Quotidiano indipendente della Svizzera italiana
G.A. 6900 LUGANO / ANNO CXXIII NUMERO 238
DIRETTORE RESPONSABILE: GIANCARLO DILLENA – CONDIRETTORE: FABIO PONTIGGIA
Giovedì 16 ottobre 2014
❚❘❙ ENTE OSPEDALIERO
TRA SPUTI
E INTERESSE
PUBBLICO
di BRUNO COSTANTINI
G
iorgio Pellanda, con quella barba, fa impressione
quando pronuncia implacabile la sentenza:
«Chi sputa nel piatto dove mangia
non merita un posto di fiducia nel
nostro Ente». Mancano solo il sibilo
della pallottola e una ciccata di tabacco per ricreare il barocchismo
estetico e narrativo di Sergio Leone, in questa trama che ha avuto
inizio alla Carità di Locarno con
l’irregolarità nelle fatturazioni e
che poi s’è sviluppata nelle polverose praterie dell’EOC e della politica . Chi siano i buoni e chi siano i
cattivi appare però chiaro solo ai
vertici dell’Ente, dal direttore Pellanda al presidente Lotti. Forse
hanno ragione loro, anche perché
di esperienza professionale ne
hanno parecchia (Lotti, uno e trino, riesce contemporaneamente a
presiedere anche l’Associazione
degli industriali e a dirigere la Società elettrica sopracenerina). Alle
persone comuni non addentro ai
tecnicismi amministrativi e ai ragionamenti di opportunità aziendale, sfugge tuttavia la logica in base alla quale verso il viceprimario
della Carità, sotto inchiesta penale
assieme a due capiclinica con l’ipotesi di reato di truffa e falsità in documenti, non sia scattato subito il
licenziamento, mentre invece contro il medico che ha denunciato un
presunto malandazzo più diffuso,
facendola effettivamente un po’
fuori dal vaso, è suonata subito la
campana a morto. Perché? Perché
a Locarno, hanno spiegato i vertici
dell’EOC, sarebbe stato difficile sostituire il viceprimario e a prevalere è stato l’interesse pubblico per la
salute dei pazienti.
Quando si sbatte lì così l’interesse
pubblico c’è poco da replicare e
«ogni lingua divien, tremando, muta». Son furbi all’EOC, dove d’altra
parte muti lo sono stati per un pezzo sulla vicenda del raggiro di
100.000 franchi alla Carità; muto,
nonostante le passioni canterine e
le gigionate via social media, è stato
anche il consigliere di Stato membro del Consiglio d’amministrazione dell’Ente, che non ha degnato il
Governo manco di un «tweet»; muti anche i due membri del CdA rappresentanti delle fustigazioni domenicali (che son mai 100.000
franchi?, disse il conte zio Attilio
quasi infastidito per la pochezza
segue a pagina 4
www.corriere.ch
Bimbe nel tunnel degli orrori
Abusate per tre anni dal pedofilo del Bellinzonese a processo alle Criminali
Centinaia di violenze e soprusi sessuali ai danni di cinque piccole vittime
❚❘❙ «Le usavo quando e come volevo».
Il 35.enne pedofilo del Bellinzonese
da ieri a processo alle Assise criminali non ha espresso una parola di pentimento per le cinque bambine abu-
sate per tre anni. In particolare, l’imputato ha sottoposto a centinaia di
soprusi e violenze le figlie dell’ex
compagna, le quali non si sono ancora riprese dal trauma. Con l’uomo al-
Gatti «killer»
Specialisti
a confronto
Una biologa e un
etologo si
esprimono sulla
questione dei
gatti che in
ambito urbano
causerebbero
troppa pressione
sugli animali
solitamente loro
prede.
a pagina 31
D
primo piano
Così l’esercito afghano
combatte i talebani
❚❘❙ Viaggio nell’Afghanistan occidentale a fianco dei soldati impegnati contro i terroristi islamici. Una sfida da vincere, ma ora
senza il sostegno della NATO.
BILOSLAVO alle pagine 2 e 3
confederazione
Missione svizzera
nei territori dell’Ebola
❚❘❙ Tre elicotteri dell’esercito e 90
volontari dovrebbero partire per
la Liberia alla metà di novembre.
Prima però verrà effettuato un
viaggio di ricognizione.
FAZIOLI e GALLI a pagina 7
cronaca
Area di svago rinnovata
al Casinò di Lugano
Swiss-Darwin, la battaglia è anche legale
❚❘❙ La concorrenza fra Swiss e Darwin Airline si gioca
anche sul piano giuridico, oltre che su quello commerciale. Mentre attende la risposta dell’Ufficio federale
dell’aviazione civile sulle modifiche al contratto con
Etihad richieste proprio da Berna per garantire l’elve-
ticità della compagnia, Darwin contrattacca e mette in
dubbio la regolarità dell’accordo fra Swiss e Tyrolean
Airways, la compagnia di Austrian Airlines che Swiss
ha scelto al posto di Darwin per operare sulla LuganoGASPERI a pagina 13
Zurigo. (Foto Maffi)
VERSO LE ELEZIONI
LOCARNO
Pinoja e la nuova destra:
«Sarà un minimaggioritario»
Serve un doppio controllo
per scongiurare altri errori
❚❘❙ Il presidente dell’UDC Gabriele Pinoja parla dell’alleanza elettorale con AreaLiberale e Unione democratica
federale: l’obiettivo è creare una nuova destra in Ticino.
Nell’intervista al Corriere del Ticino Pinoja ripercorre il
fallimento delle trattative con la Lega, le tensioni dal
2011 e afferma che con questa mossa intende dare vita
RIGHINETTI a pagina 9
ad un «minimaggioritario».
❚❘❙ All’indomani della notizia del buco di 180 mila franchi
nella Cassa pensioni dei dipendenti di Locarno, dovuto
alla svista di un funzionario, il leghista Bruno Buzzini
chiede l’introduzione di un sistema di doppia verifica
all’interno dell’amministrazione. I capigruppo in Consiglio comunale «assolvono» il dipendente. E c’è chi proPELLONI a pagina 17
pone anche nuove assunzioni.
Le rose contro i cardi selvatici
DEGLI ANIMALI
la sbarra compare una prostituta che,
dietro pagamento, ha partecipato a
quattro episodi. Oggi parleranno le
parti. La sentenza domani.
DEL DON a pagina 15
AVIAZIONE
IL COMMENTO ❚❘❙ GERARDO MORINA
LA FATTORIA
Fr. 2.– OGGI CON EXTRA
opo gli scozzesi,
che da meno di un
mese hanno incassato il colpo del no
referendario alla loro indipendenza, a «rompere» sono
ora gli inglesi. «It’s unfair»,
dicono. E spiegano: «Ma come? Vi pare giusto che i deputati scozzesi hanno diritto
di voto al Parlamento di
Westminster su questioni che
riguardano solamente l’Inghilterra, mentre i deputati
inglesi non possono fare lo
stesso in merito a questioni
concernenti solo la Scozia, il
Galles e l’Irlanda del Nord?».
A denunciare quella che ritengono essere una situazione
di palese squilibrio è una
parte sostanziosa dei deputati conservatori, che il premier
britannico David Cameron,
capo di una coalizione di governo con i liberaldemocratici, non può ignorare senza
abbracciarne, almeno parzialmente, la causa e nel contempo salvaguardando le
promesse fatte agli scozzesi di
garantire loro maggiori poteri in materia fiscale e di welfare. L’animosità di chi reclama «voti inglesi per le leggi
inglesi» e vorrebbe ingaggiare
una guerra delle rose (emblema inglese) contro i cardi selvatici (emblema scozzese) ha
segue a pagina 4
Sport Violenza,
HCAP e HCL
dicono «Basta»
❚❘❙ Una nuova campagna per
dire basta alla violenza in ambito sportivo e sensibilizzare le
tifoserie di HCAP e HCL è stata
lanciata ieri dall’associazione
Sport for peace in collaborazione con le due società sportive.
Il primo appuntamento sarà il
31 ottobre in occasione del secondo derby stagionale alla
Resega. «Il nostro obiettivo è
eliminare gli episodi negativi in
pista e fuori dalla pista e favorire una sana cultura sportiva»
ha spiegato Elias Bianchi, giocatore dell’HCAP e responsabile della campagna di sensibilizzazione che coinvolgerà direttamente i giocatori.
RIZZI a pagina 8
❚❘❙ Il gruppo Seven di Ascona riaprirà presto l’area svago del Casinò di Lugano con lounge, discoteca e ristorante. Quasi pronte
anche le nuove sale da gioco.
RECLARI a pagina 11
sport
Hockey: Francis Bouillon,
un vero leader ad Ambrì
❚❘❙ L’allenatore biancoblù Pelletier è convinto che il nuovo difensore nordamericano Francis
Bouillon, considerato un leader,
darà una grossa mano all’Ambrì.
VIGLEZIO a pagina 19
economia
Le Borse vanno in rosso
con Grecia e dati USA
❚❘❙ Mercati azionari in forte ribasso ieri, a causa dei timori su conti
e banche della Grecia e dei dati
deludenti sulle vendite al dettaglio negli Stati Uniti.
TRUCCO a pagina 22
cultura
Il poeta Fabio Pusterla
e la raccolta «Argéman»
❚❘❙ «Argéman» è il nuovo enigmatico titolo scelto da Fabio Pusterla per la raccolta di liriche appena uscita. Intervista allo scrittore
sulla sua ricerca poetica.
DELFANTI a pagina 26
spettacoli
Quando cantare insieme
è mezzo di integrazione
❚❘❙ Il direttore d’orchestra Ion Marin illustra «Cantus Mundi», il
suo progetto di integrazione sociale diventato programma nazionale in Romania.
COLI a pagina 27
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9 771660 964605
2
Primo Piano
Corriere del Ticino
Giovedì 16 ottobre 2014
il reportage
«adesso tocca a noi
salvare l’afghanistan»
Tra i soldati dell’esercito di Kabul che fronteggiano i talebani
«Sapremo fare la nostra parte per sconfiggere il terrorismo»
dalla diGa di salmà
fauSTo biLoSLaVo
zxy «Sulla corazza del blindato era impressionante il fragore dei proiettili
che rimbalzavano. Nell’inferno di fuoco un razzo Rpg è scoppiato a tre metri da noi. Ho preso il lanciagranate
sparando verso il talebano che l’aveva
lanciato. È caduto come una marionetta», racconta con un pizzico di orgoglio Maitullah Wafa descrivendo
l’ultima battaglia di pochi giorni prima. Il giovane soldato dell’esercito afghano con i denti in fuori fa parte del
terzo battaglione, che difende la grande diga di Salmà. Quando sarà finita
dai tecnici indiani garantirà acqua ed
energia elettrica per tutta la provincia
di Herat.
La guerra in Afghanistan continua
senza pietà e sempre più intensa, ma
da tempo è dimenticata, fuori dal raggio mediatico. Le truppe della NATO
arrivate dopo l’11settembre ed il crollo
dei talebani sono pronte a ritirarsi a fine anno. Adesso tocca all’esercito di
Kabul sopportare l’urto della riscossa
talebana. Quasi 200 mila soldati che
crepano come mosche con perdite dai
200 ai 400 uomini al mese. Al fronte
con le truppe afghane nella provincia
di Herat non ci resta che raccomandarci alla benevolenza di Allah.
La sveglia alla base del 207. Corpo
d’armata è prima dell’alba con il solito
nan, il pane piatto afghano ed una tazza di chai, il tè locale. A Camp Zafar,
che vuol dire «Vittoria», la colonna si
sta preparando a partire con gli ufficiali che pregano verso la Mecca illuminati dai fari dei gipponi blindati lascia-
ragazze coraggiose
anche le donne soldato
sono pronte a morire per
la libertà del loro paese:
«arruolandoci difendiamo
anche i nostri diritti. non
ci arrenderemo mai»
ti in dote dagli americani. Il capitano
Iqbal Badakhsh annuncia in perfetto
inglese: «In questi anni gli stranieri
hanno combattuto per noi contro il
terrorismo. Adesso è ora che siano gli
afghani a farlo».
La colonna avanza lentamente, come
un serpente d’acciaio, lungo una pista
sabbiosa, che si insinua in una valle
ferma al passato con case piatte di fango e paglia attorniate da montagne
brulle e selvagge. Nei rari centri abitati
incrociamo le donne fantasma coperte
con il burka turchese dalla testa ai piedi. I pastori con il turbante fanno finta
di non accorgersi dei militari. Anche i
dromedari sono indifferenti.
Volti induriti
I soldati hanno il volto indurito dalle
battaglie e sembrano saltati fuori da un
film. Il giorno prima, al poligono, ci
hanno dato il benvenuto alla loro maniera sparando un razzo a spalla Rpg.
Quando è esploso in una nuvola di fumo grigio hanno gridato «welcome!».
La colonna è guidata dal comandante
della prima brigata, il generale Ziarat
Shah Abed, che combatte da quando i
sovietici avevano invaso l’Afghanistan
negli anni Ottanta. «Quella è una macchina della polizia centrata da un razzo. E vedi quella chiazza nera sulla pista? I talebani avevano piazzato una
trappola esplosiva. Non siamo saltati
in aria noi, ma un autobus con donne
e bambini a bordo» spiega il cicerone
del conflitto in quest’angolo di Afghanistan occidentale sperduto, ma affascinante.
Il IV plotone ha un teschio rosso che
sovrasta un’aquila dipinti sul fianco di
un blindato. Il giovane con una cicatrice sulla guancia, che vuole vedere la
fine della guerra è un pasthun, l’etnia
maggioritaria in Afghanistan, serbatoio dei talebani. Il suo compagno con il
dito sul grilletto della mitragliatrice
pesante è un hazara, la minoranza sciita originaria del centro del Paese, dove una volta sorgevano le statue di
Buddha abbattute da mullah Omar.
Altri sono tajiki, la seconda etnia del
Paese, con i nastri di proiettili attorno
al collo e occhiali da sole alla Rambo.
Qualcuno porta le giberne con il mar-
chio US, ma non mancano i vecchi elmetti sovietici e qualche pezzo di moderna tecnologia fornito dagli occidentali come il robottino per disinnescare le trappole esplosive. Gran parte
dei mezzi, però, sono senza protezione
e volerebbero in aria come fuscelli su
una mina talebana finendo in mille
pezzi. Per proteggerci dal sole a picco
usiamo la sciarpetta afghana come
turbante ed i soldati ridono dicendo
che assomigliamo a «dushman», il nemico.
Sul cocuzzolo un improvvisato fortino
domina la vallata selvaggia di Chest i
Sharif. Dall’altra parte del fiume le
montagne sono il nascondiglio dei talebani. I soldati del nido d’aquila dormono tutti assieme per terra in un
bunker invivibile. Un veterano si è appiccicato sul calcio del fucile mitragliatore un cuore con i colori della
bandiera afghana. Un soldato più giovane si è fatto una collana portafortuna con tre proiettili di kalashnikov.
Nell’ex hotel di Chest i Sharif trasfor-
mato in caserma del III battaglione, si
mangia riso e carne di montone con le
mani seduti sul pavimento a gambe
incrociate.
Il soldato Wafa racconta un episodio
spietato dell’ultima battaglia per la diga di Salmà: «I poliziotti sono caduti in
un’imboscata. I talebani hanno raggiunto gli agenti feriti, ma ancora vivi e
a colpi di kalashnikov sono stati uccisi
uno dopo l’altro. Una vera esecuzione».
I giovani militari afghani hanno filmato gli scontri con i telefonini. Si vede
uno di loro in stile Rambo che spara
all’impazzata con il mitragliatore a tracolla. Il corpo insanguinato di un comandante talebano langue a terra.
Dall’interno di un blindato vengono
passati i nastri delle munizioni fra urla
e proiettili che fischiano.
In Afghanistan, ma soprattutto nella
confinante area tribale pachistana i
tagliagole del califfato spuntati in Siria
ed Iraq stanno però facendo proseliti.
In settembre i boia di un nuovo gruppo
armato che ha aderito allo Stato islamico hanno decapitato nella provincia
di Ghazni 16 civili accusati di collaborare con il Governo di Kabul.
reclute per il Califfato
Nell’Afghanistan orientale sono spuntati i primi comandanti, che nelle ultime settimane hanno giurato fedeltà allo Stato islamico. Talebani salafiti come
un «Piano marShaLL» da miLiardi di doLLari rE
zxy Il fiume di soldi occidentali per risollevare l’Afghanistan, dopo il crollo dei
talebani, ha superato l’investimento del
Piano Marshall alla fine della seconda
guerra mondiale. L’Europa dell’Ovest
dopo il 1945 si è rialzata, ma il Paese al
crocevia dell’Asia non ce l’ha ancora fatta ingoiando milioni di dollari nel buco
nero dell’inefficienza e della corruzione.
Casi e denunce circostanziate sono contenute nel rapporto di 259 pagine dell’Ispettore generale della ricostruzione in
Afghanistan, John Sopko, inviato al
Congresso USA. Solo gli Stati Uniti hanno stanziato per Kabul dal 2002 ad oggi
104 miliardi di dollari contro i 103, 4 del
Piano Marshall, tra il 1948 ed il 1952,
rapportati all’inflazione. Peccato che
molti dei progetti scrutinati siano deficitari per «scarsa pianificazione, costruzione scadente, guasti e supervisione
inadeguata». L’ultimo caso di soldi americani buttati al vento venuto alla luce riguarda la fornitura di 16 aerei da traspor-
to di fabbricazione italiana (G 222), che
dovevano servire alla neonata aviazione
militare afghana. I pachidermi, che costavano 486 milioni di dollari, sono stati
parcheggiati dallo scorso anno all’aeroporto di Kabul. In pratica per problemi
di «manutenzione, pezzi di ricambio e
gestione» non volano più. Alla fine i militari afghani hanno deciso di rottamarli
vendendo il ferrovecchio a 3 centesimi
per chilogrammo incassando la misera
cifra di 32 mila dollari. Negli ultimi dieci
anni solo l’Italia ha investito nello sviluppo dell’Afghanistan la bellezza di 810
milioni di euro, compresi 150 di crediti
ancora da utilizzare. A questi vanno aggiunti i 46,4 milioni del Ministero della
difesa per progetti civili. Il fiore all’occhiello dell’ospedale pediatrico di Herat
è stato costruito troppo lontano dal centro abitato ed in una zona insicura a rischio di attacchi talebani e rapimenti. Il
progetto iniziale prevedeva più reparti e
apparecchiature mediche con il risultato
che le famiglie dei bambini malati devono affrontare lunghi viaggi verso l’Iran o
il Pakistan per essere curati.
Alla periferia di Herat gli italiani hanno
finanziato la creazione di un secondo
«giardino delle donne». In pratica un
doppione dove il gentil sesso dovrebbe
levarsi il burqa ed intraprendere attività
imprenditoriali. I militari italiani hanno
speso 70 mila euro per asfaltare la strada, deserta, fino all’ingresso. Peccato
che le donne non si facciano vedere. Per
non parlare delle scuole costruite
nell’entroterra. Bene che vada vengono
sfregiate con scritte «contro i crociati» o
a favore della «guerra santa e dell’emirato talebano». Quelle femminili rischiano la chiusura ed alcune scuole sono finite in macerie a causa dei combattimenti.
Il vero buco nero si è aperto per gli investimenti sulla sicurezza. Stati Uniti ed
Unione europea hanno speso 3 miliardi
di dollari per rimettere in piedi la polizia
Primo Piano
Corriere del Ticino
Giovedì 16 ottobre 2014
3
zxy L’inTErViSTa
taji moHammed jaHed*
«Senza la NATO
la situazione
si complicherà»
In prIma lInea alcune immagini dal fronte dell’afghanistan occidentale. si
tratta di uomini e donne del 207. Corpo d’armata impegnato nella lotta ai talebani.
(Foto Fausto Biloslavo)
Abdul Rahim Muslim Dost e Maulavi
Abdul Qahar nelle province del Nuristan e del Kunar, storico epicentro delle
cellule di Al Qaeda. A Peshawar, capoluogo dell’area tribale pachistana, è
stato distribuito in 10 mila copie nelle
moschee il libretto «Fatah» (Vittoria)
per reclutare giovani leve del califfato.
Alcune automobili girano con gli adesivi di propaganda dello Stato islamico.
Il 5 ottobre il gruppo dei talebani pachistani Jammat ul Ahrar ha proposto
una mediazione del suo leader, Omar
Khalid Khorasani, per unire tutti gli
estremisti da Al Qaeda, al gruppo siriano Al Nusra sotto le bandiere nere dello Stato islamico. E poche ore dopo
l’assegnazione del Nobel per la pace gli
stessi tagliagole hanno ricordato all’eroina antitalebana, Malala Yousafzai,
di avere pronti per lei «coltelli affilati e
lucenti».
A queste minacce ci hanno fatto l’abitudine le 21 donne soldato del 207.
Corpo d’armata, che dimostrano come
non tutto il gentil sesso in Afghanistan
sia imprigionato sotto il burqa. Nella
base di Herat un sergente con la mimetica ed il velo nero sul capo urla gli ordini: «Attenti, fianco dest, march». Le
donne soldato con ai piedi anfibi lucidati, ma pure sandali e scarpe femminili scattano e gridano per tre volte
«zhuand», hurrà. Il sergente Sakina
Ismaili, 27 anni, insegue il mito «della
nostra eroina Malalai». Nell’Ottocento
durante un’aspra battaglia contro le
truppe dell’impero britannico la leggendaria Malalai incitò i combattenti
afghani sventolando il vessillo verde
dell’Islam.
I duri e puri del Corano considerano il
sergente Sakina una svergognata. «Le
mie sorelle afghane non devono avere
paura – spiega il sottufficiale con gli
occhialini – Arruolandosi nell’esercito
difenderemo i nostri diritti».
Laila Ibrahimi è l’ufficiale anziano, la
prima donna ad arrivare al 207. Corpo
d’armata. Per mesi ha dovuto vivere
sotto protezione a causa delle minacce
di morte. «Vogliono terrorizzarmi, ma
continuo a fare il mio dovere con lo
stesso coraggio di un uomo – spiega
Laila, che ha tre figli – Non l’avranno
vinta» Nella provincia di Herat è uscita
in missione con le donne soldato italiane facendo amicizia con Cristiana.
Assieme perquisivano le afghane o distribuivano gli aiuti nei villaggi.La più
giovane donna soldato di Camp Zafar
è Zhara Kawari. A 18 anni ha scelto di
portare la divisa, ma come le sue coetanee occidentali usa Facebook per
trovare nuovi amici. Il sergente Sakina
sa bene che le donne soldato in Afghanistan hanno vita dura, ma proprio per
questo giura di avere un obbiettivo: «Io
voglio diventare generale».
video su
www.corriere.ch/k117016
So inuTiLE da inEffiCiEnZa E CorruZionE
afghana. Ad oggi 54 mila agenti risultano «fantasmi». Non esistono, se non sui
registri di arruolamento, ma ricevono
ogni mese la paga.
Per non parlare delle 740 mila armi leggere fornite alle forze di sicurezza afghane per un esborso di 626 milioni di dollari. Ben il 43% di questo arsenale è sparito nel nulla. Secondo l’ispettore americano, Sopko, non è remota la possibilità
buco nero
la ricostruzione delle forze
di polizia e sicurezza si sta
rivelando un totale fallimento. Decine di migliaia
di agenti, benché stipendiati, sono spariti nel nulla
cha parte delle armi siano state vendute
ai talebani.
I grandi piani antidroga che hanno succhiato 7,6 miliardi di dollari sono finiti
con un buco nell’acqua. La produzione
di oppio è in continuo aumento negli
ultimi tre anni e sta raggiungendo livelli
record. Il progetto italiano di sostituire il
papavero con lo zafferano fa parte di
questo fallimento. «Abbiamo buttato
centinaia di migliaia di euro per un’idea
frutto di una sparata mediatica – conferma un addetto ai lavori – con il risultato
che le piantagioni di oppio sono aumentate».
Anche i progetti delle strade, in un Paese
dove si viaggia su piste sabbiose, hanno
vita dura in Afghanistan. Per i 136 chilometri di asfalto nella provincia di
Bamyan l’Italia ha stanziato i primi 36
milioni di euro nel 2003. Altri 57 milioni
servono per il secondo tratto, che dovrebbe essere finito nell’agosto 2015,
dodici anni dopo.
check poInt Un soldato afghano durante una perquisizione in uno dei numerosi posti di blocco nella provincia di Herat.
(Foto Fausto Biloslavo)
zxy CamP Zafar
(Herat) Il generale
Taji Mohammed
Jahed ha cominciato a combattere
che non aveva ancora 20 anni. Il suo
mentore era il leggendario comandante
Ahmad
Shah Massoud, la
prima vittima dell’11 settembre ucciso
da due terroristi di Al Qaeda alla vigilia
dell’attacco alle Torri gemelle. Dal suo
grande ufficio al quartier generale di
Herat, nell’Afghanistan occidentale, comanda il 207. Corpo d’armata. L’esercito
dovrà sopportare l’urto dei talebani dopo il ritiro della missione NATO a fine
anno. La zona di operazione del generale composta da quattro province, è grande più di metà della Svizzera.
Generale, la nuova minaccia è il Califfato in Siria ed Iraq. L’Afghanistan verrà dimenticato?
«Guai se l’Occidente dimenticasse il nostro Paese. Non c’è differenza fra il Daish
(il nome in arabo dello Stato islamico
n.d.r.) ed i talebani, che compiono le
stesse nefandezze. Entrambi usano il
nome dell’Islam per uccidere e distruggere. L’unica differenza è il colore della
bandiera: i talebani usano quella bianca
e lo Stato islamico sventola il vessillo nero. Daish uccide in nome del Califfato ed
i nostri nemici in Afghanistan lo fanno
ispirandosi all’Emirato. Cambia poco:
tutti e due hanno tradito l’Islam macchiandosi di crimini mostruosi contro
l’umanità».
Lo Stato islamico sta avanzando anche
in Afghanistan?
«Stanno prendendo piede soprattutto
nel Waziristan, nelle aree tribali pachistane a ridosso del confine afghano. Se il
Pakistan non appoggiasse i talebani il
problema dell’avanzata del Califfato in
quest’area non sarebbe mai esistito».
La minaccia di Al Qaeda è passata in
secondo piano?
«Assolutamente no. Nell’Afghanistan
occidentale è radicata con cellule composte da veterani arabi, ceceni e volontari dall’Asia centrale che aiutano e addestrano i talebani. A questa minaccia si
sommano i signori della droga ed i 700
chilometri di confine con l’Iran non aiutano. Teheran appoggia determinati
gruppi di insorti in questa regione».
Le truppe NATO se ne andranno a fine
anno, compresi i soldati italiani che
hanno presidiato l’Afghanistan occidentale dal 2004. L’esercito afghano ce
la farà da solo?
«Il corpo d’armata che comando è composto da tre brigate e ha raggiunto il numero di oltre dodicimila effettivi. I miei
soldati sono capaci di mantenere la sicurezza, ma ci servono ancora armi pesanti, appoggio aereo e addestratori. Secondo me sarebbe stato meglio se le truppe
della NATO fossero rimaste».
Non a caso la situazione nella stessa
città di Herat, prima tranquilla, è peggiorata. Come lo spiega?
«La polizia è debole e lo stallo durato
mesi per la nomina del presidente ha
creato un vuoto riempito dai talebani.
Con l’accordo fra il nuovo capo dello
Stato, Ashraf Ghani ed il suo rivale politico Abdullah Abdullah la situazione migliorerà. Lo spettro del golpe o della
guerra etnica fra i governativi è la speranza dei talebani, ma non ci faremo
trascinare in questo baratro».
Il presidente uscente, Hamid Karzai,
ha puntato al negoziato più o meno
sotterraneo con i talebani. Lei è favorevole all’accordo?
«Il Consiglio della pace (formato da notabili illustri a Kabul n.d.r.) ha proposto
ai talebani un compromesso che faccia
tacere le armi. Se accetteranno la soluzione pacifica noi siamo pronti a rispettarla».
Mullah Omar, il leader dei talebani, ha
rifiutato l’accordo, a parte lo scambio
di prigionieri. Senza la NATO i suoi
uomini guadagneranno terreno ?
«Ci proveranno anche se non ce la faranno a batterci ed avanzare dopo il ritiro
delle truppe straniere. La guerra si intensificherà, ma li fermeremo»
*generale dell’esercito afghano
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