DIEGO PASCALE
Dispensa allegata al testo non in vendita separatamente
Cittadinanza & Costituzione
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INTRODUZIONE ALLA LETTURA
E GUIDA ALL’USO DIDATTICO
A cura di
Diego Pascale
Silvio Gambino
Isabella Petrella
Guido De Simone
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Edizioni Diego Pascale - Copyright © 2010
“LA POLITICA...per Tutti!”
Corso di Cittadinanza & Costituzione - I Volume
di DIEGO PASCALE
ISBN: 9788890449697 - Copyright © 2010 Diego Pascale
INTRODUZIONE ALLA LETTURA
E GUIDA ALL’USO DIDATTICO
A cura di
Diego Pascale
Silvio Gambino
Isabella Petrella
Guido De Simone
Edizioni Diego Pascale - Copyright © 2010
Partita IVA: 03883340238
e-mail: [email protected]
sito web: www.publice.it
Stampato da:
POLIGRAFICA TERENZI - S.S. 85 Venafrana, km. 19 - 86079 VENAFRO (IS)
Il presente manuale, come il libro a cui è allegato, è disponibile anche in formato PDF
Per prenotazioni, acquisto, informazioni e suggerimenti:
E-mail: [email protected] - [email protected]
Tel. 328.5550645
NOTA PER I LETTORI: Nel realizzare questo testo abbiamo sfruttato il meglio delle nostre
possibilità e il massimo della nostra passione. Ma sappiamo, per esperienza, che nessun libro
è perfetto. Per questo, ci scusiamo per eventuali errori che vi preghiamo di segnalarci.
Vi ringraziamo fin d’ora.
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INDICE
Indice
Prefazione
IL PRIMO TASSELLO DEL PROGETTO
Chi è Diego Pascale
CITTADINANZA, COSTITUZIONE, REPUBBLICA
Chi è Silvio Gambino
PERCHÉ IMPARARE A CAPIRE LA COSTITUZIONE FIN DA PICCOLI
Chi è Guido De Simone
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PREFAZIONE
Questa INTRODUZIONE E GUIDA ALL’USO del testo LA POLITICA PER TUTTI è stata pensata per facilitare il lavoro di chi lo userà come strumento per aiutare altri nel comprendere la
Costituzione Italiana ed il funzionamento della Repubblica d’Italia.
Si tratti di un docente della scuola elementare o media che istruisce i propri alunni, o di un
genitore che educa i propri figli a vivere nella società, o di chi si occupa della preparazione delle persone immigrate che aspirano a divenire cittadini italiani, chiunque abbia il ruolo di educatore dei nuovi membri di una comunità sa che si assume una grande responsabilità.
Perciò, mi è sembrato importante preparare per tali educatori questo piccolo manuale introduttivo, scritto con la collaborazione di chi, grazie alla propria specializzazione, ha contribuito
alla verifica del testo, offrendo a tutti alcuni suggerimenti e degli spunti (storici, giuridici, sociali
e didattici) che ci auguriamo saranno utili a chi dovrà fare uso del testo LA POLITICA PER
TUTTI.
Ritengo utile lanciare fin d’ora a tutti voi educatori un invito a comunicarci ogni annotazione,
suggerimento, critica e miglioria che riteniate utile per una successiva edizione.
Nessuno meglio di chi è sul campo può fornire indicazioni concrete su pregi e specialmente
sui difetti degli strumenti a sua disposizione.
Buon lavoro a tutti.
L’autore
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IL PRIMO TASSELLO DEL PROGETTO
«Auspico che la nuova Carta Costituzionale trovi, senza indugio, adeguato posto nel quadro didattico della scuola di
ogni ordine e grado, al fine di rendere consapevole la giovane generazione delle conquiste morali e sociali che costituiscono ormai sicuro retaggio del popolo italiano.»
(On. Aldo Moro, Assemblea Costituente, 11.12.1947)
Offrire ai giovani, nell’ambito delle conoscenze e delle competenze necessarie per lo sviluppo dei singoli e della
collettività, le fonti civiche e sociali loro necessarie affinché possano vivere attivamente la propria cittadinanza, è un
dovere ed un obbligo di tutta la società.
Sapere cos’è e come funziona la complessa macchina dello Stato, le sue radici e la sua organizzazione politica ed
amministrativa, a partire dalla conoscenza della Costituzione Italiana che ne determina l’esistenza ed è la base di
tutte le leggi che ne regolano il funzionamento in ogni momento, non serve a creare avvocati o politici di professione,
bensì a preparare dei veri CITTADINI, competenti e coscienti del proprio ruolo.
LA POLITICA PER TUTTI, Volume I (ed il progetto didattico di cui è il primo tassello, essendo seguito da altri tre
testi riguardanti le Regioni, le Province e i Comuni) ha l’ambizione di collocarsi come uno dei mezzi a disposizione di
docenti e genitori per aprire la strada alle nuove generazioni nello studio della legge fondamentale della Repubblica
italiana.
Ferme restando le esigenze specifiche degli utilizzatori e dei loro discenti, il testo è stato strutturato in nove moduli
al fine di favorire la pianificazione del suo insegnamento dedicando a ciascuno dei suoi capitoli uno dei 9 mesi
dell’anno scolastico, così che entro la fine dello stesso gli argomenti siano comodamente completati.
Teoricamente, in un corso per studenti di età più avanzata o per adulti (p.e.: immigranti), sarebbe sufficiente
programmare un’ora di lezione per ciascuno dei 9 moduli.
Indispensabile, per la sua assimilazione, sarà il ruolo degli educatori, docenti di scuola, genitori e formatori, che
potranno interagire con il testo approfondendo i singoli temi ed ampliando i concetti in esso espressi nella forma che
riterranno più opportuna per garantire l’apprendimento dei propri discenti.
Conoscere la propria Costituzione contribuisce a rafforzare nel cittadino il proprio senso della comunità ed a comprendere ed apprezzare il suo ruolo centrale in Democrazia. Perciò, per quanto possa sembrare una materia complessa, è bene renderla semplice, affascinante e coinvolgente, specialmente per i nuovi membri della comunità.
Le nuove generazioni, come tutti coloro che aspirano a divenire cittadini italiani, sono i destinatari naturali dell’insegnamento degli scopi della Nazione e dello Stato Italiano, della sua organizzazione e del suo funzionamento affinché non ne subiscano la complessità bensì ne siano i futuri cittadini, consapevoli, attivi e propositivi.
Dalla loro capacità di far buon uso della propria Costituzione dipenderà il loro stesso destino ed il futuro democratico, giusto, prospero e pacifico dell’intero Paese.
Diego Pascale
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Chi è DIEGO PASCALE
Nato a Berna (Svizzera) nel 1963 da genitori italiani lì emigrati da San Pietro Avellana (IS) e Presenzano (CS), è
sposato con tre figli. Ex allievo Salesiano, è da sempre fortemente impegnato nell’Associazionismo Sociale ed appassionato di studi giuridici e politici fin da giovanissima età.
Oltre alla sua madre-lingua, usa correntemente l’inglese e il francese. Ama incondizionatamente la Rete Internet, in
quanto massima espressione di libertà e di pensiero, e si definisce “cittadino del mondo” e cerca di contribuire nel
suo piccolo alla costruzione di un futuro migliore, con molta umiltà ma con altrettanta determinazione e coerenza,
sposando come principi di riferimento la pacifica convivenza universale, il dialogo e il confronto continuo e la comprensione delle diversità.
Di certo, è un comune cittadino che non ha mai avuto alcun incarico pubblico o carica politica, libero ed incondizionabile, coerente, per quanto si definisca un uomo come tutti. Non ama e combatte l’ipocrisia e l’arroganza, la presunzione e la sopraffazione, nel privato come nel pubblico. Stima la competenza, la coerenza, la professionalità e
l’amore per l’essere umano in generale, nonché l’impegno per il proprio Paese, in tutte le sue forme. Considera il
rispetto della Carta Costituzionale italiana come il fondamentale punto di riferimento di qualunque impegno politico,
sociale e culturale.
Fra le sue innumerevoli iniziative, è stato il promotore della Proposta di Legge per la riforma dei costi della politica
italiana, depositata presso la I Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati con il numero di protocollo: 346/10, Ottobre 2008. E' stato promotore di diverse altre iniziative sociali, sempre in maniera autonoma ed
indipendente.
A cura di Guido De Simone
PUBBLICAZIONI:
1. La Rete d’Oro, Edizioni DP, Saggio, Caserta, 2000
2. Il Naufragio della Ragione, Edizioni DP, Saggio, Verona, 2009
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CITTADINANZA, COSTITUZIONE, REPUBBLICA
(di Silvio Gambino, Università della Calabria)
Fra i non molti autori italiani attenti al pubblico dei lettori giovani, l’Autore di questo libro ha pensato soprattutto agli studenti delle classi medie ed elementari del sistema scolastico del Paese.
Con linguaggio chiaro e sostenuto da immagini appropriate alle forme di comunicazione con il mondo giovanile, l’Autore si è sforzato di rendere chiari ed accessibili concetti e parole che non sempre risultano agevolmente accessibili a tutti. L’impegno è del tutto meritorio.
I docenti che dovranno approntare i materiali di supporto all’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”,
nel quadro della nuova programmazione didattica voluta dal legislatore, potranno trovare in questo libro materiale prezioso che potrà costituire un valido aiuto nell’impegno didattico volto alla formazione delle conoscenze
relative al nostro modello di Stato e alla Costituzione che ne è la legge fondamentale.
Al tempo stesso, il materiale raccolto e presentato nel libro costituisce un racconto assolutamente utile di
una parte importante della storia comune del nostro Paese, quella che ha portato alla nascita e allo sviluppo
della democrazia contemporanea, nel quadro di una forma di Stato che non è più di tipo monarchico ma di tipo
repubblicano.
Con il consenso dell’Autore, ma anche perché richiestone dallo stesso, aggiungerei qualche brevissima riflessione (rivolta soprattutto ai colleghi docenti), quasi a mo’ di guida di lettura nell’accostarsi al volume che
qui ora si presenta al lettore.
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Chiamati a scegliere fra Monarchia e Repubblica, nel referendum istituzionale svoltosi il 2 Giugno 1946, 12.717.923 italiani e italiane – queste ultime per la prima volta nella storia democratica del Paese – si espressero in favore della Repubblica mentre 10.719.284 per la Monarchia (con uno scarto favorevole alla Repubblica di 1.998.639 voti).
Con tale decisione popolare viene inaugurata in Italia una nuova forma di Stato, di tipo repubblicano. A seguito delle decisioni convenute in sede di Assemblea costituente, la Costituzione del Paese non risulterà più dalla
graziosa concessione del Re (come avveniva ancora nello Statuto albertino), ma costituirà la decisione fondamentale della comunità politica italiana che, dopo la sconfitta del fascismo, si ri-organizza in modo statuale
sulla base di nuovi principi ispiratori della convivenza civile e di nuove regole di organizzazione costituzionale,
in una parola di una nuova modalità democratica.
Con il referendum istituzionale, in breve, l’Italia cambia la propria forma dello Stato che era stata alla base
della sua prima Costituzione liberale, lo Statuto fondamentale del Regno d’Italia, “concesso” il 4 marzo 1848
dal Re Carlo Alberto.
Nell’ottica delle riflessioni che vorremo proporre, è utile ricordare come il periodo storico che va dal 1943 al
1946, e che precede dunque l’approvazione della Costituzione repubblicana, si presenti denso di importanti
avvenimenti politici e istituzionali. Fra tali eventi di effettiva portata storica conosciuti dal Paese nel triennio
appena richiamato ricordiamo, in primo luogo, la decisione del Re (adottata a malincuore, naturalmente) di
accettare la rottura del regime monarchico se così avesse deciso il popolo nel referendum istituzionale; in secondo luogo, occorre ricordare che, in questo periodo storico, nella cornice politica e ideale di una lotta eroica
contro il fascismo e contro il nazismo (la Resistenza), emergono e si affermano, per la prima volta nella storia
costituzionale del Paese, i partiti politici popolari (soprattutto il partito cattolico, il partito comunista e quello
socialista).
Riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale, quale organismo unitario costituito per la guida politica del Paese appena uscito dal fascismo e per la organizzazione della Resistenza contro l’occupazione nazi-fascista,
particolarmente violenta soprattutto nel Nord del Paese, i partiti politici popolari costituiscono la vera architrave
politica della nuova Costituzione che di lì a qualche mese sarebbe stata formalizzata in sede di Assemblea
costituente.
I passaggi fondamentali del processo costituente – la cui storia rischierebbe di perdersi nella memoria collettiva del Paese se la scuola non si facesse carico di assicurarne la conoscenza – sono costituiti, pertanto, da
una fondamentale decisione politica, contrattata fra il Re e i partiti politici riuniti nel Comitato di Liberazione
Nazionale, finalizzata a definire in modo costituente le forme istituzionali dello Stato e i principi che ne devono
costituire il fondamento, mediante un’Assemblea costituente eletta a suffragio universale. Con un importante
decreto (il decreto luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151), così, l’Italia taglia definitivamente i ponti con il suo
passato monarchico e con la relativa Costituzione liberale (lo Statuto albertino), rendendo possibile la scelta
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popolare fra Monarchia e Repubblica ed evitando in tal modo lo stesso rischio di una guerra civile (ovvero di
una radicalizzazione dello scontro) nella fase dell’immediato dopo-guerra.
L’Assemblea costituente, istituita sulla base di una nuova legge elettorale (adottata con decreto luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98) completa il percorso costituente del Paese dopo diciotto mesi di intenso e approfondito dibattito fra le forze politiche che si erano battute per riconsegnare libertà e democrazia al Paese. Ricordiamo fra queste forze politiche e culturali, soprattutto, i cattolici, i socialisti e i comunisti, i liberali postrisorgimentali.
Da allora in poi la dottrina costituzionale non ha dubbi nel riconoscere la stipula di un nobile e alto ‘patto costituzionale’ fra le principali correnti ideali, culturali e politiche del Paese, che si è dimostrato fin qui capace di
assicurare pace, sviluppo economico e civile e che si auspica possa essere condiviso e rinnovato in ogni generazione per assicurare forza e alimento alla piena effettività della Carta costituzionale. A partire da voi giovani studenti, sui quali grava oggi l’obbligo di comprendere bene lo Stato di cui siete parte e le regole giuridiche che lo reggono. Una comprensione che vi rende liberi ed eguali in modo effettivo a prescindere dalle condizioni economiche e sociali generali del paese.
In sintonia con tutte le costituzioni europee del dopo Auschwitz, la Costituzione repubblicana (vigente a partire
dal 1° gennaio del 1948) ispira il nuovo ordine costituzionale all’arricchimento e alla riqualificazione dei principi
liberali del costituzionalismo liberale e soprattutto a quello della eguaglianza di fronte alla legge e del divieto di
ogni sorta di discriminazione fra le persone. Ad essi aggiunge la previsione di nuovi princìpi fondamentali, che
vanno dalla centralità della persona e dal principio concordatario (nella disciplina dei rapporti fra Stato e Chiesa) alla protezione del lavoro, al principio democratico, a quello pluralista e alla eguaglianza sostanziale. Un
principio – quest’ultimo – sancito nell’articolo 3, secondo comma, della Costituzione e che si fa carico in particolare della protezione dei soggetti che, qualora deboli in ragione della organizzazione economica e sociale, si
vedono riconosciuto il diritto all’intervento sussidiario della Repubblica, finalizzato a garantire l’indissolubile
integrazione fra libertà ed eguaglianza, in una parola la giustizia sociale.
Tali ultimi principi, che si possono ben cogliere come principi di giustizia sociale, dilatano il catalogo dei diritti
di libertà previsti dallo Stato liberale inserendovi una “libertà dal bisogno”. Quest’ultima libertà, ora costituzionalmente garantita e non più soltanto come un’aspirazione ideale, esprime qualcosa di più e di diverso dalla
pretesa del singolo ad esercitare la signoria del proprio volere, concretizzando, in tal modo, il suo diritto ad
esigere dallo Stato prestazioni legislative e amministrative dirette ad assicurargli almeno un minimo di sicurezza e di giustizia sociale, sì da creare quelle perequazioni materiali che sole possono rendere tutti gli uomini
liberi ed eguali in dignità e diritti.
Ricalcando le orme della prima delle costituzioni europee ispirata a principi di democrazia sociale (la Costituzione di Weimar del 1919, che sarà destinata a crollare, nel 1934, con la conquista del potere da parte di Hitler), in tal modo, la Costituzione repubblicana (del 1948) arricchisce il patrimonio liberale attraverso nuovi diritti, i cosiddetti ‘diritti sociali’ (fra cui ricordiamo in particolare l’istruzione, la salute e l’assistenza sociale, oltre ai
diritti del lavoratore e il diritto al lavoro). Nel garantirne la pari fondamentalità rispetto ai classici diritti di libertà,
tali nuovi diritti della persona impegnano lo Stato nella ricerca di nuovi equilibri economici e sociali finalizzati al
raggiungimento di sempre più ampi orizzonti di giustizia, rappresentando in tal modo le radici del suo dinamismo ed offrendo alla democrazia del secondo dopoguerra le premesse della sua solidità.
La scuola pubblica, in particolare, occupa un ruolo centrale nella formazione di un’idea di cittadinanza compiuta, capace di assicurare la pienezza della personalità di ogni studente e, al contempo, lo sviluppo di una società pluralistica che rigetti ogni forma di intolleranza e di fondamentalismo.
La lucida lezione del costituente Piero Calamandrei, nel discorso pronunciato al III Congresso in difesa della
Scuola nazionale (a Roma, l’11 febbraio 1950), rimane tutt’oggi di pregnante attualità. L’autorevole studioso
argomentava convincentemente la tesi della scuola pubblica come scuola laica nel modo che segue: “La
scuola, come la vedo io, è un organo ‘costituzionale’. Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel
complesso di organi che formano la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi avrete letto la nostra Costituzione), nella seconda parte della Costituzione, quella che si intitola ‘l’ordinamento dello Stato’, sono descritti quegli organi attraverso i quali si esprime la volontà del popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi. Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la Camera
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dei deputati, il Senato, il Presidente della Repubblica, la Magistratura: ma non vi verrà in mente di considerare
fra questi organi anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l’organismo costituzionale e l’organismo umano, si dovrebbe dire che
la scuola corrisponde a quegli organi che nell’organismo umano hanno la funzione di creare il sangue ...”.
Più avanti, continuava il suo discorso osservando che la scuola è “organo centrale della democrazia, perché
serve a risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe
dirigente … Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata
dall’afflusso verso l’alto degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte le categorie. Ogni classe, ogni categoria deve avere la possibilità di liberare verso l’alto i suoi elementi migliori, perché ciascuno di essi possa temporaneamente, transitoriamente, per quel breve istante di vita che la sorte concede a ciascuno di noi, contribuire a portare il suo lavoro, le sue migliori qualità personali al progresso della società .. A questo deve servire
la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di avere la sua parte di sole e di dignità. Ma questo può farlo
soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario del suffragio universale. La scuola, che ha proprio
questo carattere in alto senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali”.
Lasciamo ora la riflessione più specificamente attenta alla scuola e all’istruzione pubblica, alla relativa missione di formazione di persone capaci di decidere in modo informato e critico, e riflettiamo più in generale su tutti
gli altri diritti di cittadinanza riconosciuti e garantiti dalla Costituzione.
Il catalogo dei diritti che trovano il loro pieno riconoscimento nella Costituzione repubblicana si arricchisce,
infatti, di nuovi diritti, come quelli politici e quelli di partecipazione politica, in generale, nonché con la ridefinizione dei classici diritti economici (libertà d’impresa e proprietà). Questi ultimi sono garantiti nella loro esistenza ma sono coordinabili (qualcuno dice, perfino, “funzionalizzabili”) ai “fini sociali” che il legislatore può fissare
per rimuovere gli squilibri sociali ed economici che impediscono il pieno e libero sviluppo della persona umana
e la partecipazione dei lavoratori all’organizzazione politica del Paese.
Proprio in questa saldatura dei diritti civili, politici, economici e sociali risiede, così, uno degli aspetti più importanti della Costituzione italiana (del 1948), come più in generale del costituzionalismo del secondo dopoguerra. I diritti, i princìpi e i valori che essa contempla e garantisce e che la società condivide, in quel rinnovato
‘patto’ stipulato fra le correnti ideali del Paese di cui si è appena detto, rappresentano, pertanto, un patrimonio
da salvaguardare da quella mutevolezza di intenti e di interessi che di norma si riflettono nella legge. Da qui
quel collocarsi della Costituzione repubblicana nella sfera più alta del diritto, ove il diritto cessa di essere legge
e dove i diritti cessano di essere una regola posta dal legislatore per diventare pretese soggettive assolute,
diritti fondamentali inderogabili e imprescrittibili.
Assicurando forma concreta alla storica aspirazione di distinguere il diritto dalla legge, il costituzionalismo del
1948, insomma, realizza una sostituzione della sovranità della Costituzione a quella della legge, che trasforma
i diritti fondamentali in diritti inviolabili, tutelabili anche contro la legge ingiusta, posta in violazione dei principi e
delle disposizioni costituzionali. Tale garanzia si accompagna con la stessa limitazione del processo di revisione costituzionale. Oltre alla forma repubblicana, infatti, la nostra Corte costituzionale ha ben ricordato come i
diritti e i principi fondamentali della Carta costituzionale costituiscono limite implicito alla revisione: “La Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. Tali sono tanto i principi che la stessa Costituzione esplicitamente prevede come limiti assoluti al potere di revisione costituzionale,
quale la forma repubblicana (art. 139 Cost.), quanto i principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all'essenza dei valori
supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana” (Sentenza della Corte costituzionale n. 1146/1988).
Se la Costituzione crea uno spazio nuovo di riconoscimento e di tutela dei diritti umani, la sua sovranità garantisce la certezza di questi diritti che diventano, dopo Auschwitz – e per non ripeterne mai più le tragiche e folli
disumanità –, il fondamento universalistico della civile convivenza. Oltre a rappresentare le direttrici dell’agire
dello Stato costituzionale e il fondamento della organizzazione pluralistica della sua società, infatti, essi definiscono gli stessi contorni di un diritto più ampio che li assume quale presupposto indefettibile di convivenza
pacifica tra gli Stati. Lo Statuto dell’O.N.U. (1945), la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948), la
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (1950), la Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea (in vigore a partire dal 1° dicembre 2009, con la stessa forza giuridica
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dei trattati comunitari) e molte altre Carte internazionali, confermano e dilatano l’azione dei singoli Stati costituzionali in materia di tutela della dignità umana, contribuendo, così, a segnare i caratteri di questa nuova epoca solennemente celebrata da Norberto Bobbio come “l’età dei diritti”.
Nella rinascita dei diritti umani del secondo dopoguerra, così, è possibile ritrovare le radici culturali di un’età
che cerca di liberarsi per sempre dai fantasmi del passato, attribuendo (attraverso le costituzioni e gli atti del
diritto internazionale e dell’Unione europea) validità giuridica a principi che da più di due secoli continuano ad
aleggiare autonomamente nella coscienza dei popoli.
Se la Costituzione varata all’indomani del totalitarismo fascista grazie agli eroismi espressi dalla Resistenza
rappresenta il punto d’arrivo di un’evoluzione costituzionale avviata sulla base delle incerte soluzioni offerte
dal costituzionalismo liberale, essa rappresenta anche il punto di approdo di una esperienza costituzionale
matura che si accinge ad apprestare più adeguate tutele al modello di nuovo ordine giuridico disegnato dai
costituenti (del 1946-47).
La Costituzione (del ’48), in unum con le costituzioni europee dell’ultimo dopoguerra, collocandosi nella sfera
più alta del diritto, così, diventa regola di procedura ma anche regola sostanziale che riguarda non già la sola
formazione ma lo stesso contenuto delle leggi. E proprio in questo essere della Costituzione direttrice e limite
degli atti legislativi prende forma quella supremazia della medesima che, conferendo immediata vincolatività/
prescrittività ai princìpi e alle norme fondamentali, costituisce senza dubbio l’aspetto più innovativo ed originale del costituzionalismo italiano contemporaneo.
Essa, infatti, oltre a segnare il distacco dalla tradizione costituzionale ottocentesca, imperniata sulla legge generale ed astratta, quale strumento principe della garanzia dei diritti e dei rapporti giuridici, segna altresì il distacco dal ‘costituzionalismo razionalizzato’ dell’inizio del secolo scorso. Nel principio della ‘superiorità della
Costituzione’ si riflette, insomma, la storica esigenza di non lasciare il sistema delle libertà e dei diritti alle sole
garanzie accordate dal principio di legalità e di fare della stessa uno strumento di garanzia e di indirizzo, di
protezione e di promozione.
Da qui l’affermazione di un ‘principio di costituzionalità’ che mette in crisi la forza assoluta della legge, la sua
intangibilità (quasi ‘sacralità’) ed appresta quelle nuove forme di tutela della Costituzione senza le quali il principio della sua supremazia sarebbe rimasto un’affermazione priva di contenuto.
La rinascita dei diritti inviolabili dell’uomo (nel secondo dopoguerra suggellata nella Carta costituzionale), tuttavia, non esaurisce l’aspetto fondamentale del nuovo costituzionalismo del Paese. Dipanandosi tra continuità
del sistema rappresentativo, delle istituzioni e degli organi costituzionali, esso trova uno dei momenti più significativi dell’inveramento del principio di sovranità popolare e dello stesso principio democratico sanciti nella
Costituzione nel riconoscimento giuridico-costituzionale dei partiti politici. Attraverso questo strumento, composito e variegato per natura e per funzioni, si realizza una compenetrazione profonda tra Stato e società civile in cui è possibile leggere la nuova formula organizzativa della democrazia costituzionale, ma anche la libertà del cittadino nello Stato e attraverso di esso.
Nella nuova dimensione del costituzionalismo italiano, così, Stato e società cessano d’essere due universi
separati e distinti: lo Stato affonda le sue radici nella società civile, ne riconosce le differenziazioni e le articolazioni, ne rispecchia la complessità dilatando l’impianto organizzativo del sistema costituzionale. Il partito politico, elemento essenziale di questo arricchimento della vita associativa, diviene pilastro portante di questo
Stato, uno Stato che si costruisce e si regge su una combinazione perfetta di libertà e di sicurezza, di pluralismo sociale e di pluralismo dei poteri e che, attraverso di esso, si riscopre e si riafferma, in tutta la pienezza
delle sue articolazioni, come ‘Stato dei partiti’. Nella nuova cornice costituzionale, i partiti politici hanno rappresentato la base politica del nuovo assetto costituzionale che fa del collegamento tra Stato e società la sua
caratteristica più importante per lo sviluppo del processo democratico. La crisi di tale modello descrive, attualmente, i contorni allarmanti di una crisi generale del costituzionalismo razionalizzato nella direzione di derive
plebiscitarie del potere, sempre più spesso declinato con formule di personalizzazione del potere e di presidenzializzazione degli esecutivi.
Se è vero che il costituzionalismo del ’900 è pianta dalle molte radici, è parimenti vero che quella più profonda,
alla quale si legano le ragioni del suo essere non la negazione ma il superamento del liberalismo, deve rintracciarsi nel suo porsi quale elemento di limitazione del potere in tutte le sue forme, come già affermava solennemente l’art. 16 della Déclaration des droits de l’homme et du citoyen (del 1789) e che oggi conosciamo come
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problema “dei pesi e dei contrappesi” nell’equilibrio dei poteri costituzionali, nonché come problema dei limiti
(espressi ed impliciti) alla stessa revisione costituzionale.
Qualità e quantità del potere diventano quindi elementi qualificativi di un nuovo costituzionalismo che si emancipa dalla tradizione liberale per trovare la sua meta definitiva in una nuova architettura costituzionale. Nel
tentativo di rinsaldare la democrazia senza abbattere le garanzie dell’impresa, il nuovo ordinamento statuale
tutela la proprietà e l’iniziativa privata non inficiando i suoi presupposti egualitari, solidaristici e universalistici.
È la scelta di una Costituzione economica e con essa la fondazione di un governo pubblico, democratico, dell’economia.
Sorge su queste basi lo ‘Stato sociale di diritto’, ossia lo Stato pluriclasse che stabilisce il primato del politico
sull’economico secondo un modello di democrazia ‘sostanziale’ ed ‘emancipante’ in cui la libertà non è solo un
principio ma anche, e soprattutto, un ‘bene’ e un diritto individualmente e socialmente ‘fruibile’.
Se il mercato non può essere considerato il teatro in cui si dipanano tutti i rapporti della convivenza umana,
pertanto, spetta allo Stato, retto da princìpi di democrazia sociale, regolarne le forze contrastanti, intervenire
sui suoi processi e finalizzarne il corso, senza con ciò configurare una gestione esclusiva dell’economia, una
qualche forma di dirigismo in cui si annullano e si disperdono l’autonomia e l’iniziativa dei privati. In breve, una
‘terza via’ rispetto al rapporto tra Stato e mercato, in cui il primo diventa il soggetto attivo di uno sviluppo che,
pur realizzandosi attraverso tecniche e modalità diverse di intervento, tende verso il fine esclusivo del benessere di tutti i membri della collettività organizzata statualmente, una collettività ormai aperta, per libera scelta
politica, alla sua integrazione in un ordinamento sovranazionale che ingloba (attualmente) 27 Paesi membri
della Unione europea (con un elenco che tuttavia è positivamente destinato ad allargarsi ulteriormente).
Tuttavia, tutto ciò è possibile solo attraverso l’introduzione di meccanismi di giustizia redistributiva a favore
delle categorie sociali e delle aree economicamente più deboli, sì da livellare quelle sperequazioni materiali
che ostacolano i processi di composizione pacifica ed ordinata dei conflitti nell’ambito unitario di riferimento
rappresentato dalla Repubblica.
Nessuna società può, infatti, reggersi in unità senza un qualche criterio di giustizia redistributiva, in special
modo una società pluriclasse e policentrica quale quella contemporanea, che sviluppa una conflittualità diffusa
ed intensa, difficilmente sanabile senza l’intervento mediatore ed equilibratore dello Stato.
L’espletamento della funzione redistributiva-perequativa da parte dello Stato è, del resto, possibile solo nella
misura in cui esso svolga una parallela funzione di prelievo della ricchezza prodotta, attraverso interventi di
politica fiscale. Governando le leve del funzionamento del sistema economico, lo Stato, ora in piena sintonia
con le determinazione dell’Unione europea (il ‘Patto di stabilità’), diventa promotore dello sviluppo, fattore di
stimolo per la produzione e per l’occupazione, il che consente di imbrigliare il capitalismo nella rete della democrazia.
È evidente che questa riappropriazione dell’economico da parte del politico, che moltiplica i fini e le funzioni
dello Stato troncando definitivamente la tradizione astensionista dell’originario liberalismo, dilata, oltre agli
ambiti spaziali, anche quelli temporali di intervento. Lo Stato che ‘promuove’ il benessere collettivo agisce in
un’ottica prospettica e progressiva secondo un’idea di democrazia sociale che non esaurisce l’eguaglianza
nell’astrattezza delle formule e non considera la democrazia una meta, ma un traguardo di tappa. Si scopre,
così, che libertà, eguaglianza e democrazia vivono proprio attraverso lo ‘Stato sociale’, figlio di un costituzionalismo che fonde, talvolta fino a confondere, il politico con l’economico e il sociale.
La complessa architettura del costituzionalismo italiano contemporaneo alla quale si legano gran parte delle
attuali conquiste in termini di civiltà e di giustizia sociale nonché delle concrete aspettative in termini di organizzazione dei poteri e di tutela dei diritti, agli inizi del nuovo millennio, tuttavia, sembra scomporsi ed incrinarsi
sotto l’influsso di una moltitudine di forze e di tendenze globalizzanti che fanno vacillare quelle forme e quei
modi d’essere dello Stato costituzionale apparse mezzo secolo fa salde e definitive perché appropriate ad una
democrazia concepita come patrimonio di ciascuno e di tutti.
Lo ‘Stato sociale’, lo ‘Stato sovrano’, lo ‘Stato dei partiti’, forme storiche di questo Stato e di questa democrazia che coniuga libertà ed equità, pluralismo sociale e pluralismo dei poteri, manifestano oggi i segni della loro
decadenza coinvolgendo in modo inevitabilmente problematico quei princìpi e quei valori che rappresentano
l’impalcatura dell’intero costituzionalismo del ’900 e che solo in queste forme contemporanee della statualità
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riescono a trovare il loro naturale quanto armonioso campo di esercizio ma anche di espansione.
La crisi dello Stato contemporaneo si rivela, pertanto, una crisi profonda e complessa perché variegata e poliedrica; una crisi di forme e di sostanza, di strumenti e di obiettivi, di principi organizzativi non sempre rivedibili
e di principi ispiratori inderogabili.
In tal senso, la crisi dello Stato sociale non rappresenta solo il fallimento di un modello politico dell’economia
ma lo stesso appannamento di uno Stato costituzionale che assume la dignità dell’uomo come suo punto di
partenza storico culturale e che fissa una scala di valori dominanti come base di questa dignità e come linea
direttrice del proprio sviluppo.
Lo Stato sociale, speranza per molti, mezzo di sopravvivenza per tanti, privilegio per alcuni, rivela, così, con la
crisi del sistema economico e del mercato del lavoro, una sua caratteristica molto importante: quella di uno
Stato che proclama i diritti di tutti ma senza assicurarne la concreta effettività. I diritti sociali, in particolare, non
si vedono garantiti nelle forme classiche della tutela delle libertà tradizionali, risultando, per molti profili, condizionati dalla disponibilità di risorse finanziarie e dalla volontà del legislatore; in alcune ipotesi fino a diventare
mere misure discrezionali o perfino benefici concessi.
È in questo quadro di molte luci e qualche ombra che il Paese può oggi ben dirsi fiero e riconoscersi nella sua
Costituzione che gli eroi della Resistenza hanno reso possibile e che la cultura e la prassi dei partiti politici, nel
sessantennio che abbiamo alle spalle, hanno organizzato fattivamente. È da auspicare che questi ultimi risolvano quella crisi che da tempo li attanaglia per ritornare a svolgere quel ruolo centrale cui l’ordinamento costituzionale li chiama.
È infine auspicabile che i giovani sappiano ereditare il testimone di questa lunga e importante tradizione costituzionale, con quella passione civile di cui essi sono capaci quando si ripropongono loro mete ambiziose.
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Chi è SILVIO GAMBINO
[email protected]
Silvio Gambino è professore ordinario di Diritto costituzionale italiano e comparato presso la Facoltà di Scienze Politiche della Università della Calabria della quale è stato anche Preside.
Attualmente dirige la Scuola superiore di scienze delle amministrazioni pubbliche operante presso lo stesso Ateneo.
E’ autore di diverse monografie e saggi relativi ai rapporti fra forme di governo e partiti politici, ai controlli di costituzionalità (soprattutto nell’esperienza francese), al regionalismo e alle autonomie locali, ai diritti fondamentali nell’ottica del costituzionalismo a più livelli e nell’ottica della Unione europea.
Fra le monografie più recenti si ricordano: Stato e diritti sociali (Liguori, Napoli, 2009); Diritti fondamentali e Unione
europea (Giuffrè, Milano, 2009); Forme di Governo (Giuffrè, Milano, 2007); Diritto costituzionale comparato ed europeo. Lezioni (Giuffrè, Milano, 2009); Regionalismi e Statuti. Le riforme in Spagna e in Italia, Milano, Giuffré, 2008.
(G. D’Ignazio), La revisione costituzionale e i suoi limiti, Milano, Giuffré, 2007.
Alcuni saggi e articoli:
2009: 1. “Autonomie territoriali e riforme”, in federalismi.it, 2009, n. 5, pp. 1-83.
2. “Autonomia, asimmetria e principio di eguaglianza: limiti costituzionali al federalismo fiscale”, in s
2009, n. 1, pp. 3-43.
3. “Le sfide del neo-regionalismo e l’eguaglianza dei cittadini: il federalismo fiscale secondo il d.d.l.
A.S. 1117”, in Diritto e Pratica tributaria, 2009, n. 2, pp. 50-70.
4. “I diritti fondamentali fra Trattati e Costituzioni”, in federalismi.it, 2009, n. 3, pp. 1-8.
2008: 1. Occidente, Islam, diritti fondamentali”, in Periferia, 2008, Vol. 68, n. 1, pp. 5-10.
2. “Autonomie territoriali e riforme”, in Astrid Rassegna, 2008, Vol. 74, n. 12, pp. 1-57.
3. “Sovranità dell'elettore e 'populismo della modernità”, in federalismi.it, 2008, n. 8, pp. 1-7.
4. “Droits sociaux, Charte des droits fondamentaux et intégration européenne”, in Politeia, 2008, Vol. 2,
pp. 1-61.
5. “Istituzioni territoriali e Politica: ripensare il regionalismo politico del Paese”, in Astrid Rassegna,
2008, Vol. 63, n. 1, pp. 1-21.
6. “Droits sociaux, Charte des droits fondamentaux et intégration européenne”, in europeanrights.it, 2008,
Vol. (23.06.2008), pp. 1-57.
7. “Partiti politici e forma di governo. La difficile riforma di una storia costituzionale radicata nella storia
costituzionale del Paese”, in federalismi.it, 2008, n. 15, pp. 1-50.
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PERCHÉ IMPARARE A CAPIRE LA COSTITUZIONE FIN DA PICCOLI
(di Guido De Simone)
L’Italia è potenzialmente uno dei più bei posti della Terra dove vivere.
La sua straordinaria ed impressionante ricchezza non ha pari nel mondo intero ed è senz’altro costituita dall’incomparabile bellezza di quanto la Natura mette a disposizione sul suo variegato territorio; ma anche da quanto gli uomini
vi hanno saputo costruire in termini di Cultura (nella Letteratura ed in tutte le Scienze, da quelle umanistiche e filosofiche a quelle più tecniche, ed in tutte le Arti, da quelle Architettoniche, Figurative e Visuali a quelle Culinarie), e dalle sue abbondanti tracce nella Storia (Archeologia).
Tutta la Storia d’Italia si fonda sulla capacità degli italiani di far buon uso della propria intelligenza, a partire dal sapersi organizzare in una forma di CONVIVENZA che, rispetto al contesto storico che il mondo stava vivendo, era
sempre una risposta innovativa e costruttiva. Ciò non di meno, si sono alternati momenti bui in cui chi viveva in Italia
ha saputo sopravvivere preparandosi alla successiva fase di RINASCITA, fino a RISORGERE come NAZIONE e poi
come STATO.
Ma chi sono GLI ITALIANI?
È bene tener presente che, se l’ITALIA è col tempo divenuto un luogo ben definito, con i suoi confini per lo più naturali (l’arco della catena montuosa delle Alpi a nord ed il mare che circonda il resto del suo “stivale” e le sue isole… al
di là di quanto ci è stato più o meno impropriamente sottratto nel tempo dai popoli vicini), GLI ITALIANI più che una
“razza” specifica SONO IL POPOLO che vive in Italia.
In effetti, se gli Italiani fossero una sola razza, non sarebbero quello che sono oggi, ne’ l’Italia sarebbe il fantastico
luogo che è divenuto nel tempo.
Di fatto, sin dall’alba dei tempi, in Italia hanno approdato, vissuto e si sono sviluppate ed incrociate tra loro centinaia
di “razze”, facendo dell’ESSERE ITALIANI più che una “razza” un CONCETTO, un modo di pensare, di vivere e di
agire e perciò UNO STILE DI VITA.
Fermo restando che i primi esseri umani di cui si hanno tracce nelle varie regioni della penisola e sulle sue isole vi
sono probabilmente arrivati, come nel resto d’Europa, dal Caucaso e dall’Africa, poiché lo “stivale” italiano s’incunea
nel cuore di quel grande bacino, quasi un lago, che è il Mar Mediterraneo, sulle cui sponde si affacciano ben tre continenti (Europa, Asia ed Africa), nel corso dei millenni ed anche prima della nascita di Roma sulle sue sponde ricche
di vegetazione e fauna e baciate da uno dei climi più miti ed equilibrati del pianeta hanno fatto scalo e si sono spesso stabiliti un numero crescente di ulteriori popoli.
Le varie “tribù” che si dividevano il territorio italico (gli Etruschi, i Liguri, i Sabini, ecc.), sotto l’effetto unificatore del
dominio di Roma hanno dato progressivamente vita ai primi presupposti di un “popolo italico”, uniti da una lingua ed
una cultura che hanno condiviso ed elaborato insieme per oltre 2 millenni.
Ma il vero segreto del successo e della longevità dell’Impero Romano è, al di là del metodo aggressivo adottato a
quel tempo per conquistare nuovi territori (discutibile solo alla luce di un’odierna consapevolezza morale), consiste
proprio nella rivoluzionaria impostazione socio-amministrativa che si basava sull’imposizione della PAX ROMANA
(la pace) e di regole uguali per tutti (la LEX ROMANA), nonché sul rispetto delle altrui culture e religioni, che venivano addirittura “importate” nel cuore dell’Impero, a Roma, e conseguentemente rese disponibili ed eventualmente
diffuse in tutto l’impero se esse si conquistavano l’attenzione spontanea della gente. È a ciò che il Cristianesimo
deve le sue fortune.
Nonostante i successivi travagli che hanno smembrato l’Impero e perfino l’Italia, questa capacità di accoglienza, di
condivisione e di convivenza tra popoli e culture diverse è rimasta nell’indole e nella cultura italica e costituisce poi la
base su cui, superato il cupo periodo medioevale, si fondano gli ulteriori passi evolutivi dell’organizzazione sociopolitica e della cultura umana in genere che tanto hanno avuto influenza sulle civiltà di mezzo mondo.
Dai COMUNI dell’anno 1000, centri urbani organizzati, i cui esempi più estesi sono le Città, dove non esisteva più la
“servitù” e meno che mai la “schiavitù” perché i loro abitanti si dividevano i compiti e si davano rispetto reciproco
essendo tutti ugualmente “Cittadini”, alla successiva nascita delle BANCHE ed alla definizione di ARTI E MESTIERI,
dal fervore creativo ed inventivo del RINASCIMENTO agli stessi concetti di ARTE e SCIENZA su cui di fondono i
principi della civiltà di tutto l’Occidente; ciò che è stato elaborato in Italia negli ultimi 1.000 anni ha influenzato e con-
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tinua ad influenzare in modo diretto o indiretto quasi tutte le forme di urbanizzazione, organizzazione sociale, economica e politica nel mondo.
Questo vale anche per la COSTITUZIONE che gli italiani si sono dati dopo aver superato il trauma del Fascismo e
della Seconda Guerra Mondiale, l’ultimo vero e proprio conflitto bellico che ha oppresso il territorio italiano, e divenendo finalmente una REPUBBLICA dopo ben oltre un secolo di tentativi.
La COSTITUZIONE ITALIANA è un vero e proprio gioiello che da quando è stata scritta ed approvata è stata presa
ad esempio da molti altri popoli, che in alcuni casi l’hanno per lo più copiata di sana pianta, al fine di darsi anche loro
uno statuto costituente con forti principi democratici ed una solida struttura organizzativa repubblicana così da garantire alla popolazione una convivenza pacifica e giusta nel proprio stato.
Tale stima per la nostra Costituzione da parte di tanti altri popoli è senz’altro un buon motivo per capirla bene ed
avere coscienza del perché esserne fieri. Ma il motivo principale perché gli ITALIANI la conoscano bene è che ne
possano fare un uso adeguato per vivere decisamente meglio. Perché a questo serve la Costituzione.
Noi Italiani, a differenza di molti altri popoli nel mondo, abbiamo la fortuna di poter vivere in una Democrazia.
DEMOCRAZIA è una parola che viene dal greco ed è originalmente composta da due parole, DEMOS, che significa
“IL POPOLO”, e CRATOS, che significa “potere” o “governo”. Quindi, DEMOCRAZIA significa “Potere del Popolo”.
Pertanto, una DEMOCRAZIA per essere tale ha bisogno di un ingrediente base, il principale protagonista ed unico
sovrano, IL POPOLO, i cui membri, i CITTADINI (termine che si riferisce proprio al modello italico delle ”cittàcomuni” o “città-stato”), sono tutti uguali davanti alla Legge e con eguali diritti e doveri, essendo tutte le norme che
regolano ogni problema della convivenza nel paese basate sulla Legge Suprema, la Costituzione Repubblicana e
Democratica.
Ma per essere dei VERI CITTADINI ed una VERA COMUNITÀ, gli italiani devono: prima di tutto essere a conoscenza dei propri diritti e dei propri doveri: la loro ignoranza in materia fa comodo solo a chi li vuole ingannare; perciò, è
bene che gli italiani CONOSCANO quanto meno la propria Costituzione e come farne uso; essere coscienti del proprio ruolo di Cittadini e che, se non PARTECIPANO, altri se ne possono approfittare; avere a disposizione un efficiente metodo di voto per scegliere come gestire il proprio paese e cosa eventualmente modificare e chi deve farlo,
un metodo che consenta loro d’esprimere liberamente e democraticamente la loro volontà; essere adeguatamente
INFORMATI su quanto accade, dai fatti veri e propri alle diverse opinioni, perché senza un’adeguata e completa
informazione nessuno può scegliere quale sia la migliore decisione per se stesso e per la propria comunità.
Senza una vera informazione, chiunque li può ingannare facendo credere loro cose false ed approfittandone per fare
i propri interessi, quasi sempre a danno degli stessi italiani.
Infatti, se UN POPOLO è l’ingrediente base della ricetta della DEMOCRAZIA, gli ingredienti base per fare UN POPOLO ed i suoi CITTADINI sono quattro:
la CONOSCENZA
la PARTECIPAZIONE
la RAPPRESENTANZA
l’INFORMAZIONE
Se il primo passo è la CONOSCENZA, è necessario partire dalle fondamenta stesse della nostra convivenza in Italia: BISOGNA CONOSCERE LA NOSTRA COSTITUZIONE. Ecco perché essa dovrebbe essere insegnata e fatta
capire a tutti, a partire dai bambini, perché sappiano capire e si rendano conto subito di quello che serve per vivere
bene e pacificamente tutti insieme.
Insegnare ai bambini cosa è e a che cosa serve la LORO Costituzione, è una strategia vincente che gioca a favore
di tutti: per i bambini stessi, che imparano a capire cosa significa essere un CITTADINO di una REPUBBLICA DEMOCRATICA (e non un SUDDITO di fatto) e quali sono perciò i suoi DIRITTI ma anche i suoi DOVERI per vivere
serenamente tutti insieme, perciò, anche per la società del futuro di cui gli attuali bambini saranno i protagonisti, per
gli adulti e la società di oggi, perché non va sottovalutata l’influenza che gli stessi bambini possono avere sui propri
genitori e perciò sulla società con il loro giudizio e la loro reazione spontanea a ciò che di sbagliato fanno gli adulti.
COSTITUZIONE, CITTADINANZA, ANTI-BULLISMO, VITA E COMUNITÀ DEGNE DI QUESTO NOME
In alcune nazioni, in verità ancora troppo poche, l’insegnamento del concetto di CITTADINANZA (citizenship) fin
dalla più tenera età è il più azzeccato fondamento nella lotta all’ABUSO ed alla PREPOTENZA, a partire proprio dal
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suo primo manifestarsi nell’infanzia, sotto forma di BULLISMO.
Nel semplice linguaggio dei bambini, chi compie una prepotenza o una cattiveria è un “cattivo”. Ma nessuno nasce
cattivo. Al massimo possiamo dire che siamo tutti soggetti alle nostre paure ed egoismi. Ma “cattivi” si diventa.
I “cattivi”, infatti, sono esseri umani come tutti che però sono diventati cattivi perché hanno fondamentalmente paura
di tutti coloro e di tutto ciò che li circonda e, piuttosto che diventarne vittima, preferiscono essere loro ad aggredire
tutto e tutti per tenerli sotto controllo. Una visione profondamente sbagliata della vita.
Scientificamente, sono persone con una grave distorsione della realtà ed un pesante rifiuto dei principi stessi della
convivenza pacifica nel rispetto di tutti e di tutto. Tutti gli abusi che i “cattivi” infliggono ai danni dei propri simili o di
altre specie viventi e contro la natura in genere sono un modo per evitare di subire le stesse cose.
Tali distorsioni e dissonanze maturano nei bambini fin dalla più giovane età se essi vivono in ambienti in cui gli altri,
e specialmente gli adulti, sono “violenti” (psicologicamente e/o fisicamente) e “cattivi”, spesso anche nei confronti
degli stessi bambini, e comunque dove gli adulti sono pesantemente menefreghisti e/o assenti.
Infatti, in tutti i contesti in cui gli adulti non intervengono in modo appropriato o non intervengono affatto, è gioco forza che molti bambini prendano atteggiamenti egoisti, prepotenti ed eventualmente violenti ed operino sempre più
abusi ai danni di altri loro coetanei (p.e.: il giocattolo strappato all’altro bambino). Sono comportamenti facilmente
adottati dai “cuccioli d’uomo”, le cui azioni, senza una coscienza sviluppata, sono ancora basate solo sui propri istinti
egoistici.
Facendo mancare il loro ruolo “normativo”, gli adulti lasciano campo libero ad una errata percezione da parte dei
protagonisti dell’abuso. Chi ha fatto la prepotenza (il “bullo”) s’illude di passarla liscia e così di poter essere un
“vincente” e se nessuno lo ferma diventerà un “bullo-cronico”; chi la prepotenza l’ha subita (la “vittima”) comincia a
temere d’essere un “perdente” e man mano che cresce ed acquisisce la coscienza della sua paura ed impotenza, ne
vivrà la vergogna e consoliderà la propria insicurezza e disistima diventando una “vittima-cronica”, con la depressione in agguato.
In effetti, gli stessi “bulli” sono per lo più ex-“vittime”, sia che ciò sia stato causato dalla prepotenza degli adulti o di
altri bambini.
In virtù dell’istinto di sopravvivenza insito in ogni essere vivente, i bambini possono reagire a quanto subiscono anche scegliendo di essere come coloro che li hanno perseguitati. Una tipica casistica è rappresentata dall’emulazione.
Molti adulti hanno la brutta abitudine (a loro volta appresa da bambini) di strapazzare, prendere in giro e trattare con
disprezzo coloro che ritengono “deboli”, “diversi” e “perdenti”, spesso anche verso i propri figli, adducendo spesso
come scusa che così li salvaguardano dalla “cattiveria del mondo”. Il bambino che subisce tale trattamento dall’adulto che ama e rappresenta il suo modello di riferimento può arrivare ad odiarsi e per superare i suoi limiti può prendere ad esempio l’intransigenza dell’adulto e, in assenza di una diversa e più positiva filosofia da parte di almeno uno
dei genitori o di un altro adulto-guida (parente, vicino, insegnante), può emulare quel modello di comportamento
verso gli altri.
Per essere all’altezza di meritarsi l’affetto dell’adulto a cui sono legati affettivamente e che gli ha rimproverato le sue
“debolezze” o l’aver tradito le sue aspettative, spesso sproporzionate, ne emulano i comportamenti, individuando tra
i propri coetanei coloro che ritengono dei “deboli” o dei “diversi” o dei “perdenti” e per farne a loro volta le proprie
vittime.
La loro strategia consiste nel fare terra bruciata intorno alla vittima, potendola così perseguitare liberamente in vari
modi, psicologici ed anche fisici, al fine di fiaccarne la possibilità di reazione e mantenerla nel suo ruolo di vittima.
Questo trattamento può portare la vittima ad un crollo progressivo della propria auto-stima (crollo che può essere
dirompente, se non ha sicurezza in se stessa e si ciba solo della conferma altrui) e a pesanti conseguenze sul piano
psicologico, dall’introversione alla melanconia e svogliatezza, dall’inappetenza alla sovralimentazione
(compensazione della frustrazione), dall’assenteismo scolastico alla somatizzazione (meglio essere malati che andare fuori o a scuola e subire), fino alla depressione ed anche al suicidio.
Peraltro, il “Bullo” si auto-garantisce la sopravvivenza e l’impunità imponendo il silenzio alle proprie vittime, proprio
per evitare che gli “adulti” ne vengano a conoscenza ed intervengano. Ma tutto ciò trova decisamente campo libero
quando gli adulti sono troppo presi dai propri problemi e trovano in ciò giustificazione alla loro comunque colpevole
mancanza d’attenzione verso i bambini.
Non ci si illuda che tale fenomeno sia limitato a pochi soggetti e coinvolga solo il “bullo” e la sua “vittima” o le sue
“vittime”. Ne’ che i bulli siano solo maschi.
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Le indagini svolte in molte nazioni negli ultimi 20 anni hanno preso atto di fenomeni paralleli molto preoccupanti:
I “bulli”, che fondamentalmente sono anche dei vigliacchi, tendono a creare una propria “gang”, la corte dei complici
(i “BULLI-GREGARI”), bambini spesso “perdenti” che piuttosto che diventare delle vittime si alleano con il bullo.
Dall’altro lato, la stragrande maggioranza degli altri bambini, a differenza degli adulti, vedono tutto quello che avviene nel proprio ambiente e sanno come stanno le cose; pertanto, vivono con un profondo “senso di colpa” la loro
mancanza di coraggio per non essere intervenuti a difesa delle vittime o non l’hanno detto ai grandi, avendo paura del bullo e di divenirne a loro volta delle vittime; pertanto, al di là dei protagonisti diretti del Bullismo, vi sono
moltissimi altri bambini che sono delle “VITTIME-INDIRETTE” dello stesso fenomeno e che rischiano di rimanere
dei “perdenti” con una bassa auto-stima e senza capacità di reagire contro gli abusi e le prepotenze anche in età
adulta.
Se prima i “BULLI FEMMINA”, le “bulle”, si limitavano a mettere in atto prepotenze ed abusi di carattere psicologico
(peraltro, i casi con le peggiori conseguenze sulle vittime) e specialmente nei confronti di altre bambine, oggigiorno è vertiginosamente in crescita il numero di bulle che aggrediscono le proprie vittime anche fisicamente e che
ora se la prendono anche con i maschi, specialmente se isolabili o comunque contando sulla propria “gang”, una
volta solo al femminile, ma che da qualche anno aggrega anche eventuali maschi che preferiscono stare con chi
appare come “vincente e di successo”.
In assenza di un adeguato intervento da parte degli adulti, sia perché la famiglia ed i genitori sono soggetti sempre
più “deboli” ed inadeguati al proprio ruolo, sia perché la scuola è in un profonda crisi d’identità, i bulli hanno preso sempre più coraggio e stanno manifestando sempre più la propria arroganza ANCHE VERSO GLI ADULTI,
insegnanti e genitori inclusi. I casi di aggressioni ai danni di docenti di scuola che terrorizzati si dimettono o prepensionano e quelli di parricidio e matricidio sono in aumento negli ultimi 15 anni e ne sono le manifestazioni più
evidenti. Ma la casistica è di gran lunga più consistente, variegata e preoccupante e, peggio, sotterranea.
Il mancato intervento degli adulti nella prima età scolare genera il trasferimento del fenomeno anche nelle scuole
superiori e poi nell’età adulta. L’aumento delle “gang” di quartiere anche in Italia ha origine nelle cosiddette “babygang” i cui protagonisti, indisturbati, sono nel frattempo cresciuti. Lo sanno bene gli americani nelle cui città interi
quartieri sono sotto assedio proprio per aver sottovalutato il BULLISMO e non essere intervenuti a tempo debito,
complice anche l’emendamento della Costituzione Americana che dà il diritto a chiunque di possedere un’arma.
Anche in Italia, tutte le forme di abuso stanno subendo un’impennata senza uguali.
Di fatto, il Bullismo è sia la madre che il padre di tutte le forme di prepotenza che si manifestano in età adulta, come:
l’arroganza dei “capi” (in realtà dei falliti, perché i veri capi sanno farsi rispettare senza imporsi) ed il mobbing (anche
tra colleghi ed ai danni dei capi troppo “deboli” o “diversi”), l’abuso di potere in genere, la violenza sui minori e la
pedofilia, la violenza sulle donne e lo stupro, la violenza sugli anziani e sui malati o portatori di handicap, la violenza
nei confronti degli emigranti e le persecuzioni razziali, le persecuzioni religiose, lo stalking (altra forma di persecuzione in nome del proprio desiderio egoistico dell’altro cui s’impone la propria presenza), il linciaggio fisico (ma anche
quello morale, perché non c’è nulla di più perfido che distruggere una persona psicologicamente; perciò, il gossip
non è da meno e guarda caso negli ultimi 15 anni è adottato come arma perfino nella lotta politica), ecc. ecc., non
ultima la stessa Mafia, quale che sia il suo nome nelle varie aree del mondo, il cui schema di potere si basa sul controllo di tutti con la minaccia ed imponendo l’omertà… in sostanza, la fotocopia in età adulta e più in grande di quello
che fa un bullo da bambino.
Complici le varie crisi economiche e/o politiche e la preoccupazione degli adulti più per tali aspetti che per il loro
ruolo sociale di “educatori naturali” in una società e comunità coesa, la Scuola è stata abbandonata a se stessa attribuendole tutte le responsabilità (ma senza strumenti per gestirle) e negli ultimi 20 anni il Bullismo ha letteralmente
prosperato.
La stessa Tv ha contribuito al fenomeno con il cinico obiettivo di creare più attenzione ed audience e così garantirsi
più introiti pubblicitari. Perciò, ha dato sempre più spazio, facendone dei “vincenti”, a tutti coloro che si impongono
sugli altri con la furbizia più che l’intelligenza, con l’arroganza e la voce alta più che nel merito delle cose, perfino
con la forza e la violenza fisica.
In questa situazione ambientale, i “cattivi maestri” e “teorici del bullismo di massa” hanno preso coraggio e hanno
osannato i lati positivi dell’egoismo ed additato l’altro, il “diverso” di turno che fa sempre comodo a costoro, come il
colpevole ed il capro espiatorio, e hanno fatto loro eco coloro che avevano la coscienza sporca, spesso solo per
distrarre l’attenzione dalle vere responsabilità, per lo più le loro.
È inutile passare il tempo solo a lamentarsi degli sbagli fatti e focalizzarsi solo su quelli degli altri. Tanto, anche solo
non intervenendo, siamo tutti un po’ colpevoli.
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È meglio cercare di capirli, gli errori, e da essi imparare ad evitarli in futuro. Dopo aver preso atto del problema e
capite le sue cause, bisogna rimboccarsi le maniche, agendo contemporaneamente su due fronti:
aiutare gli adulti a scrollarsi di dosso i comportamenti menefreghisti dando loro un’alternativa costruttiva e applicando regole certe che disincentivino comportamenti a danno altrui ed incentivino il senso della comunità e
l’utilità e dignità d’ogni singolo individuo,
immettere nella società quanta più “acqua pulita” sia possibile, cioè bambini con una idea di società decisamente
migliore e del ruolo che ciascuno di essi ha affinché ciò divenga realtà, ripulendo progressivamente la società
dalle sue vecchie e pesanti “scorie”.
Ecco perché ritengo che insegnare ai bambini cosa è e a che cosa serve la LORO Costituzione, è una strategia vincente che gioca a favore di tutti:
Prima di tutto per i bambini stessi, che imparano a capire cosa significa essere un CITTADINO in una REPUBBLICA DEMOCRATICA (e non un SUDDITO di fatto) e quali sono perciò i suoi DIRITTI ma anche i suoi DOVERI
per vivere serenamente tutti insieme, creando anche i presupposti affinché le “vittime” di eventuali bulli possano reagire contando su di una comunità che interviene a difesa dei deboli e non li tratta da perdenti,
perciò,crea i presupposti anche per una migliore società del futuro di cui gli attuali bambini saranno i protagonisti,
per gli adulti e la società di oggi, perché non va sottovalutata l’influenza che gli stessi bambini possono avere sui
propri genitori e perciò sulla società con la loro reazione motivata e spontanea a quanto di sbagliato fanno gli
adulti.
Credo che questo libro sia un’ottima base per ottenere ciò, eventualmente facendone perfino il “libretto d’istruzioni“
di un nuovo “gioco” che coinvolga l’intera scuola, facendo interpretare ai bambini i ruoli chiave descritti dalla Carta
Costituzionale, simulando che la SCUOLA sia come uno STATO in cui ognuno di loro ricopre un incarico.
In un ambiente in cui i bambini sono coscienti che ci sono regole per punire la contravvenzione delle regole e chi
interviene per evitarlo se lo si denuncia, oltre all’elaborazione di una coscienza civile e democratica, si creeranno
ulteriori riflessi positivi che si riscontreranno su molteplici aspetti della vita quotidiana come per esempio rispetto ai
bulli (ed il bullismo che ne deriva) che avranno vita difficile se non impossibile.
E, nel tempo, avranno vita difficile e terra bruciata tutti i tipi di prepotenza e crimine.
Vi pare che questa possa essere un’ITALIA migliore? Ed allora cosa aspettate? Si inizi dal libro chiave: LA COSTITUZIONE ITALIANA. E nulla di più pratico è usare un libro che la faccia capire a tutti, anche ai bambini, come appunto è “LA POLITICA PER TUTTI”.
Guido De Simone
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Chi è Guido De Simone
([email protected])
Guido De Simone nasce a Roma il 28 gennaio 1955, ed ha una figlia.
I suoi studi in Economia e Commercio sono intercalati da 3 anni di viaggi e soggiorni (1977/1980) per studio e lavoro
in Inghilterra, Africa Occidentale, USA e Canada, e seguiti da specializzazioni in Marketing (Procter & Gamble, 1978), Processi Creativi (A.I.A.P., 1983), Comunicazione (Albo delle Organizzazioni Pubblicitarie, 1984) e Relazioni
Pubbliche (FE.R.P.I., 1985).
Nel biennio 1990/1991, a seguito di un lungo impegno lavorativo e professionale anche nelle selezione e gestione
delle Risorse Umane e nell’Orientamento e Formazione, frequenta il Master presso la Scuola di Psicosociologia
dell’Organizzazione e del Lavoro (Roma e Milano), unico non laureato in psicologia o sociologia ammesso.
Risiedendo spesso all’estero, fa uso corrente dell’Inglese parlato e scritto, conosce il francese e lo spagnolo e dal
2009 studia Cinese e Russo.
LAVORO: Dal 1975 al 1983 occupa ruoli dirigenziali nel commercio e nell’industria. Dal 1980 è imprenditore nella
Distribuzione Organizzata (bricolage) fondando con il padre la LEGNOPRONTO. Dal 1984 la lascia per divenire
consulente di Organizzazione, Comunicazione e Marketing, specializzandosi anche in settori innovativi
(Sponsorizzazione, Franchising, Benchmarking, ecc.) e fino al 1996 si occupa di oltre 120 aziende italiane e straniere operanti in vari settori dell’industria, artigianato, commercio, servizi terziari e terzo settore (sociale).
Nel 1990 fonda KC ITALIA, società di Consulenza Orientamento e Formazione per le PMI. Dal 1991, dopo il Master
in Psicosociologia, diviene progettista di Orientamento e Formazione, collabora ai progetti (FOPRI, GEPI) di rimotivazione e riqualificazione dei lavoratori in mobilità e progetta/implementa un Master per la Regione Lazio. In tutti i
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suddetti casi ne è anche il docente.
Nel 1993 riprende il ruolo operativo nella LEGNOPRONTO e con i fratelli affianca al primo un secondo punto vendita
e fonda una terza società per la gestione dell’ufficio acquisti e dell’amministrazione, creando un piccolo gruppo. Con
tali credenziali, si accordano con altri 6 imprese colleghe operanti nel Nord d’Italia per sviluppare insieme il Consorzio BRICO OK, il cui gruppo d’acquisto, trattando coi fornitori per conto dei quasi 20 punti vendita dei sette soci, permette d’ottenere le condizioni riservate alle potenti catene straniere da poco arrivate in Italia. La successiva politica
di franchising mette tale potere d’acquisto a disposizione di molti altri punti vendita locali del settore in tutta Italia,
formando una catena nazionale che nel 2009 arriva a 95 punti vendita e salva oltre 70 imprenditori dall’aggressività
dei grandi concorrenti stranieri.
Nel 2003 progetta e vara il primo programma operativo Anti-Bullismo, curando personalmente la formazione delle
docenti delle scuole materne ed elementari di un distretto scolastico di Reggio Calabria (P. Catanoso).
Nel 2004 viene incaricato dall’università privata UNIMEUR d’organizzare e dirigere il Dipartimento di Scienze del
Comportamento.
Dal 2001 sta verificando le condizioni per lo sviluppo della catena BRICO OK anche in altri paesi, eventualmente
alleandosi con gruppi simili lì già operanti. Inoltre, promuove lo stesso modello organizzativo anche in altri settori
commerciali per tutelarsi dalla politica aggressiva delle multinazionali e salvaguardare la piccola imprenditoria.
SOCIALE: Dagli anni ’80 aiuta varie associazioni di Volontariato (ambiente, protezione civile, ecc.), dalla stesura di
statuto e regolamento alla strutturazione organizzativa e dell’ufficio stampa, dalla formazione interna alle scelte strategiche.
Attento osservatore dei processi politici in Italia ed all’estero, rimane sempre autonomo dai partiti.
Nel 1982 è co-fondatore del “VOLTAIRE”, associazione di giovani di tutti i partiti, in cui egli rappresenta i “non allineati”, che riescono a far dialogare i protagonisti della Politica e della Società in incontri pubblici sui temi più cruciali
per il paese, favorendo spesso accordi fin lì falliti in Parlamento o ai “tavoli ufficiali”.
Negli anni 1991/94, durante la crisi del sistema partitico della “1° Repubblica”, contribuisce alle iniziative della Società Civile intuendo per primo che le PRIMARIE sono la risposta al pressante bisogno di vera Democrazia, ne studia le
varie forme d’uso nel mondo, a partire dai vari casi negli Stati Uniti dov’erano nate, e progetta un nuovo tipo di PRIMARIE APERTE, compatibile con la COSTITUZIONE ITALIANA e finalizzato a dare seguito effettivo ai suoi principi
consolidando la centralità dei cittadini ed il pieno potere del Popolo Sovrano e perciò favorendo un vero processo
democratico dal basso che contenga o ponga rimedio ad eventuali degenerazioni o abusi di potere nei partiti e nelle
istituzioni. Nella primavera del ‘94 propone il neo modello di PRIMARIE APERTE ai movimenti ed ai partiti, ma i loro
vertici evitano di consentirne la visibilità o la bollano come irrealistica.
La successiva degenerazione “pilotata” dei suddetti “nuovi” partiti in una più astuta riedizione della 1° Repubblica,
solo apparentemente abbattuta, lo inducono a rimanerne al di fuori, pur studiandone la struttura e le modalità strategiche ed operative ed impegnandosi nel progressivo stimolo (1985/2001) di un processo rivoluzionario dal basso su
due fronti: diffondendo le Primarie tra i cittadini comuni ed inoculando il “virus della conoscenza” delle Primarie Aperte e dei loro dirompenti effetti democratici in particolare tra i cittadini iscritti ai partiti, la “base”, affinché lo proponessero e poi l’imponessero di fatto ai rispettivi “vertici”; fase, quest’ultima, che inizia nel 1999.
Nel 1996, con altre persone che stanno condividendo il suo progetto, fonda il COMITATO PER LE PRIMARIE ed
avvia una verifica popolare dei principi fondanti delle Primarie che coinvolge oltre 15.000 cittadini in tutta Italia. Nel
2001, in base all’esito di tali contributi dal basso, scrive il MANIFESTO PER LE PRIMARIE. Nel 2004, respinti i tentativi di alcune parti politiche d’appropriarsi del progetto per controllarne gli effetti, redige la prima stesura della legge
per l’istituzione delle PRIMARIE APERTE nell’intero sistema elettorale italiano, nel rispetto dei principi indicati dai
cittadini. Inoltre, trasforma il precedente COMITATO PER LE PRIMARIE nel COMITATO PER LE PRIMARIE APERTE e invita la Società Civile a partecipare all’ultima verifica del testo. Nel 2006 chiude i lavori, pubblica sul sito del
Comitato (www.primarie.org) il testo definitivo della legge in 12 articoli e ne registra il titolo come Proposta di Legge
d’Iniziativa Popolare, di cui è primo firmatario, presso la Corte di Cassazione. Nel 2007 ne avvia la campagna
(www.laspedizionedei1001.it) per la raccolta delle firme, che interrompe nel 2008 in attesa di tempi migliori, preso
atto della totale indisponibilità dei media a darne notizia e dei costi a suo solo carico in mancanza di visibilità e contributi.
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Della stessa collana:
- Le Regioni …. Per tutti (20 testi)
- Le Province …. Per tutti
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ISBN: 978-88-904496-97
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introduzione per docenti e genitori