ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
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Rassegna
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24 - 26 giugno 2006
Responsabile :
Claudio Rao (tel. 06/32.21.805 – e-mail:[email protected])
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ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
SOMMARIO
Pag. 3 CONGRESSO FORENSE: Idee per un rinnovamento - di Michelina Grillo Presidente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura (diritto e giustizia)
Pag.11 CONGRESSO FORENSE: Unione Triveneta dei Consigli dell’Ordine degli
Avvocati Conferenza Nazionale Avvocatura – Venezia giugno 2006
Introduzione del Presidente dell’Unione Triveneta Mario Diego
(diritto e giustizia)
Pag.16 CONGRESSO FORENSE: Quando le risposte sono nette e inequivocabili
di Luca Saldarelli -Componente Consiglio Nazionale Forense (diritto e giustizia)
Pag.19 CONGRESSO FORENSE: Autonomia, pluralità e rappresentanza
di Palma Balsamo - Direttivo nazionale Anf (diritto e giustizia)
Pag.21 ANTIRICICLAGGIO: Obblighi con più incertezze che sospetti (il sole 24 ore)
Pag.22 ANTIRICICLAGGIO:Organi di revisione, compiti a due vie (il sole 24 ore)
Pag.23 ANTIRICICLAGGIO: Lo studio si riorganizza (il sole 24 ore)
Pag.24 ANTIRICICLAGGIO: Le parole chiave (il sole 24 ore)
Pag.25 ANTIRICICLAGGIO: Regole operative (il sole 24 ore)
Pag.26 ANTIRICICLAGGIO: Monitoraggio, più categorie a rischio (il sole 24 ore)
Pag.27 ANTIRICICLAGGIO: Occorre la formalizzazione dell'incarico dal cliente
(il sole 24 ore)
Pag.28 ANTIRICICLAGGIO: Una luce dalla terza direttiva (il sole 24 ore)
Pag.29 ANTIRICICLAGGIO: Sistema sanzionatorio “graduato” fino al penale
(il sole 24 ore)
Pag.30 ANTIRICICLAGGIO: Le infrazioni generiche (il sole 24 ore)
Pag.31 UNIVERSITA’: Debutta il ciclo «1+4» (il sole 24 ore)
Pag.32 CSM: Csm verso il rinnovo. Movimento per la giustizia: "Indipendenza, ma
anche autorevolezza e credibilità" di Ciro Riviezzo (diritto e giustizia)
Pag.34 CONVEGNI: Meeting point (diritto e giustizia)
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ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
DIRITTO E GIUSTIZIA
Idee per un rinnovamento
di Michelina Grillo - Presidente Organismo unitario dell’Avvocatura
Nel mondo forense, prima che in altre realtà professionali, è emersa la convinzione della necessità di distinguere due distinte
funzioni di rappresentanza generale della categoria: una istituzionale, attinente alla valenza pubblicistica della professione, e
quindi di custodia, garanzia e disciplina dei principi, del decoro e delle condotte degli avvocati; l’altra politica, cioè
svolgente il ruolo di interlocutore e di parte sociale nella dialettica tra potere politico e avvocatura.
Esse non possono essere tra loro confuse senza svilire il ruolo istituzionale o indebolire la capacità di contrapposizione
politica, e per questo, da oramai oltre dieci anni, si è ritenuto di marcare una separazione, attribuendo all’Oua, quale organo
del Congresso Nazionale, la rappresentanza politica permanente nell’intervallo tra un Congresso e l’altro, fermo restando
l’autorevole ruolo istituzionale del Cnf. Ciò non significa, ovviamente, che la separazione sia tanto rigida da prevedere a
priori materie di trattazione esclusiva, essendo invece del tutto necessario, oltrechè fisiologico, che le distinte rappresentanze
si muovano di concerto. Questo del resto il tenore letterale del forte e significativo patto, consacrato nel preambolo del
vigente Statuto, che postula la realizzazione effettiva, e non già solamente teorica, di un leale e costruttivo spirito di
collaborazione tra i soggetti esponenziali dell’avvocatura italiana.
L’originale creazione di un modello di rappresentanza politica generale dell’Avvocatura, con il suo centro nel Congresso,
significativamente modificato nella sua struttura e nella articolazione dei lavori, aperto alla libera e democratica
partecipazione di tutte le componenti, e completato da un organo esecutivo rappresentato oggi dall’Assemblea Oua, è il
frutto della volontà, della fantasia e dell’impegno degli Avvocati italiani, e rappresenta oggi un preciso punto di riferimento,
anche per il mondo politico, che riserva considerazione e attenzione alle iniziative e alle proposte dell’Organismo Unitario
dell’Avvocatura, così come tempestivamente presentate ed illustrate in tutte le sedi in cui si elaborano le politiche della
Giustizia. Ciò ha consentito di sviluppare una molteplicità di rapporti e di stabili relazioni, frutto della attività politica
quotidiana dell’Oua, di cui sarebbe inopportuno, se non addirittura irresponsabile, oggi privarsi.
Il Congresso Forense, prima ancora dell’organo che opera per portarne a realizzazione le determinazioni, è uno strumento
democratico del quale l’avvocatura – unica tra le professioni – può e deve servirsi, per pervenire alla individuazione ed alla
votazione dei propri indirizzi e scelte di politica della professione e della giustizia. Ciò avviene mediante libera discussione
di temi e di proposte, che trovano la loro consacrazione nelle mozioni finali, poste al voto di delegati liberamente e
democraticamente eletti in ogni singolo Foro, in Assemblee aperte alla partecipazione di tutti gli iscritti. Non vi sono con
riferimento alla elezione dei delegati congressuali, né potrebbero esservi visto lo spirito democratico che permea la struttura,
limitazioni e/o veti di sorta all’elettorato attivo e passivo.La costruzione del modello è stata laboriosa e difficile, come
sempre accade quando l’intento è quello di costruire qualcosa di utile e di solido, ancorché di nuovo ed insolito nel
panorama forense e professionale in genere. L’avvocatura giunse all’attuale configurazione della rappresentanza politica
dopo aver esplorato, nel corso di anni e attraverso il lavoro di varie commissioni, una serie di possibili soluzioni. Tutte tali
soluzioni, e tra esse il riconoscimento del solo Cnf come referente rappresentativo dell’avvocatura o il riconoscimento delle
associazioni federate in una consulta, hanno rappresentato esperimenti miseramente falliti. Di tutta evidenza, quindi, la non
percorribilità di vie che già hanno mostrato la loro insufficienza ed inadeguatezza, sotto molteplici profili.
Ciò non di meno l’attuale modello di rappresentanza politica è una elaborazione sempre perfettibile, se non addirittura
bisognevole di ammodernamenti e adeguamenti, soprattutto in considerazione dei mutamenti intervenuti nel contesto e di
quelli che ancora interverranno in dipendenza del nuovo ordinamento professionale, il cui testo di proposta l’avvocatura si
accinge auspicabilmente a discutere ed approvare nella seconda sessione del XXVIII Congresso Nazionale Forense, fissata
per il prossimo settembre in Roma. Assai più facile, pure come sempre accade, affrontare i temi rilevanti – quale quello
della rappresentanza – in un’ottica riduttiva o, peggio, meramente demolitiva, senza tener conto che un tal procedere
aprirebbe d’improvviso perniciosi vuoti, e sconfesserebbe in toto principi di formazione democratica della volontà che
l’avvocatura è giunta non senza fatica ad affermare e cui è oggi fortemente legata, come dimostrano le nette prese di
posizione che si sono registrate e si registrano a tutela ferma del Congresso nella nuova strutturazione emersa dopo Venezia
1994.Il Congresso, nella attuale configurazione, e l’Organismo Unitario, rappresentano comunque un importante capitolo
della storia dell’Avvocatura italiana, ed anzi è lecito inorgoglire per come il percorso di affermazione della soggettività
politica dell’avvocatura abbia rappresentato l’occasione per far sì che la stessa, in ogni sua componente, compisse un
significativo balzo in avanti, per i risultati conseguiti e per il percorso democratico e di crescita che ha compiuto sino ad
oggi. Apprezzabile, quindi, la volontà dell’Unione Triveneta di dare vita ad un primo momento di comune riflessione, nel
quale tentare una serena ed obiettiva analisi del percorso compiuto, degli ostacoli via via verificati, delle prospettive di
cambiamento. Il tutto nel pieno rispetto delle opinioni, anche ove non condivise, e a condizione che tale rispetto porti tutti ad
una piana e consapevole accettazione della volontà maggioritaria, secondo principi e regole affermati ed indiscussi ben
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prima del sorgere della oramai annosa questione della “rappresentanza”.
La riflessione che in quella sede è stata correttamente ed utilmente proposta ha ad oggetto gli ultimi 25 anni della nostra
storia: il faticoso e sofferto percorso di crescita culturale e politica che ha condotto gli avvocati italiani ad individuare una
sede democratica di formazione della loro volontà ed a dare vita, nel rispetto della pluralità di voci e di sensibilità, ad
un’assemblea, aperta alla libera partecipazione di delegati di varia estrazione, liberamente eletti in ogni singolo distretto, con
il compito di dare corpo e sostanza ai contenuti delle deliberazioni assunte, nel lasso di tempo intercorrente tra un congresso
e l’altro. La peculiarità della costruzione, cui hanno convintamente partecipato in un comune anelito tutte le componenti
forensi ai massimi livelli esponenziali, e l’originalità ed acutezza dell’intuizione, divenuta in breve patrimonio comune della
classe forense, hanno posto l’Avvocatura, prima tra le professioni, nella condizione da un lato di poter più efficacemente
incidere nelle dinamiche del settore giustizia, e dall’altro di doversi realisticamente, e non sempre con successo, misurare
con se stessa, con le proprie contraddizioni, con l’autonomia dei suoi organi e delle associazioni, indotti a prendere
dimestichezza e a convivere con l’esigenza di costruire democraticamente un pensiero spendibile quale voce dell’intera
categoria, accettando quindi logiche di confronto e di mediazione al proprio interno, per dare la massima forza esterna a
visioni, proposte ed elaborazioni, che potessero legittimamente ricondursi, come avviene nelle aule parlamentari, alla voce
maggioritaria e quindi alla volontà del mondo forense. È in quest’ottica, e solo in quest’ottica, che l’Organismo Unitario ha
sentito e tuttora sente il dovere di salvaguardare e tutelare con convinzione per gli Avvocati italiani, se lo vogliono e lo
vorranno, anche in esecuzione del ruolo e della funzione che gli sono stati affidati all’atto dell’elezione, non già se stesso –
essendo pacificamente nella libera disponibilità del Congresso confermarne o meno l’esistenza e la struttura – bensì l’idea
vincente della rappresentanza politica, che l’avvocatura prima ed unica tra le professioni liberali ha partorito ed
efficacemente realizzato, favorendo nel contempo il verificarsi di tutte le condizioni affinché il dibattito congressuale ed
extracongressuale possa svolgersi e svilupparsi al meglio, sia sui temi di merito e sulle questioni di politica generale della
giustizia, sia sugli snodi della rappresentanza e delle auspicate riforme statutarie. Tutto ciò, beninteso, nella massima e
convinta disponibilità al dialogo, e addirittura facendosi promotore della riflessione, così come ha fatto nella fase precedente
la sessione congressuale di Milano, varando e circolarizzando propri documenti sul tema, e come ha fatto anche in molte
occasioni precedenti (si pensi al Congresso di Firenze, alla c.d. Commissione Statuto, al Congresso Straordinario di
Verona), con onestà intellettuale e senza preclusioni, eccetto quel dovere, più innanzi ribadito.
Proteggere e conservare i risultati raggiunti è certamente lodevole punto di avvio di un confronto sereno, finalizzato alla
modernizzazione di un organismo che deve rappresentare una realtà sempre più complessa, ma certo non può esserne unico
elemento: spazio deve essere dato, anche e soprattutto nelle occasioni che seguiranno la Conferenza di Venezia, alla
individuazione degli elementi di innovazione possibile e condivisa. In tal modo, ripercorrendo la nostra storia e cercando di
dare un contributo, di idee e di esperienza diretta per una ulteriore tappa di evoluzione del percorso politico della classe
forense, l’impegno negli anni profuso da tutti i Colleghi che hanno avuto l’onore di sedere nell’Assemblea dell’Oua e la
pacatezza e senso di responsabilità con il quale momenti, anche recenti e difficili, di questo percorso sono stati affrontati,
potrà trovare giusto riconoscimento, e non sarà maldestramente disperso, e reso inspiegabilmente vano ed inutile, l’enorme
patrimonio di elaborazione, di accreditamento e di riconoscimenti fino ad oggi accumulato nell’interesse dell’Avvocatura
dall’Organismo di rappresentanza politica.
I componenti l’Assemblea Oua, infatti, pur spesso costretti a disperdere preziose energie e risorse per “stare in guardia” e
difendere l’idea vincente della rappresentanza politica, in ciò loro malgrado distolti dall’agire politico che rappresenta
invece la loro attribuzione, intendono svolgere sino in fondo il mandato che è stato loro affidato e rendersi protagonisti e
interpreti anche della fase di cambiamento, proprio per essere stati chiamati – ancorché immeritoriamente – ad essere
esponenti politici della categoria, e rivendicando tale loro funzione, ovviamente nell’auspicato e perseguito continuo e
stretto contatto con tutte le componenti.
Vi è piena fiducia e consapevolezza, peraltro, al di sopra di ogni polemica, che la classe forense, che vede nel rispetto e nella
applicazione delle regole, elemento fondante e sostanziale della propria attività quotidiana e del riconoscimento
costituzionale che le pertiene, certamente saprà determinarsi nel migliore dei modi, ed individuare, nel rispetto del quadro di
riferimento da tempo tracciato, le soluzioni più idonee per proseguire il suo percorso e portarlo a risultati utili ulteriori,
senza rinnegare la propria storia, né cancellarla con un colpo di spugna, sicuramente non compreso, né giustificato, neppure
all’esterno.Quello su cui ci si può e ci si deve legittimamente e costruttivamente interrogare è quindi – a nostro sommesso
avviso - altro dalla messa in discussione dell’idea vincente della rappresentanza politica autonoma, che ha trovato concreta
realizzazione nella previsione del Congresso.Si può quindi, e si deve, discutere su come migliorare la funzionalità del
modello, e quindi domandarsi se i meccanismi per scegliere i delegati congressuali e i componenti dell’organo di
rappresentanza politica generale debbano essere adeguati al mutato divenire. Si può, e si deve, anche allargare l’orizzonte a
considerare responsabilmente possibili prospettive di mutamento strutturale dell’organo esecutivo della volontà
congressuale, che possano meglio tener conto di realtà prepotentemente emerse nel panorama dell’avvocatura, in dipendenza
della obiettiva necessità di raccordi a livello territoriale, quali le Unioni, e dell’altrettanto ineludibile necessità di rimodulare
meccanismi di maggiore e più incisiva presenza e partecipazione delle Associazioni nei sistemi di rappresentanza. È certo
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una riflessione ragionevole e doverosa, dopo oltre un decennio, e soprattutto dopo un decennio nel quale il quadro
istituzionale, economico, normativo e sociale è radicalmente mutato, sì da porre in discussione nella sua globalità l’intero
assetto delle rappresentanze, a qualsivoglia livello. In questa fase di rilevanti mutamenti, che investono ogni settore della
vita civile ed anche della vita professionale, si avverte da parte di tutti la necessità di adeguare l’ordinamento politico e
giuridico alle mutate e reali esigenze del quotidiano. A maggior ragione le istanze di ammodernamento e di rivisitazione dei
sistemi di rappresentanza non possono venire disattese dall’avvocatura. Tuttavia limitarsi ad osservare la mutata realtà
sarebbe riduttivo, dovendo invece avere chiaro l’obiettivo della riflessione sulle eventuali modifiche statutarie, ed ancor
prima sull’ordinamento professionale forense, e cioè la realizzazione di un sistema di rappresentanze che sia efficace,
equilibrata e fedele espressione dell’avvocatura italiana, capace di dare sempre maggior forza alla voce della classe forense.
Questo è stato lo spirito, e tali sono stati gli obiettivi perseguiti nel corso della Conferenza di Venezia, che - ancora una volta
– ha rappresentato la sede di un momento qualificante e “alto” della storia dell’avvocatura italiana. A tutti i partecipanti è
apparso chiaro, infatti, che uno scambio di idee e di proposizioni, scevro da preconcetti e senza l’assillo di una formale
decisione finale – che spesso è richiesta ed interviene senza i dovuti approfondimenti – poteva rappresentare una variabile
importantissima per massimizzare i vantaggi di una riflessione collettiva. Unanime, proprio per questo, il rammarico per le
rilevate assenze e l’auspicio che esse non siano state determinate da precisa volontà di non concorrere ad un comune e
condiviso percorso di crescita e di negarsi allo sforzo politico ed autenticamente democratico che un tale percorso
inevitabilmente necessita. Una riflessione corale quale quella che si è in questa occasione avviata deve vedere l’abbandono
senza condizioni di qualsiasi posizione precostituita e di atteggiamenti tesi a marcare pretese o reali differenziazioni e ad
attribuire visibilità, in favore di una più modesta ed appagante politica del fare, delle cose concrete, che conduca a
confrontarsi non su frasi oramai fatte, o posizioni di contrapposizione cronicizzate, ma su una corretta analisi delle questioni.
Ciò consentirebbe, senza meno, di verificare se la affermata quanto inesistente difformità di vedute e di scelte, nel merito dei
problemi, sia effettivamente motivo dell’affermata diversità – o meglio “alterità” – rispetto all’avvocatura, o non piuttosto,
come spesso purtroppo è accaduto il più banale risultato di una mancanza di consultazione e di preventivo confronto.
Ogni dirigente responsabile dell’avvocatura ha il dovere di non sottrarsi al confronto, e di non liquidare semplicisticamente i
destini della rappresentanza politica dell’avvocatura tutta. Come affermò Gaetano Pecorella, Presidente nel 2001
dell’Unione Camere Penali, riferendosi alle difficoltà esistenti nel rapporto tra Oua e Ucpi: «Al di là di forme forse troppo
virulente che sono state scelte per aprire una polemica, vi è la volontà almeno in questo Presidente dell’Unione delle Camere
Penali, di lavorare insieme per realizzare insieme valori che io ritengo comuni a tutti, valori forti, valori di onestà, valori di
libertà».
Orbene, da Venezia possono ora prendere le mosse e rinnovarsi progetti concreti per la rifondazione della rappresentanza
politica dell’avvocatura, grazie al fatto che nel corso dei lavori sono emerse le multiformi analisi e posizioni – a dire il vero
non sostanzialmente divergenti – ed è concretamente apparsa la reale possibilità di pervenire a soluzioni migliorative ed
anche innovative. Esse hanno trovato in questo informale consesso nazionale l’occasione per l’avvio di un processo di loro
naturale osmosi: è stato quindi un ottimo punto di partenza per il percorso successivo, che non dovrà arenarsi, ma dovrà
vederci impegnati nei prossimi mesi.
Una serena e franca analisi non poteva che partire dalla considerazione che, a legislazione immutata, ogni costruzione di
strutture interne alla professione, e tra esse la configurazione del Congresso e la previsione di un organo che sia di esso
braccio esecutivo, non può che fondarsi su di una convenzione, su di un patto, in questo caso politico.
È così che il Congresso Straordinario di Verona, ennesima e purtroppo non definitoria tappa del percorso di affermazione
della rappresentanza politica dell’Avvocatura, vide l’approvazione, pressoché all’unanimità dei delegati presenti, di un
Preambolo, che altro non è che la espressione esplicita di quell’intesa necessaria che lealmente ha condotto «l’intera
avvocatura stringersi - come istituzioni, come associazioni, come aggregazioni culturali e specialistiche, come singoli iscritti
all’albo - in un patto di solidarietà politica, giuridica ed organizzativa, allo scopo di dare partecipazione, riconoscimento e
sostegno, anche finanziario, al Congresso Nazionale Forense e alla struttura operativa di rappresentanza politica che ne è
diretta emanazione, l’Organismo Unitario dell’Avvocatura alla cui autorevolezza e capacità di intervento è necessario
dedicare, da parte di tutti, il più ampio e leale supporto.» 1[1]
Come la relazione introduttiva del Presidente Diego ha incisivamente evidenziato, ripresa in molti degli interventi, è proprio
l’accettazione e applicazione puntuale, convinta e costante dei principi sanciti dal Preambolo che – sola – può determinare la
riuscita o meno del modello, e ciò ancor prima ed indipendentemente dalla bontà delle norme e previsioni statutarie. Un
modello di rappresentanza politica o è effettivamente democratico e riconosciuto da tutti, o non è.
Con senso di responsabilità e spirito sinceramente autocritico, ciascuno avvii dunque una riflessione pacata su come e
quanto ha fatto per la effettiva realizzazione dei nobili principi affermati dal preambolo, ed altrettanto sinceramente si chieda
se, in presenza di una insufficiente volontà di far funzionare il modello, regole diverse avrebbero potuto produrre risultati
più proficui.
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Di ciò sarà bene parlare nelle prossime occasioni di incontro.Gli intervenuti, analizzando le vicende dell’avvocatura più e
meno recenti, ed in particolare l’articolazione concreta dei rapporti interni, hanno efficacemente evidenziato come sia
indispensabile che gli avvocati oggi si pongano preliminarmente un primo catalogo di interrogativi assorbenti:
- il Congresso è sede di democratica formazione della volontà della classe forense?
- se tale è e deve continuare ad essere, ferma restando la libera partecipazione ai lavori di tutti coloro che ne avranno
interesse, è corretto che tale volontà sia espressa nel voto da delegati, eletti nei singoli Fori e quindi portatori di una
rappresentanza, loro affidata direttamente dagli iscritti?
è necessario che le volontà espresse dalle mozioni discusse, votate ed approvate in sede congressuale rappresentino le linee
guida per l’agire degli organi rappresentativi dell’avvocatura, e che la loro realizzazione sia affidata primariamente ad un
organismo al quale il Congresso attribuisca la funzione di proseguire l’attività, di eseguirne le delibere, di rappresentarlo in
sede politica: quello cioè che è oggi l’organismo unitario ?
- l’Organismo unitario ha svolto, dalla sua nascita ad oggi, una funzione rilevante per la crescita di consapevolezza del ruolo
di soggetto della giurisdizione dell’avvocatura e per la promozione, nell’interlocuzione politica, del pensiero dell’avvocatura
stessa sui temi della tutela dei diritti, della giurisdizione e della amministrazione della giustizia in generale?
- l’Oua è stato in grado di sviluppare appieno la sua peculiare funzione?
- laddove la risposta all’ultimo quesito sia negativa, ciò è dipeso in tutto o in parte da deficienze strutturali, e quindi da
“vizi” dell’apparato statutario che lo disciplina e regge, o hanno influito in maniera rilevante le condotte della stessa
avvocatura, che – per dirla con Luca Saldarelli «non ha fatto in modo di far si che l’Oua lo potesse fare»? Il problema,
quindi, è relativo unicamente alla formulazione dello Statuto, e quindi alle alchimie che presiedono alla composizione della
platea congressuale e dell’assemblea dell’Oua, o investe una ben più perniciosa questione di delegittimazione
dell’organismo politico da parte della stessa avvocatura che avrebbe l’interesse e il dovere di supportarlo?
A tale primo gruppo di questioni, sono state date pressoché unanimemente risposte decise, che si possono così brevemente
sintetizzare, limitandoci a trarre passi significativi dagli interventi:
- centralità del Congresso, che l’Avvocatura rivendica come luogo in cui si dibatte, si discute e si decide. L’Avvocatura deve
avere poi l’organismo politico, di cui noi abbiamo necessità, e che dev’essere soggetto diverso dal soggetto istituzionale
(avv. Tommaso Manzo – Uif – Ordine di Roma);
- vi è la necessità, se non la doverosità, di una demarcazione netta tra rappresentanza istituzionale e rappresentanza politica
(interventi vari);
- il Congresso Nazionale Forense non è l'occasionale o periodico convegno di alcuni avvocati di buona volontà ma l'unica
rappresentanza politica dell'avvocatura, in quanto espressione degli ordini territoriali, e quindi delle istituzioni forensi,
democraticamente eletta secondo criteri proporzionali, a differenza di altri organismi, siano essi istituzionali o associativi,
che ben poco hanno di proporzionalità e quindi di rappresentatività (avv. Luca Saldarelli – Cnf – Ordine di Firenze);
- il Congresso è espressione dell’avvocatura complessa e articolata, della base dell’avvocatura e non di persone che
rappresentano soltanto se stesse. Il congresso è stata una conquista dell’avvocatura (avv. Luca Saldarelli – Cnf – Ordine di
Firenze);
- il Congresso deve rimanere il momento di incontro dell’intera avvocatura con all’interno la rappresentanza di ogni
istituzione e associazione dell’intera avvocatura (avv. Pietro Romano – Presidente Coa Siracusa – Presidente Unione Fori
Siciliani);
- al Congresso vanno i delegati eletti in libere elezioni e questo è un fatto altamente democratico (avv. Pietro Romano –
Presidente Coa Siracusa – Presidente Unione Fori Siciliani);
- il Congresso è il parlamento dell’avvocatura italiana in quanto espressione dell’intera avvocatura e ha dato vita alla
rappresentanza politica, conquista che tutti ci hanno invidiato. Non possiamo tornare indietro (avv. Luca Saldarelli – Cnf –
Ordine di Firenze);
- non sono condivise nuove regole congressuali che sottraggano al Congresso stesso, inteso come più sopra sommariamente
descritto, la effettiva rappresentanza del ceto forense, il potere di decidere, di votare e di gestire le sorti dell'avvocatura (avv.
Luca Saldarelli – Cnf – Ordine di Firenze);
- le regole si possono cambiare, ma solo nelle opportune sedi. Una volta che ci sono, però, le dobbiamo rispettare tutti finchè
non siano cambiate. Occorre il rispetto delle regole e della democrazia, che impone di accettare che le determinazioni della
maggioranza (avv. Fabio Florio – Presidente Coa Catania);
- si discute ancor oggi se la rappresentanza istituzionale possa coesistere con la rappresentanza politica. Si pensava d’aver
chiarito che le due cose non possono e non devono coesistere. Ora, riproporre in maniera mascherata certe tesi, non fa bene a
nessuno (avv. Paolo Alvigini – Unione Camere Civili – Ordine di Padova);
- la forza della rappresentanza è un luogo in cui le esigenze dell’Avvocatura vengano portate in un unicum. Se non vi è, da
parte di tutti, il riconoscimento della necessità dell’accettazione che le regole ed i dibattiti vanno portati alla conoscenza di
tutti e vadano approvati da tutti, allora il problema non si risolverà. Queste frammentazioni e questi giochi di sponda hanno
portato ai risultati che ci ritroviamo. Non ci sarà regola che potrà tenere se chi la sottoscrive mantiene la riserva mentale di
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non aderire (avv. Bruno Sazzini – Segretario Generale Anf – Ordine di Bologna);
- la rappresentanza deve essere il frutto del libero dibattito all’interno di tutti gli iscritti, al di fuori delle sedi istituzionali,
senza con ciò negare il ruolo ad esse spettanti, ma anzi che ne possa valorizzare e potenziare la stessa qualificazione nei
confronti delle altre Istituzioni. Tale rappresentanza è, con ogni evidenza, altra cosa della rappresentanza istituzionale che
nella Avvocatura è attribuita per legge al Cnf (avv. Prof. Giorgio Orsoni – Cnf – Ordine di Venezia);
- la rappresentanza implica una elezione democratica, e quindi organi che possono venire revocati da chi li ha eletti. I
rappresentanti istituzionali, i consiglieri dell’ordine una volta eletti non possono venire revocati (avv. Sergio Paparo – già
Segretario Oua – Ordine di Firenze);
- il Congresso deve nominare un organismo del quale facciano parte tutte le componenti dell’avvocatura, che sia organo
esecutivo, in collaborazione con il Cnf, organo istituzionale (avv. Paolo Cappelli – Presidente Coa Prato – Presidente
Unione Toscana);
- le associazioni debbano mantenere la propria autonomia pur collaborando con l’Oua. La mancanza dell’adesione di
un’associazione non deve mettere in discussione l’esistenza di un organismo unitario rappresentativo politico
dell’avvocatura (avv. Mauro Pizzigati – Presidente Coa Venezia);
- è improprio sostenere che le associazioni possano “non aderire” alla rappresentanza congressuale, che ha le sue radici nella
base degli iscritti agli ordini (avv. Pier Enzo Baruffi – Presidente APF Bergamo - Ordine di Bergamo e avv. Sergio Paparo –
Coa Firenze);
- deve venire verificata quale sia l’attuale forza e l’attuale rappresentatività di alcune associazioni forensi (avv. Walter
Pompeo – Presidente Coa Caltagirone – Presidente Coordinamento Fori Minori);
- le norme individuate in sede congressuale dovranno venire messe in esecuzione. Da chi: da un organismo nel quale siano
rappresentate tutte le istituzioni e le associazioni, una struttura che dovrà essere in grado di parlare a nome dell’intera
avvocatura (avv. Giancarlo Zannier – Presidente Coa Pordenone);
- non è un problema di rappresentatività o meno dell’Oua o di altro organismo che del Congresso fosse espressione, nè di
rapporto tra questo ed il Cnf, ma di rapporto tra Congresso e Cnf (avv. Prof. Giorgio Orsoni – Cnf – Ordine di Venezia);
- l’idea illuministica che un gruppo di saggi possa decidere al posto di tutti, anche se confortati da una sorta di plebiscito è
un modello che si infrangera’ in modo catastrofico. Al nostro interno il sistema si frantumerà. Questo produrrà fratture
insanabili. Dobbiamo far crescere un modello di democrazia rappresentativa accanto ad un modello istituzionale (avv.
Antonio Leonardi – già Presidente Oua – Presidente Anf – Ordine di Catania);
- la rappresentanza “politica” dell’Avvocatura, ove attribuita esclusivamente al Cnf, porrebbe rilevanti problemi in relazione
alle altre sue importanti funzioni istituzionali (avv. Prof. Giorgio Orsoni – Cnf – Ordine di Venezia);
- il problema è in realtà avvertito ed espresso dalla istituzione - che ha funzioni, doveri ed obblighi come ricordati, tra cui la
funzione giurisdizionale - nel dover porre a confronto se stessa con le esigenze attuali dell’avvocatura, con spinte di
rinnovamento e con la strutturazione dei meccanismi di rappresentanza politica (avv. Michelina Grillo – Presidente Oua –
Ordine di Bologna);
- ecco perchè è necessario fare chiarezza su questi temi, giacché la mancanza di chiarezza determina quella situazione di
conflitto latente (e quindi di debolezza) che ha caratterizzato i rapporti fra i soggetti dell’Avvocatura in questi tempi (avv.
Prof. Giorgio Orsoni – Cnf – Ordine di Venezia);
- il problema non è Oua o non Oua, ma l’unità del Congresso, la sua funzione, e la definizione di politiche comuni (avv.
Prof. Giorgio Orsoni – Cnf – Ordine di Venezia);
- un nuovo patto fra le varie componenti dell’Avvocatura può risolvere questo problema, senza forzature da parte di
nessuno, ma nel riconoscimento dei ruoli di ciascuno: Associazioni ed Ordini in primis, e nella assoluta determinazione da
parte del Cnf di perseguire questo obiettivo (avv. Prof. Giorgio Orsoni – Cnf – Ordine di Venezia);
- circa il rapporto tra Cnf e Congresso, e più in generale tra organi dell’avvocatura, una visione fondata su supremazie e
gerarchie sia assolutamente da evitare: non è questo il corretto piano di analisi e di indagine, e forse è una delle chiavi per la
comprensione delle cause dell’attuale stato delle cose. I principali problemi dell’agire concreto dell’organismo di
rappresentanza politico nascono proprio dalle affermazioni pregnanti del preambolo, rimaste purtroppo sostanzialmente
inattuate per mancanza di una reale volontà di costante confronto e di coordinamento e per il prevalere di spinte particolari
(avv. Michelina Grillo – Presidente Oua – Ordine di Bologna);
- reciproche delegittimazioni, neutralizzazioni preventive di ogni forma di scambio sinergico tra le varie componenti
rischiano di obliterare il prestigio e la incisività che la categoria è riuscita ad imporre ai propri interlocutori: politica, mondo
dell'impresa, società civile (avv. Valter Militi – Presidente Aiga – Ordine di Messina);
- nei sistemi complessi il governo e le rappresentanze sono difficili e talvolta appaiono deboli. Il congresso è l’unico luogo
di discussione e di individuazione della soluzione dei problemi. (avv. Antonio Leonardi – già Presidente Oua – Presidente
Anf – Ordine di Catania);
- disponibilità a ragionare sia sulle critiche al modello, sia sulle debolezze del medesimo rilevate come dato d’esperienza
personale di chi ha fatto parte dell’Oua (avv. Enrico Merli – Giunta Oua – Ordine di Tortona);
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- snodo centrale rappresentato dal congresso come momento di centralità dell’avvocatura e dall’organismo esecutivo. Non
esiste un vincolo preciso tra i due momenti nè una responsabilità dell’organismo. È una debolezza da sottolineare, per
carenza di reciproca tutela. Quando, dopo l’elezione dell’Oua, si rompe il rapporto con il congresso l’organo esecutivo vive
non più come espressione del Congresso, ma soltanto come rappresentanza di ordini, anche a seguito del versamento o meno
del contributo (avv. Rodolfo Bettiol – già Vice Presidente Oua – Ordine di Padova);
- non siamo in grado di annullare e cancellare l’Oua. È necessaria la sua esistenza. Da quando è nata l’Oua si è avuta una
crescita della presenza congressuale, anche dal punto di vista istituzionale. Indispensabile mi pare l’esistenza dell’Oua.
Abbiamo azzeccato la formula dell’Oua anche se non riconosciamo il fatto che questa formula ci potrà far crescere tutti
(avv. Maurizio De Tilla – Presidente Cassa Forense- Adepp e Fbe);
- l’obiettivo raggiunto dall’Oua è stato quello di risvegliare nell’avvocatura la consapevolezza di essere un soggetto della
giurisdizione. Prima questo concetto era derelitto. L’Avvocatura non ha mai rivendicato il suo ruolo, mai si è ricordata di
essere presente nella Costituzione della Repubblica e si è sempre piegata a decisioni di altri. La pretesa di contare in maniera
concreta ed effettiva nella vita giudiziaria si collega nell’esistenza di un organo di rappresentanza politica (avv. Elisabetta
Rampelli – già Giunta Oua – Uif – Ordine di Roma);
- il punto che ha reso l’Oua invisa alle associazioni è proprio il fatto che esso trae la propria legittimazione dal congresso
(avv. Giancarlo Russo Frattasi – Ordine di Bari);
- le proprie idee non possono certamente soccombere sol perchè organizzate dall’Oua. Quindi l’associazionismo conserva la
sua autonomia e non può essere ostile all’Oua (avv. Maurizio De Tilla – Presidente Cassa Forense- Adepp e Fbe).
Quanto alle modifiche possibili, più in concreto, l’apprezzato intervento dell’avv. Enrico Merli – componente la Giunta
dell’Oua e Coordinatore della Commissione Statuto, costituita dall’Oua in epoca preparatoria alla sessione congressuale di
Milano - ha dato conto di alcune delle principali questioni fino ad oggi emerse, che l’organismo unitario, che da tempo si
interroga su come realizzare una opportuna e soddisfacente attualizzazione dei distinti sistemi di rappresentanza interni alla
classe forense, si era fatto carico di raccogliere e sottoporre alla platea congressuale:
«Il lavoro dell’Organismo Unitario nell’ambito della propria Commissione Statuto parte da un’esperienza ultra
quadriennale, visto lo slittamento del Congresso. L’attuale modello è criticato, ma esiste perché l’hanno voluto gli avvocati.
L’Organismo unitario è stato deliberato dal Congresso di tutta l’avvocatura. Sull’importanza del Congresso e sul perché
l’Istituzione non possa svolgere anche un ruolo d’interlocuzione costante con la politica è stato già detto prima di me da
molti e, segnatamente, da Luca Saldarelli, di cui condivido integralmente l’intervento. Dobbiamo quindi difendere la
centralità del Congresso ed anche l’organismo di rappresentanza politica, che esiste ed in quanto esiste. Abbiamo però
ritenuto che si dovesse comunque ragionare sia sulle critiche al modello, sia sulle debolezze del medesimo rilevate come
dato d’esperienza personale. L’obbiettivo è che l’Avvocatura resti unita.
L’ipotesi di lavoro è stata quella intervenire sul modello esistente, al fine di superarne i limiti ad oggi lamentati con senso
dell’equilibrio. Certo si sarebbe potuto anche prospettare qualcosa di radicalmente nuovo, ma abbiamo ritenuto preferibile
salvaguardare la struttura del modello attuale, ancora largamente condiviso.
Vi illustro, allora, alcune ipotesi di modifica al modello. Platea congressuale: oggi conta 980 delegati. Al 29° Congresso
saremo certamente di più. Ci è parso perciò opportuno ragionare in termini di contigentamento della platea congressuale e
prevedere, ad esempio, un numero fisso di delegati che nasce da un calcolo con i seguenti dati: il numero dei Presidenti degli
Ordini quali delegati di diritto, un numero doppio, rispetto a quello dei Presidenti, di delegati eletti, come oggi avviene, dalle
Assemblee degli Ordini e un numero di delegati, pari a quello dei Presidenti, nominati sulla base di liste nazionali. Di ciò
potrebbero meglio avvalersene le Associazioni forensi, la cui presenza è sensibile per lo più nei grandi fori, ma la cui
rilevanza culturale è generale. In tal modo il numero dei delegati al Congresso verrebbe cristallizzato in 664, con indubbi
vantaggi di carattere gestionale, seppur con un’oggettiva contrazione della rappresentatività. Pensiamo, poi, che la
composizione dell’assemblea Oua debba essere più articolato. Attualmente è composta da 66 membri, nominati al
Congresso dalle assemblee distrettuali dei Delegati. Sarebbero possibili ragionevoli correzioni, in ragione, ad esempio, del
problema che spesso insorge a causa delle macroscopiche differenze a volte rilevabili, con riferimento al numero degli
iscritti nell’ambito del medesimo distretto, tra l’Ordine distrettuale, da un lato, e quelli provinciali e subprovinciali dall’altro.
Si potrebbe perciò prevedere che, laddove gli iscritti all’Ordine distrettuale siano pari al numero degli iscritti agli Ordini
provinciali, la nomina dei delegati all’assemblea OUA avvenga in assemblee distinte: una dei delegati dell’Ordine
distrettuale, l’altra dei delegati di tutti gli altri Ordini distrettuali. Certo, potrebbe nascere un’assemblea più ampia
dall’attuale. Ma questa modifica andrebbe di pari passo con quella che abbiamo ipotizzato per migliorare l’operatività della
Giunta. Non è un mistero che l’attuale composizione sia scarna, rispetto agli impegni. Ecco che al suo interno potrebbero
essere chiamati i coordinatori delle Commissioni previste dal Regolamento, rinserrando, in questo modo, il rapporto fra
l’Assemblea e le sue articolazioni e, soprattutto, coinvolgendo tutti i delegati in un continuativo lavoro di elaborazione e
rapporto anche con la Giunta, per il tramite dei coordinatori. Anche la nomina diretta del Presidente da parte dei Delegati
congressuali è un tema sentito e da molti condiviso. La nostra proposta è che i candidati presentino al Congresso il proprio
programma e coloro che lo affiancheranno, ove eletto, nelle cariche di Segretario e Tesoriere. L’indubbio rafforzamento
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della posizione dovrebbe essere però contemperato dall’introduzione d’una norma che consenta sia la proposizione della
mozione di sfiducia da una percentuale significativa di Delegati all’Assemblea Oua, sia una maggioranza qualificata, pari a
due terzi ad esempio, per l’approvazione della mozione stessa. Altro punto di sicura attenzione è quello relativo alle
incompatibilità, al cui riguardo si ritiene che debba permanere l’attuale regime solo con riferimento alle cariche di
Presidente, Segretario e Tesoriere del Consiglio dell’Ordine. Invece e da ultimo, il prevedere la presenza d’un Collegio dei
Revisori dei Conti, ad oggi inesistente, costituito da un componente di nomina del Cnf ed altri due rispettivamente nominati
dalla Cassa di Presidenza e dall’Assemblea dell’Oua risponde ad una doverosa esigenza di trasparenza. Concludo
rappresentando la possibilità che l’attuale cadenza biennale del Congresso diventi triennale, al fine di consentire di indire
annualmente la Conferenza Nazionale dell’Avvocatura, per confrontarci insieme periodicamente su temi professionali e
specifici. In somma, come s’è fatto a Napoli lo scorso anno.
Grazie»
È stata sottolineata, quindi, ripresa anche da alcuni ulteriori interventi, la opportunità di interrogarsi su:
1. riduzione del numero dei delegati congressuali attraverso l’individuazione di nuovi criteri d’elezione e di nuovi quorum
per l’elezione dei delegati;
2. elezione d’un numero di delegati, da determinarsi, sulla base di liste nazionali;
3. attribuzione a ciascuna delle associazioni riconosciute in sede congressuale della facoltà di designare componenti di
diritto dell’assemblea Oua;
4. previsione di pari facoltà a ciascuna delle Unioni Regionali costituite alla data del Congresso, o ai Distretti nonché al
Coordinamento degli Ordini minori, auspicando che le Unioni si dotino di Statuti uniformi che vedano la consacrazione
della partecipazione alle stesse delle Associazioni Forensi operanti sul territorio;
5. previsione dell’indizione della Conferenza Nazionale dell’Avvocatura negli anni in cui non si tiene il Congresso;
6. elezione diretta da parte dell’Assemblea congressuale del Presidente dell’Oua, sulla base di candidature e programmi da
sottoporre all’esame del Congresso, correlata a poteri dell’Assemblea dell’Oua di nomina dei restanti componenti della
Giunta e di controllo dell’operato del Presidente e della Giunta nel suo complesso, da esercitare con la presentazione e
l’approvazione di eventuali mozioni di sfiducia con maggioranze qualificate;
7. possibile limitazione dell’incompatibilità a far parte dell’Assemblea Oua alle figure del Presidente, del Segretario e del
Tesoriere dell’Ordine;
8. ampliamento del numero dei componenti della Giunta e possibile identificazione degli stessi con il ruolo di Coordinatori
delle varie Commissioni interne di studio e di lavoro, al fine di accentuare il rapporto fra l’Assemblea e la Giunta;
9. previsione di mandato triennale per i componenti dell’Assemblea , con il limite d’un solo rinnovo;
10. previsione della permanenza in carica dell’Assemblea congressuale, così come eletta, fino alla costituzione della
successiva Assemblea congressuale ordinaria, per un opportuno raccordo;
11. istituzione del Collegio dei Revisori dei Conti;
12. normazione e\o vincolante regolamentazione del contributo finanziario per l’autonomo funzionamento dell’Oua;
13. previsione nel Regolamento del Congresso di diverse e più incisive modalità di pubblicizzazione delle elezioni dei
delegati al Congresso, onde assicurare la più ampia partecipazione possibile degli iscritti.
Vi è anche chi ha avanzato l’ipotesi di una affatto diversa composizione dell’organo esecutivo della volontà congressuale, da
tutti ritenuto comunque necessario, la cui composizione, anzichè essere anch’essa ispirata a libere e democratiche elezioni
all’interno delle assemblee distrettuali, potrebbe valorizzare le presenze di diritto di Unioni e Associazioni, al fine di
garantire una migliore realizzazione di un modello “misto” che consenta di far convivere nel modello Ordini e Associazioni.
In considerazione della partecipazione dell’Aiga ai lavori, così come della preannunciata partecipazione alla oramai
prossima seconda sessione del Congresso, si deve ritenere che a breve la stessa associazione riassumerà, e se del caso
attualizzerà, le proprie proposte di modifica dell’assetto della rappresentanza. Analogo è a dirsi per le altre associazioni
forensi.
La Conferenza, dunque, ha prodotto primi ed importanti risultati, pur essendo il primo passo su di una via che merita di
essere ulteriormente percorsa con tenacia.
Nell’ambito dei lavori della Conferenza, per primo proprio l’autorevole componente del Cnf avv. Orsoni, contestando ogni
strumentale rappresentazione, ha sottolineato come il reale contrasto non sia tra il Cnf e l’Oua, come semplicisticamente si
vorrebbe far apparire, ma vada ben oltre, involgendo in realtà il rapporto tra Cnf e Congresso, tra istituzione e strumenti di
formazione ed emersione della volontà dell’avvocatura. Ciò pur riconoscendo come l’unione della rappresentanza politica e
della rappresentanza istituzionale nel Cnf non sia possibile, di talchè le stesse devono rimanere distinte.
Circa il rapporto tra Cnf e Congresso, e più in generale tra organi dell’avvocatura, nella chiave di una corretta e lineare
applicazione dei principi del preambolo attuale, così come di quello che eventualmente in futuro dovesse venire modificato,
deve ribadirsi che una visione dei rapporti reciproci tra organi dell’avvocatura, a qualsiasi livello, fondata su supremazie e
gerarchie sia questione mal posta : non è questo il corretto piano di analisi e di indagine, ma per contro è certamente una
delle chiavi per la comprensione delle cause del mancato funzionamento dei rapporti medesimi, al di là di ogni tentativo in
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tal senso esperito. I principali problemi dell’agire concreto dell’organismo di rappresentanza politico nascono proprio dalle
affermazioni pregnanti del preambolo, rimaste purtroppo sostanzialmente inattuate per mancanza di una reale volontà di
costante confronto e di coordinamento e per il prevalere di spinte particolari. Si accrescono a dismisura, poi, per effetto dei
costanti tentativi di delegittimazione, che traggono origine nel mancato riconoscimento, alla base e prima di ogni altra cosa,
addirittura della stessa esistenza, natura e funzione dell’Organismo Unitario. Proliferano nella perenne rincorsa alla
visibilità, ad un malinteso concetto di autonomia, che dà per presupposto l’inesistenza di qualsivoglia sede di coagulo.
Trovano ulteriore linfa nella incapacità, forse connaturata all’individualismo innato della professione forense, di accettare di
piegare la propria unilaterale posizione ai voleri di una democratica maggioranza, così come di confrontarsi nel quotidiano
gli uni con gli altri e definire d’intesa le migliori strategie per l’agire comune. Da tutto ciò non può che uscirne penalizzata
l’avvocatura stessa, nei suoi bisogni insoddisfatti, nelle sue aspettative deluse, nel suo slancio verso futuri e più confacenti
assetti, sempre represso dalla impossibilità di attuare un effettivo dialogo per l’individuazione delle linee comuni, o meglio
per la loro proposizione all’esterno, posto che nel merito le difformità sono davvero minime. Le questioni attinenti la
rappresentanza, per comune riconoscimento, debbono tenere nel debito conto il fatto che l’avvocatura è completamente
mutata negli ultimi anni, come è mutata la società. La situazione è radicalmente mutata da Venezia 1994 ad oggi. La crescita
del numero, l’accentuarsi delle diversificazioni interne dell’avvocatura, la frammentazione dei riti e le connesse
specializzazioni: sono tutti percorsi disgreganti, che determinano una frammentazione anche dell’avvocatura. Ad aggravare
la situazione il miraggio della liberalizzazione “tout court” del mercato dei servizi professionali, da alcuni perseguita.
L’unica sede di discussione è e resta il Congresso. Tale stato delle cose determinò proprio l’Oua, in difetto di altrui
iniziative, salvo alcune poi anch’esse assai poco apprezzate dal Congresso di Milano, a farsi carico del problema della
rivisitazione in chiave di attualità dei sistemi di rappresentanza, dapprima nell’ambito della legge professionale, e
correlativamente con riferimento alla rappresentanza politica. Tre sono le variabili su cui da anni ci si avvita.
Rappresentanza istituzionale e politica sommate in unico soggetto, soluzione impropria ed improvvida che con la creazione
del sistema Congresso-Oua si è voluta evitare. Rappresentanza politica e rappresentanza istituzionale ripartite tra due
soggetti, con la previsione di una stretta collaborazione tra i medesimi, come all’attualità. Frammentazione della categoria:
terza ipotesi più preoccupante, connessa ad una precisa strategia emersa con prepotenza negli ultimi tempi, per frantumare
l’avvocatura anche dall’interno. E’ chiaro il disegno, cui concorrono più forze, anche esterne alla categoria, tendente a
impedire il rinnovato emergere di un’identità stabile dell’avvocatura: ciò impedirebbe, infatti, che l’avvocatura possa avere
una voce unica ed unita, e quindi una indiscussa forza, proporzionata ai numeri.
Il reale interrogativo che oggi si ripropone è come trovare unità a fronte di una realtà complessa. Come rappresentare questa
realtà diversificata e complessa. L’obiettivo, cui tutti dobbiamo tendere con onestà intellettuale e con il massimo
convincimento e impegno, è individuare strade e modi per evitare di vanificare lo sforzo corale dell’avvocatura, compiuto in
questi anni.
Proprio la constatazione di una realtà sempre più diversificata e “plurale” è di per se stessa motivo di riaffermazione, oggi
con sempre maggiore forza, dell’esigenza di un organismo politico generale, che sappia individuare e valorizzare il minimo
comune denominatore ed al contempo le specificità. A questo percorso tutti debbono peraltro contribuire, nel comune, oltre
che nel proprio, interesse.
Bisogna riconoscere una volta per tutte – e al di fuori da schemi sin troppo abusati - che unitarietà non significa unanimità. È
un equivoco dal quale occorre uscire: la volontà si forma democraticamente. L’unanimità, reale o presunta, è in realtà un
risultato non sempre raggiunto con metodi realmente democratici. L’unanimismo e l’assemblearismo ricercati a tutti i costi,
che spesso mascherano frettolose approvazioni di posizioni altrove assunte, impediscono che si possa raggiungere
l’obiettivo di un’unità spendibile: essi sono i reali pericoli per la nostra categoria.
Nulla, peraltro, è immutabile ed intangibile. È quindi legittima l’indagine sull’attualizzazione dei sistemi di rappresentanza.
È però del tutto impensabile che lo strumento di attuazione della volontà politica di una classe sociale rilevante come
l’avvocatura – o che ambirebbe ad essere tale - debba soggiacere a sistematiche carenze di mezzi, malgrado le regole
esistenti e con grande leggerezza disattese, e risultare variamente condizionato, per effetto del “peso” di chi contribuisce e di
chi non contribuisce, per le più varie e sempre discutibili motivazioni. È altrettanto impensabile che alla scelta democratica
di un modello, di volta in volta gli uni o gli altri tentino di sottrarsi e “smarcarsi”.
Un ceto che voglia rivendicare con forza le proprie ragioni, ed il proprio punto di vista in materia di giustizia e tutela dei
diritti, deve comprendere che è irresponsabile privare di supporto e di mezzi il proprio organo di rappresentanza, che non
può essere oggetto di indebite pressioni e pretese di condizionamento del suo agire. Anche i metodi di selezione del
personale politico sono poi ulteriore elemento rilevante, sul quale riflettere.
Il Congresso è necessario e deve riuscire a mantenere la ricchezza del modello misto, sia nella composizione della platea
congressuale, che nell’assetto dell’organo esecutivo, la cui composizione peraltro deve rimanere strutturata con metodi
elettivi e democratici, pur semmai riscoprendo e reinterpretando partecipazioni di diritto. Ciò per non sconfessare a valle
quella democraticità che si è faticosamente costruita a monte con la determinazione della platea congressuale.
Da sottolineare, infine, è l’importanza notevolissima degli Ordini e delle Unioni, che rappresentano il fenomeno più
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rilevante e positivo degli ultimi anni. Vanno peraltro considerate nella riflessione sul modello tutte le realtà esistenti: se c’è
la necessità di valorizzare gli ordini e le unioni, è altrettanto vero che non si può ritenere che le associazioni possano
rimanere confinate in una sorta di stanza di compensazione ed in qualche modo non siano parte vitale della platea
congressuale e dell’organo esecutivo della platea congressuale. Bisogna trovare un modo perché, all’interno del medesimo
contenitore, tutti possano esprimersi con la medesima forza. Le Associazioni debbono parteciparvi con sempre maggiore
presenza e convinzione, superando i particolarismi.
Se davvero si vuole risolvere i problemi, e non insterilirsi in una discussione accademica, si deve trovare la maniera di dare
voce a tutti, ma nel confronto democratico. Il confronto democratico è conquista di civiltà, ma al contempo onere gravoso,
cui tutti debbono lealmente contribuire, con l’impiego di tutte le proprie forze, anche per determinare le volontà, ma poi
accettando e riconoscendo la volontà della maggioranza.
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PREAMBOLO
1. - L’avvocatura italiana svolge funzioni costituzionali nell’ambito della giurisdizione e, nel più vasto contesto sociale,
contribuisce alla conoscenza ed all’attuazione dei diritti e degli interessi soggettivi, in tal modo concorrendo all’effettiva
applicazione dei principi di uguaglianza e di libertà.
2. - Per lo svolgimento di tali imprescindibili compiti l’avvocatura deve essere libera e non condizionabile da alcun potere
politico o economico e deve anzi potersi proporre come soggetto politico, legittimato in quanto tale alla più ampia ed
articolata interlocuzione con i poteri e le istituzioni dello Stato e con tutti i protagonisti della vita politica e sociale.
3. – L’attuazione di tale doveroso ruolo presuppone il mantenimento ed il rafforzamento delle istituzioni forensi quali
irrinunciabili garanzie non solo dell’autonomia dell’ordine forense ma anche delle qualità morali e delle capacità
professionali della categoria.
4. – Parimenti il patrimonio di valori, di cultura e di proposta politica delle libere associazioni forensi è indispensabile
presupposto ed ineliminabile contributo per un’effettiva soggettività politica che consenta all’avvocatura di misurarsi con
ampio confronto sui problemi e sugli interessi di carattere anche generale e quindi di esprimere il proprio autonomo pensiero
propositivo.
5. - Fin dal 1947, nell’atmosfera di recuperata libertà, l’avvocatura ha costantemente convocato ogni biennio il suo
Congresso Nazionale, che ha costituito tradizionalmente il luogo e l’occasione per confrontare le opinioni delle varie
componenti e per esprimere in maniera unitaria le aspirazioni e le proposte della categoria. Nel solco di tale consolidata
tradizione, appare naturale che la sede del Congresso Nazionale Forense sia proclamata come quella ideale per realizzare la
confluenza organica e operativa di tutte le componenti dell’avvocatura, che proprio nel Congresso possono trovare ciascuna
il proprio spazio e determinare poi in sintesi quell’unità di espressione sulla quale può fondarsi la rappresentanza politica
necessaria alla categoria.
6. - Una rappresentanza politica che voglia essere autorevole e influente non può che tendere all’unitarietà, organizzandosi
in struttura tale che, assorbendo in sé le dialettiche interne e maturando nel dibattito più esteso possibile quelle soluzioni o
proposte che possano essere presentate come provenienti dall’intera categoria, sia valida e riconosciuta interlocutrice
abituale dei poteri dello stato e delle forze politiche e sociali. Tutte le componenti della categoria hanno ragioni valide per
individuare nel Congresso Nazionale Forense, quale assemblea generale dell’avvocatura, organizzata e gestita in comune e
garantita al massimo livello istituzionale, la struttura idonea a costituire la base della loro rappresentanza politica.
7. - E’ dunque interesse ed onere dell’intera avvocatura stringersi - come istituzioni, come associazioni, come aggregazioni
culturali e specialistiche, come singoli iscritti all’albo - in un patto di solidarietà politica, giuridica ed organizzativa, allo
scopo di dare partecipazione, riconoscimento e sostegno, anche finanziario, al Congresso Nazionale Forense e alla struttura
operativa di rappresentanza politica che ne è diretta emanazione, l’Organismo Unitario dell’Avvocatura alla cui
autorevolezza e capacità di intervento è necessario dedicare, da parte di tutti, il più ampio e leale supporto.
8. - Il solenne patto di solidarietà sopra detto va a manifestarsi innanzitutto con l’approvazione e con la fedele applicazione
del seguente Statuto.
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DIRITTO E GIUSTIZIA
Dalla Conferenza di Venezia al Congresso di Roma
Un Congresso nazionale forense sentito da tutte le componenti dell’Avvocatura, nel quale si discuta dei reali problemi che
stanno portando al collasso la professione. Del resto, l’attuale situazione di contrapposizione interna che coinvolge e
pregiudica gli interessi dell’intera categoria rende necessario il confronto fra tutte le componenti forensi. A tale scopo
l’Unione Triveneta dei consigli dell’Ordine degli avvocati ha organizzato a Venezia, lo scorso 8 e 9 giugno una conferenza
alla quale ha invitato l’Avvocatura istituzionale e quella associativa a confrontarsi con la speranza che si possano tracciare
le basi per giungere a una soluzione condivisa. Pubblichiamo di seguito la relazione introduttiva del presidente dell’Unione
triveneta, l’avvocato Mario Diego. A lato i contributi del consigliere del Consiglio nazionale forense, l’avvocato Luca
Saldarelli; del presidente dell’Organismo unitario, Michelina Grillo e della componente del direttivo nazionale Anf,
l’avvocato Palma Balsamo.
Unione Triveneta dei Consigli dell’Ordine degli avvocati
Conferenza Nazionale Avvocatura – Venezia giugno 2006
Introduzione del Presidente dell’Unione Triveneta Mario Diego
Colleghi
L’ atmosfera veramente tesa in cui, al di fuori ed al di là delle, anzi assolutamente contrarie aspettative dell’Unione
Triveneta, pareva nascere questa Conferenza, è, improvvisamente, perlomeno “migliorata”, essendo ormai avviata una
soluzione “accettata” da tutti per quanto riguarda, prima di tutto la convocazione stessa e poi l’ organizzazione e gestione del
prossimo Congresso, che, sperabilmente, porterà tutti a discutere del problema centrale della nostra categoria e cioè dell’
Ordinamento professionale e della crisi della “Giustizia” italiana. “Miglioramento” che ci consente, nell’ auspicio di essere
usciti da logiche “emergenziali” e di “contrapposizione” (parlo di auspicio perché i rischi sono sempre dietro l’ angolo) oggi
di discutere, così come dall’ intento del Triveneto, serenamente anche se serratamente e con disponibilità ad ascoltare e non
solo a parlare, del nostro Congresso.
In questo senso, sento veramente il dovere di ringraziare la nostra Cassa ed il suo Presidente per un intervento che sentiamo
come decisivo, come pure il Cnf ed il Suo Presidente, assente ma rappresentato a questa seduta, e l’Organismo unitario e la
Sua Presidente, qui presente, per aver saputo cogliere con attenzione e spirito di servizio verso gli avvocati italiani, anche
con sacrificio di posizioni, una soluzione unificante.
Perfino banale è ricordare i gravissimi problemi che il momento ci impone di affrontare: la crisi in fase ancora aggravata
della Giustizia italiana, crisi che travaglia, come tutti, anche i nostri fori del Triveneto, spesso anche laddove potevamo
evidenziare qualche tendenza positiva; riforme spesso affrettate e comunque passate senza un effettivo contributo degli
avvocati, perfino in materia di procedure dove il loro apporto appare talmente importante da essere inconcepibile che in
taluni casi (infortunistica da circolazione insegni) la legge sia stata impostata contro gli avvocati; il tutto in una situazione in
cui la nostra professione, ormai incontenibile nei numeri, deve affrontare un epocale “salto di qualità” a fronte delle esigenze
di capacità e preparazione proprie dell’ “economia globale”, a cui si aggiungono modifiche complete e radicali praticamente
di tutto il nostro scibile ed il nostro campo d’ intervento, con conseguente necessità di studio, di approfondimento, di
formazione, di maturazione di nuova esperienza, e di “rivisitazione” di tutto il nostro modo di operare. Sarebbe stato
veramente “delittuoso” non cogliere il prossimo Congresso come momento “chiave” ed il nostro grazie va anche al consiglio
di Roma ed al suo Presidente, per aver saputo gestire la situazione con tanta capacità e pazienza.
Quindi, eccellente risultato che al prossimo Congresso si vada veramente e si vada per discutere, così come sempre
fermamente richiesto dal Triveneto, dello Ordinamento forense, cioè del nostro ordinamento e della crisi della Giustizia.
Non posso non avviare la mia relazione introduttiva senza ricollegarmi all’intervento che, in nome della nostra Unione
Triveneta, ho tenuto a conclusione della fase congressuale di Milano esprimendo in esso il comune e sofferto sentire dei
delegati del Triveneto, tutti attentamente impegnati e partecipi ai lavori congressuali, sull’andamento e sull’esito dei
medesimi.
Avevo detto, anzi avevamo detto, che a Milano era uscito sconfitto il Congresso perché esso non era stato affatto il momento
e il luogo del dibattito e confronto dell’Avvocatura, ma piuttosto una passerella (anche interessante) di personaggi.
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Avevamo detto che le modalità con cui erano state presentate le proposte di delibera e tenute le
votazioni erano state la negazione di un’ elaborazione partecipata in sede congressuale e di un voto consapevole.
Sempre a nome del Triveneto avevo rilevato la profonda delusione per la reiezione sostanzialmente di tutte le modifiche
statutarie proposte, alcune respinte a larghissima maggioranza, altre, tra cui quelle sostenute dal Triveneto, cadute solo per
mancato raggiungimento del “quorum” dei votanti, ma comunque non accolte: non usciva, quindi, dal Congresso alcuna
“svolta” che consentisse di sperare per il meglio.
Concludevamo dicendo che era sbagliato credere che “nulla essendo cambiato tutto rimaneva uguale”: il risultato, per noi
negativo, del Congresso non avrebbe potuto non pesare negli sviluppi successivi. Mai però avremmo potuto spingere il
nostro pessimismo fino a pensare che potesse accadere quello che è poi successo.
Ma poiché al pessimismo della ragione continuiamo a sommare l’ottimismo della volontà, eccoci a riproporre a tutti e prima
di tutto a noi stessi, un momento di riflessione, momento di riflessione che intendiamo dedicare al Congresso, al suo
significato, al suo valore, alla sua organizzazione.
Nel periodo recente è ripreso con virulenza il “tormentone” sull’ Organismo rappresentativo
eletto dal Congresso: per inciso, è interessante notare come in ogni intervento si prenda sostanzialmente di mira la Giunta
dell’organismo rappresentativo. Dell’Assemblea dell’organismo rappresentativo, nessuno sembra nemmeno ricordarsi ed è
un segno da evidenziare proprio da parte di chi, come me, abbia avuto occasione di constatare l’impegno personale di molti
(mi si consenta però di dire: non di tutti) i delegati.
Resta il fatto, però, che discutere dell’Organismo rappresentativo del Congresso, senza discutere prima di tutto del
Congresso è, a mio avviso e con ogni rispetto per le diverse opinioni, un “fuor d’opera”.
Che cos’è dunque il “Congresso nazionale”: è ovvio e coerente riprendere, quale punto di partenza, l’ enunciato del
“Preambolo” dello Statuto del Congresso, “Preambolo” concepito – per inciso – da un autorevole componente del Cnf
nell’ambito dei lavori della Commissione nominata dal Congresso di Firenze ed approvato in forme plebiscitarie dal
Congresso Straordinario di Verona:
«Fin dal 1947, nell’atmosfera di recuperata libertà, l’avvocatura ha costantemente convocato ogni biennio il suo Congresso
Nazionale, che ha costituito tradizionalmente il luogo e l’occasione per confrontare le opinioni delle varie componenti e per
esprimere in maniera unitaria le aspirazioni e le proposte della categoria. Nel solco di tale consolidata tradizione, appare
naturale che la sede del Congresso Nazionale Forense sia proclamata come quella ideale per realizzare la confluenza
organica e operativa di tutte le componenti dell’avvocatura, che proprio nel Congresso possono trovare ciascuna il proprio
spazio e determinare poi in sintesi quell’unità di espressione sulla quale può fondarsi la rappresentanza politica necessaria
alla categoria».
E si aggiunge sempre in proposito: «tutte le componenti della categoria hanno ragioni valide per individuare nel Congresso
Nazionale Forense, quale assemblea generale dell’avvocatura, organizzata e gestita in comune e garantita al massimo livello
istituzionale, la struttura idonea a costituire la base della loro rappresentanza politica».
«È dunque interesse ed onere dell’intera avvocatura stringersi – come istituzioni, come associazioni, come aggregazioni
culturali e specialistiche, come singoli iscritti all’albo – in un patto di solidarietà politica, giuridica e organizzativa, allo
scopo di dare partecipazione, riconoscimento e sostegno, anche finanziario, al Congresso Nazionale Forense».
Corollario di quanto sopra è che:
«una rappresentanza politica che voglia essere autorevole e influente non può che tendere all’unitarietà, organizzandosi in
struttura tale che, assorbendo in sé le dialettiche interne e maturando nel dibattito più esteso possibile quelle soluzioni o
proposte che possano essere presentate come provenienti dall’intera categoria, sia valida e riconosciuta interlocutrice
abituale dei poteri dello Stato e delle forze politiche e sociali».
Onde, ancora, il riconoscimento e sostegno anche finanziario al Congresso nazionale forense vanno estesi “alla struttura
operativa di rappresentanza politica che ne è diretta emanazione” e cioè “all’Organismo Unitario dell’Avvocatura alla cui
autorevolezza e capacità di intervento è necessario dedicare, da parte di tutti, il più ampio e leale supporto”.
Ora, evidentemente, la “legittimazione” del Congresso al ruolo che nel “preambolo” dello Statuto esso si attribuisce, deriva
da ragioni storiche che “naturalmente” lo legittimano e dalla volontà «dell’intera Avvocatura» e delle «istituzioni,
associazioni, aggregazioni culturali e specialistiche» come «dei singoli iscritti all’albo» che riconoscono «come proprio
interesse ed onere di stringersi in un patto di solidarietà politica, giuridica ed organizzativa».
Dobbiamo quindi chiederci ed è quindi il primo punto di riflessione da segnalare alla Conferenza, se questo sia avvenuto e
se questo avvenga.
Su questo punto vorrei evidenziare ancora un aspetto da valutare.
Nell’assoluta generalità, si punta l’attenzione all’intervento, anzi sul negato intervento, al Congresso di alcune associazioni
(inutile nascondersi: Camere penali e Aiga) o di alcuni Ordini (inutile evitare la menzione, anche un Ordine del Triveneto:
Trento).
Tali assenze sono certamente pesantissime e gravissime, ma a modo di vedere del Triveneto, la loro importanza non può far
trascurare l’ effettivo coinvolgimento (il sentirsi parte del “patto”) dei singoli iscritti: gli Avvocati.
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Certamente il Congresso Nazionale, mobilita un numero importante di Avvocati (circa 1 ogni 180: non è una percentuale da
poco !)
Ma ci si deve chiedere se i 159.000 (o …. su di lì), che non sono presenti, sentano effettivamente il Congresso come il
“loro” Congresso in cui se pur - per ovvie ragioni – rappresentati da altri, sono “loro stessi” a decidere le linee politiche che
li riguardano.
L’Unione Triveneta è da sempre sensibile a questo aspetto e se pur nel certo non confortante quadro partecipativo degli
iscritti alla vita delle proprie rappresentanze, evidenzia, come, comunque, i Consigli dell’Ordine vengano concretamente
vissuti da larga parte degli Avvocati quale preciso punto di riferimento, magari in senso critico.
Ed è perciò che proponiamo da tempo di abbinare alle assemblee per le elezioni dei Consigli dell’ Ordine il momento di
dibattito sul Congresso Nazionale e di elezione dei delegati al Congresso.
Naturalmente – come tutte le proposte – anche l’idea del Triveneto può avere aspetti negativi.
Tuttavia su di essa sollecitiamo il dibattito, tanto quanto siamo attenti a considerare ipotesi diverse, anche radicalmente
innovative, quali quelle di elezioni su scala nazionale, o distrettuale, o (a mio avviso meglio) su scala di macroregioni,
proposte di cui però ancora non abbiamo esattamente compreso proprio lo “snodo” di raccordo con il Congresso.
Voglio, però, riportare l’attenzione sul punto, per noi essenziale, di un Congresso che sia sentito “proprio” dagli Avvocati.
Dovremmo cioè chiederci quant’ è di quel migliaio di avvocati (o giù di lì) che partecipa al Congresso, che rientri nel
proprio foro con la sensazione di aver partecipato ad un momento veramente significativo, di aver utilizzato bene il proprio
tempo (si può azzardare un conteggio di quanto costa un Congresso non solo in termini di spesa, ma anche in termini di
mancata produzione di reddito da parte degli avvocati che vi dedicano il loro tempo ?)
Quanti, al loro rientro, si sentono di poter esprimere un resoconto, o almeno un’immagine soddisfacente ai colleghi che
hanno rappresentato in quella sede ?
Evidente il carattere “retorico” di queste domande: impensabile è “acquietarsi”, quasi di fronte all’ineluttabile; non è sempre
stato così, non è fatalmente così!
Un buon Congresso, pretende un’adeguata scelta, ma soprattutto un’adeguata preparazione di temi, un adeguato tempo per
discutere le proposte e proporre modifiche alle stesse, un dibattito serrato e sintetico ma non strozzato; un’ adeguata
riflessione prima del voto.
Queste esigenze sono gravemente contraddette da quanto avvenuto recentemente: un Comitato organizzatore con troppi
padri, o nessuno, sconvolge ogni logica di efficienza.
Anche su questo punto sollecitiamo il dibattito in questa Conferenza. (Tanto per essere chiari: a Roma non mancherà l’
apporto del Triveneto che parteciperà attivamente alla miglior
elaborazione dei temi congressuali e ciò sin da quella riunione che il Cnf ha indetto ed, anzi, di cui ci ha chiesto di dare
diffusione e che è fissata per il 21-22 luglio).
Possiamo imparare dagli altri ? La struttura organizzativa dei congressi dei partiti politici e dei sindacati si articola su una
struttura piramidale che va dalle assemblee locali a fasi progressivamente sempre più selettive: provinciali, regionali, in cui
le linee programmatiche e la progressiva selezione dei rappresentanti procedono di pari passo ed importanza. Si tratta di
strutture ben collaudate e che potremmo studiare, posto che le nostre strutture, con il progressivo imporsi delle Unioni
regionali quali strutture operative efficienti, ci consente oggi di disporre di strutture analoghe.
Ma forse è sufficiente avere capacità e coraggio di utilizzare le “nuove tecnologie”, per il dibattito, con il possibile risultato
di coinvolgere nelle decisioni che riguardano il loro destino i tanti giovani avvocati che naturalmente sono pronti a recepire
l’invito e ad avvalersi delle nuove tecniche di comunicazione.
Il nostro Triveneto può offrire l’esperienza di sperimentazioni importanti se pur avviate in modo artigianale ed
improvvisato.
L’ informazione su Internet che abbiamo realizzato su alcuni aspetti importanti della professione (privacy, antiriciclaggio) o
del diritto (decreto competitività) ci hanno molto insegnato sugli eccellenti risultati consentiti dalla comunicazione via
Internet; ma, voglio segnalare, abbiamo ottenuto risultati altrettanto significativi con il primo sondaggio a carattere
“politico”, di “politica giudiziaria”, che abbiamo effettuato sul Giudice di Pace, ottenendo un rilevante numero di risposte e
chiare indicazioni sulle linee da seguire oltre che un elevato coinvolgimento di avvocati che, a quel punto, non hanno più
visto la nostra Unione Triveneta come un qualcosa di astratto o di sidereo.
Perché non utilizzare, dunque, la forma del “Forum “ sistematico per preparare il lavoro congressuale, per far sentire
partecipi gli Avvocati ai lavori stessi, per far sentire “proprio” il Congresso a tutti gli Avvocati ?
Detto dal Congresso è ineludibile affrontare il nodo della “rappresentanza” del Congresso e cioè della delega in base alla
quale il Congresso attribuisce ad un “organismo” la funzione di proseguire l’attività, di eseguirne le delibere, di
rappresentarlo in sede politica: quello cioè che è oggi l’organismo unitario con la Assemblea, la Giunta, il Presidente.
Detto che nessuno dubiterebbe circa la facoltà del Congresso di dotarsi di organi consultivi o di studio anche permanenti, l'
istituzione e la nomina di un organismo rappresentativo è soggetta ad una “rosa” di opzioni: il Congresso “non può”, “ non
deve”, “può”, “deve”.
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Possiamo anche concordare che se il Congresso “può”, o addirittura “deve”, l’opzione tra le scelte concrete delle forme
dell’organismo rappresentativo non possa che rientrare tra le competenze del Congresso stesso e sarà da valutare con logiche
di “efficienza” complessiva dello strumento, che deve garantire “partecipazione”, capacità concreta di azione, capacità di
“coinvolgimento” degli avvocati ecc.
Dunque la forma concreta è rimessa al Congresso: l’Unione Triveneta ha, nel tempo proposto, ancorchè per vero spesso
senza successo, varie soluzioni “migliorative” del grado di efficienza complessiva dell’ organismo rappresentativo: ad
esempio, l’esclusione per incompatibilità dall’ Assemblea dei componenti i Consigli dell’Ordine (se pur senza funzioni
apicali) a noi appare altamente dannosa sotto il profilo della capacità di coinvolgimento e quindi abbiamo chiesto di
eliminarla.
Così abbiamo dato appoggio alle proposte di elezione diretta del Presidente da parte del Congresso ritenendo che ciò
potrebbe accrescerne l’autorevolezza ed il prestigio interno ed esterno.
Dunque, il problema è di scelte concrete che vanno rimesse alla valutazione ed alle modifiche nel tempo del Congresso.
Ma non può venir evitato un attento esame delle prime alternative: il Congresso “non può” o “ non deve”.
Queste tesi non costituiscono evidentemente delle “opzioni” rimesse al Congresso stesso, ma vanno valutate sulla base delle
affermazioni del “Preambolo” cioè sull’ affermata premessa dell’interesse ed onere dell’intera avvocatura di stringersi in un
patto di solidarietà politica …… nel partecipare, riconoscere e sostenere il Congresso e (sempre secondo il preambolo) la
struttura operativa di rappresentanza politica che ne è diretta emanazione. Leggo il “preambolo” attuale, mi pare non
erroneamente, traendone che il Congresso deve esprimere una struttura di rappresentanza politica. In carenza di un
organismo rappresentativo, la “logica” dell’ attuale “Preambolo”, imporrebbe una sorta di “Congresso permanente”, del
tutto insostenibile per onere e costi.
Ma anche il preambolo, se pur a suo tempo approvato con così ampio consenso, può venir messo in discussione (e così
avviene nella realtà delle cose).
Tanto quanto siamo qui per sentire le opinioni di tutti sul Congresso, altrettanto riteniamo utile sentire le opinioni sullo
snodo Congresso – rappresentanza del Congresso.
E’ possibile pensare ad un nuovo preambolo che espunga l’organismo di rappresentanza, così come autorevolmente
proposto ? Mi scuso se esprimo qui un mio pensiero affatto personale, di necessità ad un nuovo preambolo, che ponga nuovi
e cioè diversi termini della volontà e dell’impegno pattizio dei confluenti nel Congresso, perché a me sembra, come sopra ho
detto, che la pura e semplice “espunzione” dal preambolo di tutti i punti riguardanti l’organismo rappresentativo, renda il
“preambolo” stesso nei termini in cui è attualmente concepito, del tutto “monco”.
Ossia se il consenso presupposto dal preambolo sia “scaduto”, o sia ridotto a quel grado da non consentire più (per
“qualcuno” mai) di considerare fermo ed effettivo il patto che unisce l’ “intera avvocatura”, l’ “intera avvocatura” potrebbe
convergere in un patto “congressuale” di minor impegno che non preveda un organismo rappresentativo proprio del
Congresso, ma altre soluzioni, ad esempio deleghe, convenzioni […].
E tale patto, se accettato da chi non si riconosce nel patto di solidarietà attuale, consentirebbe il permanere dell’ interesse e
del consenso di chi nel patto attuale si identifica e si impegna ?
Tocco solo ancora un punto: si può ritenere che destinatari di deleghe possano essere gli enti istituzionali dell’Avvocatura:
CNF e Consigli dell’ Ordine ? da un lato, possono essi agire “liberamente” in sede “politica” considerata la loro natura ? per
altro verso, possono essi impegnarsi a seguire delle linee predeterminate da un terzo, anche se esso sia il Congresso,
considerando la loro natura essenzialmente autonoma (ricordiamoci della sentenza “Contri”) ? ovvio essendo che essi
possano adeguare spontaneamente la loro linea a quella che il Congresso, o chi altro, decida, anche per volontà di “agire
unitariamente”.
Colleghi
Le premesse mi sembrano fin troppo ampie è ora di passare, al libero dibattito, dopo che il Presidente del Coa di Venezia
avrà illustrato il modello che Venezia ha potuto delineare al proprio interno, modello prima di tutto di discussione e
confronto e poi di “soluzioni” posto che Venezia ha sempre chiarito il carattere orientativo e, per così dire,“derogabile” della
propria proposta concreta.
Modello che avremmo voluto illustrare a Milano, ma inutilmente, poiché le “passerelle” hanno vinto sui contributi di idee.
L’invito a tutti è di discutere con lealtà e chiarezza: in questa sede non vi sono opinioni ufficiali né eretiche, ma solo
contributi di idee. Dobbiamo spiegarci e capire; non c’è voto conclusivo.
Teniamo tuttavia tutti ben presente il “valore” della “unitarietà dell’ Avvocatura”.
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DIRITTO E GIUSTIZIA
Quando le risposte sono nette e inequivocabili
di Luca Saldarelli - Componente del Consiglio nazionale forense
Non è facile sintetizzare quello che è successo alla Conferenza di Venezia del giugno scorso, organizzata dal
Triveneto in vista del Congresso di Roma, convocato per settembre prossimo, sia perché il significato e lo scopo
della conferenza non sono stati compresi appieno, sia perché la vasta partecipazione ha reso palese il disagio di
gran parte dell’avvocatura, nelle sue componenti istituzionali ed associative, e la voglia di mantenere un polo
aggregativo
e
rappresentativo
ormai
tradizionalmente
conosciuto
e
praticato
da
tutti.
In effetti, si era chiamati a discutere, in termini di perfetta libertà e senza alcun condizionamento, della attualità
del Congresso nazionale forense e dei suoi organi rappresentativi, messa in discussione in varie sedi, istituzionali
e non.
Però, per comprendere la portata della conferenza di Venezia che, pur senza concludersi con specifiche mozioni
o ordini del giorno, ha dato risposte nette e non suscettibili di equivoco, è necessario fare un passo indietro per
rintracciare, anche nella memoria collettiva, le ragioni che indussero l’Avvocatura tutta, sia associata che
istituzionale, a definire il Congresso nazionale forense quale unica e sola rappresentanza politica generale
dell’Avvocatura stessa, dopo un lungo e travagliato percorso, iniziato nella conferenza di Rimini dell’ ’80 e
sintetizzato nel grido corale che concluse quella assemblea “un avvocato, un voto”.
Pochi ricorderanno quale fosse il panorama di quell’epoca: una Avvocatura ingessata nelle sue istituzioni,
incapace di assumere soggettività politica, pungolata da alcune associazioni che volevano far politica e ne
rivendicavano la rappresentanza, almeno parziale, la Fesapi, oggi divenuta Associazione nazionale forense,
particolarmente attiva nell’assumere tale iniziativa.
Gli appuntamenti assembleari si susseguivano, sempre più frequenti e puntuali: si giunse alla seconda conferenza
di Rimini, nei primi anni ’90, che disegnò una specie di organismo rappresentativo composto da istituzioni e
associazioni, finché si arrivò al Congresso di Roma del ’93, nel corso del quale venne portato all’attenzione dei
delegati in termini di chiarezza il tema della rappresentanza politica dell’avvocatura.
Nel frattempo, erano falliti tutti i tentativi di creare una “consulta generale” delle associazioni forensi, sempre
più numerose e variamente presenti ed articolate sul territorio; lo scoglio delle rivalità anche personali, degli
interessi di bottega, delle poltrone – anche se di potere non ve ne era, tantomeno da spartire – si rivelò
insuperabile.
Solo sporadicamente e per singoli argomenti, si realizzarono confluenze provvisorie: in generale ogni
associazione badava sempre di più a crearsi uno spazio ed una visibilità propria.
Nacque allora l’idea, dopo l’appuntamento romano, di utilizzare il Congresso, nella sua complessa e tradizionale
struttura, considerato da sempre la “massima assise” dell’Avvocatura italiana, anche se chiamato Congresso
nazionale giuridico forense, quale organo rappresentativo dell’avvocatura italiana, in quanto diretta emanazione
degli ordini territoriali e composto dai delegati eletti per metà dalle assemblee di ogni ordine e per metà designati
dai rispettivi Consigli.In effetti, a ben vedere, già all’epoca era uno strano organo, di derivazione istituzionale
ma non istituzionalizzato, di fatto permanente ma rigenerato, siccome fenice, ad ogni congresso, sulle ceneri del
precedente.In ogni caso, nel corso degli anni, a cominciare dal congresso di Ancona a metà degli anni ‘80,
l’assise era diventata sempre meno giuridica e sempre più forense, dedicata cioè a trattare gli aspetti propri della
professione, nell’ambito più generale della crisi della giustizia, e non più temi giuridici, magari anche
interessanti, ma sempre più riservati a conferenze e tavole rotonde tematiche.
Non a caso, una delle relazioni del congresso di Roma aveva come titolo “Il Pianeta Giustizia”.
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Si giunse, così, subito dopo quel congresso, alla Conferenza straordinaria di Venezia, del 1994, evento che ha
assunto nell’immaginario collettivo di categoria i contorni del mito. Cosa successe a Venezia nei giorni
dell’appuntamento alla Fondazione Cini dovrebbe essere patrimonio conoscitivo della categoria: niente di più e
niente di meno della attribuzione della rappresentanza politica dell’avvocatura al Congresso Nazionale Forense,
elevato così al rango di parlamentino dell’avvocatura italiana, in quanto eletto dalla base, e cioè nella assemblea
di ogni singolo ordine territoriale, e proporzionalmente ad essa. Fu una scelta condivisa da tutti, anche se di fatto
necessitata, in quanto all’epoca il Consiglio nazionale forense si trovava in una situazione di sostanziale paralisi,
anche istituzionale, incapace comunque, anche se ne avesse avuto i poteri, di svolgere una qualunque iniziativa
di carattere politico, costretto nei suoi limiti istituzionali dall’essere organo giurisdizionale e consultivo del
ministero, per di più designato con criteri propri e su base distrettuale e, come tale, privo del requisito della
effettiva rappresentatività.
In quei giorni, l’ipotesi alternativa era quella di dividere proprio il Cnf in due sezioni, quella giurisdizionale e
quella politica, riconoscendo a quest’ultima la rappresentanza della categoria: il progetto, in se forse
condivisibile, si presentò subito inattuabile, in quanto sarebbe stata necessaria una legge ad hoc – e nessuno era
disposto a dare una legge agli avvocati per farli diventare anche soggetto politico – e si sarebbe inevitabilmente
persa la riserva giurisdizionale speciale.
Di più, sarebbe stato anche necessario adottare un sistema elettivo di primo grado, secondo criteri di effettiva
democrazia e rappresentatività. Per questo fu giocoforza digerire quella proposta, semplice e rivoluzionaria al
tempo stesso, che attribuiva ad un qualcosa di esistente e di efficiente da circa 50 anni, riconosciuto dall’intera
categoria, sia a livello istituzionale che associativo, come la massima assise, cioè il Congresso nazionale, i
compiti e le funzioni dell’altra metà del Cnf, cioè della sezione politica, la cui inattuabilità parve subito
irrimediabile.
Da quella decisione assembleare, condivisa, nacque il Congresso nazionale forense, che così perse l’appellativo
di Giuridico, rappresentativo dell’Avvocatura italiana, composto dai delegati eletti a suffragio universale, da ogni
ordine territoriale,e dai presidenti di ogni singolo ordine, e nacquero gli organi intermedi, per così dire attuativi
dei deliberati congressuali, vale a dire l’assemblea e quello che poi verrà chiamato Oua, organismo unitario
dell’avvocatura.
Certamente le cose avrebbero potuto andare anche meglio se ad esempio si fossero evitate le incompatibilità che
di fatto hanno indebolito gli organi esecutivi del Congresso, e se, da parte di alcuni maggiorenti, istituzionali ed
associativi, si fosse prestata leale collaborazione al rafforzamento del neonato organismo o se solo ci si fosse
astenuti da una costante opera di vero e proprio sabotaggio.Ma nonostante questo, il Congresso è non solo
sopravvissuto ma, mano a mano, è divenuto sempre più importante per la categoria, almeno per quella avveduta e
responsabile pattuglia di cirenei che da sempre si occupa delle cose della professione e alla quale, alla fin fine,
viene da tutti riconosciuto l’impegno. E’ sopravvissuto anche l’Oua, nonostante i ripetuti e a volte inconsulti
attacchi, basati sulla sola critica di non fare abbastanza, di non essere sufficientemente conosciuto e radicato
nella categoria, di non aver ottenuto nulla. Può anche essere che ciò sia vero: ci sarebbe, però, da chiedersi che
cosa nel frattempo hanno fatto gli organismi antagonisti o alternativi e se hanno ottenuto qualcosa.
Non si può attribuire all’incapacità dell’Oua ciò che invece deriva da situazioni oggettive, da scelte politiche
generali, dalla evidente e costante ostilità di molte forze e di grandi centri di potere nei confronti di una
professione che, seppure mortificata in tutti i suoi aspetti, resta incoercibile e libera, e come tale pericolosa.
Ma non è d’uopo parlare dell’Oua, che è e resta una giunta esecutiva, un organo di attuazione delle scelte della
categoria nell’ambito congressuale, una struttura comunque modificabile e adattabile alle esigenze mutate, ma
indispensabile se solo si voglia dare un reale significato politico alle scelte del Congresso.
Il vero argomento è e resta il Congresso quale è e quale dovrebbe diventare nella sua logica ed auspicabile
evoluzione, o quale vorrebbero che fosse tutti coloro che mal sopportano un parlamentino democraticamente
eletto che, inevitabilmente, ne limita l’individualismo o l’autoreferenzialità, e cioè tornare ad essere una sorta di
appuntamento culturale nel quale si parli, anche se a scadenze fisse, di problemi giuridici ed anche, ma non più di
tanto e per gentile concessione, di quelli della categoria o del Piante Giustizia, purché non si prenda alcuna
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decisione, riservata questa magari all’organo istituzionale o alle varie associazioni, più o meno
estemporaneamente nate e variamente rappresentative.
È un disegno che non considera lo scorrere del tempo e il mutare delle situazioni, che vorrebbe cristallizzare il
tutto, riconducendo ogni decisione e iniziativa ad un pur commendevole aeropago, del tutto distaccato dalla
tumultuosa realtà della base dell’avvocatura, e come tale ontologicamente incapace di comprenderla e di
comprenderne le esigenze.
Tra poco gli avvocati italiani saranno duecentomila, quanto un capoluogo di medie dimensioni, e tra qualche
anno forse saranno trecentomila; una crescita esponenziale, un fenomeno che non interessa solo il nostro paese,
anche se gli altri membri della comunità europea, hanno saputo, meglio di noi, governarlo, forse perché le loro
condizioni di partenza erano migliori.Quindi un vero e proprio fenomeno sociale che invano lo si combatterebbe
e ancor più invano lo si demonizzerebbe. Perché , allora, non affrontare il problema partendo da una corretta
analisi socio economica, cercando di individuarne i pregi, le risorse, anche quelle nascoste, e nel contempo
attenuarne i difetti più vistosi? Perché non apprestare gli strumenti necessari ad assicurare una accettabile crescita
culturale e professionale, e perciò anche economica, soprattutto dei giovani che sempre più difficilmente trovano
ruolo e collocazione? Perché non cominciare a responsabilizzare l’intera categoria, coinvolgendola nella
complessiva gestione della politica professionale, ascoltandone prima di tutto la voce, i bisogni, le aspettative?
La progressiva trasformazione del ceto, e prima di tutto delle modalità di esercizio della stessa professione
forense, da considerare sempre più un servizio e sempre meno una attività imprenditoriale, con buona pace degli
interessi di una parte, anche cospicua, dell’avvocatura europea, vale a dire quella di common law, e ciò per la
qualificata funzione ad essa demandata nel sistema latino, la tutela dei diritti e la difesa dei cittadini, imporrebbe
una seria riflessione, ad ampio raggio, ma prima di tutto la individuazione della sede deputata per questa
riflessione, che non si concludesse con un approfondito ma anche sterile dibattito ma piuttosto con decisioni,
vincolanti: ciò implica la immediata apertura a nuovi e più coinvolgenti sistemi di rappresentanza, anche se ciò
dovesse avere come prezzo una seria delimitazione degli ambiti e delle competenze degli organi istituzionali.
Del resto, la sopravvivenza del sistema ordinistico, ancora di grande attualità anche se in profonda crisi di
identità e di efficienza, è affidata esclusivamente alla capacità delle istituzioni forensi di assolvere sempre di più
alle funzioni pubbliche loro demandate , tanto da diventare, ammesso che già non lo fossero, organi solo pubblici
, per nulla inquinati da comportamenti o da atteggiamenti di difesa corporativa o anche solo di rivendicazione
politica.
Ma allora, è lecito chiederselo, perché ogni volta si deve scoprire l’acqua calda? il ceto forense, seppure dopo un
percorso faticoso, è riuscito a dotarsi di un sistema equilibrato di governo della categoria e di rappresentanza
politica, attingendo dalla stessa base, ma qualificandone diversamente i compiti e le funzioni.
Certo, ci sono voluti molti appuntamenti, alcuni più produttivi di altri, ma il risultato è sotto gli occhi di tutti: il
famoso “preambolo”, nel quale tutte le componenti dell’avvocatura si sono riconosciute da Venezia in poi, e che
è la premessa, anzi la solenne promessa, allo statuto del congresso, è non solo attuale ma anticipatorio, in quanto
abilitato nella sua formulazione a governare il cambiamento, ad affrontare una stagione difficile, speriamo
comunque di riforme, per l’intera avvocatura e per tutto il Pianeta Giustizia.
C’è solo da chiedersi se tutti coloro che ne parlano hanno effettivamente letto quel preambolo; la risposta,
purtroppo, è ovvia, essendo ormai inveterata abitudine di una categoria, a volte arrogante,anche nei suoi vertici,
parlare di cose poco conosciute.
Ma allora bisogna farlo conoscere, assieme al grande patrimonio di idealità che ha marcato il percorso da
Venezia in poi, contrassegnando i momenti assembleari più significativi.
Una cosa è certa: i cambiamenti sono bene accetti, anzi sono necessari, purché migliorativi, ma dal Congresso,
inteso non già come l’occasionale o periodico convegno di alcuni avvocati di buona volontà, ma piuttosto e solo
quale unica rappresentanza politica generale dell’avvocatura, in quanto espressione degli ordini territoriali, e
quindi delle stesse istituzioni forensi, democraticamente elette secondo criteri proporzionali, non si torna
indietro.
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DIRITTO E GIUSTIZIA
Autonomia, pluralità e rappresentanza
di Palma Balsamo - Direttivo nazionale Anf
Per dibattere di “idee per un rinnovato congresso nazionale forense” il momento non poteva essere più
opportuno. L’iniziativa della Unione triveneta degli ordini forensi, nata per l’esigenza di pervenire ad
un Congresso nazionale sentito come proprio da tutti gli avvocati e in cui potesse concretamente
dibattersi dei problemi più urgenti, ha assunto un’importanza ed un significato ancor più rilevante in un
clima come quello attuale, francamente sconcertante, e alla luce delle recenti, e non prive di
contraddizioni, posizioni assunte dal presidente del Cnf.
A un iniziale rifiuto di convocare il comitato organizzatore del congresso da tenersi a Roma, da lui
stesso presieduto, ha fatto seguito dapprima la dichiarazione che il Cnf non avrebbe partecipato a un
congresso convocato con le attuali regole; poi la diramazione di una bozza di regolamento
congressuale, unilateralmente predisposta dal Cnf, nella cui premessa si definisce impropria
l’affermazione della necessità di una rappresentanza politica dell’Avvocatura, e si afferma che il ruolo
istituzionale del Cnf implica “ovviamente” un ruolo di politica istituzionale, nonché la diffusione di un
programma congressuale ideato al di fuori del comitato organizzatore e mortificante per l’Oua e per le
associazioni; per approdare infine, pochi giorni fa, alla diramazione di un programma congressuale che,
seppure condiviso, appare organizzato per compartimenti stagni.
Il tutto attraversato dalla reazione negativa di numerosi Ordini e Unioni regionali, e dalla diffusione, da
parte del Cnf, di verbali delle riunioni del comitato organizzatore che molti dei partecipanti hanno
definito non rispondenti al reale dibattito e a quanto convenuto.
La scelta, illustrata nella relazione introduttiva dal presidente dell’Unione triveneta Mario Diego, di non
approvare nessun documento conclusivo della conferenza, ha certamente favorito un dibattito molto
aperto e senza riserve mentali.
Pur nella diversità delle posizioni degli intervenienti, alcuni punti sono stati unanimemente condivisi: la
individuazione del congresso quale unico momento di formazione democratica della volontà della
classe forense; la necessità di un organo che agisca per attuare le delibere congressuali e interloquisca
in nome dell’intera Avvocatura; l’urgenza di affrontare tutti insieme il nodo della riforma
dell’ordinamento professionale.
Ma, con una chiarezza, se possibile, maggiore, è stato ribadito che le regole congressuali che
l’avvocatura legittimamente si è data, non possono essere modificate se non dallo stesso congresso, e
certamente non da una singola istituzione non legittimata a farlo.
Assente il plurievocato prof. Alpa, sono però intervenuti nel dibattito due componenti del Cnf, Giorgio
Orsoni e Luca Saldarelli. Il primo riconoscendo i problemi che comporterebbe l’attribuzione al
Consiglio nazionale forense della rappresentanza politica dell’Avvocatura in relazione alle altre
funzioni del Consiglio, in special modo quella giurisdizionale,e il secondo con un’appassionata difesa
del congresso, unica espressione della base di una avvocatura complessa e articolata, e dell’organo di
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rappresentanza politica. Interventi che hanno confermato quanto poco aderente alla realtà sia il continuo
richiamo alla unanimità dei componenti del Cnf da parte del suo presidente.
Se dunque è stata ribadita la necessità di un organo di rappresentanza politica, disgiunto dagli organismi
istituzionali, e del resto difficilmente avrebbe potuto essere diversamente dal momento che solo nel
novembre scorso al congresso di Milano i due terzi dei delegati si erano espressi contro la soppressione
dell’Oua, resta però sul tappeto il medesimo problema che ha provocato infiniti dibattiti nell’ultimo
decennio, vale a dire come far sì che tutte le componenti dell’Avvocatura si riconoscano in un unico
modello di rappresentanza.
Non si tratta di rendere l’organismo di rappresentanza più forte o più autorevole, bensì di permettere,
in seno ad una rappresentanza unitaria, l’effettiva possibilità di espressione degli interessi dei singoli
gruppi, siano essi di provenienza associativa o ordinistica.
Rendere possibile coordinare elementi provenienti da universi differenti e al contempo garantire agli
interessi degli avvocati, come rappresentati politicamente dalle associazioni, uno spazio di libertà che
non si traduca in una crisi dell’unità politica.
Risolvere il conflitto pluralistico della rappresentanza presuppone il reciproco riconoscimento fra i
diversi attori e il consenso virtuale della stragrande maggioranza dei rappresentati. Occorrerebbe cioè
che vi fosse un pluralismo sostanzialmente cooperativo, egemone, o comunque dotato di strumenti
efficaci ed efficienti per controllare e governare, al proprio interno, spinte rivendicative e conflittuali
potenzialmente centrifughe.
In mancanza di queste precondizioni il modello non è in grado di funzionare con proprie risorse
autonome, ma deve essere integrato da interventi esterni- anche normativi- idonei a garantire una
efficace “regolazione dell’autoregolazione”.
Molti interventi a Venezia hanno posto l’accento sulla accresciuta complessità del ceto professionale
forense, che comporta, parallelamente alla crescita e differenziazione, la moltiplicazione e la
distinzione degli interessi da rappresentare: per differenze dei mercati professionali di riferimento, per i
diversi settori di specializzazione, di pari passo alla moltiplicazione dei riti; per differenziazioni
geografiche nel modo di amministrare giustizia; per differenze anagrafiche, in relazione alla crescita
spropositata di coloro che accedono ogni anno alla professione.
L’autonomia e la pluralità possono comportare una diversità di identità, di valori, di tendenze, di
interessi, un organo di rappresentanza non deve eliminarne nessuno ma operarne la sintesi.
La rilevanza degli interessi specifici però non può che essere il risultato di una scelta politicoorganizzativa che non può prescindere da un consenso costituente da parte della maggioranza dei diretti
interessati.
Lo sforzo di progettualità riformatrice dovrà pertanto prevedere la possibilità di un modello in cui si
accentui il mandato a scapito della autonomia della rappresentanza e si permetta una effettiva
possibilità di espressione ai portatori di specifici interessi, mediante l’adattamento del metodo elettorale
e dello stesso funzionamento dell’organismo collegiale, o mediante la partecipazione di delegati
espressione diretta dei gruppi.
24/06/2006
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IL SOLE 24 ORE
Antiriciclaggio/Due mesi di attuazione
Obblighi con più incertezze che sospetti
Molte ancora le questioni aperte che frenano l’operatività dell’istituto
Più che le segnalazioni, sono i dubbi a tenere sotto scacco i liberi professionisti a poco più di due mesi dal
debutto dei nuovi obblighi antiriciclaggio. Non ci sono cifre ufficiali ma sembrano esserci segnalazioni
effettivamente registrate su input dei professionisti se si escludono alcuni casi legati a compravendite immobiliari
e cessioni di quote ancora al vaglio dell'Uic. La lotta al riciclaggio, comunque, rappresenta una realtà in continua
crescita come emerge dai numeri sulle operazioni sospette di riciclaggio e finanziamento al terrorismo trasmessi
dall'Uic alla Guardia di finanza. Nel 2006, si potrà raggiungere e superare la soglia delle 10mila segnalazioni,
visto che a metà giugno, al Nucleo speciale di polizia valutaria ne erano già intervenute più di 6.700 contro le
7.578 di tutto il 2005. Un trend in continua crescita dal 2002 a oggi, via via che gli operatori coinvolti hanno
assimilato criteri e modalità. Per i professionisti, invece, questo percorso - avviato solo il 22 aprile scorso – deve
ancora completarsi. Ma, soprattutto, i professionisti devono confrontarsi con un quadro di riferimento che si
delinea giorno dopo giorno, con l'arrivo di ulteriori precisazioni. Ultimo caso, la nota del 21 giugno con cui
l'Ufficio italiano cambi si sofferma, in particolare, su identificazione della clientela, segnalazioni sospette e
tenuta dell'archivio unico, a conferma delle incertezze che ancora accompagnano l'operatività dei professionisti.
Identificazione e privacy. Circa le modalità di identificazione più di un problema è sorto con riferimento alle
identificazioni indirette o a distanza le quali, secondo le istruzioni vanno utilizzate esclusivamente se
l'identificazione diretta non può essere effettuata. A tal fine possono essere di aiuto le interpretazioni del
Comitato antiriciclaggio fornite agli intermediari finanziari già sottopost ialla disciplina antiriciclaggio.
Incertezze sono inoltre emerse a seguito dell'intreccio di questa normativa con quella sulla privacy poiché
l'identificazione integra un'operazione di trattamento di dati personali. Si segnala quindi l'opportunità di
perfezionare l'informativa comunicando che il conferimento dei dati è necessario anche ai fini della normativa
antiriciclaggio. A tal fine, nel ricordare che ai sensi dell'articolo 161 del Dlgs 196/03 le sanzioni per inidonea
informativa vanno da 3.000 a 18.000 €, è suggeribile che nel caso di conferimento di incarichi da parte di
soggetti diversi dalle persone fisiche l'integrazione contenga anche la previsione secondo cui il trattamento potrà
essere esteso agli amministratori degli enti conferenti l'incarico, ai quali va pertanto richiesta la misura camerale.
Le segnalazioni sospette. La segnalazione dell' operazione sospetta ricopre un aspetto delicato. Il professionista
deve mantenere la massima riservatezza della segnalazione. Tra i chiarimenti del 21 giugno l'Uic (si veda il Sole24 Ore del 23 giugno 2006») ricorda peraltro che l'obbligo di segnalazione non è ancorato a alcuna soglia
quantitativa e sussiste a prescindere dal valore della prestazione. Come già avvenuto per il sistema bancario e
quello degli intermediari finanziari sarà il tempo a verificare se le segnalazioni saranno eccessive o moderate. A
tal fine per i professionisti è fondamentale Ancorarsi agli indicatori di anomalia pubblicati nel provvedimento del
24 febbraio 2006 ai quali i chiarimenti dell'Uic aggiungono quanto segnalato da queste pagine il 25 aprile 2006
circa il sospetto di uso di fatture per operazioni inesistenti che possono integrare reato presupposto a quello di
riciclaggio. Di conseguenza viene indirettamente chiarito che nessuna segnalazione riguarderebbe la circostanza
in cui il professionista venga a conoscenza dell' evasione di un cliente in quanto il denaro da questi sottratto allo
Stato non costituirebbe, ai fini del riciclaggio, reato presupposto (si veda «Il Sole-24 Ore» del 24 giugno 2006).
Archivio unico. L'alimentazione dell'archivio unico resta tra i principali interrogativi. In particolare la
descrizione della prestazione fornita e quando la stessa deve essere considerata di valore indeterrninabile. Con
riferimento alla descrizione non è chiaro se questa deve essere puntuale ovvero generica. Non è chiaro infatti se,
nel caso di assistenza alla compravendita di un'azienda vadano iscritti anche gli estremi dell'azienda oggetto del
trasferimento. Sul valore da riportare le istruzioni informano che ci si riferisce esclusivamente a quelli
conosciuti. A tal fine si ritiene che il professionista che assiste un cliente per la compravendita di una società, il
cui valore è da sottoporre a perizia di stima, non debba esprimere valori generici che sono solo ipotizzati.
GAETANO DE VITO
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IL SOLE 24 ORE
Cariche sociali/Responsabilità dei collegi sindacali
Organi di revisione, compiti a due vie
Gli obblighi antiriciclaggio per i professionisti investono in maniera dissimile i collegi sindacali, distinguendo tra
gli organi incaricati anche del controllo contabile e quelli che svolgano esclusivamente la funzione di controllo
sull’ amministrazione: i primi devono adempiere agli oneri di identificazione, registrazione, segnalazione e
comunicazione; gli altri ne sono invece esclusi. l singoli componenti dei collegi sindacali, anche laddove
incaricati della revisione contabile, non devono invece applicare autonomamente gli obblighi antiriciclaggio
(come da parere Uic de121 giugno 2006).
La riforma societaria. La distinzione circa gli organi deriva dalla riforma del diritto societario, che ha introdotto
con il Dlgs n. 6/2003 la separazione della funzione di controllo contabile da quella di vigilanza
sull'amministrazione della società, devolvendo la prima a un revisore esterno o a una società di revisione iscritti
nell' apposito registro e mantenendo la seconda in capo al collegio sindacale, prevedendo la possibilità che
quest'ultimo rivesta entrambe le suddette funzioni esclusivamente per le Spa non quotate e non tenute alla
redazione del bilancio consolidato (articolo 2409-bis, Codice civile).
Le regole antiriciclaggio. Il decreto 141/06 dell'Economia, attuativo del Dlgs 56/2004, nel dettare le modalità
applicative dell'antiriciclaggio per i professionisti e le società di revisione, si è dunque innestato su un terreno che
già prevedeva in sé questa distinzione. L'Uic, con il provvedimento datato 24 febbraio 2006 e pubblicato sulla
«Gazzetta Ufficiale» del 7 aprile 2006, al paragrafo 2 della parte I, ha confermato espressamente gli oneri
sopraindicati, a eccezione degli obblighi di cui all' articolo 10 della legge antiriciclaggio. Questa indicazione è
stata condivisa dal Consiglio nazionale dottori commercialisti con il documento approvato il 19 aprile scorso
nonché dalla Fondazione Luca Pacioli con il documento n. 11 del 9 maggio 2006.
I collegi con compiti di amministrazione. I collegi a cui non sia attribuita la funzione di revisione sono invece
preposti alla tutela dell'efficacia e dell'efficienza delle operazioni aziendali e dell' assetto organizzativo (controllo
di gestione), e dell'osservanza della legge e dello statuto e dei principi di corretta amministrazione (controllo di
conformità alle leggi e amministrativo), e rivestono altresì compiti di amministrazione attiva con carattere
suppletivo. In questi ambiti. pur dovendo garantire il fondamentale requisito dell'indipendenza, il collegio detiene
poteri analoghi a quelli degli amministratori nello svolgimento delle rispettive attribuzioni. Questa la
motivazione fondamentale della diversa soluzione loro propria, che non potrebbe onerare amministratori e
gestori di funzioni di collaborazione attiva sul controllo del loro stesso operato.
I collegi revisori. Gli organi incaricati anche di compiti di revisione compiono invece le stesse attività dei
revisori esterni e delle società di revisione e sono investiti degli oneri in materia di antiriciclaggio proprio perché
- in relazione al loro servizio e nei limiti delle proprie attribuzioni - hanno l'effettiva possibilità di entrare in
contatto e riconoscere situazioni sospette da segnalare all'Uic o casi di infrazione all'articolo l della legge 197/91
da comunicare all'Economia. Va considerato, inoltre, come si evince anche dall'articolo 2409-septies, Cc - norma
che prevede un tempestivo scambio di informazioni tra il revisore e il collegio sindacale - che i soggetti estremi
incaricati del controllo contabile sono perfettamente in grado di adempiere agli obblighi antiriciclaggio,con ciò
rendendo opportuna la descritta esclusione dei sindaci privi di compiti di revisione, al fine di evitare ogni
duplicazione di oneri e l'appesantimento dell'attività d'impresa. Non solo. Per coerenza sistematica, si ritiene che
sarebbe altresì opportuno sollevare anche i collegi che svolgono attività di revisione dagli oneri di identificazione
e registrazione, mantenendo solo gli oneri di comunicazione delle infrazioni al Ministero e di segnalazione delle
operazioni sospette all'Uic. Per questi operatori è priva di ogni utilità !'identificazione dell'unico soggetto che
conferisce l'incarico (che, nel caso dei collegi sindacali, è anche il solo cliente possibile) e la registrazione della
prestazione (che, allo stesso modo, è per definizione l'unico incarico sindacale del medesimo collegio).
Quest'onere rischia di non avere significato e utilità reale nel quadro del sistema antiriciclaggio, come potrebbe
dirsi per tutti i casi in cui l'accertamento della situazione (incarico) derivi da registrazioni o altri adempimenti
obbligatori per legge: potrebbe dirsi altrettanto, ad esempio. per le prestazioni di curatela fallimentare, che sono
state inserite nella tabella allegata A2 al provvedimento Uic citato tra le prestazioni professionali da registrare
nell'archivio del professionista, ma che trovano evidenza nelle altre fonti pubblicistiche loro proprie e sono
sempre accertabili dall' autorità di vigilanza. LUIGI FERRAJOLl
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IL SOLE 24 ORE
Le strutture/ Le scelte da fare
Lo studio si riorganizza
La disciplina antiriciclaggio irrompe nell'organizzazione degli studi professionali e impone ulteriori
adempimenti che presuppongono, oltre che competenze tecnico-giuridiche, anche nuove procedure
interne.
L'informatica. Si tratta, in primo luogo, di dotarsi di applicativi software,meglio se integrati con i
sistemi gestionali e contabili già in uso, con i quali condividere i dati anagrafici della
clientela,consentendo anche alcuni utili controlli, in termini di "coerenza"(soggettiva e oggettiva) del
mandato professionale rispetto alle annotazioni riportate nell'archivio unico, ai caricamenti eseguiti nei
programmi gestionali, nonché infine all'emissione della parcella.
Mandati. Dovrà essere integrato il contenuto dei mandati professionali,inserendo quantomeno una
previsione circa il trattamento dei dati ai fini della normativa antiriciclaggio, oltreché la data di
accettazione dell'incarico, ai fini del computo dei termini per la registrazione nell'archivio unico.
Inoltre, potrebbe essere utile istituire un'apposita «cartella informatica»in cui conservare i mandati
professionali,numerati progressivamente e ordinati cronologicamente in ragione della data di
accettazione dell'incarico. Sempre con riferimento ai mandati, va considerato che il cliente che
conferisca un incarico per conto di terzi di cui ha la rappresentanza deve comunicare, per iscritto, i dati
identificativi del soggetto per conto del quale agisce. Potrebbe essere utile predisporre un modello a
compilazione guidata, valutando, altresì, se chiedere ulteriori informazioni, anche di referenza, per
approfondire la conoscenza del cliente. . L'organigramma. Al fine di rendere più chiare le funzioni e le
responsabilità all'interno dello studio, potrebbeessere inoltre utile formalizzare un organigramma,nel
quale individuare i soggetti che, a diverso titolo, vi operano, specificandone le mansioni e l'eventuale
ruolo nella procedura antiriciclaggio, istituendo altresì un manuale che accolga, in primo luogo, tutte le
disposizioni normative e regolamentari vigenti, sviluppando poi, in modo dettagliato e operativo,
almeno le seguenti fasi operative:
- istruttoria iniziale, definendo, unitamente all'organigramma, anche le modalità e i tempi di
acquisizione, registrazione e archiviazione dei dati e dei documenti anagrafici, nonché di quelli relativi
alle singole operazioni;
- selezione delle operazioni sospette, definendo l'iter operativo per le relative segnalazioni;
- comunicazione delle infrazioni valutarie di cui all'articolo l della legge antiriciclaggio (legge n.
197/91).
La formazione. Dovendosi poi assicurare un'adeguata formazione in materia di antiriciclaggio, sia per
il professionista che per il personale e/o i collaboratori dello studio, il piano della formazione dovrà
essere periodicamente definito con l'obbiettivo di mettere tutti gli operatori nella condizione di filtrare
con la necessaria competenza ogni informazione disponibile, isolando le eventuali operazioni sospette
da sottoporre all'esame del professionista. In proposito, nel caso in cui il professionista fosse chiamato a
dimostrare la propria diligenza, parrebbe utile aver conservato traccia documentale dei programmi
formativi e dei soggetti coinvolti (con relativo foglio presenze), dei corsi o seminari frequentati, dei
relatori intervenuti, del materiale didattico raccolto. Infine, il professionista, dovendo valutare, nel
tempo, il rischio di esposizione a fenomeni di riciclaggio, sulla base della conoscenza della propria
clientela, potrebbe definire una indicatori standard e informazioni utili per costruire il «profilo di
rischio» di ciascun cliente, istituendo un apposito «sub-fascicolo» e prevedendone un periodico
aggiornamento. GIANLUCA CRISTOFORI
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Monitoraggio, più categorie a rischio
Geometri, attuari e altri: coinvolgimento dubbio
A poco più di due mesi dall’ entrata in vigore della nuova disciplina antiriciclaggio i professionisti interessati dal
provvedimento cercano - a dire il vero non proprio con semplicità - di districarsi tra i nuovi adempimenti. La
situazione più incerta riguarda la categoria residuale dei soggetti che svolgono attività in materia di
amministrazione, contabilità e tributi di cui alla lettera s-bis del Dlgs 56/04. Allo stato attuale, infatti, risulta
difficile la loro precisa identificazione. Molti professionisti potrebbero, a loro insaputa, essere inclusi tra coloro
che devono dare attuazione alla specifica normativa. Si pensi, a titolo d'esempio, a chi realizza specifiche attività
collegate al\'amministrazione ovvero a specifici tributi quali i geometri, gli spedizionieri doganali e così via.
Oppure agli attuari quando certificano documenti amministrativi delle aziende. Per tutti questi professionisti la
necessità di un chiarimento immediato non è solo atteso, ma improcrastinabile. Comunque,una chiave di lettura
dell'intero sistema consiste nell'affrontare la materia coniugando adeguatamente proprio le regole soggettive con
i termini di ciascun adempimento.
Destinatari e termini. La concreta individuazione delle categorie professionali interessate e l'efficacia delle
nuove disposizioni antiriciclaggio costituiscono due aspetti a cui occorre prestare la dovuta attenzione per evitare
equivoci - per quanto possibile – in ordine ai soggetti realmente interessati e alla tempistica da rispettare per
essere in regola con gli adempimenti richiesti. La data del 22 aprile scorso non segna !'inizio di efficacia di tutte
le disposizioni, in quanto alcune regole di questa complessa normativa sono entrate in pista prima di questa data
e in tempi diversi nei confronti di alcune categorie professionali, rispetto ad altre. Nell'ambito del Dlgs 56/04
(che recepisce le novità comunitarie per i professionisti), è necessario, infatti, distinguere le disposizioni
immediatamente efficaci con l’entrata in vigore del decreto (14 marzo 2004), dalle altre, per la cui efficacia era
necessario, invece attendere l'adozione di un regolamento entro 240 giorni dal 14 marzo 2004 (decreto 3 febbraio
2006 n. 141). È inoltre, necessario tener conto anche della modifica operata dalla Comunitaria 2005 (legge
29/2006),con la quale, tra le altre, attraverso l'aggiunta della lettera s-bis), nel comma l, dell'articolo 2, Dlgs
56/04, si è, ulteriormente, ampliato,come indicato in precedenza, l'ambito delle professioni che soggiacciono alla
normativa antiriciclaggio.
Decreto 56/04. Per l'obbligo di comunicazione delle violazioni relative all'uso del contante per importi superiori
a 12.500 €; per l'adozione di adeguate misure di controllo interno, tra cui la formazione del personale; per il
generico obbligo di collaborazione con le autorità antiriciclaggio,non si è dovuto attendere alcun regolamento di
attuazione. Tuttavia, questi obblighi, per effetto della modifica operata dalla legge 29/06, hanno interessato le
categorie professionali con una tempistica diversa:
- dal 14marzo 2004: ragionieri e periti commerciali,revisori contabili, dottori commercialisti e consulenti del
lavoro iscritti nei rispettivi albi; nonché notai e avvocati, ma solo in relazione ad alcune attività e nel rispetto del
segreto professionale ( lettere s e t, dell'articolo 2, Dlgs 56/04);
- dal 23 febbraio 2006: ogni altro soggetto che rende i servizi forniti da revisori contabili, periti, consulenti e
altri soggetti che svolgono attività in materia di amministrazione, contabilità e tributi.
Decreto 141/06. Il provvedimento, con effetto dal 22 aprile 2006,indica per alcune categorie professionali i
nuovi obblighi di identificazione,registrazione e conservazione delle informazioni,in relazione a incarichi assunti
a decorrere dalla stessa data (per incarichi precedenti c'è tempo fino al 22 aprile 2007 per mettersi in
regola)nonché di segnalazione di operazioni sospette. Questi adempimenti,però, al momento, non riguardano tutti
i professionistiche a regime saranno interessati da queste regole ma solo i soggetti indicati nelle lettere s) e t)
(soggetti iscritti ad Albi quali commercialisti, notai e avvocati), dell'articolo 2, Dlgs 56/04. In effetti, allo stato
attuale, sono esclusi i soggetti di cui alla lettera s-bis). La loro esclusione, conseguente alla omessa indicazione
degli stessi nel Dm 141/06, è stata confermata con il parere n. 99 del 21 aprile 2006, del Comitato antiriciclaggio.
In sostanza, i sopra citati professionisti diverranno concretamente destinatari degli adempimenti di
identificazione e segnalazione delle operazioni sospette solo con l'emanazione di uno specifico regolamento di
attuazione atteso per il 2l ottobre 2006, sperando che prima di quella data si indichino con chiarezza i soggetti
inclusi ed esclusi dalla specifica categoria. BENEDETTO SANTACROCE
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Identificazione/Come si assume l’impegno
Occorre la formalizzazione dell'incarico dal cliente
I primi adempimenti con cui si deve confrontare il professionista per l'applicazione delle nuove regole
antiriciclaggio sono costituiti dall' identificazione e registrazione. Questi obblighi, anche alla luce delle regole
emanate con il Dm 141/06, del provvedimento Uic del 24 febbraio 2006 e dei relativi chiarimenti del 21 giugno
2006, presentano particolari problematiche che vanno interpretate e risolte ancor prima di effettuare i relativi
adempimenti. In particolari queste problematiche riguardano:
- le modalità di attribuzione dell' incarico;
- l'individuazione di un momento specifico da cui far scattare gli adempimenti;
- il significato da attribuire all'espressione «struttura informatizzata» (articolo 6, comma 6 del Dm 141/06)
espressione che condiziona le modalità di tenuta del registro informatico o cartaceo.
Attribuzione incarico. La specifica attribuzione di un incarico è condizione essenziale perché scatti l'obbligo di
identificazione ai fini antiriciclaggio. Così, la mancata formalizzazione in modo chiaro e univoco dell'incarico da
parte del cliente, potrebbe generare problemi in relazione sia al presupposto essenziale per cui scatti
l'identificazione, sia, successivamente, al momento effettivo da cui far scattare l'obbligo di identificazione e di
registrazione. In tal senso, la predisposizione di una lettera di incarico, nella quale, si riportino una serie di
elementi validi ai fini identificativi e volto alla definizione e alla configurazione dell' incarico assegnato,
consentirebbe al professionista l'ufficializzazione dell'attribuzione dell'incarico, potendo, peraltro, farla risalire a
un momento specifico, da cui far decorrere detto obbligo. Quest'ultimo aspetto ha suscitato vivaci dibattiti, non
trovando, peraltro, alcuna soluzione, né con il Dm 141/06, che ha stabilito come momento rilevante quello di
inizio della prestazione, né con il citato provvedimento Uic, che, a differenza del primo, ha indicato nell'
accettazione dell' incarico professionale questo momento.
L'Uic, peraltro, nei chiarimenti del 21 giugno, nell'individuare come rilevante ai fin identificativi il momento di
accettazione dell'incarico, estende ulteriormente questo obbligo, anche alle prestazioni professionali periodiche
tacitamente rinnovate.
I diversi momenti fino ad ora individuati potrebbero trovare soluzione in una lettera di incarico firmata dal
cliente ovvero, più in generale, in un generico atto "concludente" nei confronti del cliente stesso. Si immagini, un
professionista che lavori per un cliente, senza che questo gli abbia conferito ufficialmente alcun incarico; in
questo caso, pare ragionevole individuare, quale momento idoneo all'identificazione,
quello in cui si è proceduti al compimento di un atto oggettivo, quale ad esempio la fornitura di un fondo spese.
Struttura informatizzata. Il significato da attribuire al concetto di «struttura informatizzata » non trova alcun
riferimento nelle disposizioni dell'attuale impianto normativo connesso all'antiriciclaggio. Capire l'esatto
significato di questa struttura, incide in modo essenziale sulle scelte che il professionista dovrà porre in essere
per l'archiviazione dei dati, adottando, a seconda del caso, un archivio informatico o cartaceo. Tralasciando il
problema dell' effettiva altematività o meno della tenuta dei due archivi, evidenziata dalle diverse posizioni del
Dm 141/06 e del Provvedimento Uic, si pone l'attenzione sull'interpretazione da attribuire alla locuzione
«struttura informatizzata». Non sembra ipotizzabile far rientrare in questa definizione, la semplice presenza di
computer all'interno di uno studio professionale, anche se collegati in una rete interna tramite server o altri
apparati, come avviene nella maggior parte degli studi di piccole-medie dimensioni. Il significato di «struttura
informatizzata» deve andare al di là di questa interpretazione, assumendo una chiara e autentica identità, intesa,
quindi, non come mera presenza di «strumenti informatici», ma come sistematica e completa gestione, tramite
modalità informatiche, dell' ordinaria attività svolta dal professionista. Ciò, comporta una strutturazione,
un'organizzazione, una gestione dei processi interni allo studio, alla cui base vi siano specifiche procedure
informatiche, che consentano ai membri dello studio di interagire e di procedere autonomamente in relazione alle
procedure sopra richiamate. ISIDORO VOLO
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Interpretazioni/Come uscire dall’intedeterminatezza dei destinatari
Una luce dalla terza direttiva
La comunitaria 2005 ha esteso l'applicazione della normativaantiricic1aggioa tutti i soggetti che
svolgono attività professionale in materia di amministrazione, contabilità e tributi. Questa indefinita
estensione, contenuta alla lettera s-bis del comma l dell'articolo 2 del Dlgs 56/04, in mancanza di
chiarimenti ufficiali, pone seri problemi interpretativi e applicativi.
I limiti dell'estensione. In effetti, questa norma, almeno, in prima battuta e in base a un'interpretazione
strettamente letterale, è idonea a estendere l'ambito soggettivo di applicazione della normativa, in
esame, in modo pressoché generale, senza fornire alcuna indicazione,a chiunque esercita attività di
amministrazione,contabilità e tributi, coinvolgendo, di conseguenza, un numero non ben definito di
soggetti. Essa va ben oltre le indicazioni fornite dal legislatore comunitario nella Direttiva 2001/97/Ce,
in qualche modo, anticipando le più ampie previsioni di cui alla successiva terza Direttiva 2005/60/Ce,
che dovrà essere recepita entro il 15 dicembre 2007.
Se l'articolo 2-bis della direttiva 91/308/Ce,come modificata dalla direttiva 2001/97/Ce, confermando
quanto contenuto nei lavori preparatori (risoluzione del Consiglio europeo del marzo 1999 e Com
1999), si limita a includere sia le persone fisiche che giuridiche, ma soltanto quando svolgono attività di
revisione, contabilità dall'esterno e consulenza tributaria, la terza Direttiva 2005/60/Ce, nel sostituire la
prima, va oltre, attraverso la previsione, non meno ampia rispetto a quella nazionale, di coloro che
svolgono «prestazioni di servizi relativi a società e trust». Forse, proprio avendo riguardo alla nozione
comunitaria di «prestatori di servizi relativi a società e trust» può venir risolto il problema
dell'indeterminatezza della disposizione nazionale (lettera s-bis) che si rivolge vagamente ad «...altri
soggetti che svolgono attività in materia di amministrazione...». Al riguardo, la terza Direttiva riferisce
di coloro che «...esercitano la funzione di dirigente o di amministratore per conto di terzi e a titolo
professionale». In considerazione del significato che questi termini assumono in ambito comunitario
dovrebbe trattarsi di soggetti esterni allastruttura societaria che operano per conto della stessa, in quanto
incaricati, per l'espletamento di un'attività amministrativa.
A titolo di esempio, soggiacciono all'antiricic1aggio coloro che, agendo a titolo professionale,
assumono l'incarico di gestire/amministrare beni di un terzo, in forza di procura speciale o generale; gli
institori dell'imprenditore; il truste e nell'ambito del trust, eccetera. In ogni caso, si auspica un
chiarimento ufficiale che potrebbe trovare spazio nel corpo dell'emanando decreto integrativo del Dm
141/06.
Conclusioni. Riguardo ai destinatari si segnala la previsione dell'articolo Il, paragrafo 2, della direttiva
2005/60/Ce, che consente agli Stati membri di «...autorizzare gli enti e le persone soggetti alla presente
direttiva...» a non applicare le disposizioni antiricic1aggio,in situazioni caratterizzate da scarso rischio
di ricic1aggio o di finanziamento del terrorismo, rischio che potrà essere valutato sulla base dei criteri
tecnici che la stessa Commissione potrà adottare, secondo la procedura dell'articolo 41, paragrafo 2,
della stessa Direttiva. ROBERTO MOSCATI
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Le conseguenze/per chi non rispetta le regole
Sistema sanzionatorio “graduato” fino al penale
Il sistema sanzionatorio dell'antiriciclaggio è l'aspetto che più preoccupa i professionisti. Questo
prevede sia in sanzioni amministrative, sia penali.
Soggetti "indistintamente" coinvolti. La prima categoria di obblighi, che coinvolge tutti i soggetti
senza alcuna distinzione, include:
- il trasferimento di denaro contante, libretti di deposito o postali al portatore o titoli al portatore in euro
o in valuta estera, di valore complessivamente superiore a 12.500 €, per il tramite di intermediari
abilitati; (articolo l, comma l, della legge 197/91);
- l'indicazione, sui vaglia postali e cambiari e sugli assegni postali, bancari e circolari per importi
superiori 12.500 €, del nome, o la ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità
(articolo l, comma 2 della legge 197/91);
- il limite del saldo dei libretti bancari o postali, che non può essere superiore a 12.500€ (articolo l,
comma 2-bis, della legge 197/91).
La violazione agli obblighi dei punti l e 2 prevede, a cura del ministero dell'Economia e delle finanze,
l'irrogazione di una sanzione amministrativa che va dall' l% al 40% dell'importo dell’operazione.
Per le stesse violazioni, peraltro, il cui valore non ecceda 250.000 €, il decreto del 21 aprile 2006 n.
43726 (<<Gazzetta Ufficiale» n. 122del 27 maggio 2006) stabilisce di assegnare alle «Direzioni
provinciali dei servizi vari», a decorrere dal 15 maggio 2006, la competenza dei suddetti procedimenti
amministrativi sanzionatori. Per ciò che concerne, invece, le violazioni del punto 3, le sanzioni sono
applicate con percentuali diverse a seconda del saldo del libretto postale o bancario (si veda la tabella
qui sotto)
Sanzioni amministrative. Per una corretta applicazione delle sanzioni, a seguito di illeciti
amministrativi posti in essere dai professionisti, non si può prescindere, in relazione alla diversa
tempistica attuativa della normativa antiriciclaggio, da una specifica individuazione delle categorie al
momento coinvolte. Ad oggi, infatti, solo i professionisti, iscritti in determinati Albi (articolo 2, comma
l, lettere s e t, del Dlgs 56/04), sono coinvolti negli obblighi di identificazione,registrazione e
segnalazione delle operazioni sospette, previsti dal Regolamento attuativo 141/06. In questo senso,
devono essere tenuti distinti,almeno fino alla modifica dello stesso regolamento - prevista dal parere
99/06 del Comitato antiriciclaggio entro il 21 ottobre 2006 - i soggetti (articolo 2, comma l, lettera s-bis
del Dlgs 56/04) per i quali vigono, comunque, altri obblighi. L'estensione ai professionisti della
normativa antiriciclaggio ha stabilito dunque nuovi obblighi, alcuni dei quali immediatamente
applicabili e, quindi, sanzionabili, altri, invece, prorogati alla prevista integrazione de1.Dm 141/06. Tra
gli obblighi, le cui violazioni (si veda la tabella) comportano un illecito amministrativo, rientrano: il
riferire, al ministero dell'Economia le notizie di infrazione, di cui all'articolo l della legge 197/91, entro
30 giorni dall'acquisizione delle stesse; la segnalazione di operazioni sospette all'Uic; la comunicazione
di dati e informazioni all'Uic; la sospensione dell'operazione che ha le caratteristiche di riciclaggio; il
rilasciare l'informativa sulla privacy.
Sanzioni penali applicabili ai professionisti. La mancata osservazione degli obblighi antiriciclaggio
può, in taluni casi, peraltro frequenti, delineare sanzioni di carattere penale (si veda la tabella). Tra i
reati, cui in alcuni casi si aggiungono sanzioni amministrative, vanno ricordati l'omessa istituzione
dell'archivio unico, la violazione dell'obbligo di riservatezza, in merito alla segnalazione delle
operazioni sospette e l'omessa indicazione o la falsa indicazione delle generalità dei soggetti per conto
dei quali si opera. I.VO.
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Debutta il ciclo «1+4»
Ma sul triennio atenei in ordine sparso
Per giurisprudenza (ricomincia l'era del "ciclo unico". Con il nuovo anno accademico debutta il corso di
laurea magistrale in giurisprudenza di cinque anni (<<1+4»), con un primo anno di formazione di base
ma di fatto un percorso unitario. Ma la riforma ammette la convivenza con il «3+2». Alcuni atenei,
pertanto, hanno preferito abolire l'iscrizione al primo anno in scienze giuridiche (modello «3+2»), altri
invece propongono anche la laurea triennale, con l'eventuale successivo biennio di specializzazione, e
talvolta ulteriori percorsi professionalizzanti di tre anni.
Debutta la magistrale. «Accanto alla laurea magistrale rivolta a chi aspira alle professioni legali
classiche, per coloro che già di partenza non vogliano completare il biennio resta la chance del corso
triennale - spiega Carlo Angelici, preside di giurisprudenza alla Sapienza -. Tuttavia, dato che il triennio
ricalca la didattica della quinquennale, gli iscritti al primo anno di scienze giuridiche potranno transitare
al secondo anno del ciclo unico». Alla Cattolica di Milano, come accade anche altrove, il piano di studi
per la magistrale si personalizzerà al quarto anno, scegliendo fra alcuni percorsi (forense,
amministrativo, internazionale, d'impresa, penalistico- criminologico) e ripartiranno le lauree di primo e
secondo livello. «Sarà comunque possibile il passaggio alla magistrale- commenta il preside,Giorgio
Pastori - con il riconoscimento della frequenza ai corsi e dei crediti formativi per gli esami già
sostenuti». La laurea a ciclo unico coesisterà con il primo anno di scienze giuridiche anche a Udinecome sottolinea Mariarita D'Addezio, preside della facoltà - complice la volontà di rispondere alle
richieste del tessuto imprenditoriale tipico del Nord-Est: i triennali, infatti, potranno trovare
occupazione in qualità di consulenti nelle Pmi.
Scelta opposta alla Bicocca di Milano. Il preside Giovanni Chiodi evidenzia che per quest'anno si è
deciso di puntare sul giurista a "tutto tondo" non ripristinando il primo anno di scienze giuridiche. A
Foggia il preside Maurizio Ricci fa presente che vista la rigidità delle tabelle ministeriali per la
magistrale, si stia cercando di diversificare l'offerta con le triennali e i corsi post-laurea, puntando sulla
pubblica amministrazione ma anche su altri orizzonti come la mediazione familiare. «Il"3+2" era già
stato costruito in modo da agevolare l'arrivo della magistrale, - afferma Paola Severino, preside alla
Luiss – privilegiando però il diritto dell'impresa e i sistemi giuridici comparati». Gianluigi Bizioli, che
insegna diritto tributario comunitario nella magistrale a Bergamo, formato alla "scuola" di Claudio
Sacchetto, ordinario di tributario internazionale a Torino, mette l'accento suil' importanza nella
formazione del contesto internazionale.
Identikit del giurista d'impresa. Anche la Bocconi avvia la magistrale ma, per il direttore Giovanni
Iudica: «Preservando l'identikit del giurista d'impresa, che oltre alle conoscenze giuridiche sa leggere i
.bilanci e ha nozioni di economia aziendale e matematica». Alcuni percorsi triennali professionalizzanti
però hanno funzionato, favorendo l'ingresso nel mondo del lavoro. È il caso del corso di informatica
giuridica voluto da Paolo Garbarino, rettore dell'ateneo del Piemonte Orientale, promosso in
interfacoltà con scienze matematiche ad Alessandria. «L'innovazione sta nel metodo di approccio, per
un profilo che unisce le peculiarità del giurista e del matematico – spiega Mario Losano, direttore del
corso - introducendo lo studio dei contratti informatici, dell'e-government e delle banche dati
giuridiche». CHIARA CONTI
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DIRITTO E GIUSTIZIA
Csm verso il rinnovo. Movimento per la giustizia: "Indipendenza, ma anche
autorevolezza e credibilità"
Prosegue l’excursus di DirittoeGiustizi@ sui programmi elettorali per il rinnovo del Consiglio
superiore della magistratura. Ciro Riviezzo illustra le priorità di Movimenti per la Giustizia. La prima
puntata, con il programma di Magistratura indipendente e il contributo di Stefano Amore e Antonio
Patrono è stata pubblicata sull’on line del 31 maggio 2006, la seconda, con l’intervento di Fabio Roia
che ha illustrato il programma di Unicost, è consultabile sull’edizione di giovedì 8 giugno.
di Ciro Riviezzo
Le prossime elezioni dei componenti del C.S.M., che si terranno il 9 e 10 luglio p.v., si svolgono in un
momento del tutto particolare per l’assetto istituzionale, con un Parlamento da poco rinnovato, un
Presidente della Repubblica appena eletto, un ordinamento giudiziario che sta formalmente acquistando
efficacia, ma sul quale pende la spada di Damocle di una annunciata profonda rivisitazione.
Quindi, se quelli che abbiamo alle spalle sono stati anni duri per l’apparato giudiziario, caratterizzati da
un insostenibile tasso di conflittualità tra politica e giustizia, dovuti all’aggressione costante e
programmata nei confronti della magistratura al fine di metterne in discussione il compito di controllo
della legalità, e da tagli indiscriminati delle risorse, il futuro che ci aspetta appare incerto e nebuloso.
Il Consiglio Superiore della Magistratura che verrà, si troverà ad affrontare una situazione
particolarmente difficile ed avrà compiti molto impegnativi. In primo luogo dovrà applicare una riforma
– non sappiamo ancora quale – dell’ordinamento giudiziario. Noi speriamo ancora che sia molto
diversa dalla contro-riforma Castelli, che è sbagliata nei suoi fondamenti e del tutto ingestibile. Se
dovesse avere concreta efficacia, tutto il sistema di autogoverno inevitabilmente entrerà in crisi, dal
disciplinare ai trasferimenti orizzontali, dalla formazione alla nomina dei direttivi e semi-direttivi, e via
dicendo. Se invece la riforma verrà modificata nei suoi aspetti essenziali – come è auspicabile – e resa
compatibile con il quadro costituzionale, al C.S.M. spetterà il compito di applicarla concretamene,
migliorando l’efficienza del sistema giudiziario e rendendolo più moderno, nell’ottica di una effettiva
resa del servizio giudiziario, per ridurre i tempi della giustizia e migliorarne la qualità. I controlli
effettivi di professionalità, l’adempimento del dovere di aggiornamento, l’efficienza nella gestione
ordinaria dell’autogoverno, sono obiettivi possibili, che la futura riforma ordinamentale deve porsi
seriamente, così colmando lacune e ritardi che pure si sono verificati. Su tutti questi punti, vi sono
proposte precise che l’associazionismo giudiziario ha formulato anche di recente, e che possono
costituire un’utile base di discussione.
Per assolvere ai compiti che la Costituzione gli affida in via esclusiva, il C.S.M. deve però recuperare
autorevolezza e credibilità, all’interno ed all’esterno della magistratura.
In questi anni, il Consiglio ha mirabilmente svolto un’azione di difesa dell’indipendenza e autonomia
della magistratura, non a caso sempre con l’unanimità della componente togata, ma ha segnato il passo
nella gestione ordinaria del lavoro, con cadute di efficienza, e la sua azione è apparsa spesso
condizionata da logiche di parte, piuttosto che da criteri di razionalità e rispetto delle regole.
Certo, molto è stato dovuto alla riduzione del numero dei componenti, del tutto irrazionale di fronte
all’aumento dei compiti affidati al C.S.M., e dal taglio brutale delle risorse. Ma non si può non
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condividere il grido d’allarme lanciato più volte dal Vice-Presidente Rognoni sulla progressiva
invadenza delle logiche correntizie che minano l’efficienza della struttura e ne influenzano le scelte.
Come non può non essere tenuto in considerazione l’alto monito del Presidente Ciampi a ridurre i tempi
di espletamento delle pratiche più delicate. C’è bisogno di una chiara assunzione di responsabilità
dell’intero Consiglio, che parta da una nuova deontologia del consigliere – ed una proposta di delibera
in questi sensi è già stata presentata ed andrà al più presto ripresa – per giungere al ripudio delle logiche
particolaristiche nella scelta dei capi degli uffici e dei semidirettivi, al rifiuto della lottizzazione delle
strutture di supporto, ad una diversa e più puntuale attenzione ai problemi degli uffici – piccoli, medi e
grandi – e dei singoli magistrati.
Quanto più alti sono i compiti che ci vengono affidati, e quanto più difficile appare adempierli con
efficacia, tanto maggiore deve essere la consapevolezza della responsabilità che assumiamo e la
coerenza tra i programmi declamati ed i comportamenti concreti tenuti. Sarebbe auspicabile che la
scelta dei nuovi componenti togati del Consiglio avvenisse sulla base di questi parametri e non di
logiche di appartenenza che vanno superate.
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DIRITTO E GIUSTIZIA
Meeting point
A Firenze, sabato 24 giugno, ore 9.00 presso l’Hilton Florence Metropole, via del Cavallaccio 36, il I
convegno nazionale dal tema «Gli atti di destinazione e la trascrizione dopo la novella» organizzato
dall’Associazione italiana giovani notai. Interverranno, tra gli altri, Adolfo Di Majo, Università degli
studi di «Roma Tre» Giovanni Furgiuele, Università di Firenze, Maurizio Lupoi Università di Genova e
presidente dell’Associazione «Il trust in Italia», Giorgio De Nova, Università statale di Milano e
Angelo Busani, notaio in Milano.
A Catania, venerdì 30 giugno e sabato 1 luglio, la quinta edizione del Convegno nazionale sul
«Diritto amministrativo elettronico» ideato e diretto dallo studio legale Giurdanella. Il Dae è l’evento
nel corso del quale le pubbliche Amministrazioni, il mondo accademico, i magistrati e gli avvocati, si
incontrano annualmente a Catania per fare il punto su le tematiche di e-government e diritto pubblico
amministrativo elettronico che già oggi segnano la nostra esistenza, quali cittadini del nuovo millennio.
La maggiore novità di quest’anno è senza dubbio la partnership ufficiale del Cnipa (Centro nazionale
per l’Informatica nella pubblica amministrazione), che, oltre a patrocinare il Dae 2006, ha voluto
contribuire in maniera significativa ai lavori del convegno predisponendo numerosi interventi
scientifici.
A Roma, martedì 4 luglio, ore 10 presso la sala del Cenacolo della Camera dei deputati il dibattito sul
tema «Intercettazioni telefoniche: rispetto delle regole e libertà di stampa». Interverranno, tra gli
altri, il Garante dei dati personali, Francesco Pizzetti, Giuseppe Gennaro, presidente Associazione
nazionale Magistrati, Ettore Randazzo, presidente Camere penali, Paolo Serventi Longhi Segretario e
Franco Siddi Presidente della Federazione nazionale della Stampa.
A Roma, martedì 4 luglio, ore 17 presso l’aula Magna della Suprema corte di Cassazione, Palazzo di
Giustizia, piazza Cavour, la presentazione del libro su «La tutela dei diritti e i tempi della giustizia.
Spunti e proposte di riforme per una giustizia civile e penale tempestiva» a cura di Luigi Berlinguer e
Giuseppe Santalucia. Interverranno, tra gli altri, Nicola Marvulli, primo presidente della Corte di
cassazione, Edmondo Bruti Liberati, Associazione nazionale magistrati, Guido Alpa, presidente del
Consiglio nazionale forense e il ministro della Giustizia, Clemente Mastella.
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Rassegna stampa - Ordine degli Avvocati di Trani