Quotidiano indipendente della Svizzera italiana G.A. 6900 LUGANO / ANNO CXXIII NUMERO 238 DIRETTORE RESPONSABILE: GIANCARLO DILLENA – CONDIRETTORE: FABIO PONTIGGIA Giovedì 16 ottobre 2014 ❚❘❙ ENTE OSPEDALIERO TRA SPUTI E INTERESSE PUBBLICO di BRUNO COSTANTINI G iorgio Pellanda, con quella barba, fa impressione quando pronuncia implacabile la sentenza: «Chi sputa nel piatto dove mangia non merita un posto di fiducia nel nostro Ente». Mancano solo il sibilo della pallottola e una ciccata di tabacco per ricreare il barocchismo estetico e narrativo di Sergio Leone, in questa trama che ha avuto inizio alla Carità di Locarno con l’irregolarità nelle fatturazioni e che poi s’è sviluppata nelle polverose praterie dell’EOC e della politica . Chi siano i buoni e chi siano i cattivi appare però chiaro solo ai vertici dell’Ente, dal direttore Pellanda al presidente Lotti. Forse hanno ragione loro, anche perché di esperienza professionale ne hanno parecchia (Lotti, uno e trino, riesce contemporaneamente a presiedere anche l’Associazione degli industriali e a dirigere la Società elettrica sopracenerina). Alle persone comuni non addentro ai tecnicismi amministrativi e ai ragionamenti di opportunità aziendale, sfugge tuttavia la logica in base alla quale verso il viceprimario della Carità, sotto inchiesta penale assieme a due capiclinica con l’ipotesi di reato di truffa e falsità in documenti, non sia scattato subito il licenziamento, mentre invece contro il medico che ha denunciato un presunto malandazzo più diffuso, facendola effettivamente un po’ fuori dal vaso, è suonata subito la campana a morto. Perché? Perché a Locarno, hanno spiegato i vertici dell’EOC, sarebbe stato difficile sostituire il viceprimario e a prevalere è stato l’interesse pubblico per la salute dei pazienti. Quando si sbatte lì così l’interesse pubblico c’è poco da replicare e «ogni lingua divien, tremando, muta». Son furbi all’EOC, dove d’altra parte muti lo sono stati per un pezzo sulla vicenda del raggiro di 100.000 franchi alla Carità; muto, nonostante le passioni canterine e le gigionate via social media, è stato anche il consigliere di Stato membro del Consiglio d’amministrazione dell’Ente, che non ha degnato il Governo manco di un «tweet»; muti anche i due membri del CdA rappresentanti delle fustigazioni domenicali (che son mai 100.000 franchi?, disse il conte zio Attilio quasi infastidito per la pochezza segue a pagina 4 www.corriere.ch Bimbe nel tunnel degli orrori Abusate per tre anni dal pedofilo del Bellinzonese a processo alle Criminali Centinaia di violenze e soprusi sessuali ai danni di cinque piccole vittime ❚❘❙ «Le usavo quando e come volevo». Il 35.enne pedofilo del Bellinzonese da ieri a processo alle Assise criminali non ha espresso una parola di pentimento per le cinque bambine abu- sate per tre anni. In particolare, l’imputato ha sottoposto a centinaia di soprusi e violenze le figlie dell’ex compagna, le quali non si sono ancora riprese dal trauma. Con l’uomo al- Gatti «killer» Specialisti a confronto Una biologa e un etologo si esprimono sulla questione dei gatti che in ambito urbano causerebbero troppa pressione sugli animali solitamente loro prede. a pagina 31 D primo piano Così l’esercito afghano combatte i talebani ❚❘❙ Viaggio nell’Afghanistan occidentale a fianco dei soldati impegnati contro i terroristi islamici. Una sfida da vincere, ma ora senza il sostegno della NATO. BILOSLAVO alle pagine 2 e 3 confederazione Missione svizzera nei territori dell’Ebola ❚❘❙ Tre elicotteri dell’esercito e 90 volontari dovrebbero partire per la Liberia alla metà di novembre. Prima però verrà effettuato un viaggio di ricognizione. FAZIOLI e GALLI a pagina 7 cronaca Area di svago rinnovata al Casinò di Lugano Swiss-Darwin, la battaglia è anche legale ❚❘❙ La concorrenza fra Swiss e Darwin Airline si gioca anche sul piano giuridico, oltre che su quello commerciale. Mentre attende la risposta dell’Ufficio federale dell’aviazione civile sulle modifiche al contratto con Etihad richieste proprio da Berna per garantire l’elve- ticità della compagnia, Darwin contrattacca e mette in dubbio la regolarità dell’accordo fra Swiss e Tyrolean Airways, la compagnia di Austrian Airlines che Swiss ha scelto al posto di Darwin per operare sulla LuganoGASPERI a pagina 13 Zurigo. (Foto Maffi) VERSO LE ELEZIONI LOCARNO Pinoja e la nuova destra: «Sarà un minimaggioritario» Serve un doppio controllo per scongiurare altri errori ❚❘❙ Il presidente dell’UDC Gabriele Pinoja parla dell’alleanza elettorale con AreaLiberale e Unione democratica federale: l’obiettivo è creare una nuova destra in Ticino. Nell’intervista al Corriere del Ticino Pinoja ripercorre il fallimento delle trattative con la Lega, le tensioni dal 2011 e afferma che con questa mossa intende dare vita RIGHINETTI a pagina 9 ad un «minimaggioritario». ❚❘❙ All’indomani della notizia del buco di 180 mila franchi nella Cassa pensioni dei dipendenti di Locarno, dovuto alla svista di un funzionario, il leghista Bruno Buzzini chiede l’introduzione di un sistema di doppia verifica all’interno dell’amministrazione. I capigruppo in Consiglio comunale «assolvono» il dipendente. E c’è chi proPELLONI a pagina 17 pone anche nuove assunzioni. Le rose contro i cardi selvatici DEGLI ANIMALI la sbarra compare una prostituta che, dietro pagamento, ha partecipato a quattro episodi. Oggi parleranno le parti. La sentenza domani. DEL DON a pagina 15 AVIAZIONE IL COMMENTO ❚❘❙ GERARDO MORINA LA FATTORIA Fr. 2.– OGGI CON EXTRA opo gli scozzesi, che da meno di un mese hanno incassato il colpo del no referendario alla loro indipendenza, a «rompere» sono ora gli inglesi. «It’s unfair», dicono. E spiegano: «Ma come? Vi pare giusto che i deputati scozzesi hanno diritto di voto al Parlamento di Westminster su questioni che riguardano solamente l’Inghilterra, mentre i deputati inglesi non possono fare lo stesso in merito a questioni concernenti solo la Scozia, il Galles e l’Irlanda del Nord?». A denunciare quella che ritengono essere una situazione di palese squilibrio è una parte sostanziosa dei deputati conservatori, che il premier britannico David Cameron, capo di una coalizione di governo con i liberaldemocratici, non può ignorare senza abbracciarne, almeno parzialmente, la causa e nel contempo salvaguardando le promesse fatte agli scozzesi di garantire loro maggiori poteri in materia fiscale e di welfare. L’animosità di chi reclama «voti inglesi per le leggi inglesi» e vorrebbe ingaggiare una guerra delle rose (emblema inglese) contro i cardi selvatici (emblema scozzese) ha segue a pagina 4 Sport Violenza, HCAP e HCL dicono «Basta» ❚❘❙ Una nuova campagna per dire basta alla violenza in ambito sportivo e sensibilizzare le tifoserie di HCAP e HCL è stata lanciata ieri dall’associazione Sport for peace in collaborazione con le due società sportive. Il primo appuntamento sarà il 31 ottobre in occasione del secondo derby stagionale alla Resega. «Il nostro obiettivo è eliminare gli episodi negativi in pista e fuori dalla pista e favorire una sana cultura sportiva» ha spiegato Elias Bianchi, giocatore dell’HCAP e responsabile della campagna di sensibilizzazione che coinvolgerà direttamente i giocatori. RIZZI a pagina 8 ❚❘❙ Il gruppo Seven di Ascona riaprirà presto l’area svago del Casinò di Lugano con lounge, discoteca e ristorante. Quasi pronte anche le nuove sale da gioco. RECLARI a pagina 11 sport Hockey: Francis Bouillon, un vero leader ad Ambrì ❚❘❙ L’allenatore biancoblù Pelletier è convinto che il nuovo difensore nordamericano Francis Bouillon, considerato un leader, darà una grossa mano all’Ambrì. VIGLEZIO a pagina 19 economia Le Borse vanno in rosso con Grecia e dati USA ❚❘❙ Mercati azionari in forte ribasso ieri, a causa dei timori su conti e banche della Grecia e dei dati deludenti sulle vendite al dettaglio negli Stati Uniti. TRUCCO a pagina 22 cultura Il poeta Fabio Pusterla e la raccolta «Argéman» ❚❘❙ «Argéman» è il nuovo enigmatico titolo scelto da Fabio Pusterla per la raccolta di liriche appena uscita. Intervista allo scrittore sulla sua ricerca poetica. DELFANTI a pagina 26 spettacoli Quando cantare insieme è mezzo di integrazione ❚❘❙ Il direttore d’orchestra Ion Marin illustra «Cantus Mundi», il suo progetto di integrazione sociale diventato programma nazionale in Romania. COLI a pagina 27 14238 9 771660 964605 2 Primo Piano Corriere del Ticino Giovedì 16 ottobre 2014 il reportage «adesso tocca a noi salvare l’afghanistan» Tra i soldati dell’esercito di Kabul che fronteggiano i talebani «Sapremo fare la nostra parte per sconfiggere il terrorismo» dalla diGa di salmà fauSTo biLoSLaVo zxy «Sulla corazza del blindato era impressionante il fragore dei proiettili che rimbalzavano. Nell’inferno di fuoco un razzo Rpg è scoppiato a tre metri da noi. Ho preso il lanciagranate sparando verso il talebano che l’aveva lanciato. È caduto come una marionetta», racconta con un pizzico di orgoglio Maitullah Wafa descrivendo l’ultima battaglia di pochi giorni prima. Il giovane soldato dell’esercito afghano con i denti in fuori fa parte del terzo battaglione, che difende la grande diga di Salmà. Quando sarà finita dai tecnici indiani garantirà acqua ed energia elettrica per tutta la provincia di Herat. La guerra in Afghanistan continua senza pietà e sempre più intensa, ma da tempo è dimenticata, fuori dal raggio mediatico. Le truppe della NATO arrivate dopo l’11settembre ed il crollo dei talebani sono pronte a ritirarsi a fine anno. Adesso tocca all’esercito di Kabul sopportare l’urto della riscossa talebana. Quasi 200 mila soldati che crepano come mosche con perdite dai 200 ai 400 uomini al mese. Al fronte con le truppe afghane nella provincia di Herat non ci resta che raccomandarci alla benevolenza di Allah. La sveglia alla base del 207. Corpo d’armata è prima dell’alba con il solito nan, il pane piatto afghano ed una tazza di chai, il tè locale. A Camp Zafar, che vuol dire «Vittoria», la colonna si sta preparando a partire con gli ufficiali che pregano verso la Mecca illuminati dai fari dei gipponi blindati lascia- ragazze coraggiose anche le donne soldato sono pronte a morire per la libertà del loro paese: «arruolandoci difendiamo anche i nostri diritti. non ci arrenderemo mai» ti in dote dagli americani. Il capitano Iqbal Badakhsh annuncia in perfetto inglese: «In questi anni gli stranieri hanno combattuto per noi contro il terrorismo. Adesso è ora che siano gli afghani a farlo». La colonna avanza lentamente, come un serpente d’acciaio, lungo una pista sabbiosa, che si insinua in una valle ferma al passato con case piatte di fango e paglia attorniate da montagne brulle e selvagge. Nei rari centri abitati incrociamo le donne fantasma coperte con il burka turchese dalla testa ai piedi. I pastori con il turbante fanno finta di non accorgersi dei militari. Anche i dromedari sono indifferenti. Volti induriti I soldati hanno il volto indurito dalle battaglie e sembrano saltati fuori da un film. Il giorno prima, al poligono, ci hanno dato il benvenuto alla loro maniera sparando un razzo a spalla Rpg. Quando è esploso in una nuvola di fumo grigio hanno gridato «welcome!». La colonna è guidata dal comandante della prima brigata, il generale Ziarat Shah Abed, che combatte da quando i sovietici avevano invaso l’Afghanistan negli anni Ottanta. «Quella è una macchina della polizia centrata da un razzo. E vedi quella chiazza nera sulla pista? I talebani avevano piazzato una trappola esplosiva. Non siamo saltati in aria noi, ma un autobus con donne e bambini a bordo» spiega il cicerone del conflitto in quest’angolo di Afghanistan occidentale sperduto, ma affascinante. Il IV plotone ha un teschio rosso che sovrasta un’aquila dipinti sul fianco di un blindato. Il giovane con una cicatrice sulla guancia, che vuole vedere la fine della guerra è un pasthun, l’etnia maggioritaria in Afghanistan, serbatoio dei talebani. Il suo compagno con il dito sul grilletto della mitragliatrice pesante è un hazara, la minoranza sciita originaria del centro del Paese, dove una volta sorgevano le statue di Buddha abbattute da mullah Omar. Altri sono tajiki, la seconda etnia del Paese, con i nastri di proiettili attorno al collo e occhiali da sole alla Rambo. Qualcuno porta le giberne con il mar- chio US, ma non mancano i vecchi elmetti sovietici e qualche pezzo di moderna tecnologia fornito dagli occidentali come il robottino per disinnescare le trappole esplosive. Gran parte dei mezzi, però, sono senza protezione e volerebbero in aria come fuscelli su una mina talebana finendo in mille pezzi. Per proteggerci dal sole a picco usiamo la sciarpetta afghana come turbante ed i soldati ridono dicendo che assomigliamo a «dushman», il nemico. Sul cocuzzolo un improvvisato fortino domina la vallata selvaggia di Chest i Sharif. Dall’altra parte del fiume le montagne sono il nascondiglio dei talebani. I soldati del nido d’aquila dormono tutti assieme per terra in un bunker invivibile. Un veterano si è appiccicato sul calcio del fucile mitragliatore un cuore con i colori della bandiera afghana. Un soldato più giovane si è fatto una collana portafortuna con tre proiettili di kalashnikov. Nell’ex hotel di Chest i Sharif trasfor- mato in caserma del III battaglione, si mangia riso e carne di montone con le mani seduti sul pavimento a gambe incrociate. Il soldato Wafa racconta un episodio spietato dell’ultima battaglia per la diga di Salmà: «I poliziotti sono caduti in un’imboscata. I talebani hanno raggiunto gli agenti feriti, ma ancora vivi e a colpi di kalashnikov sono stati uccisi uno dopo l’altro. Una vera esecuzione». I giovani militari afghani hanno filmato gli scontri con i telefonini. Si vede uno di loro in stile Rambo che spara all’impazzata con il mitragliatore a tracolla. Il corpo insanguinato di un comandante talebano langue a terra. Dall’interno di un blindato vengono passati i nastri delle munizioni fra urla e proiettili che fischiano. In Afghanistan, ma soprattutto nella confinante area tribale pachistana i tagliagole del califfato spuntati in Siria ed Iraq stanno però facendo proseliti. In settembre i boia di un nuovo gruppo armato che ha aderito allo Stato islamico hanno decapitato nella provincia di Ghazni 16 civili accusati di collaborare con il Governo di Kabul. reclute per il Califfato Nell’Afghanistan orientale sono spuntati i primi comandanti, che nelle ultime settimane hanno giurato fedeltà allo Stato islamico. Talebani salafiti come un «Piano marShaLL» da miLiardi di doLLari rE zxy Il fiume di soldi occidentali per risollevare l’Afghanistan, dopo il crollo dei talebani, ha superato l’investimento del Piano Marshall alla fine della seconda guerra mondiale. L’Europa dell’Ovest dopo il 1945 si è rialzata, ma il Paese al crocevia dell’Asia non ce l’ha ancora fatta ingoiando milioni di dollari nel buco nero dell’inefficienza e della corruzione. Casi e denunce circostanziate sono contenute nel rapporto di 259 pagine dell’Ispettore generale della ricostruzione in Afghanistan, John Sopko, inviato al Congresso USA. Solo gli Stati Uniti hanno stanziato per Kabul dal 2002 ad oggi 104 miliardi di dollari contro i 103, 4 del Piano Marshall, tra il 1948 ed il 1952, rapportati all’inflazione. Peccato che molti dei progetti scrutinati siano deficitari per «scarsa pianificazione, costruzione scadente, guasti e supervisione inadeguata». L’ultimo caso di soldi americani buttati al vento venuto alla luce riguarda la fornitura di 16 aerei da traspor- to di fabbricazione italiana (G 222), che dovevano servire alla neonata aviazione militare afghana. I pachidermi, che costavano 486 milioni di dollari, sono stati parcheggiati dallo scorso anno all’aeroporto di Kabul. In pratica per problemi di «manutenzione, pezzi di ricambio e gestione» non volano più. Alla fine i militari afghani hanno deciso di rottamarli vendendo il ferrovecchio a 3 centesimi per chilogrammo incassando la misera cifra di 32 mila dollari. Negli ultimi dieci anni solo l’Italia ha investito nello sviluppo dell’Afghanistan la bellezza di 810 milioni di euro, compresi 150 di crediti ancora da utilizzare. A questi vanno aggiunti i 46,4 milioni del Ministero della difesa per progetti civili. Il fiore all’occhiello dell’ospedale pediatrico di Herat è stato costruito troppo lontano dal centro abitato ed in una zona insicura a rischio di attacchi talebani e rapimenti. Il progetto iniziale prevedeva più reparti e apparecchiature mediche con il risultato che le famiglie dei bambini malati devono affrontare lunghi viaggi verso l’Iran o il Pakistan per essere curati. Alla periferia di Herat gli italiani hanno finanziato la creazione di un secondo «giardino delle donne». In pratica un doppione dove il gentil sesso dovrebbe levarsi il burqa ed intraprendere attività imprenditoriali. I militari italiani hanno speso 70 mila euro per asfaltare la strada, deserta, fino all’ingresso. Peccato che le donne non si facciano vedere. Per non parlare delle scuole costruite nell’entroterra. Bene che vada vengono sfregiate con scritte «contro i crociati» o a favore della «guerra santa e dell’emirato talebano». Quelle femminili rischiano la chiusura ed alcune scuole sono finite in macerie a causa dei combattimenti. Il vero buco nero si è aperto per gli investimenti sulla sicurezza. Stati Uniti ed Unione europea hanno speso 3 miliardi di dollari per rimettere in piedi la polizia Primo Piano Corriere del Ticino Giovedì 16 ottobre 2014 3 zxy L’inTErViSTa taji moHammed jaHed* «Senza la NATO la situazione si complicherà» In prIma lInea alcune immagini dal fronte dell’afghanistan occidentale. si tratta di uomini e donne del 207. Corpo d’armata impegnato nella lotta ai talebani. (Foto Fausto Biloslavo) Abdul Rahim Muslim Dost e Maulavi Abdul Qahar nelle province del Nuristan e del Kunar, storico epicentro delle cellule di Al Qaeda. A Peshawar, capoluogo dell’area tribale pachistana, è stato distribuito in 10 mila copie nelle moschee il libretto «Fatah» (Vittoria) per reclutare giovani leve del califfato. Alcune automobili girano con gli adesivi di propaganda dello Stato islamico. Il 5 ottobre il gruppo dei talebani pachistani Jammat ul Ahrar ha proposto una mediazione del suo leader, Omar Khalid Khorasani, per unire tutti gli estremisti da Al Qaeda, al gruppo siriano Al Nusra sotto le bandiere nere dello Stato islamico. E poche ore dopo l’assegnazione del Nobel per la pace gli stessi tagliagole hanno ricordato all’eroina antitalebana, Malala Yousafzai, di avere pronti per lei «coltelli affilati e lucenti». A queste minacce ci hanno fatto l’abitudine le 21 donne soldato del 207. Corpo d’armata, che dimostrano come non tutto il gentil sesso in Afghanistan sia imprigionato sotto il burqa. Nella base di Herat un sergente con la mimetica ed il velo nero sul capo urla gli ordini: «Attenti, fianco dest, march». Le donne soldato con ai piedi anfibi lucidati, ma pure sandali e scarpe femminili scattano e gridano per tre volte «zhuand», hurrà. Il sergente Sakina Ismaili, 27 anni, insegue il mito «della nostra eroina Malalai». Nell’Ottocento durante un’aspra battaglia contro le truppe dell’impero britannico la leggendaria Malalai incitò i combattenti afghani sventolando il vessillo verde dell’Islam. I duri e puri del Corano considerano il sergente Sakina una svergognata. «Le mie sorelle afghane non devono avere paura – spiega il sottufficiale con gli occhialini – Arruolandosi nell’esercito difenderemo i nostri diritti». Laila Ibrahimi è l’ufficiale anziano, la prima donna ad arrivare al 207. Corpo d’armata. Per mesi ha dovuto vivere sotto protezione a causa delle minacce di morte. «Vogliono terrorizzarmi, ma continuo a fare il mio dovere con lo stesso coraggio di un uomo – spiega Laila, che ha tre figli – Non l’avranno vinta» Nella provincia di Herat è uscita in missione con le donne soldato italiane facendo amicizia con Cristiana. Assieme perquisivano le afghane o distribuivano gli aiuti nei villaggi.La più giovane donna soldato di Camp Zafar è Zhara Kawari. A 18 anni ha scelto di portare la divisa, ma come le sue coetanee occidentali usa Facebook per trovare nuovi amici. Il sergente Sakina sa bene che le donne soldato in Afghanistan hanno vita dura, ma proprio per questo giura di avere un obbiettivo: «Io voglio diventare generale». video su www.corriere.ch/k117016 So inuTiLE da inEffiCiEnZa E CorruZionE afghana. Ad oggi 54 mila agenti risultano «fantasmi». Non esistono, se non sui registri di arruolamento, ma ricevono ogni mese la paga. Per non parlare delle 740 mila armi leggere fornite alle forze di sicurezza afghane per un esborso di 626 milioni di dollari. Ben il 43% di questo arsenale è sparito nel nulla. Secondo l’ispettore americano, Sopko, non è remota la possibilità buco nero la ricostruzione delle forze di polizia e sicurezza si sta rivelando un totale fallimento. Decine di migliaia di agenti, benché stipendiati, sono spariti nel nulla cha parte delle armi siano state vendute ai talebani. I grandi piani antidroga che hanno succhiato 7,6 miliardi di dollari sono finiti con un buco nell’acqua. La produzione di oppio è in continuo aumento negli ultimi tre anni e sta raggiungendo livelli record. Il progetto italiano di sostituire il papavero con lo zafferano fa parte di questo fallimento. «Abbiamo buttato centinaia di migliaia di euro per un’idea frutto di una sparata mediatica – conferma un addetto ai lavori – con il risultato che le piantagioni di oppio sono aumentate». Anche i progetti delle strade, in un Paese dove si viaggia su piste sabbiose, hanno vita dura in Afghanistan. Per i 136 chilometri di asfalto nella provincia di Bamyan l’Italia ha stanziato i primi 36 milioni di euro nel 2003. Altri 57 milioni servono per il secondo tratto, che dovrebbe essere finito nell’agosto 2015, dodici anni dopo. check poInt Un soldato afghano durante una perquisizione in uno dei numerosi posti di blocco nella provincia di Herat. (Foto Fausto Biloslavo) zxy CamP Zafar (Herat) Il generale Taji Mohammed Jahed ha cominciato a combattere che non aveva ancora 20 anni. Il suo mentore era il leggendario comandante Ahmad Shah Massoud, la prima vittima dell’11 settembre ucciso da due terroristi di Al Qaeda alla vigilia dell’attacco alle Torri gemelle. Dal suo grande ufficio al quartier generale di Herat, nell’Afghanistan occidentale, comanda il 207. Corpo d’armata. L’esercito dovrà sopportare l’urto dei talebani dopo il ritiro della missione NATO a fine anno. La zona di operazione del generale composta da quattro province, è grande più di metà della Svizzera. Generale, la nuova minaccia è il Califfato in Siria ed Iraq. L’Afghanistan verrà dimenticato? «Guai se l’Occidente dimenticasse il nostro Paese. Non c’è differenza fra il Daish (il nome in arabo dello Stato islamico n.d.r.) ed i talebani, che compiono le stesse nefandezze. Entrambi usano il nome dell’Islam per uccidere e distruggere. L’unica differenza è il colore della bandiera: i talebani usano quella bianca e lo Stato islamico sventola il vessillo nero. Daish uccide in nome del Califfato ed i nostri nemici in Afghanistan lo fanno ispirandosi all’Emirato. Cambia poco: tutti e due hanno tradito l’Islam macchiandosi di crimini mostruosi contro l’umanità». Lo Stato islamico sta avanzando anche in Afghanistan? «Stanno prendendo piede soprattutto nel Waziristan, nelle aree tribali pachistane a ridosso del confine afghano. Se il Pakistan non appoggiasse i talebani il problema dell’avanzata del Califfato in quest’area non sarebbe mai esistito». La minaccia di Al Qaeda è passata in secondo piano? «Assolutamente no. Nell’Afghanistan occidentale è radicata con cellule composte da veterani arabi, ceceni e volontari dall’Asia centrale che aiutano e addestrano i talebani. A questa minaccia si sommano i signori della droga ed i 700 chilometri di confine con l’Iran non aiutano. Teheran appoggia determinati gruppi di insorti in questa regione». Le truppe NATO se ne andranno a fine anno, compresi i soldati italiani che hanno presidiato l’Afghanistan occidentale dal 2004. L’esercito afghano ce la farà da solo? «Il corpo d’armata che comando è composto da tre brigate e ha raggiunto il numero di oltre dodicimila effettivi. I miei soldati sono capaci di mantenere la sicurezza, ma ci servono ancora armi pesanti, appoggio aereo e addestratori. Secondo me sarebbe stato meglio se le truppe della NATO fossero rimaste». Non a caso la situazione nella stessa città di Herat, prima tranquilla, è peggiorata. Come lo spiega? «La polizia è debole e lo stallo durato mesi per la nomina del presidente ha creato un vuoto riempito dai talebani. Con l’accordo fra il nuovo capo dello Stato, Ashraf Ghani ed il suo rivale politico Abdullah Abdullah la situazione migliorerà. Lo spettro del golpe o della guerra etnica fra i governativi è la speranza dei talebani, ma non ci faremo trascinare in questo baratro». Il presidente uscente, Hamid Karzai, ha puntato al negoziato più o meno sotterraneo con i talebani. Lei è favorevole all’accordo? «Il Consiglio della pace (formato da notabili illustri a Kabul n.d.r.) ha proposto ai talebani un compromesso che faccia tacere le armi. Se accetteranno la soluzione pacifica noi siamo pronti a rispettarla». Mullah Omar, il leader dei talebani, ha rifiutato l’accordo, a parte lo scambio di prigionieri. Senza la NATO i suoi uomini guadagneranno terreno ? «Ci proveranno anche se non ce la faranno a batterci ed avanzare dopo il ritiro delle truppe straniere. La guerra si intensificherà, ma li fermeremo» *generale dell’esercito afghano