controlacrisi.org 10/04/2013 #Approvatela! Il 15 aprile la consegna di 50.000 firme per il reddito minimo garantito 10/04/2013 Stanchi di aspettare! #Approvatela! Il 15 aprile 2013 consegneremo al Parlamento le oltre 50mila firme raccolte per un REDDITO MINIMO GARANTITO La campagna per un Reddito minimo Garantito, iniziata a giugno 2012 ha raccolto oltre 50mila firme in tutta Italia, ma dal dicembre 2012 questo Paese non ha ancora un governo politico a cui riferire una istanza come questa. Ora non possiamo più aspettare! Non possiamo aspettare i dieci saggi, l’elezione di un nuovo Capo dello Stato, un eventuale altro scioglimento delle camere, altre consultazioni, forse altre elezioni e poi chissà cosa altro ancora! Dunque siamo stanchi di aspettare e per il rispetto dovuto agli oltre 50mila cittadini e cittadine che hanno firmato, alle 170 associazioni che hanno partecipato, ai milioni di precari e disoccupati che non hanno la garanzia di un reddito minimo, abbiamo deciso che una delegazione rappresentativa della pluralità dei promotori della proposta di legge di iniziativa popolare consegnerà le 50mila firme per l’istituzione del reddito minimo garantito. Chiediamo sin da ora che la Presidenza della Camera si faccia carico dell’avvio di un procedimento urgente affinché la proposta di legge sia presa al più presto in considerazione, 10/04/2013 miogiornale.com eventualmente indicando da subito una commissione di lavoro ad hoc che studi e approvi questa proposta, aprendo la strada anche a una nuova prassi per cui le proposte di iniziativa popolare non siano mai più dimenticate ma invece discusse e valorizzate. Chiediamo inoltre ai parlamentari di accogliere ed incontrare la delegazione che porterà le 50mila firme il 15 aprile 2013 a Roma dalle ore 11.00 sotto Montecitorio. Per tutte le eventuali informazioni in merito alla proposta di legge e alla campagna www.redditogarantito.it La delegazione che presenterà le firme sarà cosi composta: Comitato per il reddito Trieste – Julia Filingeri daSud – Cinzia Paolillo Leoncavallo Rozza – Alessandro Libertà e partecipazione Prato – Diego Blasi Associazione Atdal Over 40 – Stefano Giusti Comitato Reddito minimo garantito Basilicata – Nicola Magnella Comitato reddito garantito Napoli Nord – Peppe Vibrato Tilt – Maria Pia Pizzolante Direttivo Fp Cgil Belluno – Alberto Domenichini Comitato per il reddito Liguria – Pier Giorgio Grossi Sindaco di Petrangeli Precariamente Greco Sindaco di Cagliari – Massimo Zedda - Valentina BIN Italia – Luca Santini Stato CILAP EAPN Teodosi Forum Donne Rifondazione Comunista – Eleonora Forenza Giuseppe – Nicoletta Diritti – Simone – – Diversamente Occupate Teresa Di Martino Progetto Salerni – Consigliere regionale Abruzzo - Maurizio Acerbo European Alternatives Alessandro Valera Quinto Allegri Rieti – Arturo Associazione Ulisse Andria – Vito Ballarino San Precario Milano Sinistra Ecologia Marco Furfaro Libertà Giovani Comunisti Belligero – – Anna Rifondazione Comunista Antonio Ferraro – Una tassa sul patrimonio delle banche 10/04/2013 (sbilanciamoci) Lucania Tricarico World – Michele Antigone controlacrisi 1 di 13 A seguito del meeting G20 di Pittsburgh nel 2008, i governi richiesero al FMI di preparare un rapporto riguardo alle diverse possibilità in cui il settore finanziario potesse contribuire ai costi sostenuti per la sua stessa stabilizzazione. Il rapporto [1] successivamente presentato dal FMI sosteneva che tale “contribuzione per la stabilità finanziaria” dovesse assumere la forma di un’imposta, la cui base imponibile fossero gli stati patrimoniali delle istituzioni finanziarie. Tale scelta fu giustificata sulla base della facilità di attuazione nonché diretta connessione con i “sintomi” del rischio sistemico generato da alcune di queste istituzioni, quali l’eccessiva dimensione o l’interconnessione internazionale di alcune banche “too big to fail”. Nonostante il rapporto ne sottolineasse l’importanza, la mancanza di un coordinamento internazionale nell’attuazione di tale tassa ha impedito un’attuazione di tale misura su scala globale, al contrario ad esempio della tassazione sulle transazioni finanziarie – la celebre Tobin Tax – recentemente approvata dal Consiglio dell’Unione europea [2] . Molti Stati hanno tuttavia individualmente approvato tasse di questo tipo. Ad esempio il Regno Unito ha introdotto nel 2011 un’imposta sulle passività delle banche oltre i 20 miliardi di sterline (circa 23 miliardi di euro) [3] . Simili iniziative sono state adottate in Francia, Germania e Paesi Bassi. L’Italia è uno dei pochi paesi a non aver adottato misure simili [4] . Eppure anche in Italia una misura potrebbe essere utile per due ordini di motivi. Il primo è di natura politico-sociale. Anche in Italia le banche, nonostante non si siano lanciate in cartolarizzazioni come negli Stati Uniti o non abbiano finanziato bolle immobiliari come in Irlanda, Spagna e Regno Unito, nella decade prima della crisi hanno esteso le loro operazioni oltre le tradizionali operazioni di credito e raccolta. Il caso MPS, al di là degli aspetti penali e dall’influenza dei 10/04/2013 partiti, ha origine infatti in operazioni di fusione / acquisizione – nel caso specifico la scalata ad Antonveneta – risultate poi fallite e che hanno portato a varie operazioni di “soccorso” per coprire le perdite [5] . Negli anni precedenti la crisi del 2008 fusione e acquisizione nel mercato bancario sono state comuni, e il conseguente crollo dei titoli azionari ha creato non pochi problemi a tutte le maggiori grandi banche [6] . Senza contare che l’espansione in alcuni mercati dell’Est Europa ha creato non pochi problemi nel 2008-2009 quando la crisi anche in quei paesi si è fatta sentire [7] . Inoltre, a prescindere dal ruolo nella trasmissione e amplificazione della crisi, le banche italiane rappresentano una fondamentale forza economica nel paese, e le operazioni del governo a loro sostegno hanno comportato interventi pari al 5.5% del PIL italiano, certamente non paragonabili alle spese di altri paesi europei o degli Stati Uniti, ma pur sempre considerevoli [8] . Per parafrasare Bersani, è lecito che “chi ha (ricevuto) di più, contribuisca di più”. Il secondo ordine di motivi è di tipo prettamente economico. La tassa andrebbe infatti inquadrata all’interno di una più vasta operazione volta a ridurre i costi del debito pubblico e stabilizzare i mercati finanziari. Come propongono Bellofiore e Toporowski [9] , il governo potrebbe infatti emettere una grande quantità di titoli a breve termine (i nostri Bot) con cui finanziare un’operazione di acquisto di Btp, provocando così un aumento dei prezzi di tali titoli. Una politica analoga è stata compiuta dalla Fed, con l’obiettivo di abbassare i tassi di interesse a lungo termine [10] . Questa operazione avrebbe un effetto positivo sul sistema bancario, poiché la rivalutazione provocherebbe miglioramento degli attivi delle banche e la possibilità di poterli vendere a prezzi di mercato crescenti nel caso di problemi di liquidità, e abbassando i tassi di interesse a lungo termine potrebbe favorire l’estensione del credito alle imprese. Inoltre l’abbassamento dei tassi di interesse – e di conseguenza dello spread – sui Btp offrirebbe la possibilità allo controlacrisi Stato di finanziarsi per operazioni di più lungo termine. In questo modo si potrebbero finanziare più facilmente investimenti pubblici necessari a rilanciare l’economia o altre simili operazioni, come la proposta di Bersani di ripagare i debiti della PA tramite emissione di Btp [11] . La tassa sarebbe così una sorta di “ticket” che le banche pagherebbero per un’operazione di stabilizzazione del sistema a finanziario. Una simile tassa avrebbe peraltro costi limitati e potrebbe favorire un ruolo più positivo delle banche per la crescita. Tassare gli stati patrimoniali delle banche, infatti, non riduce sensibilmente la possibilità per le banche di fare credito. In primo luogo, l’abbassamento dei tassi di interesse e la stabilizzazione del sistema finanziario renderebbero l’ambiente più favorevole all’estensione del credito in generale. Inoltre, la tassa andrebbe formulata in modo tale da incoraggiare il credito produttivo, ad esempio aggiungendo detrazioni dalla base imponibile per credito alle piccole e medie imprese e/o alle famiglie. Infine, si tratterebbe di tasse con aliquote molto basse. Al contrario delle politiche di austerità, tassare gli stati patrimoniali delle banche avrebbe quindi un impatto diretto negativo davvero minimo sulla crescita come lo stesso rapporto iniziale del Fmi suggeriva. Quanto si potrebbe ottenere da una tassa del genere? Le banche italiane in aggregato (quindi includendo banche commerciali, banche d’affari, e cooperative) avevano attività, secondo i dati della Banca d’Italia [12] , pari a circa 4200 miliardi di euro a dicembre 2012. Applicando un’aliquota bassa dello 0,03%, l’aliquota applicata in Germania sulle banche di media grandezza, si otterrebbe un gettito di circa 2,1 miliardi di euro. Non si tratta certamente di cifre da capogiro, ma nemmeno irrisorie. Si tratterebbe poi di una cifra importante ma non eccessiva per i redditi del settore bancario: secondo i dati Ocse [13] , nel 2009 – annus horribilis per le banche di tutto il mondo – , i profitti delle banche italiane ammontavano a circa 11 miliardi di euro a fronte di attività 3400 miliardi di euro: questo porterebbe ad un gettito di 2 di 13 circa 1.2 miliardi, ovverosia circa il 10% dei profitti. Ma se si prende un anno migliore come il 2006 tale rapporto passa al 3%. Naturalmente si potrebbe progressivamente aumentare l’aliquota in modo da dare alle banche il tempo di adeguare le loro operazioni alle nuove imposizioni fiscali, come ad esempio è stato fatto in Regno Unito, dove dal 2013 l’aliquota per la parte di passività a breve termine è dello 0,105%. Toporowski e Bellofiore suggeriscono cifre ancora più alte intorno all’1-1,5%. In sintesi adottare una tassa sugli stati patrimoniali delle banche: 1) è un’operazione politicamente sensata, poiché farebbe contribuire in maniera diretta il settore più direttamente legato alla crisi; 2) in particolare costituirebbe un contributo nell'ambito di un più vasto programma mirato ad abbassare i tassi di interesse a lungo periodo; 3) favorirebbe un ruolo positivo del credito bancario, oggi più che mai necessario a rilanciare l’economia; 4) non imporrebbe un eccessivo sulle banche. costo Naturalmente tutto questo non è sufficiente per far ripartire la crescita: la fine delle politiche di austerità in sede europea e il cambiamento del comportamento Bce come prestatore di ultima istanza sono senza dubbio elementi ben più fondamentali. Rimane comunque utile pensare a strategie che i singoli Stati possono adottare per provare a stabilizzare il sistema finanziario e gestire in modo più “creativo” il proprio debito pubblico. Tassare gli stati patrimoniali delle banche può essere una parte importante di questo progetto. [1] www.imf.org/external/np/g20/ pdf/062710b.pdf [2] www.consilium.europa.eu/ uedocs/cms_data/docs/pressdata/ en/ecofin/134949.pdf [3] Le aliquote in vigore dal 2012 in poi sono 0,088% per le passività a breve termine e 10/04/2013 0,0375% per quelle a lungo termine www.kpmg.com/Global/ en/IssuesAndInsights/ ArticlesPublications/Documents/ bank-levy-9v2.pdf che insieme all'Europa ne è il diretto responsabile e mandante, non ne parlano i partiti parlamentari che hanno evidentemente altre priorità o si vergognano di aver votato leggi [4] http://archive.nbuv.gov.ua/ che determinano la crisi. I partiti portal/Soc_Gum/VUABS/2012_2/ parlano di altro, ognuno per 33_03_01.pdf mascherare il proprio calcolo elettorale, ma i problemi del [5] http://temi.repubblica.it/ paese restano fuori, distanti o al micromega-online/brancacciolimite parte di un commento a monte-paschi-e-solo-la-puntaseguito dei fischi presi da parte delliceberg/ delle cariche istituzionali in un funerale come avvenuto a [6] http://keynesblog.com/2013/ Civitanova. Il tema del lavoro, i 02/01/monte-dei-paschi-unalicenziamenti, gli esodati, la privatizzazione-disastrosa/ precarietà sono silenziati in queste settimane. Non c'è un pirla [7] http://archivio.lavoce.info/ in parlamento che dica alla articoli/pagina1001052.html Fornero e Monti di dimettersi e di vergognarsi a vita per quello che [8] hanno fatto. Non c'è un segretario http://opendatablog.ilsole24ore.com/ di partito, portavoce, o come 2012/07/dopo-il-crack-lehmancavolo volete chiamarlo che punta spesi-4-700-miliardi-per-ill'indice di accusa contro Draghi, la salvataggio-delle-banche/ Commissione Europea, e il resto #axzz2NRH9eF28 della congregazione che impone l'asterit ed il Fiscal Compact. Non [9] www.criticamarxista.net/ c'è un uomo o donna eletto che articoli/5_2011bellofiore.pdf presenti una legge per cancellare le loro controriforme sul lavoro, [10] www.ilsole24ore.com/art/ quella sulle pensioni, quella finanza-e-mercati/2012-06-20/ sull'art.18, quella sul contratto di lascia-tassi-fermilavoro. Nessuno che proponga amplia-183507.shtml?uuid=AbwoJavF qualcosa di serio per bloccare le delocalizzazioni, per fermare i [11] www.huffingtonpost.it/2013/ licenziamenti, per prendere in 02/06/elezioni-2013-ora-tocca-amano le banche e dare crediti bersani-fare-la-propostaagevolati a famiglie ed imprese. shock-50-miliardi-di-btp-ripagarePer loro non conta che lo Stato imprese_n_2632234.html è diventato un gabelliere dell'Europa della Merkel, al limite [12] www.bancaditalia.it/ parlano di come renderlo più statistiche/stat_mon_cred_fin/ efficiente. Così nel disinteresse banc_fin/pimsmc/2013/sb12_13/ generale va avanti la tragedia en_suppl_12_13.pdf come se questa fosse un temporale, un'alluvione. Dopo le [13] http://stats.oecd.org Marche oggi è il Veneto a piangere vittime innocenti. Il primo a morire è stato un operaio di Feltre. Lunedì pomeriggio non è ritornato in fabbrica ma è andato in un Ancora suicidi per la boschetto di Pedavena, ha scelto crisi. Mandanti ancora a un albero e vi ha appeso una piede libero corda. Aveva 46 anni, un figlio e faceva il capo ufficio in un'azienda 10/04/2013 di Francesco Piobbichi di componentistica per occhiali, ma temeve di essere messo in In Italia per mobilità. All'alba di ieri un parlare di lavoro e geometra trevigiano si è invece di crisi occorre impiccato alla gru del cantiere di aspettare il Portogruaro dove lavorava. È bollettino stato ritrovato dai colleghi alle 8 giornaliero dei sucidi e dei morti. del mattino, insieme al corpo Certo è che di questa guerra poche righe in cui chiedeva silenziosa che sconvolge il nostro perdono spiegando che la vita era paese nessuno parla in termini diventata troppo faticosa. Ho seri. Non ne parla il Governo Monti scritto qualche giorno fa che è controlacrisi 3 di 13 necessario reinstaurare l'odio di classe in questo paese, perchè se non ci sono avversari contro chi indirizzarlo si finisce per indirizzarlo contro se stessi. Sono sempre più convinto che occorre lavorare per organizzare ogni giorno la lotta contro i responsabili di tutto questo, perchè sono ancora a piede libero e le loro leggi continuano a fare vittime. Doveroso istituire le Commissioni 10/04/2013 di Luigi Saraceni (il manifesto) La mancata costituzione delle Commissioni permanenti delle Camere è una flagrante violazione dei regolamenti parlamentari e quindi della Costituzione, che ad essi rinvia. Entrambi i regolamenti prevedono che i gruppi parlamentari, una volta costituiti, hanno l'obbligo di indicare i loro rappresentanti nelle Commissioni permanenti entro termini brevissimi, al massimo entro cinque giorni, già abbondantemente scaduti. L'obiezione che non si potrebbero costituire gli uffici di presidenza se non viene prima definita una maggioranza che sostiene il governo e una minoranza che vi si oppone, è del tutto inconsistente e contrasta, ancora una volta, con entrambi i regolamenti. Sia quello della Camera (art. 20) che del Senato (art. 27) prescrivono che le Commissioni eleggano presidente e ufficio di presidenza nella loro prima seduta, senza alcun riferimento a maggioranza o opposizione, che non sono articolazioni istituzionali del parlamento, ma variabili entità politiche. Viene eletto chi riporta più voti, da qualunque parte provengano, con le stesse procedure previste per l'elezione dei vertici delle due Camere (maggioranze qualificate nelle prime votazioni e poi ballottaggio), cui i regolamenti fanno esplicito riferimento anche per l'elezione dei vertici delle Commissioni. E non si capisce perché le stesse regole, applicate in un caso, non possano esserlo nell'altro. Ed anche gli uffici di presidenza delle due Commissioni speciali di Camera e Senato, confluite nella Commissione speciale congiunta 10/04/2013 «per l'esame di provvedimenti urgenti» (crediti delle imprese) sono stati eletti con le stesse procedure. Ancora una volta non si capisce perché, a termini di regolamento, le Commissioni speciali possono essere costituite senza fare il nuovo governo e quelle permanenti no. La ostinazione dei due maggiori partiti (per fortuna con il dissenso di Sel e di un pezzo di Pd) ad impedire l'ordinaria attività legislativa, riduce le Camere a mere strutture per l'attuazione del programma del governo, rovesciando la "gerarchia" degli organi costituzionali, relegando il parlamento in un ruolo subordinato. Invece, proprio in una congiuntura politica così difficile sarebbe stato necessario mandare al paese un messaggio di vitalità e funzionalità del parlamento, che avrebbe dimostrato nei fatti la sua centralità, che non basta declamare a parole. Come la storia dimostra, il parlamento, quando vuole, è capace di approvare in tempi brevissimi leggi importanti e complesse. La famigerata FiniGiovanardi - decine di articoli, centinaia di commi - è stata approvata in venti giorni dalla maggioranza di centrodestra. Se, come sarebbe stato doveroso, questo parlamento si fosse messo al lavoro nei termini prescritti dalla Costituzione, oggi nessuno potrebbe dire che stiamo perdendo tempo e non avremmo davanti a noi uno sconcertante vuoto di qualche settimana. E qualcuno degli otto punti di Bersani potrebbe essere già legge o almeno approvato dalla Camera, con il parere del governo in carica per gli affari correnti, ritenuto legittimato addirittura ad emanare decreti legge. Sarebbe stato certamente un buon viatico per meritarsi l'incarico di governo dal nuovo Presidente della Repubblica. L'economia politica delle identità 10/04/2013 di Cinzia Arruzza (il manifesto) controlacrisi Segnate da un iniziale sguardo critico, le teorie queer hanno recentemente riscoperto l'opera di Karl Marx. Un percorso di lettura a partire da alcuni saggi pubblicati negli Stati Uniti Judith Butler racconta nella sua seconda prefazione a Gender Trouble che, al momento di inviare il suo manoscritto all'editore Routledge, tutto si sarebbe aspettata tranne l'enorme attenzione che il libro avrebbe attratto. Un'attenzione tale da cambiare il volto della teoria femminista contemporanea, al punto che molte teoriche non esitano a parlare di una «terza ondata» femminista. In Italia il libro è arrivato con ben quattordici anni di ritardo e con il titolo piuttosto dubbio di Scambi di genere, che rende poco l'idea della costitutiva fragilità di ogni identità di genere e dell'incoerenza sempre in agguato in ogni citazione e ripetizione della norma a cui ogni identità è riconducibile. In Scambi di genere e Corpi che contano di Judith Butler, generalmente considerati come due dei testi fondativi e più influenti della teoria queer, è 4 di 13 possibile ravvisare alcuni dei trend teorici ed epistemologici che avrebbero caratterizzato il futuro sviluppo della teoria. In primo luogo la svolta linguistica operata da Butler, nella sua interpretazione della nozione di «performativo» elaborata da John Austin in Come fare cose con le parole. La nozione di «performativo» viene però estrapolata dal contesto linguistico di Austin e applicata da Butler, e da buona parte degli altri teorici queer, come un dispositivo interpretativo di una vasta gamma di pratiche sociali e discorsive. Si tratta di quelle pratiche che all'interno di una ««matrice eteronormativa» costituiscono il soggetto con la sua identità di genere, celando al tempo stesso la natura costruita sia di quel soggetto che della sua identità. Da questo approccio discendono due ulteriori aspetti largamente presenti nella letteratura queer: quella che il filosofo Steven Best ha definito come «la dittatura del frammento» e la critica dell'essenzialismo e del fondazionalismo (da questo punto di vista, le critiche di Butler, Jacques Lacan, Julia Kristeva e Luce Irigaray hanno fatto scuola). Un riduzionismo da superare I lavori teorici queer degli inizi degli anni Novanta sono stati caratterizzati anche da una forte critica all'opera di Marx, sostituito generalmente con Foucault. All'ansia di totalità e all'ortodossia riduzionista e determinista attribuita al marxismo viene, infatti, preferita l'attenzione foucaultiana verso la microfisica del potere, i regimi discorsivi e la radicale contigenza del rapporto tra pratiche discorsive e non discorsive. Così, ad esempio, diversi dei saggi contenuti nella seminale raccolta Fear of a Queer Planet, curata da Michael Warner e apparsa nel 1993, criticavano esplicitamente il marxismo per la sua cecità rispetto alla sessualità e alla politica sessuale. E nel dicembre del 1996, Judith Butler lanciava una provocazione alla platea - tendenzialmente marxista - di un convegno organizzato dalla rivista Rethinking Marxism, accusando il «marxismo ortodosso» di separare in maniera meccanicistica il culturale dall'economico, di stabilire una gerarchia netta tra oppressione e sfruttamento, e di liquidare come 10/04/2013 «meramente culturali» i nuovi movimenti centrati sulla sessualità. Questo intervento è stato pubblicato due anni dopo, con il titolo per l'appunto di «Merely Cultural», sulle pagine della New Left Review, che ha ospitato anche la risposta di Nancy Fraser (Misrecognition and Capitalism: A Response to Judith Butler). Con queste premesse, le prospettive di un riavvicinamento tra teoria queer e marxismo sembravano tutt'altro che rosee. E tuttavia, nell'ultimo decennio ha iniziato a farsi strada una nuova tendenza a confrontarsi nuovamente con Marx al di là di facili e stereotipate caricature e a prendere in considerazione le dinamiche capitalistiche e la loro relazione con la formazione delle identità di genere. Uno degli aspetti lampanti e per certi versi sconcertanti del lavoro di Butler sul genere, infatti, è l'assenza di una problematizzazione del rapporto tra le dinamiche della valorizzazione capitalista e la sua diagnosi del genere come performativo e come indissolubilmente connesso a una matrice eteronormativa. Questo rapporto viene, invece, tematizzato in una serie di pubblicazioni che hanno provato a portare avanti sia una critica antieteronormativa del capitale sia una critica della politica mainstream gay e lesbica, basata su una rivendicazione di diritti formali articolati all'interno di un orizzonte neoliberale: si vedano, ad esempio, i lavori di Alan Sears, Lisa Duggan, Arnaldo Cruz-Malavé e Martin F. Manalasan. Tra i lavori che in maniera sistematica hanno provato a integrare una prospettiva queer con una metodologia marxista spiccano il volume di Rosemary Hennessy Profit and Pleasure. Sexual Identities in Late Capitalism (Routledge) e il più recente volume di Kevin Floyd, The Reification of Desire. Toward a Queer Marxism (University of Minnesota Press). La traiettoria intellettuale di Rosemary Hennessy è particolarmente interessante. Nel suo primo libro, Materialist Feminism and the Politics of Discourse (Routledge 1992), Hennessy aveva portato avanti un progetto di integrazione tra marxismo, femminismo materialista e poststrutturalismo, centrato sull'idea della reciproca controlacrisi determinazione degli aspetti economici, culturali e politici della vita sociale. Un progetto, questo, abbandonato con il secondo libro, Profit and Pleasure, nella cui introduzione Hennessy confessa d'essere giunta a realizzare che il suo lavoro precedente aveva contribuito al processo di elisione sistematica dell'analisi del sistema di classe capitalistico dai discorsi sul genere e la sessualità all'interno del mondo universitario americano. Reazioni identitarie Profit and Pleasure propone, dunque, un approccio articolato alla questione del rapporto tra relazioni di produzione e sessualità, e più in generale tra «i discorsi attraverso i quali rendiamo il mondo intelligibile e le strutture di accumulazione e lavoro». Si tratta di un approccio che liquida in maniera definitiva il modello struttura-sovrastruttura proprio del «marxismo volgare», contro il quale privilegia, da un lato, una concezione del capitalismo come organizzazione di relazioni umane, o di relazioni tra «individui vivi», dall'altro, nozioni quali quella di «esperienza» elaborata dallo storico inglese Edward P. Thompson. In questa prospettiva, e facendo anche un uso critico del concetto di sovradeterminazione, Hennessy analizza la costruzione di identità sessuali e la loro connessione con le identità di genere alla luce del processo di diffusione della produzione di merci in Europa e negli Stati Uniti alla fine del diciannovesimo secolo. La tesi di Hennessy è che la reificazione dell'identità sessuale, l'emergere di identità omosessuali ed eterosessuali siano una conseguenza dell'impatto dissolvente esercitato dal capitalismo sulla rete di relazioni familiari e sui legami sociali tradizionali e della diffusione del consumo di massa. Le nuove identità etero e omosessuale, dunque, «non solo addomesticarono la potenziale minaccia posta alla differenza di genere patriarcale, ma addirittura reintegrarono quest'ultima all'interno di una nuova ideologia (eterogenere) dell'identità sessuale». L'intervento teorico di Kevin Floyd, che rappresenta probabilmente a oggi il tentativo più sistematico di integrazione tra teoria queer e marxismo, si 5 di 13 muove su linee analoghe a quelle di Hennessy, ma fa ricorso a due diversi concetti chiave della tradizione marxista: quello di totalità e quello di reificazione, per i quali Floyd si confronta criticamente con György Lukács. Le argomentazioni di Floyd sono troppo complesse per essere riassunte in poche righe. E tuttavia, la sua analisi della costruzione della mascolinità negli Stati Uniti, durante quello che Floyd definisce il regime di accumulazione fordista, è forse l'esempio più brillante delle interessanti potenzialità contenute non solo in un'applicazione di un'analisi materialista ai processi di costruzione delle identità sessuali, ma anche in una revisione del marxismo stesso alla luce della critica queer. Una storicità senza storia Sottolineando il fatto che nel lavoro di Butler ci si trova davanti a una storicità senza storia, a una considerazione meramente astratta del carattere temporale della performatività, Floyd insiste sul fatto che il carattere performativo della mascolinità nel fordismo è il prodotto di una serie di comportamenti e modelli di consumo prescritti all'interno di un tempo libero rigidamente regolato dalla forma merce. In entrambi i lavori di Hennessy e Floyd, l'esigenza che emerge in maniera preponderante è quella di tornare a un approccio epistemologico e a un metodo di critica sociale che permetta di tracciare nuovamente connessione causali, di spiegare i processi analizzati, anziché limitarsi a descriverli. Un'esigenza, questa, che Floyd riscontra in una parte crescenta della letteratura queer americana. Intanto, l'editore Pluto Press ha annunciato la pubblicazione entro l'anno del prossimo volume di James Penney, dal titolo, per così dire, «performativo»: After Queer Theory. Il libro conterrà capitoli sui recenti scritti queer di Ahmed, Sedgwick, Puar, Edelman, su sessualità e universalismo, sul marxismo antiomofobo. Ma lo «scandalo», secondo la definizione data dall'autore, risiederà nella tesi centrale. In questo libro, infatti, James Penney sosterrà che la teoria queer ha fatto il suo corso, e che bisogna abbandonare il progetto ormai esaurito di politicizzazione della 10/04/2013 sessualità e ripensare il rapporto tra sessualità e politica attraverso un ritorno critico al marxismo e alla psicoanalisi. Quali sarebbero i meriti della Thatcher? 10/04/2013 di Paul Krugman (Keynesblog) Ci saranno presumibilmente molti commenti su Margaret Thatcher nel corso dei prossimi giorni, anche se probabilmente non come il “Reagasm” [gioco di parole tra "Reagan" e "orgasm", ndt] del 2004. E ci saranno, in particolare, molte affermazioni circa il fatto che la Thatcher ha trasformato la moribonda economia britannica. Ma è giusto? D’accordo, non voglio distruggere tutto – il punto di domanda nel titolo di questo post è serio. Ma penso che sia interessante guardare a ciò che è realmente accaduto a livello macro. Ora, non c’è dubbio che la Gran Bretagna svoltò. Nel 1970 era un paese con enormi problemi economici, oggi, nonostante il fallimento delle politiche di austerità, si trova in una posizione molto più forte. Ci sono vari modi per mostrarlo, credo sia utile confrontare la Gran Bretagna con il suo amato-odiato vicino, la Francia. Quindi ecco il PIL pro capite in Gran Bretagna rispetto alla Francia: continua "Legge sul reddito minimo urgente. Precarietà forma di povertà". Intervista a Sandro Gobetti 09/04/2013 di fabio sebastiani Nei prossimi giorni verrà presentato all’ufficio di presidenza della controlacrisi Camera dei deputati, la proposta di legge di iniziativa popolare sul reddito minimo garantito. La raccolta delle firme ha impegnato nei mesi scorsi diverse organizzazioni sociali e politiche, tra cui il Prc. Abbiamo intervistato Sandro Gobetti, di Bin Italia, Basic Income Network Italia Perché avete consegnare cinquantamila sostegno della legge? deciso ora firme proposta di le a di Tenuto conto che l firme sono state raccolte in sei mesi la consegna delle firme è diventata un atto urgentissimo oltre che dovuto non solo per la condizione sociale dei precari. Attendiamo di consegnare queste firme da ormai tre mesi, a causa di tutte le scadenze politiche che si sono frapposte. Abbiamo ritenuto che non si poteva più aspettare e rischiare di vanificare tutto il lavoro fatto con considerazioni varie su governo sì e governo no. Le consegneremo alla Camera, all’ufficio di presidenza. Un invito che facciamo fin da ora ai parlamentari è di incontrare chi porterà le firme e di dar vita quanto prima a una Commissione speciale. Spesso le leggi iniziativa popolare, infatti, finiscono nel dimenticatoio. Rispetto a quando avete iniziato la raccolta delle firme, la crisi economica come ha cambiato la situazione sociale? C’è stato un netto e forte peggioramento. Bin Italia a dicembre dell’anno scorso scrisse, come il Sole 24 ore che titolò ‘Fate Presto’, una lettera con lo stesso slogan, rivolta a Monti. A distanza di un anno purtroppo vediamo che la situazione è peggiorata. Quasi il 29,9% della popolazione italiana è a rischio di povertà. Se non implementiamo la misura nei prossimi cinque anni la metà della popolazione vivrà sotto la soglia di povertà. Molti analisti che parlavano di precarietà come forma di lavoro legata al postfordismo oggi parlano di precarietà come una delle nuove forme di povertà. 6 di 13 La fase di raccolta delle firme è stata a modo suo un piccolo laboratorio politico… La proposta di legge e la campagna di raccolta firme ha avuto il sostegno e l’adesione di 170 tra associazioni, partiti della sinistra e soggetti vari. La delegazione che porterà la proposta e le firme in Parlamento è formata da almeno una trentina di persone. La campagna è stata molto plurale e trasversale, ed è stata segnata da una grande partecipazione popolare. Nella campagna abbiamo notato alcuni elementi interessanti, tra cui la disponibilità delle persone a parlare di questo tema e a firmare. Un elemento che ci ha stupito e che segnala la fine di alcuni tabù culturali. Abbiamo avuto persone, come nel quartiere di Casalbertone a Roma, che hanno firmato dicendo “voglio lasciare a mio nipote almeno una firma per il suo futuro”. Un modo molto pragmatico per trasmettere un patrimonio di lotta che ha conquistato un diritto. Il tema del reddito è molto più compreso dalla gente che non dalle organizzazioni politiche. Abbiamo sviluppato almeno 260 iniziative in 200 città diverse. E tutto fuori dai media mainstream e dalla loro sponsorizzazione. Un segnale di mobilitazione dal basso che noi stessi non pensavamo di poter garantire. Molte altre organizzazione, tra mondo della politica e del sindacato, hanno avanzato proposte sul reddito minimo. E’ un bene o no? Le altre proposte incidono, non c’è dubbio, dal punto di vista generale perché incentivano la discussione e portano avanti in qualche modo la rottura del tabù. Il tema non è più relegato in una nicchia. Dall’altra parte bisogna capire bene i criteri introdotti, però. Grillo, per esempio, sul termine reddito di cittadinanza mostra un po’ di superficialità. Non si può sostenere, come fa lui, che il reddito viene ritirato se uno non accetta il lavoro. Ci sono molti casi in cui il lavoro non arriva. I criteri vanno descritti e definiti nella loro complessità. Il rischio è di andare verso un reddito minimo di inserimento, perché il punto di vista da cui si parte è quello lavorista. Insomma c’è il rischio 10/04/2013 che l’obbligo ad accettare un lavoro porti verso un panorama di lavori a bassa qualifica. Il mondo del lavoro è cambiato e anche le condizioni sociali. Non parliamo delle condizioni individuali. Infine, qual è il profilo della vostra proposta? La legge innanzitutto intende affrontare un diritto basico ovvero che la di sotto di una certa soglia non bisogna stare. E questa soglia è di 600 euro mensili. Poi, ovviamente, questa soglia determina un’apertura ad altri diritti, tipo un tetto sulla testa e ad altre misure come in Europa i trasporti gratuiti e la cultura. Stiamo parlando quindi del cosiddetto reddito indiretto, ovvero una erogazione economica minimamente dignitosa. C’è poi la questione della congruità, ovvero il rifiuto del lavoro offerto se non è congruo con l’esperienza lavorativa passata. Vengono poi formulate delle deleghe al governo sul salario minimo orario, che trae spunto dal fatto che milioni di persone non stanno più nei contratti nazionali ed hanno ormai un confronto individuale con la controparte padronale. In questa delega al governo c’è anche l’idea dell’accorpamento delle misure di welfare per fare in modo da formare un plafond di diritti inespugnabile ed universale. Le bugie della Fiat sui licenziamenti smascherate dalla Fiom 09/04/2013 di fabrizio salvatori "Non e' vero che la Fiat non ha chiuso stabilimenti e ridotto l'occupazione, come dimostrano la Cnh di Imola, la Irisbus di Grotta Minarda e Termini Imerese. A ciò si aggiunge l'enorme iduzione dell'occupazione nel settore della componentistica e nell'indotto Fiat, legata al ritardo negli investimenti e ai milioni di ore di Cassa integrazione registrato nel settore Auto". In tutto, non meno di ventimila lavoratori sono stati costretti alla disoccupazione. La replica, di fronte alle evidenti assurdità della Fiat, era necessaria. E’ stato il segretario controlacrisi generale della Fiom, Maurizio Landini, mettere giù dati e circostanze. E non è certo la prima volta. “Il governo Berlusconi prima e il governo Monti poi - ricorda Landini - hanno fatto quello che Marchionne chiedeva e, a differenza di Francia, Germania e Stati Uniti paghiamo la lunga assenza di un Esecutivo e di una politica industriale che impegni l'Azienda a fare investimenti e qualificare la produzione nel nostro Paese". "Inoltre registriamo che, mentre l'ad Fiat si e' aumentato lo stipendio e pur in presenza di utili, i salari dei dipendenti diminuiscono, a dimostrazione - conclude il leader della Fiom - che l'Azienda fa pagare il conto della crisi e dei ritardi sull'innovazione e sulla ricerca ai suoi lavoratori." “Le bombe nelle piazze, le bombe nei vagoni, le mettono i fascisti, le pagano i padroni” . Wikileaks conferma 09/04/2013 di Nando Mainardi Wikileaks ha colpito ancora, e questa volta ci consente di conoscere cosa ha combinato la diplomazia americana tra il 1973 e il 1976. I "Cables Kissinger" rivelano, tra le altre cose, trame, manovre e ingerenze del governo americano negli affari italiani. Oggi "La Repubblica" rende nota l'irritazione del dipartimento di Stato statunitense dell'epoca per i passi in avanti della magistratura italiana nella lotta ai neofascisti, ai neonazisti e ai servizi segreti gravemente collusi, che piazzavano bombe e progettavano colpi di stato. Ad esempio, l'ambasciatore Usa a Roma diede giudizi negativi sull'arresto del generale Amos Spiazzi, coinvolto nell'organizzazione golpista "Rosa dei Venti". Stessa cosa per l'arresto del capo del Sid Vito Miceli. Gli apparati governativi americani parlavano di "caccia alle streghe alimentata per avvantaggiare la sinistra", di tentativo di "far sterzare a sinistra la politica italiana" e via dicendo. Insomma, la magistratura non doveva indagare su cospirazioni e stragi - questo il ragionamento - 7 di 13 perché questo significava stare dalla parte dei comunisti. Questi documenti non devono stupire più di tanto, perché in realtà confermano un quadro generale, alleanze esplicite e sommerse, già noti da tempo, spesso confermati anche nelle aule dei tribunali, seppure dopo insabbiamenti e lunghissimi e contorti iter giudiziari. In Italia, in quegli anni, era all'opera un blocco, costituito da apparati dello stato, uomini di governo, servizi segreti, organizzazioni fasciste e naziste, con l'obiettivo di una svolta autoritaria nel nostro Paese. Tale blocco si muoveva contando su spinte e alleanze internazionali tra cui, in particolare, sostegni significativi nel campo degli apparati governativi statunitensi. La priorità era fermare, ad ogni costo e con ogni mezzo, il consenso crescente dei comunisti, e una lunga e gloriosa stagione di grandi lotte e di mobilitazioni operaie e democratiche. Va detto che la nuova sinistra, la sinistra extraparlamentare, la sinistra rivoluzionaria, insomma la sinistra nata dalla grande spinta del '68 italiano, fu la prima, e in presa diretta, a denunciare pubblicamente quanto stava avvenendo, a fare nomi e cognomi, a mettere radicalmente in discussione le finte ed artefatte verità diffuse in primis dalle istituzioni. Un esempio su tutti: il primo, vero passo verso la ricostruzione della strage di Piazza Fontana, l'individuazione degli assassini (altro che gli anarchici!!) e dei conniventi, del quadro interno ed internazionale, venne fatto con la pubblicazione del volumetto "La strage di Stato" del 1970, che sancì la nascita della "controinformazione". Quella sinistra lì avrà sicuramente commesso diversi errori, in quegli anni e negli anni successivi. Ma ha anche dei meriti, come l'aver smascherato cosa stava avvenendo nel Paese. Perciò Wikileaks, oggi, ci dice un po' di cose che avvennero dietro le quinte in quegli anni. Migliaia di ragazze e di ragazze, che si definivano rivoluzionari, c'erano già arrivati una quarantina d'anni fa, senza conoscere i documenti riservati del governo statunitense, ma con la lotta, la militanza e la voglia di andare oltre le "verità" propinate. Anche per questo, vanno ringraziati. 10/04/2013 Ilaria Cucchi: Tutti condannati. Anche Stefano 09/04/2013 di Ilaria Cucchi La PM Loy durante la requisitoria afferma che ‘Stefano Cucchi, lungi dall’essere persona sana e sportiva (come invece sostengono gli stessi periti della corte) era invece un tossico dipendente da vent’anni (cioè dall’età di undici anni)’. Ora capisco da chi ha saputo l’On. Giovanardi che mio fratello era uno ‘zombie sieropositivo’. Perché evidente…mente per lo Stato mio fratello era questo. Poco contano le decine di testimonianze che affermano che Stefano stava bene e faceva tapirulan un’ora prima del suo arresto. Poco conta che nelle sue urine non vi erano tracce di droga. Lui era un morto che camminava. Ed era ‘cafone ed arrogante’ perché era in crisi di astinenza. Non perché massacrato di botte. Ed è morto perché drogato. È morto per colpa sua. E noi suoi complici. Comprendo perfettamente tutte le famiglie che rinunciano ad avere un processo. Renzi e sinistra, campo e contro-campo 09/04/2013 di Loris Caruso (il Manifesto ) Il sindaco di Firenze è oggi il «prodotto politico più nuovo», anche di Grillo. controlacrisi L’antidoto a entrambi è l’aggancio ai soggetti reali Dopo il nuovo, il più nuovo, poi il più nuovo ancora, e così via all’infinito. La politica, italiana e non solo, segue ormai la logica della pura e semplice produzione di merci. Non quella di qualsiasi epoca, ma di questa in cui il ciclo di vita dei prodotti diventa sempre più breve e l’innovazione ha il carattere della rivoluzione permanente. La distinzione Nuovo/Vecchio, più merceologica che politica, ha quasi completamente oscurato quelle tradizionali (destra/sinistra, capitale /lavoro). Adesso il Nuovo è ovviamente incarnato dal M5S. La sua forza principale è stata finora quella di rappresentare l’estraneità assoluta al prodotto declinante, i partiti, di un mercato saturo, la democrazia rappresentativa, svuotata da tre decenni di neoliberismo. Il consenso che ha ottenuto deriva soprattutto da questa posizione, ed è naturale che adesso cerchi di conservarla. Questa rendita di posizione però è anche un’arma a doppio taglio, come tutte le armi di natura mediatica e spettacolare. Da un lato paralizza il Movimento, impedendogli di incidere immediatamente sulla realtà politica italiana (un’opportunità che Casaleggio e Grillo non si aspettavano, e che li ha spiazzati), con il rischio di deludere una parte del proprio elettorato apparendo, come le altre forze, inutile rispetto ai bisogni e alle insicurezze sociali e più orientato alla crescita della propria rendita che all’interesse generale. Dall’altro lato, proprio questo insieme di meccanismi, unito alla sovraesposizione mediatica, rischia di consumare l’immagine del prodotto web-M5S, di renderla già vecchia e assimilabile a quella delle altre forze politiche. Un conto è essere fuori dalle istituzioni importanti e poter giocare la carta dell’outsider, ma se la logica dominante diventa quella del nuovo-outsider che scalza chiunque sia interno al sistema, una volta che si diventa interni la ruota può girare in fretta anche contro chi ha vinto l’ultimo giro. Non è vero che i principali mezzi di comunicazione sono ostili a Grillo. I principali quotidiani e canali televisivi hanno costruito negli 8 di 13 anni le condizioni culturali del suo successo, riconducendo tutti i problemi della società alla corruzione della «Casta». E lo hanno favorito direttamente: Grillo è sulle prime pagine e nei prime time da 5 anni. Ma i media hanno la loro logica: il ciclo di vita della merce-notizia è breve. E i loro proprietari e inserzionisti hanno i loro interessi: magari dopo Grillo può esserci qualcuno che li rappresenta meglio. In questi giorni c’è qualche avvisaglia del fatto che il nuovo più nuovo ancora, e più utile ancora, dopo essere stato testato in sondaggi, focus group e test sui consumatori (le primarie del centrosinistra), sia già disponibile a essere immesso nel mercato e occupare la scena mediatica a fianco, ma anche al posto, di Grillo. Piace anche al segmento di mercato più entusiasta di Grillo, i giovani, come ha dimostrato la trasmissione «Amici». Matteo Renzi ha tutte le potenzialità per creare un mercato monopolistico, riassumendo in sé e portando a una sintesi superiore le innovazioni tecnologiche ed estetiche che hanno fatto la fortuna del prodotto precedente. È Nuovo (o almeno riesce a presentarsi così), non ha connotazioni ideologiche (anche se è liberista), piace a sinistra e a destra (più a destra), usa retoriche anti-Casta. In più, rispetto a Grillo, è «Giovane», e può essere rappresentato come uomo proveniente dalla sinistra. Il prodotto sarebbe ancora più efficace del precedente nell’eliminare la residua presenza politica e culturale della sinistra, e magari nel favorire una chiusura della transizione basata su riforme restrittive della democrazia (presidenzialismo, ulteriore rafforzamento dell’esecutivo sul legislativo, «americanizzazione» del finanziamento ai partiti). Con Renzi il capitalismo avrebbe uno sparring partner meno ambiguo di Grillo, privo (anzi avversario) delle sue inclinazioni ambientaliste e comunitaristiche. Tutto il discorso pubblico potrebbe concentrarsi sulla sola riduzione del peso, già molto leggero, della politica nella società, e il carattere di «Novità» potrebbe convergere sul compimento dell’evoluzione liberista della sinistra riformista. Che Renzi piaccia al capitalismo 10/04/2013 italiano lo dice la lista dei suoi finanziatori: immobiliaristi, finanzieri, imprenditori, rentier. I sondaggi già lo dicono: il suo gradimento è quasi doppio rispetto a quello del prodotto concorrente. L’ansia di nuovo viene ricondotta all’avvicendamento sempre più veloce tra leader. Ma proprio l’infinità di questo meccanismo, il fatto che ogni novità presto stanchi e deluda gli elettori, segnala che contiene una volontà di cambiamento strutturale che i media sanno trattenere e deviare. Come si sta dicendo da più parti, è la stessa democrazia rappresentativa a non essere più in grado di contenere i cambiamenti sociali degli ultimi 30 anni, e quindi ad attraversare una crisi organica. Il nucleo di questa crisi è la sconnessione radicale tra forze politiche e gruppi sociali. Quali sono i gruppi sociali di riferimento delle forze politiche presenti in Parlamento? Tutti e nessuno. I sistemi politici crollano soprattutto per questa sconnessione. Dall’altro lato, la base della delusione e della continua ricerca della novità è l’assenza di politiche popolari. Di fronte al campo iper-ideologico scelto dalle élite per affrontare la crisi politica ed economica, la sinistra non ha altra risorsa che costruire un contro-campo popolato di soggetti reali e problemi reali. La mobilitazione collettiva e la costruzione di coalizioni sociali sono sempre state le sue sole armi contro le rappresentazioni ideologiche della società, i cui strumenti oggi si moltiplicano a dismisura. Le forze politiche e sociali che volessero e potessero affrontare con decisione i due problemi strutturali nascosti nel conflitto Nuovo/Vecchio, avrebbero di fronte a sé un terreno potenziale di conflitto egemonico. Un conflitto difficile ovviamente, per le spinte contraddittorie che caratterizzano la contemporanea ansia di cambiamento, ma non impossibile, soprattutto perché è una parte ormai quasi maggioritaria della popolazione quella che viene espulsa dal perimetro delle garanzie e dei diritti. Dal momento che la voglia e la necessità del cambiamento sono ricondotte alle loro controlacrisi dimensioni più estetiche e superficiali, sono catturate nei loro aspetti meno essenziali (stipendi dei parlamentari, età dei politici, ecc.) assumendo i tratti classici della «rivoluzione passiva», si tratterebbe di attivare un lungo processo controegemonico, di costruire una coalizione sociale in grado di rendere stabili gli elementi progressivi contenuti nel «nuovismo». La sinistra socialista e comunista è nata dalla politicizzazione di una parte del mondo sociale (il lavoro organizzato). La sinistra del XXI secolo può nascere solo da una nuova politicizzazione del sociale, che non può essere (solo) lo stesso mondo sociale di 150 anni fa, e la cui organizzazione politica non può avere la stessa forma. C’è un terzo elemento contraddittorio che caratterizza questa fase. Grillo e Renzi sono accomunati dall’esibizione costante del proprio postideologismo. Anche da questo deriva il loro successo, cioè dalla loro capacità di apparire rappresentanti della totalità del corpo sociale più che di alcune sue parti. L’adesione diffusa a questo schema culturale, totalità contro parzialità, ha aspetti molto pericolosi. Può essere la migliore premessa alla delega plebiscitaria, alla legittimazione dell’autoritarismo, alla repressione del conflitto. Ma contiene aspetti che vanno anche nella direzione opposta: la volontà di ricostruire cittadinanza e legame sociale, il bisogno di identità e appartenenza, la tendenza a costruire alleanze vaste che reagiscano alle molteplice forme che assume oggi il dominio del capitale sulla vita. Totalità può anche significare nuovo universalismo. La prevalenza della dimensione della totalità su quella, storicamente essenziale per la sinistra, della parzialità, impone a chi voglia ricostruire una coalizione sociale che si ponga al livello del conflitto per l’egemonia, di sviluppare una visione di società che, pur essendo incardinata sulla difesa del lavoro e dei ceti subalterni, non appaia pregiudiziale, ideologica e minoritaria, ma sembri la logica conseguenza di una situazione reale. 9 di 13 Gino Strada: "Un milione di disoccupati in più nel 2012... Mi sarei aspettato le dimissioni delle Fornero, il ministro dei licenziamneti!" 09/04/2013 "Quando si parla di un milione di disoccupati in piu' nel 2012, mi sarei aspettato entro 12 secondi le dimissioni del ministro del Lavoro". A dichiararlo è l fondatore di Emergency Gino Strada. "Sei il ministro del Lavoro o il ministro dei Licenziamenti?- si domanda Strada- se sei il ministro del Lavoro, hai l'obbligo di dimetterti dicendo di non avercela fatta. Almeno ci fai piu' bella figura". #giustizia Rifondazione sostiene la campagna Tre leggi per la giustizia e i diritti su #tortura, #carceri e #droghe 09/04/2013 (paoloferrero.it) Rifondazione comunista sostiene a partecipa attivamente alla campagna Tre leggi per la giustizia e i diritti. Tortura, carceri, droghe . Obiettivo della campagna è la raccolta delle firme per tre importantissime proposte di legge di iniziativa popolare depositate lo scorso gennaio in Cassazione: l’introduzione del reato di tortura nel codice penale, la legalità e il rispetto della Costituzione nelle carceri, le modifiche alla legge sulle droghe, con la depenalizzazione del consumo e riduzione dell’impatto penale. Invitiamo tutte/i a firmare, oggi nello specifico la raccolta di svolge davanti ai Tribunali di tutta Italia. La mattanza del G8 di Genova e le drammatiche vicende di Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva e le tante, troppe vittime di un 10/04/2013 sistema malato impongono un necessario ripensamento del nostro sistema giudiziario e penitenziario. [Paolo Ferrero] Per informazioni: http://www.3leggi.it Loach: "La Thatcher? Privatizziamo il suo funerale! Mettiamolo sul mercato, accettiamo l'offerta più economica!" 09/04/2013 di isabella borghese Sulla morte della cosidetta "Lady Ferro" si sta dicendo molto. A un giorno dalla sua morte, con i suoi funerali che saranno tra dieci giorni, davanti alla parole di un Putin che l'ha definita "Una grande figura politica, rigorosa diretta e coerente, di cui conserverò un ricordo positivo", ci piace ricordare quelle più forti e più vicine ai lavoratori, agli operai, e sono quelle di Ken Loach: "ll modo migliore per onorare Margaret Thatcher? Privatizziamo il suo funerale. Lo mettiamo sul mercato e accettiamo l'offerta più economica. È quello che avrebbe voluto. Del resto, le parole di Loach spiegano molto di più, non si fermano a quella che può sembrare una battuta. "La disoccupazione di massa - ha continuato - la chiusura di fabbriche, le comunità distrutte: questa è la sua eredità. Era una combattente e il suo nemico era la classe operaia inglese. Le sue vittorie sono state aiutate dai capi politici corrotti del Partito laburista e di molti sindacati. È a causa di politiche avviate da lei che siamo in questo casino oggi". Va da sé allora che accanto alle parole di Ken Loach passiamo in rassegna il punto di vista dei minatori inglesi che, ad oggi, non vedono altro, nella morte della Thatcher che un motivo di grande festa. "Sono felice - si è espresso David Hopper, il responsabile per il Nordest dell'Inghilterra della Num, Sindacato dei minatori inglesi - I minatori stanno cercando di organizzare una festa in controlacrisi coincidenza del giorno del suo funerale. "Ha fatto più male nel Nord-est di chiunque altro - ha poi aggiunto e non lo ha fatto solo alle miniere di carbone: ha iniziato a distruggere i sindacati, decimato l'industria, distrutto la nostra comunità. Oggi l'Inghilterra è costretta ad importare 40 milioni di tonnellate di carbone l'anno, è scandaloso. E sul funerale... Non ci saranno molte lacrime: molti guarderanno la cerimonia in tivù, ma come si guarda il calcio". Anche la reazione di Ken Livingstone, dal 2000-2008 sindaco laburista di Londra sono state chiare, nella stessa direzione, anche più forti se vogliamo: "Le politiche di Margaret Thatcher erano fondamentalmente sbagliate. Ha provocato l'odierna crisi degli alloggi, ha prodotto la crisi delle banche e quella dei sussidi pubblici». È poi Gerry Adams a ricordare un altro dolorosissimo capitolo di quegli anni: " "Margaret Thatcher - ha aggiunto Gerry Adams, leader repubblicano dell'Irlanda - ha causato grande sofferenza all'Irlanda. Ha provocato grande dolore agli irlandesi e ai britannici, la classe lavoratrice è stata devastate dalle sue politiche. "Da poche ore e' morta Margaret Thatcher e gia' e' in corso il processo di santificazione - si è espresso ieri Paolo Ferrero, Segretario Nazionale di Rifondazione Comunista - Invece va detto con forza che il mondo senza di lei sarebbe stato decisamente migliore. Animata da un enorme odio di classe, ha operato con determinazione per distruggere il movimento operaio inglese e i minatori in particolare. Nel giorno della sua morte - ha aggiunto - i media dovrebbero parlare dell'enorme sofferenza individuale e sociale che ha determinato con le sue politiche, della dignita' di quelle centinaia di migliaia di minatori che per un anno, dal 1984 al 1985, fecero il piu' lungo sciopero dell'eta' moderna per opporsi al proposito fascista della Thatcher di far fuori i minatori attraverso la chiusura arbitraria delle miniere. È morta l'amica di Pinochet, una 10 di 13 delle piu' grandi nemiche dei lavoratori, della liberta' e della giustizia di tutti i tempi". Stipendi parlamentari, Grillo fa retromarcia: "Vanno bene seimila euro al mese" 08/04/2013 di Ro.Ve. (liberazione.it) Contrordine compagni. I parlamentari Cinque Stelle è giusto che ricevano uno stipendio da seimila euro senza che debbano rendicontare alcunché con scontrini, ricevute, fatture. L'importante «è essere presenti in parlamento, fare il proprio lavoro onestamente e in modo trasparente». Parola di Beppe Grillo (che però smentisce: la fonte è Repubblica). Il cui slogan in campagna elettorale era tutt'altro: 2.500 euro al mese. Ai quali va però sommata la diaria (che è di 3.500 euro mensili), alla quale i grillini non hanno mai detto di voler rinunciare: il totale fa appunto seimila (dunque, sembrerebbe aver ragione il quotidiano di Ezio Mauro). Inoltre, avevano promesso di rendicontare tutto, pure le caramelle. Il problema nasce dal fatto che i parlamentari grillini dovranno decidere cosa fare entro il 27 di questo mese, quando gli onorevoli-cittadini riceveranno il primo stipendio. La domanda, per esempio, è: se le spese effettivamente sostenute non raggiungono i 3.500, che si fa? Si restituisce la parte eccedente? Così come resta da decidere la modalità con cui autoridursi lo stipendio base (da cinquemila a duemilacinquecento, come promesso) senza rimetterci: quei soldi risulterebbero comunque in busta paga che dunque sarebbe “gonfiata” agli occhi del fisco. Resta l'opinione del leader, che naturalmente, avrà un peso: lavorate e fatevi vedere in parlamento; insomma, meritatevi quei soldi. E in effetti, è tutta grillina la battaglia affinché le Commissioni parlamentari di Camera e Senato siano messe in 10/04/2013 condizione di lavorare. Sulla carta non ci sarebbe nessun ostacolo: né la Costituzione, né i regolamenti parlamentari prevedono che prima di costituire le Commissioni sia necessario formare il governo. E' solo una prassi consolidata aspettare il nuovo esecutivo per distribuire gli incarichi (presidente, vice, commissari) tra maggioranza e opposizione. E' anche vero, però, che non è un dettaglio, perché nelle Commissioni si svolge un lavoro preparatorio fondamentale ed è lì che spesso si fanno i giochi, cioè si prendono le decisioni finali che poi l'Aula soltanto ratifica. Resta che dalle elezioni è passato un mese e mezzo senza che ci sia neanche l'ombra di un governo: tutto rinviato a dopo l'elezione del nuovo presidente della Repubblica, che ragionevolmente non avverrà prima di maggio. Così, i Cinquestelle hanno annunciato una campagna di "occupazione" delle aule parlamentari al termine di ogni seduta per protestare contro il mancato avvio delle Commissioni. Anche sul fronte delle iniziative parlamentari, il M5S coglie di sorpresa (specie a sinistra): sono pronti, infatti, tre disegni di legge sui diritti civili che vanno oltre persino la proposta politica del Pd. Il principale riguarda le «modifiche al codice civile in materia di eguaglianza nell’accesso al matrimonio in favore delle coppie formate dallo stesso sesso». Il M5S vuole introdurre l’articolo 91, che riconosce il “matrimonio egualitario”, non più solo tra uomo e donna, ma anche tra persone dello stesso sesso, come già avviene in Paesi come Spagna, Portogallo, Olanda, Belgio. I figli di un “coniuge” (termine che sostituirebbe sempre i classici “marito e moglie”) saranno riconosciuti come figli dell’altro coniuge «anche quando il concepimento avviene mediante il ricorso a tecniche di riproduzione medicalmente assistita, inclusa la maternità surrogata». Il programma del M5sS non citava i diritti civili tra le sue priorità, eppure sono questi i primi atti legislativi proposti a Palazzo Madama. Gli altri due disegni di legge riguardano il contrasto controlacrisi all’omofobia e alla transfobia, reati penali punibili fino a quattro anni di carceri, e le modificazioni di attribuzione di sesso. Ora bisogna vedere se l'iniziativa dei senatori grillini troverà l'appoggio della base o se saranno necessarie nuove consultazioni no line. (@rominavelchi) Se il capitalismo diventa di sinistra 08/04/2013 di Diego Fusaro (sinistrainrete.info) Sul fatto che alle elezioni la sinistra, a ogni latitudine e a ogni gradazione, sia andata incontro all’ennesima sonante sconfitta, non v’è dubbio e, di più, sarebbe una perdita di tempo ricordarlo, magari con documentatissimi grafici di riferimento. Più interessante, per uno sguardo filosoficamente educato, è invece ragionare sui motivi di questa catastrofe annunciata. E i motivi non sono congiunturali né occasionali, ma rispondono a una precisa e profonda logica di sviluppo del capitalismo quale si è venuto strutturalmente ridefinendo negli ultimi quarant’anni. Ne individuerei la scena originaria nel Sessantotto e nell’arcipelago di eventi ad esso legati. In sintesi, il Sessantotto è stato un grandioso evento di contestazione rivolto contro la borghesia e non contro il capitalismo e, per ciò stesso, ha spianato la strada all’odierno capitalismo, che di borghese non ha più nulla: non ha più la grande cultura borghese, né quella sfera valoriale che in forza di tale cultura non era completamente mercificabile. Non vi è qui lo spazio per approfondire, come sarebbe necessario, questo tema, per il quale mi permetto, tuttavia, di rimandare al mio Minima mercatalia. Filosofia e capitalismo (Bompiani, 2012). Comunque, per capire a fondo questa dinamica di imposizione antiborghese del capitalismo, e dunque per risolvere l’enigma dell’odierna sinistra, basta prestare attenzione alla sostituzione, avviatasi con il Sessantotto, del rivoluzionario con il dissidente: il primo lotta per superare il capitalismo, il secondo per essere più libero 11 di 13 individualmente all’interno del capitalismo. Tale sostituzione dà luogo al piano inclinato che porta all’odierna condizione paradossale in cui il diritto allo spinello, al sesso libero e al matrimonio omosessuale viene concepito come maggiormente emancipativo rispetto a ogni presa di posizione contro i crimini che il mercato non smette di perpetrare impunemente, contro gli stermini coloniali e contro le guerre che continuano a essere presentate ipocritamente come missioni di pace (Kosovo 1999, Iraq 2003 e Libia 2011, giusto per ricordare quelle più vicine a noi, avvenute sempre con il pieno sostegno della sinistra). Dal Sessantotto, la sinistra promuove la stessa logica culturale antiborghese del capitalismo, tramite sempre nuove crociate contro la famiglia, lo Stato, la religione e l’eticità borghese. Ad esempio, la difesa delle coppie omosessuali da parte della sinistra non ha il proprio baricentro nel giusto e legittimo riconoscimento dei diritti civili degli individui, bensì nella palese avversione nei confronti della famiglia tradizionale e, più in generale, della normalità borghese. Si pensi, ancora, alla distruzione pianificata del liceo e dell’università, tramite quelle riforme interscambiabili di governi di destra e di sinistra che, distruggendo le acquisizioni della benemerita riforma della scuola di Giovanni Gentile del 1923, hanno conformato – sempre in nome del progresso e del superamento delle antiquate forme borghesi – l’istruzione al paradigma dell’azienda e dell’impresa (debiti e crediti, presidi managers, ecc.). Il principio dell’odierno capitalismo postborghese è pienamente sessantottesco e, dunque, di sinistra: vietato vietare, godimento illimitato, non esiste l’autorità, ecc. Il capitalismo, infatti, si regge oggi sulla nuda estensione illimitata della merce a ogni sfera simbolica e reale (è questo ciò che pudicamente chiamiamo “globalizzazione”!). “Capitale umano”, debiti e crediti nelle scuole, “azienda Italia”, “investimenti affettivi”, e mille altre espressioni simili rivelano la colonizzazione totale dell’immaginario da parte delle 10/04/2013 logiche del capitalismo odierno. Lo definirei capitalismo edipico: ucciso nel Sessantotto il padre (l’autorità, la legge, la misura, ossia la cultura borghese), domina su tutto il giro d’orizzonte il godimento illimitato. Se Mozart e Goethe erano soggetti borghesi, e Fichte, Hegel e Marx erano addirittura borghesi anticapitalisti, oggi abbiamo personaggi capitalisti e non borghesi (Berlusconi) o antiborghesi ultracapitalisti (Vendola, Luxuria, Bersani, ecc.): questi ultimi sono i vettori principali della dinamica di espansione capitalistica. La loro lotta contro la cultura borghese è la lotta stessa del capitalismo che deve liberarsi dagli ultimi retaggi etici, religiosi e culturali in grado di frenarlo. Dalla sinistra che lotta contro il capitalismo per l’emancipazione di tutti si passa così, fin troppo disinvoltamente, alla sinistra che lotta per la legalità, per la questione morale, per il rispetto delle regole (capitalistiche!), per il diritto di ciascuno di scolpire un sé unico e inimitabile: da Carlo Marx a Roberto Saviano. È certo vero che Berlusconi è il Sessantotto realizzato, come ha ben mostrato Mario Perniola in un suo aureo libretto: la legge non esiste, vi è solo il godimento illimitato che si erge a unica legge possibile. Ma sarebbe un errore imperdonabile credere che il capitalismo sia di destra. Lo era al tempo dell’imperialismo e del colonialismo. Oggi il capitalismo è il totalitarismo realizzato (a tal punto che quasi non ci accorgiamo nemmeno più della sua esistenza) e, in quanto fenomeno “totalizzante”, occupa l’intero scacchiere politico. Più precisamente, si riproduce a destra in economia (liberalizzazione selvaggia, privatizzazione oscena, sempre in nome del teologumeno “ce lo chiede l’Europa”), al centro in politica (sparendo le ali estreme, restano solo interscambiabili partiti di centro-destra e di centrosinistra), a sinistra nella cultura. Sì, avete capito bene: a sinistra nella cultura. Dal Sessantotto in poi, la cultura antiborghese in cui la sinistra si identifica è la sovrastruttura stessa del capitalismo postborghese: il quale deve rimuovere la borghesia e lasciare che a sopravvivere sia controlacrisi solo la già ricordata dinamica di estensione illimitata della forma merce (essa stessa incompatibile con la grande cultura borghese). Di qui le forme culturali più tipiche della sinistra: relativismo, nichilismo, scetticismo, proceduralismo, pensiero debole, odio conclamato per Marx e Hegel, elogio incondizionato del pensiero della differenza di Deleuze, ecc. In questo timbro “totalizzante” risiede il tratto principale dell’ormai avvenuta estinzione dell’antitesi tra destra e sinistra, due opposti che oggi esprimono in forme diverse la stessa visione del mondo, duplicando tautologicamente l’esistente. Negli ultimi “trent’anni ingloriosi”, il capitale e le sue selvagge politiche neoliberali, all’insegna della perdita dei diritti del lavoro e della privatizzazione sfrenata, si sono imposti con uguale forza in presenza di governi ora di centrodestra, ora di centro-sinistra (Mitterand in Francia, Blair in Inghilterra, D’Alema in Italia, ecc.). Di conseguenza, l’antitesi tra destra e sinistra esiste oggi solo virtualmente come protesi ideologica per manipolare il consenso e addomesticarlo in senso capitalistico. Destra e sinistra esprimono in forme diverse lo stesso contenuto e, in questo modo, rendono possibile l’esercizio di una scelta manipolata, in cui le due parti in causa, perfettamente interscambiabili, alimentano l’idea della possibile alternativa, di fatto inesistente. Vi è, a questo proposito, un inquietante intreccio tra i due apoftegmi attualmente più in voga presso i politici – “non esistono alternative” e “lo chiede il mercato” –, intreccio che rivela, una volta di più, l’integrale rinuncia, da parte della politica, a operare concretamente in vista della trasformazione di un mondo aprioristicamente sancito immodificabile. Il paradosso sta nel fatto che la sinistra oggi, per un verso, ha ereditato il giacimento di consensi inerziali di legittimazione proprio della valenza oppositiva dell’ormai defunto partito comunista e, per un altro verso, li impiega puntualmente in vista del traghettamento della generazione comunista degli anni Sessanta e 12 di 13 Settanta verso una graduale “acculturazione” (laicista, relativista, individualista e sempre pronta a difendere la teologia interventistica dei diritti umani) funzionale al capitalismo globalizzato. Il quotidiano “La Repubblica” è la sede privilegiata di questo processo in cui si consuma questa oscena complicità di sinistra e capitalismo. I molteplici rinnegati, pentiti e ultimi uomini che popolano le fila della sinistra si trovano improvvisamente privi di ogni sorta di legittimazione storica e politica, ma ancora dotati di un seguito identitario inerziale da sfruttare come risorsa di mobilitazione. Per questo, la sinistra continua inflessibilmente a coltivare forme liturgiche ereditate dalla fede ideologica precedente nell’atto stesso con cui abdica completamente rispetto al proprio originario “spirito di scissione” (la formula è del grande Antonio Gramsci), aderendo alle logiche del capitale in forme sempre più grossolane. È di Bersani la frase, pronunciata in campagna elettorale, “i mercati non hanno nulla da temere dal PD”: frase pleonastica, perché esprime ciò che già tutti sapevamo, ma che è rilevante, perché ben adombra come la sinistra continui indefessamente a lavorare per il re di Prussia, il capitalismo gauchiste. Lungo il piano inclinato che porta dalla nobile figura di Antonio Gramsci a personaggi come Massimo D’Alema o Vladimir Luxuria si è venuto consumando il tragicomico transito dalla passione trasformatrice al disincanto cinico – tipico della generazione dei pentiti del Sessantotto, la più sciagurata dal tempo dei Sumeri ad oggi – fondato sulla consapevolezza della morte di Dio, con annessa riconciliazione con l’ordo capitalistico. Con i versi di Shakespeare: “orribile più di 10/04/2013 quello delle erbacce è l’odore dei gigli sfioriti” (lilies that fester smell far worse than weeds). E questi gigli sono effettivamente sfioriti: sono l’incarnazione di quello che Nietzsche chiamava l’“ultimo uomo”. L’ultimo uomo sa che Dio è morto e che per ciò stesso tutto è possibile: perfino aderire al capitalismo e bombardare il Kosovo o la Libia. È, del resto, solo in questo scenario che si comprende il senso profondo della dinamica, oggi trionfante, della personalizzazione esasperata della polemica con l’avversario. L’antiberlusconismo, con cui la sinistra ha identificato il proprio pensiero e la propria azione negli ultimi vent’anni, ne rappresenta l’esempio insuperato. La personalizzazione dei problemi, infatti, si rivela sempre funzionale all’abbandono dell’analisi strutturale delle contraddizioni, ed è solo in questa prospettiva che si spiega in che senso l’antiberlusconismo sia stato, per sua essenza, un fenomeno di oscuramento integrale della comprensione dei rapporti sociali. L’antiberlusconismo ha permesso alla sinistra di riciclarsi, ossia di passare dall’opposizione operativa al capitalismo all’adesione alle logiche neoliberali, difendendo l’ordine, la legalità (capitalistica) e le regole (anch’essere capitalistiche). L’antiberlusconismo ha indotto l’opinione pubblica a pensare che il vero problema fossero sempre e solo il “conflitto di interessi” e le volgarità esistenziali di un singolo individuo e non l’inflessibile erosione dei diritti sociali (tramite anche le forme contrattuali più spregevoli, che rendono a tempo determinato la vita stessa) e la subordinazione geopolitica, militare e culturale dell’Italia agli Stati Uniti. Ingiustizia, miseria e storture d’ogni sorta hanno così cessato di controlacrisi essere intese per quello che effettivamente sono, ossia per fisiologici prodotti del cosmo a morfologia capitalistica, e hanno preso a essere concepite come conseguenze dell’agire irresponsabile di un singolo individuo. Per questa via, la politica della sinistra – con Voltaire, “mi ripeterò finché non sarò capito” – non ha più avuto quale referente polemico il sistema della produzione e dello scambio – ritenuto anzi incondizionatamente buono o, comunque, intrascendibile –, bensì l’irresponsabilità di una persona che, senza morale e senza onestà, ha inficiato il funzionamento di una realtà sociale e politica di per sé non contraddittoria. La politica ridotta al tragicomico teatro identitario dell’opposizione tra berlusconiani e antiberlusconiani ha permesso di far passare inosservato lo scolpirsi del nuovo profilo di una sinistra che – nel nome della questione morale e nell’oblio di quella sociale – ha abdicato rispetto alla propria opposizione agli orrori che il capitalismo non ha cessato di generare. È in questo senso che l’antiberlusconismo rivela la sua natura anche più indecente, se mai è possibile, dello stesso berlusconismo. In questo risiede la natura tragica, ma non seria dell’odierna sinistra, fronte avanzato della modernizzazione capitalistica che sta distruggendo la vita umana e il pianeta. La sinistra è il problema e, insieme, si pensa come la soluzione. Il primo passo da compiere per riprendere il perseguimento del programma marxiano dell’emancipazione di tutti dal capitalistico regno animale dello spirito consiste, pertanto, nell’abbandono incondizionato della sinistra e, anzi, della stessa dicotomia destra-sinistra. Tutto il resto è chiacchiera d’intrattenimento o, avrebbe detto Marx, “ideologia”. 13 di 13