controlacrisi.org
10/04/2013
#Approvatela! Il 15
aprile la consegna di
50.000 firme per il
reddito minimo garantito
10/04/2013
Stanchi
di
aspettare!
#Approvatela!
Il
15
aprile
2013
consegneremo al Parlamento
le oltre 50mila firme raccolte
per un REDDITO MINIMO
GARANTITO
La campagna per un Reddito
minimo Garantito, iniziata a
giugno 2012 ha raccolto oltre
50mila firme in tutta Italia, ma dal
dicembre 2012 questo Paese non
ha ancora un governo politico a
cui riferire una istanza come
questa.
Ora non possiamo più aspettare!
Non possiamo aspettare i dieci
saggi, l’elezione di un nuovo Capo
dello Stato, un eventuale altro
scioglimento delle camere, altre
consultazioni, forse altre elezioni
e poi chissà cosa altro ancora!
Dunque
siamo
stanchi
di
aspettare e per il rispetto dovuto
agli oltre 50mila cittadini e
cittadine che hanno firmato, alle
170 associazioni che hanno
partecipato, ai milioni di precari e
disoccupati che non hanno la
garanzia di un reddito minimo,
abbiamo
deciso
che
una
delegazione rappresentativa della
pluralità dei promotori della
proposta di legge di iniziativa
popolare consegnerà le 50mila
firme per l’istituzione del reddito
minimo garantito.
Chiediamo sin da ora che la
Presidenza della Camera si
faccia carico dell’avvio di un
procedimento urgente affinché
la proposta di legge sia presa al
più presto in considerazione,
10/04/2013
miogiornale.com
eventualmente
indicando
da
subito una commissione di lavoro
ad hoc che studi e approvi questa
proposta, aprendo la strada anche
a una nuova prassi per cui le
proposte di iniziativa popolare non
siano mai più dimenticate ma
invece discusse e valorizzate.
Chiediamo
inoltre
ai
parlamentari di accogliere ed
incontrare la delegazione che
porterà le 50mila firme il 15
aprile 2013 a Roma dalle ore
11.00 sotto Montecitorio. Per
tutte le eventuali informazioni in
merito alla proposta di legge e alla
campagna
www.redditogarantito.it
La delegazione che presenterà
le firme sarà cosi composta:
Comitato per il reddito Trieste
– Julia Filingeri
daSud – Cinzia Paolillo
Leoncavallo
Rozza
–
Alessandro
Libertà e partecipazione Prato
– Diego Blasi
Associazione Atdal Over 40 –
Stefano Giusti
Comitato
Reddito
minimo
garantito Basilicata – Nicola
Magnella
Comitato reddito garantito
Napoli Nord – Peppe Vibrato
Tilt – Maria Pia Pizzolante
Direttivo Fp Cgil Belluno –
Alberto Domenichini
Comitato per il reddito Liguria
– Pier Giorgio Grossi
Sindaco di
Petrangeli
Precariamente
Greco
Sindaco di Cagliari – Massimo
Zedda
-
Valentina
BIN Italia – Luca Santini
Stato
CILAP
EAPN
Teodosi
Forum Donne Rifondazione
Comunista – Eleonora Forenza
Giuseppe
–
Nicoletta
Diritti
–
Simone
–
–
Diversamente
Occupate
Teresa Di Martino
Progetto
Salerni
–
Consigliere regionale Abruzzo
- Maurizio Acerbo
European
Alternatives
Alessandro Valera
Quinto
Allegri
Rieti
–
Arturo
Associazione Ulisse Andria –
Vito Ballarino
San Precario Milano
Sinistra Ecologia
Marco Furfaro
Libertà
Giovani Comunisti
Belligero
–
–
Anna
Rifondazione
Comunista
Antonio Ferraro
–
Una tassa sul patrimonio
delle banche
10/04/2013 (sbilanciamoci)
Lucania
Tricarico
World
–
Michele
Antigone
controlacrisi
1 di 13
A
seguito
del
meeting G20 di
Pittsburgh
nel
2008, i governi
richiesero al FMI
di preparare un rapporto riguardo
alle diverse possibilità in cui il
settore
finanziario
potesse
contribuire ai costi sostenuti per la
sua stessa stabilizzazione. Il
rapporto [1] successivamente
presentato dal FMI sosteneva che
tale “contribuzione per la stabilità
finanziaria” dovesse assumere la
forma di un’imposta, la cui base
imponibile
fossero
gli
stati
patrimoniali
delle
istituzioni
finanziarie.
Tale
scelta
fu
giustificata sulla base della facilità
di attuazione nonché diretta
connessione con i “sintomi” del
rischio sistemico generato da
alcune di queste istituzioni, quali
l’eccessiva
dimensione
o
l’interconnessione internazionale
di alcune banche “too big to fail”.
Nonostante
il
rapporto
ne
sottolineasse
l’importanza,
la
mancanza di un coordinamento
internazionale nell’attuazione di
tale
tassa
ha
impedito
un’attuazione di tale misura su
scala globale, al contrario ad
esempio della tassazione sulle
transazioni finanziarie – la celebre
Tobin
Tax
–
recentemente
approvata
dal
Consiglio
dell’Unione europea [2] . Molti
Stati
hanno
tuttavia
individualmente approvato tasse
di questo tipo. Ad esempio il
Regno Unito ha introdotto nel
2011 un’imposta sulle passività
delle banche oltre i 20 miliardi di
sterline (circa 23 miliardi di euro)
[3] . Simili iniziative sono state
adottate in Francia, Germania e
Paesi Bassi. L’Italia è uno dei
pochi paesi a non aver adottato
misure simili [4] .
Eppure anche in Italia una misura
potrebbe essere utile per due
ordini di motivi. Il primo è di
natura politico-sociale. Anche in
Italia le banche, nonostante non si
siano lanciate in cartolarizzazioni
come negli Stati Uniti o non
abbiano
finanziato
bolle
immobiliari come in Irlanda,
Spagna e Regno Unito, nella
decade prima della crisi hanno
esteso le loro operazioni oltre le
tradizionali operazioni di credito e
raccolta. Il caso MPS, al di là degli
aspetti penali e dall’influenza dei
10/04/2013
partiti, ha origine infatti in
operazioni
di
fusione
/
acquisizione – nel caso specifico la
scalata ad Antonveneta – risultate
poi fallite e che hanno portato a
varie operazioni di “soccorso” per
coprire le perdite [5] . Negli anni
precedenti la crisi del 2008
fusione e acquisizione nel mercato
bancario sono state comuni, e il
conseguente crollo dei titoli
azionari ha creato non pochi
problemi a tutte le maggiori
grandi banche [6] . Senza contare
che l’espansione in alcuni mercati
dell’Est Europa ha creato non
pochi problemi nel 2008-2009
quando la crisi anche in quei paesi
si è fatta sentire [7] . Inoltre, a
prescindere
dal
ruolo
nella
trasmissione e amplificazione
della crisi, le banche italiane
rappresentano una fondamentale
forza economica nel paese, e le
operazioni del governo a loro
sostegno
hanno
comportato
interventi pari al 5.5% del PIL
italiano,
certamente
non
paragonabili alle spese di altri
paesi europei o degli Stati Uniti,
ma pur sempre considerevoli [8]
. Per parafrasare Bersani, è lecito
che “chi ha (ricevuto) di più,
contribuisca di più”.
Il secondo ordine di motivi è di
tipo prettamente economico. La
tassa andrebbe infatti inquadrata
all’interno di una più vasta
operazione volta a ridurre i costi
del debito pubblico e stabilizzare
i
mercati
finanziari.
Come
propongono
Bellofiore
e
Toporowski [9] , il governo
potrebbe infatti emettere una
grande quantità di titoli a breve
termine (i nostri Bot) con cui
finanziare
un’operazione
di
acquisto di Btp, provocando così
un aumento dei prezzi di tali titoli.
Una politica analoga è stata
compiuta dalla Fed, con l’obiettivo
di abbassare i tassi di interesse
a lungo termine [10] . Questa
operazione avrebbe un effetto
positivo sul sistema bancario,
poiché
la
rivalutazione
provocherebbe
miglioramento
degli attivi delle banche e la
possibilità di poterli vendere a
prezzi di mercato crescenti nel
caso di problemi di liquidità, e
abbassando i tassi di interesse a
lungo termine potrebbe favorire
l’estensione del credito alle
imprese. Inoltre l’abbassamento
dei tassi di interesse – e di
conseguenza dello spread – sui
Btp offrirebbe la possibilità allo
controlacrisi
Stato di finanziarsi per operazioni
di più lungo termine. In questo
modo si potrebbero finanziare più
facilmente investimenti pubblici
necessari a rilanciare l’economia
o altre simili operazioni, come la
proposta di Bersani di ripagare i
debiti della PA tramite emissione
di Btp [11] . La tassa sarebbe così
una sorta di “ticket” che le banche
pagherebbero per un’operazione
di stabilizzazione del sistema a
finanziario.
Una simile tassa avrebbe peraltro
costi limitati e potrebbe favorire
un ruolo più positivo delle banche
per la crescita. Tassare gli stati
patrimoniali delle banche, infatti,
non riduce sensibilmente la
possibilità per le banche di fare
credito.
In
primo
luogo,
l’abbassamento dei tassi di
interesse e la stabilizzazione del
sistema finanziario renderebbero
l’ambiente
più
favorevole
all’estensione del credito in
generale.
Inoltre,
la
tassa
andrebbe formulata in modo tale
da
incoraggiare
il
credito
produttivo,
ad
esempio
aggiungendo detrazioni dalla base
imponibile per credito alle piccole
e medie imprese e/o alle famiglie.
Infine, si tratterebbe di tasse con
aliquote molto basse. Al contrario
delle politiche di austerità, tassare
gli stati patrimoniali delle banche
avrebbe quindi un impatto diretto
negativo davvero minimo sulla
crescita come lo stesso rapporto
iniziale del Fmi suggeriva.
Quanto si potrebbe ottenere da
una tassa del genere? Le banche
italiane in aggregato (quindi
includendo banche commerciali,
banche d’affari, e cooperative)
avevano attività, secondo i dati
della Banca d’Italia [12] , pari a
circa 4200 miliardi di euro a
dicembre
2012.
Applicando
un’aliquota bassa dello 0,03%,
l’aliquota applicata in Germania
sulle banche di media grandezza,
si otterrebbe un gettito di circa 2,1
miliardi di euro. Non si tratta
certamente di cifre da capogiro,
ma
nemmeno
irrisorie.
Si
tratterebbe poi di una cifra
importante ma non eccessiva per
i redditi del settore bancario:
secondo i dati Ocse [13] , nel 2009
– annus horribilis per le banche di
tutto il mondo – , i profitti delle
banche italiane ammontavano a
circa 11 miliardi di euro a fronte
di attività 3400 miliardi di euro:
questo porterebbe ad un gettito di
2 di 13
circa 1.2 miliardi, ovverosia circa il
10% dei profitti. Ma se si prende
un anno migliore come il 2006 tale
rapporto
passa
al
3%.
Naturalmente
si
potrebbe
progressivamente
aumentare
l’aliquota in modo da dare alle
banche il tempo di adeguare le
loro
operazioni
alle
nuove
imposizioni fiscali, come ad
esempio è stato fatto in Regno
Unito, dove dal 2013 l’aliquota per
la parte di passività a breve
termine
è
dello
0,105%.
Toporowski
e
Bellofiore
suggeriscono cifre ancora più alte
intorno all’1-1,5%.
In sintesi adottare una tassa sugli
stati patrimoniali delle banche:
1) è un’operazione politicamente
sensata,
poiché
farebbe
contribuire in maniera diretta il
settore più direttamente legato
alla crisi;
2) in particolare costituirebbe un
contributo nell'ambito di un più
vasto programma mirato ad
abbassare i tassi di interesse a
lungo periodo;
3) favorirebbe un ruolo positivo
del credito bancario, oggi più che
mai
necessario
a
rilanciare
l’economia;
4) non imporrebbe un
eccessivo sulle banche.
costo
Naturalmente tutto questo non è
sufficiente per far ripartire la
crescita: la fine delle politiche di
austerità in sede europea e il
cambiamento del comportamento
Bce come prestatore di ultima
istanza
sono
senza
dubbio
elementi ben più fondamentali.
Rimane comunque utile pensare
a strategie che i singoli Stati
possono adottare per provare a
stabilizzare il sistema finanziario
e gestire in modo più “creativo”
il proprio debito pubblico. Tassare
gli stati patrimoniali delle banche
può essere una parte importante
di questo progetto.
[1] www.imf.org/external/np/g20/
pdf/062710b.pdf
[2]
www.consilium.europa.eu/
uedocs/cms_data/docs/pressdata/
en/ecofin/134949.pdf
[3] Le aliquote in vigore dal 2012
in poi sono 0,088% per le
passività a breve termine e
10/04/2013
0,0375% per quelle a lungo
termine www.kpmg.com/Global/
en/IssuesAndInsights/
ArticlesPublications/Documents/
bank-levy-9v2.pdf
che insieme all'Europa ne è il
diretto responsabile e mandante,
non
ne
parlano
i
partiti
parlamentari
che
hanno
evidentemente altre priorità o si
vergognano di aver votato leggi
[4]
http://archive.nbuv.gov.ua/
che determinano la crisi. I partiti
portal/Soc_Gum/VUABS/2012_2/
parlano di altro, ognuno per
33_03_01.pdf
mascherare il proprio calcolo
elettorale, ma i problemi del
[5]
http://temi.repubblica.it/
paese restano fuori, distanti o al
micromega-online/brancacciolimite parte di un commento a
monte-paschi-e-solo-la-puntaseguito dei fischi presi da parte
delliceberg/
delle cariche istituzionali in un
funerale
come
avvenuto
a
[6] http://keynesblog.com/2013/
Civitanova. Il tema del lavoro, i
02/01/monte-dei-paschi-unalicenziamenti, gli esodati, la
privatizzazione-disastrosa/
precarietà sono silenziati in
queste settimane. Non c'è un pirla
[7]
http://archivio.lavoce.info/
in parlamento che dica alla
articoli/pagina1001052.html
Fornero e Monti di dimettersi e di
vergognarsi a vita per quello che
[8]
hanno fatto. Non c'è un segretario
http://opendatablog.ilsole24ore.com/ di partito, portavoce, o come
2012/07/dopo-il-crack-lehmancavolo volete chiamarlo che punta
spesi-4-700-miliardi-per-ill'indice di accusa contro Draghi, la
salvataggio-delle-banche/
Commissione Europea, e il resto
#axzz2NRH9eF28
della congregazione che impone
l'asterit ed il Fiscal Compact. Non
[9]
www.criticamarxista.net/
c'è un uomo o donna eletto che
articoli/5_2011bellofiore.pdf
presenti una legge per cancellare
le loro controriforme sul lavoro,
[10]
www.ilsole24ore.com/art/
quella sulle pensioni, quella
finanza-e-mercati/2012-06-20/
sull'art.18, quella sul contratto di
lascia-tassi-fermilavoro. Nessuno che proponga
amplia-183507.shtml?uuid=AbwoJavF
qualcosa di serio per bloccare le
delocalizzazioni, per fermare i
[11] www.huffingtonpost.it/2013/
licenziamenti, per prendere in
02/06/elezioni-2013-ora-tocca-amano le banche e dare crediti
bersani-fare-la-propostaagevolati a famiglie ed imprese.
shock-50-miliardi-di-btp-ripagarePer loro non conta che lo Stato
imprese_n_2632234.html
è
diventato
un
gabelliere
dell'Europa
della
Merkel,
al limite
[12]
www.bancaditalia.it/
parlano di come renderlo più
statistiche/stat_mon_cred_fin/
efficiente. Così nel disinteresse
banc_fin/pimsmc/2013/sb12_13/
generale va avanti la tragedia
en_suppl_12_13.pdf
come
se questa
fosse
un
temporale, un'alluvione. Dopo le
[13] http://stats.oecd.org
Marche oggi è il Veneto a piangere
vittime innocenti.
Il primo a
morire è stato un operaio di Feltre.
Lunedì pomeriggio non è ritornato
in fabbrica ma è andato in un
Ancora suicidi per la
boschetto di Pedavena, ha scelto
crisi. Mandanti ancora a
un albero e vi ha appeso una
piede libero
corda. Aveva 46 anni, un figlio e
faceva il capo ufficio in un'azienda
10/04/2013 di Francesco Piobbichi
di componentistica per occhiali,
ma temeve di essere messo in
In
Italia
per
mobilità.
All'alba di ieri un
parlare di lavoro e
geometra trevigiano si è invece
di crisi occorre
impiccato alla gru del cantiere di
aspettare
il
Portogruaro dove lavorava. È
bollettino
stato ritrovato dai colleghi alle 8
giornaliero dei sucidi e dei morti.
del mattino, insieme al corpo
Certo è che di questa guerra
poche righe in cui chiedeva
silenziosa che sconvolge il nostro
perdono spiegando che la vita era
paese nessuno parla in termini
diventata troppo faticosa. Ho
seri. Non ne parla il Governo Monti
scritto qualche giorno fa che è
controlacrisi
3 di 13
necessario reinstaurare l'odio di
classe in questo paese, perchè se
non ci sono avversari contro chi
indirizzarlo
si
finisce
per
indirizzarlo contro se stessi. Sono
sempre più convinto che occorre
lavorare per organizzare ogni
giorno la lotta contro i responsabili
di tutto questo, perchè sono
ancora a piede libero e le loro
leggi continuano a fare vittime.
Doveroso istituire le
Commissioni
10/04/2013 di Luigi Saraceni (il
manifesto)
La mancata costituzione delle
Commissioni permanenti delle
Camere è una flagrante violazione
dei regolamenti parlamentari e
quindi della Costituzione, che ad
essi rinvia. Entrambi i regolamenti
prevedono
che
i
gruppi
parlamentari, una volta costituiti,
hanno l'obbligo di indicare i loro
rappresentanti nelle Commissioni
permanenti
entro
termini
brevissimi, al massimo entro
cinque
giorni,
già
abbondantemente
scaduti.
L'obiezione che non si potrebbero
costituire gli uffici di presidenza
se non viene prima definita una
maggioranza che sostiene il
governo e una minoranza che vi si
oppone, è del tutto inconsistente
e contrasta, ancora una volta, con
entrambi i regolamenti. Sia quello
della Camera (art. 20) che del
Senato (art. 27) prescrivono che le
Commissioni eleggano presidente
e ufficio di presidenza nella loro
prima
seduta,
senza
alcun
riferimento a maggioranza o
opposizione,
che
non
sono
articolazioni
istituzionali
del
parlamento, ma variabili entità
politiche. Viene eletto chi riporta
più voti, da qualunque parte
provengano,
con
le
stesse
procedure previste per l'elezione
dei vertici delle due Camere
(maggioranze qualificate nelle
prime
votazioni
e
poi
ballottaggio), cui i regolamenti
fanno esplicito riferimento anche
per l'elezione dei vertici delle
Commissioni. E non si capisce
perché le stesse regole, applicate
in un caso, non possano esserlo
nell'altro.
Ed anche gli uffici di presidenza
delle due Commissioni speciali di
Camera e Senato, confluite nella
Commissione speciale congiunta
10/04/2013
«per l'esame di provvedimenti
urgenti» (crediti delle imprese)
sono stati eletti con le stesse
procedure. Ancora una volta non
si capisce perché, a termini di
regolamento,
le
Commissioni
speciali possono essere costituite
senza fare il nuovo governo e
quelle permanenti no.
La ostinazione dei due maggiori
partiti (per fortuna con il dissenso
di Sel e di un pezzo di Pd) ad
impedire
l'ordinaria
attività
legislativa, riduce le Camere a
mere strutture per l'attuazione del
programma
del
governo,
rovesciando la "gerarchia" degli
organi costituzionali, relegando il
parlamento
in
un
ruolo
subordinato.
Invece, proprio in una congiuntura
politica così difficile sarebbe stato
necessario mandare al paese un
messaggio
di
vitalità
e
funzionalità del parlamento, che
avrebbe dimostrato nei fatti la sua
centralità,
che
non
basta
declamare a parole.
Come la storia dimostra, il
parlamento, quando vuole, è
capace di approvare in tempi
brevissimi leggi importanti e
complesse. La famigerata FiniGiovanardi - decine di articoli,
centinaia di commi - è stata
approvata in venti giorni dalla
maggioranza di centrodestra.
Se, come sarebbe stato doveroso,
questo parlamento si fosse messo
al lavoro nei termini prescritti
dalla Costituzione, oggi nessuno
potrebbe
dire
che
stiamo
perdendo tempo e non avremmo
davanti a noi uno sconcertante
vuoto di qualche settimana. E
qualcuno degli otto punti di
Bersani potrebbe essere già legge
o almeno approvato dalla Camera,
con il parere del governo in carica
per gli affari correnti, ritenuto
legittimato
addirittura
ad
emanare decreti legge. Sarebbe
stato certamente un buon viatico
per meritarsi l'incarico di governo
dal
nuovo
Presidente
della
Repubblica.
L'economia politica delle
identità
10/04/2013 di Cinzia Arruzza (il
manifesto)
controlacrisi
Segnate da
un
iniziale
sguardo
critico,
le
teorie queer
hanno
recentemente
riscoperto
l'opera
di
Karl
Marx.
Un percorso
di lettura a
partire
da
alcuni saggi
pubblicati
negli
Stati
Uniti
Judith Butler racconta nella sua
seconda prefazione a Gender
Trouble che, al momento di inviare
il suo manoscritto all'editore
Routledge,
tutto
si
sarebbe
aspettata
tranne
l'enorme
attenzione che il libro avrebbe
attratto. Un'attenzione tale da
cambiare il volto della teoria
femminista contemporanea, al
punto che molte teoriche non
esitano a parlare di una «terza
ondata» femminista. In Italia il
libro è arrivato con ben quattordici
anni di ritardo e con il titolo
piuttosto dubbio di Scambi di
genere, che rende poco l'idea
della costitutiva fragilità di ogni
identità
di
genere
e
dell'incoerenza sempre in agguato
in ogni citazione e ripetizione
della norma a cui ogni identità è
riconducibile. In Scambi di genere
e Corpi che contano di Judith
Butler, generalmente considerati
come due dei testi fondativi e più
influenti della teoria queer, è
4 di 13
possibile ravvisare alcuni dei
trend teorici ed epistemologici
che avrebbero caratterizzato il
futuro sviluppo della teoria.
In primo luogo la svolta linguistica
operata da Butler, nella sua
interpretazione della nozione di
«performativo» elaborata da John
Austin in Come fare cose con le
parole.
La
nozione
di
«performativo»
viene
però
estrapolata
dal
contesto
linguistico di Austin e applicata da
Butler, e da buona parte degli altri
teorici queer, come un dispositivo
interpretativo
di
una
vasta
gamma di pratiche sociali e
discorsive. Si tratta di quelle
pratiche che all'interno di una
««matrice
eteronormativa»
costituiscono il soggetto con la
sua identità di genere, celando al
tempo stesso la natura costruita
sia di quel soggetto che della sua
identità. Da questo approccio
discendono due ulteriori aspetti
largamente
presenti
nella
letteratura queer: quella che il
filosofo Steven Best ha definito
come
«la
dittatura
del
frammento»
e
la
critica
dell'essenzialismo
e
del
fondazionalismo (da questo punto
di vista, le critiche di Butler,
Jacques Lacan, Julia Kristeva e
Luce Irigaray hanno fatto scuola).
Un riduzionismo da superare
I lavori teorici queer degli inizi
degli anni Novanta sono stati
caratterizzati anche da una forte
critica all'opera di Marx, sostituito
generalmente
con
Foucault.
All'ansia di totalità e all'ortodossia
riduzionista
e
determinista
attribuita al marxismo viene,
infatti,
preferita
l'attenzione
foucaultiana verso la microfisica
del potere, i regimi discorsivi e la
radicale contigenza del rapporto
tra pratiche discorsive e non
discorsive. Così, ad esempio,
diversi dei saggi contenuti nella
seminale raccolta Fear of a Queer
Planet, curata da Michael Warner
e apparsa nel 1993, criticavano
esplicitamente il marxismo per la
sua cecità rispetto alla sessualità
e alla politica sessuale. E nel
dicembre del 1996, Judith Butler
lanciava una provocazione alla
platea - tendenzialmente marxista
- di un convegno organizzato dalla
rivista
Rethinking
Marxism,
accusando
il
«marxismo
ortodosso» di separare in maniera
meccanicistica
il
culturale
dall'economico, di stabilire una
gerarchia netta tra oppressione e
sfruttamento, e di liquidare come
10/04/2013
«meramente culturali» i nuovi
movimenti
centrati
sulla
sessualità. Questo intervento è
stato pubblicato due anni dopo,
con il titolo per l'appunto di
«Merely Cultural», sulle pagine
della New Left Review, che ha
ospitato anche la risposta di
Nancy Fraser (Misrecognition and
Capitalism: A Response to Judith
Butler).
Con
queste
premesse,
le
prospettive di un riavvicinamento
tra teoria queer e marxismo
sembravano tutt'altro che rosee.
E tuttavia, nell'ultimo decennio ha
iniziato a farsi strada una nuova
tendenza
a
confrontarsi
nuovamente con Marx al di là di
facili e stereotipate caricature e
a prendere in considerazione le
dinamiche capitalistiche e la loro
relazione con la formazione delle
identità di genere. Uno degli
aspetti lampanti e per certi versi
sconcertanti del lavoro di Butler
sul genere, infatti, è l'assenza di
una
problematizzazione
del
rapporto tra le dinamiche della
valorizzazione capitalista e la sua
diagnosi
del
genere
come
performativo
e
come
indissolubilmente connesso a una
matrice eteronormativa. Questo
rapporto
viene,
invece,
tematizzato in una serie di
pubblicazioni che hanno provato
a portare avanti sia una critica
antieteronormativa del capitale
sia una critica della politica
mainstream gay e lesbica, basata
su una rivendicazione di diritti
formali articolati all'interno di un
orizzonte neoliberale: si vedano,
ad esempio, i lavori di Alan Sears,
Lisa Duggan, Arnaldo Cruz-Malavé
e Martin F. Manalasan.
Tra i lavori che in maniera
sistematica hanno provato a
integrare una prospettiva queer
con una metodologia marxista
spiccano il volume di Rosemary
Hennessy Profit and Pleasure.
Sexual
Identities
in
Late
Capitalism (Routledge) e il più
recente volume di Kevin Floyd,
The Reification of Desire. Toward
a Queer Marxism (University of
Minnesota Press). La traiettoria
intellettuale
di
Rosemary
Hennessy
è
particolarmente
interessante. Nel suo primo libro,
Materialist Feminism and the
Politics of Discourse (Routledge
1992), Hennessy aveva portato
avanti un progetto di integrazione
tra
marxismo,
femminismo
materialista e poststrutturalismo,
centrato sull'idea della reciproca
controlacrisi
determinazione
degli
aspetti
economici, culturali e politici della
vita sociale. Un progetto, questo,
abbandonato con il secondo libro,
Profit and Pleasure, nella cui
introduzione Hennessy confessa
d'essere giunta a realizzare che il
suo lavoro precedente aveva
contribuito al processo di elisione
sistematica
dell'analisi
del
sistema di classe capitalistico dai
discorsi sul genere e la sessualità
all'interno del mondo universitario
americano.
Reazioni identitarie
Profit and Pleasure propone,
dunque, un approccio articolato
alla questione del rapporto tra
relazioni
di
produzione
e
sessualità, e più in generale tra
«i discorsi attraverso i quali
rendiamo il mondo intelligibile e
le strutture di accumulazione e
lavoro». Si tratta di un approccio
che liquida in maniera definitiva
il modello struttura-sovrastruttura
proprio del «marxismo volgare»,
contro il quale privilegia, da un
lato,
una
concezione
del
capitalismo come organizzazione
di relazioni umane, o di relazioni
tra «individui vivi», dall'altro,
nozioni
quali
quella
di
«esperienza»
elaborata
dallo
storico
inglese
Edward
P.
Thompson. In questa prospettiva,
e facendo anche un uso critico del
concetto di sovradeterminazione,
Hennessy analizza la costruzione
di identità sessuali e la loro
connessione con le identità di
genere alla luce del processo di
diffusione della produzione di
merci in Europa e negli Stati Uniti
alla fine del diciannovesimo
secolo. La tesi di Hennessy è che
la
reificazione
dell'identità
sessuale, l'emergere di identità
omosessuali
ed
eterosessuali
siano
una
conseguenza
dell'impatto dissolvente esercitato
dal capitalismo sulla rete di
relazioni familiari e sui legami
sociali
tradizionali
e
della
diffusione del consumo di massa.
Le nuove identità etero e
omosessuale, dunque, «non solo
addomesticarono la potenziale
minaccia posta alla differenza di
genere patriarcale, ma addirittura
reintegrarono
quest'ultima
all'interno di una nuova ideologia
(eterogenere)
dell'identità
sessuale».
L'intervento teorico di Kevin
Floyd,
che
rappresenta
probabilmente a oggi il tentativo
più sistematico di integrazione tra
teoria queer e marxismo, si
5 di 13
muove su linee analoghe a quelle
di Hennessy, ma fa ricorso a due
diversi concetti chiave della
tradizione marxista: quello di
totalità e quello di reificazione,
per i quali Floyd si confronta
criticamente con György Lukács.
Le argomentazioni di Floyd sono
troppo complesse per essere
riassunte in poche righe. E
tuttavia, la sua analisi della
costruzione della mascolinità negli
Stati Uniti, durante quello che
Floyd definisce il regime di
accumulazione fordista, è forse
l'esempio più brillante delle
interessanti
potenzialità
contenute
non
solo
in
un'applicazione
di
un'analisi
materialista
ai
processi
di
costruzione delle identità sessuali,
ma anche in una revisione del
marxismo stesso alla luce della
critica queer.
Una storicità senza storia
Sottolineando il fatto che nel
lavoro di Butler ci si trova davanti
a una storicità senza storia, a una
considerazione
meramente
astratta del carattere temporale
della performatività, Floyd insiste
sul
fatto
che
il
carattere
performativo della mascolinità nel
fordismo è il prodotto di una serie
di comportamenti e modelli di
consumo prescritti all'interno di
un tempo libero rigidamente
regolato dalla forma merce. In
entrambi i lavori di Hennessy e
Floyd, l'esigenza che emerge in
maniera preponderante è quella
di tornare a un approccio
epistemologico e a un metodo di
critica sociale che permetta di
tracciare
nuovamente
connessione causali, di spiegare i
processi
analizzati,
anziché
limitarsi
a
descriverli.
Un'esigenza, questa, che Floyd
riscontra in una parte crescenta
della letteratura queer americana.
Intanto, l'editore Pluto Press ha
annunciato la pubblicazione entro
l'anno del prossimo volume di
James Penney, dal titolo, per così
dire, «performativo»: After Queer
Theory. Il libro conterrà capitoli sui
recenti scritti queer di Ahmed,
Sedgwick, Puar, Edelman, su
sessualità e universalismo, sul
marxismo antiomofobo. Ma lo
«scandalo»,
secondo
la
definizione
data
dall'autore,
risiederà nella tesi centrale. In
questo libro, infatti, James Penney
sosterrà che la teoria queer ha
fatto il suo corso, e che bisogna
abbandonare il progetto ormai
esaurito di politicizzazione della
10/04/2013
sessualità e ripensare il rapporto
tra sessualità e politica attraverso
un ritorno critico al marxismo e
alla psicoanalisi.
Quali sarebbero i meriti
della Thatcher?
10/04/2013 di Paul Krugman
(Keynesblog)
Ci
saranno
presumibilmente
molti commenti
su Margaret Thatcher nel corso
dei prossimi giorni, anche se
probabilmente
non
come
il
“Reagasm” [gioco di parole tra
"Reagan" e "orgasm", ndt] del
2004. E ci saranno, in particolare,
molte affermazioni circa il fatto
che la Thatcher ha trasformato la
moribonda economia britannica.
Ma è giusto?
D’accordo, non voglio distruggere
tutto – il punto di domanda nel
titolo di questo post è serio. Ma
penso
che
sia
interessante
guardare a ciò che è realmente
accaduto a livello macro.
Ora, non c’è dubbio che la Gran
Bretagna svoltò. Nel 1970 era un
paese con enormi problemi
economici, oggi, nonostante il
fallimento
delle
politiche
di
austerità, si trova in una posizione
molto più forte. Ci sono vari modi
per mostrarlo, credo sia utile
confrontare la Gran Bretagna con
il suo amato-odiato vicino, la
Francia. Quindi ecco il PIL pro
capite in Gran Bretagna rispetto
alla Francia:
continua
"Legge sul reddito
minimo urgente.
Precarietà forma di
povertà". Intervista a
Sandro Gobetti
09/04/2013 di fabio sebastiani
Nei
prossimi
giorni
verrà
presentato
all’ufficio di presidenza della
controlacrisi
Camera
dei
deputati,
la
proposta di legge di iniziativa
popolare sul reddito minimo
garantito. La raccolta delle
firme ha impegnato nei mesi
scorsi diverse organizzazioni
sociali e politiche, tra cui il
Prc.
Abbiamo
intervistato
Sandro Gobetti, di Bin Italia,
Basic Income Network Italia
Perché
avete
consegnare
cinquantamila
sostegno della
legge?
deciso
ora
firme
proposta
di
le
a
di
Tenuto conto che l firme sono
state raccolte in sei mesi la
consegna delle firme è diventata
un atto urgentissimo oltre che
dovuto non solo per la condizione
sociale dei precari. Attendiamo di
consegnare queste firme da ormai
tre mesi, a causa di tutte le
scadenze politiche che si sono
frapposte. Abbiamo ritenuto che
non si poteva più aspettare e
rischiare di vanificare tutto il
lavoro fatto con considerazioni
varie su governo sì e governo no.
Le consegneremo alla Camera,
all’ufficio di presidenza. Un invito
che facciamo fin da ora ai
parlamentari è di incontrare chi
porterà le firme e di dar vita
quanto prima a una Commissione
speciale. Spesso le leggi iniziativa
popolare, infatti, finiscono nel
dimenticatoio.
Rispetto a quando avete
iniziato la raccolta delle firme,
la crisi economica come ha
cambiato
la
situazione
sociale?
C’è stato un netto e forte
peggioramento.
Bin
Italia
a
dicembre dell’anno scorso scrisse,
come il Sole 24 ore che titolò ‘Fate
Presto’, una lettera con lo stesso
slogan, rivolta a Monti. A distanza
di un anno purtroppo vediamo che
la situazione è peggiorata. Quasi
il 29,9% della popolazione italiana
è a rischio di povertà. Se non
implementiamo la misura nei
prossimi cinque anni la metà della
popolazione vivrà sotto la soglia
di povertà. Molti analisti che
parlavano di precarietà come
forma
di
lavoro
legata
al
postfordismo oggi parlano di
precarietà come una delle nuove
forme di povertà.
6 di 13
La fase di raccolta delle firme
è stata a modo suo un piccolo
laboratorio politico…
La proposta di legge e la
campagna di raccolta firme ha
avuto il sostegno e l’adesione di
170 tra associazioni, partiti della
sinistra e soggetti vari. La
delegazione
che
porterà
la
proposta e le firme in Parlamento
è formata da almeno una trentina
di persone. La campagna è stata
molto plurale e trasversale, ed è
stata segnata da una grande
partecipazione popolare. Nella
campagna abbiamo notato alcuni
elementi interessanti, tra cui la
disponibilità delle persone a
parlare di questo tema e a
firmare. Un elemento che ci ha
stupito e che segnala la fine di
alcuni tabù culturali. Abbiamo
avuto persone, come nel quartiere
di Casalbertone a Roma, che
hanno firmato dicendo “voglio
lasciare a mio nipote almeno una
firma per il suo futuro”. Un modo
molto pragmatico per trasmettere
un patrimonio di lotta che ha
conquistato un diritto. Il tema del
reddito è molto più compreso
dalla gente che non dalle
organizzazioni politiche. Abbiamo
sviluppato almeno 260 iniziative
in 200 città diverse. E tutto fuori
dai media mainstream e dalla loro
sponsorizzazione. Un segnale di
mobilitazione dal basso che noi
stessi non pensavamo di poter
garantire.
Molte altre organizzazione,
tra mondo della politica e del
sindacato, hanno avanzato
proposte sul reddito minimo.
E’ un bene o no?
Le altre proposte incidono, non c’è
dubbio, dal punto di vista
generale perché incentivano la
discussione e portano avanti in
qualche modo la rottura del tabù.
Il tema non è più relegato in una
nicchia. Dall’altra parte bisogna
capire bene i criteri introdotti,
però. Grillo, per esempio, sul
termine reddito di cittadinanza
mostra un po’ di superficialità.
Non si può sostenere, come fa lui,
che il reddito viene ritirato se uno
non accetta il lavoro. Ci sono molti
casi in cui il lavoro non arriva. I
criteri vanno descritti e definiti
nella loro complessità. Il rischio è
di andare verso un reddito minimo
di inserimento, perché il punto di
vista da cui si parte è quello
lavorista. Insomma c’è il rischio
10/04/2013
che l’obbligo ad accettare un
lavoro porti verso un panorama di
lavori a bassa qualifica. Il mondo
del lavoro è cambiato e anche le
condizioni sociali. Non parliamo
delle condizioni individuali.
Infine, qual è il profilo della
vostra proposta?
La legge innanzitutto intende
affrontare un diritto basico ovvero
che la di sotto di una certa soglia
non bisogna stare. E questa soglia
è di 600 euro mensili. Poi,
ovviamente,
questa
soglia
determina un’apertura ad altri
diritti, tipo un tetto sulla testa e
ad altre misure come in Europa
i trasporti gratuiti e la cultura.
Stiamo
parlando
quindi
del
cosiddetto
reddito
indiretto,
ovvero una erogazione economica
minimamente dignitosa. C’è poi la
questione della congruità, ovvero
il rifiuto del lavoro offerto se non
è
congruo
con
l’esperienza
lavorativa passata. Vengono poi
formulate
delle
deleghe
al
governo sul salario minimo orario,
che trae spunto dal fatto che
milioni di persone non stanno più
nei contratti nazionali ed hanno
ormai un confronto individuale
con la controparte padronale. In
questa delega al governo c’è
anche l’idea dell’accorpamento
delle misure di welfare per fare
in modo da formare un plafond di
diritti
inespugnabile
ed
universale.
Le bugie della Fiat sui
licenziamenti
smascherate dalla Fiom
09/04/2013 di fabrizio salvatori
"Non e' vero che la Fiat non ha
chiuso stabilimenti e ridotto
l'occupazione, come dimostrano
la Cnh di Imola, la Irisbus di Grotta
Minarda e Termini Imerese. A ciò
si aggiunge l'enorme iduzione
dell'occupazione nel settore della
componentistica e nell'indotto
Fiat, legata al ritardo negli
investimenti e ai milioni di ore di
Cassa integrazione registrato nel
settore Auto". In tutto, non meno
di ventimila lavoratori sono stati
costretti alla disoccupazione. La
replica, di fronte alle evidenti
assurdità
della
Fiat,
era
necessaria. E’ stato il segretario
controlacrisi
generale della Fiom, Maurizio
Landini, mettere giù dati e
circostanze. E non è certo la prima
volta. “Il governo Berlusconi prima
e il governo Monti poi - ricorda
Landini - hanno fatto quello che
Marchionne
chiedeva
e,
a
differenza di Francia, Germania e
Stati Uniti paghiamo la lunga
assenza di un Esecutivo e di una
politica industriale che impegni
l'Azienda a fare investimenti e
qualificare la produzione nel
nostro Paese". "Inoltre registriamo
che, mentre l'ad Fiat si e'
aumentato lo stipendio e pur in
presenza di utili, i salari dei
dipendenti
diminuiscono,
a
dimostrazione - conclude il leader
della Fiom - che l'Azienda fa
pagare il conto della crisi e dei
ritardi sull'innovazione e sulla
ricerca ai suoi lavoratori."
“Le bombe nelle piazze,
le bombe nei vagoni, le
mettono i fascisti, le
pagano i padroni” .
Wikileaks conferma
09/04/2013 di Nando Mainardi
Wikileaks ha colpito ancora, e
questa volta ci consente di
conoscere cosa ha combinato la
diplomazia americana tra il 1973
e il 1976. I "Cables Kissinger"
rivelano, tra le altre cose, trame,
manovre e ingerenze del governo
americano negli affari italiani.
Oggi "La Repubblica" rende nota
l'irritazione del dipartimento di
Stato statunitense dell'epoca per i
passi in avanti della magistratura
italiana nella lotta ai neofascisti,
ai neonazisti e ai servizi segreti
gravemente
collusi,
che
piazzavano
bombe
e
progettavano colpi di stato. Ad
esempio, l'ambasciatore Usa a
Roma diede giudizi negativi
sull'arresto del generale Amos
Spiazzi,
coinvolto
nell'organizzazione golpista "Rosa
dei Venti". Stessa cosa per
l'arresto del capo del Sid Vito
Miceli. Gli apparati governativi
americani parlavano di "caccia
alle
streghe
alimentata
per
avvantaggiare la sinistra", di
tentativo di "far sterzare a sinistra
la politica italiana" e via dicendo.
Insomma, la magistratura non
doveva indagare su cospirazioni e
stragi - questo il ragionamento -
7 di 13
perché questo significava stare
dalla parte dei comunisti. Questi
documenti non devono stupire più
di
tanto,
perché
in
realtà
confermano un quadro generale,
alleanze esplicite e sommerse, già
noti da tempo, spesso confermati
anche nelle aule dei tribunali,
seppure dopo insabbiamenti e
lunghissimi
e
contorti
iter
giudiziari. In Italia, in quegli anni,
era all'opera un blocco, costituito
da apparati dello stato, uomini di
governo,
servizi
segreti,
organizzazioni fasciste e naziste,
con l'obiettivo di una svolta
autoritaria nel nostro Paese. Tale
blocco si muoveva contando su
spinte e alleanze internazionali tra
cui,
in
particolare,
sostegni
significativi nel campo degli
apparati governativi statunitensi.
La priorità era fermare, ad ogni
costo e con ogni mezzo, il
consenso crescente dei comunisti,
e una lunga e gloriosa stagione
di grandi lotte e di mobilitazioni
operaie e democratiche. Va detto
che la nuova sinistra, la sinistra
extraparlamentare, la sinistra
rivoluzionaria, insomma la sinistra
nata dalla grande spinta del '68
italiano, fu la prima, e in presa
diretta,
a
denunciare
pubblicamente
quanto
stava
avvenendo, a fare nomi e
cognomi, a mettere radicalmente
in discussione le finte ed artefatte
verità diffuse in primis dalle
istituzioni. Un esempio su tutti: il
primo, vero passo verso la
ricostruzione della strage di
Piazza Fontana, l'individuazione
degli assassini (altro che gli
anarchici!!) e dei conniventi, del
quadro interno ed internazionale,
venne fatto con la pubblicazione
del volumetto "La strage di Stato"
del 1970, che sancì la nascita
della "controinformazione". Quella
sinistra
lì
avrà
sicuramente
commesso diversi errori, in quegli
anni e negli anni successivi. Ma
ha anche dei meriti, come l'aver
smascherato
cosa
stava
avvenendo nel Paese. Perciò
Wikileaks, oggi, ci dice un po' di
cose che avvennero dietro le
quinte in quegli anni. Migliaia di
ragazze e di ragazze, che si
definivano rivoluzionari, c'erano
già arrivati una quarantina d'anni
fa, senza conoscere i documenti
riservati del governo statunitense,
ma con la lotta, la militanza e la
voglia di andare oltre le "verità"
propinate. Anche per questo,
vanno ringraziati.
10/04/2013
Ilaria Cucchi: Tutti
condannati. Anche
Stefano
09/04/2013 di Ilaria Cucchi
La
PM
Loy
durante
la
requisitoria
afferma
che
‘Stefano Cucchi,
lungi dall’essere persona sana e
sportiva (come invece sostengono
gli stessi periti della corte) era
invece un tossico dipendente da
vent’anni (cioè dall’età di undici
anni)’.
Ora capisco da chi ha saputo l’On.
Giovanardi che mio fratello era
uno ‘zombie sieropositivo’. Perché
evidente…mente per lo Stato mio
fratello era questo.
Poco contano le decine di
testimonianze che affermano che
Stefano stava bene e faceva
tapirulan un’ora prima del suo
arresto.
Poco conta che nelle sue urine non
vi erano tracce di droga.
Lui era un morto che camminava.
Ed era ‘cafone ed arrogante’
perché era in crisi di astinenza.
Non perché massacrato di botte.
Ed è morto perché drogato.
È morto per colpa sua.
E noi suoi complici.
Comprendo perfettamente tutte le
famiglie che rinunciano ad avere
un processo.
Renzi e sinistra, campo e
contro-campo
09/04/2013 di Loris Caruso (il
Manifesto )
Il
sindaco
di
Firenze è oggi il
«prodotto politico
più
nuovo»,
anche di Grillo.
controlacrisi
L’antidoto a entrambi è l’aggancio
ai soggetti reali
Dopo il nuovo, il più nuovo, poi
il più nuovo ancora, e così via
all’infinito. La politica, italiana e
non solo, segue ormai la logica
della pura e semplice produzione
di merci. Non quella di qualsiasi
epoca, ma di questa in cui il ciclo
di vita dei prodotti diventa sempre
più breve e l’innovazione ha il
carattere
della
rivoluzione
permanente.
La
distinzione
Nuovo/Vecchio, più merceologica
che
politica,
ha
quasi
completamente oscurato quelle
tradizionali
(destra/sinistra,
capitale /lavoro).
Adesso il Nuovo è ovviamente
incarnato dal M5S. La sua forza
principale è stata finora quella di
rappresentare
l’estraneità
assoluta al prodotto declinante, i
partiti, di un mercato saturo, la
democrazia
rappresentativa,
svuotata da tre decenni di
neoliberismo. Il consenso che ha
ottenuto deriva soprattutto da
questa posizione, ed è naturale
che adesso cerchi di conservarla.
Questa rendita di posizione però
è anche un’arma a doppio taglio,
come tutte le armi di natura
mediatica e spettacolare. Da un
lato paralizza il Movimento,
impedendogli
di
incidere
immediatamente
sulla
realtà
politica italiana (un’opportunità
che Casaleggio e Grillo non si
aspettavano, e che li ha spiazzati),
con il rischio di deludere una parte
del proprio elettorato apparendo,
come le altre forze, inutile rispetto
ai bisogni e alle insicurezze sociali
e più orientato alla crescita della
propria rendita che all’interesse
generale. Dall’altro lato, proprio
questo insieme di meccanismi,
unito
alla
sovraesposizione
mediatica, rischia di consumare
l’immagine del prodotto web-M5S,
di
renderla
già
vecchia
e
assimilabile a quella delle altre
forze politiche. Un conto è essere
fuori dalle istituzioni importanti e
poter
giocare
la
carta
dell’outsider, ma se la logica
dominante diventa quella del
nuovo-outsider
che
scalza
chiunque sia interno al sistema,
una volta che si diventa interni la
ruota può girare in fretta anche
contro chi ha vinto l’ultimo giro.
Non è vero che i principali mezzi di
comunicazione sono ostili a Grillo.
I principali quotidiani e canali
televisivi hanno costruito negli
8 di 13
anni le condizioni culturali del suo
successo, riconducendo tutti i
problemi
della
società
alla
corruzione della «Casta». E lo
hanno
favorito
direttamente:
Grillo è sulle prime pagine e nei
prime time da 5 anni. Ma i media
hanno la loro logica: il ciclo di vita
della merce-notizia è breve. E i
loro proprietari e inserzionisti
hanno i loro interessi: magari
dopo Grillo può esserci qualcuno
che li rappresenta meglio.
In questi giorni c’è qualche
avvisaglia del fatto che il nuovo
più nuovo ancora, e più utile
ancora, dopo essere stato testato
in sondaggi, focus group e test sui
consumatori (le primarie del
centrosinistra), sia già disponibile
a essere immesso nel mercato e
occupare la scena mediatica a
fianco, ma anche al posto, di
Grillo. Piace anche al segmento di
mercato più entusiasta di Grillo,
i giovani, come ha dimostrato la
trasmissione
«Amici».
Matteo
Renzi ha tutte le potenzialità per
creare un mercato monopolistico,
riassumendo in sé e portando a
una
sintesi
superiore
le
innovazioni
tecnologiche
ed
estetiche che hanno fatto la
fortuna del prodotto precedente.
È Nuovo (o almeno riesce a
presentarsi
così),
non
ha
connotazioni ideologiche (anche
se è liberista), piace a sinistra e
a destra (più a destra), usa
retoriche anti-Casta. In più,
rispetto a Grillo, è «Giovane», e
può essere rappresentato come
uomo proveniente dalla sinistra. Il
prodotto sarebbe ancora più
efficace
del
precedente
nell’eliminare la residua presenza
politica e culturale della sinistra, e
magari nel favorire una chiusura
della transizione basata su riforme
restrittive
della
democrazia
(presidenzialismo,
ulteriore
rafforzamento dell’esecutivo sul
legislativo, «americanizzazione»
del finanziamento ai partiti).
Con Renzi il capitalismo avrebbe
uno
sparring
partner
meno
ambiguo di Grillo, privo (anzi
avversario) delle sue inclinazioni
ambientaliste e comunitaristiche.
Tutto il discorso pubblico potrebbe
concentrarsi sulla sola riduzione
del peso, già molto leggero, della
politica nella società, e il carattere
di «Novità» potrebbe convergere
sul compimento dell’evoluzione
liberista della sinistra riformista.
Che Renzi piaccia al capitalismo
10/04/2013
italiano lo dice la lista dei suoi
finanziatori:
immobiliaristi,
finanzieri, imprenditori, rentier. I
sondaggi già lo dicono: il suo
gradimento
è
quasi
doppio
rispetto a quello del prodotto
concorrente.
L’ansia di nuovo viene ricondotta
all’avvicendamento sempre più
veloce tra leader. Ma proprio
l’infinità di questo meccanismo, il
fatto che ogni novità presto
stanchi e deluda gli elettori,
segnala che contiene una volontà
di cambiamento strutturale che i
media sanno trattenere e deviare.
Come si sta dicendo da più parti,
è
la
stessa
democrazia
rappresentativa a non essere più
in
grado
di
contenere
i
cambiamenti sociali degli ultimi
30 anni, e quindi ad attraversare
una crisi organica. Il nucleo di
questa crisi è la sconnessione
radicale tra forze politiche e
gruppi sociali. Quali sono i gruppi
sociali di riferimento delle forze
politiche presenti in Parlamento?
Tutti e nessuno. I sistemi politici
crollano soprattutto per questa
sconnessione. Dall’altro lato, la
base della delusione e della
continua ricerca della novità è
l’assenza di politiche popolari.
Di fronte al campo iper-ideologico
scelto dalle élite per affrontare la
crisi politica ed economica, la
sinistra non ha altra risorsa che
costruire
un
contro-campo
popolato di soggetti reali e
problemi reali. La mobilitazione
collettiva e la costruzione di
coalizioni sociali sono sempre
state le sue sole armi contro le
rappresentazioni ideologiche della
società, i cui strumenti oggi si
moltiplicano a dismisura.
Le forze politiche e sociali che
volessero e potessero affrontare
con decisione i due problemi
strutturali nascosti nel conflitto
Nuovo/Vecchio,
avrebbero
di
fronte a sé un terreno potenziale
di
conflitto
egemonico.
Un
conflitto difficile ovviamente, per
le spinte contraddittorie che
caratterizzano la contemporanea
ansia di cambiamento, ma non
impossibile, soprattutto perché è
una
parte
ormai
quasi
maggioritaria della popolazione
quella che viene espulsa dal
perimetro delle garanzie e dei
diritti. Dal momento che la voglia
e la necessità del cambiamento
sono
ricondotte
alle
loro
controlacrisi
dimensioni
più
estetiche
e
superficiali, sono catturate nei
loro aspetti meno essenziali
(stipendi dei parlamentari, età dei
politici, ecc.) assumendo i tratti
classici
della
«rivoluzione
passiva», si tratterebbe di attivare
un
lungo
processo
controegemonico, di costruire una
coalizione sociale in grado di
rendere
stabili
gli
elementi
progressivi
contenuti
nel
«nuovismo».
La sinistra socialista e comunista
è nata dalla politicizzazione di una
parte del mondo sociale (il lavoro
organizzato). La sinistra del XXI
secolo può nascere solo da una
nuova politicizzazione del sociale,
che non può essere (solo) lo
stesso mondo sociale di 150 anni
fa, e la cui organizzazione politica
non può avere la stessa forma.
C’è
un
terzo
elemento
contraddittorio che caratterizza
questa fase. Grillo e Renzi sono
accomunati
dall’esibizione
costante
del
proprio
postideologismo. Anche da questo
deriva il loro successo, cioè dalla
loro
capacità
di
apparire
rappresentanti della totalità del
corpo sociale più che di alcune
sue parti. L’adesione diffusa a
questo schema culturale, totalità
contro parzialità, ha aspetti molto
pericolosi. Può essere la migliore
premessa
alla
delega
plebiscitaria, alla legittimazione
dell’autoritarismo,
alla
repressione del conflitto. Ma
contiene aspetti che vanno anche
nella direzione opposta: la volontà
di ricostruire cittadinanza e
legame sociale, il bisogno di
identità
e
appartenenza,
la
tendenza a costruire alleanze
vaste
che
reagiscano
alle
molteplice forme che assume oggi
il dominio del capitale sulla vita.
Totalità può anche significare
nuovo
universalismo.
La
prevalenza della dimensione della
totalità su quella, storicamente
essenziale per la sinistra, della
parzialità, impone a chi voglia
ricostruire una coalizione sociale
che si ponga al livello del conflitto
per l’egemonia, di sviluppare una
visione di società che, pur
essendo incardinata sulla difesa
del lavoro e dei ceti subalterni,
non
appaia
pregiudiziale,
ideologica e minoritaria, ma
sembri la logica conseguenza di
una situazione reale.
9 di 13
Gino Strada: "Un milione
di disoccupati in più nel
2012... Mi sarei
aspettato le dimissioni
delle Fornero, il ministro
dei licenziamneti!"
09/04/2013
"Quando si parla
di
un
milione
di disoccupati in
piu' nel 2012, mi
sarei
aspettato
entro 12 secondi
le dimissioni del
ministro
del
Lavoro".
A dichiararlo è l fondatore di
Emergency Gino Strada.
"Sei il ministro del Lavoro o il
ministro dei Licenziamenti?- si
domanda Strada- se sei il ministro
del
Lavoro,
hai
l'obbligo di
dimetterti dicendo di non avercela
fatta. Almeno ci fai piu' bella
figura".
#giustizia Rifondazione
sostiene la campagna
Tre leggi per la giustizia
e i diritti su #tortura,
#carceri e #droghe
09/04/2013 (paoloferrero.it)
Rifondazione comunista sostiene
a partecipa attivamente alla
campagna Tre leggi per la
giustizia e i diritti. Tortura, carceri,
droghe . Obiettivo della campagna
è la raccolta delle firme per tre
importantissime proposte di legge
di iniziativa popolare depositate lo
scorso gennaio in Cassazione:
l’introduzione del reato di tortura
nel codice penale, la legalità e il
rispetto della Costituzione nelle
carceri, le modifiche alla legge
sulle
droghe,
con
la
depenalizzazione del consumo e
riduzione dell’impatto penale.
Invitiamo tutte/i a firmare, oggi
nello specifico la raccolta di
svolge davanti ai Tribunali di tutta
Italia. La mattanza del G8 di
Genova e le drammatiche vicende
di
Stefano
Cucchi,
Federico
Aldrovandi, Giuseppe Uva e le
tante, troppe vittime di un
10/04/2013
sistema malato impongono un
necessario
ripensamento
del
nostro sistema giudiziario e
penitenziario. [Paolo Ferrero]
Per
informazioni:
http://www.3leggi.it
Loach: "La Thatcher?
Privatizziamo il suo
funerale! Mettiamolo sul
mercato, accettiamo
l'offerta più economica!"
09/04/2013 di isabella borghese
Sulla morte della
cosidetta
"Lady
Ferro"
si
sta
dicendo molto. A
un giorno dalla
sua morte, con i
suoi funerali che saranno tra dieci
giorni, davanti alla parole di un
Putin che l'ha definita "Una
grande figura politica, rigorosa
diretta
e
coerente,
di
cui
conserverò un ricordo positivo", ci
piace ricordare quelle più forti e
più vicine ai lavoratori, agli operai,
e sono quelle di Ken Loach: "ll
modo
migliore
per
onorare
Margaret Thatcher? Privatizziamo
il suo funerale. Lo mettiamo sul
mercato e accettiamo l'offerta più
economica. È quello che avrebbe
voluto. Del resto, le parole di
Loach spiegano molto di più, non
si fermano a quella che può
sembrare
una
battuta.
"La
disoccupazione di massa - ha
continuato - la chiusura di
fabbriche, le comunità distrutte:
questa è la sua eredità. Era una
combattente e il suo nemico era la
classe operaia inglese. Le sue
vittorie sono state aiutate dai capi
politici corrotti del Partito laburista
e di molti sindacati. È a causa di
politiche avviate da lei che siamo
in questo casino oggi".
Va da sé allora che accanto alle
parole di Ken Loach passiamo in
rassegna il punto di vista dei
minatori inglesi che, ad oggi, non
vedono altro, nella morte della
Thatcher che un motivo di grande
festa.
"Sono felice - si è espresso David
Hopper, il responsabile per il Nordest dell'Inghilterra della Num,
Sindacato dei minatori inglesi - I
minatori
stanno cercando
di
organizzare
una
festa
in
controlacrisi
coincidenza del giorno del suo
funerale.
"Ha fatto più male nel Nord-est di
chiunque altro - ha poi aggiunto e non lo ha fatto solo alle miniere
di
carbone:
ha
iniziato
a
distruggere i sindacati, decimato
l'industria, distrutto la nostra
comunità. Oggi l'Inghilterra è
costretta ad importare 40 milioni
di tonnellate di carbone l'anno, è
scandaloso. E sul funerale... Non
ci saranno molte lacrime: molti
guarderanno la cerimonia in tivù,
ma come si guarda il calcio".
Anche
la
reazione
di
Ken
Livingstone,
dal
2000-2008
sindaco laburista di Londra sono
state
chiare,
nella
stessa
direzione, anche più forti se
vogliamo:
"Le
politiche
di
Margaret
Thatcher
erano
fondamentalmente sbagliate. Ha
provocato l'odierna crisi degli
alloggi, ha prodotto la crisi delle
banche e quella dei sussidi
pubblici». È poi Gerry Adams a
ricordare un altro dolorosissimo
capitolo di quegli anni: "
"Margaret Thatcher - ha aggiunto
Gerry Adams, leader repubblicano
dell'Irlanda - ha causato grande
sofferenza
all'Irlanda.
Ha
provocato grande dolore agli
irlandesi e ai britannici, la classe
lavoratrice è stata devastate dalle
sue politiche.
"Da poche ore e' morta Margaret
Thatcher e gia' e' in corso il
processo di santificazione - si è
espresso
ieri
Paolo
Ferrero,
Segretario
Nazionale
di
Rifondazione Comunista - Invece
va detto con forza che il mondo
senza di lei sarebbe stato
decisamente migliore. Animata da
un enorme odio di classe, ha
operato con determinazione per
distruggere il movimento operaio
inglese
e
i minatori
in
particolare. Nel giorno della sua
morte - ha aggiunto - i media
dovrebbero parlare dell'enorme
sofferenza individuale e sociale
che ha determinato con le sue
politiche, della dignita' di quelle
centinaia di migliaia di minatori
che per un anno, dal 1984 al
1985,
fecero
il
piu'
lungo
sciopero dell'eta' moderna per
opporsi al proposito fascista
della Thatcher di far fuori i
minatori
attraverso
la
chiusura arbitraria delle miniere.
È morta l'amica di Pinochet, una
10 di 13
delle piu' grandi nemiche dei
lavoratori, della liberta' e della
giustizia di tutti i tempi".
Stipendi parlamentari,
Grillo fa retromarcia:
"Vanno bene seimila
euro al mese"
08/04/2013 di Ro.Ve. (liberazione.it)
Contrordine
compagni.
I
parlamentari
Cinque Stelle è
giusto
che
ricevano uno stipendio da seimila
euro
senza
che
debbano
rendicontare
alcunché
con
scontrini,
ricevute,
fatture.
L'importante «è essere presenti in
parlamento, fare il proprio lavoro
onestamente
e
in
modo
trasparente». Parola di Beppe
Grillo (che però smentisce: la
fonte è Repubblica). Il cui slogan
in
campagna
elettorale
era
tutt'altro: 2.500 euro al mese. Ai
quali va però sommata la diaria
(che è di 3.500 euro mensili), alla
quale i grillini non hanno mai
detto di voler rinunciare: il totale
fa appunto seimila (dunque,
sembrerebbe aver ragione il
quotidiano di Ezio Mauro). Inoltre,
avevano
promesso
di
rendicontare
tutto,
pure
le
caramelle.
Il problema nasce dal fatto che i
parlamentari grillini dovranno
decidere cosa fare entro il 27 di
questo
mese,
quando
gli
onorevoli-cittadini riceveranno il
primo stipendio. La domanda, per
esempio,
è:
se
le
spese
effettivamente sostenute non
raggiungono i 3.500, che si fa? Si
restituisce la parte eccedente?
Così come resta da decidere la
modalità con cui autoridursi lo
stipendio base (da cinquemila a
duemilacinquecento,
come
promesso) senza rimetterci: quei
soldi risulterebbero comunque in
busta paga che dunque sarebbe
“gonfiata” agli occhi del fisco.
Resta l'opinione del leader, che
naturalmente, avrà un peso:
lavorate e fatevi vedere in
parlamento; insomma, meritatevi
quei soldi. E in effetti, è tutta
grillina la battaglia affinché le
Commissioni
parlamentari
di
Camera e Senato siano messe in
10/04/2013
condizione di lavorare. Sulla carta
non ci sarebbe nessun ostacolo:
né
la
Costituzione,
né
i
regolamenti
parlamentari
prevedono che prima di costituire
le Commissioni sia necessario
formare il governo. E' solo una
prassi consolidata aspettare il
nuovo esecutivo per distribuire gli
incarichi
(presidente,
vice,
commissari) tra maggioranza e
opposizione. E' anche vero, però,
che non è un dettaglio, perché
nelle Commissioni si svolge un
lavoro preparatorio fondamentale
ed è lì che spesso si fanno i giochi,
cioè si prendono le decisioni finali
che poi l'Aula soltanto ratifica.
Resta che dalle elezioni è passato
un mese e mezzo senza che ci sia
neanche l'ombra di un governo:
tutto rinviato a dopo l'elezione del
nuovo
presidente
della
Repubblica, che ragionevolmente
non avverrà prima di maggio.
Così,
i
Cinquestelle
hanno
annunciato una campagna di
"occupazione"
delle
aule
parlamentari al termine di ogni
seduta per protestare contro il
mancato avvio delle Commissioni.
Anche sul fronte delle iniziative
parlamentari, il M5S coglie di
sorpresa (specie a sinistra): sono
pronti, infatti, tre disegni di legge
sui diritti civili che vanno oltre
persino la proposta politica del Pd.
Il
principale
riguarda
le
«modifiche al codice civile in
materia
di
eguaglianza
nell’accesso al matrimonio in
favore delle coppie formate dallo
stesso sesso». Il M5S vuole
introdurre l’articolo 91, che
riconosce
il
“matrimonio
egualitario”, non più solo tra uomo
e donna, ma anche tra persone
dello stesso sesso, come già
avviene in Paesi come Spagna,
Portogallo, Olanda, Belgio.
I figli di un “coniuge” (termine che
sostituirebbe sempre i classici
“marito e moglie”) saranno
riconosciuti come figli dell’altro
coniuge
«anche
quando
il
concepimento avviene mediante il
ricorso a tecniche di riproduzione
medicalmente assistita, inclusa la
maternità surrogata».
Il programma del M5sS non citava
i diritti civili tra le sue priorità,
eppure sono questi i primi atti
legislativi proposti a Palazzo
Madama. Gli altri due disegni di
legge riguardano il contrasto
controlacrisi
all’omofobia e alla transfobia,
reati penali punibili fino a quattro
anni di carceri, e le modificazioni
di attribuzione di sesso. Ora
bisogna vedere se l'iniziativa dei
senatori grillini troverà l'appoggio
della
base
o
se
saranno
necessarie nuove consultazioni no
line. (@rominavelchi)
Se il capitalismo diventa
di sinistra
08/04/2013 di Diego Fusaro
(sinistrainrete.info)
Sul fatto che alle elezioni la
sinistra, a ogni latitudine e a ogni
gradazione, sia andata incontro
all’ennesima sonante sconfitta,
non v’è dubbio e, di più, sarebbe
una perdita di tempo ricordarlo,
magari con documentatissimi
grafici
di
riferimento.
Più
interessante, per uno sguardo
filosoficamente educato, è invece
ragionare sui motivi di questa
catastrofe annunciata. E i motivi
non
sono
congiunturali
né
occasionali, ma rispondono a una
precisa e profonda logica di
sviluppo del capitalismo quale si
è
venuto
strutturalmente
ridefinendo
negli
ultimi
quarant’anni. Ne individuerei la
scena originaria nel Sessantotto e
nell’arcipelago di eventi ad esso
legati. In sintesi, il Sessantotto è
stato un grandioso evento di
contestazione rivolto contro la
borghesia
e
non
contro
il
capitalismo e, per ciò stesso, ha
spianato la strada all’odierno
capitalismo, che di borghese non
ha più nulla: non ha più la grande
cultura borghese, né quella sfera
valoriale che in forza di tale
cultura non era completamente
mercificabile.
Non vi è qui lo spazio per
approfondire,
come
sarebbe
necessario, questo tema, per il
quale mi permetto, tuttavia, di
rimandare
al
mio
Minima
mercatalia. Filosofia e capitalismo
(Bompiani, 2012). Comunque, per
capire a fondo questa dinamica di
imposizione
antiborghese
del
capitalismo,
e
dunque
per
risolvere l’enigma dell’odierna
sinistra, basta prestare attenzione
alla sostituzione, avviatasi con il
Sessantotto, del rivoluzionario con
il dissidente: il primo lotta per
superare il capitalismo, il secondo
per
essere
più
libero
11 di 13
individualmente all’interno del
capitalismo. Tale sostituzione dà
luogo al piano inclinato che porta
all’odierna
condizione
paradossale in cui il diritto allo
spinello, al sesso libero e al
matrimonio omosessuale viene
concepito come maggiormente
emancipativo rispetto a ogni
presa di posizione contro i crimini
che il mercato non smette di
perpetrare impunemente, contro
gli stermini coloniali e contro le
guerre che continuano a essere
presentate ipocritamente come
missioni di pace (Kosovo 1999,
Iraq 2003 e Libia 2011, giusto per
ricordare quelle più vicine a noi,
avvenute sempre con il pieno
sostegno della sinistra).
Dal
Sessantotto,
la
sinistra
promuove
la
stessa
logica
culturale
antiborghese
del
capitalismo,
tramite
sempre
nuove crociate contro la famiglia,
lo Stato, la religione e l’eticità
borghese. Ad esempio, la difesa
delle coppie omosessuali da parte
della sinistra non ha il proprio
baricentro nel giusto e legittimo
riconoscimento dei diritti civili
degli individui, bensì nella palese
avversione nei confronti della
famiglia tradizionale e, più in
generale,
della
normalità
borghese. Si pensi, ancora, alla
distruzione pianificata del liceo e
dell’università,
tramite
quelle
riforme interscambiabili di governi
di destra e di sinistra che,
distruggendo le acquisizioni della
benemerita riforma della scuola di
Giovanni Gentile del 1923, hanno
conformato – sempre in nome del
progresso e del superamento
delle antiquate forme borghesi –
l’istruzione
al
paradigma
dell’azienda e dell’impresa (debiti
e crediti, presidi managers, ecc.).
Il
principio
dell’odierno
capitalismo
postborghese
è
pienamente sessantottesco e,
dunque,
di
sinistra:
vietato
vietare, godimento illimitato, non
esiste
l’autorità,
ecc.
Il
capitalismo, infatti, si regge oggi
sulla nuda estensione illimitata
della merce a ogni sfera simbolica
e reale (è questo ciò che
pudicamente
chiamiamo
“globalizzazione”!).
“Capitale
umano”, debiti e crediti nelle
scuole,
“azienda
Italia”,
“investimenti affettivi”, e mille
altre espressioni simili rivelano la
colonizzazione
totale
dell’immaginario da parte delle
10/04/2013
logiche del capitalismo odierno. Lo
definirei
capitalismo
edipico:
ucciso nel Sessantotto il padre
(l’autorità, la legge, la misura,
ossia la cultura borghese), domina
su tutto il giro d’orizzonte il
godimento illimitato. Se Mozart e
Goethe erano soggetti borghesi, e
Fichte, Hegel e Marx erano
addirittura
borghesi
anticapitalisti,
oggi
abbiamo
personaggi capitalisti e non
borghesi
(Berlusconi)
o
antiborghesi
ultracapitalisti
(Vendola, Luxuria, Bersani, ecc.):
questi ultimi sono i vettori
principali
della
dinamica
di
espansione capitalistica. La loro
lotta contro la cultura borghese è
la lotta stessa del capitalismo che
deve liberarsi dagli ultimi retaggi
etici, religiosi e culturali in grado
di frenarlo.
Dalla sinistra che lotta contro il
capitalismo per l’emancipazione
di tutti si passa così, fin troppo
disinvoltamente, alla sinistra che
lotta per la legalità, per la
questione morale, per il rispetto
delle regole (capitalistiche!), per il
diritto di ciascuno di scolpire un sé
unico e inimitabile: da Carlo Marx
a Roberto Saviano. È certo vero
che Berlusconi è il Sessantotto
realizzato, come ha ben mostrato
Mario Perniola in un suo aureo
libretto: la legge non esiste, vi è
solo il godimento illimitato che si
erge a unica legge possibile. Ma
sarebbe un errore imperdonabile
credere che il capitalismo sia di
destra.
Lo
era
al
tempo
dell’imperialismo
e
del
colonialismo. Oggi il capitalismo è
il totalitarismo realizzato (a tal
punto
che
quasi
non
ci
accorgiamo nemmeno più della
sua esistenza) e, in quanto
fenomeno “totalizzante”, occupa
l’intero scacchiere politico. Più
precisamente, si riproduce a
destra
in
economia
(liberalizzazione
selvaggia,
privatizzazione oscena, sempre in
nome del teologumeno “ce lo
chiede l’Europa”), al centro in
politica (sparendo le ali estreme,
restano
solo
interscambiabili
partiti di centro-destra e di centrosinistra), a sinistra nella cultura.
Sì, avete capito bene: a sinistra
nella cultura. Dal Sessantotto in
poi, la cultura antiborghese in cui
la sinistra si identifica è la
sovrastruttura
stessa
del
capitalismo postborghese: il quale
deve rimuovere la borghesia e
lasciare che a sopravvivere sia
controlacrisi
solo la già ricordata dinamica di
estensione illimitata della forma
merce (essa stessa incompatibile
con la grande cultura borghese).
Di qui le forme culturali più tipiche
della
sinistra:
relativismo,
nichilismo,
scetticismo,
proceduralismo, pensiero debole,
odio conclamato per Marx e
Hegel, elogio incondizionato del
pensiero
della
differenza
di
Deleuze, ecc.
In questo timbro “totalizzante”
risiede
il
tratto
principale
dell’ormai avvenuta estinzione
dell’antitesi tra destra e sinistra,
due opposti che oggi esprimono
in forme diverse la stessa visione
del
mondo,
duplicando
tautologicamente
l’esistente.
Negli ultimi “trent’anni ingloriosi”,
il capitale e le sue selvagge
politiche neoliberali, all’insegna
della perdita dei diritti del lavoro
e della privatizzazione sfrenata, si
sono imposti con uguale forza in
presenza di governi ora di centrodestra, ora di centro-sinistra
(Mitterand in Francia, Blair in
Inghilterra, D’Alema in Italia,
ecc.). Di conseguenza, l’antitesi
tra destra e sinistra esiste oggi
solo virtualmente come protesi
ideologica per manipolare il
consenso e addomesticarlo in
senso capitalistico.
Destra e sinistra esprimono in
forme diverse lo stesso contenuto
e, in questo modo, rendono
possibile l’esercizio di una scelta
manipolata, in cui le due parti in
causa,
perfettamente
interscambiabili,
alimentano
l’idea della possibile alternativa,
di fatto inesistente. Vi è, a questo
proposito, un inquietante intreccio
tra i due apoftegmi attualmente
più in voga presso i politici – “non
esistono alternative” e “lo chiede
il mercato” –, intreccio che rivela,
una volta di più, l’integrale
rinuncia, da parte della politica, a
operare concretamente in vista
della trasformazione di un mondo
aprioristicamente
sancito
immodificabile.
Il paradosso sta nel fatto che la
sinistra oggi, per un verso, ha
ereditato il giacimento di consensi
inerziali di legittimazione proprio
della
valenza
oppositiva
dell’ormai
defunto
partito
comunista e, per un altro verso, li
impiega puntualmente in vista del
traghettamento della generazione
comunista degli anni Sessanta e
12 di 13
Settanta verso una graduale
“acculturazione”
(laicista,
relativista, individualista e sempre
pronta a difendere la teologia
interventistica dei diritti umani)
funzionale
al
capitalismo
globalizzato. Il quotidiano “La
Repubblica” è la sede privilegiata
di questo processo in cui si
consuma
questa
oscena
complicità
di
sinistra
e
capitalismo. I molteplici rinnegati,
pentiti e ultimi uomini che
popolano le fila della sinistra si
trovano improvvisamente privi di
ogni sorta di legittimazione storica
e politica, ma ancora dotati di un
seguito identitario inerziale da
sfruttare
come
risorsa
di
mobilitazione. Per questo, la
sinistra continua inflessibilmente
a
coltivare
forme
liturgiche
ereditate dalla fede ideologica
precedente nell’atto stesso con
cui
abdica
completamente
rispetto al proprio originario
“spirito di scissione” (la formula
è del grande Antonio Gramsci),
aderendo alle logiche del capitale
in forme sempre più grossolane.
È di Bersani la frase, pronunciata
in campagna elettorale, “i mercati
non hanno nulla da temere dal
PD”: frase pleonastica, perché
esprime
ciò
che
già
tutti
sapevamo, ma che è rilevante,
perché ben adombra come la
sinistra continui indefessamente a
lavorare per il re di Prussia, il
capitalismo gauchiste.
Lungo il piano inclinato che porta
dalla nobile figura di Antonio
Gramsci a personaggi come
Massimo D’Alema o Vladimir
Luxuria si è venuto consumando
il tragicomico transito dalla
passione
trasformatrice
al
disincanto cinico – tipico della
generazione
dei
pentiti
del
Sessantotto, la più sciagurata dal
tempo dei Sumeri ad oggi –
fondato
sulla
consapevolezza
della morte di Dio, con annessa
riconciliazione
con
l’ordo
capitalistico. Con i versi di
Shakespeare: “orribile più di
10/04/2013
quello delle erbacce è l’odore dei
gigli sfioriti” (lilies that fester
smell far worse than weeds). E
questi gigli sono effettivamente
sfioriti: sono l’incarnazione di
quello che Nietzsche chiamava
l’“ultimo uomo”. L’ultimo uomo sa
che Dio è morto e che per ciò
stesso tutto è possibile: perfino
aderire
al
capitalismo
e
bombardare il Kosovo o la Libia.
È, del resto, solo in questo
scenario che si comprende il
senso profondo della dinamica,
oggi
trionfante,
della
personalizzazione
esasperata
della polemica con l’avversario.
L’antiberlusconismo, con cui la
sinistra ha identificato il proprio
pensiero e la propria azione negli
ultimi vent’anni, ne rappresenta
l’esempio
insuperato.
La
personalizzazione dei problemi,
infatti, si rivela sempre funzionale
all’abbandono
dell’analisi
strutturale delle contraddizioni, ed
è solo in questa prospettiva che
si
spiega
in
che
senso
l’antiberlusconismo sia stato, per
sua essenza, un fenomeno di
oscuramento
integrale
della
comprensione dei rapporti sociali.
L’antiberlusconismo ha permesso
alla sinistra di riciclarsi, ossia di
passare
dall’opposizione
operativa
al
capitalismo
all’adesione
alle
logiche
neoliberali, difendendo l’ordine, la
legalità (capitalistica) e le regole
(anch’essere
capitalistiche).
L’antiberlusconismo ha indotto
l’opinione pubblica a pensare che
il vero problema fossero sempre e
solo il “conflitto di interessi” e le
volgarità esistenziali di un singolo
individuo e non l’inflessibile
erosione dei diritti sociali (tramite
anche le forme contrattuali più
spregevoli, che rendono a tempo
determinato la vita stessa) e la
subordinazione
geopolitica,
militare e culturale dell’Italia agli
Stati Uniti.
Ingiustizia, miseria e storture
d’ogni sorta hanno così cessato di
controlacrisi
essere intese per quello che
effettivamente sono, ossia per
fisiologici prodotti del cosmo a
morfologia capitalistica, e hanno
preso a essere concepite come
conseguenze
dell’agire
irresponsabile di un singolo
individuo. Per questa via, la
politica della sinistra – con
Voltaire, “mi ripeterò finché non
sarò capito” – non ha più avuto
quale
referente
polemico
il
sistema della produzione e dello
scambio
–
ritenuto
anzi
incondizionatamente buono o,
comunque,
intrascendibile
–,
bensì l’irresponsabilità di una
persona che, senza morale e
senza onestà, ha inficiato il
funzionamento di una realtà
sociale e politica di per sé non
contraddittoria.
La politica ridotta al tragicomico
teatro identitario dell’opposizione
tra
berlusconiani
e
antiberlusconiani ha permesso di
far passare inosservato lo scolpirsi
del nuovo profilo di una sinistra
che – nel nome della questione
morale e nell’oblio di quella
sociale – ha abdicato rispetto alla
propria opposizione agli orrori che
il capitalismo non ha cessato di
generare. È in questo senso che
l’antiberlusconismo rivela la sua
natura anche più indecente, se
mai è possibile, dello stesso
berlusconismo. In questo risiede
la natura tragica, ma non seria
dell’odierna
sinistra,
fronte
avanzato della modernizzazione
capitalistica che sta distruggendo
la vita umana e il pianeta. La
sinistra è il problema e, insieme, si
pensa come la soluzione. Il primo
passo da compiere per riprendere
il perseguimento del programma
marxiano dell’emancipazione di
tutti
dal
capitalistico
regno
animale dello spirito consiste,
pertanto,
nell’abbandono
incondizionato della sinistra e,
anzi, della stessa dicotomia
destra-sinistra. Tutto il resto è
chiacchiera d’intrattenimento o,
avrebbe detto Marx, “ideologia”.
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controlacrisi - 10/04/2013 (www.miogiornale.com)