Il testo, il supporto e la funzione.
Alcune osservazioni sul caso dell’Etiopia*
ALESSANDRO BAUSI
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These few observations, presented at the conference «Il testo, il supporto e la funzione. Le metodologie orientalistiche e
quelle tradizionali d’Occidente» (Cortona - Viterbo, 13-15 November, 2003), propose some very general reflections on palaeography in Ethiopian studies extensively meant, as an example of the dialogue between the methods of the Occidental and Oriental disciplines. The remarks intend to highlight the problematic relationship which Ethiopian studies – an empty frame, if
not specified in their methods and aims – maintain with other disciplines, which on the contrary are essentially methodologybased.
Catalogazione e codicologia
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Lo studio dei mss. generalmente inteso e la loro catalogazione in particolare sono stati parte essenziale degli
studi etiopici moderni1. Vi hanno contribuito personalità la cui importanza eccede l’ambito dell’etiopistica e sconfina in quello degli studi cristiano-orientali o orientalistici senz’altro: basti citare William Wright, autore del catalogo, pubblicato nel 1877, dei mss. etiopici acquisiti dall’allora British Museum dal 1847, come anche Hermann Zotenberg, cui si deve il catalogo, anch’esso pubblicato nel 1877, dei mss. etiopici conservati nel fondo Éthiopien della
Bibliothèque Nationale di Parigi. Anche tutti i maggiori etiopisti “filologi” in senso proprio2 hanno redatto cataloghi
di mss.: dal rifondatore degli studi etiopici nell’’800, August Dillmann, cui si deve nel 1847 il primo catalogo moderno di mss. etiopici, dedicato al British Museum, a Carlo Conti Rossini ed anche Enrico Cerulli, per finire con altri, come Stefan Strelcyn ed Ernst Hammerschmidt, che hanno sentito l’esigenza, almeno da un certo punto in poi, di
fare della catalogazione la loro attività prevalente. Va da sé – non è una precisazione superflua, e cercherò di approfondirla – che in genere si è trattato di una pratica esercitata a lato di altre (secondo i casi: la letteratura, intesa soprattutto come storia culturale e religiosa dell’Oriente cristiano, la storia, più raramente la linguistica), cui era necessario fornire i materiali su cui operare3.
Dei cataloghi come dei fondi di mss. etiopici nel mondo si possiede ad oggi un repertorio tendenzialmente
completo, aggiornato al 1995 ad opera di Robert Beylot e Maxime Rodinson4. Della stragrande maggioranza di
mss. etiopici, tuttora conservata in Etiopia ed in Eritrea5, non esiste un catalogo che possa dirsi tale comunque inteso, inventario od anche notizia, se si fa eccezione per relazioni occasionali6. Poche le imprese sistematiche di microfilmatura, ma alcune notevoli: 1) da ricordare, nonostante il numero limitato di pezzi raccolti (182 mss.), quella guidata da Ernst Hammerschmidt in alcuni monasteri del lago Tñan¯ a¯, importante sia per la qualità dei singoli reperti che
per la fondazione di un nuovo tipo di catalogo, che ha stabilito lo standard per i mss. etiopici nella serie VOHD;
2) la grande impresa condotta dalla Hill Monastic Manuscript Library, Collegeville, Minnesota, in collaborazione
con la EMML, Addis Ababa, cui si deve la microfilmatura di oltre 9.000 mss., di cui 5.000 ormai catalogati a stampa, principalmente a cura di Getatchew Haile; 3) la recente impresa «Safeguarding Religious Treasures of the Ethiopian Orthodox Church», finanziata dalla Unione Europea sotto la direzione scientifica di Jacques Mercier, e di
cui obiettivo è la conservazione del patrimonio culturale religioso della Chiesa Etiopica, e merito scientifico principale quello di aver condotto per la prima volta un’indagine estesa, benché non sempre conclusa con la completa mi-
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Dedico a Siegbert Uhlig queste poche e modeste riflessioni, preparate nell’occasione del convegno «Il testo, il supporto e la funzione. Le metodologie orientalistiche e quelle tradizionali d’Occidente» (Cortona - Viterbo, 13-15 novembre 2003),
come segno della mia riconoscenza per la grande disponibilità umana, e di ammirazione per la straordinaria capacità di realizzazione scientifica.
1
I riferimenti bibliografici forniti nel contributo sono intenzionalmente limitati al minimo; indicazioni esaurienti si troveranno nei lavori di volta in volta citati, eventualmente integrati; il rinvio frequente ad alcuni miei lavori è unicamente strumentale e non deriva in nessun modo da una considerazione della loro importanza; risparmio i riferimenti bibliografici ad alcuni dei cataloghi più comuni: tutti quelli non citati per esteso si reperiranno facilmente attraverso l’Index nominum dei curatori in BEYLOT e RODINSON (1995, pp. 111-18).
2
Si tratta di una definizione problematica; per alcune riflessioni cfr. BAUSI (c. st. a).
3
Per personalità quali Cerulli o Conti Rossini, pur nella loro grande diversità, si è trattato di uno dei diversi modi, mai
secondario, con cui hanno proceduto ad uno studio integrale della civiltà etiopica.
4
BEYLOT e RODINSON (1995), con omissioni curiose, tra cui le recensioni, spesso importanti.
5
Cui una stima realistica attribuiva ca. 200.000 pezzi nel 1981, cfr. SERGEW (1981, p. 35).
6
Cfr. qualche indicazione in BAUSI (1996-98, I parte, pp. 15 sg.).
VERENA BÖLL - DENIS NOSNITSIN - T HOMAS RAVE - WOLBERT SMIDT - EVGENIA SOKOLINSKAIA (eds.),
Studia Aethiopica In Honour of Siegbert Uhlig on the Occasion of his 65th Birthday (Wiesbaden: Harrassowitz Verlag, 2004), pp. 7-22.
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crofilmatura dei mss., su chiese e monasteri dell’Etiopia del Nord, regione finora solo imprecisamente nota sotto il
profilo della consistenza del patrimonio librario, e che già ai primi assaggi ha rivelato novità di eccezionale interesse, sia per l’aspetto schiettamente artistico – cui più è incline la sensibilità del responsabile scientifico – che per
quello filologico (cfr. MERCIER 2000); 4) della particolare impresa di raccolta di documenti condotta da Donald
Crummey, con finalità sue particolari, si dirà poi7.
Nati, i primi (di Londra, Oxford, Berlino curati da Dillmann), nel quadro di grandi e già avviate imprese ottocentesche, i cataloghi di mss. etiopici prodotti anche in seguito hanno mantenuto l’impronta iniziale, venendo così
di fatto, secondo i casi, a corrispondere ai modelli dell’inventario, talvolta analitico, o tutt’al più del catalogo sommario, negli esempi migliori con un’attenzione sufficiente al testo (per es. riportando sistematicamente l’incipit), in
genere superiore a quella riscontrabile negli analoghi cataloghi di mss. arabo-cristiani (cfr. BAUSI 1993), comparabili per contenuto generale e per finalità, anche se con problemi oggettivi di identificazione dei testi assai maggiori,
soprattutto per la pluralità di recensioni (fenomeno che del resto non è affatto estraneo all’Etiopia).
Tra le maggiori imprese di catalogazione degli ultimi trent’anni si riscontrano tendenze significativamente
diverse: presentazione schematica, ampio ricorso ad abbreviazioni e rigoroso ordine delle sezioni descrittive, con
l’ambizione di fare del catalogo un repertorio di testi e bibliografico, nei sei cataloghi della serie del VOHD8; ed
una presentazione tendenzialmente più discorsiva, con attenzione prevalente ai problemi filologico-letterari posti dai
testi in esame, per es. nel catalogo di Uppsala di Oscar Löfgren, o nei numerosi cataloghi di Stefan Strelcyn. Comune agli esempi anche migliori la mancata attenzione alla struttura del codice; il materiale (quasi sempre, pergamena9), e, meno frequentemente, la legatura (sempre in legno, per lo più rivestito di pelle) hanno di norma un loro breve spazio nella descrizione. La struttura viene descritta per la prima volta, se non erro, nel catalogo redatto per la
serie dei cataloghi mss. della Biblioteca Vaticana da Sylvain Grébaut ed Eugène Tisserant nel 1935, e tale precedente non ha esercitato una funzione vincolante nemmeno sul recente catalogo del fondo Comboni nella stessa serie10.
La descrizione della fascicolazione è stata ripresa nel catalogo dei mss. etiopici della Biblioteca Medicea Laurenziana di Paolo MARRASSINI (1987-88), ed in quelli di etiopisti italiani della sua scuola: io stesso, nel brevissimo catalogo di mss. della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, pur adottando un modello discorsivo (cfr. BAUSI
1991); Gianfrancesco Lusini, nel catalogo del fondo Martini della Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, seguendo un
modello più formalizzato (cfr. LUSINI 200211); e con una formalizzazione ulteriore, a mio parere eccessiva, sebbene
certamente rigorosa nell’impianto, Delio Vania Proverbio, nell’inventario sommario di alcuni manoscritti orientali –
arabi, ebraici, etiopici, con notizia dei turchi – della Badia di Grottaferrata (cfr. PROVERBIO 200012).
La collezione VOHD risulta oggi la serie più prestigiosa per rigore e coerenza della descrizione, ma anche
per la tenace costanza con cui è stata condotta a conclusione e viene periodicamente aggiornata sulle riviste specia7
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Tra le diverse e varie altre relazioni cursorie od occasionali, mi sia consentito di citare anche quella, minima ma in
fondo coerente nei suoi obiettivi, cui io stesso con altri ho partecipato dal 1992 al 1997, raccogliendo notizie su un patrimonio
di oltre 1.350 mss., di cui non pochi di antichità rilevante (a partire almeno dalla seconda metà del XIV sec.), conservati presso comunità monastiche dell’Eritrea; di questi, solo per una estrema minoranza è stato possibile fornire una descrizione, del
resto assai parziale, sulla base di appunti manoscritti presi sul momento, o di una scarna documentazione fotografica, la cui
registrazione è stata autorizzata, pur con qualche difficoltà, solo a partire dal 1993.
8
Cfr. HAMMERSCHMIDT (1973; 1977); ID. e SIX (1983); SIX (1989; 1994; 1999), cui si aggiungono due volumi di complemento: un catalogo speciale dedicato esclusivamente alle pitture, e la pubblicazione di un testo agiografico, cfr.
HAMMERSCHMIDT e JÄGER (1968); SIX (1975).
9
La carta viene probabilmente introdotta solo alla fine del XVIII sec.; un caso si data al 1794/95, cfr. MERCIER (1983,
p. 222).
10
Cfr. RAINERI (2000), che non rappresenta quindi un progresso, non solo per la descrizione codicologica, ma anche
per quella bibliografica, spesso sommaria (critiche che possono estendersi alla pur imponente opera di descrizione e segnalazione di Raineri, per la quale cfr. ibid., pp. xvi sg.); restano apprezzabili gli indici e la descrizione puramente testuale, ampia e
minuziosa.
11
Noto la discordanza tra la segnatura del celebre Ottateuco, indicata come «Martini etiop. 5» da FIACCADORI (1993, p.
161): «l’attuale nr. 5 già “etiop. 2”)», e quanto risulta da LUSINI (2002, p. 161): «Ms. Martini etiop. n. 2 (= Zanutto n. 5)».
12
Proverbio mi ha chiamato direttamente in causa (cfr. ibid., p. 471, n. *, e p. 553) ed ha attribuito il mio atteggiamento critico sul suo metodo a «scarsa familiarità» (in verità ammissibile da parte mia) con il codice descrittivo da lui elaborato ed
applicato; quanto al merito del nostro dialogo, nato come franco scambio di idee, Proverbio non ha rivelato altro se non la mia
«severa critica» (ibid., p. 553), ed è una scelta che non intendo discutere; mi limito, anche in questa sede, a ribadire la mia opinione, coincidente con quella di PETRUCCI (2001, p. 84), che «il tipo di descrizione verbale, sia pure reso più snello dalle abbreviazioni, è, rispetto all’altro» (cfr. oltre) «assai più immediatamente chiaro, molto meno costoso tipograficamente e meno
soggetto ad errori; perciò consigliabile»; il sistema elaborato da Proverbio rappresenta una versione estremamente formalizzata
di quello consistente «nell’indicare ciascun fascicolo con un numero arabico progressivo e con un’altra cifra arabica in esponente il numero delle carte che lo formano», cfr. (ibid., p. 83).
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Produzione dei manoscritti
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lizzate13. Si osservi in ogni caso che la natura della documentazione dei primi volumi (i microfilm del Lago Tñan¯ a¯)
ha condizionato l’impianto generale dell’impresa14: il modello iniziale non poteva dare spazio ad alcuni dati codicologici elementari (come la struttura, non ricavabile dai microfilm15), ma è divenuto poi lo standard applicato anche
alle collezioni direttamente esaminate.
Stesso condizionamento si rileva ovviamente nei cataloghi della collezione EMML. La qualità descrittiva di
ogni aspetto testuale è andata via via crescendo con il procedere del lavoro; assai inferiore al livello della collezione
VOHD è rimasta l’informazione bibliografica e filologica, specialmente per coerenza e completezza di riferimenti;
sommaria risulta anche la descrizione delle miniature, di cui generalmente è indicato solamente il soggetto principale, specie se confrontata con le dettagliate descrizioni dei cataloghi del VOHD; si deve però essere sinceramente
grati all’infaticabile Getatchew Haile per il servizio prezioso che ha svolto e svolge mettendo a disposizione di tutti
una documentazione enorme ed ormai indispensabile ad ogni ricerca di etiopistica.
Da queste brevi premesse sarà chiaro che non esiste ancora, non si dice una raffinata codicologia etiopica,
una «kodikologische Stemmatik» o una «filologia materiale» (cfr. CAVALLO 1998; PECERE 1998), ma una codicologia materiale autonoma pur che sia. I pochi contributi dedicati agli aspetti materiale del codice sono per lo più opera
di studiosi “generalisti”, “non specialisti”, e si soffermano su aspetti di interesse storico-artistico, se non antiquario16, prescindendo da qualsiasi competenza non solo filologica, ma anche linguistica. Non si tratta quindi tanto del
fatto che «l’ultima cosa che molti storici e codicologi studiano di un ms. è il suo testo», come stigmatizza un insigne
latinista (cfr. REEVE 2000, p. 197), quanto piuttosto dell’attardamento in una fase pre-codicologica, analogamente a
quanto avviene del resto per la critica del testo.
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Nel 1981 un prezioso libretto di SERGEW Hable Selassie (1981) ha riscosso generale favore17, perché nel
contesto dell’Oriente cristiano, largamente privo (almeno allora) di studi sulla preparazione dei materiali scrittori,
faceva dettagliatamente il punto sull’Etiopia, dove la produzione di mss. pergamenacei era, ed almeno in parte ancora è, attivamente praticata, e quindi direttamente osservabile. Ovviamente non si può dare per scontata la proiezione
all’indietro nel tempo della situazione odierna. Nel caso dell’Etiopia tale schiacciamento temporale è frequente, e si
tende spesso ad ignorare l’esistenza di cesure storico-culturali decisive, prima fra tutte quella tra età aksumita (IVVII sec. d.C.) e post-aksumita (dal XII sec.). È infatti esistita sin almeno dall’età aksumita un’attività scrittoria su
supporto morbido (le iscrizioni ci attestano un’attività scrittoria su supporto duro da età ben più antica), presumibilmente pergamenaceo, ed una letteratura giunta fino a noi solo per tradizione manoscritta ed in parte (forse più
considerevole di quanto si era finora disposti a ritenere) del tutto perduta o riadattata in forme non semplici da sceverare (cfr. BAUSI c. st. b), ma di fatto non si hanno mss. anteriori al XIII sec. Fanno forse eccezione tre Evangeliari del monastero di Abba¯ Garima¯, variamente datati addirittura dal VI/VII sec. al XIV sec.; e per i quali è probabilmente da distinguere la parte iconografica comprendente anche i Canoni di Eusebio, di probabile origine straniera
ed un cui frammento è stato recentemente datato con la tecnica del radiocarbonio appunto al VI/VII sec.18; e la parte
testuale, vergata in Etiopia. A questi si aggiunge l’Evangeliario di La¯libala¯, MadhŠane¯ ‘A«lam, del XII/XIII sec.19.
Per la paleografia etiopica20 nella sua accezione più ristretta, come storia della evoluzione delle forme dei segni sillabici finalizzata alla corretta datazione dei mss., si dispone dell’opera fondamentale di Siegbert UHLIG
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La Germania è oggi il primo paese ad avere completato il catalogo delle collezioni pubbliche (ed anche di alcune delle private) di mss. etiopici, per un totale di ca. 862 pezzi mss. descritti nella serie VOHD tra codici, rotoli e microfilm. Non si
può fare a meno di notare che ciò è stato reso possibile certo dalla competenza e costanza di una valente studiosa quale Veronika Six, ma anche dalla scelta, culturale e non solo, d’impiegare risorse umane appositamente destinate alla catalogazione di
un patrimonio evidentemente ritenuto di interesse pubblico.
14
Cfr. HAMMERSCHMIDT (1973, p. 83); ID. e SIX (1983, p. 47); SIX (1989, p. 19) ecc.
15
Cfr. comunque le dettagliate descrizioni, con l’ausilio di schemi e disegni, per es. in HAMMERSCHMIDT (1973, p. 181;
1977, pp. 106, 122, 136 sg., 151 sg., 162).
16
Cfr. alcuni titoli in BAUSI (1996-98, III parte, p. 14, n. 2); LUSINI (1999a, p. 413, n. 31); vi si aggiungano
PANKHURST (1980-81); TAYE (1982).
17
Cfr. VAN ROMPAY (1982); MERCIER (1983); KAUFHOLD (1986); l’articolo di ASSEFA (1958), già noto a SERGEW
(1981), è stato recentemente ristampato; cfr. anche HAILE GABRIEL (1989).
18
Cfr. MERCIER (2000); ulteriori riferimenti ai mss. in BAUSI (2004).
19
Cfr. MACOMBER (1979, pp. 53-55); ZUURMOND (1989, II parte, pp. 53 sg.). Assai antichi potrebbero essere i mss. etiopici segnalati nel monastero di Santa Caterina del Sinai, per i quali ad oggi si dispone solo della notizia dell’esistenza, cfr.
ALEKSIDZÉ e MAHÉ (1995, p. 487, e p. 488, n. 6, per palinsesti georgiani con testo inferiore in etiopico).
20
Per una presentazione sintetica aggiornata, cfr. LUSINI (1999a); noto che quanto al lungo periodo intermedio (ibid., p.
411) di cui ANFRAY (1996), durante il quale «non sappiamo come si sia tramandata la civiltà, esercitata la scrittura» ecc., lo
continua a pag. sg.
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(1988; cfr. anche 1990), che ha inaugurato una nuova era e costituisce lo strumento insostituibile per qualsiasi
studio paleografico dei mss. etiopici21.
D’altra parte il tema della scrittura in Etiopia non può essere dovutamente affrontato senza tener conto di alcune premesse culturali. Studiosi diversi, accomumati da una profonda familiarità con la società etiopica, hanno osservato che l’abilità scrittoria non svolge un ruolo decisivo nella formazione del dotto, e che non sono infrequenti i
casi di eruditi di cultura tradizionale, perfettamente in grado di leggere e nel pieno possesso del sapere, che non
hanno una particolare abilità grafica, o che in qualche caso quasi non sono in grado di scrivere; il che può spiegare
anche l’assoluta rarità di mss. autografi22. La produzione del ms., anche a cura di uno stesso soggetto in tutte le fasi
(dalla preparazione del calamo, del supporto pergamenaceo e dell’inchiostro, alla rigatura e scrittura, fino alla legatura), può costituire in realtà un’attività parallela a quella dello studio dei testi, ma ne è ben distinta, e ad essa compresente o meno. E poi l’abilità grafica non gode di per sé di incondizionata approvazione23, specie quando è eserci-
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stesso Anfray (ibid., p. 12, n. 12) pare indicare una possibile via d’uscita, rinviando a RICCI (1995, pp. 192 sg.) ed alla ipotesi
che in effetti «non vi sia stata alcuna soluzione di continuità con vuoti storici»; riguardo allo sviluppo delle forme grafiche dell’etiopico dal sudarabico, da segnalare anche COHEN (1958, Texte, p. 131), che attribuisce un ruolo importante proprio all’uso
di scrivere su ms. («La langue de la capitale abyssine Aksoum a été écrite sur pierre au IVe siècle, d’abord en caractères sudarabiques, puis en caractères éthiopiens qui en représentent souvent des formes arrondies, reposant sans doute sur l’emploi manuscrit à l’encre»); nella storia degli studi di paleografia dei mss. (cfr. LUSINI 1999a, p. 415), una parte deve darsi anche agli
specimina datati di TISSERANT (1914, pp. xlii-xliv, tavv. nrr. 62-66); per completezza, cfr. anche DAMMAQA (1990).
21
Lo scopo essenziale dell’opera è quello di fornire un sicuro strumento per la datazione dei mss. (cfr. UHLIG 1988, pp.
39 sg.) e l’autore non ignora le questioni essenziali ancora aperte: compresenza di tradizioni scrittorie progressive o conservative, tradizioni locali (cfr. SCHNEIDER 1990; già WRIGHT 1964, p. 18), ed altre particolarità che rendono difficile la datazione
(cfr. UHLIG 1988, pp. 52-54); in ogni caso la ricerca si limita a ciò che rientra nell’«arte del vedere», mentre è chiaro che una
codicologia matura (ormai anch’essa superata per i “paleografi integrali”) implica un’«arte del misurare» (cfr. ibid., pp. 5572); ma per il contributo dell’autore anche in questo settore cfr. ID. (1989). La recensione di ULLENDORFF (1991) lascia perplessi in più punti: d’accordo sull’importanza dei dati materiali (sui quali Uhlig chiarisce i limiti della propria trattazione), ma
richiamare come essenziali gli aspetti linguistici (cfr. ibid., p. 129: «spelling patterns, linguistic criteria such as phonetics,
morphology, style, grammatical oddities, contamination of GÖ‘Öz with a substratum of Amharic or Tigrinya»; ed ancora: «Everyone who has worked on Ethiopic MSS. is aware that there are occasions when the strictly palaeographic indications appear to run counter to the linguistic recognitions gleaned from the text. In such instances it is usually wise to allow the generally
more reliable evidence of language to prevail over the lesser precision of the essentially impressionistic graphic elements»)
significa confondere proprio il “testo” con il “supporto” (anche se è chiaro che queste considerazioni adombrano il processo
dell’adeguamento linguistico, e connesso a questo c’è un vero problema filologico); lo scetticismo sull’esistenza di criteri oggettivi di datazione (cfr. ibid., p. 132: «Uhlig’s specifications of form, style, and ductus are very well done, but even so I doubt
that even the best descriptions permit us to gain a realistic impression that would lead to recognition of those graphic shapes
any more than identikits of human faces manage to produce a truly convincing likeness») induce Ullendorff a prestare maggior
fede all’«occhio dell’esperto etiopista» (cfr. ibid., p. 130: «yet, even with all of Uhlig’s painstaking work and hundreds of telltale indications, in themeselves important - indeed essential, the trained eye of the experienced éthiopisant conversant with
large number of Ethiopian MSS, remains even now an indispensable controlling element»), almeno in ciò d’accordo con Montague Rhodes James (cfr. PETRUCCI 2001, p. 60 [= 19841, pp. 50 sg.]). LUSINI (1999a, p. 415; ovviamente ibid., pp. 416 sg., le
nn. 47 e 49 sono invertite) loda UHLIG (1988) per aver condotto il suo studio su «un repertorio sufficientemente ampio di esemplari, quasi un centinaio», quando in realtà l’opera enumera 376 mss. e 13 iscrizioni nell’indice (cfr. ibid., pp. 831-38), ed
i mss. esaminati sono ca. 1.000 (cfr. ibid., p. 49, paragrafo «Verwendetes Handschriftenmaterial»); ugualmente, non si trova
traccia in UHLIG (1988) di una classificazione in «cinque periodi, caratterizzati da altrettante variazioni significative, che coprono un arco di tempo compreso fra il XII-XIII e il XIX-XX secolo»: i periodi individuati sono otto (cfr. ibid. la tavola tra le
pp. 834 sg.; ugualmente ID. 1989, p. 35); quattro periodi più due periodi finali non numerati si trovano distinti solo nell’opus
minus, e 115 sono i mss. ivi ricordati nell’indice (cfr. UHLIG 1990, pp. 117 sg.); a parte questo, la sintesi proposta in LUSINI
(1999a) contiene degli spunti interessanti, ma non è aliena da forzature (per es. come è possibile stabilire una continuità tra «la
fase “arcaica” della paleografia dei codici etiopici, caratterizzata da una scrittura “monumentale” in uso fino alla seconda metà
del XIV sec.» e «le forme impiegate nei secoli altomedievali», di cui praticamente non abbiamo esempi? e quanto ad Abba¯
Garima¯, si dovrebbe tener conto di tutti e tre i mss., assai vicini cronologicamente; cosa si intende poi con il «moltiplicarsi delle forme grafiche» per il periodo successivo? e cosa c’entra con ciò, cfr. ibid., p. 417, n. 48 il rinvio ad UHLIG 1989, che si occupa dell’evoluzione esclusivamente diacronica delle caratteristiche codicologiche materiali?).
22
Cfr. SERGEW (1981, pp. 27 sg.); SCHNEIDER (1990, p. 151); KROPP (1992, pp. 260 sg., n. 4): «[…] sind (bezeugte)
Verfasser- oder Gelehrtenautographe äusserst selten; zu erwähnen wäre der interessante Fall der Hs. BL 820 (datiertes Autograph des Abägaz, des Sekretärs von H‰aylu und Redaktors der Chronikenkompilation […])».
23
Pur non essendo le attività pratiche della preparazione del ms., nemmeno la conciatura della pelle, soggette alla limitazione di casta come avviene per molte altre attività materiali, cfr. MERCIER (1983, p. 222).
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tata dai däbtära, figure di letterati non regolarmente inseriti nella struttura ecclesiastica, ricercati ma anche temuti
per il possesso di conoscenze magico-religiose ammirate, ma fortemente ambivalenti24.
«Scriptoria»
Manoscritto ed edizione
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La subscriptio ad un ms. datato al 1492 degli 81 libri canonici25, di eccezionale formato (cm 48 x 39; 3
coll.; 45 ll.), conservato nel monastero di Dabra Bizan, in Eritrea, che ho avuto modo di esaminare direttamente durante una missione di ricerca nel 1993 e certamente uno tra i più monumentali mai osservati (576 ff.), lo presenta
come dono dell’abate Tawalda MadhŠen alla comunità, destinato ad esserne vanto speciale, perché è qualcosa di cui
non si trova niente di simile altrove; ed al pari delle invocazioni iniziali, dei nomi divini e mariani e della prima, terza e quinta linea, solo le parole «Questo libro», a metà della colonna (f. 574vb), risultano rubricate (cfr. BAUSI 199698: II, 34-39).
Un caso simile, cui se ne potrebbero affiancare altri significativi26, conferma la necessità di evitare, come si è
già detto, la proiezione all’indietro di situazioni odierne o recenti. L’attività della produzione di mss. probabilmente
non si svolse mai in locali appositamente apprestati; essa fu sempre opera del singolo, che nello spazio della propria
dimora scriveva tenendo la pergamena sulle ginocchia (cfr. SCHNEIDER 1990, p. 151), come si ricava da pitture su
mss. e come si constata ancora oggi27, ma deve comunque essersi caratterizzata da luogo a luogo per elementi materiali, relativi alla preparazione ed utilizzazione del supporto (preparazione della pergamena e dell’inchiostro, tecniche di rigatura ecc.), e probabilmente per peculiarità anche strettamente paleografiche. Eppure aldilà di quanto comincia ad emergere sul ruolo svolto da alcune comunità monastiche nell’elaborazione dei testi28, o di differenze istituzionali notevoli con riflessi importanti anche sulla datazione dei mss. e le loro subscriptiones29, solo l’ornamentazione e la pittura hanno finora fornito elementi incoraggianti, valorizzati da alcuni storici dell’arte, precisamente attribuibili a particolari scriptoria, come per es. quello tipico delle comunità eustaziane nel XV sec., o della comunità
stefanita di Gunda Gunde¯30.
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Come si è visto, lo studio scientifico del ms. etiopico si esplica essenzialmente in una catalogazione ancilla
philologiae, almeno in votis, giacché quell’accettabile interesse testuale dei migliori cataloghi può risultare ridotto
se misurato sul metro strettamente filologico (eccezion fatta per gli ottimi). Del resto, solo in una disciplina ove esista un coerente e consapevole metodo critico-testuale si avranno cataloghi che, oltre eventualmente a perseguire la
valorizzazione globale di ciascun ms. come unicum sotto l’aspetto materiale, storico, artistico ecc., svolgeranno anche la funzione di fondare lo studio di testi filologicamente ricostruiti: in caso contrario, non è scontata la presenza
di una sezione dedicata alla valutazione del particolare testimone descritto nella tradizione del testo (ovviamente per
ciò che il catalogatore può rilevare ragionevolmente in corso d’opera; e non si avranno, come non si hanno, bibliografie appositamente dedicate ai mss. di fondi antichi per valutarne l’impatto sulla storia degli studi ecc.).
Ruolo e funzione del manoscritto nell’edizione dei testi etiopici non sono definiti da una metodologia standardizzata e riconosciuta, che individui una precisa filologia quale studio dei testi allo scopo di determinarne la
forma più antica ed originale, attraverso l’esame della tradizione e la produzione di edizioni critiche, cui, oltre l’ovvia ricostruzione del testo, se ne affidi anche la rappresentazione della storia e della tradizione (tenendo ovviamente
conto dei casi). Come si è accennato per la codicologia, anche nella critica testuale si riscontrano atteggiamenti metodologici che apparentemente coincidono con recenti tendenze anti-ricostruzioniste, ma che in realtà sono il retaggio di una mai superata fase pre-lachmanniana. È questo indubbiamente il caso del criterio del ms. di base. Réné
Draguet, già direttore del CSCO (ove si pubblica una serie di Scriptores Aethiopici), ne ha teorizzato l’adozione di
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Cfr. le riflessioni di WRIGHT (1964, p. 11) sul significato della cultura scritta: temhert, «education», quale sapere recondito, che «retains its old sense, of erudition founded upon the sacred doctrines of the Christian church; it inspires awe and
respect, and is regarded as beyond the comprehension of common folk».
25
Etichetta variamente precisabile nel contenuto, ma che in particolare dall’età del re Zar’a Ya¯‘qob indica emblematicamente la totalità del sapere religioso normativo, non solo biblico, raccolto in canone; spiace segnalare che BRANDT (2000;
2003) ignora una parte importante della documentazione (cfr. per es. BAUSI 1992, pp. 46-51, e 72 sg.).
26
Per es. mss. riccamente illustrati, destinati alla celebrazione di personalità importanti cui sono attribuiti intenzionalmente i tratti del santo cavaliere, come a Dabra Ma¯rya¯m, in Eritrea, cfr. BAUSI (1996-98, I parte, pp. 59-62).
27
Accoccolati sul tappeto sono rappresentati i copisti persiani, cfr. PIEMONTESE (1995, p. 491).
28
Per es. Dabra Ma¯rya¯m o Dabra Hñayq Est‚ifa¯nos, cfr. BAUSI (1992, pp. 41-46; c. st. b); ancora su Dabra Ma¯rya¯m è in
stampa uno studio di Gianfrancesco Lusini.
29
Quali l’adozione di ere peculiari, per es. a Dabra Bizan, cfr. BAUSI (1996-98, II parte, pp. 37 sg.).
30
Cfr. alcuni riferimenti in BAUSI (1996-98, I parte, pp. 21-23). Sulla possibilità di individuare varianti stilistiche regionali cfr. UHLIG (1988, pp. 52 sg., nn. 74 e 79); SCHNEIDER (1990, pp. 150 sg.).
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una particolare variante per l’edizione dei testi siriaci in un famoso contributo (cfr. DRAGUET 1977): in considerazione delle necessità tecniche e per eliminare qualsiasi giudizio soggettivo, vi si raccomanda la semplice riproduzione del testo del ms. che sembri migliore per la presentazione del testo (“meilleur en ce sens qu’il nous paraît le
mieux adapté à la présentation de la forme”, ibid., p. 14), compresi tutti i suoi errori (si noti invece che il criterio
classico del “ms. di base” alla Joseph Bédier prevede almeno la correzione degli errori evidenti); le lezioni buone
dovrebbero essere evidenziate nell’apparato con un lege, e seguite nella traduzione. Per i testi etiopici non sono
mancate considerazioni nella linea delle proposte di Draguet, ed anzi, con poche eccezioni, sono state la regola.
Sia detto chiaramente – a vantaggio dei paleografi e codicologi forse increduli – che si sta parlando della
normale edizione di un testo, e non del caso ove un certo ms. rivesta particolare importanza per essere un autografo,
o il testimone unico, od in ogni caso un esemplare di particolare pregio o interesse testuale, paleografico, artistico
ecc. Da un rapido esame di alcune edizioni recenti nel CSCO e nella PO31, si evince che, con poche eccezioni, il criterio editoriale normale è quello del ms. di base, magari giustificato con considerazioni “formulari”, ed applicato
con una eventuale correzione ope codicum, talvolta senza alcuna preventiva analisi della tradizione. Su alcuni aspetti non c’è discussione: da una parte è chiaro che ogni edizione deve tenere distinti ed evidenti tradizione manoscritta e testo ricostruito; dall’altra, se lo scopo dell’edizione fosse la riproduzione fedele del testo di un singolo ms.,
le tecniche disponibili ne permetterebbero il raggiungimento assai meglio della composizione tipografica (computerizzata o meno). L’unico aspetto che merita un esame è se tale pratica editoriale trovi qualche giustificazione nel
particolare tipo di tradizione manoscritta, in ipotesi irriducibile al metodo ricostruttivo.
Il criterio del ms. di base, lasciando da parte la sua nota attrattiva “feticistica”32, è sostenuta dagli antiricostruzionisti adducendo varie ragioni33. La condizione media stessa delle edizioni correntemente pubblicate di testi
etiopici (salvo poche eccezioni) rende difficile farsi un’idea generale, anche approssimativa, delle caratteristiche generali della loro tradizione manoscritta (per la quale in ogni caso sono stati descritti casi di revisioni, riscritture,
censure, contaminazioni, tradizioni differenziate per diverse sezioni di un’opera ecc.). A mio parere la distinzione
già evocata, chiaramente acquisita in letteratura, tra testi aksumiti, cioè testi tradotti dal greco ca. dal IV al VII sec.
d.C. (il cui effettivo numero ci sfugge, non solo nel dettaglio, ma anche nell’ordine della quantità), e testi di età postaksumita e medievale (i testi originali o tradotti dall’arabo che costituiscono la gran massa della letteratura etiopica), non è stata ancora chiaramente proiettata sul piano della storia della tradizione. La tradizione dei testi aksumiti,
forse esauritasi al principio dell’età medievale, quando (è un’ipotesi tutta da confermare, ma sulla quale credo valga
la pena di lavorare) almeno alcune traduzioni dal greco particolarmente letterali, in un clima di decadenza della cultura scritta, ma anche del sapere in generale, divennero inutilizzabili perché ormai incomprensibili, e furono gradualmente sostituite da altre, indipendenti, dall’arabo e non più dal greco, si configura marcata da una vera frattura
di civiltà, ed in ciò assolutamente paragonabile a quella dei testi classici. Per i testi prodotti in età medievale invece,
la tradizione manoscritta si è sviluppata attraverso un più o meno omogeneo ambiente culturale fino ad oggi, per cui
le ragioni degli antiricostruzionisti potrebbero trovare qualche giustificazione in più; ma in fondo (ed in questa sede,
per semplicità) la questione può ridursi alla domanda se la tradizione dei testi etiopici possa configurarsi come
“fluida” o meno34.
31
Cfr. BAUSI (c. st. a), anche per i riferimenti esatti relativi a tutta questa sezione.
Cfr. alcuni riferimenti in BAUSI (c. st. a); per il mondo classico cfr. CANFORA (2002, p. 56): «In lui [Didimo] la pratica di non rimuovere anche ciò che inoppugnabilmente risultava falso si spinge addirittura al punto di relativizzare, e presentare
come una opinione tra le altre, quella che non poteva non apparirgli decisiva proprio per la sua dirompente forza fattuale. Nel
meccanismo della tradizione dei testi passati attraverso i lunghi secoli che intercorrono fra Alessandria e il IV secolo d.C. una
tale singolare simbiosi di acume critico e di feticismo del testo tramandato è la caratteristica dominante».
33
Come è stato ben messo in luce da REEVE (2000, p. 197): l’esistenza di un autografo; l’impossibilità di fissare uno
stadio a preferenza di altri, in un testo sottoposto dall’autore a continui interventi di revisione; o ancora l’esistenza di una copia
che ha esercitato tale influenza sulla tradizione o ha avuto tanta importanza storica, da imporsi indipendentemente da ogni
considerazione testuale ed editoriale; oppure l’attenzione si concentra sulla ricezione dell’opera; si ritiene sopravvalutata la distinzione tra autori e copisti; o infine si ritiene che la ricostruzione stemmatica di un originale sia in ogni caso impossibile vuoi
per l’eccessiva contaminazione, vuoi per sfiducia nelle capacità umane.
34
Proprio sull’esistenza di «due filologie diverse» ha insistito CANFORA (2002, p. 23), distinguendo tra tradizione classica e bizantina: «quando la distanza tra autografo e copia (o copie) superstiti è incomparabilmente più piccola che nel caso di
Catullo o addirittura di Eschilo, per non parlare di Omero, allora il tasso di deformazioni scende radicalmente a quantità incomparabilmente più piccole. I copisti bizantini che hanno copiato testi bizantini di cinquanta o anche cento anni indietro rispetto al loro tempo erano davvero “uguali” agli autori che copiavano … Di fatto sono due filologie diverse, per usare
un’espressione fin troppo sommaria: quella che tratta manoscritti che tramandano testi scritti 1500-2000 anni prima e quella
che tratta manoscritti nati nella stessa “civiltà”, ma sarebbe più esatto dire nella stessa “realtà”, dell’autore»; tale distinzione si
estende addirittura alla validità del criterio genealogico (cfr. ibid., p. 33): «Un punto che comunque resta spesso in ombra è
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La possibilità che una certa indistinzione tra la figura del copista e dell’autore35 sia all’origine di una tradizione, “fluida”, instabile o “attiva”36, va posta per l’Etiopia tenendo conto di alcuni fatti incontrovertibili: l’Etiopia
non ha conosciuto un’età umanistica anche solo paragonabile a quanto avvenuto in Europa; sono frequenti i casi di
opere che si presentano in recensioni diverse, ma queste, normalmente, sono ben distinte e non dipendono da una variazione libera da ms. a ms.; i copisti non alterano o aggiornano sistematicamente il testo, o tantomeno ne correggono regolarmente gli errori; casi di correzioni dovute a intenzione culturale o letteraria naturalmente esistono e devono essere individuate ed interpretate, ma normalmente nella tradizione etiopica configurano una vera e propria nuova recensione, e lo ripeto, il fenomeno non si verifica ad ogni passaggio tradizionale; infine, la forma linguistica è
sostanzialmente stabile: è vero che specialmente nel caso di traduzioni letterali dal greco e dall’arabo ci sono adattamenti e cambiamenti lungo la tradizione ms., ma non esiste una variabilità linguistica anche solo lontanamente
comparabile a quanto si riscontra nei testi romanzi. Si tratta evidentemente di osservazioni del tutto preliminari, ma
che inducono ad una cauta fiducia nella possibilità ed opportunità di editare i testi etiopici ricostruendone un testo
critico.
Scrittura e scritture nel codice
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Per finire, sarà qui sufficiente menzionare assai in breve uno degli aspetti più caratteristici della scrittura su
codice ms. in Etiopia, vale a dire la grande frequenza di “scritte avventizie”, gran parte delle quali di natura “documentaria”. A questa particolare pratica scrittoria si deve in Etiopia la conservazione della documentazione scritta
non letteraria, propriamente “di registrazione”: in assenza di un archivio, centrale o regionale, sono stati particolari
manoscritti, eventualmente selezionati secondo criteri che talvolta si intravedono, talaltra sono meno chiari, ad esercitare la funzione di deposito della memoria storica di comunità ed amministrazioni. L’interesse che tale documentazione presenta per lo storico è evidente: Carlo Conti Rossini37 ha studiato questa documentazione lungo il corso di
una vita. Negli ultimi decenni Donald Crummey, uno storico dell’Etiopia moderna, non da filologo, e tanto meno da
codicologo o da paleografo, ha individuato in tali scritture una fonte documentaria insostituibile, studiando oltre
2.000 testi raccolti nei mss. di biblioteche d’Europa e direttamente in Etiopia, ove ha anche proceduto ad una microfilmatura per le aree di suo maggiore interesse, e su tale base ha infine presentato una prima sintesi storica38. Il fe-
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che il procedimento ricostruttivo-genealogico non può avere validità universale. Non può funzionare allo stesso modo … quando tra autore e testimoni manoscritti superstiti c’è un millennio o addirittura due, e quando invece tra autore e testimoni
superstiti ci sono pochi decenni. Non può funzionare allo stesso modo per gli autori che operarono prima di Alessandria e per
quelli, ancorché antichi, che operarono dopo. Per i primi si riuscirà al più – ad essere molto ottimisti – a ricostruire il testo stabilito dagli alessandrini, non certo a spingersi (se non per sprazzi congetturali) al di là di quel momento decisivo per la “codificazione” delle opere in greco»; sia chiaro che tale mancanza di «validità» deriva dalla consapevolezza che in alcuni casi il
metodo ricostruttivo ha una portata limitata e risulta insufficiente; ma da questa premessa il ragionamento di Canfora muove
in direzione esattamente opposta a quella indicata dagli anti-ricostruzionisti; come indica il riferimento al valore degli «sprazzi
congetturali», la ricostruzione semplicemente non basta: non per questo è un passaggio eliminabile; naturalmente anche Canfora riconosce l’esistenza di casi di tradizione “fluida”: «E comunque il procedimento ricostruttivo-genealogico non è applicabile alle opere di tradizione “bassa”: si pensi, per il Medioevo greco, alla letteratura popolare, cavalleresca, innografica, che è
stata via via plasmata da un tipo di trasmissione in cui anche la versione orale (magari genuina!) ha avuto il suo peso. E comunque per i testi letterariamente “scadenti”, come distinguere l’“errore” dalla “lezione migliore”?».
35
Oltre ai riferimenti forniti in BAUSI (c. st. a), per l’ambito ebraico cfr. BEIT-ARIÉ (1995, p. 501); a favore di tale ipotesi cfr. UHLIG (1988, pp. 53 sg., n. 81): «Doch im Unterschied eines rein mechanischen Abschreibens muss bei den äthiopischen Kopisten damit gerechnet werden, dass sie sich mit dem Inhalt der Vorlage auseinandersetzten. Der Abschreiber nimmt
den Inhalt des Textes nicht nur zur Kenntnis, sondern interpretiert ihn nicht selten mittels gewisser “Verbesserungen”»; e la
posizione nettamente contraria di KROPP (1992, pp. 260 sg.): «Dem steht die (sprichwörtlicher) Einschätzung des Schreibers
qum sòafi in Äthiopien entgegen (vgl. unter vielen z.B. Getatchew Haile, Das Verbalsystem im Äthiopischen, Tübingen, 1961,
S. 3); die Auswertung von Varianten in äth. Hss. spricht meiner Erfahrung nach ebenfalls eine ganz andere Sprache: der mitgestaltende Schreiber ist die Ausnahme».
36
Secondo un’oramai abusata, ancorché felice, espressione di VARVARO (1970; 1998).
37
Inizialmente con grande fiducia, assai minore in seguito, cfr. BAUSI (2000b, p. 144, n. 6).
38
La bibliografia relativa la si troverà nei lavori seguenti: BAUSI (1996-98, I parte, spec. pp. 14-21; 2000a; 2000b);
LUSINI (1999b, spec. pp. 5-16; 2000); BAUSI, DORE e TADDIA (2000, pp. 155-65); CRUMMEY (2000); vi si aggiungano
FIACCADORI (2000); TRONVOLL (2000); MACCANN (2001); esiste ora una trad. inglese di CONTI ROSSINI (1916); testi storicodocumentari erano già pubblicati in una delle prime antologie di testi etiopici, cfr. BACHMANN (1893, pp. 13-19): «IV. König
Ijâsu II. und der Königin Mutter Walatta Giorgis Verdienste um die Erbauung des Maqdas s¢ellus qeddus (Nach dem Berliner
Mscr. or. fol. 595. f. 168 ff.)», e (ibid., pp. 19 sg.): «V. Die Schenkungsurkunde (Nach der Berliner Handschr.: Ms. orient.
595, f. 6)»; parti del Liber Axumae (cfr. CONTI ROSSINI 1909-10), più storiche che documentarie, sono riprese in trad. in
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nomeno, in sé noto e studiato da tempo, ha ricevuto una sistemazione terminologica più appropriata, e con ciò una
veste fenomenologica più familiare, dall’applicazione alla documentazione etiopica dei concetti e della terminologia
elaborati per le discipline occidentalistiche39, che Gianfrancesco Lusini ha avuto il merito di proporre in un recente
contributo (LUSINI 1999b), dichiarando esplicitamente il debito di metodo verso gli studiosi occidentalisti.
Si tratterà ora, muovendo da queste premesse, di mettere in evidenza anche le peculiarità delle scritture etiopiche, chiarendo in principio che si dovrà tener dovuto conto, con riferimento ai problemi strettamenti diplomatici,
della forma e del contesto proprio dei documenti etiopici40. A semplice titolo di spunto segnalo che l’arco temporale
lungo cui si distribuiscono le scritture avventizie, anche documentarie, etiopiche, è eccezionalmente lungo: un Evangeliario nella chiesa di Be¯ta Pñant‚ale¯won, presso Aksum, non posteriore al XV sec., ne contiene alcune del XX
sec.41, e non è un’eccezione. Sarebbe poi da vedere se esista una correlazione tra epoche, tipi di scrittura, testo principale del ms. e rispetto dell’equilibrio preesistente tra testo e spazio vuoto, come anche della rigatura: l’impressione è che tale correlazione sia tanto più forte quanto minore è la distanza temporale (e quindi paleografica) dal testo
principale del ms., ma che solo un esame statistico esteso potrà fornire risposte certe; fin d’ora sembra da escludere
una frequenza significativa di quelle «miscellanee “disorganiche”» rilevate occasionalmente da PETRUCCI (1999, p.
990). Quanto ai depositi di registrazioni42, per gli Evangeliari il nome di Vangelo d’oro è in effetti applicato indipendentemente da qualsiasi considerazione sulla natura materiale del codice, ed allude quindi ad altro più alto pregio; in qualche caso pare però manifestarsi una convergenza tra l’applicazione del nome e l’esistenza di una legatura in metallo (e la legatura in oro dovrebbe di norma essere applicata solo agli Evangeliari), come nel celebre Evangeliario di Dabra Liba¯nos e nei tre Evangeliari di Abba¯ Garima¯ (originariamente tre mss., ora contenuti in due
legature); non la si ritrova però nell’Evangeliario – chiamato anch’esso Vangelo d’oro dai suoi custodi odierni – or
ora citato di Be¯ta Pñant‚ale¯won43. Quanto alle prime attestazioni del fenomeno delle scritte avventizie in Etiopia, la
documentazione più precoce ci rimanda al XIII sec. (una lista di libri donati dal santo Iyasus Mo’a al monastero di
Dabra Hñayq 44), forse al suo inizio, se si accetta che le scritture dell’Evangeliario di Dabra Liba¯nos e quelle del
Vangelo di La¯libala¯, MadhŠane¯ ‘A«lam (cfr. MACOMBER 1979, pp. 53 sg.), siano davvero contemporanee del re
La¯libala¯. Anche i Vangeli di Abba¯ Garima¯, forse ben anteriori al XIII sec., non forniscono altri dati, dato che le più
antiche scritte avventizie non rimontano oltre il XIV sec.45; ed alcune scritture documentarie non sono avventizie,
ma vergate su fogli originariamente indipendenti, legati in un secondo tempo con i fascicoli del Vangelo (cfr.
MACOMBER 1979, pp. 2 sg.): il che pone anche il problema della consistenza, origine e diffusione di una prassi alternativa a quella delle scritte avventizie, e consistente nella raccolta dei documenti in fascicoli a parte, sia mano a
mano che i documenti venivano prodotti, sia in occasione di un sistematico riordino, a sua volta passibile di ospitare
scritte avventizie, sulle guardie o altrove, o carte aggiuntive (cfr. LUSINI 1999b, pp. 14-16)46. Altro punto è la distribuzione sul territorio dei centri di conservazione dei documenti: mentre in Occidente le scritture documentarie si
concentrano in «chiese cattedrali, capitoli delle chiese cattedrali, monasteri» (CAMMAROSANO 1991, p. 55), il fenomeno presenta in Etiopia diffusione e capillarità grandissima, per cui qualsiasi chiesa, per modesta che sia, può essere depositaria di documentazione antica e preziosa. Quanto al problema dell’esistenza di archivi regi, ed il fatto
che tutti i testi che abbiamo sarebbero solamente copie destinate ai beneficiati, ipotesi che è stata avanzata sulla ba-
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MONNERET DE VILLARD (1938; cfr. ibid., p. vii, n. 1), anche con varianti da un ms. «nel tesoro della chiesa di Aksum» esaminato da Enno Littmann.
39
Le «scritte avventizie», cfr. PETRUCCI (1999), e le «scritture documentarie», cfr. CAMMAROSANO (1991, pp. 49-53 per
la definizione dei documenti, 61-74 per le loro diverse forme).
40
Riferisco per curiosità del lettore, e senza alcun commento, che tale documentazione si riduce per ULLENDORFF
(1991, p. 130) a note «added much later»; esse «are written in a patently different, generally careless, hand and, above all, are
mostly penned in Amharic in contrast to the GÖ‘Öz of the MS as a whole».
41
Documentazione inedita, da me raccolta nel corso di una missione di ricerca nel 2001.
42
La non infrequente compresenza nello stesso supporto della scrittura su cui si fonda una certa prerogativa e del suo
successivo rinnovo non può spiegarsi con la casuale ricerca di uno spazio di scrittura.
43
Sui Vangeli d’oro cfr. BAUSI (1996-98, III parte, p. 14, n. 2).
44
Cfr. SERGEW (1992, pp. 246 sg.); altri riferimenti in BAUSI (1996-98, I parte, pp. 20 sg.).
45
Sul documento che riguarda la costruzione di tre chiese e la concessione di privilegi in favore del monastero da parte
del re Armähòo (f. 3r), cfr. UHLIG (1988, p. 48); SCHNEIDER (1990, p. 152); KROPP (1992, pp. 264 sg.: da correggere la grafia di
due parole, cfr. il testo in DAVIES 1987, p. 303, fig. 6).
46
Davvero notevole il caso del “ms.-archivio” nella chiesa di Mart‚ula Ma¯rya¯m, GogÍgÍa¯m, un ms. biblico contenente
Giobbe, i Profeti Minori e Salomone, segnato G1 IV 16 (inventario del Ministero della Cultura), ove si trovano scritture documentarie ai ff. 1-2 e 192-264, ma anche nel margine superiore e spesso anche inferiore di 172 pagine dei 265 ff. di cui il ms.
si compone (documentazione inedita, da me raccolta nel corso di una missione di ricerca a Mart‚ula Ma¯rya¯m nel 1999).
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ALESSANDRO BAUSI, “Il testo, il supporto e la funzione. Alcune osservazioni sul caso dell’Etiopia”
se di indizi seri, credo che si debba procedere con grande cautela, distinguendo la situazione per età diverse47. In fine, è giusto ricordare l’importanza di questi testi documentari anche sotto l’aspetto linguistico, perché vi si coglie
l’affiorare di un lessico concreto (inventari ecc.), che fa largo ricorso alle lingue vive, ben prima che l’amarico (il
tigrino occorre solo eccezionalmente; e per l’arabo si deve supporre uno statuto particolare) divenga lingua documentaria concorrente dell’etiopico.
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47
Sulle biblioteche reali, da Yohòannes I al XX sec., cfr. WRIGHT (1964, pp. 21 sg.): di Yohòannes I si ricorda a Gondar
l’esistenza di un edificio adibito a biblioteca. Il passo del Gadla Marqore¯wos addotto da LUSINI (1999b, pp. 13 sg.) indubbiamente testimonia che la concessione del beneficio avveniva sulla base di un documento scritto, ma non dice niente di certo sulle modalità della sua conservazione; sull’esistenza di amministratori egiziani alla corte reale ci informa un passo di Ibn TagÁrª°
Birdª°, ripreso anche da al-Maqrª°zª°, relativo al periodo 1422-30, sul passaggio «alle dipendenze del Negus» di «un mammalucco circasso, che aveva il grado di zardakash; gli fece un’armeria come quelle dei Mammalucchi e gli mandò uno degli scribi
copti del Cairo, detto Fakhr ad-Dawlah; questi gli organizzò l’amministrazione dello Stato, gli percepì le imposte, gli arruolò
le truppe, sicché la prosperità del Negus si accrebbe», cfr. VACCA (1937, p. 220); sul passo in Maqrª°zª° cfr. anche CONTI
ROSSINI (1914, p. 21): «Maqrª°zª° nous dit que le fils de Da¯wit, Yeshòaq (1411-1429), eut son administration réorganisée par un
Copte, et son armée instruite par deux Mamlouks, venus de l’Égypte»; il passo in RYNCK (1790, testo, pp. 6 sg., trad., p. 7).
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Alessandro Bausi
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Associate Professor of Ge‘ez Language and Literature
University of Naples “L’Orientale” - Faculty of Arts
Department of Studies on African and Arab Countries
p.za S. Domenico Maggiore 12, Pal.zo Corigliano, 80134 Napoli - Italy
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