A Aspetti della matematica napoletana tra Ottocento e Novecento a cura di Giovanni Ferraro Volume pubblicato con il contributo del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica nell’ambito del PRIN (Unità afferenti al Dipartimento di Matematica, Informatica ed Economia — Università degli Studi della Basilicata e Dipartimento DiBT — Università degli Studi del Molise). Copyright © MMXIII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, /A–B Roma () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: giugno INDICE Premessa p. 7 GIOVANNI FERRARO Non sempre gli uomini che dimenticano hanno torto. Note critiche sulla storia della matematica nei territori napoletani 1. Premessa p. 9 2. Le radici illuministiche del pensiero di Fergola p. 18 3. La carriera scientifica di Fergola fino alla Repubblica napoletana p. 35 4. La scuola di Fergola alla fine del Settecento p. 44 5. La scuola di Fergola e le tensioni politiche e sociali del decennio francese p. 53 6. Padula, Trudi e l’attività matematica nell’ultimo ventennio dell' indipendenza napoletana p. 87 7. Il rinnovamento della scuola di Fergola p. 95 8. I matematici e la fine dello stato nazionale dei Napoletani p. 105 MARIA ROSARIA ENEA Nicola Trudi e la Teorica dei Determinanti 1. Premessa 2. La Teorica dei Determinanti 3. Il manuale di Trudi 4. Matrici a due scale e loro applicazioni 5. I manuali di Trudi e Brioschi a confronto p. 141 p. 146 p. 150 p. 154 p. 167 5 5 6 Indice 6 LUCIANO CARBONE - MARIA ROSARIA ENEA Contributi per una biografia di Gabriele Torelli 1. Introduzione 2. Inquadramento biografico 3. La formazione 4. La prima produzione scientifica 5. L’ascesa accademica 6. L’età della piena maturità scientifica: la memoria Sulla totalità dei numeri primi e l’incontro con il giovane Michele Cipolla p. 181 p. 183 p. 187 p. 195 p. 204 p. 220 ERMENEGILDO CACCESE La teoria della relatività ‘in senso stretto’ nel primo manuale di italiano di relatività, di Roberto Marcolongo 1. Introduzione 2. I principi fisici della teoria della relatività 3. Deduzioni delle trasformazioni di Lorentz 4. Le proprietà delle trasformazioni di Lorentz 5. Conclusioni p. 253 p. 257 p. 265 p. 289 p. 291 Indice dei nomi p. 295 Premessa Questo volume nasce nell’ambito di un progetto volto a illustrare episodi e personaggi che, direttamente o indirettamente, contribuirono allo sviluppo delle scienze matematiche a Napoli dagli anni dell’Illuminismo fino ai primi decenni del ventesimo secolo. I quattro saggi che lo compongono prestano attenzione a differenti momenti di tale sviluppo che vengono esaminati da prospettive e con approcci diversificati nel tentativo di cogliere la complessità di un processo evolutivo di grande interesse in cui gli aspetti più propriamente tecnici si fondono, a volte in modo inestricabile, con le vicende socio-politiche che attraversano la società napoletana. Il primo contributo, dovuto a Giovanni Ferraro, offre una rivisitazione delle polemiche sintetici e analitici nei primi sei decenni dell’Ottocento. Vengono ricostruiti i principali aspetti della polemica e ne vengono chiariti i collegamenti con le complesse vicende dello stato napoletano durante i regni dei napoleonidi e dei Borbone. Vengono, inoltre, illustrati i motivi per cui, dopo il 1860, la scuola fu condannata a una sorta di damnatio memoriae collegando tale fatto alle modalità con si attuò il processo di unificazione della penisola italiana e alla rilettura delle vicende storiche della Napoli borbonica compiuta nell’Italia ‘liberale’. Nel secondo contributo, Maria Rosaria Enea, dopo aver tracciato brevemente i passi principali (sicuramente i più noti) dello sviluppo della teoria dei determinanti dalla seconda metà del Settecento al 1851, anno della pubblicazione in Europa del primo trattato di teoria dei determinanti di Spottiwood, si sofferma sul trattato, del 1862, Teoria dei determinanti e loro applicazioni di Trudi, cercando di porre in evidenza alcuni elementi di novità in esso contenuti. Vengono anche analizzati alcuni aspetti comuni al testo di Trudi e a quello di Brioschi del 1854, La Teorica dei determinanti e le sue principali applicazioni, che evidenziano quanto diversi fossero gli interessi scientifici e didattici che animavano questi matematici nella stesura dei loro manuali. Nel terzo contributo, dovuto a Luciano Carbone e Maria Rosaria Enea, si mettono in luce alcuni elementi della biografia di Gabriele Torelli, relativi soprattutto al suo “primo periodo napoletano”, ovvero 77 8 Premessa 8 alla sua formazione, alla sua prima produzione scientifica e alla movimentata vicenda che lo porterà a vincere la cattedra di Algebra complementare a Palermo. Per analizzare questo periodo si sono utilizzati alcune memorie inedite scritte dallo stesso Torelli. L’ultima parte è dedicata al periodo più intenso della sua attività scientifica, vissuto a Palermo, in cui si concentra su alcuni problemi, ispirati dall’amico Ernesto Cesàro, sulla distribuzione dei numeri primi; questi suoi studi si concreteranno con la pubblicazione della sua memoria Sulla totalità dei numeri primi fino ad un limite assegnato. L’ultimo contributo, di Ermenegildo Caccese, si colloca nell’arco che va dal primo conflitto mondiale, alla metà degli anni ’20, e focalizza l’attenzione sul primo testo italiano sulla teoria della relatività, di Roberto Marcolongo. Viene in particolare esaminato, attraverso l’analisi di tale testo, il modo in cui le idee di Einstein venivano recepite nella comunità scientifica italiana, ancora alla metà degli anni ’20 del secolo scorso. In pochi anni, dal 1919 al 1924, Marcolongo fece di Napoli uno dei punti di diffusione della teoria in Italia grazie alle sue lezioni universitarie, alla redazione del manuale e a svariati altri interventi, e, infine, promovendo e organizzando la sezione dedicata alla relatività nel V congresso internazionale di filosofia, che si svolse a Napoli nel 1924. Giovanni Ferraro Non sempre gli uomini che dimenticano hanno torto. Note critiche sulla storia della matematica nei territori napoletani 1. Premessa Nel 1892 ricorreva il quarto centenario della scoperta dell’America: un’ottima occasione per celebrare, attraverso Colombo, non solo i successi dell’ancor giovane stato italiano ma anche le gesta e le imprese compiute da italiani prima della nascita dello stato unitario1. Non sorprende, pertanto, che, nell’ambito delle celebrazioni colombiane, lo storico della matematica mantovano Gino Loria (1862-1954), all’epoca docente all’Università di Genova, abbia dato alle stampe un libretto intitolato Nicola Fergola e la scuola di matematici che lo ebbe a duce2 con il dichiarato obiettivo “di rivendicare … all’Italia una gloria dimenticata, e alcune priorità in certi risultati di geometria”3. Nella prefazione Loria spiegò che aveva incominciato a occuparsi di Nicola Fergola e dei suoi allievi spinto da “un senso di gradita meraviglia” e di “intensa curiosità” procuratogli dalla lettura dell’Aperçu historique 1 La più importante di tali celebrazioni fu l’esposizione italo-americano, sulla quale si possono consultare [Bottaro 1984] e [Magnasco 1894]. 2 [Loria 1892]. Il volume di Loria era un estratto dagli Atti della R. Università di Genova pubblicati in occasione del centenario colombiano. 3 [Pascal 1892, p. 179]. 99 10 10 Giovanni Ferraro Giovanni Ferraro sur l'origine et le développement des méthodes en Géométrie4 di Michel Chasles (1793-1880). In tale opera Chasles, esaminando il settimo libro delle Mathematicae collectiones di Pappo di Alessandro in cui vi sono vari esempi di applicazione del metodo dell'analisi geometrica tratti dalle opere dei matematici greci, fece la seguente affermazione: De tous ces ouvrage, il n'est venu jusqu’à nous que les Données d'Euclide, le sept premiers livres des Coniques d'Apollonius, et son traité de la Section de raison. Mais, sur ce qu'en a dit Pappus, les autres on été rétablis, au XVIe et siècle et au XVIIe, par divers géomètres, dans le style de la Géométrie ancienne5. Chasles riteneva che la pratica di questo tipo di geometria contribuisse ad affinare lo spirito di semplicità e generalità, che, a suo parere, costituiva il carattere distintivo della geometria descrittiva e della proiettiva e osservò: Le goût de cette Géométrie, qui a donné tant d'éclat aux sciences mathématiques jusques il y a près d’un siècle, surtout dans la patrie de Newton, s'est affaibli depuis, et aurait presque disparu, si les géomètres italiens ne lui fussent restés fidèles. On doit, de nos jours, au célèbre Fergola, et à ses disciples, MM. Bruno, Flauti, Scorza, plusieurs écrits importants sur l'Analyse géométrique des Anciens, qui s’y trouve rétablie dans sa pureté originaire6. Loria rimase sorpreso proprio da quest’ultima frase: pur essendo un esperto geometra, non si era fino allora mai imbattuto nei nomi di Fergola, Bruno, Flauti, Scorza, matematici “italiani” che all’inizio del secolo diciottesimo erano sufficientemente noti da essere elogiati da Chasles. Si può facilmente immaginare ciò che deve aver pensato Loria: vi era un vuoto nella storiografia che andava subito colmato anche perché danneggiava la grandezza dell’Italia. Recuperando la memoria storica di Nicola Fergola, Loria s’inseriva in un filone – di grande importanza nella storiografia della scienza dell’epoca – volto alla riscoperta e alla rivalutazione dei contributi scientifici degli Italiani. Loria, certamente, pensava di aver fatto un’opera meritoria e di aver contribuito a celebrare la grandezza della 4 [Chasles, 1837]. [Chasles 1837, p.46]. 6 [Chasles 1837, p.46]. 5 Non sempre gli uomini Non che dimenticano hanno sempre gli uomini chetorto dimenticano hanno torto 1111 stirpe italiana, in precedenza non valorizzata anche per l’assenza di uno stato unitario. È verosimile, perciò, che Loria sia rimasto molto sconcertato da un breve articolo che, in quello stesso 1892, apparve sulla Rivista di matematica, il giornale da poco fondato da Giuseppe Peano, e che recava il titolo A proposito di un libro del prof. Gino Loria sulla scuola napoletana di matematica nella prima metà del secolo7. L’autore era il matematico, Ernesto Pascal (1865-1940), nato a Napoli ma all’epoca professore all’Università di Pavia. Nell'articolo Pascal negava il valore scientifico della scuola napoletana, che, a suo dire, si era dedicata solo allo studio degli antichi ed era, pertanto, anacronistica già all’inizio dell’Ottocento. L’unico merito che Pascal riconosceva a tale scuola era che “fra l’occuparsi di nulla, o l’occuparsi di Apollonio era assai meglio fare quest’ultima cosa”8. Pascal non portava alcun argomento a sostegno della sua tesi e attaccava Loria con queste parole: Forse all’estrema mitezza dei giudizi del Loria avrà contribuito non poco il fatto che egli non ha mai vissuto a Napoli, e solo sui documenti che avea presenti, e sulle poche e incomplete memorie dei tempi ha dovuto ricostruire la storia di tanti anni, senza che l’eco dei giudizi su quei fatti gli fosse giunta all’orecchio per altra via che per quella dei libri, e questo avrà fatto sì che quando si sarà trovato di fronte a qualche intoppo che lo avrebbe potuto condurre più vicino alla verità, egli, nella grande delicatezza dell’animo suo, e nell’incertezza di dare un giudizio avventato e forse difforme dal vero, ha preferito indulgentemente passare oltre. E finalmente ci avrà contribuito anche per non piccola parte, l’orgoglio, certamente nobilissimo, di poter presentare ai suoi contemporanei una cosa dimenticata, e non ha pensato che non sempre gli uomini che dimenticano hanno torto9. Pascal addebitava a Loria la “colpa di rievocare la memoria di fatti ormai in dimenticanza”10. In altri termini, sarebbe stato meglio che nessuno avesse tolto il velo che copriva quel gruppo di studiosi da Loria etichettati come “scuola napoletana”. Le parole di Pascal fanno intendere che non solo la dimenticanza era giusta ma che era anche voluta: il velo sulla scuola napoletana non era caduto per qualche incidente dovuto al caso ma era stato posto volontariamente. Per quanto 7 [Pascal 1892]. [Pascal 1892, p. 185]. 9 [Pascal 1892, p. 180]. Il corsivo è mio. 10 [Pascal 1892, p. 185]. 8 12 12 Giovanni Ferraro Giovanni Ferraro mai dichiarata pubblicamente, si era trattato di una vera e propria condanna alla damnatio memoriae. Pascal portò due argomentazioni a sostegno della sua tesi secondo cui sarebbe stato meglio dimenticare la scuola napoletana. La prima, cui ho già accennato, consisteva in un severo giudizio sulla qualità scientifica della scuola. A parere di Pascal, i membri della scuola studiavano solo gli antichi e, pertanto, la loro “coltura matematica fu dunque ben povera cosa, rispetto ai tempi11. La seconda argomentazione consisteva un giudizio morale sul comportamento della scuola che finì “coll’essere … una ben triste cosa. Si ostacolò la via a tutti quelli che non volevano stare fra le tenebre” 12. Dopo aver citato il caso di Giuseppe Battaglini, di cui Pascal era stato allievo, il quale sarebbe stato ostacolato nel suo desiderio di essere chiamato all’Università di Napoli13, affermò: Io son venuto troppo tardi per sentire l’influenza di quelle cattive tendenze che, negli studii matematici, hanno per tanti anni dominato in quella regione d’Italia, e hanno contribuito sempre più ad isolarla intellettualmente dal resto d’Europa, e che hanno rovinato molte carriere di giovani d’ingegno14. A parere di Pascal, la scuola era colpevole di dispotismo scientifico e fu “una delle principali cagioni della grande decadenza degli studii matematici nel mezzogiorno d’Italia prima del 1860”15. Delle due argomentazioni, la seconda è palesemente priva di senso. Perché uno storico della scienza non si dovrebbe occupare di certi studiosi? Perché il loro comportamento fu moralmente riprovevole? Ciò dovrebbe luogo a un giudizio negativo su tali personaggi, non certamente dovrebbe condurre alla loro pura e semplice eliminazione dalla storia. La prima argomentazione è più insidiosa: la scuola napoletana fu ben povera cosa. Povera cosa non significa, però, niente, visto anche la citazione di Chasles, e se è immediatamente chiaro che il ruolo giocato dalla scuola napoletana nell’evoluzione della matematica non può essere che molto limitato e strettamente locale, l’operazione di cosciente eliminazione dalla storia, in uno stile che sembra anticipare 11 [Pascal 1892, p. 184]. [Pascal 1892, p. 184]. 13 [Pascal 1892, p. 184]. 14 [Pascal 1892, p. 185]. 15 [Pascal 1892, p. 186]. 12 Non sempre gli uomini Non che dimenticano hanno sempre gli uomini chetorto dimenticano hanno torto 1313 certe riscritture degli eventi storici fatte in epoca sovietica 16, è tutt’altra cosa. *** Sono passati molti anni dalla lettera di Pascal e dalla timida risposta che Loria diede il 12 dicembre 189217. Vari studi sono stati condotti, i primi dei quali, scaturiti direttamente dalla polemica tra Loria e Pascal, si devono allo storico avellinese Federico Amodeo (18591946), il quale pubblicò numerosi articoli sulla questione negli Atti dell’Accademia Pontaniana, raccogliendoli poi in due volumi recanti il titolo Vita matematica napoletana, entrambi usciti a Napoli, ma a distanza di molti anni l’uno dall’altro: il vol. I, edito da F. Giannini e figli, nel 1905, il vol. II, dalla Tipografia dell'Accademia Pontaniana, nel 192418. Nella prefazione del primo volume, Amodeo spiega che la polemica tra Pascal e Loria “aveva fatto nascere il dubbio: se a Napoli vi fosse mai stata una vera Scuola Matematica”19. Per dirimere il dibattito l’Accademia Pontaniana mise a concorso nel 1897 il tema Le Matematiche a Napoli dalla fondazione dell’antica Accademia delle Scienze (1732) alla nuova (1861). Il concorso, tuttavia, andò deserto e fu riproposto l’anno successivo: fu allora che Amodeo decise di partecipare e iniziò a studiare le vicende della matematica a Napoli nei due secoli che precedettero la fine dello stato napoletano20. Il lavoro di Amodeo è certamente molto ricco di notizie e più maturo di quello pioneristico di Loria21, tuttavia, risente della mancata disponibilità di vari manoscritti fergoliani, all’epoca quasi del tutto dispersi22. Va anche osservato che sia Loria sia Amodeo nel condurre le loro analisi furono influenzati dalla loro specifica sensibilità matematica. Entrambi erano, infatti, cultori di studi geometrici e non sorprende, pertanto, che furono pronti a cogliere gli aspetti più legati alla 16 Cfr., infra, pp. 111-113. [Loria 1893]. 18 [Amodeo 1905] e [Amodeo 1924]. 19 [Amodeo 1905, p. V]. 20 [Amodeo 1905, p. V-VI]. 21 È opportuno ricordare che l’opera di Loria risente del fatto che molte informazioni giunsero a Loria per il tramite di Modestino Del Gaizo (1854-1921), docente di storia della medicina presso l’Università di Napoli. Del Gaizo viene per questo ringraziato a p.7. Si veda, a tal proposito, la lettera di Loria a Del Gaizo del 3 aprile 1982 ampiamente riportata in [Palladino 1989]. 22 Cfr. [Ferraro-Palladino 2003] e [Ferraro NFP]. 17 14 14 Giovanni Ferraro Giovanni Ferraro geometria in quella che lo storico avellinese chiamò “vita matematica napoletana” e non furono altrettanto attenti ad altri aspetti. A mio parere, però, la caratteristica del lavoro di Amodeo e – in misura perfino maggiore – di quello di Loria che lascia un senso di forte insoddisfazione è la modesta attenzione prestata al contesto sociale, politico e, perfino, intellettuale in cui si svolsero i fatti. Per chiarire il senso di quest’ultima frase sono necessarie alcune osservazioni. Ho già detto che non vi è alcun dubbio che i matematici che qui considero giocano nella storia generale della matematica un ruolo assolutamente secondario. Nella prima metà dell’Ottocento la grande storia della matematica non passava certamente per Napoli e, come si vedrà nelle pagine seguenti, la cultura napoletana dell’epoca prestò scarsa attenzione alla matematica. Ciò non vuol dire che gli eventi della matematica napoletana siano privi d’interesse, ma significa che l’interesse dello storico nei loro confronti scaturisce da motivi differenti da quelli che per cui si presta attenzione all’evoluzione delle idee, delle tecniche e delle teorie matematiche. Nel descrivere l’evoluzione di qualche teoria matematica, come potrebbe essere la teoria delle serie, si può avere riguardo principalmente alla logica interna del processo matematico, lasciando sullo sfondo il contesto socio-politico, e ciò per due motivi. Primo, nell’evoluzione della matematica, gli aspetti interni hanno una rilevanza tale che il loro studio, anche isolato dal contesto in cui sono inseriti, merita, di per sé, di essere condotto. Secondo, il modo in cui il contesto socio-politico influenza le teorie matematiche non è stato finora compreso da nessuno, molto probabilmente perché la relazione tra struttura interna e contesto esterno avviene per il tramite di tante e tali mediazioni culturali che nessuno oggi può seriamente pensare di ricostruire in modo sistematico23. Invece, quando si vuol trattare una storia locale, come le vicende della matematica a Napoli, l’interesse non deriva tanto dall’esame di questioni tecniche o di procedure matematiche usate da questo o 23 Non è che non ci siano tentativi di tal genere, ad esempio [Grattan-Guinness 1990], ma essi si limitano a una descrizione del contesto che può al massimo aiutare a capire perché ci sia attenzione a una certa teoria, ad esempio, la teoria del calore, ma non risolvono il problema dell’eventuale dipendenza della forma specifica della teoria dal suo contesto storico. D’altra parte, una storia puramente interna dello sviluppo di una teoria matematica non riesce a rendere interamente conto del processo evolutivo di tale teoria, come ho mostrato nel caso della teoria delle serie in [Ferraro 2008a]. Non sempre gli uomini Non che dimenticano hanno sempre gli uomini chetorto dimenticano hanno torto 1515 quell’autore ma da altri motivi. Potrebbe, ad esempio, derivare dal fatto che certe vicende locali ci mostrano il livello di diffusione delle idee matematiche e delle tecniche a esse relative; potrebbe anche scaturire dal fatto che esse ci mostrano i gusti e gli atteggiamenti di una parte del pubblico che osserva e cerca di capire le creazioni dei grandi matematici, come Eulero, Lagrange e Cauchy, e fa loro da sfondo. Ma, soprattutto, una storia della matematica incentrata su un territorio può avere importanza per capire la storia di quel territorio mostrando la relazione tra la cultura matematica e quel territorio. È, pertanto, sostanzialmente una storia esterna che ha interesse nella misura in cui presta attenzione agli aspetti sociali della matematica. Gli aspetti sociali sono del tutto assenti dall’opera di Loria, interamente tesa alla riscoperta di certi dimenticati matematici “italiani” e alla rivendicazione di alcune loro priorità. Sicuramente un po’ più attento al contesto sociale è Amodeo, che, ad esempio, si preoccupa di descrivere le istituzioni scientifiche del tempo, ma è una descrizione che si limita agli aspetti burocratici, amministrativi e resta gravemente carente quando si tratta di definire il ruolo della matematica nella cultura del tempo e dei matematici nella società napoletana oppure di chiarire i complessi aspetti sociologici e politici di un dibattito che a volte di matematico aveva solo la forma esteriore. Una storia locale presuppone un luogo ben determinato dove i protagonisti di tale storia agiscono: quel luogo è Napoli, ma, a scanso di equivoci, Napoli, in questo lavoro, non è la città tra il Vesuvio e i Campi Flegrei, ma quel territorio che va Teramo a Reggio, da Gaeta a Lecce, i cui abitanti erano noti come napoletani: esso costituì per molti secoli uno stato indipendente conosciuto, in genere, come Regno di Napoli (anche se non era il nome ufficiale) e, nei due brevissimi periodi repubblicani, come Repubblica Napoletana. Il fatto che oggi non esista neanche più un nome preciso per indicare quel territorio24 è un 24 L’espressione “Italia meridionale”, che non coincide perfettamente con il territorio oggetto della presente ricerca, era usata prima del 1860 abbastanza di rado e comunque sempre nello stesso senso in cui oggi si usano le denominazioni “Africa meridionale” e “America meridionale”, ossia come un’espressione geografica. L’origine dell’espressione “Italia meridionale” nella connotazione attuale nasce, probabilmente, il 12 settembre 1860 quando Garibaldi mutò il suo titolo da dittatore delle due Sicilie in dittatore dell’Italia meridionale [Atti 1861] distruggendo di colpo l’identità politica plurisecolare costituita dallo Stato napoletano. Nel Novecento qualche raro autore ha usato per indicare il territorio abitato dai Napoletani, il termine “Napolitania” (cfr. ad esempio, [Clough 1964, p.15]), il che eviterebbe di confondere la capi- 16 16 Giovanni Ferraro Giovanni Ferraro segno della principale difficoltà di questo lavoro: si tratta di eventi il cui contesto reale è stato, per così dire, cancellato sostituendolo con un contesto ideale o, per usare un termine di moda, virtuale, dove le luci sono tutte da una parte e le ombre dall’altra. In tale contesto ideale, la Storia – la maiuscola è d’obbligo – è vista come teleologicamente rivolta alla sua apoteosi finale – l’Italia unita – immaginata come l’agognata meta di tutti coloro che abitavano il “bel paese”, salvo alcuni rinnegati (e tra di essi senza ombra di dubbio vi è quel Vincenzo Flauti che fu uno dei principali esponenti della cosiddetta scuola sintetica napoletana). Tale ricostruzione ideale pesa in modo notevole sull’opera di Amodeo25 dando a essa una certa dose di ambiguità. *** Solo negli ultimi due decenni sono stati condotti, da parte di Franco Palladino, Romano Gatto, Massimo Mazzotti e me stesso26, ulteriori studi sulla scuola matematica napoletana, studi che hanno migliorato la comprensione del pensiero dei principali matematici del tempo e hanno incominciato a fare luce sugli aspetti sociali della loro attività scientifica. In questo lavoro, basandomi anzitutto su tali contributi, affronterò un aspetto molto delicato delle vicende che riguardano la scuola di Fergola, aspetto che considero, nell’attuale situazione socio-politica, di grande interesse in quanto aiuta comprendere come il contesto ideale copra quello reale con una spessa coltre: mi riferisco alla damnatio memoriae cui la scuola era stata condannata nei trent’anni successivi all’unità d’Italia e che, secondo Pascal, l’inconsapevole Loria, studio- tale con l’intero Stato. In quest’articolo userò, di preferenza, l’espressione “territori napoletani”. 25 Nel prosieguo porterò all’attenzione alcuni giudizi dati da Amodeo; per il momento segnalo che in Vita matematica napoletana si possono trovare espressioni del tipo: “Morì Ferdinando il 22 maggio 1859 da tutti esecrato e di una malattia degna di tanto suo pervertimento” [Amodeo 1924, p. 110]. Va ricordato che Amodeo visse e lavorò negli stessi anni in cui Croce contribuiva in modo determinate a costruire il contesto ideale della storia napoletana (cfr. [Davis 2006, pp. 3-5]). Amodeo anche collaborò con Croce (si veda [Amedeo-Croce 1898]). 26 Cfr., ad esempio, [Ferraro-Palladino 1993], [Ferraro-Palladino 1995], [Palladino 1999], [Ferraro 2008a], [Mazzotti 1998], [Gatto 2000], [Mazzotti 2002], [Ferraro 2012]. Non sempre gli uomini Non che dimenticano hanno sempre gli uomini chetorto dimenticano hanno torto 1717 so mantovano non a conoscenza di fatti napoletani, aveva inopinatamente rotto. Ma quali erano i “fatti” cui Pascal fa riferimento? Si tratta chiaramente di vicende che s’inseriscono nella polemica tra “analitici” e “sintetici”, la quale domina o sembra dominare l’attività matematica a Napoli nella prima metà del secolo. Tale polemica è normalmente descritta in termini di lotta tra due gruppi di matematici: 1) da una parte, i sintetici (capitanati da Fergola, prima, da Flauti, poi), conservatori sia in matematica – dove sono incapaci di andare oltre il mito degli antichi – sia in politica – dove apertamente appoggiano il governo borbonico –; 2) dall’altra, gli analitici (capitanati, prima da Colecchi, poi da Tucci), progressisti sia in matematica – in quanto aperti a certe tendenze della matematica francese – sia in politica – in quanto liberali e, forse, anche filo-unitari –. Tale descrizione va incontro a molte difficoltà. Anzi tutto, vi fu una sola polemica o, piuttosto, si sovrapposero più polemiche (sia pure con aspetti comuni)? In che senso si può parlare di scuola sintetica? E, soprattutto, è mai esistita una scuola analitica? La polemica coinvolse solo matematici o, piuttosto, riguardò persone che possono essere considerate matematici solo in un’accezione molto –forse troppo – ampia del termine? Vi fu un legame tra le controversie matematiche e le varie diatribe che videro coinvolto il Corpo di Ponti e Strade? Inoltre, quali furono i rapporti con la politica di alcuni dei protagonisti e com’è possibile che anti-borbonici abbiano svolto una tranquilla, a volte spettacolare, carriera sotto i Borbone? Quale fu il ruolo che la matematica giocò nella società napoletana del tempo? Infine, la scuola sintetica bloccò realmente lo sviluppo della matematica a Napoli per poi dissolversi senza lasciare alcuna eredità? Per rispondere a queste e ad altre domande, nelle pagine seguenti chiarirò, dapprima, vari aspetti della personalità scientifica di Nicola Fergola e del processo di formazione della sua scuola, mostrando come la discussione sul metodo della matematica avesse antiche origini ed era stata parte integrante dell’Illuminismo napoletano. Analizzerò, quindi, la polemica tra la scuola di Fergola e suoi oppositori, in particolare Ottavio Colecchi, avvenuta all’epoca di Gioacchino Murat. Successivamente, illustrerò poi le personalità di Francesco Paolo Tucci e Vincenzo Flauti, due degli allievi di Fergola che presero posizioni 18 18 Giovanni Ferraro Giovanni Ferraro differenti di fronte all’eredità scientifica del loro maestro, e tratterò del declino degli studi matematici tra il 1820 e il 1840 e della loro ripresa dopo il 1840, ripresa che attraversò gli eventi del 1860 senza soluzione di continuità. Inoltre, analizzerò la nuova (o nuova fase della) controversia che ebbe il suo momento centrale intorno al 1840 con il coinvolgimento di Fortunato Padula e Nicola Trudi, alfieri, rispettivamente, di Tucci e di Flauti. Infine, accennerò ai giovani matematici apparsi sulla scena negli anni cinquanta, in particolare Emanuele Fergola e Giuseppe Battaglini, discutendo il delicato passaggio del 1860, allorquando i matematici napoletani diventarono italiani e la matematica napoletana confluì in quella italiana, spiegando le ragioni per cui si perse la memoria storica di Fergola e di Flauti fino alla loro riscoperta da parte di Loria. 2. Le radici illuministiche del pensiero di Fergola 2.a. Veteres e novatores; aristotelici, cartesiani e newtoniani L’introduzione del cartesianesimo a Napoli, dovuta principalmente all’opera di Tommaso Cornelio (1614-1684), diede luogo a un’intensa discussione tra i sostenitori dell’aristotelismo e fautori della nuova filosofia27, discussione che coinvolse in modo indissolubile aspetti scientifici, filosofici e politici. A parere di Giulia Belgioso: [i ‘letterati’, i filosofi e gli scienziati vissuti tra la metà del Seicento e i primi decenni del Settecento] - si richiamassero a Descartes o lo osteggiassero - hanno comunque enfatizzato l'incontro della cultura napoletana con quella cartesiana come l’evento dal quale proveniva, nel bene o nel male, ogni innovazione della filosofia nella città partenopea … L'innovazione a Napoli è stata messa in moto, in diversi modi e con differenti esiti, dalla filosofia cartesiana e dal forte impatto che la variata immagine del filosofo francese, più ancora che la lettura dei suoi scritti, ha avuto sul tessuto culturale della città.28 27 28 [Belgioioso 1987-1988]. Si veda l’introduzione di [Belgioioso 1999].