Atti Parlamentari — 27 — Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — DOCUMENTI — DIBATTITI — XII COMMISSIONE AFFARI SOCIALI sione, che potrebbe rappresentare una soluzione da adottare a livello nazionale. È necessario, sempre a livello assistenziale, che i comuni programmino una politica per la residenza considerato che una legge del 1954, la n. 1128, prevede la creazione di una residenza formale per chi ne è sprovvisto, il che significa garantire alcuni diritti fondamentali, quali l’assistenza sanitaria e relativo libretto e la carta d’identità. In altri termini, si potrebbe assumere la residenza presso dormitori pubblici oppure il comune potrebbe inventare un indirizzo – via del Comune n. 1 – in cui far risiedere queste persone. Sempre sul piano assistenziale, forse è necessario che i vecchi IACP – o gli organi competenti – mettano a disposizione gli alloggi per le persone gravemente malate, così come sarebbe utile incentivare l’integrazione lavorativa per chi ancora non la possiede, dal momento che non possono essere solo le cooperative di solidarietà sociale a farsi carico dell’inserimento lavorativo. L’ultima questione riguarda le carceri. Conoscete certamente la realtà della legge n. 222 del 1993, così come saprete che la magistratura scarcera le persone gravemente ammalate solo se vi è una casa che le accoglie. A Torino la casa di accoglienza esistente può ospitare solo sei persone, il che è assolutamente insufficiente. Sarebbe auspicabile perciò orientare in questa direzione i fondi della legge n. 135. Infine, a fronte di una sempre crescente regionalizzazione dei fondi è necessario prevedere due meccanismi di controllo, uno dal basso con la creazione delle consulte regionali sull’AIDS presso ogni capoluogo di regione, il secondo dall’alto con l’istituzione di controlli agili e secchi, una sorta di NAS della pubblica amministrazione, altrimenti l’assistenza domiciliare non si affermerà mai. Infatti, uno dei punti dolenti della legge n. 135 è costituita dalla ospedalizzazione a domicilio che è cosa diversa da quanto chiediamo noi oltre ad essere di difficile realizzazione in quanto le strutture ospedaliere sono sotto organico. MARIA GABRIELLA ORSI, Rappresentante del Coordinamento italiano case alloggio. Il coordinamento italiano case alloggio è stato costituito nel 1994 allorché ci si rese conto che in varie realtà regionali le strutture del volontariato laico, spontaneo e cattolico avevano dato risposte positive all’emergenza registratasi. Io sono – provocatoriamente – perché si giunga ad una normalizzazione dell’AIDS. Si è infatti trattato di una patologia speciale e per certi aspetti lo è ancora in modo specifico, ma per quanto riguarda le risorse, credo debba finire lo spreco del periodo delle vacche grasse, quando si sono potuti utilizzare e dare molti soldi. Dobbiamo considerare le esigenze a cui non è stata data risposta, per esempio quelle dell’extracomunitario malato di AIDS o di altre patologie. Dobbiamo tener conto delle emergenze sociali che possono generare grossi problemi. A proposito della prevenzione, sono d’accordo con quanto detto dal dottor Grillini: la rete degli interventi delle associazioni è tale per cui, per cinque, otto o dieci anni, è stato possibile attuarli avvalendosi di target specifici. Oggi, chi meglio della rete delle associazioni omosessuali sa dire cosa fare ? Allora, perché il bando non è fatto, per coloro che si offrano alle regioni o allo Stato, per portare avanti una capillare azione di sensibilizzazione ? Qualcuno ha parlato di educazione alla salute. Ma non esiste la rete dei servizi sanitari ? Da venti anni lavoro al Servizio sanitario nazionale per le tossicodipendenze, e so che per l’educazione alla salute si pagano alle USL almeno 10 o 12 miliardi l’anno. Vi è una rete di persone, formate dallo Stato, per fare ciò che a mio avviso deve essere fatto nelle scuole, dove non può andare il volontariato. Tutti noi dovremmo essere accreditati presso le regioni con gli stessi criteri con cui adesso invochiamo la tutela e la correttezza dal punto di vista delle strutture ospedaliere. Come è possibile dire, ancora oggi, che il volontariato che si occupa dell’AIDS è tutto bello e buono ? Dovete chiedere se e come i fondi siano stati utilizzati, anche a coloro che li hanno raccolti dalla pensio- Atti Parlamentari — 28 — Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — DOCUMENTI — DIBATTITI — XII COMMISSIONE AFFARI SOCIALI nata o del magnate, il quale, non pagando mai le tasse, può anche essersi permesso di elargirne parecchi. Dobbiamo capire in che modo i fondi sono stati spesi, anche se resta la discrezione dell’associazione di spenderli più nella ricerca, per esempio, che nei settori dell’intervento e della solidarietà. Ritengo, comunque, che per il 1997 debba essere assicurata la trasparenza sul modo di spendere i fondi per l’AIDS, perché non ci si può più impietosire per questa malattia anziché per l’Alzheimer o per i tetraplegici. Questo per sottolineare la necessità della solidarietà tra patologie. Perché, allora, per l’AIDS vi è una Commissione nazionale e poi, come se fosse di serie B, una Consulta con un po’ di volontariato ? Perché chi discute di diagnostica e di terapia non deve sapere cosa fa il volontariato e viceversa ? Perché non attuare il metodo del sorteggio tra le quaranta associazioni, peraltro senz’altro meglio dei tanti bigliettini che arrivano al ministro Bindi per esercitare su di lei pressioni a favore di questo o di quello ? Perché nelle sei commissioni nazionali non c’è mai stata una donna ? Non c’è bisogno di invocare il ministro Finocchiaro per dire che oggi fa ridere che questo accada, perché sono tante le donne nelle associazioni, nei reparti e nei laboratori. La risposta del ministro Costa a questo interrogativo fu che la scelta si indirizzava sui primari, e i migliori erano uomini. Però, posso assicurarvi che nelle nostre equipe sono tante le donne che ci aiutano e che potrebbero svolgere un ruolo valido. Ripeto, un’unica commissione garantirebbe il collegamento funzionale con il volontariato, che deve servire ad integrare, senza avere troppe deleghe. A proposito della rete assistenziale, nella legge n. 135 si parla di potenziamento dei servizi per le malattie infettive e dei servizi per le tossicodipendenze. Ciò è avvenuto solo per l’aspetto medico, non per gli psicologi e gli assistenti sociali, i quali avrebbero facilitato il godimento della pensione a chi ne aveva diritto quando era ancora in vita, perché le pratiche sarebbero state portate avanti più ra- pidamente. Tutte le patologie sociali avrebbero bisogno di queste figure nei grossi ospedali. Credetemi, se l’assistenza sembra meno umana è perché gli operatori sono stressati dallo stillicidio di personale, dalla gravità della patologia e dal fatto che i tossicodipendenti sono ancora più aggressivi se malati di AIDS. Finita l’emergenza, si ritorni alle norme, si preveda che nei reparti vi sia la presenza dello psicologo e dell’assistente sociale della USL, perché i fondi sono già stati assegnati alle regioni nel 1994. Infine, si stili un modello assistenziale in cui ciò che noi rappresentiamo sia un pezzettino dell’insieme, non l’unica risposta possibile. A maggio faremo un convegno per offrire la casa alloggio a coloro che non hanno famiglia, reddito, possibilità di essere autonomi. Nelle nostre case vi sono persone che sono entrate tre o quattro anni fa e che sono state messe in grado di ritrovare una loro autonomia, di riacquistare una speranza di vita e la possibilità di fare altre cose. Per quanto riguarda la regione Toscana, per esempio, i fondi non spesi nel 1995 servirebbero per costruire case alloggio assolutamente autonome, con un po’ di assistenza domiciliare, che la USL già fornisce, e con tutto il sostegno del volontariato, che non ha bisogno di finanziamento. Se in ogni regione incentivaste la ricerca degli sprechi e del non utilizzato per l’AIDS, credo che in un anno avreste alcune decine di strutture nuove, di psicologi e assistenti sociali che, finita l’emergenza AIDS, potrebbero essere impiegati per l’assistenza dei malati affetti dal morbo di Alzheimer o da altre patologie. FRANCISCO MELE, Rappresentante del CEIS. A quanto è stato detto finora voglio aggiungere che nelle norme di legge non vi è mai un capitolo sulle famiglie. Dico questo in quanto abbiamo avviato un programma di assistenza ai famigliari di sieropositivi o di malati di AIDS. Forse, dovrebbe essere fatta una ricerca anche sugli effetti che la malattia o la sieropositività possono avere sui famigliari di chi ne è colpito; spesso, le conseguenze sono non Atti Parlamentari — 29 — Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — DOCUMENTI — DIBATTITI — XII COMMISSIONE AFFARI SOCIALI solo di natura psicologica ma anche fisica. Potrebbe costituire oggetto di una bella ricerca la conoscenza dell’effetto del dolore e della depressione in questi casi. Dobbiamo superare la razionalità del ragioniere, che purtroppo domina nelle aziende, per passare alla razionalità della solidarietà. Poiché la collega che è intervenuta prima di me ha parlato della necessità dell’assistenza psicologica al malato di AIDS, torno a ribadire la necessità dell’assistenza anche ai famigliari, a cui non si deve far cenno in tutte le norme senza però attuare nessun tipo di operatività, anche dal punto di vista culturale. Sappiamo bene, infatti, che aiutare la famiglia di un ragazzo malato significa attuare la prevenzione anche nei confronti dei fratelli, delle sorelle e, soprattutto, dei genitori, per i quali la morte di un figlio è uno dei peggiori dolori, in quanto è vissuta come la propria morte. Di questo dobbiamo tenerne conto. ANTONIO BOSCHINI, Rappresentante della Comunità di San Patrignano. La Comunità di San Patrignano, cresciuta per dare una risposta ai problemi della tossicodipendenza, rispetto ad altre comunità ha avuto la peculiarità di svilupparsi, prevalentemente, su un unico centro. Ci siamo trovati a dover affrontare l’emergenza AIDS in quanto, nell’ambito della comunità, vi è stato un momento in cui erano quasi 500 le persone sieropositive. Adesso sono di meno, sono 300, anche perché l’epidemia da HIV nei tossicodipendenti è fortunatamente in declino. Ho svolto questo intervento per sottolineare che nella comunità si è creata una situazione abbastanza singolare. Dovendo e volendo assistere queste persone con problemi di tossicodipendenza e di malattia, è stato costruito negli anni, all’interno della comunità, una specie di ospedale che ha finito con l’essere quasi un centro privato con caratteristiche anomale. Infatti, all’interno di questo centro venivano curati i ragazzi della comunità affetti da AIDS (naturalmente con il supporto della struttura pubblica, perché esiste una convenzione e c’è un rapporto di consulenza con il reparto di malattie infettive che segue all’interno della comunità i ragazzi con AIDS); inoltre, avendo a disposizione diversi posti letto, siamo venuti in contatto anche con molti ragazzi non tossicodipendenti, quindi non della comunità, per i quali, però, non erano possibili risposte alternative. In altri termini, è difficile che la malattia dell’AIDS possa essere definita da ospedale, domiciliare o da casa alloggio, perché esistono situazioni per le quali né l’ospedale né il domicilio né la casa alloggio sono la risposta migliore. La degenza nei reparti di malattie infettive ha costi elevatissimi, in quanto il rapporto tra pazienti e personale sanitario è piuttosto elevato. Vi sono pazienti affetti da AIDS in fase terminale per i quali non è assolutamente più indicato il ricovero ospedaliero, sia per i costi del ricovero stesso sia perché all’interno dell’ospedale non vengono eccessivamente privilegiate le caratteristiche dell’assistenza psicologica, del rapporto umano in generale. Però è anche vero che sono malati talmente gravi, spesso anche con problemi neurologici, di scarsa lucidità, per cui una casa alloggio non riesce a far fronte alle loro emergenze mediche ed anche il domicilio non è il luogo più idoneo. Non dimentichiamo che molte di queste persone sono tossicodipendenti, la famiglia spesso manca e quando c’è i rapporti sono talmente deteriorati che non è comunque possibile attuare un’assistenza domiciliare. Credo sia necessario prendere in considerazione anche risposte alternative, che non siano la costruzione di nuovi posti letto nei reparti di malattie infettive, di cui probabilmente non vi sarebbe così bisogno in questo momento, e nemmeno semplicemente l’assistenza domiciliare, ma reparti di cure intermedie o comunque case alloggio in cui sia prevista un’assistenza anche di carattere medico ed infermieristico. Diversamente, molti pazienti rimarranno senza risposta. PRESIDENTE. Darò adesso la parola ai colleghi che intendano porre domande, anche se devo riconoscere che i vari inter- Atti Parlamentari — 30 — Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — DOCUMENTI — DIBATTITI — XII COMMISSIONE AFFARI SOCIALI venti sono stati molto esaurienti e ricchi di spunti di riflessione, per cui, probabilmente, disponiamo già di una documentazione sulla quale riflettere e lavorare. Rinnovo comunque l’invito ai nostri ospiti a farci pervenire eventualmente ulteriore materiale che potrebbe risultare utile ai fini della nostra indagine conoscitiva, la quale, come dicevo inizialmente, è tesa ad acquisire dati ed informazioni sia sulle iniziative adottate in attuazione della legge n. 135 sia sul progetto obiettivo AIDS, nonché ad approfondire le questioni relative agli interventi sulle strutture ospedaliere per le malattie infettive. Credo, inoltre, che la riflessione odierna ci stimoli a fare altrettanto in ordine alla prevenzione. A conclusione dell’indagine conoscitiva la Commissione potrebbe anche pervenire all’approvazione di una risoluzione. È probabile che vi saranno altre occasioni di incontro con le associazioni, visto che tendiamo (e finora ci siamo mossi in questa direzione) ad avere contatti anche con il sociale e con i vari soggetti che in quel campo si attivano. FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Non farò domande, ma esprimerò alcune considerazioni per capire. PRESIDENTE. Onorevole Lucchese, le considerazioni le esprimeremo in un’altra sede; siamo qui per ascoltare i nostri ospiti. FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Voglio verificare se sono riuscito a comprendere il problema, quindi in un certo senso le mie sono delle domande. Si è parlato molto degli ospedali (io sono medico) e mi è sembrato di capire che esistano due ordini di problemi relativi sia ai DRG, e dovrebbero essere trattati in un modo diverso per questo tipo di malati, sia alla questione dei farmaci. Inoltre, dovrebbe trattarsi di ospedali particolari, per lungodegenti, che si stanno instaurando nei programmi sanitari delle varie regioni. Un terzo problema è rappresentato dalle carceri, cui hanno accennato alcuni di voi e di cui mi sto occupando. Nella ristrutturazione delle carceri mandamentali, il Ministero di grazia e giustizia nel 1991 aveva individuato alcune carceri da utilizzare per fornire assistenza ai detenuti tossicodipendenti e ai malati di AIDS. Tuttavia successivamente, nel 1995, alcuni di questi provvedimenti sono stati revocati. È allo studio una proposta di legge che dovrebbe stabilire il destino di queste carceri mandamentali. In attesa che la proposta di legge venga approvata, si sta procedendo poco per volta alla loro chiusura. Alcune di queste ex carceri mandamentali funzionano bene e, in quanto strutture costruite con un notevole spreco di denaro pubblico, non dovrebbero essere chiuse ma utilizzate nel senso che ho indicato. Desidero inoltre denunciare che alcuni malati di AIDS sono usati come strumento di minacce, perché se vengono rinchiusi nelle celle assieme a detenuti – diciamo così – normali, non affetti da AIDS, svolgono una sorta di azione di minaccia nei confronti di quelli sani e contribuiscono ad accelerarne le confessioni. È un modo assolutamente improprio, offensivo e disumano di usare i tossicodipendenti. Ho sentito parlare di questo fenomeno – non so se ne siate a conoscenza – e credo che debba essere denunciato con forza. MAURA COSSUTTA. Ci rendiamo conto delle difficoltà che incontrate e perciò ci siamo assunti la responsabilità di procedere alla modifica, in senso migliorativo, della legge n. 135 del 1990 da tutti considerata inadeguata. Recepisco unanimemente la proposta di presentare una risoluzione affinché si proceda alla revisione della legge, collegando le competenze del ministro Bindi con quelle del responsabile degli affari sociali, in quanto, come è stato giustamente sottolineato da voi tutti, la prevenzione non è solo un problema sanitario: investe infatti anche talune politiche sociali (come la casa, il territorio, il lavoro e quant’altro) e dunque va affrontata complessivamente. Poiché nella legge finanziaria è stato affrontato il tema dei DRG e dei farmaci, vorremmo sapere da voi se la normativa Atti Parlamentari — 31 — Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — DOCUMENTI — DIBATTITI — XII COMMISSIONE AFFARI SOCIALI recata dal decreto-legge n. 536 del 1996 sui farmaci innovativi sia adeguata o se necessiti di un intervento correttivo. In questo caso, quali suggerimenti siete in grado di fornire ? ALESSANDRO CÈ. Signor presidente, come al solito, durante le audizioni, nel valutare le prospettive future si dà un parere negativo su quanto è avvenuto finora. Di fatto, quanto è successo potrebbe essere oggetto di una commissione d’inchiesta dato che parecchi fondi sono spariti, come è stato più volte sottolineato. Al di là del compito che dobbiamo assolvere, ritengo necessario che i nostri ospiti evidenzino gli aspetti illeciti e i meccanismi che non hanno funzionato per fornire a noi politici una traccia da seguire in futuro. Naturalmente, se riterranno di rispondere a questo mio interrogativo, potranno inviare una comunicazione scritta. LUIGI GIACCO. Abbiamo registrato le proposte emerse e l’impegno che ci sentiamo di assumere è di giungere – come ha anticipato la collega Cossutta – ad una risoluzione, precisa nei modi e nei tempi, che definisca le linee guida per il Governo al fine di rivedere la legge n. 135 o di fornire una risposta adeguata e funzionale. Il vostro apporto è importante, perché ci permetterà di verificare concretamente gli ostacoli che si frappongono all’attuazione della legge, considerato anche che ci accingiamo ad iniziare l’esame della riforma della cosiddetta assistenza. Tali questioni debbono ottenere una risposta funzionale in un rapporto tra pubblico e privato che impedisca al pubblico di delegare la soluzione dei problemi al privato, che, al contrario, ricerchi una collaborazione per il raggiungimento di determinati obiettivi. Le esperienze consolidate in Italia in questi anni debbono essere prese come punto di riferimento e ciò vale soprattutto per voi che avete acquisito competenza ed esperienza oltre ad aver dato risposte positive. PRESIDENTE. Prima di dare la parola ad alcuni dei nostri ospiti per una breve replica, do la parola al dottor Giannelli che non è ancora intervenuto. FABIO GIANNELLI, Rappresentante dell’Associazione nazionale italiana lotta all’AIDS. Sono un medico infettivologo da poco fuoriuscito dalla struttura pubblica. Come è stato più volte sottolineato è giunto il momento di uscire dall’emergenza AIDS e rivedere la legge n. 135. Limitandomi ai temi dell’assistenza, voglio anch’io ricordare come nessun letto sia stato realizzato né ristrutturato; alcune postazioni, per la precisione 18, sono state realizzate all’ospedale Niguarda, dove operavo, con i fondi regionali, ma poi il tutto è stato bloccato, specie per quanto riguarda l’ospedale Sacco. Qualcuno, prima di me, ha detto che è una fortuna che non siano stati realizzati questi posti letto; vorrei dare un significato più esatto a questa frase dicendo che, per fortuna, non sono stati realizzati tutti i posti letto, perché ne abbiamo avuto meno bisogno; dunque, la revisione della legge n. 135 consentirebbe di rivedere il numero dei posti letto da incrementare o da ristrutturare. Per quanto riguarda l’assistenza domiciliare, direi che è decollata con molte difficoltà; conoscendo la realtà milanese, formulo un’unica osservazione: l’intervento delle regioni non territorializza facilmente il problema dell’assistenza domiciliare; la Lombardia è stata una delle prime regioni ad interessarsi alla questione, però, a mio avviso, l’ha ricentralizzata, perché con le sue delibere, indirizzate al privato sociale, al volontariato e alle unità sanitarie locali, ha definito binari troppo rigidi e circoscritti. Al privato sociale e alle USL occorrerebbe dare maggiore libertà operativa, obbligandoli magari ad una rendicontazione severa e puntuale. Quanto agli inibitori delle proteasi, parlando della difficoltà della somministrazione di questi farmaci ai tossicodipendenti in fase attiva, qualcuno ha ipotizzato la possibilità di escludere questi soggetti da quelli che devono assumerli, ma questo mi sembrerebbe discriminatorio. Condivido anch’io la difficoltà sottolineata, Atti Parlamentari — 32 — Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — DOCUMENTI — DIBATTITI — XII COMMISSIONE AFFARI SOCIALI ma un’idea per superare il problema potrebbe essere quella di unità mobili, già attivate in alcune regioni del nord ma in maniera ancora non sufficiente, che potrebbero avvicinare questi pazienti ed eventualmente intervenire anche per la somministrazione dei farmaci in questione. Oltretutto, tra poco tutti potranno essere assunti due volte al giorno, per cui questo compito diverrebbe ancora più facile. PRESIDENTE. Invito alla brevità chi mi ha chiesto d’intervenire per una breve replica, anche perché credo che debba proseguire questo scambio di rapporti tra la Commissione e le associazioni rappresentate nella Consulta nazionale per i problemi dell’AIDS. Vorrei anche ricordare che sui fondi, in particolare, il ministero ha avviato un’indagine amministrativa FRANCO GRILLINI, Presidente nazionale dell’ARCI-gay. Solo su quelli dell’Istituto superiore di sanità. PRESIDENTE. Sì, ma il Parlamento, anche per seguire obiettivi autonomi rispetto all’azione del Governo e del ministro, ha voluto invece allargare una sua riflessione con l’obiettivo di tradurla in eventuali atti parlamentari. ROSARIA IARDINO, Rappresentante dell’Associazione nazionale per la lotta contro l’AIDS. Vorrei invitarvi tutti ad una riflessione importante. Prima non l’ho detto, ma sono sieropositiva da quattordici anni, e anche oggi, qui come fuori, sento parlare di emergenza AIDS. Vi prego quindi di riflettere sul fatto che in questo caso l’emergenza non è dettata dalla necessità di ricostruire una strada dove all’improvviso è cascata una bomba ma di far fronte, in Italia, a seimila casi all’anno di nuove infezioni da HIV. L’emergenza nasce dal fatto che i sieropositivi eterosessuali hanno superato i sieropositivi omosessuali ed appartengono ad una fascia compresa tra i 15 e i 25 anni. Nell’emergenza AIDS, quindi, il problema non è solo legato all’assistenza o a una politica di prevenzione, anche se fondamentale tra i giovani. Nel momento in cui vi sono, da una parte, dei farmaci che possono e tendono a cronicizzare la malattia, dall’altra, modelli d’intervento, abbastanza efficaci, da parte delle associazioni non governative, calare la soglia d’allarme significa regredire, a mio avviso. Vi invito quindi a considerare l’emergenza del problema AIDS, inteso come malattia sessualmente trasmissibile soprattutto tra i giovani. Ve lo dico come una persona che ha contratto l’infezione a 17 anni. La prima riflessione a cui invito anche i rappresentanti di tutte le altre associazioni, quindi, è di non adagiarsi su risultati conseguiti, certo importanti ma ben lontani dal tenere sotto controllo un’epidemia che ancora oggi si chiama pandemia. Non è vero, come ha detto l’onorevole Cè, che è negativo tutto quello che è stato fatto finora. Credo, infatti, che si debba prendere atto dei grossi sforzi delle associazioni di volontariato, e se è vero che esse non devono sostituirsi al pubblico, è anche vero che quest’ultimo deve rendersi conto che senza il privato sociale può fare ben poco, non fosse altro per le risorse umane che il volontariato può mettere a disposizione con costi molto modesti rispetto ai miliardi che il ministero ha speso per campagne pubblicitarie che, magari, non sono mai state distribuite. È stato detto, a ragione, che il problema AIDS non investe solo il Ministero della sanità; per la prima volta, infatti, i malati si sono resi protagonisti delegando la loro situazione non solo alle istituzioni ma anche alle associazioni: Rino Varasso ed io abbiamo fatto parte della Commissione nazionale per l’AIDS dopo dieci anni che veniva richiesta la presenza dei sieropositivi al suo interno; chiediamo che i rappresentanti dei sieropositivi continuino a farne parte, perché è una conquista quella del malato che può aiutare le istituzioni. Non so cosa sia il decreto-legge n. 536 sui farmaci innovativi. E questo lo dico per sottolineare l’esistenza di un altro problema, nel senso che chi opera direttamente con le persone, chi può fornivi l’aiuto che ci chiedete, di fatto non riesce Atti Parlamentari — 33 — Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — DOCUMENTI — DIBATTITI — XII COMMISSIONE AFFARI SOCIALI ad avere informazioni così importanti per il suo lavoro. FRANCO GRILLINI, Presidente nazionale dell’ARCI-gay. Voglio dire, anzitutto, che la commissione d’inchiesta istituita dal ministro della sanità si riferisce solo, a quanto mi risulta, ai fondi dell’Istituto superiore di sanità. Credo che su quei fondi si sappia più o meno tutto, per cui sono tra coloro che hanno ritenuto un po’ bizzarra l’istituzione di una commissione, anche perché, ancora una volta, sta rallentando tutto. Bisognerebbe fare in modo, quindi, di far sì che ciò che viene istituito non intralci il lavoro né lo blocchi. L’istituzione di questa commissione, invece, ha rallentato di sei o sette mesi la rendicontazione e, conseguentemente, il pagamento alle associazioni. Pertanto, ciò che queste ultime hanno chiesto si è risolto in una sorta di boomerang. Bisogna sapere che fine hanno fatto questi 2.100 miliardi, che non sono certo poche lire. Ricordo un incontro con il ministro Guzzanti, assieme al dottor Agnoletto per la LILA e Aiuti per l’Anlaids: chiedemmo al ministro se sapeva dove erano andati a finire i soldi; ci rispose che onestamente non era in grado di dircelo. Quindi, se i 2.100 miliardi non sono « desaparecidos », ci si dica dove sono e se si possono riutilizzare e riconvertire. Se non vi è più bisogno di settemila posti letto, una parte si utilizzino per creare nuovi ospedali e per ristrutturare quelli esistenti, una parte si riconvertano in fondi per l’assistenza domiciliare e per l’informazione e la prevenzione mirata. Ma tutto questo si deve fare subito. Se vi sono 2.100 miliardi, che si utilizzino. Non dobbiamo neanche prevederli nella finanziaria, non dobbiamo litigare perché non ci sono soldi, non dobbiamo fare nessun cambio di spesa, perché questi miliardi già ci sono. L’appello che rivolgo agli onorevoli parlamentari, quindi, è di fare uno sforzo per far sì che vengano utilizzati. In Italia i morti di AIDS sono già 30 mila e i sieropositivi sono 150 mila, concentrati nella fascia di età compresa tra i 20 e i 45 anni, quindi tutti sessualmente attivi. Per ogni italiano vi è una possibilità su dieci di incontrare una persona sieropositiva e di infettarsi, ovviamente se non usa le cautele da noi vivamente consigliate. Siamo in un paese in cui la metà delle persone si infettano sotto i venti anni ! Questo è spaventoso. Si parla sempre, a sproposito, di famiglia, ma ci siamo mai chiesti come faccia un genitore ad essere tranquillo in una situazione di questo tipo ? Sembra che l’AIDS sia stato accettato come una fatalità, non se ne parla più anche se è una realtà macroscopica. Qual è la ragione psicologica di questo atteggiamento ? Come psicologo ho provato a chiedermi perché su questa materia vi sia una specie di ipnosi che blocca tutto, che rende impossibile spostare qualsiasi cosa. Si faccia pure una commissione d’inchiesta, anche se vi è il rischio che finisca per bloccare tutto nuovamente. È forse più urgente, quindi, che gli onorevoli parlamentari scovino dove sono finiti i 2.100 miliardi, perché, come ho detto, ci sono e sono immediatamente utilizzabili. LUIGI CERINA, Rappresentante del gruppo consiliare antiprobizionismo – Roma. Scusa se ti interrompo, ma il dottor Falcitelli ha detto come sono stati distribuiti. FRANCO GRILLINI, Presidente nazionale dell’ARCI-gay. Noi non se siamo al corrente e non lo è neanche l’opinione pubblica. Comunque, tanto meglio se è vero. A mio avviso, questa Commissione dovrebbe convocare una specie di conferenza nazionale sull’AIDS (è previsto, per esempio, dalla legge sulle tossicodipendenze) dove tutti gli attori siano insieme per riuscire a capire, finalmente, cosa bisogna fare in questo benedetto paese per allinearlo, se non altro, alla soglia dei paesi civili europei, il cui intervento sull’AIDS è efficace. Penso che la legge n. 135 debba essere radicalmente rivista o che debba essere riscritta una nuova legge in materia. Altra questione: i 25 miliardi devono essere utilizzati subito. Chiedo ai parlamentari della Commissione di presentare Atti Parlamentari — 34 — Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — DOCUMENTI — DIBATTITI — XII COMMISSIONE AFFARI SOCIALI un ordine del giorno che impegni il Governo a destinare queste somme entro due mesi. Questi soldi sono pochissimi, sono scandalosamente pochi rispetto alle necessità; ma almeno che siano spesi. Per quale motivo non vengono spesi ? Anche in questo caso, la ragione per cui non si delinea un piano per spendere queste somme, se non è politica è forse di carattere psichico ! La mia proposta è che metà dei 25 miliardi venga spesa per l’assistenza domiciliare e metà per campagne mirate affidate finalmente alle associazioni del volontariato e con progetti efficaci. Infatti, dare 100 milioni ad un’organizzazione nazionale, onestamente significa buttarli via perché servirebbero unicamente per pagare il telefono. Queste somme devono essere spese immediatamente per il bene e nell’interesse della collettività. Vi chiediamo di intervenire su queste questioni concrete, in modo tale che almeno si rompa la cappa di nullità che blocca tutte le iniziative concernenti il problema dell’AIDS in Italia. d’inchiesta, ma ovviamente è necessario presentare un progetto di legge, discuterlo ed approvarlo. Invece, per tutto il resto, a partire da questa indagine conoscitiva per arrivare a risoluzioni, ordini del giorno, modifiche legislative, sarà la Commissione che potrà incaricarsene. Le domande ed i problemi posti nell’odierno incontro saranno utilissimi per il prosieguo dell’indagine conoscitiva, che presumibilmente si concluderà con l’audizione dei ministri competenti. Voi potrete leggere il resoconto stenografico dell’audizione del dottor Falcitelli, anche se non si è ancora conclusa, al quale sia i deputati presenti oggi sia quelli che leggeranno il resoconto dell’audizione odierna potranno porre quesiti, stimolati dalle questioni che voi oggi avete posto. Ringrazio i nostri ospiti per la loro disponibilità. PRESIDENTE. A conclusione dell’audizione odierna, vorrei fornire alcune risposte alle sollecitazioni emerse. Innanzitutto, al di là dell’inchiesta ministeriale, è sempre possibile istituire una commissione DOTT. VINCENZO ARISTA La seduta termina alle 14.15. IL CONSIGLIERE CAPO DEL SERVIZIO STENOGRAFIA Licenziato per la stampa dal Servizio Stenografia il 30 gennaio 1997. STABILIMENTI TIPOGRAFICI CARLO COLOMBO