Vado a scuola - la recensione del film di Pascal Plisson
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23 settembre 2013 Carola Proto
In tempi di scarsità di idee rivoluzionarie e sceneggiature così così – salvo le dovute
eccezioni, si intende – i due grandi competitor del film di finzione sono la televisione
con le sue serie targate J.J. Abrams, Shonda Rhimes eccetera, e il documentario.
Sempre meno didascalico, in virtù della diminuzione degli sguardi e in macchina e
della voce-off, quest'ultimo ha sviluppato ormai la capacità di trasformare il reale in
poetico, prendendo in prestito dalle storie inventate avventura, azione, phatos e
perfino sospensione dell'incredulità.
Prendiamo il caso di Vado a scuola di Pascal Plisson, documentarista francese che
con il rispetto, l'immediatezza e il meravigliato stupore di chi filma gli animali della
savana, ha osservato e narrato il lungo e periglioso cammino verso l'istruzione di
quattro bambini provenienti da diversi angoli del mondo.
Soffermandosi sulle dinamiche del viaggio più che sull'arrivo, il regista ha servito
nobilmente il suo scopo di trasformare l'ordinario in straordinario: con pochi tocchi
ha saputo rendere il keniota Jackson, la marocchina Zahira, l'argentino Carlito e
l'indiano Samuel veri e propri eroi, impavidi condottieri che, come moderni Ulisse,
perseguono la conoscenza animati non da una forma di ybris, ma dalla
consapevolezza che l'unico modo per migliorarsi e sopravvivere alla povertà è saper
leggere e scrivere.
Plisson questi bambini ha imparato a conoscerli, prima di cominciare a girare, e a
guadagnare la loro fiducia, con il risultato che tutti quanti hanno facilmente
dimenticato la macchina da presa per diventare ora i cowboy a cavallo di un western
di John Ford, ora i personaggi di un road-movie, ora le protagoniste di un film
sull'emancipazione femminile.
A ognuno una sua avventura, insomma, e una sua lotta contro una natura matrigna
pronta a ostacolarli con terreni accidentati, elefanti rabbiosi, caldo, acque
limacciose.
Suscettibili di identificazione anche se fossero nati dalla penna di uno scrittore, in
quanto realmente esistenti questi personaggi risvegliano in chi li osserva un'accorata
partecipazione, complice un montaggio che non si risolve mai nella matematica
alternanza delle varie vicende e uno stile che nella sua oggettività non carica il film
di pomposi insegnamenti.
Solo alla fine Pascal Plisson cede al vezzo di intervistare i suoi protagonisti, togliendo
a Vado a scuola un po' di spontaneità.
E allora le dichiarazioni di Jackson che vuole diventare un pilota o di Samuel che ha
perso l'uso della gambe e dice: "Veniamo in questo mondo con niente e lo lasciamo
con niente” diventano non necessarie, visto che la determinazione, la maturità e la
solidità di questi non attori alti un metro e mezzo sono già tutte presenti.
Ma forse è giusto lasciare che i sogni prendano voce, così come è importante
sottolineare che esistono posti in cui le vecchie generazioni si privano di affetti e
forza lavoro spingendo le nuove ad andare lontano per investire su un futuro più
dignitoso.
Che bell'esempio per noi figli del benessere che falsificavamo la firma dei nostri
genitori sul libretto delle giustificazioni...
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- profwaltergalli