto Iovino
Carmen
14
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Viaggio nei luoghi di Carmen
La splendida Siviglia,
città senza mezzi toni
A
Spagna caliente e
passionale di Mérimée e Bizet non
poteva che trovare la sua
ambientazione nella città
di Siviglia. Nella capitale
dell'Andalusia, infatti, tutto, dalle passioni ai sentimenti, dalla vita quotidiana alla gastronomia, è vissuto al massimo, senza risparmio, senza mezzi toni.
Lo si percepisce appena
giunti in città, anzi prima.
Già dal treno superveloce
che in appena due ore e
mezzo ed al prezzo di una
settantina di euro in classe
turistica, attraversando mezza Spagna, collega Madrid
con questa città, che con i
suoi oltre 700mila abitanti è
la quarta realtà del paese.
Appena usciti dalla stazione o dall'aeroporto, la cosa
che colpisce è una luce diversa, forte, accecante, capace di esaltare i colori. Il
clima torrido d'estate e
temperato d'inverno, riempie l'aria del profumo di
fioriture pressoché perenni. Le case, i palazzi hanno
tinte forti: il rosso sangue
di toro contrasta con gli
ocra accesi, con i blu delle
maioliche, con i bianchi abbaglianti delle costruzioni
minori, la cui monocromia
è spezzata dal nero delle
cancellate di ferro battuto
che si rincorrono a limitare
chiostri o piccoli cortili.
L'architettura è fortemente
influenzata dalle varie dominazioni che si sono susseguite e la topografia conserva essenzialmente il carattere moresco, con strade
strette e tortuose, vicoli ciechi, piazzette.
La città si è sviluppata lun-
go il corso del fiume Guadalquivir, che attraversa la
città da nord a sud ed è navigabile fino alla foce di
Sanlúcar de Barameda.
Proprio la possibilità di essere il principale porto fluviale del paese contribuì a
fare la fortuna di Siviglia,
soprattutto dopo la scoperta delle "Indie". Le navi che
giungevano dal Nuovo
Mondo attendevano in
mare la corrente giusta per
risalire il fiume Guadalquivir con i loro carichi di ricchezze, come l'oro e le preziosissime spezie che, una
La Torre de Oro
volta scaricati, venivano
portati negli edifici attigui
alla Torre de Oro (il cui nome è dovuto al rivestimento, ormai scomparso, di
piastrelle dorate) ed il tabacco proveniente da Cuba
instradato alla manifattura
per la lavorazione. Una curiosità: per risalire il fiume
le navi gettavano in acqua i
carichi superflui, compresa
spesso parte delle coperture di splendido mogano,
legno che veniva raccolto a
valle presso la città di
Sanlúcar de Barameda, do-
La fabbrica di tabacco, ora Università
ve sorse una fiorente lavorazione di mobili proprio
di mogano.
La fabbrica del tabacco
La manifattura del tabacco, dicevamo. E' qui che è
ambientato il primo atto
dell'opera di Bizet, Carmen.
In realtà il nome della protagonista dovrebbe essere
Maria Carmen, per l'usanza
spagnola di far precedere il
nome della Vergine ai suoi
titoli. Un nome importante
quello di Maria del Carmelo, tanto che la sua festa il 16
luglio è vissuta in tutta la
cattolicissima quasi come
una ricorrenza nazionale.
Dal centro storico-culturale della città, che è il quartiere ebraico di Santa Cruz,
per andare verso l'Università che ora occupa l'edificio della manifattura del
tabacco, si percorrono dedali di stradine con cortili e
patii abbelliti da fiori rigogliosi. Si incontra il grande
complesso della Cattedrale,
costruita sui resti della Moschea Maggiore abbattuta
nel XV secolo, che con le
sue cinque navate in stile
gotico divenne il monumento religioso più grande
del mondo cristiano. L'opera fu portata a termine
nel 1506 (anno in cui a Roma si poneva la prima pietra dell'attuale Basilica di
San Pietro). All'interno,
nella Cappella della Vergine de Antigua, si trova uno
dei presunti sepolcri di
Crisoforo Colombo. Accanto alla Cattedrale, il Patio degli Aranci e la Giralda,
ex minareto, ora il monumento più singolare della
città.
Basta attraversare la piazza
che ci si trova di fronte alla
Porta del Leone, attraverso
la quale si accede all'Alcazar, la residenza reale più
grande d'Europa. Qui, prima della fortezza del IX secolo, vi furono l'acropoli
romana, una basilica paleocristiana e edifici visigoti. Straordinario il Salone
degli Ambasciatori con la
sua grande cupola di filigrana dorata. L'eredità araba dei giardini dell'Alcazar
La Plaza de Toros de la Real maestranza
ci divide dall'imponente
vecchia Manifattura del tabacco, ora – come abbiamo
detto – sede dell'Università,
un edificio del XVIII secolo
disegnato da Sebastian
Van der Borcht, che per superficie è la maggiore costruzione pubblica di Spagna dopo l'Escorial. Splendida è la facciata su via San
Fernando. Da qui si accede
al vestibolo con la doppia,
superba scalinata ed al Patio dell'Orologio. La fabbrica
rimase in funzione fino alla
fine del XIX secolo. Nel
1895, infatti, la Spagna perse Cuba, suo ultimo possedimento americano, e si interruppe così l'approvvigionamento di tabacco dall'Arcipelago delle Antille.
A Sud-Est dell'Università,
da non perdere i Giardini di
Maria Luisa con la grande
Plaza de España di forma semicircolare. Lungo la semiellisse, un fascione decorato con tanti quadri in
splendide maioliche ripercorre la storia di ogni singola provincia spagnola.
Fu il luogo di accoglienza
della grande Esposizione
Iberoamericana del 1929 e
nel grande e curatissimo
parco su cui si affaccia vi
sono quelli che furono gli
splendidi padiglioni delle
Esposizioni, anch'essi decorati da maioliche policrome.
Il quartiere delle taverne
Nell'opera passa un mese
e, nel secondo atto, troviamo Carmen nella taverna
di Lillas Pastia. Un riferimento vero non c'è, ma
presumibilmente la protagonista avrebbe frequentato la zona della Via Mateos
Gagos, sempre nel quartiere di Santa Cruz, piena di
bar ed osterie molto animate, tra cui famoso è il
Bar Giralda, ricavato in alcuni antichi bagni arabi,
dove si può gustare una eccellente varietà di "tapas",
oppure il popolarisismo
Quartiere di San Bartolomé.
Questa zona, a cui si accede dalla Porta della Carne (il
nome deriva da un antico
mattatoio), conserva immutato tutto il fascino dell'autentica Sivilla, con la
trama urbana che più di
ogni altro luogo ha mantenuto gli schemi arabi, pur
combinandosi con l'architettura civile e cattolica dei
secoli XVII e seguenti. Dopo aver incontrato splendidi esempi di gotico, mudejar e stile rinascimentale,
come la Casa di Pilato, il Palazzo Mañara, dove visse
Miguel de Mañara che
ispirò il personaggio di
don Giovanni, si arriva ancora nella Piazza dell'Alfalfa, zona rinomatissima per
le buone "tapas".
La Plaza de Toros
Lungo il fiume Guadalquivir sorge la famosa Plaza de
Toros de la Real Maestranza.
Siamo al quarto atto di Carmen. Il dramma passionale
si avvicina. Il quartiere è
quello dell'Arenal, quello
che al mondo è più legato
all'arte della tauromachia.
L'edificio circolare della
Plaza de Toros con la famosa Porta del Principe e la
superba galleria di archi a
mezza volta, risale al XVIII
secolo. Di fronte, nella
piazza, da non molti anni
sorge la statua dedicata a
Carmen la Cigarrera (Carmen la sigaraia) che prorpio in questo luogo, secondo il racconto di Mérimée e
Bizet, fu pugnalata per
amore da José, mentre il torero Escamillo trionfava
nell'arena. Carmen cade a
terra, il dramma si è compiuto. Lo spirito caliente di
Siviglia ha travolto ancora
una volta i protagonisti.
Andrea Marini
Il
Carmen
Giornale dei Grandi Eventi
15
La protagonista in una serie di incisioni di Pablo Picasso
Un grande illustratore per Carmen
D
a quando Carmen è
venuta al mondo
non ha mai finito di
dare scandalo: la sua figura, come per un oscuro sortilegio di una zingara, si è
magicamente distaccata
dalla penna che la creò più
di due secoli fa trasformandola in un disegno vivente
dalle ambigue e seducenti
fattezze. Questo processo
di creazione da inanimato
ad animato ha un ben valido erede nel ritratto di Dorian Gray (1890) del geniale Oscar Wilde, in cui il
motivo del quadro che si
anima per mostrare l’altro
sé, avvolto com’è da una
mollezza tutta decadente,
non riesce ad acquistare
quella carica vitale che invece in Carmen risulta incontenibile.
La personalità spietata e
amorale di questa gitana ha
sedotto, sin dal suo apparire, milioni di uomini e
donne a tal punto che lo
stesso Nietzsche affermò,
dopo aver riascoltato ancora una volta l’opera di
Bizet, che la gitana: «Si
avvicina leggera, morbida,
con cortesia…La sua
serenità è africana…la sua
felicità è breve, improvvisa, senza remissione…L’amore come fatum, come fatalità, cinico
innocente, crudele». Carmen, insomma, come paradigma della libertà senza
regole, della donna per eccellenza che porta con se le
voluttà del corpo dentro ad
un’atmosfera esotica di
Pablo Picasso - Danza nell’arena
feste e corride, in un continuo e sensuale contrasto
tra i piaceri della vita e le
seduzioni della morte.
L’immagine di questa
doppia Carmen bella, seducente e allegra fuori, ep-
Pablo Picasso
Torero Ecsamillo
pure portatrice aberrazione
e rovina non può non
richiamare alla mente la
pittura visionaria di Goya,
in cui bello e brutto si
mescolano generando una
galleria di mostruose facce
deformi che si alternano ai
maliziosi e seducenti
sguardi delle belle Majas.
Soggetto prediletto
Molti furono gli artisti che,
sedotti dalla fisicità e dalla
carica vitale del personaggio, vollero indagare nel
cuore della più femminea
tra le donne.
Il più illustre fu senza dubbio, Pablo Picasso (18811973) che nel 1949 pro-
dusse una serie di incisioni
raffiguranti il racconto di
Mérimée.
I personaggi disegnati, Carmen e il torero Escamillo,
hanno curiosamente i nomi
dei protagonisti dell’opera
di Bizet e non quelli della
novella, come a testimoniare la completa osmosi che
le due opere hanno ormai
nell’immaginario collettivo. Escamillo indossa il
tipico abbigliamento dei
toreri ed è raffigurato in
mezzo alla folla nell’atto di
colpire il toro. Carmen, invece, viene rappresentata
prima di profilo e poi di tre
quarti, mai di fronte, per
evidenziarne l’inafferrabilità e l’ambiguità di pensiero. Il pittore volle concentrare l’attenzione sull’occhio nero della zingara,
unico elemento che lascia
trasparire un po’ della sua
complessa psicologia. Anche da morta Carmen continua a guardare con sguardo irriverente il mondo che,
imbrigliato nelle proprie
regole, ha paura di tutto ciò
che gli appare “diverso”. E
così anche nella novella i
lettori, quando Don Josè
uccide brutalmente la donna liberandosi di quello
Pablo Picasso - Carmen
scomodo
alter
ego,
provano una sensazione di
disagio nel continuare sentirsi osservati, anche se ancora per un solo attimo, da
quell’occhio che tarderà a
chiudersi: «Cadde al sec-
ondo colpo, senza un grido.
Mi pare ancora di vedere il
suo grande occhio nero
guardarmi fisso; poi si appannò e si chiuse».
Cl.C.
All’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Tre appuntamenti pre-natalizi da non perdere
Molti concerti da non perdere in questo periodo prenatalizio all’Accademia
Nazionale di Santa Cecilia.
Riflettori puntati, però, soprattutto su tre appuntamenti. Dal 16 al 19 dicembre grande ritorno del pianista Radu Lupu – impedibile sia perché sempre più
rari si fanno i suoi concerti,
sia per l’altissima qualità
delle sue esecuzioni - in un
concerto diretto da Fabio
Luisi che dal 2007 sarà direttore della Staatkapelle di
Dresda. Il concerto sarà
aperto dalla scintillante
Overture dall’ Oberon di
Carl Maria von Weber,
opera scritta tra il 1825 ed il
1826 su commissione del
Covent Garden di Londra e
lì rappresentata per la prima volta nel 1926, che si
apre con il famoso appello
del corno di Oberon, Re
delle fate, per introdurre
l’ascoltatore al mondo fiabesco e cavalleresco dell’o-
pera. Radu Lupu sarà protagonista con il Concerto n°
4 in si bemolle maggiore
op. 58 per pianoforte ed
orchestra di Beethoven,
composto tra il 1804 ed il
1805 e dedicato allo sfortunato Arciduca Rodolfo
d’Austria. A chiudere il
concerto sarà la Sinfonia
“della Riforma” di Mendelssohn composta nel
1829 per celebrare i 300
anni del Protestantesimo ed
è la più famosa delle molte
opere di questo autore di
ispirazione dichiaratamente
protestante.
Il 20 dicembre alle ore 21
per la Stagione da Camera
torna nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium il complesso strumentale della
Radio Televisione Svizzera
specializzato in musica antica I Barocchisti, diretti
dal loro direttore stabile
Diego Fasolis. Presenteranno l’Oratorio di Natale di
Johann Sebastian Bach,
titolo che hanno inciso un
anno fa ed è subito andato a
ruba in tutti i negozi di dischi. Creato per il Natale
1734 nella Chiesa di S.
Tommaso a Lipsia, è una
serie di sei cantate, di cui le
prime tre dedicate alla Vigilia, al giorno di natale ed
al giorno di S. Stefano, pervase da un senso di inesauribile ottimismo e gioia festosa, vicino al carattere
delle Cantate “profane”,
piuttosto che alle solenni
Cantate sacre.
Infine, Fabio Luisi salirà
nuovamente sul podio giovedì 21 per il Concerto di
Natale ad inviti del Comune di Roma, sponsorizzato
dall’ENEL. In programma
la Nona Sinfonia di
Beethoven. Soprano Camilla Nylund; Mezzosoprano Manuela Custer; Tenori
Torsten Kerl e Kwangchul
Youn.
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